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Il contesto di riferimento è vasto e, in tal senso, orienteremo il discorso
secondo una prospettiva multidimensionale (in termini di massima flessi
bilità e massima dinamicità) che ci permetta di individuare i possibili mo
delli funzionali di natura didattica e le sue articolazioni interne: le dinamiche
comunicative e relazionali, gli apparati metodologici che possono connotarli,
le conseguenti scelte relative all'organizzazione dell'azione didattica.
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snaregica condivisa dai soggetti interessati e comprende scopi, obiettivi e
w;::;:-_i specifiche.
�d mondo di esperienze interpersonali che tutti noi viviamo quotidia
namente alcune relazioni assumono una specifica connotazione e sono mag
giormente in grado di incidere su ciò che pensiamo; condizionano il nostro
modo di vivere provocando un cambiamento che viene interpretato e valu
ta.i.ll come miglioramento (o peggioramento), sviluppo, maturazione. Esse
hanno per noi una valenza e portata formativa. Diventa necessario, in questo
quadro di riferimento, stimolare il soggetto a integrare le nuove informazioni
con la propria esperienza in modo tale da poterle trasformare in azione con
creta che, a sua volta, stimolerà un apprendimento successivo secondo un'ot
tica di ricorsività. I..:approccio socio-costruttivista, riconoscendo che ogni
attività conoscitiva implica un processo di strutturazione attiva e di nego
ziazione interpersonale, valorizza la dimensione sociale e culturale dell'ap
prendimento ed evidenzia l'azione in situazione enfatizzandone il doppio
ruolo quale agente in grado da un lato di influenzare i processi di apprendi
memo e, dall'altro, di esserne a sua volta influenzato. La natura del processo
di apprendimento, in tale prospettiva, è situata e dipende in maniera signi
ficativa dalla qualità di relazioni intersoggettive che si sviluppano nei contesti
sociali e culturali.
Le esperienze legate alla partecipazione dei soggetti nei contesti di riferi
mento (dal gruppo dei pari ai compagni di classe, dall'ambiente familiare a
quello lavorativo) sono parte integrante dello sviluppo della persona. Una
discussione, una riflessione condivisa con un amico, un litigio: in ogni mo
mento della nostra vita le interazioni comunicative ci permettono di appro
fondire, chiarire, verificare i nostri punti di vista e quelli degli altri, risolvere
problemi, comprendere situazioni critiche e complesse. Accanto al carattere
contestualizzato, occorre allora tener conto di un'altra caratteristica dell'in
telligenza: essa è distribuita (Gardner, 1983) nel nostro ambiente di vita. Il
confronto continuo favorisce l'apprendimento attraverso la negoziazione
delle informazioni e la condivisione dei significati delle stesse conoscenze
che si acquisiscono, quale risultato di un costante rapporto di interscambi
con la conoscenza sociale della comunità di appartenenza.
I..:apprendimento, secondo la prospettiva culturalista, non può essere di
pendente dalla mera ricezione (trasmissione) di contenuti bensì è caratte
rizzato dalla dinamicità e dalla flessibilità dell'elaborazione della conoscenza
che, nel contempo, permette l'interazione comunicativa. Quest'ultima, a
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sua volta, permette ad altri di confrontarsi con il nostro punto di vista e di
costruire, dopo aver negoziato e/o condiviso opinioni e/o oggetti culturali,
la propria conoscenza. Sono questi, in estrema sintesi, i cosiddetti processi
di co-costruzione della conoscenza dove la dimensione collaborativa tra i
soggetti assume un'importanza decisiva e, nel contempo, cruciale ed irri
nunciabile.
I processi di apprendimento e le modalità della conoscenza sono modellati
dai contesti culturali all'interno dei quali si producono. Per Bruner (1992)
qualsiasi atto di conoscenza nasce dalla mente che crea la cultura ma allo
stesso tempo la cultura in cui sono espresse le stesse conoscenze crea, a sua
volta, la mente: da un lato si colloca la cultura come interpretazione condi
visa e collettiva della realtà, dall'altro, invece, la mente come elemento in
tersoggettivo che si sviluppa mediante la relazione con altri individui.
Le persone sperimentano il mondo perché lo comprendono in certi
modi, non viceversa; è il processo che conta, non le conoscenze di per sé
stesse. Lapprendimento va costruito su basi dialogico-riflessive, su processi
di interazione e collaborazione, sulla possibilità dì una comunicazione di
stribuita e sulla opportunità dì far emergere argomentazioni, significati e
definizioni negoziati. I processi di apprendimento, dunque, sono frutto del
l'interazione tra i soggetti che, in un determinato contesto, agiscono, si con
frontano, discutono e chiariscono a sé e agli altri i significati dei diversi
oggetti culturali. Le nuove conoscenze, poi, costituendosi come significativo
e virtuoso valore aggiunto della comunità dì apprendimento, vanno ad ar
ricchire il patrimonio di ciascuno e dell'intero gruppo di riferimento in
un'ottica di co-costruzione e di sviluppo circolare. Lo sviluppo degli appren
dimenti si realizza in contesti che si caratterizzano come comunità di appren
dimento; in esse, per effetto di una continua negoziazione dei significati, si
realizza un processo dove ogni persona partecipa attivamente alla costruzione
collaborativa della conoscenza. La prospettiva socio-costruttivista assegna
grande importanza al contesto, agli atteggiamenti e alla qualità delle relazioni
comunicative che si instaurano tra e fra le persone e tra queste e gli oggetti
di cultura.
La necessità di costruire un rapporto produttivo tra linguaggio, cose e
pensiero richiama alla progettualità formativa intesa come mezzo di aggre
gazione, collegamento e coordinamento tra pensiero, realtà e strumenti ela
borati dall'uomo (Bruner, 1996). Questo vuol dire anche che l'area
dell'educazione "possibile" non può rinunciare ad un senso profondo di "au-
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moomia che, in quanto tale, è potenzialmente in grado di garantire lo svi
""
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alle attitudini, alle motivazioni, ai bisogni di ciascun soggetto in formazione
promuovendo percorsi in grado di favorire l'acquisizione di competenze di
verse e la valorizzazione di ogni risorsa e potenzialità della persona.
In ambito scolastico sono due gli elementi che contraddistinguono
l'azione educativa: l'intenzionalità (l'esistenza di obiettivi da raggiungere in
contesti definiti e istituzionalizzati attraverso un'azione consapevole e, ap
punto, intenzionale) e la sistematicità (l'azione guidata da specifici obiettivi
chiaramente strutturati a livello organizzativo che implicano procedure, re
gole e criteri precisi e ben definiti). In base a questi due elementi possiamo
distinguere gli eventi educativi in diverse categorie ed ambiti. Parliamo, dun
que, di educazione formale (l'ambiente scolastico) quando sono presenti en
trambi gli elementi (intenzionalità e sistematicità), educazione informale (la
famiglia, le organizzazioni/gruppi della società civile quali le associazioni o
le parrocchie) se è presente la sola caratteristica di intenzionalità, educazione
non formale (luoghi non specifici, i mass media, l'ambiente lavorativo) se
ambedue gli elementi sono assenti.
Per quanto detto fino a questo punto, potremmo allora intendere la for
mazione come un'azione intenzionale, sistematica ed organizzata idonea a
trasmettere cognizioni e nel contempo modellare comportamenti attraverso
l'esercizio e l'agire; essa costituisce da un lato un bagaglio di conoscenze teo
riche e pratiche indispensabili per l'esercizio di una professione o di un ruolo,
dall'altro ha il potere di riuscire ad ottenere delle modificazioni strutturali
della dimensione cognitiva ed emotiva del soggetto. La formazione (e con
essa, più in generale, la possibilità di accedere alle informazioni) non può
essere più intesa come fase iniziale ed in ingresso al mondo del lavoro, col
locata solo in un determinato segmento del percorso dell'esistenza del sog
getto e valida per tutta la vita ma, al contrario, ha necessità di plasmarsi
sull'intero percorso di vita dell'individuo per renderlo capace di affrontare,
attraverso una solida, elevata e costante preparazione culturale, i rapidi e
progressivi cambiamenti che l'attuale società tecnologica impone.
Le istituzioni educative hanno il compita di progettare e "mettere in
azione" coerenti, efficaci e pertinenti modelli organizzativi e formativi che
siano in grado di fornire adeguati strumenti di lettura e comprensione della
realtà complessa e in continuo cambiamento. Emerge quindi l'inevitabile
esigenza di elevare la qualità del servizio erogato mediante una progettualità
formativa capace di proporsi come rete di opporrunità diffuse in termini
spazio-temporali. Lobiettivo è quello di garantire un sistema educativo-for-
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alle attitudini, alle motivazioni, ai bisogni di ciascun soggetto in formazione
promuovendo percorsi in grado di favorire l'acquisizione di competenze di
verse e la valorizzazione di ogni risorsa e potenzialità della persona.
