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INSEGNARE PER l' APPRENDIMENTO

Nella società contemporanea la conoscenza rappresenta una risorsa fonda­


mentale e strategica non soltanto in campo lavorativo ma anche nei rapporti
interpersonali. Ai futuri cittadini è richiesta non tanto l'acquisizione dei sa­
peri utilmente spendibili nei contesti lavorativi quanto e soprattutto la ca­
pacità di attuare percorsi di approfondimento in maniera flessibile ed
originale adattandosi di volta in volta alle esigenze del mercato del lavoro.
La dimensione quantitativa del sapere è entrata in crisi per cedere il posto a
processi dinamici e relazionali dei soggetti e allo sviluppo di una mente cri­
tica e plurima, legata alla creatività produttiva della persona. Padroneggiare
ed acquisire conoscenze diventano gli assi portanti di saperi pluridimensio­
nali, correlati a più codici interpretativi e di analisi per essere in grado di
decodificare e comprendere il reale strutturato, per saper intervenire, con­
sapevolmente e responsabilmente, su di esso. Il cittadino-alunno deve im­
parare ad imparare, diventare attivo costruttore di conoscenza attraverso la
risoluzione dei problemi che nel corso della vita gli si presentano. Risolvere
in maniera efficace un problema, poi, significa individuare soluzioni che, se
efficaci, diventano patrimonio personale, conoscenze autonomamente ac­
quisite. Se pur in maniera semplificata, il processo di graduale autonomia
personale si sviluppa lungo questa direzione e in ogni contesto educativo,
quindi, diventa essenziale e ineludibile organizza.re percorsi formativi che,
oltre a favorire ed agevolare lo sviluppo di apprendimenti significativi ed es­
senziali, promuovano atteggiamenti positivi ed autonomi nei confronti della
conoscenza e del sapere. Lanalisi che si intende sviluppare nelle prossime
pagine, partendo da queste premesse, prende in considerazione, pur con le
necessarie differenziazioni, la natura sistemica dei processi di insegnamento­
apprendimento.

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Il contesto di riferimento è vasto e, in tal senso, orienteremo il discorso
secondo una prospettiva multidimensionale (in termini di massima flessi­
bilità e massima dinamicità) che ci permetta di individuare i possibili mo­
delli funzionali di natura didattica e le sue articolazioni interne: le dinamiche
comunicative e relazionali, gli apparati metodologici che possono connotarli,
le conseguenti scelte relative all'organizzazione dell'azione didattica.

1.1 Formazione e insegnamento

La fonnazione prima di essere oggetto di studio della pedagogia è innanzi­


tutto un oggetto culturale: un insieme di idee e di significati, di schemi con­
cettuali e di modelli comportamentali, di regole e di nessi logici, di opinioni
e di norme che fa parte della nostra esperienza abituale, del nostro mondo,
del nostro vissuto esistenziale.
La formazione è sempre più legata alle mutate condizioni socioeconomi­
che e culturali che, nei personali processi di costruzione della conoscenza,
postulano il ruolo determinante del contesto e della dimensione intersog­
gettiva ed interattiva della comunicazione finalizzata all'apprendimento. In
tal senso, il processo formativo è situato in uno specifico contesto sociale e
culturale e, conseguentemente, in stretta interdipendenza con le conseguenti
sue caratteristiche e potenzialità.
Il concetto di formazione rinvia a quello di riflessività. Questa conside­
razione rimanda poi all'oscillazione teorico-pratica del soggetto in azione
che, dinamicamente, si muove su due piani: quello dell'analisi e quello del-
1' applicazione. La sua natura fenomenica si presta infatti ad essere conside­
rata dato di fatto e, al contempo, oggetto complesso e problematico da
leggere, comprendere, interpretare. In tal senso la formazione prende forma
con tutte le sue possibili declinazioni e implicazioni nell'azione didattica ed
ha un duplice obiettivo: la trasmissione del sapere e l'insegnamento di un
modo per "metterlo in pratica'' attraverso un sistema di criteri e regole uti­
lizzabili per apprendere anche successivamente (deurero-apprendimento).
È un processo sincronico e diacronico che si sviluppa attraverso la causalità
degli eventi ma anche prendendo spunto dalla loro accidentalità. La forma­
zione, quindi, è progetto e sua realizzazione; prende forma e assume un si­
gnificato all'interno di uno specifico contesto sociale; si misura con
l'intenzionalità e la responsabilità di scelte pertinenti; riflette una visione

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snaregica condivisa dai soggetti interessati e comprende scopi, obiettivi e
w;::;:-_i specifiche.
�d mondo di esperienze interpersonali che tutti noi viviamo quotidia­
namente alcune relazioni assumono una specifica connotazione e sono mag­
giormente in grado di incidere su ciò che pensiamo; condizionano il nostro
modo di vivere provocando un cambiamento che viene interpretato e valu­
ta.i.ll come miglioramento (o peggioramento), sviluppo, maturazione. Esse
hanno per noi una valenza e portata formativa. Diventa necessario, in questo
quadro di riferimento, stimolare il soggetto a integrare le nuove informazioni
con la propria esperienza in modo tale da poterle trasformare in azione con­
creta che, a sua volta, stimolerà un apprendimento successivo secondo un'ot­
tica di ricorsività. I..:approccio socio-costruttivista, riconoscendo che ogni
attività conoscitiva implica un processo di strutturazione attiva e di nego­
ziazione interpersonale, valorizza la dimensione sociale e culturale dell'ap­
prendimento ed evidenzia l'azione in situazione enfatizzandone il doppio
ruolo quale agente in grado da un lato di influenzare i processi di apprendi­
memo e, dall'altro, di esserne a sua volta influenzato. La natura del processo
di apprendimento, in tale prospettiva, è situata e dipende in maniera signi­
ficativa dalla qualità di relazioni intersoggettive che si sviluppano nei contesti
sociali e culturali.
Le esperienze legate alla partecipazione dei soggetti nei contesti di riferi­
mento (dal gruppo dei pari ai compagni di classe, dall'ambiente familiare a
quello lavorativo) sono parte integrante dello sviluppo della persona. Una
discussione, una riflessione condivisa con un amico, un litigio: in ogni mo­
mento della nostra vita le interazioni comunicative ci permettono di appro­
fondire, chiarire, verificare i nostri punti di vista e quelli degli altri, risolvere
problemi, comprendere situazioni critiche e complesse. Accanto al carattere
contestualizzato, occorre allora tener conto di un'altra caratteristica dell'in­
telligenza: essa è distribuita (Gardner, 1983) nel nostro ambiente di vita. Il
confronto continuo favorisce l'apprendimento attraverso la negoziazione
delle informazioni e la condivisione dei significati delle stesse conoscenze
che si acquisiscono, quale risultato di un costante rapporto di interscambi
con la conoscenza sociale della comunità di appartenenza.
I..:apprendimento, secondo la prospettiva culturalista, non può essere di­
pendente dalla mera ricezione (trasmissione) di contenuti bensì è caratte­
rizzato dalla dinamicità e dalla flessibilità dell'elaborazione della conoscenza
che, nel contempo, permette l'interazione comunicativa. Quest'ultima, a

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sua volta, permette ad altri di confrontarsi con il nostro punto di vista e di
costruire, dopo aver negoziato e/o condiviso opinioni e/o oggetti culturali,
la propria conoscenza. Sono questi, in estrema sintesi, i cosiddetti processi
di co-costruzione della conoscenza dove la dimensione collaborativa tra i
soggetti assume un'importanza decisiva e, nel contempo, cruciale ed irri­
nunciabile.
I processi di apprendimento e le modalità della conoscenza sono modellati
dai contesti culturali all'interno dei quali si producono. Per Bruner (1992)
qualsiasi atto di conoscenza nasce dalla mente che crea la cultura ma allo
stesso tempo la cultura in cui sono espresse le stesse conoscenze crea, a sua
volta, la mente: da un lato si colloca la cultura come interpretazione condi­
visa e collettiva della realtà, dall'altro, invece, la mente come elemento in­
tersoggettivo che si sviluppa mediante la relazione con altri individui.
Le persone sperimentano il mondo perché lo comprendono in certi
modi, non viceversa; è il processo che conta, non le conoscenze di per sé
stesse. Lapprendimento va costruito su basi dialogico-riflessive, su processi
di interazione e collaborazione, sulla possibilità dì una comunicazione di­
stribuita e sulla opportunità dì far emergere argomentazioni, significati e
definizioni negoziati. I processi di apprendimento, dunque, sono frutto del­
l'interazione tra i soggetti che, in un determinato contesto, agiscono, si con­
frontano, discutono e chiariscono a sé e agli altri i significati dei diversi
oggetti culturali. Le nuove conoscenze, poi, costituendosi come significativo
e virtuoso valore aggiunto della comunità dì apprendimento, vanno ad ar­
ricchire il patrimonio di ciascuno e dell'intero gruppo di riferimento in
un'ottica di co-costruzione e di sviluppo circolare. Lo sviluppo degli appren­
dimenti si realizza in contesti che si caratterizzano come comunità di appren­
dimento; in esse, per effetto di una continua negoziazione dei significati, si
realizza un processo dove ogni persona partecipa attivamente alla costruzione
collaborativa della conoscenza. La prospettiva socio-costruttivista assegna
grande importanza al contesto, agli atteggiamenti e alla qualità delle relazioni
comunicative che si instaurano tra e fra le persone e tra queste e gli oggetti
di cultura.
La necessità di costruire un rapporto produttivo tra linguaggio, cose e
pensiero richiama alla progettualità formativa intesa come mezzo di aggre­
gazione, collegamento e coordinamento tra pensiero, realtà e strumenti ela­
borati dall'uomo (Bruner, 1996). Questo vuol dire anche che l'area
dell'educazione "possibile" non può rinunciare ad un senso profondo di "au-

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moomia che, in quanto tale, è potenzialmente in grado di garantire lo svi­
""

� della ricerca, l'approfondimento sui nuclei forti delle conoscenze in


un processo continuo di costruzione delle migliori condizioni per promuo­
� nelralunno lo sviluppo di competenze, il miglioramento dell'autostima,
b marurazione di atteggiamenti metacognitivi necessari per trarre profitto
_.;;;;;,= O?fXmunità offerte dalla società contemporanea.
Le esperienze formative non rappresentano un momento separato da
qad.ia che è la quotidiana vita degli individui ma, al contrario, si costitui­
s:ono rome continuum integrato ed interagente nell'esperienza di ciascuno
�oendo la persona nella sua dinamica totalità. Vanno allora previste
� formative che incoraggino l'esplorazione, la ricerca, la scoperta, la
cnmprensione, la creatività intellettuale, i processi inferenziali: il contesto
cduam-o, in tal modo, diventa ambiente centrato sulla persona, sui suoi
btingni e sulle sue risorse; diventa il luogo in cui si determinano le condizioni
per fuori.re in forma sinergica e dialettica la costruzione e la generazione
àdh ronoscenza co-costruita. Va favorito un approccio "per ricercà' che sti­
:moii il soggetto ad imparare a porsi interrogativi nuovi in situazioni nuove:
J!!!JOB direnra tanto importante il saper dare delle risposte quanto il sapersi

:ii_,: ie domande giuste.


