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Apprendimento significativo, mediato dalla tecnologia

(didattica multimediale)
Le continue e complesse trasformazioni che caratterizzano la “liquidità” della società attuale,
generano, rispetto al passato, nuovi valori e stili di vita, che determinano un cambiamento delle
modalità conoscitive e comunicative dell’individuo.
In questa nuova prospettiva sociale la visione costruttivista del sapere, in particolare quella del
costruttivismo socio-culturale, fornisce una risposta affinché l’individuo possa divenire protagonista
responsabile della sua crescita personale e sociale, attraverso un impegno durevole per tutto l’arco
della vita.
Il modello di apprendimento significativo presentato in questo contributo intende proporsi come una
via praticabile nel contesto formativo e scolastico, per promuovere nello studente la competenza
intesa come “saper agire, reagire e co-agire pensando”, per aprirsi responsabilmente
all’apprendimento del futuro e costruire e co-costruire una cittadinanza consapevole.
In un’ottica europea è la competenza dell’imparare a imparare, che può essere sollecitata in
percorsi formativi learning centered, attenti a tutte le dimensioni della personalità dell’apprendente
(cognitiva, metacognitiva, pratico-operativa, affettivo-motivazionale, relazionale-sociale). È la
competenza che viene alimentata in ambienti di apprendimento che valorizzano i saperi naturali
dello studente e danno enfasi al suo ruolo attivo e riflessivo nei processi di costruzione, co-
costruzione e condivisione di conoscenza e significato. Sono contesti “autentici”, in cui
l’interazione comunicativa e sociale si realizza con altri soggetti, i pari e gli adulti (insegnanti,
esperti) facilitatori, coaches e counselors, ma anche con le tecnologie. Queste ultime, dalle più
tradizionali alle digitali e telematiche, fino alle moderne tecnologie sociali (web 2.0), sono “partner
intellettuali” che aiutano a pensare. La classe diventa knowledge-building community, in cui tutti i
membri sono impegnati in compiti autentici, che incoraggiano l’interdipendenza,
nell’apprendimento efficace, tra saperi formali, informali e non formali.
Il clima di cooperazione e complicità positiva tra i membri del collettivo, sostenuto dall’utilizzo
consapevole e intenzionale delle tecnologie, concorre a promuovere quell’imparare a imparareche
si configura come chiave di volta per costruire oggi la cittadinanza digitale consapevole e,
conseguentemente, ridurre il digital divide, importante causa del knowledge divide.
Il concetto di apprendimento significativo nasce all’interno del paradigma costruttivista della
conoscenza e si sviluppa in molteplici correnti teoretiche, tra cui il costruttivismo socio-culturale.
La conoscenza è un processo di costruzione di significato da parte del soggetto, che rielabora in
maniera personale e in parte arbitraria saperi già acquisiti, sensazioni ed emozioni. Questo processo,
però, non rimane circoscritto alla sfera privata: nella consapevolezza che anche l’altro costruisce la

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propria conoscenza in modo soggettivo, si orienta all’accettazione e alla comprensione di
prospettive multiple, mediante forme di interazione comunicativa.
La comunicazione, che sta alla base dell’interazione sociale, è negoziazione di significati, che
consente all’individuo di costruire in modo condiviso nuove conoscenze.
In quest’ottica la concezione costruttivista dell’apprendimento sottolinea la centralità del
soggetto apprendente, che attivamente e intenzionalmente cerca e costruisce la propria
conoscenza, riflette sulla sua azione e osservazione in un contesto reale e “autentico”,
contestualizzato, in cui interagisce con gli altri, con le risorse informative e con le tecnologie.
Il processo formativo abbandona la logica dell’insegnamento (teaching centered) a favore
dell’apprendimento (learning centered).
L’insegnante non è più considerato un “disseminatore d’informazione”, depositario indiscusso di
un sapere universale, astratto e decontestualizzato. È, piuttosto, un facilitatore, un tutor,
un coach e counselor, che guida l’allievo a riconoscere con consapevolezza e a ridefinire in modo
riflessivo la trama delle sue competenze.
Lo studente, spinto da personali interessi e motivazioni, costruisce attivamente una propria
concezione della realtà attraverso un processo d’integrazione di molteplici prospettive, che derivano
non solo dalla trasmissione di saperi codificati, ma anche dalle conoscenze ed esperienze pregresse,
in una dimensione dialogica in cui l’“interscambio dialettico” ha lo scopo di ottenere una
“costruzione di con-senso”. Lo sviluppo della conoscenza è un’“impresa sociale”, frutto della
comunicazione interpersonale, del confronto e dello scambio all’interno della comunità di
appartenenza, della condivisione e negoziazione di significati espressi da una comunità di interpreti.
Da qui il modello di apprendimento significativo oggi ampiamente condiviso nell’ambito formativo,
che vede David Jonassen tra i più illustri sostenitori.
D. Jonassen, nella sua progressiva riflessione sul paradigma costruttivista socio-culturale, giunge a
una definizione di apprendimento significativo fondata su alcuni attributi: attivo, costruttivo,
intenzionale, autentico e cooperativo.
L’apprendimento è attivo se coinvolge attivamente l’apprendente nella costruzione della sua
conoscenza in contesti significativi, mediante la manipolazione di oggetti, l’osservazione e
l’interpretazione dei risultati dei suoi interventi.
Papert, a tal proposito, parla di “artefatti cognitivi”, strumenti che consentono al soggetto in
situazione di apprendimento di addentrarsi in un’esplorazione in cui costruire da solo i propri
progetti, provare schemi e manipolare nozioni e idee, modificando lo status di “consumatore” di
informazioni in quello di “produttore” di conoscenza.
L’apprendere è, quindi, un processo alimentato dal fare pratico, necessario, ma non sufficiente per
generare apprendimento significativo.