In ambito scolastico sono due gli elementi che contraddistinguono
l'azione educativa: l'intenzionalità (l'esistenza di obiettivi da raggiungere in
contesti defìnitì e istituzionalizzati attraverso un'azione consapevole e, ap
punto, intenzionale) e la sistematicità (l'azione guidata da specifici obiettivi
chiaramente strutturati a livello organizzativo che implicano procedure, re
gole e criteri precisi e ben definiti). In base a questi due elementi possiamo
distinguere gli eventi educativi in diverse categorie ed ambiti. Parliamo, dun
que, di educazione formale (l'ambiente scolastico) quando sono presenti en
trambi gli elementi (intenzionalità e sistematicità), educazione informale (la
famiglia, le organizzazioni/gruppi della società civile quali le associazioni o
le parrocchie) se è presente la sola caratteristica di intenzionalità, educazione
non formale (luoghi non specifici, i mass media, l'ambiente lavorativo) se
ambedue gli elementi sono assenti.
Per quanto detto fino a questo punto, potremmo allora intendere la for
mazione come un'azione intenzionale, sistematica ed organizzata idonea a
trasmettere cognizioni e nel contempo modellare comportamenti attraverso
l'esercizio e l'agire; essa costituisce da un lato un bagaglio di conoscenze teo
riche e pratiche indispensabili per l'esercizio di una professione o di un ruolo,
dall'altro ha il potere di riuscire ad ottenere delle modificazioni strutturali
della dimensione cognitiva ed emotiva del soggetto. La formazione (e con
essa, più in generale, la possibilità di accedere alle informazioni) non può
essere più intesa come fase iniziale ed in ingresso al mondo del lavoro, col
locata solo in un determinato segmento del percorso dell'esistenza del sog
getto e valida per tutta la vita ma, al contrario, ha necessità di plasmarsi
sull'intero percorso di vita dell'individuo per renderlo capace di affrontare,
attraverso una solida, elevata e costante preparazione culturale, i rapidi e
progressivi cambiamenti che l'attuale società tecnologica impone.
Le istituzioni educative hanno il compito di progettare e "mettere in
azione" coerenti, efficaci e pertinenti modelli organizzativi e formativi che
siano in grado di fornire adeguati strumenti di lettura e comprensione della
realtà complessa e in continuo cambiamento. Emerge quindi l'inevitabile
esigenza di elevare la qualità del servizio erogato mediante una progettualità
formativa capace di proporsi come rete di opporrunità diffuse in termini
spazio-temporali. obiettivo è quello di garantire un sistema educativo-far-
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mativo-informativo permanente adeguandosi nei fatti al cambiamento del
paradigma educativo che da statico, definito e immutabile si è ormai tra
sformato in dinamico e permanente.
I modelli organizzativi e gli approcci didattici devono rispondere a queste
esigenze di rinnovamento per offrire a ciascuno studente gli strumenti e gli
alfabeti linguistici più idonei per comprendere, interpretare ed intervenire
nella e sulla realtà in maniera coerente ed efficace stimolando la ricerca attiva
di significati e attraverso un atteggiamento propositivo. In questa prospet
tiva, le competenze professionali del formatore, in un contesto sorretto da
chiare direttrici progettuali, rivestono un'importanza centrale. Brighouse e
Unterhalter (2007), secondo un'impostazione di natura sistemica, propon
gono un approccio che tiene conto di indicatori multidimensionali più sen
sibili al contesto, maggiormente flessibili e facilmente operazionalizzabili.
La formazione viene concettualizzata in relazione a tre diversi campi relativi
al valore strumentale, al valore intrinseco e al valore posizionale.
Le condizioni di apprendimento in contesti di educazione formale de
vono essere in grado di supportare lo sviluppo del valore strumentale della
formazione, la sua spendibilità in ambito lavorativo. I benefici che si rice
vono non sono solo questi ma alimentano e stimolano la creatività della per
sona (valore intrinseco) e dipendono dal successo personale rispetto a quello
altrui (valore posizionale). Naturalmente i tre processi si sovrappongono en
fatizzando la centralità del soggetto come agente attivo nelle scelte e prota
gonista della propria vita.
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Il protagonista è il discente per il quale bisognerà progettare e prevedere
ambienti di apprendimento che permettano di attivare un'esplorazione attiva,
coerente con i suoi interessi e/o le sue motivazioni. In questa prospettiva, il
compito dell'insegnante è di favorire questo processo predisponendo un set
ting formativo in grado di offrire varietà di stimoli e di percorsi di accesso ai
contenuti proponendo ali'alunno occasioni per rielaborare le conoscenze in
un processo attivo e costruttivo e progettando contesti di apprendimento nei
quali sviluppare l'interazione nel gruppo, sollecitando ognuno a porre in re
lazione i nuovi saperi con quelli che già possiede e rendendo più chiari e com
prensibili i primi alla luce dei secondi.
Le teorie dell'apprendimento hanno lo scopo di far risaltare le compo
nenti di pensiero, di ragionamento e di sviluppo della conoscenza nell'al
lievo; costituiscono la base di riferimento per una corretta attività di
progettazione didattica. Nel cercare di descrivere e spiegare quali sono i
processi logici e cognitivi attraverso i quali i soggetti coinvolti imparano,
esse influenzano in modo determinante i criteri generali e le strategie di
dattiche di qualunque azione didattica. Le teorie dell'insegnamento, sulla
scorta delle progressive conoscenze relative al "funzionamento" della mente,
puntano all'individuazione di efficaci metodologie, strategie didattiche e
strumenti in un quadro organizzato di azioni ed interventi agiti in specifici
contesti.
Le principali concezioni teoriche che nel corso del ventesimo secolo si
sono avvicendate nell'indagare i processi di apprendimento (teorie dell'ap
prendimento) e i processi di insegnamento (teorie dell'insegnamento) hanno
avuto un ruolo determinante sia nella scelta delle metodologie, delle tecniche
e degli strumenti che nella strutturazione dei contenuti di apprendimento;
abbiamo assistito ad un profondo cambiamento dei paradigmi della cono
scenza e a modificazioni che hanno conseguentemente modificato anche
l'impostazione delle pratiche didattiche. Il momento che ha principalmente
segnato questo cambiamento è costituito dal passaggio da una concezione
della conoscenza oggettivista (teorie comportamentiste e cognitiviste) ad
una costruttivista (cognirivismo di seconda generazione o costruttivismo e
socio-costruttivismo).
La concezione oggettivista considera l'insegnamento come una mera tra
smissione di conoscenze da ""rrasferire" agli studenti. Questo orientamento
fa riferimento a tre principali reorie dell'apprendimento che sono il com
portamentismo, il neocompon:amenrismo e il cognitivismo. Con il compor-
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�tismo1 l'apprendimento è considerato come una modifica del compor
amento che deriva dall'esperienza. Esiste un apprendimento nel momento
in cui l'individuo fornisce una risposta corretta (la manifestazione di un
comportamento previsto) ad uno stimolo. Per far sì che l'apprendimento
abbia luogo, però, è necessario che il comportamento provocato venga rin
furzato tramite contingenze rafforzative. Tutte le teorie comportamentiste,
por nella diversità delle singole posizioni, si concentrano sul binomio sti
molo-risposta senza considerare la variabile organismo e quindi i processi
mentali che sottendono il comportamento e che variano da individuo a in
dividuo. I comportamentisti, infatti, ritenevano che la mente umana fosse
una scatola nera (black box), ovvero qualcosa che non si può esplorare se
non attraverso il comportamento.
Watson è riconosciuto come il fondatore della scuola. Nel 1913 pubblicò
ranicolo La psicologia esaminata da un behaviorista che segnò la nascita del
romportamentismo e che, in combinazione con il lavoro di Pavlov sul con
dizionamento classico2, si impose come nuovo paradigma. Skinner, in
campo didattico, ha esplicitato la sua teoria del condizionamento operanteJ.
nell'elaborazione della cosiddetta teoria dell'istruzione programmata, ovvero
una tecnologia dell'insegnamento che, utilizzando macchine per insegnare
(wuhing machines), si poneva l'obiettivo di far apprendere in modo graduale,
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lineare e sequenziale, proponendo agli studenti una serie di concetti sempre
più complessi e rinforzando sempre i risultati positivi ottenuti con ricom
pense e/o con la comparsa di una nuova situazione problematica. In questo
caso giocano un ruolo primario più che gli stimoli i programmi di rinforzo
e la rapidità con cui questi vengono impartiti da una macchina. Le disci
pline, inoltre, devono essere suddivise in brevi unità didattiche e il rafforza
mento deve intervenire solo nella realizzazione di ognuna di queste fasi: in
altri termini, se la risposta risulta errata non viene dato alcun tipo di rinforzo
e si ritorna alla fruizione della stessa sequenza didattica o viene dato un fe
edback correttivo (entrambi svolgono la funzione di rinforzo); in caso di ri
sposta esatta il rinforzo si concretizza nel passaggio alla sequenza didattica
successiva, seguendo esattamente quelli che sono i principi del condiziona
mento operante. In tal senso, il programma skinneriano prevede la defini
zione della conoscenza da trasferire, la sua parcellizzazione in singoli moduli,
la precisa predisposizione di una gerarchia e di una concatenazione tra le
tappe del processo. Per quanto concerne, poi, le teorie o i modelli di istru
zione connessi alle teorie comportamentiste, si può affermare che tali modelli
di apprendimento portano ovviamente all'applicazione di modelli di istru
zione e di insegnamento concentrati prevalentemente sul condizionamento
del comportamento degli studenti.