I.a necessità di conoscere le caratteristiche individuali degli allievi è il pre­
mqaisiro fondamentale: l'organizzazione di percorsi individualizzati e per­
�ti è la conseguente necessità di ogni processo formativo progettato.
Lrntdli� è contraddistinta da una notevole varietà di forme raziocinanti
e ..:::ream-e, un potenziale di ogni essere umano, una serie di modi/ compe­
n:o:re per conoscere il mondo, i ftames ofmind ( Gardner, 1983), determinati
da un proces.so personale di natura adattiva ed individuale. Una significativa
cnruieguenza. della teoria gardneriana va rintracciata nella genesi della per­
i002lizzazione educativa che teorizza la centralità della persona titolare di
dimri e di piena e indeclinabile responsabilità morale (personalismo peda­
gogico). Esaltando la primazia della persona rispetto alla società, si pone a
modello una scuola democratica attenta alle esigenze della singola persona­
alunno per ridurre gli insuccessi e promuovere le eccellenze. È poi evidente
die non si può pensare alla differenziazione degli interventi didattici se non
eè la pos.>ibilità di rendere flessibile l'azione didattica e l'organizzazione delle
anirirà. la personalizzazione educativa ha dunque valore strumentale in
quanto strategia finalizzata al raggiungimento di obiettivi e al miglioramento
della qualità dell'offerta formativa. Lo sforzo deve essere quello di rispondere

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alle attitudini, alle motivazioni, ai bisogni di ciascun soggetto in formazione
promuovendo percorsi in grado di favorire l'acquisizione di competenze di­
verse e la valorizzazione di ogni risorsa e potenzialità della persona.
In ambito scolastico sono due gli elementi che contraddistinguono
l'azione educativa: l'intenzionalità (l'esistenza di obiettivi da raggiungere in
contesti definiti e istituzionalizzati attraverso un'azione consapevole e, ap­
punto, intenzionale) e la sistematicità (l'azione guidata da specifici obiettivi
chiaramente strutturati a livello organizzativo che implicano procedure, re­
gole e criteri precisi e ben definiti). In base a questi due elementi possiamo
distinguere gli eventi educativi in diverse categorie ed ambiti. Parliamo, dun­
que, di educazione formale (l'ambiente scolastico) quando sono presenti en­
trambi gli elementi (intenzionalità e sistematicità), educazione informale (la
famiglia, le organizzazioni/gruppi della società civile quali le associazioni o
le parrocchie) se è presente la sola caratteristica di intenzionalità, educazione
non formale (luoghi non specifici, i mass media, l'ambiente lavorativo) se
ambedue gli elementi sono assenti.
Per quanto detto fino a questo punto, potremmo allora intendere la for­
mazione come un'azione intenzionale, sistematica ed organizzata idonea a
trasmettere cognizioni e nel contempo modellare comportamenti attraverso
l'esercizio e l'agire; essa costituisce da un lato un bagaglio di conoscenze teo­
riche e pratiche indispensabili per l'esercizio di una professione o di un ruolo,
dall'altro ha il potere di riuscire ad ottenere delle modificazioni strutturali
della dimensione cognitiva ed emotiva del soggetto. La formazione (e con
essa, più in generale, la possibilità di accedere alle informazioni) non può
essere più intesa come fase iniziale ed in ingresso al mondo del lavoro, col­
locata solo in un determinato segmento del percorso dell'esistenza del sog­
getto e valida per tutta la vita ma, al contrario, ha necessità di plasmarsi
sull'intero percorso di vita dell'individuo per renderlo capace di affrontare,
attraverso una solida, elevata e costante preparazione culturale, i rapidi e
progressivi cambiamenti che l'attuale società tecnologica impone.
Le istituzioni educative hanno il compita di progettare e "mettere in
azione" coerenti, efficaci e pertinenti modelli organizzativi e formativi che
siano in grado di fornire adeguati strumenti di lettura e comprensione della
realtà complessa e in continuo cambiamento. Emerge quindi l'inevitabile
esigenza di elevare la qualità del servizio erogato mediante una progettualità
formativa capace di proporsi come rete di opporrunità diffuse in termini
spazio-temporali. Lobiettivo è quello di garantire un sistema educativo-for-

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alle attitudini, alle motivazioni, ai bisogni di ciascun soggetto in formazione
promuovendo percorsi in grado di favorire l'acquisizione di competenze di­
verse e la valorizzazione di ogni risorsa e potenzialità della persona.
In ambito scolastico sono due gli elementi che contraddistinguono
l'azione educativa: l'intenzionalità (l'esistenza di obiettivi da raggiungere in
contesti defìnitì e istituzionalizzati attraverso un'azione consapevole e, ap­
punto, intenzionale) e la sistematicità (l'azione guidata da specifici obiettivi
chiaramente strutturati a livello organizzativo che implicano procedure, re­
gole e criteri precisi e ben definiti). In base a questi due elementi possiamo
distinguere gli eventi educativi in diverse categorie ed ambiti. Parliamo, dun­
que, di educazione formale (l'ambiente scolastico) quando sono presenti en­
trambi gli elementi (intenzionalità e sistematicità), educazione informale (la
famiglia, le organizzazioni/gruppi della società civile quali le associazioni o
le parrocchie) se è presente la sola caratteristica di intenzionalità, educazione
non formale (luoghi non specifici, i mass media, l'ambiente lavorativo) se
ambedue gli elementi sono assenti.
Per quanto detto fino a questo punto, potremmo allora intendere la for­
mazione come un'azione intenzionale, sistematica ed organizzata idonea a
trasmettere cognizioni e nel contempo modellare comportamenti attraverso
l'esercizio e l'agire; essa costituisce da un lato un bagaglio di conoscenze teo­
riche e pratiche indispensabili per l'esercizio di una professione o di un ruolo,
dall'altro ha il potere di riuscire ad ottenere delle modificazioni strutturali
della dimensione cognitiva ed emotiva del soggetto. La formazione (e con
essa, più in generale, la possibilità di accedere alle informazioni) non può
essere più intesa come fase iniziale ed in ingresso al mondo del lavoro, col­
locata solo in un determinato segmento del percorso dell'esistenza del sog­
getto e valida per tutta la vita ma, al contrario, ha necessità di plasmarsi
sull'intero percorso di vita dell'individuo per renderlo capace di affrontare,
attraverso una solida, elevata e costante preparazione culturale, i rapidi e
progressivi cambiamenti che l'attuale società tecnologica impone.
Le istituzioni educative hanno il compito di progettare e "mettere in
azione" coerenti, efficaci e pertinenti modelli organizzativi e formativi che
siano in grado di fornire adeguati strumenti di lettura e comprensione della
realtà complessa e in continuo cambiamento. Emerge quindi l'inevitabile
esigenza di elevare la qualità del servizio erogato mediante una progettualità
formativa capace di proporsi come rete di opporrunità diffuse in termini
spazio-temporali. obiettivo è quello di garantire un sistema educativo-far-
e

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mativo-informativo permanente adeguandosi nei fatti al cambiamento del
paradigma educativo che da statico, definito e immutabile si è ormai tra­
sformato in dinamico e permanente.
I modelli organizzativi e gli approcci didattici devono rispondere a queste
esigenze di rinnovamento per offrire a ciascuno studente gli strumenti e gli
alfabeti linguistici più idonei per comprendere, interpretare ed intervenire
nella e sulla realtà in maniera coerente ed efficace stimolando la ricerca attiva
di significati e attraverso un atteggiamento propositivo. In questa prospet­
tiva, le competenze professionali del formatore, in un contesto sorretto da
chiare direttrici progettuali, rivestono un'importanza centrale. Brighouse e
Unterhalter (2007), secondo un'impostazione di natura sistemica, propon­
gono un approccio che tiene conto di indicatori multidimensionali più sen­
sibili al contesto, maggiormente flessibili e facilmente operazionalizzabili.
La formazione viene concettualizzata in relazione a tre diversi campi relativi
al valore strumentale, al valore intrinseco e al valore posizionale.
Le condizioni di apprendimento in contesti di educazione formale de­
vono essere in grado di supportare lo sviluppo del valore strumentale della
formazione, la sua spendibilità in ambito lavorativo. I benefici che si rice­
vono non sono solo questi ma alimentano e stimolano la creatività della per­
sona (valore intrinseco) e dipendono dal successo personale rispetto a quello
altrui (valore posizionale). Naturalmente i tre processi si sovrappongono en­
fatizzando la centralità del soggetto come agente attivo nelle scelte e prota­
gonista della propria vita.

1.2 Le teorie dell'apprendimento

Lapprendimento, cercando di riassumere quanto detto fino a questo punto,


è un sistema di processi attivi non lineari e personalizzati tra loro interrelati
di costruzione e di elaborazione e rielaborazione della propria rete di cono­
scenze; è stimolato dall'interazione nell'ambito di un contesto sociale ed è
significativo in quanto si sviluppa nell'integrazione tra nuove e pregresse co­
noscenze/esperienze di cui la persona è già in possesso. Il processo di ap­
prendimento richiede la partecipazione attiva degli studenti attraverso la
costruzione di rappresentazioni più o meno corrette e funzionali del mondo
con cui si interagisce che scaturiscono dalle interazioni fra i membri di una
collettività.

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Il protagonista è il discente per il quale bisognerà progettare e prevedere
ambienti di apprendimento che permettano di attivare un'esplorazione attiva,
coerente con i suoi interessi e/o le sue motivazioni. In questa prospettiva, il
compito dell'insegnante è di favorire questo processo predisponendo un set­
ting formativo in grado di offrire varietà di stimoli e di percorsi di accesso ai
contenuti proponendo ali'alunno occasioni per rielaborare le conoscenze in
un processo attivo e costruttivo e progettando contesti di apprendimento nei
quali sviluppare l'interazione nel gruppo, sollecitando ognuno a porre in re­
lazione i nuovi saperi con quelli che già possiede e rendendo più chiari e com­
prensibili i primi alla luce dei secondi.
Le teorie dell'apprendimento hanno lo scopo di far risaltare le compo­
nenti di pensiero, di ragionamento e di sviluppo della conoscenza nell'al­
lievo; costituiscono la base di riferimento per una corretta attività di
progettazione didattica. Nel cercare di descrivere e spiegare quali sono i
processi logici e cognitivi attraverso i quali i soggetti coinvolti imparano,
esse influenzano in modo determinante i criteri generali e le strategie di­
dattiche di qualunque azione didattica. Le teorie dell'insegnamento, sulla
scorta delle progressive conoscenze relative al "funzionamento" della mente,
puntano all'individuazione di efficaci metodologie, strategie didattiche e
strumenti in un quadro organizzato di azioni ed interventi agiti in specifici
contesti.
Le principali concezioni teoriche che nel corso del ventesimo secolo si
sono avvicendate nell'indagare i processi di apprendimento (teorie dell'ap­
prendimento) e i processi di insegnamento (teorie dell'insegnamento) hanno
avuto un ruolo determinante sia nella scelta delle metodologie, delle tecniche
e degli strumenti che nella strutturazione dei contenuti di apprendimento;
abbiamo assistito ad un profondo cambiamento dei paradigmi della cono­
scenza e a modificazioni che hanno conseguentemente modificato anche
l'impostazione delle pratiche didattiche. Il momento che ha principalmente
segnato questo cambiamento è costituito dal passaggio da una concezione
della conoscenza oggettivista (teorie comportamentiste e cognitiviste) ad
una costruttivista (cognirivismo di seconda generazione o costruttivismo e
socio-costruttivismo).
La concezione oggettivista considera l'insegnamento come una mera tra­
smissione di conoscenze da ""rrasferire" agli studenti. Questo orientamento
fa riferimento a tre principali reorie dell'apprendimento che sono il com­
portamentismo, il neocompon:amenrismo e il cognitivismo. Con il compor-

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�tismo1 l'apprendimento è considerato come una modifica del compor­
amento che deriva dall'esperienza. Esiste un apprendimento nel momento
in cui l'individuo fornisce una risposta corretta (la manifestazione di un
comportamento previsto) ad uno stimolo. Per far sì che l'apprendimento
abbia luogo, però, è necessario che il comportamento provocato venga rin­
furzato tramite contingenze rafforzative. Tutte le teorie comportamentiste,
por nella diversità delle singole posizioni, si concentrano sul binomio sti­
molo-risposta senza considerare la variabile organismo e quindi i processi
mentali che sottendono il comportamento e che variano da individuo a in­
dividuo. I comportamentisti, infatti, ritenevano che la mente umana fosse
una scatola nera (black box), ovvero qualcosa che non si può esplorare se
non attraverso il comportamento.
Watson è riconosciuto come il fondatore della scuola. Nel 1913 pubblicò
ranicolo La psicologia esaminata da un behaviorista che segnò la nascita del
romportamentismo e che, in combinazione con il lavoro di Pavlov sul con­
dizionamento classico2, si impose come nuovo paradigma. Skinner, in
campo didattico, ha esplicitato la sua teoria del condizionamento operanteJ.
nell'elaborazione della cosiddetta teoria dell'istruzione programmata, ovvero
una tecnologia dell'insegnamento che, utilizzando macchine per insegnare
(wuhing machines), si poneva l'obiettivo di far apprendere in modo graduale,