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L’azione, infatti, si traduce nell’imparare attraverso un fare costruttivo, che richiede la
comprensione del compito, delle consegne e procedure, la riflessione cognitiva e metacognitiva
sulle esperienze in corso, la comprensione del “perché” e del “come” della propria azione.
Riflettendo su una situazione dubbiosa, gli studenti integrano le nuove esperienze e informazioni
ricevute dall’esterno con la loro precedente conoscenza del mondo, in una sorta di negoziazione
interna volta a trovare un senso a ciò che osservano. Iniziano costruendo i propri e semplici modelli
mentali attraverso cui spiegano ciò che analizzano. Con l’esperienza e la riflessione tali modelli
diventano sempre più complessi e richiedono, pertanto, una rappresentazione mentale più articolata,
l’utilizzo di diversi processi di pensiero.
L’apprendimento avviene in modo significativo anche quando implica eventi consapevoli,
intenzionalmente diretti al raggiungimento di un obiettivo e carichi emotivamente. Quando gli
studenti intendono attivamente e deliberatamente conseguire un obiettivo cognitivo, pensano e
imparano di più perché stanno realizzando un’intenzione. Ciò consente loro di utilizzare più
efficacemente le conoscenze che hanno costruito in nuove situazioni, governando il cambiamento e
le circostanze imprevedibili. La consapevolezza dello scopo da perseguire promuove la capacità di
effettuare scelte e compiere decisioni e, conseguentemente, rafforza la convinzione di possedere le
necessarie abilità, gli indispensabili strumenti e schemi d’azione per raggiungere le mete prefissate.
Entrano così in gioco gli aspetti motivazionali, estremamente determinanti nel favorire lo sviluppo
di processi di apprendimento significativo. Se lo studente sviluppa un sentimento di autostima e
accresce la propria autoefficacia (self efficacity), maggiori sono la disponibilità, l’attenzione e
l’impegno profusi nel compito e più matura la motivazione ad apprendere.
Jonassen mette in evidenza come l’apprendimento significativo sia anche autentico, cioè
contestualizzato e complesso. Gli studenti imparano di più e meglio se sono impegnati in “compiti
autentici”, emergenti da “contesti autentici”, strettamente correlati al mondo reale, in cui si
affrontano “problemi autentici”, quelli che si incontrano normalmente nella vita di tutti i giorni,
dimostrando di essere in grado di risolverli utilizzando e applicando in modo intelligente le
conoscenze e le abilità acquisite in nuove situazioni.
Il contesto, secondo Jonassen, è rappresentato dalle comunità di apprendimento e di costruzione
di conoscenza, in cui le persone apprendono in forma cooperativa, imparando a considerare
criticamente differenti e varie prospettive per affrontare e risolvere problemi. La cooperazione
richiede la conversazione tra i partecipanti. Gli allievi che lavorano in gruppo devono
necessariamente negoziare una comprensione comune del compito, concordare la scelta di
metodologie adeguate per realizzarlo. La classe si fa comunità di apprendimento, «comunità di cui
lo studente diviene membro cosciente e legittimo, attraverso un’accresciuta identità (dell’io
attraverso il noi) che gli dà coscienza sociale, senso di responsabilità, spirito d’iniziativa, capacità

