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La formazione sociale richiede il sano e corretto uso della propria libertà e l’esercizio del
senso della responsabilità. Entrambi sono necessari: la libertà senza responsabilità
degenera, la responsabilità senza libertà s’inaridisce.
Attraverso la dimensione della convivialità, la libertà individuale si realizza nel fare per
sé stessi e per gli altri1; la convivialità, inoltre, consente di concepire la libertà stessa non
solo come dote individuale e interiore, poiché la libertà di ogni persona è sempre in
situazione e all’interno di particolari contesti socioculturali.
Così, John Dewey sosteneva che la “la libertà è un elemento sociale e non semplicemente
una prerogativa del singolo individuo. Essa riguarda la distribuzione del potere
effettivo”2.
In una logica che vede educatori e educandi compartecipi di una medesima situazione di
vita, si può affermare che la libertà si identifica nella prospettiva dell’educando, mentre
la responsabilità in quella dell’educatore.
Se si riflette pedagogicamente sul concetto di libertà, appare chiaro quanto sia riduttiva e
degenerata l’accezione comune che la considera finita laddove iniziano i margini di
manovra di un altro.
1
Cfr. I. Illich, Per una storia dei bisogni, tr. it., Mondadori, Milano 1981.
2
Cfr. J. Dewey, L’educazione di oggi, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1950, p. 409.
Per questo, si può affermare che la libertà inizia e prosegue in forza di un contesto di
responsabilità, che in quanto tale dà origine all’emergere della coscienza sociale.
Dal modo in cui rispondiamo ai compiti di vita che ci vengono offerti e proposti, la libertà
può essere attivata responsabilmente o meno.
La libertà non è una dote individuale, bensì l’effetto del rapportarsi, che si configura nel
modo di relazionarsi.
È in tale processo dinamico che tra libertà e responsabilità si instaura un rimando per
reciproco, esattamente come avviene tra educatori e educandi, individuo e collettività,
cittadino e Stato.
Nel primo caso la risultante è il costituirsi di un io isolato, un io leggero, in balìa del vento
delle mode e delle suggestioni dei contesti ambientali.
Si tratta di porre innanzi a tutto l’accettazione di ogni essere umano nella sua diversità,
ma pur sempre centro di libertà, di intenzionalità e di energia vitale.
Infatti, il riferimento esclusivo agli altri, per adeguarsi a essi e voler essere simile a loro
a tutti i costi, costituisce l’alienazione del soggetto; non voler essere come gli altri,
assumendo intenzionalmente atteggiamenti isolazionisti e anticonformisti, è invece mera
estraneazione.
Quando il confronto è operato solo con sé stessi, non accettandosi e non volendo essere
sé stessi, esso diviene disperazione; il voler essere a tutti costi sé stessi, senza proporsi di
cambiare e seguendo esclusivamente il proprio temperamento, è semplice ostinazione.
3
Cfr. G. Mollo, Educare alla soggettività, Edizioni Salpgraf, Roma 1981.
In questa direzione si sviluppa la personalità morale e sociale, quale spaccato dell’essere,
sotto le forme dell’esistenziale, dell’interpersonale e del politico.
Infine, occorre educare ai compiti di vita quali impegni da assumersi in una data
situazione.
Ogni educatore deve tenerlo presente in ogni situazione formativa, sia questa la casa, la
scuola, l’oratorio o altro, permettendo che diventi una condizione e un’opportunità di
maturazione per la persona.
Così, fra genitori e figli, insegnanti e allievi, allenatori e giocatori (tutti membri di un
gruppo o tutti egualmente partecipi di una medesima situazione lavorativa), ciò che conta
è il coinvolgimento di responsabilità per tutti, nessuno escluso, anche se diversamente da
persona a persona e adeguatamente alle loro funzioni.
In tal modo, si evita di concepire e vivere la condizione adulta come situazione carica di
responsabilità e, viceversa, di escludere del tutto quest’ultima dall’età evolutiva.
Bibliografia
• Dewey John, L’educazione di oggi, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1950;
• Illich Ivan, Per una storia dei bisogni, tr. it., Mondadori, Milano 1981;