Per comportamentismo o behaviorismo (da behavior, comportamento) si intende una


corrente secondo la quale la psicologia può assumere come oggetto di studio il solo
comportamento manifesto degli esseri viventi e, dunque, le loro reazioni osservabili.
2 Il più noto degli esperimenti pavloviani è relativo al condizionamento salivare del cane.
Pavlov si rese conto che era possibile ottenere le secrezioni ancora prima che il cibo ve­
nisse introdotto nella bocca del cane. I.:esperimento si svolge in questo modo: il cane
viene posto in una gabbia e, una volta adattato alla nuova situazione gli viene presentato
uno stimolo condizionato costituito dal suono di un campanello; al suo suono viene
fatta seguire l'introduzione di cibo, cioè allo stimolo condizionato neutrale viene fatco
seguire uno stimolo incondizionato capace di provocare la risposta incondizionata della
salivazione. Dopo una serie di prove di condizionamento costituite dalla sequenza stimolo
condizionato/stimolo incondizionato/risposta incondizionata, questo esperimento produce
il risultato che il suono del campanello, anche in assenza di cibo, provoca nel cane la sa­
livazione.
3 Esistono due diversi tipi di condizionamento che conducono a schemi comportamen­
tali differenti: il condizionamento classico di Pavlov e il condizionamento operativo o stru­
mentale di Skinner e Thorndike. In particolare, secondo gli studi di Skinner e
Thomdike, la risposta è un'operazione che l'organismo compie sull'ambiente in vista
di uno scopo. Tale condizionamento si verifica quando viene rinforzata una risposta
ad uno stimolo.

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lineare e sequenziale, proponendo agli studenti una serie di concetti sempre
più complessi e rinforzando sempre i risultati positivi ottenuti con ricom­
pense e/o con la comparsa di una nuova situazione problematica. In questo
caso giocano un ruolo primario più che gli stimoli i programmi di rinforzo
e la rapidità con cui questi vengono impartiti da una macchina. Le disci­
pline, inoltre, devono essere suddivise in brevi unità didattiche e il rafforza­
mento deve intervenire solo nella realizzazione di ognuna di queste fasi: in
altri termini, se la risposta risulta errata non viene dato alcun tipo di rinforzo
e si ritorna alla fruizione della stessa sequenza didattica o viene dato un fe­
edback correttivo (entrambi svolgono la funzione di rinforzo); in caso di ri­
sposta esatta il rinforzo si concretizza nel passaggio alla sequenza didattica
successiva, seguendo esattamente quelli che sono i principi del condiziona­
mento operante. In tal senso, il programma skinneriano prevede la defini­
zione della conoscenza da trasferire, la sua parcellizzazione in singoli moduli,
la precisa predisposizione di una gerarchia e di una concatenazione tra le
tappe del processo. Per quanto concerne, poi, le teorie o i modelli di istru­
zione connessi alle teorie comportamentiste, si può affermare che tali modelli
di apprendimento portano ovviamente all'applicazione di modelli di istru­
zione e di insegnamento concentrati prevalentemente sul condizionamento
del comportamento degli studenti.
Verso la fine degli anni '50 del secolo scorso, cominciarono a svilupparsi
nuove tendenze che iniziarono ad occuparsi della mente e dei processi che
ne determinano l'attività. Si assiste, dunque, al graduale passaggio dalle teo­
rie comportamentiste al cosiddetto cognitivismo di prima generazione che si
caratterizza per un rinnovato interesse verso lo studio dei processi mentali e
per la tendenza ad associare i meccanismi di funzionamento della mente al
calcolatore. Tale modello, assumendo il computer come riferimento4, ana­
lizza il modo di funzionare della mente umana facendo riferimento ai pro­
cessi di elaborazione dell'informazione che regolano i meccanismi di
funzionamento delle macchine.
Il passaggio dalla concezione comportamentista alle idee cognitiviste è
fortemente favorito dagli studi di Tolman (1948) che introdusse i concerti
di scopi e a spettative e sviluppò l'idea di mappa cognitiva come rappresenta­
zione mentale che l'uomo costruisce dell'ambiente che lo circonda. Con il

4 Il modello di riferimento del nuovo movimemo proposto da Neisser è lo Human ln­


formation Processing, HIP (la mente umana come un elaboratore di informazioni).

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cognirivismo l'attenzione si sposta sul soggetto quale elaboratore della realtà
cin:ostame; assumono maggior rilievo i processi interni di elaborazione e
appresenrazione e l'apprendimento viene ridefinito in relazione alle diverse
componenti cognitive coinvolte. Per i cognitivisti l'apprendimento avviene
grazie a processi cerebrali centrali, come la memoria e le aspettative, che agi­
scono da integratori di un comportamento diretto ad una meta, ad una ri­
srrutturazione percettiva del problema che viene risolto per intuizione: un
apprendimento visto come processo elaborativo, basato su meccanismi e
snaregie di organizzazione e di comprensione (Calvani, Varisco, 1995). La
psicologia cognitivista, va sottolineato, tende a privilegiare lo studio delle
sa:urrure che regolano l'elaborazione dell'informazione, come la memoria a
breve e a lungo termine, e non lo studio dell'apprendimento, inteso come
una modifica del comportamento. Questa tipologia di ricerca, infatti, è più
ricina agli studi sull'intelligenza artificiale e ai programmi pensati per simu­
lare con il calcolatore i processi cognitivi che caratterizzano la complessità
del pensiero umano.
Il primo a formulare esplicitamente i principi del cognitivismo fu Neisser
(1967) il quale, attraverso una ridefinizione dei processi di memoria, dimostrò
che gli individui non si limitano ad associare dati ma, al contrario, li inseri­
scono in schemi o strutture cognitive che consentono di costruire un sistema
organizzato di conoscenze. Allontanandosi da una visione associazionistica,
�eisser evidenzia la centralità dei processi di costruzione e di elaborazione
mentale, sostenendo che i soggetti inseriscono le informazioni in strutture
cognitive con cui creano sistemi organizzati di significati. Questi processi si
fondano sulla concezione di modello, ovvero una rappresentazione sempli­
ficata della realtà, analoga alla mappa cognitiva, anch'essa intesa come una
rappresentazione mentale che l'individuo costruisce del mondo circostante
e su una concezione di uomo come soggetto che attivamente elabora infor­
mazioni provenienti dal mondo circostante (Norman, 1975). Per poter im­
parare, è innanzitutto necessario saper codificare, immagazzinare, integrare
e ricordare un set d'informazioni: si verifica apprendimento allorquando si
elabora l'informazione. Se l'apprendimento dipende dalle informazioni che
vengono elaborate, la progettazione dei contenuti formativi dovrà tener
conto della necessità di assicurare tale trasferimento nel modo piì.1 efficace
possibile. I sistemi di istru�ione che si fondano su questo approccio, quindi,
si focalizzano sulla trasmissione di modelli mentali da seguire e assume ri­
lievo il percorso individuale di apprendimento.

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�ella suutturazione del pensiero assume grande importanza il linguaggio
auaTI:rso il quale si attiva il processo di collaborazione e si realizza la co­
municazione e lo scambio dei punti di vista. Il contributo più significativo
� concezione del ruolo primario del linguaggio nello sviluppo mentale,
d'organizzazione delle attività e nelle funzioni comunicative è stato senza
dubbio quello di Vygotskij (1934). Il linguaggio rappresenta il passaggio da
furme di attività sociale a forme di attività interamente individuale; ha im­
mediatamente una funzione sociale e solo in seguito diviene strumento di
pensiero. Il linguaggio è strumento di comunicazione funzionale alla manife­
SGl'.Zione del proprio pensiero agli altri individui ed è anche strumento di re­
tolazione del proprio comportamento a seguito di strategie e regole. Per lo
sriluppo e l'interiorizzazione di tali funzioni cognitive e psichiche è fonda­
mentale l'interazione con il contesto sociale, con l'ambiente esterno.
La dimensione socio-culturale e lo sviluppo cognitivo sono strettamente
correlaci e le stimolazioni esterne giocano un grandissimo ruolo nella pro­
mozione e quindi nella possibilità dello sviluppo dell'intelligenza. Per Vy­
gorskij sono presenti nel bambino due fasi di sviluppo, uno effettivo, l'altro
potenziale: quello effettivo è un livello di sviluppo delle funzioni psico-in­
relleuive che è raggiunto come risultato di uno specifico processo di sviluppo
già compiuto; quello potenziale è connesso al rapporto tra pensiero e lin­
guaggio e, quindi, alla possibilità di interagire con l'esterno. Tutte queste ri­
flessioni hanno portato alla definizione della zona di sviluppo prossimale
descritta da Vygotskij (1978) come "la distanza tra il livello reale di sviluppo
determinato da un problem solving individuale e il livello di sviluppo poten­
ziale determinato dal problem solving sotto la guida di un adulto o in colla­
borazione con più pari capaci". La zona di sviluppo prossimale, in altri
termini, è quell'area cognitiva di supporto esperto fornita dall'adulto nella
quale il bambino può spingersi oltre il suo livello di conoscenza attuale. Il
cosuuttivismo sociale di Vygotskij pone le basi teoriche per passare da una
scuola in cui le attività sono centrate sulla trasmissione delle conoscenze ad
una in cui l'allievo diventa attivo protagonista, colui che ricercando scopre,
riscopre, negozia, discute, costruisce con gli altri.
Partendo dalle teorie sviluppate da Vygotskij, Bruner sviluppa una visione
in cui la cultura gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'individuo:
i processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza sono modellati
dai contesti culturali all'interno dei quali si producono. Per Bruner, dunque,
qualsiasi atto di conoscenza nasce dalla mente che crea la cultura ma, allo

23
stesso tempo, la cultura in cui sono espresse le conoscenze stesse crea a sua
volta la mente. Nell'elaborazione delle informazioni risulta determinante
l'interazione sociale. Lo psicologo americano sostiene, infatti, che l'appren­
dimento è essenzialmente un'attività che si svolge in una comunità e nasce
attraverso conversazioni, confronti, discussioni. Con la svolta contestualistica
(Bruner, 1990) l'ambiente non rappresenta una variabile indipendente della
mente e dei suoi processi ma ne costituisce parte integrante. Lo sviluppo dei
processi cognitivi è mediato, dipendente dall'interazione sociale del soggetto
con gli agenti della cultura di riferimento. [apprendimento è considerato
come fenomeno situato, attivo, interattivo e intersoggettivo (Brown, Collins,
Duguid, 1989; Lave, Wenger, 1991; Bruner, 1996).
Il contesto ambientale può determinare rallentamenti o accelerazioni
dello sviluppo cognitivo che si esplica, comunque, mediante tre diversi mo­
delli di rappresentazione della realtà (Bruner, 1968) interdipendenti e com­
presenti nei diversi momenti della vita dell'individuo: nel primo, quello
esecutivo, prevale il pensiero centrato sull'azione (si impara a fare una cosa
attraverso la pratica e la sperimentazione) e il bambino acquisisce il controllo
degli eventi attraverso l'azione e lo sviluppo delle capacità motorie; il se­
condo (iconico) è all'origine dell'apprendimento per osservazione (si impara
guardando fare qualcosa e imitando l'azione); il terzo (simbolico) permette
la condivisione dei significati attraverso l'uso di simboli condivisi e lo svi­
luppo del linguaggio.
[approccio bruneriano attribuisce al contesto culturale di appartenenza
il compito di favorire lo sviluppo degli schemi cognitivi che stanno alla base
del conoscere e della stessa esperienza. Il patrimonio culturale (credenze, re­
gole, valori e visioni del mondo) deve essere valorizzato attraverso l'organiz­
zazione dei processi formativi. Alla scuola, dunque, Bruner affida un ruolo
essenziale perché essa, quale luogo deputato all'educazione-formazione-istru­
zione, deve essere in grado di favorire in ciascuno l'originale e personale pro­
duzione culturale. Nella tabella che segue (Tab. 1. 1) viene proposto un
quadro di sintesi relativo alle relazioni tra gli approcci alla conoscenza e le
relative concezioni dell'insegnamento.

