Sei sulla pagina 1di 5

Le competenze sociali

La formazione delle virtù sociali è la condizione di fondo di tutte le competenze e dei


sensi di questa specie.

Il fine della formazione sociale non è solo quello di far emergere delle competenze; queste
sono come un motorino d’avviamento, senza il quale diventa impossibile mettere in moto
produttive relazioni sociali.

Essere competenti significa acquisire la capacità di assumere diversi atteggiamenti e


modalità di risoluzione rispetto a situazioni problematiche imprevedibili.

La competenza è qualcosa di più del saper fare (l’attitudine ad agire) e del sapere
(l’attitudine a comprendere): è la capacità di saper valutare e intervenire adeguatamente.

Per questo la competenza si constata e si certifica nella pratica: è la proiezione operativa


dell’attitudine.

Ogni attitudine necessita del sapere (il contenuto) e del saper fare (il comportamento).

L’acquisizione delle competenze discende anche dal modo stesso tramite cui si apprende.

L’approccio costruttivista rappresenta una modalità privilegiata, essendo basato sulla


costruzione di riflessioni e metodi, sulla sperimentazione di metodologie e su determinate
procedure mentali.

Si integra così l’apprendimento concettuale con quello esperienziale, veicolato dalle


forme più varie dell’apprendistato, dove oltre all’operare e allo sperimentare risulta
centrale la presenza di un esperto, testimone e modello di un sapere funzionale, scientifico
e circostanziato.

Nell’apprendimento dei comportamenti sociali diventa necessario passare dalla memoria


a breve termine a quella a lungo termine.
Lo sanno gli studenti che si preparano per l’esame e memorizzano moltissimi dati prima
di accorgersi poi (magari dopo pochi mesi) di non riuscire a ritrovare nei cassetti della
memoria le nozioni di argomenti chiari e precisi.

Si tratta allora di riuscire a portare in memoria a lungo termine mappe concettuali e


strutture cognitive atte a connettersi con altri sistemi concettuali e con altre informazioni.

Questa forma di apprendimento a “struttura concettuale” prevede una sintesi che


rappresenta un insieme di concetti legati fra di loro, dopo un procedimento mentale di
condensazione di tutte le nozioni significative, attivabili attraverso parole chiave.

Tutto ciò, naturalmente, dopo essere passati per un processo di problematizzazione e di


analisi: nella problematizzazione c’è il sorgere e il rinforzarsi della motivazione a voler
apprendere, mentre nell’analisi c’è il sondare, l’indagare ciò che costituisce l’insieme dei
dati che compongono una problematica e costituiscono un fenomeno su cui portare una
indagine.

La sintesi del lavoro di un’esperienza esistenziale non deve mai presentarsi come
definitiva.

Ogni conclusione rappresenta una nuova apertura problematica da porre in sinergia con
altri aspetti ancora inesplorati o a cui rimanda la sintesi cui si è giunti.

Questa è la dinamica della ricerca dei problemi che, in ambito sociale, si presenta quasi
sempre con connotati interdisciplinari, anche se il punto di partenza e la prospettiva
principale sono spesso di pertinenza di un ambito disciplinare preciso.

Di qui, la necessità di sviluppare competenze differenziate, ogni volta da integrare.

La necessità di acquisire competenze differenziate, per desumere informazioni da varie


fonti, deve essere tenuta presente da una politica educativa socialmente aperta e dinamica,
nella prospettiva di una crescita combinata (consistente nell’abbinare un’istruzione
formale di alta qualità con altri fattori disseminati nel territorio della rete e in essi
reperibili).

La competenza investe l’essere stesso della persona nel suo porsi di fronte alla vita, agli
altri e alla stessa funzione lavorativa svolta: rappresenta il continuo farsi sintesi della
persona, come sfondo a tutte le prestazioni che possono essere fornite.
Non indica e non si riduce alla somma delle prestazioni professionali o esistenziali.

La competenza implica sempre un’intenzionalità, il fine di ogni motivazione, la


consapevolezza di ciò che si risponde o si fa.

È chiaro, pertanto, che la competenza riguarda la persona, la sua capacità di elaborazione


cognitiva, mentre il compito rappresenta l’oggetto della competenza, ciò tramite cui si
misura l’impegno e l’apporto della persona stessa.

È per questo che l’impegno si connota personalmente e socialmente. Personalmente come


atto decisionale, socialmente come destinazione.