Verso la fine degli anni '50 del secolo scorso, cominciarono a svilupparsi
nuove tendenze che iniziarono ad occuparsi della mente e dei processi che
ne determinano l'attività. Si assiste, dunque, al graduale passaggio dalle teo
rie comportamentiste al cosiddetto cognitivismo di prima generazione che si
caratterizza per un rinnovato interesse verso lo studio dei processi mentali e
per la tendenza ad associare i meccanismi di funzionamento della mente al
calcolatore. Tale modello, assumendo il computer come riferimento4, ana
lizza il modo di funzionare della mente umana facendo riferimento ai pro
cessi di elaborazione dell'informazione che regolano i meccanismi di
funzionamento delle macchine.
Il passaggio dalla concezione comportamentista alle idee cognitiviste è
fortemente favorito dagli studi di Tolman (1948) che introdusse i concerti
di scopi e a spettative e sviluppò l'idea di mappa cognitiva come rappresenta
zione mentale che l'uomo costruisce dell'ambiente che lo circonda. Con il
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cognirivismo l'attenzione si sposta sul soggetto quale elaboratore della realtà
cin:ostame; assumono maggior rilievo i processi interni di elaborazione e
appresenrazione e l'apprendimento viene ridefinito in relazione alle diverse
componenti cognitive coinvolte. Per i cognitivisti l'apprendimento avviene
grazie a processi cerebrali centrali, come la memoria e le aspettative, che agi
scono da integratori di un comportamento diretto ad una meta, ad una ri
srrutturazione percettiva del problema che viene risolto per intuizione: un
apprendimento visto come processo elaborativo, basato su meccanismi e
snaregie di organizzazione e di comprensione (Calvani, Varisco, 1995). La
psicologia cognitivista, va sottolineato, tende a privilegiare lo studio delle
sa:urrure che regolano l'elaborazione dell'informazione, come la memoria a
breve e a lungo termine, e non lo studio dell'apprendimento, inteso come
una modifica del comportamento. Questa tipologia di ricerca, infatti, è più
ricina agli studi sull'intelligenza artificiale e ai programmi pensati per simu
lare con il calcolatore i processi cognitivi che caratterizzano la complessità
del pensiero umano.
Il primo a formulare esplicitamente i principi del cognitivismo fu Neisser
(1967) il quale, attraverso una ridefinizione dei processi di memoria, dimostrò
che gli individui non si limitano ad associare dati ma, al contrario, li inseri
scono in schemi o strutture cognitive che consentono di costruire un sistema
organizzato di conoscenze. Allontanandosi da una visione associazionistica,
�eisser evidenzia la centralità dei processi di costruzione e di elaborazione
mentale, sostenendo che i soggetti inseriscono le informazioni in strutture
cognitive con cui creano sistemi organizzati di significati. Questi processi si
fondano sulla concezione di modello, ovvero una rappresentazione sempli
ficata della realtà, analoga alla mappa cognitiva, anch'essa intesa come una
rappresentazione mentale che l'individuo costruisce del mondo circostante
e su una concezione di uomo come soggetto che attivamente elabora infor
mazioni provenienti dal mondo circostante (Norman, 1975). Per poter im
parare, è innanzitutto necessario saper codificare, immagazzinare, integrare
e ricordare un set d'informazioni: si verifica apprendimento allorquando si
elabora l'informazione. Se l'apprendimento dipende dalle informazioni che
vengono elaborate, la progettazione dei contenuti formativi dovrà tener
conto della necessità di assicurare tale trasferimento nel modo piì.1 efficace
possibile. I sistemi di istru�ione che si fondano su questo approccio, quindi,
si focalizzano sulla trasmissione di modelli mentali da seguire e assume ri
lievo il percorso individuale di apprendimento.
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�ella suutturazione del pensiero assume grande importanza il linguaggio
auaTI:rso il quale si attiva il processo di collaborazione e si realizza la co
municazione e lo scambio dei punti di vista. Il contributo più significativo
� concezione del ruolo primario del linguaggio nello sviluppo mentale,
d'organizzazione delle attività e nelle funzioni comunicative è stato senza
dubbio quello di Vygotskij (1934). Il linguaggio rappresenta il passaggio da
furme di attività sociale a forme di attività interamente individuale; ha im
mediatamente una funzione sociale e solo in seguito diviene strumento di
pensiero. Il linguaggio è strumento di comunicazione funzionale alla manife
SGl'.Zione del proprio pensiero agli altri individui ed è anche strumento di re
tolazione del proprio comportamento a seguito di strategie e regole. Per lo
sriluppo e l'interiorizzazione di tali funzioni cognitive e psichiche è fonda
mentale l'interazione con il contesto sociale, con l'ambiente esterno.
La dimensione socio-culturale e lo sviluppo cognitivo sono strettamente
correlaci e le stimolazioni esterne giocano un grandissimo ruolo nella pro
mozione e quindi nella possibilità dello sviluppo dell'intelligenza. Per Vy
gorskij sono presenti nel bambino due fasi di sviluppo, uno effettivo, l'altro
potenziale: quello effettivo è un livello di sviluppo delle funzioni psico-in
relleuive che è raggiunto come risultato di uno specifico processo di sviluppo
già compiuto; quello potenziale è connesso al rapporto tra pensiero e lin
guaggio e, quindi, alla possibilità di interagire con l'esterno. Tutte queste ri
flessioni hanno portato alla definizione della zona di sviluppo prossimale
descritta da Vygotskij (1978) come "la distanza tra il livello reale di sviluppo
determinato da un problem solving individuale e il livello di sviluppo poten
ziale determinato dal problem solving sotto la guida di un adulto o in colla
borazione con più pari capaci". La zona di sviluppo prossimale, in altri
termini, è quell'area cognitiva di supporto esperto fornita dall'adulto nella
quale il bambino può spingersi oltre il suo livello di conoscenza attuale. Il
cosuuttivismo sociale di Vygotskij pone le basi teoriche per passare da una
scuola in cui le attività sono centrate sulla trasmissione delle conoscenze ad
una in cui l'allievo diventa attivo protagonista, colui che ricercando scopre,
riscopre, negozia, discute, costruisce con gli altri.
Partendo dalle teorie sviluppate da Vygotskij, Bruner sviluppa una visione
in cui la cultura gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'individuo:
i processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza sono modellati
dai contesti culturali all'interno dei quali si producono. Per Bruner, dunque,
qualsiasi atto di conoscenza nasce dalla mente che crea la cultura ma, allo
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stesso tempo, la cultura in cui sono espresse le conoscenze stesse crea a sua
volta la mente. Nell'elaborazione delle informazioni risulta determinante
l'interazione sociale. Lo psicologo americano sostiene, infatti, che l'appren
dimento è essenzialmente un'attività che si svolge in una comunità e nasce
attraverso conversazioni, confronti, discussioni. Con la svolta contestualistica
(Bruner, 1990) l'ambiente non rappresenta una variabile indipendente della
mente e dei suoi processi ma ne costituisce parte integrante. Lo sviluppo dei
processi cognitivi è mediato, dipendente dall'interazione sociale del soggetto
con gli agenti della cultura di riferimento. [apprendimento è considerato
come fenomeno situato, attivo, interattivo e intersoggettivo (Brown, Collins,
Duguid, 1989; Lave, Wenger, 1991; Bruner, 1996).
Il contesto ambientale può determinare rallentamenti o accelerazioni
dello sviluppo cognitivo che si esplica, comunque, mediante tre diversi mo
delli di rappresentazione della realtà (Bruner, 1968) interdipendenti e com
presenti nei diversi momenti della vita dell'individuo: nel primo, quello
esecutivo, prevale il pensiero centrato sull'azione (si impara a fare una cosa
attraverso la pratica e la sperimentazione) e il bambino acquisisce il controllo
degli eventi attraverso l'azione e lo sviluppo delle capacità motorie; il se
condo (iconico) è all'origine dell'apprendimento per osservazione (si impara
guardando fare qualcosa e imitando l'azione); il terzo (simbolico) permette
la condivisione dei significati attraverso l'uso di simboli condivisi e lo svi
luppo del linguaggio.
[approccio bruneriano attribuisce al contesto culturale di appartenenza
il compito di favorire lo sviluppo degli schemi cognitivi che stanno alla base
del conoscere e della stessa esperienza. Il patrimonio culturale (credenze, re
gole, valori e visioni del mondo) deve essere valorizzato attraverso l'organiz
zazione dei processi formativi. Alla scuola, dunque, Bruner affida un ruolo
essenziale perché essa, quale luogo deputato all'educazione-formazione-istru
zione, deve essere in grado di favorire in ciascuno l'originale e personale pro
duzione culturale. Nella tabella che segue (Tab. 1. 1) viene proposto un
quadro di sintesi relativo alle relazioni tra gli approcci alla conoscenza e le
relative concezioni dell'insegnamento.