24
Conoscenza come ... Insegnamento come ... Approccio

... quantità di contenuti


... prodotto che viene trasmesso. Comportamentismo
da trasmettere.
stato cognitivo riflesso nei ... strategie d'istruzione volte a
Cognitivismo (HIP)
I. .
. comportamenti e negli schemi. modificare gli schemi.

accompagnamento dello studente


l ·:: signi�cati cost�uiti �ttraverso
con strumenti e risorse all'interno Costruttivismo
hnteraz1one con l ambiente.
I di un ambiente stimolante.

I ... adozione delle credenze, partecipazione alle attività quoti­


Costruttivismo
1 delle pratiche, delle idee di un diane di una comunità che ap•
socio-culturale
uppo. prende.
I gr
Tab. 1.1: approcci alla conoscenza e concezioni dell'insegnamento
(adattato da Cattaneo, 2010)

1.3 Insegnamento e approcci metodologici

Un ambiente d'apprendimento efficace, soffermandoci per il momento a ri­


flettere sulle possibili caratteristiche qualitative, dovrebbe offrire rappresen­
tazioni poliprospettiche della realtà, aiutare a decodificare e a rappresentare
1a complessità del mondo reale evitandone le semplificazioni, valorizzare la
costruzione a discapito della riproduzione, sollecitare lo svolgimento di com­
piti autentici e contestualizzati (Jonassen, 1994); un ambiente d'apprendi­
mento opportunamente predisposto dovrebbe anche favorire la soggettività
e l'espressione individuale, la collaborazione e l'espressione collettiva, il coin­
volgimento e l'esperienza diretta, l'autonomia e la responsabilità delle scelte.
La figura d'insegnante che ne scaturisce è quella di un professionista che di­
venta regista e guida, facilitatore e catalizzatore dei processi d'apprendimento
che si sviluppano nell'ambiente formativo. In esso tutti gli attori interagi­
scono intenzionalmente utilizzando differenti canali comunicativi: il docente
diventa una sorta di" broker dell'informazione" (Ghislandi, 1995) capace di
organizzare, recuperare e proporre un gran numero di oggetti culturali che
permettano di presentare i contenuti di conoscenza in maniera efficace e te­
nendo conto delle caratteristiche cognitive e socio-affettive di ciascuno degli
allievi.
Partendo da queste premesse, cerchiamo di focalizzare la nostra atten­
zione sulle modalità operative anraverso le quali l'insegnante persegue le fi-

25
processi di apprendimento, attraverso una mediazione dì natura formativa
che permette al docente dì individuare le strategie più idonee per regolare
la distanza analogica tra il contenuto culturale e il soggetto che apprende
{Damiano, 1993), tra la struttura logica e sintattica delle discipline e la
mente degli allievi. Legittima e giustifica la mediazione didattica l'intera­
zione comunicativo-relazionale insegnante-allievo-contenuti che, in ambito
educativo, si traduce in un processo continuo ed intenzionale atto ad indi­
viduare, organizzare, realìzzare situazioni di apprendimento motivanti e
coinvolgenti in un clima di stima reciproca, di accettazione, di rispetto della
soggettività, di superamento di atteggiamenti egocentrici.
I.:apprendimento è un processo attivo in cui il significato si sviluppa sulla
base dell'esperienza (Bednar, Cunningham, Duffy, Perry, 1991). In ambito
formativo, lo scopo è di favorire nell'allievo la capacità di comprendere, cioè
di raggiungere quella padronanza di concetti, principi e abilità e quella di­
sponibilità emotiva che gli consentano di affrontare problemi e situazioni
nuove (Gardner, 1993). Ogni intervento didattico assume peculiari modalità
metodologiche, richiede scelte idonee per adeguare i contenuti culturali ai
soggetti in apprendimento. Regolare la distanza tra il contenuto culturale e
il soggetto che apprende comporta sempre una forma di rappresentazione
del reale strutturato, un processo di metaforizzazione attraverso il quale è
possibile "proteggere il soggetto in apprendimento dai rischi dell'esperienza
diretta, sostituendo l'Oggetto Culturale con segni appropriati e corrispon­
denti. In questa chiave, l'insegnamento viene definito come mediazione,
anzi, più precisamente come azione che produce mediatori: azione poietica,
quindi, in termini aristotelici, i cui prodotti sono appunto i mediatori, non
rapprendimento, direttamente, perché questo discende dall'azione esercitata
su se stesso da parte di un altro soggetto, quello in formazione" (Damiano,
1993, p. 214). Possiamo parlare di apprendimento quando una nuova co­
noscenza riesce a modificare un comportamento (cognitivo e culturale) ed
aiuta, se utilizzata per pensare e fare, ad ordinare l'esperienza e ad orientare
razione. In questo risiede il ruolo centrale dell'azione didattica: mediare tra
il sapere esperto (disciplinare) ed il sapere empirico (esperienziale) dello stu­
dente attraverso attività a tal fine progettate, organizzate e realizzate.
Cazione di insegnamento, in quanto azione poietica, chiama in causa le
qualità professionali dell'insegnante che deve favorire il dialogo e la parteci­
pazione utilizzando modalità e codici comunicativi diversi, segni e strumenti
con la funzione di agire da tramite per agevolare la ricostruzione individuale

27
sperimentata [ ...]. Questa prospettiva assegna all'insegnante il compito di
allesrire [ ... ] situazioni di apprendimento preparando compiti sfidanti,
.adatti a stimolare gli studenti, assicurando la disponibilità delle risorse ap­
prendirive ed oggettive necessarie ad affrontarli" (Maccario, 2012, p. 110).
Ogni metodologia utilizzata deve in ogni caso compenetrarsi con quella che
è la dimensione operativa dell'apprendimento (il fare e il saper agire), deve
incentrarsi sul metodo della ricerca, della scoperta, sempre privilegiando la
furma esperienziale e concreta. Allestire e gestire ambienti e situazioni di ap­
prendimento efficaci significa allora progettare esperienze nelle quali gli al­
lievi, da soli o in gruppo, costruiscono la loro personale ma significativa
esperienza. Bisognerà, in ogni caso, avere ben chiara la mappa concettuali'
dell'oggetto culturale che ci si avvia a presentare, discutere ed approfondire.
La rappresentazione grafica dei concetti "è un modo per far emergere i
significati insiti nei materiali da apprendere" (Novak, Gowin, 1989) che sti­
mola gli allievi a riflettere sulla natura delle conoscenze e sulle relazioni esi­
stenti tra di esse. Un concetto non è semplicemente la somma delle
informazioni che lo definiscono bensì lo schema delle reciproche relazioni
semantico-organizzative che lo costituiscono. La conoscenza è organizzata
in schemi, strutture di dati che rappresentano concetti generici immagazzi­
nati nella memoria (Ausubel, 1968). Essi sono gli elementi essenziali su cui
si basa l'elaborazione delle informazioni (teoria degli schemi anticipatori). Per
decodificare ed interpretare un'esperienza/ situazione gli elementi dello
schema aiutano a fare inferenze e attivano i sub-schemi ai quali sono con­
nessi. Questi schemi sono tanto più articolati quanto maggiore è la cono­
scenza di cui un individuo dispone; quanto più elaborata è la nostra
conoscenza tanti più schemi vengono attivati nella interpretazione della si­
tuazione.
I nuovi oggetti di cultura devono essere presentati facendo riferimento
al bagaglio di conoscenze già possedute dal discente (la matrice cognitiva?);
solo in questo modo è possibile favorire un processo di elaborazione cogni­
tiva efficace, un apprendimento che Ausubel definisce significativo e che, in
prospettiva circolare, permette di arricchire la struttura degli schemi pree-

6 Per una trattazione esaustiva, cfr. il terzo paragrafo del secondo capitolo.
7 Con il termine "matrice cognitiva'' ci si riferisce agli schemi di assimilazione preesistenti
nell'alunno e a partire dai quali potrà essere organizzata la nuova conoscenza stabilendo
i collegamenti appropriati: le conoscenze valide e durature sono quelle che si integrano
in un quadro concettuale. Ne riparleremo nel prossimo capitolo.

29
Apprendimento
per riproduzione

Relazione con la
matrice cognitiva

�-\pprendimento Apprendimento
meccan.ICO significativo

Modalità
di approccio

Apprendimento
per scoperta

Fig. 1.1: domini cognitivi attivati e tipologie di apprendimento

l'appropriazione del contenuto e alla sua assimilazione. Lo studio delle ma­


rerie avviene per assimilazione, mentre nella vita reale i problemi si risolvono
con la ricerca personale, tuttavia esistono delle sovrapposizioni in ragione
delle quali le conoscenze acquisite per ricezione vengono anche impiegate
per risolvere problemi e ciò che si apprende con la scoperta si può utilizzare
per ampliare, integrare, le proprie conoscenze.
I..:apprendimento per ricezione si presenta più tardi nello stadio evolutivo
e, soprattutto se ci riferiamo alle forme verbali, necessita di un livello supe­
riore dì maturità cognitiva; la conquista di concetti con approccio induttivo
è tipica della prima infanzia e del periodo pre-scolastico. Essa risulta da pro­
cedimenti di esperienza empirico-concreta ed esemplifica le prime fasi del
processo di informazione mentre l'assimilazione dei concetti, che richiede
la comprensione e la verbalizzazione senza l'apporto dell'esperienza concreta,
esemplifica le fasi successive. Se l'obiettivo dell'azione didattica è quello di
permettere lo sviluppo di una organica padronanza dei sistemi simbolici,

31
A ral riguardo Damiano (1993) richiama la necessità di introdurre "correttivi
- come la discussione collettiva finalizzata a negoziare parole, esperienze e
significati -, integrazioni - come il ricorso regolare ad altri mediatori didat­
òci più vicini all'esperienza, da quelli attivi a quelli iconici ed analogici e
disposizioni organizzative tali da collocare la lezione nei momenti più con­
geniali dell'azione d'insegnare, segnatamente al termine dell'itinerario,
quando si tratta di concludere e ordinare sistem�ticamente il materiale in­
furmativo raccolto" (p. 228).
La spiegazione costituisce la modalità più diffusa e tradizionale della di­
dattica. Si basa sull'asimmetria della relazione da chi conosce di più e tra­
smette (docente) a chi sa di meno e apprende (discente). Per poter realizzare
una lezione è necessario avere conoscenza e padronanza dei contenuti non­
ché abilità didattica sulla base di una buona competenza professionale. Que­
sra strategia risuona efficace ed adeguata a qualsiasi età scolastica. La lezione
consente di presentare in maniera sistematica, efficiente (in rapporto alla
'\"'3.Ilabile tempo impiegato) e ad un ampio numero di studenti, un numero
consistente di dati ed informazioni; si fonda sull'ascolto attivo da parte degli
allievi e risponde ad una visione trasmissiva della conoscenza in linea con i
principi del comportamentismo, per cui a fronte di uno stimolo (la lezione)
il docente attende una reazione (la risposta dello studente) che può essere o
meno rinforzata (la lode o un buon voto). La lezione, dunque, si caratterizza
per una situazione in cui un esperto che possiede informazioni sui concetti
e sulla struttura della conoscenza comunica in maniera unidirezionale con
un novizio che è sprovvisto di tali informazioni. Tale metodo risulta centrato
sul docente, in quanto parte attiva sia in fase di preparazione che di eroga­
zione e valutazione, rispetto ad una relativa passività degli studenti (Ligorio,
Cacciamani, 2013). Anche se il proposito è di socializzare e trasmettere a
rurri gli stessi contenuti, non sussiste alcuna garanzia che ciò si verifichi per­
ché non tutti gli studenti ascoltano e comprendono le stesse informazioni
(Brandsford, 1979). In effetti, una delle principali critiche sollevate nei con­
fronti di questo tipo di strategia è quella di creare una situazione di parteci­
pazione passiva da parte degli studenti e, soprattutto, di partire dall'idea che
gli alunni recepiscano allo stesso modo i contenuti presentati dal docente. In
questo senso un importante contributo proviene da Ausubel (1968) il quale
sosreneva come la spiegazione dovesse essere strutturata considerando le co­
noscenze pregresse e la capacità di ascolto attivo degli studenti, nonché la
loro capacità di riorganizzare le informazioni e rielaborare personalmente i