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critica, spirito di solidarietà». In questa dimensione sociale dell’apprendimento le comunità di
studenti sono considerate, in un’ottica vygotskijana, molteplici “zone di sviluppo prossimale”,
dove il mutuo tutoraggio tra pari, alimentato dallo scaffolding cognitivo (“sostegno” dei compagni
esperti, dell’insegnante, dell’esperto), crea “coreografia di squadra”, che orienta senza dirigere le
teorie ingenue dell’allievo. Questi è così guidato a rivisitare il suo sapere e a riflettere sulle sue
esperienze; è facilitato nella soluzione di problemi in una situazione di impasse; è sostenuto nei
processi di costruzione della conoscenza, di sviluppo di abilità e competenze utili al conseguimento
di obiettivi formativi centrati sui suoi bisogni. I processi interattivi tra gli agenti della comunità
diventano motore che promuove la comunicazione e la condivisione di conoscenze,
abilità,expertise, nonché l’apertura nei confronti di prospettive multiple. La varietà di conoscenze,
esperienze e competenze all’interno di un collettivo di lavoro rappresenta un potenziale per
un’azione più ampia e ricca, mediante la valorizzazione di tutti i tipi di intelligenza e dei talenti
personali; nel contempo tale varietà facilita la legittimazione delle diversità e la comprensione delle
differenze.
Ecco allora che il sostegno non si realizza solo sul piano cognitivo, ma anche su quello affettivo-
motivazionale e relazionale-sociale. Lo scaffolding affettivo stimola, incoraggia, approva lo
studente nel suo avvicinarsi alla pratica esperta. Sollecita la partecipazione attiva, l’interesse e la
creatività, agendo positivamente sul senso di fiducia, sui sentimenti di autostima ed autoefficacia,
sull’empowerment finalizzato all’impegno e alla responsabilità, quindi, sulla motivazione ad
apprendere.
La concezione di apprendimento significativo fin qui descritta risponde a «una visione del processo
educativo capace di dispiegare le potenzialità individuali, in armonia con le richieste sociali e in
corrispondenza con le esigenze del mondo del lavoro e con il mercato della conoscenza e del
sapere».
Nella società post-industriale, infatti, si vengono affermando nuovi valori, modelli e stili di vita
rispetto al passato. Al modello sociale industriale, fondato sui beni materiali, tangibili, succede un
modello sociale in cui la ricchezza deriva da risorse immateriali, dalla conoscenza, tanto da
giungere a coniare il termine Knowledge society (società della conoscenza), attribuendolo
all’odierna società. Nella Knowledge society «la conoscenza è una ricchezza privata e collettiva in
grado di assicurare al singolo una migliore qualità della vita e di garantire rapporti sociali basati
sui principi di uguaglianza, rispetto, inclusione e produttività. In questo senso, la conoscenza è un
bene comune e come tale va perseguita, preservata e condivisa». Ma, la conoscenza è anche un
bene individuale «che si inserisce fra quei diritti fondamentali della persona di cui nessun uomo e
nessuna donna dovrebbero essere deprivati».

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Parallelamente al modello sociale sta mutando anche il modello economico-produttivo, che,
influenzato dalla rivoluzione tecnologica, va via via attribuendo importanza all’aspetto
“immateriale” del lavoro, legato alle relazioni interne ed esterne, alla comunicazione, alle capacità
metodologiche e strategiche di ideazione e progettazione, alla responsabilità individuale e alla
condivisione dei valori aziendali.
Ecco allora che nella «società dell’informazione e della comunicazione, che ha poi trovato il suo
apice nella società della conoscenza», sta cambiando radicalmente il modo di elaborare
l’informazione e condividere il sapere.
La continua creazione di conoscenza tende a configurarsi come un vantaggio competitivo
all’interno delle sfide aperte dalla società e dall’economia della globalizzazione. Questo modello
dinamico, però, dovrebbe poter mettere la persona nelle condizioni di accedere liberamente alla
ricchezza di saperi in continuo movimento. Nella “società liquida” del terzo millennio, dove si
vivono situazioni che si modificano prima ancora che il suo agire riesca a consolidarsi in abitudini e
procedure, sorge più che mai l’esigenza non solo di “sapere” e “saper fare”, ma principalmente di
saper e voler agire e reagire con efficacia e efficienza in contesti “liquidi”, imprevisti, incerti,
complessi, trovando equilibrio nel movimento.
L’individuo, quindi, per contribuire attivamente e consapevolmente alla costruzione della
conoscenza, deve poter sviluppare metacompetenze, che gli consentano, in un’ottica europea, di
muoversi con consapevolezza riflessiva in contesti sempre meno regolati.Ne deriva il modello
formativo di seguito rappresentato.