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Conoscenza come ... Insegnamento come ... Approccio
25
processi di apprendimento, attraverso una mediazione dì natura formativa
che permette al docente dì individuare le strategie più idonee per regolare
la distanza analogica tra il contenuto culturale e il soggetto che apprende
{Damiano, 1993), tra la struttura logica e sintattica delle discipline e la
mente degli allievi. Legittima e giustifica la mediazione didattica l'intera
zione comunicativo-relazionale insegnante-allievo-contenuti che, in ambito
educativo, si traduce in un processo continuo ed intenzionale atto ad indi
viduare, organizzare, realìzzare situazioni di apprendimento motivanti e
coinvolgenti in un clima di stima reciproca, di accettazione, di rispetto della
soggettività, di superamento di atteggiamenti egocentrici.
I.:apprendimento è un processo attivo in cui il significato si sviluppa sulla
base dell'esperienza (Bednar, Cunningham, Duffy, Perry, 1991). In ambito
formativo, lo scopo è di favorire nell'allievo la capacità di comprendere, cioè
di raggiungere quella padronanza di concetti, principi e abilità e quella di
sponibilità emotiva che gli consentano di affrontare problemi e situazioni
nuove (Gardner, 1993). Ogni intervento didattico assume peculiari modalità
metodologiche, richiede scelte idonee per adeguare i contenuti culturali ai
soggetti in apprendimento. Regolare la distanza tra il contenuto culturale e
il soggetto che apprende comporta sempre una forma di rappresentazione
del reale strutturato, un processo di metaforizzazione attraverso il quale è
possibile "proteggere il soggetto in apprendimento dai rischi dell'esperienza
diretta, sostituendo l'Oggetto Culturale con segni appropriati e corrispon
denti. In questa chiave, l'insegnamento viene definito come mediazione,
anzi, più precisamente come azione che produce mediatori: azione poietica,
quindi, in termini aristotelici, i cui prodotti sono appunto i mediatori, non
rapprendimento, direttamente, perché questo discende dall'azione esercitata
su se stesso da parte di un altro soggetto, quello in formazione" (Damiano,
1993, p. 214). Possiamo parlare di apprendimento quando una nuova co
noscenza riesce a modificare un comportamento (cognitivo e culturale) ed
aiuta, se utilizzata per pensare e fare, ad ordinare l'esperienza e ad orientare
razione. In questo risiede il ruolo centrale dell'azione didattica: mediare tra
il sapere esperto (disciplinare) ed il sapere empirico (esperienziale) dello stu
dente attraverso attività a tal fine progettate, organizzate e realizzate.
Cazione di insegnamento, in quanto azione poietica, chiama in causa le
qualità professionali dell'insegnante che deve favorire il dialogo e la parteci
pazione utilizzando modalità e codici comunicativi diversi, segni e strumenti
con la funzione di agire da tramite per agevolare la ricostruzione individuale
27
sperimentata [ ...]. Questa prospettiva assegna all'insegnante il compito di
allesrire [ ... ] situazioni di apprendimento preparando compiti sfidanti,
.adatti a stimolare gli studenti, assicurando la disponibilità delle risorse ap
prendirive ed oggettive necessarie ad affrontarli" (Maccario, 2012, p. 110).
Ogni metodologia utilizzata deve in ogni caso compenetrarsi con quella che
è la dimensione operativa dell'apprendimento (il fare e il saper agire), deve
incentrarsi sul metodo della ricerca, della scoperta, sempre privilegiando la
furma esperienziale e concreta. Allestire e gestire ambienti e situazioni di ap
prendimento efficaci significa allora progettare esperienze nelle quali gli al
lievi, da soli o in gruppo, costruiscono la loro personale ma significativa
esperienza. Bisognerà, in ogni caso, avere ben chiara la mappa concettuali'
dell'oggetto culturale che ci si avvia a presentare, discutere ed approfondire.
La rappresentazione grafica dei concetti "è un modo per far emergere i
significati insiti nei materiali da apprendere" (Novak, Gowin, 1989) che sti
mola gli allievi a riflettere sulla natura delle conoscenze e sulle relazioni esi
stenti tra di esse. Un concetto non è semplicemente la somma delle
informazioni che lo definiscono bensì lo schema delle reciproche relazioni
semantico-organizzative che lo costituiscono. La conoscenza è organizzata
in schemi, strutture di dati che rappresentano concetti generici immagazzi
nati nella memoria (Ausubel, 1968). Essi sono gli elementi essenziali su cui
si basa l'elaborazione delle informazioni (teoria degli schemi anticipatori). Per
decodificare ed interpretare un'esperienza/ situazione gli elementi dello
schema aiutano a fare inferenze e attivano i sub-schemi ai quali sono con
nessi. Questi schemi sono tanto più articolati quanto maggiore è la cono
scenza di cui un individuo dispone; quanto più elaborata è la nostra
conoscenza tanti più schemi vengono attivati nella interpretazione della si
tuazione.
I nuovi oggetti di cultura devono essere presentati facendo riferimento
al bagaglio di conoscenze già possedute dal discente (la matrice cognitiva?);
solo in questo modo è possibile favorire un processo di elaborazione cogni
tiva efficace, un apprendimento che Ausubel definisce significativo e che, in
prospettiva circolare, permette di arricchire la struttura degli schemi pree-
6 Per una trattazione esaustiva, cfr. il terzo paragrafo del secondo capitolo.
7 Con il termine "matrice cognitiva'' ci si riferisce agli schemi di assimilazione preesistenti
nell'alunno e a partire dai quali potrà essere organizzata la nuova conoscenza stabilendo
i collegamenti appropriati: le conoscenze valide e durature sono quelle che si integrano
in un quadro concettuale. Ne riparleremo nel prossimo capitolo.
29
Apprendimento
per riproduzione
Relazione con la
matrice cognitiva
�-\pprendimento Apprendimento
meccan.ICO significativo
Modalità
di approccio
Apprendimento
per scoperta
31
A ral riguardo Damiano (1993) richiama la necessità di introdurre "correttivi
- come la discussione collettiva finalizzata a negoziare parole, esperienze e
significati -, integrazioni - come il ricorso regolare ad altri mediatori didat
òci più vicini all'esperienza, da quelli attivi a quelli iconici ed analogici e
disposizioni organizzative tali da collocare la lezione nei momenti più con
geniali dell'azione d'insegnare, segnatamente al termine dell'itinerario,
quando si tratta di concludere e ordinare sistem�ticamente il materiale in
furmativo raccolto" (p. 228).
La spiegazione costituisce la modalità più diffusa e tradizionale della di
dattica. Si basa sull'asimmetria della relazione da chi conosce di più e tra
smette (docente) a chi sa di meno e apprende (discente). Per poter realizzare
una lezione è necessario avere conoscenza e padronanza dei contenuti non
ché abilità didattica sulla base di una buona competenza professionale. Que
sra strategia risuona efficace ed adeguata a qualsiasi età scolastica. La lezione
consente di presentare in maniera sistematica, efficiente (in rapporto alla
'\"'3.Ilabile tempo impiegato) e ad un ampio numero di studenti, un numero
consistente di dati ed informazioni; si fonda sull'ascolto attivo da parte degli
allievi e risponde ad una visione trasmissiva della conoscenza in linea con i
principi del comportamentismo, per cui a fronte di uno stimolo (la lezione)
il docente attende una reazione (la risposta dello studente) che può essere o
meno rinforzata (la lode o un buon voto). La lezione, dunque, si caratterizza
per una situazione in cui un esperto che possiede informazioni sui concetti
e sulla struttura della conoscenza comunica in maniera unidirezionale con
un novizio che è sprovvisto di tali informazioni. Tale metodo risulta centrato
sul docente, in quanto parte attiva sia in fase di preparazione che di eroga
zione e valutazione, rispetto ad una relativa passività degli studenti (Ligorio,
Cacciamani, 2013). Anche se il proposito è di socializzare e trasmettere a
rurri gli stessi contenuti, non sussiste alcuna garanzia che ciò si verifichi per
ché non tutti gli studenti ascoltano e comprendono le stesse informazioni
(Brandsford, 1979). In effetti, una delle principali critiche sollevate nei con
fronti di questo tipo di strategia è quella di creare una situazione di parteci
pazione passiva da parte degli studenti e, soprattutto, di partire dall'idea che
gli alunni recepiscano allo stesso modo i contenuti presentati dal docente. In
questo senso un importante contributo proviene da Ausubel (1968) il quale
sosreneva come la spiegazione dovesse essere strutturata considerando le co
noscenze pregresse e la capacità di ascolto attivo degli studenti, nonché la
loro capacità di riorganizzare le informazioni e rielaborare personalmente i
33
processi di interazione nel gruppo, risulta motivante anche se non sempre
ii_ cie:sce a stimolare l'interesse di tutti gli allievi.
L;rgomentazione e discussione per certi aspetti si contrappone alla spie
g;zzione perché non segue la direttrice lineare ma stimola la produzione di
amcerri e significati attraverso appunto la discussione e il confronto tra gli
allievi chiedendo ad ognuno di esprimere il proprio parere e giustificare il
proprio punto di vista (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1991). Ora il
punto di riferimento non è più solo il docente, anzi sono i pari a generare
ìa scimolazione di opinioni (assenza di centralismo del docente).