33
processi di interazione nel gruppo, risulta motivante anche se non sempre
ii_ cie:sce a stimolare l'interesse di tutti gli allievi.
L;rgomentazione e discussione per certi aspetti si contrappone alla spie­
g;zzione perché non segue la direttrice lineare ma stimola la produzione di
amcerri e significati attraverso appunto la discussione e il confronto tra gli
allievi chiedendo ad ognuno di esprimere il proprio parere e giustificare il
proprio punto di vista (Pontecorvo, Ajello, Zucchermaglio, 1991). Ora il
punto di riferimento non è più solo il docente, anzi sono i pari a generare
ìa scimolazione di opinioni (assenza di centralismo del docente).
Con il brainstorming (espressione libera) la sollecitazione a fornire con­
r:riburi significativi aumenta. In questo caso l'insegnante assume una posi­
zione defilata nel gruppo; pur avviando e stimolando il confronto, la
discussione avviene più autonomamente tra gli studenti che partecipano at­
tivamente nella discussione/comprensione del problema. È particolarmente
adarro a stimolare il processo di attivazione delle idee attraverso associazione
analogica e/o per contrasto. In ambedue i casi, un limite è rappresentato dal
ischio di andare fuori tema, di allontanarsi dal focus del confronto.
La scoperta guidata si basa sul concetto di apprendimento espresso da
Dewey (1902) ma rielaborato. Callievo viene posto in primo piano e lo si
lascia scoprire da solo. Seppure il docente rimane sullo sfondo, egli è tenuto
a non far giungere lo studente a conclusioni sbagliate attraverso una guida
sr:rategica. Egli non deve risultare né troppo intrusivo, né troppo assente, né
r::oppo facilitatore. Le informazioni non devono essere date ma scoperte.
L insegnamento reciproco si basa sull'attività di gioco che gli studenti atti­
�"'allo per emulare il docente (Brown, Palincsar, 1987). Con questa strategia
si invitano gli studenti a turno a recitare la parte dell'insegnante in modo
tale da mettere a confronto diversi punti di vista, e nell'organizzare le cono­
scenze queste assumono un aspetto più chiaro. Un modo per poter mettere
in campo e realizzare questa strategia consiste nel comporre gruppi di alunni
con conoscenze, abilità e competenze diverse in modo che i soggetti siano
interdipendenti. Si ispira al role playinge pertanto sarà l'insegnante a orien­
tare l'azione sulla base delle potenzialità di ognuno.
Nella correzione reciproca (svolta in coppia dagli alunni) l'allievo esperto
in un certo campo assume il ruolo di tutor rispetto al compagno. In questo
caso il ruolo costruttivo del soggetto si costituisce all'interno di una relazione
dinamica di natura simmetrica.
Nel problem solving il percorso formativo non si concentra e non si esau-

35
risce nella lezione ma si sviluppa in successive fasi di indagine e di elabora­
zione di gruppo e/o individuale, di informazioni da parte dell'insegnante,
di discussioni tese a sollecitare specifici processi di riflessione e approfondi­
mento centrati sulla risoluzione del compito di apprendimento. La risolu­
zione di problemi è una strategia che coinvolge i modi di pensare e
apprendere. "Saper risolvere problemi [ ... ] induce forti cambiamenti e svi­
luppa processi di ragionamento e metacognitivi più sofisticati sia per l'esplo­
razione dei dati disponibili sia per la valutazione delle ipotesi prodotte"
(Baldassare, Ligorio, Zaccaro, 2001, p. 139). LÌnsegnante funge da cataliz­
zatore, interviene in maniera opportuna durante lo svolgimento del compito
per favorire la velocità e la potenza delle soluzioni individuate suggerendo
proposte, piste di indagine. Le attività ed i materiali vanno organizzati pre­
ventivamente in maniera pertinente, prevedendo possibili ampliamenti legati
alle richieste/interrogativi dei discenti in grado di supportare le diversificate
ipotesi operative secondo le necessità. Si possono distinguere le seguenti fasi
nella sua realizzazione: analisi del problema; suddivisione razionale del lavoro
di raccolta delle informazioni tra i membri del gruppo di lavoro; condivi­
sione delle informazioni; formulazione delle ipotesi; verifica delle ipotesi;
formulazione di un nuovo problema. I punti di forza sono costituiti dalle
interazioni sociali, dalla qualità delle attività di analisi, dall'approccio euri­
stico e dal confronto delle ipotesi che si individuano/costruiscono in un pro­
cesso continuo di interscambio tra i soggetti coinvolti. Tale metodologia, va
comunque detto, abbisogna di tempi lunghi e distesi.
Nello studio di caso l'insegnante descrive, nella fase iniziale, una situazione
problematica che presenta dettagli sufficienti perché gli allievi, secondo un
approccio euristico, possano determinare un'azione appropriata da intra­
prendere per la sua risoluzione. Lo scopo è quello di stimolare, attraverso la
formulazione di problemi e la messa in discussione di dati e proprietà di un
oggetto, ipotesi alternative (problem posing, problem solving) per l'individua­
zione di una soluzione coerente con le caratteristiche/proprietà dell'evento
analizzato (il caso). Questo approccio, riallacciandosi alle esperienze e alle
conoscenze dei discenti, simula la realtà e, proprio per questo, riesce a coin­
volgere in maniera attiva quanti partecipano all'attività spingendoli ad ap­
plicare la teoria nella pratica. Linsegnante, dopo la presentazione del caso,
formula domande-stimolo e cerca di catalizzare i contributi degli studenti
adattandoli flessibilmente alla situazione. I punti di forza, come per il pro­
blem solving, risiedono nella forte caratterizzazione interattiva dell'approccio,

36
nella capacità di attivare processi di rilevazione e selezione dei dati più
im­pananti tra quelli proposti, di identificazione delle relazioni tra essi, di
ana­lis:i ed interpretazione complessive, di discussione e di confronto fra le
diverse ipotesi e le possibili opzioni di soluzione. Linsegnante, per poter
narrare i asi, deve essere in grado di attivare e mantenere alta l'attenzione
delr ascol­arore. Per Schank (1995) un buon insegnante è anche un buon
narratore. _\!:che in questo caso, la metodologia abbisogna di tempi lunghi
e distesi.
Nell'apprendimento cooperativo gli alunni "apprendono cooperando in
gruppo" per il conseguimento di un obiettivo comune (Slavin, 1983; Kagan,
2000). Con questa metodologia si tende a creare un contesto educativo non
competitivo centrato su gruppi di lavoro eterogenei, con responsabilità dif­
fusa tra i membri ed interdipendenza positiva dei ruoli. 'Tinterdipendenza
positiva consiste nello stabilire tra gli studenti dei rapporti tali per cui
nes­suno possa riuscire individualmente se non con il successo
dell'intero gruppo" Qohnson & Johnson, Holubec, 1996, p. 25) e
promuove situazioni in cui gli allievi lavorano insieme condividendo le
risorse e fornendosi un reciproco supporto (scajfoldint'). Nel gruppo ogni
allievo, godendo della possibilità di confronto con gli altri componenti,
discute, si misura con i compagni, sviluppa la propria capacità di
analizzare situazioni complesse, di scegliere le linee di azione più adeguate,
di individuare soluzioni. Lap­prendimento cooperativo induce
atteggiamenti attivi e sollecita l'interazione sociale come modalità per una
rielaborazione del sapere a livello interperso­nale che sostiene e facilita la
rielaborazione personale. All'insegnante è affi­dato il ruolo di organizzare i
materiali e definire le regole, i tempi e i ruoli degli studenti; durante la fase
esecutiva, può osservare i comportamenti ed analizzare, attraverso la lettura
delle ipotesi, delle spiegazioni e delle proposte che gli alunni portano ai loro
argomenti, le capacità di operare feedback, i processi sottostanti e i modi
personali di concretizzarli. Alcune criticità ri­siedono nei rischi connessi
all'autonomia affidata ai gruppi e alla difficoltà, spesse volte, di rimanere
centrati sul compito.
Linsegnante, dunque, ha a disposizione una pluralità di metodi che,
coe­rentemente con le scelte progettuali e tenendo conto della situazione di
par­tenza degli alunni (la matrice cognitiva), può di volta in volta
scegliere di
terazione con il bambino con effetto strutturante l'acquisizione di competenze e abilità
da parte di questi.

8 La nozione di scaffeiding concettualizza la funzione tutoriale dell'adulto nella sua in­


37
l.4 Apprendere per competenze

Il rennine competenza deriva dal verbo latino competere (composto di eon­


e p,ttere '·chiedere, dirigersi", propriamente "andare, chiedere insieme") ed
indica, in senso generale, un insieme di attribuzioni inerenti una mansione
o un compito, la piena capacità di orientarsi in determinati campi, nonché
!a. quantità di potere di azione propria di una singola persona. L aggettivo
_--;rr:petente descrive chi è capace di compiere una data attività e/o svolgere
un daro compito; il verbo competere significa sia gareggiare, concorrere, mi-
5illarSÌ, sia dirigersi insieme verso qualcosa, mirare ad un obiettivo comune,
saper applicare ed usare in situazione. Cercare di dare una definizione unica
e completa a tale concetto è un'impresa ardua, essa varia a seconda del con­
testo e, in ambito scolastico, della dimensione disciplinare (e della peifor­
mance richiesta) a cui si fa riferimento. Si tratta di un concetto complesso
.::he si riferisce a qualcosa che si colloca nel profondo della soggettività anche
se determina una molteplicità di comportamenti osservabili oggetto di ri­
cerca e di una ricchissima letteratura da molti anni. Il termine competenza
presenta due connotazioni differenti: la prima riguarda le capacità, le abilità
e le conoscenze che un soggetto possiede rispetto ad un determinato campo
e quindi la sua esperienza in merito; il secondo significato è conseguente e
di tipo amministrativo-giuridico, ovvero il potere che un soggetto ha, ri­
spetto alla sua posizione, di emettere giudizi. Questo duplice significato
rende la definizione del termine ancora più difficile. Le Boterf (1992) parla,
a tal proposito, di un camaleonte concettuale. Questo modo di intendere le
competenze è intuitivo e tutti coloro che si riconoscono in tale concezione
ritengono che in una prestazione entrano in gioco tre grandi categorie di
fattori: le conoscenze, le capacità, le caratteristiche personali9. Le competenze
intese in questo senso sono il risultato di azioni compiute, di compiti svolti
dei quali tendiamo ad attribuire l'origine ad una qualità che l'individuo pos­
siede. Sarebbe quindi più corretto parlare di azioni competenti in quanto
solo dopo lo svolgimento di un'azione, dopo un risultato o esito possiamo
constatare e/o verificare il possesso di competenze. In questa prospettiva le
conoscenze, le capacità e le caratteristiche individuali possono essere messe
in gioco in differenti contesti; ciò che varia è soltanto il livello qualitativo
della prestazione individuale.