Modello formativo fondato sul concetto di competenza

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Il modello evidenzia come, per ciascun individuo, sia centrale l’apprendimento, lungo tutto l’arco
della vita, delle cosiddette otto competenze chiave, per la realizzazione e lo sviluppo personali, la
costruzione della cittadinanza attiva e l’inclusione sociale, l’ottenimento di un’occupazione.
L’acquisizione di queste competenze consente l’adattamento alle nuove situazioni, favorisce
l’incremento della motivazione e della soddisfazione sul lavoro, migliorandone la qualità, permette
di far fronte in maniera consapevole e responsabile al nuovo mondo digitale, comprendendone a
fondo le opportunità e le sfide, ma anche le questioni etiche connesse alle nuove tecnologie.
La competenza è un modo di essere, di agire e reagire in progress della persona, a seconda delle
situazioni in cui si trova ad operare. «Implica una visione olistica dell’individuo e del suo
apprendimento: i saperi, i saper fare, i saper essere devono sintetizzarsi nel soggetto e dare origine
ad atteggiamenti sia speculativi che operativi, nella consapevolezza dei processi attuati e nella
capacità di controllo e valutazione del processo stesso».
Da tutto ciò si evince che una competenza può dirsi raggiunta quando saperi, saper fare e saper
riflettere diventano patrimonio di ciascun individuo e vengono spontaneamente, consapevolmente e
responsabilmente applicati alla soluzione di problemi di varia natura, emergenti da contesti di vita,
di studio e di lavoro liquidi, reali e autentici.
L’individuo, però, non agisce mai da solo. Per poter rispondere efficacemente alle sempre più
complesse e fluide esigenze della società in cui vive, è necessario saper interagire e co-agire con i
soggetti sociali: «la risposta competente dovrà essere una risposta di rete e non solo una risposta
individuale».
«Come le due facce di una medaglia, ogni competenza comporta due dimensioni indissociabili:
individuale e collettiva». Oggi più che mai «la natura altamente relazionale della network
society richiede anche di saper mettere in relazione, in rete, conoscenze, persone, processi», per cui
difficilmente è possibile essere competenti da soli, rimanendo isolati.
La “liquidità” dell’odierna network society coinvolge in particolar modo le nuove generazioni, i
“nativi digitali”, nati e cresciuti in un ambiente fortemente marcato dalle tecnologie digitali. I
giovani d’oggi sono “multitasking”, abituati a ricevere e a gestire rapidamente e simultaneamente
informazioni da più fonti multimediali; perennemente connessi alla rete, con un
accesso random alla conoscenza, senza più limiti spazio-temporali; impegnati nella produzione e
co-produzione di contenuti mediante approcci ipertestuali e processi bottom up,che richiedono una
capacità di riadattabilità in progress, «costantemente in “armonia” con un sistema la cui
imprevedibilità, al momento, è l’unica certezza».
Ecco allora che, in un’ottica costruttivista socio-culturale, la produzione-gestione-diffusione
responsabile-consapevole-condivisa della conoscenza rappresenta, nell’attuale liquidmodernity, una
(forse “la”) strategia in grado di rispondere alle rinnovate sfide socio-economiche della knowledge

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society, così come emerge dai riferimenti europei in materia di competenze chiave per
l’apprendimento permanente.
«Alla scuola e al mondo della formazione si chiede di preparare studenti e persone in grado di
padroneggiare linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico, capaci di raggiungere una
maturità intellettiva e comportamentale che consenta loro di cogliere la dimensione unitaria del
sapere, di sviluppare il senso della responsabilità personale e di assumere un atteggiamento critico
di fronte alla realtà»; studenti e persone capaci di apprendere in forma significativa per «vivere
nelle rinnovate condizioni sociali ed economiche senza […] perdere di vista i valori umani
fondamentali della crescita del sé, dell’autosviluppo e della solidarietà e inclusione
sociale»; studenti e persone in grado «di concretare un “empowerment” e un self-
empowerment che possano favorire la “cittadinanza attiva” come `partecipazione sul piano
culturale, politico/democratico e/o sociale dei cittadini alla società nel suo complesso e in seno alla
collettività´». [30]
Tutto ciò richiede all’individuo di essere protagonista responsabile della sua crescita personale e
sociale attraverso un impegno durevole per tutto l’arco della vita (life long learning), che lo guidi
alla maturazione delle competenze chiave europee per “saper agire, reagire e co-agire pensando”,
nella complessità, provvisorietà e liquidità della nostra knowledge society.
L’apprendimento significativo può rispondere a tali esigenze contribuendo a formare un cittadino
attivo oggi, responsabilmente e consapevolmente aperto al domani.
Apprendere in modo significativo per costruire e gestire competenze individuali e collettive diventa,
dunque, una priorità educativa nella complessa, flessibile e dinamica società della conoscenza.
Priorità riconosciuta anche dall’Unione Europea che, nel raccomandare le competenze chiave per
l’apprendimento permanente, considera come trasversale a tutte le competenze l’imparare a
imparare.
Si tratta di una competenza metodologica, utile a tutti i processi di apprendimento significativo,
come si evince dalla definizione contenuta nel riferimento europeo: «Imparare a imparare è
l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche
mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in
gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di apprendimento e
dei propri bisogni, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di sormontare gli
ostacoli per apprendere in modo efficace. Questa competenza comporta l’acquisizione,
l’elaborazione e l’assimilazione di nuove conoscenze e abilità come anche la ricerca e l’uso delle
opportunità di orientamento. Il fatto di imparare a imparare fa sì che i discenti prendano le mosse
da quanto hanno appreso in precedenza e dalle loro esperienze di vita per usare e applicare
conoscenze e abilità in tutta una serie di contesti: a casa, sul lavoro, nell’istruzione e nella