Con il brainstorming (espressione libera) la sollecitazione a fornire con
r:riburi significativi aumenta. In questo caso l'insegnante assume una posi
zione defilata nel gruppo; pur avviando e stimolando il confronto, la
discussione avviene più autonomamente tra gli studenti che partecipano at
tivamente nella discussione/comprensione del problema. È particolarmente
adarro a stimolare il processo di attivazione delle idee attraverso associazione
analogica e/o per contrasto. In ambedue i casi, un limite è rappresentato dal
ischio di andare fuori tema, di allontanarsi dal focus del confronto.
La scoperta guidata si basa sul concetto di apprendimento espresso da
Dewey (1902) ma rielaborato. Callievo viene posto in primo piano e lo si
lascia scoprire da solo. Seppure il docente rimane sullo sfondo, egli è tenuto
a non far giungere lo studente a conclusioni sbagliate attraverso una guida
sr:rategica. Egli non deve risultare né troppo intrusivo, né troppo assente, né
r::oppo facilitatore. Le informazioni non devono essere date ma scoperte.
L insegnamento reciproco si basa sull'attività di gioco che gli studenti atti
�"'allo per emulare il docente (Brown, Palincsar, 1987). Con questa strategia
si invitano gli studenti a turno a recitare la parte dell'insegnante in modo
tale da mettere a confronto diversi punti di vista, e nell'organizzare le cono
scenze queste assumono un aspetto più chiaro. Un modo per poter mettere
in campo e realizzare questa strategia consiste nel comporre gruppi di alunni
con conoscenze, abilità e competenze diverse in modo che i soggetti siano
interdipendenti. Si ispira al role playinge pertanto sarà l'insegnante a orien
tare l'azione sulla base delle potenzialità di ognuno.
Nella correzione reciproca (svolta in coppia dagli alunni) l'allievo esperto
in un certo campo assume il ruolo di tutor rispetto al compagno. In questo
caso il ruolo costruttivo del soggetto si costituisce all'interno di una relazione
dinamica di natura simmetrica.
Nel problem solving il percorso formativo non si concentra e non si esau-
35
risce nella lezione ma si sviluppa in successive fasi di indagine e di elabora
zione di gruppo e/o individuale, di informazioni da parte dell'insegnante,
di discussioni tese a sollecitare specifici processi di riflessione e approfondi
mento centrati sulla risoluzione del compito di apprendimento. La risolu
zione di problemi è una strategia che coinvolge i modi di pensare e
apprendere. "Saper risolvere problemi [ ... ] induce forti cambiamenti e svi
luppa processi di ragionamento e metacognitivi più sofisticati sia per l'esplo
razione dei dati disponibili sia per la valutazione delle ipotesi prodotte"
(Baldassare, Ligorio, Zaccaro, 2001, p. 139). LÌnsegnante funge da cataliz
zatore, interviene in maniera opportuna durante lo svolgimento del compito
per favorire la velocità e la potenza delle soluzioni individuate suggerendo
proposte, piste di indagine. Le attività ed i materiali vanno organizzati pre
ventivamente in maniera pertinente, prevedendo possibili ampliamenti legati
alle richieste/interrogativi dei discenti in grado di supportare le diversificate
ipotesi operative secondo le necessità. Si possono distinguere le seguenti fasi
nella sua realizzazione: analisi del problema; suddivisione razionale del lavoro
di raccolta delle informazioni tra i membri del gruppo di lavoro; condivi
sione delle informazioni; formulazione delle ipotesi; verifica delle ipotesi;
formulazione di un nuovo problema. I punti di forza sono costituiti dalle
interazioni sociali, dalla qualità delle attività di analisi, dall'approccio euri
stico e dal confronto delle ipotesi che si individuano/costruiscono in un pro
cesso continuo di interscambio tra i soggetti coinvolti. Tale metodologia, va
comunque detto, abbisogna di tempi lunghi e distesi.
Nello studio di caso l'insegnante descrive, nella fase iniziale, una situazione
problematica che presenta dettagli sufficienti perché gli allievi, secondo un
approccio euristico, possano determinare un'azione appropriata da intra
prendere per la sua risoluzione. Lo scopo è quello di stimolare, attraverso la
formulazione di problemi e la messa in discussione di dati e proprietà di un
oggetto, ipotesi alternative (problem posing, problem solving) per l'individua
zione di una soluzione coerente con le caratteristiche/proprietà dell'evento
analizzato (il caso). Questo approccio, riallacciandosi alle esperienze e alle
conoscenze dei discenti, simula la realtà e, proprio per questo, riesce a coin
volgere in maniera attiva quanti partecipano all'attività spingendoli ad ap
plicare la teoria nella pratica. Linsegnante, dopo la presentazione del caso,
formula domande-stimolo e cerca di catalizzare i contributi degli studenti
adattandoli flessibilmente alla situazione. I punti di forza, come per il pro
blem solving, risiedono nella forte caratterizzazione interattiva dell'approccio,
36
nella capacità di attivare processi di rilevazione e selezione dei dati più
impananti tra quelli proposti, di identificazione delle relazioni tra essi, di
analis:i ed interpretazione complessive, di discussione e di confronto fra le
diverse ipotesi e le possibili opzioni di soluzione. Linsegnante, per poter
narrare i asi, deve essere in grado di attivare e mantenere alta l'attenzione
delr ascolarore. Per Schank (1995) un buon insegnante è anche un buon
narratore. _\!:che in questo caso, la metodologia abbisogna di tempi lunghi
e distesi.
Nell'apprendimento cooperativo gli alunni "apprendono cooperando in
gruppo" per il conseguimento di un obiettivo comune (Slavin, 1983; Kagan,
2000). Con questa metodologia si tende a creare un contesto educativo non
competitivo centrato su gruppi di lavoro eterogenei, con responsabilità dif
fusa tra i membri ed interdipendenza positiva dei ruoli. 'Tinterdipendenza
positiva consiste nello stabilire tra gli studenti dei rapporti tali per cui
nessuno possa riuscire individualmente se non con il successo
dell'intero gruppo" Qohnson & Johnson, Holubec, 1996, p. 25) e
promuove situazioni in cui gli allievi lavorano insieme condividendo le
risorse e fornendosi un reciproco supporto (scajfoldint'). Nel gruppo ogni
allievo, godendo della possibilità di confronto con gli altri componenti,
discute, si misura con i compagni, sviluppa la propria capacità di
analizzare situazioni complesse, di scegliere le linee di azione più adeguate,
di individuare soluzioni. Lapprendimento cooperativo induce
atteggiamenti attivi e sollecita l'interazione sociale come modalità per una
rielaborazione del sapere a livello interpersonale che sostiene e facilita la
rielaborazione personale. All'insegnante è affidato il ruolo di organizzare i
materiali e definire le regole, i tempi e i ruoli degli studenti; durante la fase
esecutiva, può osservare i comportamenti ed analizzare, attraverso la lettura
delle ipotesi, delle spiegazioni e delle proposte che gli alunni portano ai loro
argomenti, le capacità di operare feedback, i processi sottostanti e i modi
personali di concretizzarli. Alcune criticità risiedono nei rischi connessi
all'autonomia affidata ai gruppi e alla difficoltà, spesse volte, di rimanere
centrati sul compito.
Linsegnante, dunque, ha a disposizione una pluralità di metodi che,
coerentemente con le scelte progettuali e tenendo conto della situazione di
partenza degli alunni (la matrice cognitiva), può di volta in volta
scegliere di
terazione con il bambino con effetto strutturante l'acquisizione di competenze e abilità
da parte di questi.
39
La competenza, in prima iscanza, può essere definita come la capacità di
svolgere un compito in maniera soddisfacente, di applicare le conoscenze
acquisite in situazioni pratiche, di risolvere situazioni problematiche e/o pro
durre soluzioni od oggetti nuovi (Notti, 2002). È il momento della decisione
ad assumere significato, spostando la discussione dal problema riscontrato
alla soluzione adottata per risolverlo. La competenza è una caratteristica con
naturata alla natura dell'individuo, costituita dall'insieme di conoscenze,
esperienze finalizzate e capacità. Si esprime attraverso comportamenti e ne
cessita per esprimersi di una motivazione e di un contesto. La caratteristica
del contesto è la cultura organizzativa. Lazione combinata di motivazione e
contesto fa assumere alla competenza il suo carattere soggettivo di consape
volezza di possibilità di controllo sull'ambiente esterno (Levati, Sarao, 1998).
Numerose, in ambito professionale, sono le definizioni del concetto. Per
Quaglino (I 990) va intesa come la qualità professionale di un individuo in
termini di conoscenze, capacità e abilità, doti professionali e personali. Per
Meghnagi (1992) essa è l'elemento portante di un'azione che si qualifica per
la sua pertinenza rispetto alle situazioni e per la sua efficacia rispetto alle
questioni da affrontare. Secondo Le Boterf (I 992) essa è costituita dalla
combinazione di conoscenze, capacità e comportamenti messi in atto in un
contesto professionale.