9 Per capacità si intende la disponibilità di tecniche e di metodologie operative, mentre


le caratteristiche personali variano a seconda degli approcci: doti, disposizioni, attitu­
dini, risorse.

39
La competenza, in prima iscanza, può essere definita come la capacità di
svolgere un compito in maniera soddisfacente, di applicare le conoscenze
acquisite in situazioni pratiche, di risolvere situazioni problematiche e/o pro­
durre soluzioni od oggetti nuovi (Notti, 2002). È il momento della decisione
ad assumere significato, spostando la discussione dal problema riscontrato
alla soluzione adottata per risolverlo. La competenza è una caratteristica con­
naturata alla natura dell'individuo, costituita dall'insieme di conoscenze,
esperienze finalizzate e capacità. Si esprime attraverso comportamenti e ne­
cessita per esprimersi di una motivazione e di un contesto. La caratteristica
del contesto è la cultura organizzativa. Lazione combinata di motivazione e
contesto fa assumere alla competenza il suo carattere soggettivo di consape­
volezza di possibilità di controllo sull'ambiente esterno (Levati, Sarao, 1998).
Numerose, in ambito professionale, sono le definizioni del concetto. Per
Quaglino (I 990) va intesa come la qualità professionale di un individuo in
termini di conoscenze, capacità e abilità, doti professionali e personali. Per
Meghnagi (1992) essa è l'elemento portante di un'azione che si qualifica per
la sua pertinenza rispetto alle situazioni e per la sua efficacia rispetto alle
questioni da affrontare. Secondo Le Boterf (I 992) essa è costituita dalla
combinazione di conoscenze, capacità e comportamenti messi in atto in un
contesto professionale.
È possibile, in ambito educativo, far risalire il concetto di competenza al
modello educativo delle scuole attive che, ponendo al centro di ogni attività il
fare in situazione, sostenevano la centralità dell'allievo quale attivo protago­
nista in grado di sviluppare strategie di pensiero e mobilitare le proprie cono­
scenze in situazioni concrete. Successivamente il termine è stato utilizzato, in
prospettiva cognitivista prima e socio-costruttivista poi, per indicare i processi
mentali interni ad un soggetto considerato capace di analizzare una situazione
problematica ed individuare successivamente gli elementi utili per determinare
in maniera autonoma ed originale un percorso risolutivo efficace.
In ambito internazionale gli studi sulla competenza si sono sviluppati so­
prattutto dagli anni '70 del secolo scorso. In questa sede, e senza alcuna pre­
tesa di esaustività, ci soffermeremo ad esaminare alcuni contributi che
possono aiutare a focalizzare il concetto e, di conseguenza, a suggerire le po­
tenziali ricadute in ambito didattico. Per provare a descrivere il concetto di
competenza, tenendo conto dei vari filoni di ricerca, bisogna utilizzare un
approccio multidimensionale e considerare in un sistema integrato i processi
cognitivi coinvolti. Innanzitutto la competenza suppone una rete di cono­
scenze in relazione ed interazione reciproca che sono di natura: dichiarativa:

40
�cuardano eventi, nomi, significati (know-what); procedurale: si riferiscono
il comefare cioè alle azioni algoritmiche da seguire per svolgere un compito
lmow-how); condizionale o contestuale: designano le condizioni di utilizzo
delle conoscenze dichiarative e procedurali.
Queste conoscenze presuppongono, poi, processi metacognitivi e di re­
golazione metacognitiva 10• Conoscenze e processi costituiscono un sistema
funzionale ed integrato finalizzato alla identificazione, all'analisi e alla solu­
zione di specifici problemi attraverso un'azione consapevole, coerente ed ef­
ficace. I problemi che, di volta in volta, vengono affrontati e risolti, hanno
caratteristiche specifiche e comuni ad altri; in tal senso possiamo anche par­
lare di famiglia di problemi e di situazioni problematiche. Tenendo conto di
quanto fin qui descritto, si propone una prima definizione analitica. Per Gil­
ler (1998) la competenza è un sistema di conoscenze concettuali, procedurali
e contestuali organizzato, anche attraverso la metacognizione, in schemi ope­
rativi di risposta 11 costruiti in base all'esperienza e con l'esercizio (script,
piani di azione) finalizzati ad identificare e risolvere una famiglia di problemi
con un'azione efficace. Accanto agli aspetti cognitivi vanno considerati, poi,
anche quelli affettivi, sociali e sensomotori.
David McClelland (1973) ha formulato una delle prime definizioni di
competenza. Secondo lo psicologo statunitense, l'elemento alla base della
competenza è la motivazione che orienta e catalizza le reazioni di una per­
sona ed è causalmente legata ad una performance efficace in una specifica
situazione12• Il modello proposto da Mc Clelland ha dato luogo a numerose

l O La metacognizione è un costrutto caratterizzato da due dimensioni principali (Flavell,


1976, 1979; Brown, 1978, 1980): le metaconoscenze, cioè le conoscenze che il soggetto
possiede sui processi di pensiero propri e altrui e le regolazioni metacognitive. I.:anci­
dpazione, il controllo e l'adattamento sono i processi di autoregolazione che il soggetto
esercita, in modo più o meno esplicito e consapevole, sulla propria attività cognitiva.
11 'Tinsieme degli schemi disponibili in un dato momento della vita forma[... ] l'habitus
definito come un piccolo insieme di schemi che permettono di generare una infinità
di pratiche adatte a situazioni sempre nuove" (Perrenoud, 1997, p. 30).
12 Alla fine degli anni '60, Mc Clelland viene incaricato di ri-progettare la selezione di
alcuni funzionari diplomatici (Foreign Service lnformation Ojfìcers). Considerando la
scarsa predittività dei test attitudinali fino a quel momento utilizzati Mc Clelland co­
struì un nuovo strumento di selezione partendo dall'intervista ad alcuni diplomatici
di successo procedendo poi alla raccolta di peiformance "virtuose". Dopo aver validato
il nuovo strumento (verificandone l'affidabilità), Mc Clelland verificò sperimental­
mente che la reale differenza tra giovani diplomatici brillanti o mediocri risiedeva non
tanto nelle abilità di tipo cognitivo quanto nell'elevata motivazione al successo.

41
petenze trasversali" indica un insieme di schemi d'azione della persona ap­
plicabili a compiti e contesti differenti 13. "La nozione di competenza implica
per sua natura un adattamento alla situazione contingente e quindi una tra­
srersalità intrinseca. Sarebbe quindi opportuno opporre al concetto di tra­
$'iCISalità quello di trasferibilità" (Trinchero, 2006, p. 6). Il concetto di
nasferibilità sottolinea l'importanza del saper mobilitare le proprie cono­
scenze, del sapere agi.re del soggetto in funzione di uno scopo e in maniera
flessibile. Llstituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale (ISFOL)
definisce le competenze traversali come il patrimonio complessivo di risorse
di una persona nel momento in cui affronta una prestazione personale e/ o
professionale. È possibile individuare, in un'azione svolta in ambito lavora­
rNO, una serie di elementi che possono riguardare sia le attività e i compiti
eseguiti sia le caratteristiche proprie del soggetto che entrano in gioco in si­
ruazione. Il modello messo a punto dall'ISFOL (1994; 1997) suddivide le
competenze in tre diverse macro-aree: "competenze dì base che costituiscono
il --'sapere minimo", sostanzialmente indipendente dai processi operativi con­
creti nei quali il soggetto è impegnato nell'esercizio del suo lavoro[ ... ]; com­
petenze trasversali, quelle che non sono connesse specificamente ad una
determinata attività o posizione lavorativa, ma che entrano in gioco nelle
diverse situazioni e dalla quali dipende largamente la stessa possibilità degli
individui di esprimere comportamenti professionali abili o esperti; compe­
renze tecnico-professionali, l'insieme delle conoscenze e delle capacità con­
nesse all'esercizio efficace di determinate attività professionali nei diversi
comparti/settori" (1997, pp. 49-50). Questo modello richiama l'attenzione
sulle due dimensioni fondamentali della competenza, quella cognitiva e
quella esperienziale. Ma il soggetto opera in uno specifico contesto culturale
e formativo fatto dì molteplici relazioni, regole e procedure, valori e con­
suetudini. Per tali ragioni le competenze dell'individuo vanno riferite al con­
testo in cui vengono espresse costituendo il risultato di un continuo processo
di costruzione operato dall'individuo in relazione all'ambiente in cui agisce.
Il possesso delle competenze trasversali, in particolare, sembra essere ne­
cessario al giorno d'oggi se consideriamo i cambiamenti repentini e le ri-

13 A una stessa competenza sono riconducibili una o più dimensioni operazionalizzabili


(e quindi misurabili) che la caratterizzano o in condivisione con altre competenze. Nel
terzo capitolo tratteremo la valutazione delle competenze. Sul concetto generale di va­
lutazione, invece, si rimanda al terzo paragrafo del secondo capitolo di quesco stesso
volume.

43
dn-enra patrimonio esperienziale della persona. razione competente, se ef­
ncacemente risolutiva, è destinata, per sua stessa natura, ad evolvere in
schemi di comportamento, in patrimonio, cioè, in possesso dell'individuo
che, di fatto, diventa attivo costruttore di conoscenza. Ne consegue che
·quanto più gli apprendimenti acquisiti durante i processi formativi sono
esperti, tanto maggiore flessibilità potrà esercitare il soggetto nell'adeguare
o nel riorganizzare le competenze necessarie a navigare entro gli scenari di
mobilità culturale e professionale, in risposta alle richieste poste oggi a gio­
� e adulti" (Melchiori, 2012, p. 12). Pur nella loro specificità e diversità,
le definizioni proposte fino a questo punto considerano alcuni aspetti che
::x>rremmo definire comuni:

il richiamo alla contestualizzazione delle conoscenze rispetto a specifici


ambienti di apprendimento e/o organizzativi (le conoscenze, per essere
mobilitate in maniera efficace al fine di risolvere un problema, sono
vincolate alla corretta comprensione, da parte del soggetto, del con­
testo in cui agisce);
lo stretto legame causale tra l'efficacia della performance (l'esito finale)
e la competenza agita;
l'importanza delle conoscenze procedurali (lo sviluppo di competenze
è legato agli apprendimenti scolastici ma anche a quelli di natura in­
formale acquisiti in momenti e luoghi diversi);
la valorizzazione della dimensione soggettiva (la dimensione indivi­
duale e di auto-consapevolezza del soggetto chiamato a mettersi in
gioco);
il ruolo svolto dalla effettiva disponibilità di risorse.

Favorire l'apprendimento per competenze, dunque, necessita di una speci­


fica azione didattica; vanno organizzate attività che prevedono il coinvolgi­
mento ed il ruolo attivo, propositivo, riflessivo degli studenti. Il setting
formativo va progettato, tenendo conto di tali caratteristiche di attuazione,
prevedendo metodologie di didattica attiva. Lintero processo, infine, va va­
lutato mediante l'utilizzo di strumenti validi e coerenti con i traguardi for­
mativi prefissati. In definitiva è possibile individuare alcune dimensioni
fondamentali quale prerequisito indispensabile per lo sviluppo di una com­
petenza: le conoscenze acquisite; la capacità di utilizzare le conoscenze tra­
sformandole e contestualizzandole con coerenza in un'azione consapevole;
l'atteggiamento propositivo quale palese obiettivo all'agire per sé, per/con

45
gli altri; il comportamento quale risultato di un'azione strategica pianificata
ed intenzionale.
Un esempio può aiutare a comp rendere il concetto, una storiella che
spesso narro a gli studenti per chiarire il significato profondo della compe­
tenza (Box I. I).

Quattro insegnanti viaggiano insieme in auto per recarsi al lavoro. La scuola è di montagna
e impiegano circa due ore per arrivare. Questo pomeriggio - le vacanze di Natale sono vicine
- è previsto un Collegio dei docenti, si farà tardi. Terminata la riunione, i 4 colleghi si ri­
mettono in auto. È buio da un pezzo. La strada è deserta, chi doveva rientrare a casa è già
in pantofole. All'improvviso Ugo, l'insegnante alla guida dell'utilitaria, avverte una vibra­
zione al volante, l'auto comincia a "tirare" da una parte invece di procedere diritto. Ugo ral­
lenta, accosta e si ferma in una piazzola. Esce dall'auto e ... una ruota bucata!