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formazione. La motivazione e la fiducia sono elementi essenziali perché una persona possa
acquisire tale competenza».
Imparare a imparare è apprendimento attivo e intenzionale, perché implica l’impegno costante ad
organizzare il proprio bagaglio culturale, individuando, scegliendo ed utilizzando strategie,
modalità, strumenti e fonti di informazione e formazione anche in funzione dei contesti operativi,
dei tempi disponibili, del personale metodo di studio e di lavoro, dei propri bisogni ed obiettivi.
Emerge qui il riconoscimento degli apprendimenti non formali e informali, in grado di contribuire,
accanto a quelli formali, a costruire e gestire la competenza individuale e collettiva.
Nella vita quotidiana, al lavoro, in famiglia, nel tempo libero (contesti di apprendimento informale),
così come accade in contesti educativi extrascolastici (contesti di apprendimento non formale), si
ricorre abitualmente a risorse, strumenti e informazioni disponibili nell’ambiente in cui si opera, per
far fronte a problemi o svolgere compiti anche in situazioni di imprevedibilità. Spontaneo e naturale
è pure il ricorso al supporto di persone più esperte (scaffolding) che concorrono, attraverso processi
dialogici di scambio e confronto di saperi, nonché di dinamiche relazionali basate sulla
collaborazione e negoziazione di significati, alla graduale interiorizzazione di nuove conoscenze.
Si tratta dunque di creare anche a scuola, o comunque in ambiti istituzionalizzati, contesti di
apprendimento sociali, significativi, dinamici, autentici, in cui sia «possibile trasformare il sapere da
disciplinare in un processo di costruzione e di interazione fra saperi stabili e competenze liquide.
[…] Contemporaneamente, condividere con gli altri i processi conoscitivi in un percorso collettivo
di costruzione del sapere, sollecita prospettive multiple della realtà e, perciò, un’attitudine al
pluralismo come base fondamentale per l’integrazione e l’inclusione».
Conseguentemente imparare a imparare è anche apprendimento costruttivo e cooperativo:
costruttivo perché è la competenza che favorisce processi e metaprocessi di apprendimento, che
stimola capacità cognitive e sostiene analisi metacognitive in progress, nel corso dell’azione,
incoraggiando una continua pratica riflessiva, una sempre maggiore comprensione (e non solo
conoscenza) della realtà, un progressivo miglioramento delle proprie strategie cognitive, ma anche
del lavoro comune. Imparare a imparare si fa così anche apprendimento cooperativo, perché è la
competenza grazie a cui è possibile sviluppare non solo un agire e reagire, ma anche un co-agire
consapevole e responsabile, che alimenta positivamente la motivazione ad apprendere e facilita la
costruzione e lo sviluppo di competenze collettive.
Un ambiente di apprendimento è un ambiente pensato specificatamente a fini didattici; è la
risultante dell’integrazione, in un sistema organico e coerente, di una molteplicità di elementi
implicati nel processo di apprendimento.
L’allievo è coinvolto attivamente nella costruzione della conoscenza, partendo dall’identificazione e
comprensione di situazioni di problem solving concrete e autentiche, rilevanti nel mondo reale,