È possibile, in ambito educativo, far risalire il concetto di competenza al
modello educativo delle scuole attive che, ponendo al centro di ogni attività il
fare in situazione, sostenevano la centralità dell'allievo quale attivo protago
nista in grado di sviluppare strategie di pensiero e mobilitare le proprie cono
scenze in situazioni concrete. Successivamente il termine è stato utilizzato, in
prospettiva cognitivista prima e socio-costruttivista poi, per indicare i processi
mentali interni ad un soggetto considerato capace di analizzare una situazione
problematica ed individuare successivamente gli elementi utili per determinare
in maniera autonoma ed originale un percorso risolutivo efficace.
In ambito internazionale gli studi sulla competenza si sono sviluppati so
prattutto dagli anni '70 del secolo scorso. In questa sede, e senza alcuna pre
tesa di esaustività, ci soffermeremo ad esaminare alcuni contributi che
possono aiutare a focalizzare il concetto e, di conseguenza, a suggerire le po
tenziali ricadute in ambito didattico. Per provare a descrivere il concetto di
competenza, tenendo conto dei vari filoni di ricerca, bisogna utilizzare un
approccio multidimensionale e considerare in un sistema integrato i processi
cognitivi coinvolti. Innanzitutto la competenza suppone una rete di cono
scenze in relazione ed interazione reciproca che sono di natura: dichiarativa:
40
�cuardano eventi, nomi, significati (know-what); procedurale: si riferiscono
il comefare cioè alle azioni algoritmiche da seguire per svolgere un compito
lmow-how); condizionale o contestuale: designano le condizioni di utilizzo
delle conoscenze dichiarative e procedurali.
Queste conoscenze presuppongono, poi, processi metacognitivi e di re
golazione metacognitiva 10• Conoscenze e processi costituiscono un sistema
funzionale ed integrato finalizzato alla identificazione, all'analisi e alla solu
zione di specifici problemi attraverso un'azione consapevole, coerente ed ef
ficace. I problemi che, di volta in volta, vengono affrontati e risolti, hanno
caratteristiche specifiche e comuni ad altri; in tal senso possiamo anche par
lare di famiglia di problemi e di situazioni problematiche. Tenendo conto di
quanto fin qui descritto, si propone una prima definizione analitica. Per Gil
ler (1998) la competenza è un sistema di conoscenze concettuali, procedurali
e contestuali organizzato, anche attraverso la metacognizione, in schemi ope
rativi di risposta 11 costruiti in base all'esperienza e con l'esercizio (script,
piani di azione) finalizzati ad identificare e risolvere una famiglia di problemi
con un'azione efficace. Accanto agli aspetti cognitivi vanno considerati, poi,
anche quelli affettivi, sociali e sensomotori.
David McClelland (1973) ha formulato una delle prime definizioni di
competenza. Secondo lo psicologo statunitense, l'elemento alla base della
competenza è la motivazione che orienta e catalizza le reazioni di una per
sona ed è causalmente legata ad una performance efficace in una specifica
situazione12• Il modello proposto da Mc Clelland ha dato luogo a numerose
41
petenze trasversali" indica un insieme di schemi d'azione della persona ap
plicabili a compiti e contesti differenti 13. "La nozione di competenza implica
per sua natura un adattamento alla situazione contingente e quindi una tra
srersalità intrinseca. Sarebbe quindi opportuno opporre al concetto di tra
$'iCISalità quello di trasferibilità" (Trinchero, 2006, p. 6). Il concetto di
nasferibilità sottolinea l'importanza del saper mobilitare le proprie cono
scenze, del sapere agi.re del soggetto in funzione di uno scopo e in maniera
flessibile. Llstituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale (ISFOL)
definisce le competenze traversali come il patrimonio complessivo di risorse
di una persona nel momento in cui affronta una prestazione personale e/ o
professionale. È possibile individuare, in un'azione svolta in ambito lavora
rNO, una serie di elementi che possono riguardare sia le attività e i compiti
eseguiti sia le caratteristiche proprie del soggetto che entrano in gioco in si
ruazione. Il modello messo a punto dall'ISFOL (1994; 1997) suddivide le
competenze in tre diverse macro-aree: "competenze dì base che costituiscono
il --'sapere minimo", sostanzialmente indipendente dai processi operativi con
creti nei quali il soggetto è impegnato nell'esercizio del suo lavoro[ ... ]; com
petenze trasversali, quelle che non sono connesse specificamente ad una
determinata attività o posizione lavorativa, ma che entrano in gioco nelle
diverse situazioni e dalla quali dipende largamente la stessa possibilità degli
individui di esprimere comportamenti professionali abili o esperti; compe
renze tecnico-professionali, l'insieme delle conoscenze e delle capacità con
nesse all'esercizio efficace di determinate attività professionali nei diversi
comparti/settori" (1997, pp. 49-50). Questo modello richiama l'attenzione
sulle due dimensioni fondamentali della competenza, quella cognitiva e
quella esperienziale. Ma il soggetto opera in uno specifico contesto culturale
e formativo fatto dì molteplici relazioni, regole e procedure, valori e con
suetudini. Per tali ragioni le competenze dell'individuo vanno riferite al con
testo in cui vengono espresse costituendo il risultato di un continuo processo
di costruzione operato dall'individuo in relazione all'ambiente in cui agisce.
Il possesso delle competenze trasversali, in particolare, sembra essere ne
cessario al giorno d'oggi se consideriamo i cambiamenti repentini e le ri-
43
dn-enra patrimonio esperienziale della persona. razione competente, se ef
ncacemente risolutiva, è destinata, per sua stessa natura, ad evolvere in
schemi di comportamento, in patrimonio, cioè, in possesso dell'individuo
che, di fatto, diventa attivo costruttore di conoscenza. Ne consegue che
·quanto più gli apprendimenti acquisiti durante i processi formativi sono
esperti, tanto maggiore flessibilità potrà esercitare il soggetto nell'adeguare
o nel riorganizzare le competenze necessarie a navigare entro gli scenari di
mobilità culturale e professionale, in risposta alle richieste poste oggi a gio
� e adulti" (Melchiori, 2012, p. 12). Pur nella loro specificità e diversità,
le definizioni proposte fino a questo punto considerano alcuni aspetti che
::x>rremmo definire comuni:
45
gli altri; il comportamento quale risultato di un'azione strategica pianificata
ed intenzionale.
Un esempio può aiutare a comp rendere il concetto, una storiella che
spesso narro a gli studenti per chiarire il significato profondo della compe
tenza (Box I. I).
Quattro insegnanti viaggiano insieme in auto per recarsi al lavoro. La scuola è di montagna
e impiegano circa due ore per arrivare. Questo pomeriggio - le vacanze di Natale sono vicine
- è previsto un Collegio dei docenti, si farà tardi. Terminata la riunione, i 4 colleghi si ri
mettono in auto. È buio da un pezzo. La strada è deserta, chi doveva rientrare a casa è già
in pantofole. All'improvviso Ugo, l'insegnante alla guida dell'utilitaria, avverte una vibra
zione al volante, l'auto comincia a "tirare" da una parte invece di procedere diritto. Ugo ral
lenta, accosta e si ferma in una piazzola. Esce dall'auto e ... una ruota bucata!
A parte l'aria umida e l'ora, si trovano anche in una zona non coperta dal segnale di telefonia
mobile. Scendono tutti, bisognerà cambiare la ruota.
Ugo apre il cofano e qualcosa non torna: la ruota di scorta c'è ma del cric nessuna traccia.
Intanto si sta facendo tardi, in un modo o nell'altro dovranno cercare di sostituire la ruota.
Cominciano a discutere e dopo qualche minuto finalmente Lisa "ipotizzà' una soluzione
che è condivisa da Elena, Maria e Ugo. Bisognerà cercare un masso "alto quanto bastà' da
mettere sotto l'auto e un bastone "robusto quanto basta" da utilizzare per sollevare l'auto.
Detto fatto!
Lauto viene sollevata e la ruota sostituita. I 4 colleghi riprendono la strada di casa.
Uno dei quattro insegnanti, mettiamo Elena, ha cambiato sede di servizio, ma comunque
lavora in una scuola di montagna. Viaggia con altri colleghi e la storia si ripete: è dicembre,
il Collegio dei docenti finisce tardi, sulla strada del ritorno ... un'altra bucatura.Anche que
sta volta il cric non si trova. Crediamo che Elena, e prima di una nuova discussione, proporrà
di sostituire la ruota utilizzando un masso e un bastone (suggeriremmo a Elena di omettere
di raccontare che la cosa le era già capitata). Anche questa volta la ruota è sostituita e tutti
ntornano a casa.
46
Laneddoto ci permette di proporre alcune riflessioni. Innanzitutto la ma
trice socio-costruttivista dell'interazione: i quattro insegnanti discutono,
fanno simulazioni e ipotizzano soluzioni, alla fine condividono quella che
sembra la migliore. Ma l'ipotesi risolutiva è fondata su conoscenze pregresse;
non sarà infatti sfuggito al lettore o alla lettrice che alla base della soluzione
individuata c'è una conoscenza, il "principio della leva", non certo appresa
con esperienze quotidiane. Andando indietro nel tempo - certamente sarete
d'accordo - quando eravamo alunni di scuola secondaria di I grado, lo ab
biamo appreso a scuola e forse mai ci saremmo sognati di poter utilizzare
quel costrutto geometrico per risolvere un problema inaspettato come quello
descritto. Quella conoscenza è rimasta magari inutilizzata per tanto tempo,
"cristallizzata" nella mente; poi, ecco l'occasione. Inoltre, anche cercare un
bastone abbastanza robusto da resistere alla forza applicata e un masso "alto"
al punto giusto da poter essere inserito sotto l'automobile prevedendo uno
spazio sufficiente per il bastone hanno richiesto la mobilitazione di altre spe
cifiche conoscenze.