A parte l'aria umida e l'ora, si trovano anche in una zona non coperta dal segnale di telefonia
mobile. Scendono tutti, bisognerà cambiare la ruota.
Ugo apre il cofano e qualcosa non torna: la ruota di scorta c'è ma del cric nessuna traccia.

Intanto si sta facendo tardi, in un modo o nell'altro dovranno cercare di sostituire la ruota.
Cominciano a discutere e dopo qualche minuto finalmente Lisa "ipotizzà' una soluzione
che è condivisa da Elena, Maria e Ugo. Bisognerà cercare un masso "alto quanto bastà' da
mettere sotto l'auto e un bastone "robusto quanto basta" da utilizzare per sollevare l'auto.
Detto fatto!
Lauto viene sollevata e la ruota sostituita. I 4 colleghi riprendono la strada di casa.

Un anno dopo ....

Uno dei quattro insegnanti, mettiamo Elena, ha cambiato sede di servizio, ma comunque
lavora in una scuola di montagna. Viaggia con altri colleghi e la storia si ripete: è dicembre,
il Collegio dei docenti finisce tardi, sulla strada del ritorno ... un'altra bucatura.Anche que­
sta volta il cric non si trova. Crediamo che Elena, e prima di una nuova discussione, proporrà
di sostituire la ruota utilizzando un masso e un bastone (suggeriremmo a Elena di omettere
di raccontare che la cosa le era già capitata). Anche questa volta la ruota è sostituita e tutti
ntornano a casa.

Box I.I: La metafora del cric

46
Laneddoto ci permette di proporre alcune riflessioni. Innanzitutto la ma­
trice socio-costruttivista dell'interazione: i quattro insegnanti discutono,
fanno simulazioni e ipotizzano soluzioni, alla fine condividono quella che
sembra la migliore. Ma l'ipotesi risolutiva è fondata su conoscenze pregresse;
non sarà infatti sfuggito al lettore o alla lettrice che alla base della soluzione
individuata c'è una conoscenza, il "principio della leva", non certo appresa
con esperienze quotidiane. Andando indietro nel tempo - certamente sarete
d'accordo - quando eravamo alunni di scuola secondaria di I grado, lo ab­
biamo appreso a scuola e forse mai ci saremmo sognati di poter utilizzare
quel costrutto geometrico per risolvere un problema inaspettato come quello
descritto. Quella conoscenza è rimasta magari inutilizzata per tanto tempo,
"cristallizzata" nella mente; poi, ecco l'occasione. Inoltre, anche cercare un
bastone abbastanza robusto da resistere alla forza applicata e un masso "alto"
al punto giusto da poter essere inserito sotto l'automobile prevedendo uno
spazio sufficiente per il bastone hanno richiesto la mobilitazione di altre spe­
cifiche conoscenze.
La seconda parte del racconto ci consente di presentare un ulteriore ele­
mento di riflessione. Elena "ricordavà' una precedente soluzione, uno script
efficace per risolvere un problema "quasi" uguale. Dunque, il tentativo di
risolvere quel problema e le modalità individuate, nel momento della riso­
luzione, sono diventati conoscenze (dichiarative, procedurali e condizionali)
e questo processo esprime uno degli aspetti più importanti della teoria socio­
costruttivisra: la costruzione della conoscenza è situata, ca-costruita ed ogni
attore coinvolto è un attivo costruttore di conoscenza.
Prima di avviarci a concludere il paragrafo, proponiamo un'ultima defi­
nizione di competenza che per Pellerey (2004) va intesa come "la capacità
di far fronte ad un compito, o ad un insieme di compiti, riuscendo a mettere
in moto e ad orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e vo­
litive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo"
(p. 7). È, questa definizione, chiaramente ascrivibile all'approccio socio-co­
struttivista che considera la conoscenza come un processo di ca-costruzione
socialmente situato, negoziato, condiviso e distribuito. Di essa si evidenziano
i principali attributi che ne qualificano il concerto: la capacità di far fronte
a un compito o a un insieme di compiti che presuppone la mobilitazione
del proprio sapere per la risoluzione di situazioni problematiche; la dimen­
sione operativa sottesa al concetto di competenza e l'indissolubile legame
con l'azione; la messa in moto e l'orchestrazione delle proprie risorse interne;

47
1.5 Le teorie organizzative

rapertura dei confini, la modificazione delle categorie di spazio e tempo, la


moltiplicazione degli scambi hanno comportato una vera e propria trasfor­
mazione nella "scala dell'organizzazione della società umanà' (Held, Mc
Grew, 2001). Nell'epoca del "villaggio globale"15 ogni fatto, evento o inter­
vento è correlato sistemicamente ad un insieme che ha le caratteristiche della
interezza e della completezza. L'espressione rimanda poi al concetto di com­
plessità giacché i suoi elementi costitutivi danno luogo, nel loro reciproco
imeragire, ad una totalità ben diversa dagli elementi stessi che la compon­
gono. La complessità della società contemporanea è data dalla varierà, di­
namicità, contraddittorietà delle sue parti costitutive e al tempo stesso dalla
loro interdipendenza. Ogni attività umana organizzata richiede operazioni
che, nella sostanza, attengono alla suddivisione del lavoro in varie funzioni
e al coordinamento delle funzioni per lo svolgimento delle attività.
Lorganizzazione ha rappresentato e rappresenta il mezzo che ci consente,
se non di controllare, quanto meno di non farci del tutto sovrastare da essa
e per rendere meno "dispersiva e caotica la vita" (Dewey, 1983). La sua strut­
tura può essere definita il sistema complessivo della suddivisione di un lavoro
in funzioni distinte e il successivo coordinamento di tali funzioni (Cipolla,
2004).
Ma cos'è un'organizzazione? Per Mintzberg (1985, p. 37) è "il complesso
delle modalità secondo le quali viene effettuata la divisione del lavoro in
compiti distinti e quindi viene realizzato il coordinamento fra tali compiti".
Organizzare un'attività, in tal senso, significa individuare un set di strumenti
che, per il conseguimento degli obiettivi prefissati, influenza ed indirizza i
comportamenti delle persone. Le organizzazioni, poi, sono unità sociali o
raggruppamenti sociali deliberatamente costruiti per perseguire un fine spe­
cifico che, in sintesi, legittima l'esistenza dell'organizzazione e giustifica le
sue stesse attività. In ogni realtà organizzata si generano operazioni che ri­
spondono, seppur non esclusivamente, a principi e logiche economiche; le
risorse di ogni genere riunite a sistema e combinate all'interno dell'organiz­
zazione sono senz'altro strumentali al raggiungimento delle finalità sue pro-

15 La locuzione villaggio globale è stata usata per la prima voi ta nel 1964 da Marshall
McLuhan nel libro Understanding Media: The Extensions ofMan, 1st Ed., McGraw
Hill, New York.

49
Le teorie dassiche o oggettive si sviluppano nei primi trent'anni del XX se­
.:::nlo ed hanno come obiettivo quello di suggerire strumenti per migliorare
fettìcienza della produzione. Un tratto comune di questi primi approcci è
appresentato dal paradigma della razionalità assoluta che, coerentemente
con il clima culturale dell'epoca e dell'impostazione filosofica positivista, ri­
reneva possibile individuare soluzioni certe e definitive. In questo periodo,
in.furti, si diffondono grandi concentrazioni capitalistiche ed enormi entità
produttive non più gestibili attraverso modalità di lavoro di tipo artigianale.
Parallelamente è avvertita la necessità e l'esigenza di razionalizzare con nuove
regole gli ambienti di lavoro. Il riferimento di base è la macchina organiz­
za.riva e la standardizzazione dei processi lavorativi (ad esempio la catena di
montaggio). Lorganizzazione è tanto più efficiente quanto più si è in grado
di individuare meccanismi utili a scomporre il processo produttivo. Conse­
guentemente è facilitato il compito di determinare le situazioni ed i problemi
che si possono verificare e, rispetto a questi, prevedere/trovare le giuste so­
luzioni creando di fatto una routine organizzativa. In tal senso il primato è
riconosciuto all'organizzazione più che alle persone. Uno dei riferimenti
principali di tali teorie è il modello burocratico ideato da Max Weber l6•
Nella burocrazia, intesa come apparato amministrativo per l'esercizio del-
1' autorità legale, Weber individua la forma fondamentale di organizzazione
delle imprese che operano in base a norme universalistiche e con finalità ra­
zionalizzatrici. Compiti, poteri e diritti di ciascun lavoratore devono essere
chiari e precisi. Le considerazioni successive determinano quindi le caratte­
ristiche della burocrazia quali la divisione del lavoro disciplinata e coordinata
in funzione delle competenze, la dipendenza gerarchica delle unità organiz­
zative, un sistema di regole finalizzate a garantire uniformità e continuità,
le prestazioni lavorative collegate alla qualificazione professionale e all' espe­
rienza.
Dalla fine degli anni '20 si svilupparono negli Stati Uniti le teorie moti­
vazionali o soggettive. Gli studi che si rifanno a tale orientamento sono volti
specificamente ad indagare i meccanismi motivazionali, i cui punti focali
sono l'accettazione, la gratificazione sociale e l'autorealizzazione. Tutte queste
indagini riconoscono innanzitutto il primato da un lato agli aspetti psico-

16 Wirtschaft und Gesellschaft è un'opera incompiuta, pubblicata postuma, nel 1922, due
anni dopo la morte dell'autore in cui si delinea il modello idealtipico della burocrazia,
la cui ascesa è legata all'affermarsi del capitalismo industriale. I.:edizione italiana Eco­
nomia e società è pubblicata dalle Edizioni di Comunità (.Milano) nel 1961.

51
a2 i ripi di condotte di colui che guida un gruppo e i comportamenti dei
:IIIICllbri dello stesso gruppo, individua tre diversi stili di leadership: demo­
omeo decisione condivisa delle attività, della disrrìbuzìone dei compiti, di­
s:msione di obiettivi, ascolto delle proposte, ecc.), laissez faire (il leader
imatorma solo su richiesta, relativamente alle risorse, ad obiettivi ed attività
eri:rando suggerimenti a sostegno in caso di difficoltà) e autoritario (le deci­
siiooi sulle attività da svolgere, sui compiti, sull'assegnazione di premi/ puni­
zioni sono assunte senza spiegare i criteri, e secondo risoluzioni unilaterali) 17•
La leadership è democratica, dunque, quando pone non solo grande atten­
zione ai processi comunicativi ma, al contempo, incoraggia la partecipazione
ed è percepita quale portatrice di valori di giustizia, equità e trasparenza nelle
decisioni, sinceramente preoccupata dei problemi dei lavoratori anche
quando questi sono di natura non propriamente lavorativa. A partire dagli
anni '50 del secolo scorso, lo sviluppo di queste ricerche favorisce la nascita
èdle teorie contingenti.
Prima di affrontare ed approfondire questo nuovo approccio teorico al
-::,m organizzativo, può essere proposto al lettore qualche spunto di rifles­
sione relativo ad alcune differenziazioni tra le teorie classiche e le teorie mo­
ri:vazionali. Innanzitutto va sottolineato come la scuola classica mette in luce
i fattori dell'organizzazione formale mentre quelli sui quali ha concentrato
la propria attenzione la scuola delle relazioni umane attengono alla sfera in­
formale delle relazioni interpersonali. Lorganizzazione formale, poi, è pro­
manazione diretta di quanto deciso e pianificato dalla direzione; essa è
fondata sulla scientifica divisione del lavoro e dell'autorità gerarchica, su
norme e regolamenti e su disposizioni relative a salari, multe, controlli di
qualità. Lorganizzazione informale, di contro, è fondata sulla qualità delle
relazioni sociali che si sviluppano tra i lavoratori (il gruppo) al di sopra ed
oltre quelle previste dalla struttura formale. Così, ad esempio, una discus­
sione che verta su problemi di organizzazione formale è risolta affrontando
le difficoltà originate dal coordinamento di reparti o gradi gerarchici, mentre
approcciando gli stessi problemi secondo la prospettiva motivazionale, sarà
il gruppo (le relazioni orizzontali e verticali della struttura) a fornire le giuste
risposte per l'individuazione delle coerenti strategie risolutive.