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capaci di valorizzare tutti i talenti e le intelligenze multiple. L’individuazione consapevole di
strategie risolutive richiede la capacità di saper applicare una vasta gamma di conoscenze ed elevate
abilità di pensiero, di saper “agire-pensando”, dimostrando ciò che effettivamente si sa fare con ciò
che si sa.
La progettazione di contesti di esplorazione e manipolazione di artefatti materiali, cognitivi,
dialogici e concettuali, di quelli che Jonassen definisce cognitive tools o mindtools, “strumenti” in
grado di facilitare e arricchire i processi formativi, assume un’importanza fondamentale per
promuovere il transfer dell’apprendimento dal contesto scolastico alla vita reale e viceversa, e
migliorare le abilità cognitive e metacognitive.
In quest’ottica l’apprendistato cognitivo può sostenere processi di apprendimento significativo. Si
tratta di un approccio che, muovendo dal concreto verso l’astratto, orienta, senza mai dirigere, lo
studente all’azione riflessiva in progress sia sui contenuti appresi sia sui processi attivati; lo
incoraggia a ragionare con criticità sulla realtà da molteplici prospettive, favorendo lo sviluppo del
pensiero divergente e creativo e promuovendo la competenza nel dominio della pratica.
In questa prospettiva il docente si fa facilitatore, coach e counselor.
È innanzitutto esperto disciplinare, perché una didattica attiva non rigetta i contenuti in toto, ma
solo quelli che producono conoscenza inerte. I contenuti vanno «trasmessi nel contesto di un
problema da risolvere, di una attività da svolgere e selezionati sulla base della loro utilità ad
affrontare quelle situazioni», perché sarà anche possibile far sì che le persone apprendano ciò che
noi vogliamo, ma in futuro ricorderanno e useranno solo ciò che ha un senso per loro.
Il docente diviene anche esperto di apprendimento, in grado di facilitare gli studenti nei processi di
codifica delle conoscenze chiave irrinunciabili e di attivazione dei saperi naturali, della loro
organizzazione, mappatura e trasferibilità da un dominio a un altro. Incoraggia l’interdipendenza tra
saperi formali, informali e non formali. Con strategie di debriefing (“interrogare a fondo”)
accompagna l’allievo lungo la strada della metacognizione, sollecitando la presa di coscienza dei
punti di forza e di debolezza del suo percorso di apprendimento. Stimola processi di rielaborazione
e trasferibilità di quanto appreso in contesti specifici: lo studente impara a stabilire dei ponti
(bridging) tra i saperi acquisiti e le nuove situazioni in cui potrà reinvestirli e comunicarli
socialmente.
In qualità di esperto attento alla sfera intra e interpersonale dell’apprendente, il docente tende altresì
a perseguire un clima di dialogo, ascolto, accettazione e sostegno reciproci, di relazioni positive, di
sperimentazione di sé, fornendo scaffolding non solo cognitivo ma anche affettivo e favorendo
modalità di apprendimento a mediazione sociale come il peer tutoring (insegnamento reciproco) e
la peer collaboration (collaborazione tra pari).

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Ecco allora che un ambiente di apprendimento costruttivista diviene knowledge-building
community, comunità di apprendimento in cui gli agenti sono in relazione tra loro e imparano
attraverso processi dialogici, che promuovono la condivisione di saperi, abilità,expertise, la
cooperazione nei processi di co-costruzione di conoscenza e significato, l’apertura nei confronti di
prospettive multiple.
In questo contesto «il Cooperative Learning considera esperto l’insegnante che sa gestire e
organizzare esperienze di apprendimento condotte dagli stessi studenti e, insieme, sviluppare
obiettivi educativi di collaborazione, solidarietà, responsabilità e relazione, riconosciuti efficaci
anche per una migliore qualità dell’apprendimento».
Il clima cooperativo e positivo dell’ambiente di apprendimento favorisce un maggiore
coinvolgimento di tutti gli allievi nella condivisione consapevole e intenzionale di obiettivi, scopi,
strategie, nonché un graduale superamento di pregiudizi e barriere comunicative interpersonali. Un
ambiente ricco socialmente, organizzato in gruppi di cooperazione, in cui sia possibile, attraverso la
distribuzione e alternanza dei ruoli e della leadership, esplorare domini di conoscenza insieme ai
compagni e all’insegnante, consente ai partecipanti di operare reciprocamente all’interno delle
proprie zone di sviluppo prossimale, ottenendo risultati più avanzati di quelli conseguibili nelle
normali attività individuali.
Se ciascuno studente si sente accettato e valorizzato nel gruppo per quello che è, ha modo di
rafforzare i sentimenti di autostima e autoefficacia, elementi che esercitano un forte peso sulla
motivazione ad apprendere. Questi fattori emotivo-motivazionali sono strettamente connessi con la
creazione di una cultura di empowerment e di self-empowerment, volta a far acquisire agli allievi un
senso di potere, di forza e di fiducia nelle proprie capacità, tale da modificare positivamente i
risultati dell’apprendimento e da accrescere competenze intra e interpersonali.
Un ambiente di apprendimento costruttivista, in definitiva, promuovendo percorsi formativilearning
centered, attenti a tutte le dimensioni del soggetto apprendente (a quella cognitiva, metacognitiva,
pratico-operativa, ma anche a quella affettivo-motivazionale e relazionale-sociale), sostiene
processi di sviluppo di competenze individuali e collettive, favorisce la crescita personale e la
cittadinanza attiva e consapevole nell’attuale contesto della knowledge society.
Nella cornice teorica costruttivista socio-culturale, ambienti di apprendimento significativo in cui
poter costruire, co-costruire e condividere un modello di conoscenza che tenga conto delle
caratteristiche della knowledge society, possono essere supportati dalle tecnologie digitali e
telematiche e da quelle sociali emergenti.
Le ICT (Information and Communication Technology) possono diventare artefatti, tools, strumenti
di apprendimento significativo, se forniscono agli studenti opportunità di impararecon le tecnologie
e non dalle tecnologie.