La seconda parte del racconto ci consente di presentare un ulteriore ele
mento di riflessione. Elena "ricordavà' una precedente soluzione, uno script
efficace per risolvere un problema "quasi" uguale. Dunque, il tentativo di
risolvere quel problema e le modalità individuate, nel momento della riso
luzione, sono diventati conoscenze (dichiarative, procedurali e condizionali)
e questo processo esprime uno degli aspetti più importanti della teoria socio
costruttivisra: la costruzione della conoscenza è situata, ca-costruita ed ogni
attore coinvolto è un attivo costruttore di conoscenza.
Prima di avviarci a concludere il paragrafo, proponiamo un'ultima defi
nizione di competenza che per Pellerey (2004) va intesa come "la capacità
di far fronte ad un compito, o ad un insieme di compiti, riuscendo a mettere
in moto e ad orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e vo
litive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo"
(p. 7). È, questa definizione, chiaramente ascrivibile all'approccio socio-co
struttivista che considera la conoscenza come un processo di ca-costruzione
socialmente situato, negoziato, condiviso e distribuito. Di essa si evidenziano
i principali attributi che ne qualificano il concerto: la capacità di far fronte
a un compito o a un insieme di compiti che presuppone la mobilitazione
del proprio sapere per la risoluzione di situazioni problematiche; la dimen
sione operativa sottesa al concetto di competenza e l'indissolubile legame
con l'azione; la messa in moto e l'orchestrazione delle proprie risorse interne;
47
1.5 Le teorie organizzative
15 La locuzione villaggio globale è stata usata per la prima voi ta nel 1964 da Marshall
McLuhan nel libro Understanding Media: The Extensions ofMan, 1st Ed., McGraw
Hill, New York.
49
Le teorie dassiche o oggettive si sviluppano nei primi trent'anni del XX se
.:::nlo ed hanno come obiettivo quello di suggerire strumenti per migliorare
fettìcienza della produzione. Un tratto comune di questi primi approcci è
appresentato dal paradigma della razionalità assoluta che, coerentemente
con il clima culturale dell'epoca e dell'impostazione filosofica positivista, ri
reneva possibile individuare soluzioni certe e definitive. In questo periodo,
in.furti, si diffondono grandi concentrazioni capitalistiche ed enormi entità
produttive non più gestibili attraverso modalità di lavoro di tipo artigianale.
Parallelamente è avvertita la necessità e l'esigenza di razionalizzare con nuove
regole gli ambienti di lavoro. Il riferimento di base è la macchina organiz
za.riva e la standardizzazione dei processi lavorativi (ad esempio la catena di
montaggio). Lorganizzazione è tanto più efficiente quanto più si è in grado
di individuare meccanismi utili a scomporre il processo produttivo. Conse
guentemente è facilitato il compito di determinare le situazioni ed i problemi
che si possono verificare e, rispetto a questi, prevedere/trovare le giuste so
luzioni creando di fatto una routine organizzativa. In tal senso il primato è
riconosciuto all'organizzazione più che alle persone. Uno dei riferimenti
principali di tali teorie è il modello burocratico ideato da Max Weber l6•
Nella burocrazia, intesa come apparato amministrativo per l'esercizio del-
1' autorità legale, Weber individua la forma fondamentale di organizzazione
delle imprese che operano in base a norme universalistiche e con finalità ra
zionalizzatrici. Compiti, poteri e diritti di ciascun lavoratore devono essere
chiari e precisi. Le considerazioni successive determinano quindi le caratte
ristiche della burocrazia quali la divisione del lavoro disciplinata e coordinata
in funzione delle competenze, la dipendenza gerarchica delle unità organiz
zative, un sistema di regole finalizzate a garantire uniformità e continuità,
le prestazioni lavorative collegate alla qualificazione professionale e all' espe
rienza.
Dalla fine degli anni '20 si svilupparono negli Stati Uniti le teorie moti
vazionali o soggettive. Gli studi che si rifanno a tale orientamento sono volti
specificamente ad indagare i meccanismi motivazionali, i cui punti focali
sono l'accettazione, la gratificazione sociale e l'autorealizzazione. Tutte queste
indagini riconoscono innanzitutto il primato da un lato agli aspetti psico-
16 Wirtschaft und Gesellschaft è un'opera incompiuta, pubblicata postuma, nel 1922, due
anni dopo la morte dell'autore in cui si delinea il modello idealtipico della burocrazia,
la cui ascesa è legata all'affermarsi del capitalismo industriale. I.:edizione italiana Eco
nomia e società è pubblicata dalle Edizioni di Comunità (.Milano) nel 1961.
51
a2 i ripi di condotte di colui che guida un gruppo e i comportamenti dei
:IIIICllbri dello stesso gruppo, individua tre diversi stili di leadership: demo
omeo decisione condivisa delle attività, della disrrìbuzìone dei compiti, di
s:msione di obiettivi, ascolto delle proposte, ecc.), laissez faire (il leader
imatorma solo su richiesta, relativamente alle risorse, ad obiettivi ed attività
eri:rando suggerimenti a sostegno in caso di difficoltà) e autoritario (le deci
siiooi sulle attività da svolgere, sui compiti, sull'assegnazione di premi/ puni
zioni sono assunte senza spiegare i criteri, e secondo risoluzioni unilaterali) 17•
La leadership è democratica, dunque, quando pone non solo grande atten
zione ai processi comunicativi ma, al contempo, incoraggia la partecipazione
ed è percepita quale portatrice di valori di giustizia, equità e trasparenza nelle
decisioni, sinceramente preoccupata dei problemi dei lavoratori anche
quando questi sono di natura non propriamente lavorativa. A partire dagli
anni '50 del secolo scorso, lo sviluppo di queste ricerche favorisce la nascita
èdle teorie contingenti.
Prima di affrontare ed approfondire questo nuovo approccio teorico al
-::,m organizzativo, può essere proposto al lettore qualche spunto di rifles
sione relativo ad alcune differenziazioni tra le teorie classiche e le teorie mo
ri:vazionali. Innanzitutto va sottolineato come la scuola classica mette in luce
i fattori dell'organizzazione formale mentre quelli sui quali ha concentrato
la propria attenzione la scuola delle relazioni umane attengono alla sfera in
formale delle relazioni interpersonali. Lorganizzazione formale, poi, è pro
manazione diretta di quanto deciso e pianificato dalla direzione; essa è
fondata sulla scientifica divisione del lavoro e dell'autorità gerarchica, su
norme e regolamenti e su disposizioni relative a salari, multe, controlli di
qualità. Lorganizzazione informale, di contro, è fondata sulla qualità delle
relazioni sociali che si sviluppano tra i lavoratori (il gruppo) al di sopra ed
oltre quelle previste dalla struttura formale. Così, ad esempio, una discus
sione che verta su problemi di organizzazione formale è risolta affrontando
le difficoltà originate dal coordinamento di reparti o gradi gerarchici, mentre
approcciando gli stessi problemi secondo la prospettiva motivazionale, sarà
il gruppo (le relazioni orizzontali e verticali della struttura) a fornire le giuste
risposte per l'individuazione delle coerenti strategie risolutive.
53
si...--=n e alle proprie azioni. Naturalmente, il modello proposto da Maslow
non va considerato come rigido e immutabile ma in maniera flessibile e per
sonalizzata. Levoluzione dell'individuo segue in genere questo percorso ma
è legata anche all'ambiente ed al particolare contesto; non è detto, quindi,
die i bisogni emergano tutti, e in tutti gli individui, allo stesso modo. Va
poi considerato, inoltre, come in diverse attività si manifestino bisogni che
appartengono a livelli differenti: l'atto del bere, ad esempio, non è solo legato
ad un bisogno fisiologico primario ma anche un elemento di interazione so
ciale18. Le stesse strutture gerarchiche, attualmente sottoposte a più di una
critica, vanno considerate come un ipotetico modello di riferimento. Un
aspetto importante da considerare è, comunque, legato al fatto che un biso
gno soddisfatto, per Maslow, non è più motivante; per questo motivo de
vono emergere nuovi bisogni che, per la loro intrinseca natura, abbiano
caratteristiche soggettivamente stimolanti. Detto in altro modo, le persone
sono soddisfatte da ciò che hanno (o hanno raggiunto in termini di obiettivi,
risultati), ma sono motivate da quello che non possiedono, da ciò che ancora
non sono e che vogliono diventare (come ad esempio gli avanzamenti di
carriera).
Sempre negli anni '50 Herzberg (I 959) presenta le risultanze emerse da
una serie dì ricerche svolte in ambito aziendale finalizzate ad approfondire
le modalità con cui si sviluppano i bisogni di stima e di autorealizzazione.
