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Educazione e formazione sono due termini quasi simili che spesso vengono confusi.

L’educazione ha un carattere più sociale, più istituzionale. È una guida. Educare


secondo dei modelli, dei valori, e questo è un compito svolto, la maggior parte delle
volte, da un adulto. L’educazione ha quindi una funzione direttiva, conservatrice e
autoritaria.

Formazione significa prendere forma, formarsi. È un processo che quindi porta il


soggetto a maturare nuove competenze, può intervenire sul soggetto ma anche sul
gruppo. È un percorso che mira a valorizzare le risorse del soggetto, trasformando le
sue capacità in azione, e facendogli utilizzare un approccio alla risoluzione dei
problemi.

AGIRE EDUCATIVO

Esistono 5 principi sui quali si basa l’educazione: INCLUSIONE (cioè accettare le


differenze, il riconoscimento del diritto alle diversità); VALORIZZAZIONE (far notare
all’educando la bellezza interiore che non riesce a vedere); PERSONALIZZAZIONE
(ogni educazione esprime il proprio agire in base all’individuo, ai suoi tempi, ai suoi
spazi, con metodi, strumenti diversi, perché l’uomo è visto come singolo, quindi non
esistono criteri validi per tutti, uguali per tutti); VICARIANZA (cioè vedere la disabilità
non come un disagio, non come una diversità, ma come un modo per sviluppare
un’altra capacità, come una risorsa); RELAZIONE (non c’è educazione senza una
relazione, infatti il rapporto con l’altro è fondamentale, anche perché l’educazione
ha una dimensione intersoggettiva).

La figura dell’educatore può agire in 2 forme: PASSIVA (cioè agisce rispondendo alle
richieste della società), o in forma ATTIVA (cioè agisce con la sua identità
professionale).

Il lavoro educativo ha 3 valenze:

ATTIVISTICA (perché trasforma le capacità in azioni per rispondere alle esigenze


della realtà)

RELAZIONALE (perché l’educazione si interessa agli individui in quanto esseri che si


rapportano con gli altri)

CURATIVA (perché l’educatore interviene anche su quelli che sono i limiti


dell’educando, prendendosene cura)
L’agire educativo si esprime attraverso la relazione tra educatore e educando
(relazione asimmetrica), permessa dal terzo elemento che fa da mediatore, da
ponte che collega realtà e soggetto, l’elemento connettore (nella scuola è il sapere,
il tutoraggio).

Come si forma la relazione educativa? In un primo momento l’educatore cerca di


approcciare con il soggetto, di stabilire un clima tranquillo ed empatico, di fiducia,
presentargli un modello alternativo che possa suscitargli interesse. Poi nella seconda
fase è importante concretizzare la relazione attraverso la comunicazione, il dialogo,
il confronto, l’ascolto e soprattutto è fondamentale che la relazione sia a giusta
distanza emotiva, proprio per non cadere in un burn-out (stress) ma soprattutto per
essere oggettivi e chiari.

L’educatore, per essere un buon educatore, deve essere un buon comunicatore, nel
senso di saper comunicare e di far comunicare l’altro, essere aperto alla critica, al
confronto, saper agire, voler agire, per raggiungere l’obiettivo che è quello di
interpretare i bisogni dell’educando, interpretare il suo mondo, la sua realtà, la sua
esperienza.

Cosa importante è non incorrere in dei rischi: il primo quello di credere che il
processo educativo sia valido e uguale per tutti, quando in realtà è personalizzante;
il secondo è credere che tutto l’agire educativo è opera solamente dell’educatore,
quando in realtà senza l’educando che si attiva ed è partecipe, la relazione non può
avvenire.

Quali sono le competenze che deve avere un educatore? Oltre a saper comunicare,
a saper confrontarsi, l’educatore deve possedere principalmente la competenza
riflessiva, la competenza valutativa, la competenza clinica e la competenza
nell’osservare.

Mettere in atto la competenza riflessiva significa saper fare un’analisi, una


discussione, una riformulazione di ipotesi, con lo scopo di produrre un
apprendimento e un’azione adeguata. La competenza riflessiva fondamentalmente
gira attorno a due processi: decentramento e differenziazione. La differenziazione
significa che il soggetto accetta il fatto che ci siano modi di pensare diversi dal suo e
si apre al confronto con essi; il decentramento si basa sul soggetto che valida
criticamente il proprio pensiero per consentire la riformulazione percettiva. Se si
mettono in equilibrio questi due concetti si avrà una riformulazione percettiva, cioè
un nuovo modo di vedere la questione, un cambio di prospettiva.

Inoltre, si possono individuare 4 fasi di riflessione: look back (cioè il soggetto


guarda indietro, evoca un vissuto percepito come problematico); think in depth
(cioè il soggetto pensa in profondità, e quindi approfondisce quell’esperienza); learn
about yourself (il soggetto impara dalla sua esperienza, e quindi ne ricostruisce il
senso che da negativo passa ad essere costruttivo); plan your next steps (il soggetto
attraverso quell’esperienza saprà affrontare eventuali situazioni analoghe).