Goleman sostiene che l’impegno è di natura emotiva quando si entra in risonanza con i
membri di un gruppo, dimostrando l’attaccamento agli obiettivi del medesimo con una
partecipazione creativa: “l’essenza stessa dell’impegno sta nel fare dei propri obiettivi e
di quelli dell’organizzazione una cosa sola”1.

Risultano basilari le competenze sociali, le attitudini relazionali e razionali che


permettono lo sviluppo di capacità cognitive ed emotive aventi possibili valenza e
impiego sociale.

Le competenze sociali, per tale ragione, sono competenze trasversali che ogni livello
scolastico deve tenere presente.

La competenza trasversale per eccellenza è la competenza etica, da intendersi e viversi


come principio integratore dell’esperienza professionale stessa. Si tratta quindi di una
meta-competenza2.

L’ aspetto etico della competenza consiste nel fatto che è sempre la persona ad essere una
persona competente.

L’etica non consiste tanto nel codice morale che si segue, ma risiede all’interno di una
coscienza relazionale che si costituisce attraverso le esperienze della vita: familiari,
scolastiche, ricreative, sportive e socioculturali.

1
D. Goleman, Lavorare con intelligenza emotiva, tr. it., BUR, Milano 1998, p. 149.
2
Cfr. E. Damiano, L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come professione sociale, Cittadella,
Assisi 2007.
La tensione etica ne rappresenta l’alimentazione: è costruita attraverso gli esempi di vita,
i modelli di riferimento e i valori scoperti dall’esercizio delle virtù apprezzate e seguite,
poste alla radice del carattere morale.

Tutto ciò diventa possibile se i modelli, oltre ad essere effettivamente pregnanti, sono
anche culturalmente attraenti; altrimenti, i modelli mediatici possono assumere una forza
attrattiva irresistibile, specie nell’età adolescenziale della ricerca e della conferma
d’identità.

La prima delle competenze sociali rilevanti è senza dubbio quella relazionale.

Sapersi relazionare vuol dire sapere:

- chi abbiamo di fronte;


- in quale contesto ci troviamo;
- quale funzione possiamo e dobbiamo svolgere.

Ci si abitua a considerare la diversità delle relazioni con parenti, amici, conoscenti,


compagni, professori, amministratori, figure di dirigenti, animatori, allenatori, compagni
di squadra, avversari...

Altra importante componente relazionale è quella del saper leggere i contesti.

Essa si compone delle capacità di osservazione e rilevazione; di decodifica di una


situazione ambientale; di individuazione di aspetti diversi ed eterogenei. Richiede una
lettura culturale che si deve servire degli approcci antropologico, sociologico e
psicologico.

Riuscire a comprendere un contesto significa saperne cogliere i valori e i costumi nel loro
significato originario, sviluppando tolleranza e apprezzamento.

Competenza sociale è anche quella organizzativa.

A ogni livello – familiare, scolastico, associativo, lavorativo – una buona socialità passa
per una buona organizzazione.

Infine, competenza sociale è quella del saper risolvere i problemi, intesa come capacità
di rilevare situazioni problematiche e formulare ipotesi di intervento e di cambiamento.

Tale competenza riguarda la riflessività e la trasferibilità.


Abituarsi a riflettere in ogni circostanza permette il trasferimento di tale atteggiamento in
altre situazioni.

Condizione di tale impostazione è anche la capacità di lasciarsi coinvolgere e la volontà


di partecipazione.

Solo quando ci si sente parte della situazione si può contribuire all’individuazione di


soluzioni e all’impegno conseguente.

Dall’insieme di queste tre competenze (relazionale, risolutiva dei problemi e


organizzativa) discende il senso di responsabilità derivante dall’attenzione verso tutti
questi aspetti.

A tal proposito, Dewey sostiene che per responsabilità si intende “la disposizione a
considerare in anticipo le probabili conseguenze di qualsiasi passo progettato e di
accettarle deliberatamente”3.

Bibliografia

• Damiano Elio, L’insegnante etico. Saggio sull’insegnamento come professione


sociale, Cittadella, Assisi 2007;

• Dewey John, Democrazia e educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1963;

• Goleman Daniel, Lavorare con intelligenza emotiva, tr. it., BUR, Milano 1998;

• Mollo Gaetano, Porcarelli Andrea, Simeone Domenico, Pedagogia sociale, La


Scuola, Brescia 2014.

3
J. Dewey, Democrazia e educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1963, p. 229.

Potrebbero piacerti anche