Vengono individuati, in sintesi, due ordini di fattori capaci di determinare
nel lavoratore soddisfazione o insoddisfazione: i fattori igienici e i fattori
motivanti. I primi sono quelli che non creano motivazione ma che devono
essere presenti per garantire la non insoddisfazione (ad esempio il contesto
sociale, le condizioni di lavoro, le relazioni con i superiori, ecc.). I secondi
sono quelli che motivano in quanto riescono ad appagare i bisogni superiori
della persona (ad esempio i riconoscimenti, la carriera, le responsabilità, la
crescita professionale).
Tenuto conto delle finalità del presente volume, merita un cenno il più
recente modello 4C di Butera 19• Lorganizzazione a rete attivata da questo
modello, anch'esso teorizzato per tentare di dare risposta alla domanda so
ciale di qualità e di rendicontabilità, sottolinea l'importanza di quattro ele-
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menti (denominato, per questo motivo, 4C): la cooperazione "intrinsecà'
che nasce in maniera informale tra persone che lavorano insieme con obiet
tivi comuni e condivisi (la mission) all'interno di un'organizzazione orientata
al successo e all'innovazione; la comunicazione "estesa", non unidirezionale
(up-down) e limitata, qual è quella tipica delle organizzazioni burocratiche
classiche; la conoscenza condivisa, distribuita in modo indifferenziato; la
comunità professionale, caratterizzata da una cooperazione che nasce dal
l'interno e dalla condivisione di intenti.
Il modello 4C propone notevoli spunti di interesse e le stesse considera
zioni possono essere ribadite per i successivi e numerosi contributi sugli ap
procci e sui modelli organizzativi che sono stati proposti a partire dagli anni
'60. A nostro parere, comunque, i nuclei fondativi di tutte le teorie proposte
prendono vita e si sviluppano proprio partendo dai presupposti fin qui pre
sentati. In una società complessa come quella attuale, e in questo siamo d'ac
cordo con Khandwalla (1997), è la fusione delle varie metodologie legate
alle numerose teorie dell'organizzazione a dimostrarsi più importante del
l'impiego di un solo metodo, anche se il migliore. In altre parole il successo
di un'attività organizzata è dovuto non allo sfruttamento di ciascuna delle
sue caratteristiche di base, ma al modo in cui tali e varie caratteristiche ven
gono fatte interagire secondo modelli distinti e diversificati. Ed è in que
st'ottica che si è ritenuto. opportuno, in questa sede, fornire, seppur in
maniera sintetica e parziale, una caratterizzazione relativa alla nascita e allo
sviluppo delle teorie dell'organizzazione e ai conseguenti tratti essenziali di
ognuna di esse.
Nelle organizzazioni complesse i comportamenti operativi (decisionali e
attuativi) sono determinati da un intreccio sistematico di regole formali e
orientamenti professionali e culturali, individuali e di gruppo. I modelli fi
nora descritti costituiscono, invero, degli schemi ideali il cui scopo è quello
di permettere un'analisi ed un'interpretazione della realtà complessa in cui
tutti gli attori si trovano ad agire. Nei contesti aziendali, infatti, le diverse
caratteristiche degli approcci proposti sono spesso compresenti e, anzi, in
teragenti. La conoscenza specifica degli aspetti (almeno alcuni di essi) di tale
complessità costituisce la base indispensabile per lo sviluppo di approcci
concettuali, metodologici ed operativi adatti a gestirla (Romei, 1995).
Quando si parla di comportamenti, poi, viene rimarcata anche l'importanza
dell'apprendimento in situazione.
La concettualizzazione di Butera offre una soluzione strutturale capace
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di fuvorire la condivisione dei valori da parte dei membri-attori, in un clima
di cooperazione e coesione. In sostanza per far sì che tutti siano consapevol
mente concentrati sul compito unitario (''esserci" e "crederci" attivamente e
con convinzione) e diventare un gruppo che pensa, sente e vuole in simonia
con gli altri membri, bisogna consolidare la cultura del lavorare insieme in
romo ad obiettivi condivisi e in una struttura organizzativa non imposta
dall'esterno ma, in quanto originata e regolata dall'interno, vissuta come un
supporto alla crescita dell'individuo. Bisogna allora chiamare in causa l'agire
romune, la cooperazione assunta come dato strutturale, un'istanza metodo
logica che, consolidando l'azione collettiva, permette di recuperare la cen
rralicà della persona rispetto alla struttura, secondo il principio della
leadership diffusa e condivisa, che pone le basi sia per il miglioramento del
clima organizzativo, sia per l'autorealizzazione dei lavoratori: due compo
nenti fondamentali per avviare qualunque discorso di qualità nell' organiz
zazione che diventa così vero laboratorio di sviluppo professionale. In tal
senso, un'azienda, organizzata secondo questi criteri, favorisce anche un ap
prendimento organizzativo. Tale apprendimento ha una valenza di tipo stra
tegico ed è reso necessario dal comportamento adattivo in seguito alla
modificazione dei rapporti con l'ambiente sia interno che esterno. Lorga
nizzazione, intesa in tal contesto come agire organizzativo, insieme al piani
ficare, dirigere e controllare, provoca dinamismi di sviluppo e capacità di
governare il cambiamento, attivare l'ambiente, affondare situazioni ad alta
variabilità ed incertezza.
Lapproccio sistemico di Berralanffy (1968) contribuisce a rafforzare que
ste considerazioni. Nato negli anni '60 nel campo dell'organizzazione azien
dale, parte da un fondamentale presupposto: ogni elemento o settore della
realtà organizzata non va considerato o definito in sé ma, piuttosto rapportato
agli altri elementi o settori con i quali entra in relazione. Nella sostanza i cri
teri di analisi consistono nel valorizzare le potenzialità che sorgono dalla va
rietà stessa delle situazioni e, soprattutto, nel favorire l'autocontrollo
mediante procedure autocorrettive. Le variabili organizzative non vengono
considerate isolatamente ma nel loro insieme. Cosl non vale più soltanto
l'uomo giusto al posto giusto, ma valgono anche le qualità individuali mo
tivate dalle relazioni e dalle situazioni. Operando sotto la categoria di Project
Management (PM), questo tipo di approccio coinvolge la formazione di un
gruppo indirizzato ad uno scopo, costituito con particolare riguardo alla com
petenza necessaria per la risoluzione di problemi. Il PM è un insieme di teo-
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rie, di strumenti, di modelli ideati, sperimentati, prodotti, applicati, validati
nel mondo aziendale per superare l'inadeguatezza dei tradizionali sistemi di
organizzazione rispetto alla gestione di ambienti dinamici ed orientati all'at
tività di progetto. Non ci sono vere e proprie teorie della progettazione; c'è
un insieme, un coacervo di procedure che, applicate in campo aziendale,
hanno raggiunto pregevoli risultati formativi. Fasi e attività tipiche del PM
sono la pianificazione, la programmazione e la gestione. Il tutto sinergica
mente legato ad un processo di controllo. Pianificare significa identificare e
qualificare il progetto, stabilire i risultati finali, fissare gli obiettivi, stimare
le risorse totali e il tempo richiesto, decidere l'organizzazione del progetto,
definire le attività principali. Programmare significa sviluppare un pro
gramma di attività in dettaglio, stabilire un budget, stimare i tempi di inizio
e di fine di ogni attività, fissare l'allocazione delle risorse. Gestire significa
attribuire ruoli e responsabilità, intervenire sui punti problematici per risol
verli e ripianificare, contenere i ritardi "inevitabili", agevolare il flusso di in
formazioni tra le diverse unità coinvolte, assicurare un continuo processo di
coordinamento delle unità. Controllare significa monitorare il tempo, i costi
e i risultati, comparare il consuntivo con le previsioni, determinare e realizzare
le azioni correttive. Il PM è fondato sulla ricerca delle strategie ottimali per
la risoluzione di un problema. In questo contesto, committente e formatore
sono accomunati da una mission che, alla base, deve poter essere condivisa.
Le organizzazioni di lavoro, qualunque sia la loro tipologia e il modello
organizzativo, sono luoghi in cui si prendono continuamente decisioni. Es
sendo sistemi complessi, chiaramente, è possibile individuare una moltepli
cità di centri decisionali. Le decisioni prese ad un livello superiore diventano
obiettivi per un altro livello. Ed è scontato che le decisioni dei vertici azien
dali hanno una rilevanza più vasta di quelle prese da attori organizzativi cui
sono affidate minori responsabilità. Le organizzazioni, inoltre, non decidono
quasi mai in modo meccanico se non per le azioni standardizzate; più spesso
operano attraverso un comportamento cosciente, orientato verso obiettivi e
risultati. Infine, poiché le organizzazioni si evolvono nel tempo, i centri de
cisionali ovvero le strutture/dispositivi previsti per le decisioni formali sono
di fatto inseriti in spirali di feedback decisionali, cioè in anelli causali di in
formazione, decisione, azione e valutazione. Ogni decisione implica azioni,
la responsabilità di esse. È questo, forse, l'aspetto più critico e, al contempo,
affascinante, mai uguale e sempre diverso, del fare formazione.
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