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Il rischio infatti è di servirsi delle tecnologie, in primis del computer con tutte le periferiche e i
software annessi e connessi, in un’ottica di insegnamento tradizionale e trasmissivo, come
strumenti, cioè, che presentano, conservano e distribuiscono informazioni agli studenti. Non si
dovrebbe utilizzare la “tecnologia come insegnante” e repository di informazioni, perché in questo
modo non produce alcuna differenza significativa in termini di apprendimento. Si dovrebbe,
piuttosto, considerare la tecnologia come “partner intellettuale” che aiuta a pensare. Gli studenti
apprendono in maniera significativa se sanno padroneggiare consapevolmente l’uso delle
tecnologie, dimostrandosi in grado di utilizzarle anche in forma creativa per organizzare e
rappresentare ciò che conoscono e che stanno imparando, per creare prodotti e risolvere problemi
ancorati alla vita reale, per riflettere su contenuti e processi.
Le tecnologie, definite opportunamente da Jonassen “collaborationtools”, possono promuovere la
collaborazione, la cooperazione e la distribuzione di conoscenza nelle knowledge-building
communities; rendere possibile e supportare i processi dialogici, quindi la conversazione, la
discussione, il confronto produttivo, la negoziazione di significati, la costruzione di consenso,
implicando da parte di tutti l’impegno a riflettere criticamente in un’ottica “progressista”,
di miglioramento della conoscenza.
Al tempo stesso le tecnologie concorrono a promuovere nell’allievo lo sviluppo di atteggiamenti
che caratterizzano la sfera affettivo-motivazionale, diventando un importante partner in grado di
offrire scaffolding, un’impalcatura nello sviluppo di conoscenze e abilità (scaffolding cognitivo) e
nella maturazione di competenze anche a livello intrapersonale (scaffolding affettivo). Le “zone di
sviluppo prossimale”, infatti, includono non solo le persone (insegnanti, esperti, compagni più
capaci), ma anche le tecnologie, sia quelle tradizionali, sia quelle digitali e telematiche, fino alle più
recenti tecnologie sociali, che possiedono le potenzialità per diventare motori in grado di agire
positivamente sulla motivazione ad apprendere, l’interesse, la partecipazione, l’impegno.
La rete, il web 2.0, pensati come “partner intellettuali”, possono fornire all’insegnante un valido
apporto per la predisposizione di ambienti learning centered capaci di sviluppare “la competenza”
dell’imparare a imparare, senza trascurare la tipicità delle forme, degli stili e dei contesti di
apprendimento dei bambini e giovani d’oggi.
Nella complessità dell’odierna società, infatti, la quotidianità degli studenti è molto diversa da
quella degli adulti. Se la quotidianità di questi ultimi è fatta di pre-tecnologie digitali e telematiche
o comunque di tecnologie concepite nell’ottica dei “migranti digitali”, che «hanno sempre un piede
nel passato, nella loro terra d’origine», quella dei bambini e giovani d’oggi è imbevuta di
tecnologie. Videogiochi, computer, Internet, telefoni cellulari, tablet e ogni altra sorta di dispositivo
simile, sono “vissuti” dai “nativi digitali” multitasking, come «estensioni fisiche del proprio corpo»,