17 Per approfondimenti si suggerisce, tra i tanti contributi presenti in letteratura, l'inte­


ressante lettura del secondo capitolo del volume: A. Palmonari, N. Cavazza (2003),
Ricerche e protagonisti della Psicologia sociale, Il Mulino, Bologna.

53
si...--=n e alle proprie azioni. Naturalmente, il modello proposto da Maslow
non va considerato come rigido e immutabile ma in maniera flessibile e per­
sonalizzata. Levoluzione dell'individuo segue in genere questo percorso ma
è legata anche all'ambiente ed al particolare contesto; non è detto, quindi,
die i bisogni emergano tutti, e in tutti gli individui, allo stesso modo. Va
poi considerato, inoltre, come in diverse attività si manifestino bisogni che
appartengono a livelli differenti: l'atto del bere, ad esempio, non è solo legato
ad un bisogno fisiologico primario ma anche un elemento di interazione so­
ciale18. Le stesse strutture gerarchiche, attualmente sottoposte a più di una
critica, vanno considerate come un ipotetico modello di riferimento. Un
aspetto importante da considerare è, comunque, legato al fatto che un biso­
gno soddisfatto, per Maslow, non è più motivante; per questo motivo de­
vono emergere nuovi bisogni che, per la loro intrinseca natura, abbiano
caratteristiche soggettivamente stimolanti. Detto in altro modo, le persone
sono soddisfatte da ciò che hanno (o hanno raggiunto in termini di obiettivi,
risultati), ma sono motivate da quello che non possiedono, da ciò che ancora
non sono e che vogliono diventare (come ad esempio gli avanzamenti di
carriera).
Sempre negli anni '50 Herzberg (I 959) presenta le risultanze emerse da
una serie dì ricerche svolte in ambito aziendale finalizzate ad approfondire
le modalità con cui si sviluppano i bisogni di stima e di autorealizzazione.
Vengono individuati, in sintesi, due ordini di fattori capaci di determinare
nel lavoratore soddisfazione o insoddisfazione: i fattori igienici e i fattori
motivanti. I primi sono quelli che non creano motivazione ma che devono
essere presenti per garantire la non insoddisfazione (ad esempio il contesto
sociale, le condizioni di lavoro, le relazioni con i superiori, ecc.). I secondi
sono quelli che motivano in quanto riescono ad appagare i bisogni superiori
della persona (ad esempio i riconoscimenti, la carriera, le responsabilità, la
crescita professionale).
Tenuto conto delle finalità del presente volume, merita un cenno il più
recente modello 4C di Butera 19• Lorganizzazione a rete attivata da questo
modello, anch'esso teorizzato per tentare di dare risposta alla domanda so­
ciale di qualità e di rendicontabilità, sottolinea l'importanza di quattro ele-

18 Ad esempio nel caso in cui ci si incontri al bar per bere qualcosa.


19 Il modello di organizzazione 4C è stato presentato al Convegno "Lavoratori della co­
noscenza" (Confindustria, Roma Giugno 1997) e pubblicato nel volume C. Callieri
(ed.) (1998), Lavoro e economia della conoscenza, Franco Angeli, Milano.

55
menti (denominato, per questo motivo, 4C): la cooperazione "intrinsecà'
che nasce in maniera informale tra persone che lavorano insieme con obiet­
tivi comuni e condivisi (la mission) all'interno di un'organizzazione orientata
al successo e all'innovazione; la comunicazione "estesa", non unidirezionale
(up-down) e limitata, qual è quella tipica delle organizzazioni burocratiche
classiche; la conoscenza condivisa, distribuita in modo indifferenziato; la
comunità professionale, caratterizzata da una cooperazione che nasce dal­
l'interno e dalla condivisione di intenti.
Il modello 4C propone notevoli spunti di interesse e le stesse considera­
zioni possono essere ribadite per i successivi e numerosi contributi sugli ap­
procci e sui modelli organizzativi che sono stati proposti a partire dagli anni
'60. A nostro parere, comunque, i nuclei fondativi di tutte le teorie proposte
prendono vita e si sviluppano proprio partendo dai presupposti fin qui pre­
sentati. In una società complessa come quella attuale, e in questo siamo d'ac­
cordo con Khandwalla (1997), è la fusione delle varie metodologie legate
alle numerose teorie dell'organizzazione a dimostrarsi più importante del­
l'impiego di un solo metodo, anche se il migliore. In altre parole il successo
di un'attività organizzata è dovuto non allo sfruttamento di ciascuna delle
sue caratteristiche di base, ma al modo in cui tali e varie caratteristiche ven­
gono fatte interagire secondo modelli distinti e diversificati. Ed è in que­
st'ottica che si è ritenuto. opportuno, in questa sede, fornire, seppur in
maniera sintetica e parziale, una caratterizzazione relativa alla nascita e allo
sviluppo delle teorie dell'organizzazione e ai conseguenti tratti essenziali di
ognuna di esse.
Nelle organizzazioni complesse i comportamenti operativi (decisionali e
attuativi) sono determinati da un intreccio sistematico di regole formali e
orientamenti professionali e culturali, individuali e di gruppo. I modelli fi­
nora descritti costituiscono, invero, degli schemi ideali il cui scopo è quello
di permettere un'analisi ed un'interpretazione della realtà complessa in cui
tutti gli attori si trovano ad agire. Nei contesti aziendali, infatti, le diverse
caratteristiche degli approcci proposti sono spesso compresenti e, anzi, in­
teragenti. La conoscenza specifica degli aspetti (almeno alcuni di essi) di tale
complessità costituisce la base indispensabile per lo sviluppo di approcci
concettuali, metodologici ed operativi adatti a gestirla (Romei, 1995).
Quando si parla di comportamenti, poi, viene rimarcata anche l'importanza
dell'apprendimento in situazione.
La concettualizzazione di Butera offre una soluzione strutturale capace

56
di fuvorire la condivisione dei valori da parte dei membri-attori, in un clima
di cooperazione e coesione. In sostanza per far sì che tutti siano consapevol­
mente concentrati sul compito unitario (''esserci" e "crederci" attivamente e
con convinzione) e diventare un gruppo che pensa, sente e vuole in simonia
con gli altri membri, bisogna consolidare la cultura del lavorare insieme in­
romo ad obiettivi condivisi e in una struttura organizzativa non imposta
dall'esterno ma, in quanto originata e regolata dall'interno, vissuta come un
supporto alla crescita dell'individuo. Bisogna allora chiamare in causa l'agire
romune, la cooperazione assunta come dato strutturale, un'istanza metodo­
logica che, consolidando l'azione collettiva, permette di recuperare la cen­
rralicà della persona rispetto alla struttura, secondo il principio della
leadership diffusa e condivisa, che pone le basi sia per il miglioramento del
clima organizzativo, sia per l'autorealizzazione dei lavoratori: due compo­
nenti fondamentali per avviare qualunque discorso di qualità nell' organiz­
zazione che diventa così vero laboratorio di sviluppo professionale. In tal
senso, un'azienda, organizzata secondo questi criteri, favorisce anche un ap­
prendimento organizzativo. Tale apprendimento ha una valenza di tipo stra­
tegico ed è reso necessario dal comportamento adattivo in seguito alla
modificazione dei rapporti con l'ambiente sia interno che esterno. Lorga­
nizzazione, intesa in tal contesto come agire organizzativo, insieme al piani­
ficare, dirigere e controllare, provoca dinamismi di sviluppo e capacità di
governare il cambiamento, attivare l'ambiente, affondare situazioni ad alta
variabilità ed incertezza.
Lapproccio sistemico di Berralanffy (1968) contribuisce a rafforzare que­
ste considerazioni. Nato negli anni '60 nel campo dell'organizzazione azien­
dale, parte da un fondamentale presupposto: ogni elemento o settore della
realtà organizzata non va considerato o definito in sé ma, piuttosto rapportato
agli altri elementi o settori con i quali entra in relazione. Nella sostanza i cri­
teri di analisi consistono nel valorizzare le potenzialità che sorgono dalla va­
rietà stessa delle situazioni e, soprattutto, nel favorire l'autocontrollo
mediante procedure autocorrettive. Le variabili organizzative non vengono
considerate isolatamente ma nel loro insieme. Cosl non vale più soltanto
l'uomo giusto al posto giusto, ma valgono anche le qualità individuali mo­
tivate dalle relazioni e dalle situazioni. Operando sotto la categoria di Project
Management (PM), questo tipo di approccio coinvolge la formazione di un
gruppo indirizzato ad uno scopo, costituito con particolare riguardo alla com­
petenza necessaria per la risoluzione di problemi. Il PM è un insieme di teo-

57
rie, di strumenti, di modelli ideati, sperimentati, prodotti, applicati, validati
nel mondo aziendale per superare l'inadeguatezza dei tradizionali sistemi di
organizzazione rispetto alla gestione di ambienti dinamici ed orientati all'at­
tività di progetto. Non ci sono vere e proprie teorie della progettazione; c'è
un insieme, un coacervo di procedure che, applicate in campo aziendale,
hanno raggiunto pregevoli risultati formativi. Fasi e attività tipiche del PM
sono la pianificazione, la programmazione e la gestione. Il tutto sinergica­
mente legato ad un processo di controllo. Pianificare significa identificare e
qualificare il progetto, stabilire i risultati finali, fissare gli obiettivi, stimare
le risorse totali e il tempo richiesto, decidere l'organizzazione del progetto,
definire le attività principali. Programmare significa sviluppare un pro­
gramma di attività in dettaglio, stabilire un budget, stimare i tempi di inizio
e di fine di ogni attività, fissare l'allocazione delle risorse. Gestire significa
attribuire ruoli e responsabilità, intervenire sui punti problematici per risol­
verli e ripianificare, contenere i ritardi "inevitabili", agevolare il flusso di in­
formazioni tra le diverse unità coinvolte, assicurare un continuo processo di
coordinamento delle unità. Controllare significa monitorare il tempo, i costi
e i risultati, comparare il consuntivo con le previsioni, determinare e realizzare
le azioni correttive. Il PM è fondato sulla ricerca delle strategie ottimali per
la risoluzione di un problema. In questo contesto, committente e formatore
sono accomunati da una mission che, alla base, deve poter essere condivisa.
Le organizzazioni di lavoro, qualunque sia la loro tipologia e il modello
organizzativo, sono luoghi in cui si prendono continuamente decisioni. Es­
sendo sistemi complessi, chiaramente, è possibile individuare una moltepli­
cità di centri decisionali. Le decisioni prese ad un livello superiore diventano
obiettivi per un altro livello. Ed è scontato che le decisioni dei vertici azien­
dali hanno una rilevanza più vasta di quelle prese da attori organizzativi cui
sono affidate minori responsabilità. Le organizzazioni, inoltre, non decidono
quasi mai in modo meccanico se non per le azioni standardizzate; più spesso
operano attraverso un comportamento cosciente, orientato verso obiettivi e
risultati. Infine, poiché le organizzazioni si evolvono nel tempo, i centri de­
cisionali ovvero le strutture/dispositivi previsti per le decisioni formali sono
di fatto inseriti in spirali di feedback decisionali, cioè in anelli causali di in­
formazione, decisione, azione e valutazione. Ogni decisione implica azioni,
la responsabilità di esse. È questo, forse, l'aspetto più critico e, al contempo,
affascinante, mai uguale e sempre diverso, del fare formazione.

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