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come presenza normale e naturale nei propri luoghi di vita, elementi costanti incorporati
simultaneamente, spontaneamente e con estrema naturalezza nelle pratiche personali e sociali.
L’esplosione di Internet e la globalizzazione della rete, la diffusione dei Social Network e deiSocial
Software del web 2.0, stanno sempre più orientando gli screen-agers verso forme di apprendimento
informale, autodiretto, partecipativo. Attraverso un sistema paritario di sviluppo e condivisione di
contenuti, i giovani assumono il nuovo ruolo di prosumer, produttori e co-produttori di conoscenza
e significato mediante processi bottom-up, piuttosto che top-down, e strumenti decentralizzati
controllati da loro stessi, piuttosto che dall’istituzione scolastica.
«Le tecnologie sociali consentono alle persone di raggiungere informazioni, conoscenza e altre
persone che non sarebbero in grado di trovare off-line, sorpassando quindi qualsiasi intermediario
come scuole, postini, agenzie di viaggio e mezzi di comunicazione per incontrarsi. Il web sta
diventando il più grande luogo di convergenza degli esseri umani», si sta trasformando in un
“villaggio” attraente e seducente, in cui soprattutto i giovani d’oggi si incontrano e «cercano nella
velocità e nelle relazioni a distanza la loro identità che forse nelle “città” in cui abitano
normalmente non trovano più».
Il luogo dell’apprendimento cambia, non è più situato ma distribuito, «diventa il prodotto dei fattori
spazio-tempo-modi-strumenti, è dentro e fuori ognuno, è lo spazio virtuale della cittadinanza
digitale iperconnessa». Le relazioni sociali tessono una trama sempre più liquida e fluttuante, in cui
la serendipity, l’interazione accidentale fra individui, può creare una sorta di “terzo spazio”, che si
aggiunge, a volte sostituendosi, ai luoghi frequentati fra la casa (primo spazio) e il lavoro o la
scuola (secondo spazio) e in cui le persone possono interloquire in maniera significativa, mediante
riflessioni durante e a seguito dell’azione, che consentono di allargare individuali e ristrette visioni,
concepite attraverso esperienze pregresse.
È in questo “villaggio” o “terzo spazio” che il giovane d’oggi, l’Homo contextus (“connesso”), vive
la stragrande maggioranza delle situazioni di apprendimento, attivando continuamente meccanismi
cognitivi in interconnessione costante con gli altri e il contesto. Egli evade le limitazioni fisiche
della connettività mediante le moderne tecnologie di rete, che, esercitando un forte potere di
fascinazione, stimolano una pluralità di esperienze ed esaltano forme multiple e collaborative di
conoscenza e comunicazione.
È ciò che avviene nelle attuali comunità del web (Social Network) aperte tutto l’anno (quella di
Facebook o di Twitter solo per citarne due tra le più famose o la più recente di Google+) o
frequentate solo in occasione di eventi particolari (barcamps, world cafè e unconferences). Sono
comunque “luoghi” capaci di connettere “serendipicamente” tempo, spazio e interessi di centinaia e
centinaia di persone. Sono spazi partecipativi, caratterizzati da eventi bottom-up e da forme di auto-

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produzione e auto-pubblicazione di contenuti, mediante il recupero e l’embeddingdi risorse
socialmente condivise e il cosiddetto mashup, «la “poltiglia” ricombinatoria di elementi esistenti».

Questo “villaggio” o “terzo spazio”, in cui l’accesso alla cultura e alle relazioni non conosce più
limiti spazio-temporali, rischia però di trasformare l’Homo contextus in un “gadget” privo di
individualità e di coscienza, permettendogli «di sguinzagliare il […] lato più sadico e oscuro.
L’anonimità che la Rete garantisce, tramite diversi canali, consente a milioni di persone di sfogare
senza filtro tutto il nero che hanno dentro, inquinando di fatto quello che potrebbe (e dovrebbe)
essere una piazza straordinariamente ampia dove scambiarsi opinioni e costruire idee».
C’è anche chi denuncia il pericolo, insito nei new media e nel web 2.0 in particolare, di
indebolimento di «quei canoni di serenità, autorevolezza, vivacità, impegno, buona volontà,
dibattito, critica che sono da sempre trademark della libertà, dell’onestà, della ragione», che
potrebbe via via determinare un appiattimento e svuotamento dei contenuti on-line, nonché la
svalorizzazione della creatività intellettuale e della potenzialità di creare “pensiero nuovo”. La
«poltiglia di informazione amorfa, generata continuamente in rete dal basso, rischia di distruggere
le idee, il dibattito, la critica».
Consapevoli delle potenzialità, così come dei rischi e pericoli connessi all’utilizzo delle tecnologie,
diventa importante riflettere su uno dei compiti prioritari della scuola e della comunità di formatori
ed educatori in genere: guidare tutti i soggetti in situazione di apprendimento, in particolare gli
studenti, a sviluppare le competenze per costruire una cittadinanza digitale attiva e responsabile
nella crescente liquidità dell’era contemporanea.
Pensando alle tecnologie come a valide opportunità per mobilitare tutta la gamma delle capacità
umane, «non solo gli individui avrebbero un miglior rapporto con se stessi stimandosi più
competenti; ma probabilmente si sentirebbero anche più impegnati e capaci di unirsi al resto
dell’umanità per lavorare al bene comune» e costruire senso con il proprio “agire pensando” in
interazione sociale.
Le tecnologie, in quest’ottica, possono realmente contribuire ad assolvere a quell’importante
compito di diffusione a livello universale della conoscenza, intesa come bene comune, così come
evidenziato nella parte iniziale di questa argomentazione.
Le tecnologie digitali e telematiche, le tecnologie sociali emergenti, quindi, vanno pensate come
strumenti capaci di abbattere le barriere tecnologiche ed economiche, di abbattere il digital
divide che è la causa del knowledge divide, per l’effettiva globalizzazione del sapere.

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