Shon ha individuato 4 tipi di ricerca riflessiva: l’analisi di struttura (cioè l’educatore


deve essere consapevole delle strutture che ha disposizione, cioè degli strumenti
che ha per definire ruoli e problemi); costruzione del repertorio (cioè raccogliere
info e dati già visti per dare ai futuri educatori un’idea lavorativa); metodi di
indagine e teorie dominanti (cioè quelle teorie e metodi usati da diversi
professionisti come trampolino di lancio nelle nuove situazioni); processo di
riflessione nel corso dell’azione (cioè un processo di verifica delle proprie teorie).

Un educatore è riflessivo se: attribuisce sia a sé che all’educando la capacità di


intendere, di conoscere e pianificare; se capisce che ognuno ha un significato
diverso per le azioni; se utilizza un linguaggio chiaro che permette la comprensione;
se accetta e metta a confronto tutti i possibili punti di vista.

Essere riflessivi serve ad avere un’altra competenza che è quella della valutazione.

Per rappresentare i risultati del lavoro compiuto, sia a livello di efficacia che di
cambiamenti, serve la valutazione, perché non esistono risultati uguali per ogni
processo educativo. Infatti, la valutazione dipende dall’intenzionalità del soggetto,
cioè dal pensiero dell’educando, dalla sua interpretazione che dà alla realtà,
tenendo in considerazione anche il fatto che l’esito del percorso educativo non è
mai scontato, cioè non deve essere per forza positivo, perché durante un percorso si
incontrano fallimenti, cambiamenti, scontri, difficoltà, e quindi il risultato non è
qualcosa di certo e stabile.

Per quanto riguarda Chi deve mettere in atto la valutazione, c’è stato il progetto
Edueval (università di bari) che si è applicato sul fatto che fondamentalmente non è
definito un profilo specifico della valutazione, non c’è un training formativo per
acquisire le giuste competenze per valutare. Infatti, oggi la valutazione è affidata a:
Valutatori ufficialmente riconosciuti, cioè appartenenti ad enti esterni che non
conoscono il contesto e quindi possono dare una valutazione oggettiva seguendo
degli standard prefissati; Valutatori non ufficialmente riconosciuti, cioè supervisori,
consulenti, che però conoscono il contesto.

La valutazione, inoltre, ha 3 dimensioni: Oggettiva (cioè si ha una valutazione


esterna, il valutatore quindi garantisce validità e oggettività), Soggettiva (ovvero
l’autovalutazione, in forma riflessiva) e Intersoggettiva (un valutatore che
appartiene a quel contesto può valutare, quindi una valutazione interna, che fa
parte della relazione col soggetto preso in questione, cioè un soggetto viene
valutato attraverso un’interazione). Queste 3 dimensioni non vanno pensate in
maniera gerarchica, anzi, sono complementari, perché per funzionare una serve
l’altra.

Per avere un piano metodologico più chiaro ed efficace della valutazione poi bisogna
anche avere le competenze sull’utilizzo di strumenti quali questionari, interviste,
tabelle, scale di valutazione, test, schede, griglie, portfolio, che mirano alla
traduzione del giudizio in punteggio per arrivare appunto a definire il risultato, cioè
la valutazione.

Per saper valutare, di conseguenza, servono altri tipi di competenze, come: la


competenza nell’individuare ed interpretare i bisogni del soggetto, la competenza
nell’osservare. Osservare non inteso come semplice guardare, ma come sguardo
intenzionale, come interpretazione; esistono 3 modelli di riferimento: ETOLOGICO
(cioè il soggetto viene osservato nell’ambiente naturale, l’osservatore è nascosto,
quindi non partecipante); PSICOANALITICO (l’osservatore entra nella relazione,
quindi è osservazione neutrale e partecipante, neutrale perché non deve interferire
con la soggettività); PIAGETIANO (quasi sperimentale, perché si tratta di
un’osservazione svolta in condizioni controllate o modificate dall’osservatore, che
parte dall’ipotesi da verificare o falsificare).

Un’altra importante competenza che l’educatore deve avere è quella clinica. Questa
competenza rappresenta la conoscenza profonda del sé, perché per entrare in
relazione con l’altro, l’educatore deve conoscere prima sé stesso e rapportarsi con
sé stesso. La psicanalisi ha dimostrato che entrando in contatto con sé stessi si può
scoprire come il nostro inconscio condiziona i nostri comportamenti. E questa
consapevolezza serve per evitare di mettere in atto comportamenti distruttivi,
devianti.

Quando si parla di educazione, non bisogna pensare ad un solo contesto dove può
avvenire, perché in realtà i contesti possono essere 3: FORMALI (cioè che seguono
regole, tempi, spazi, sono luoghi conosciuti, come la scuola); NON FORMALI (come
agenzie del terzo settore, cioè associazioni culturali, volontariato, associazioni
giovanili, di sostegno che agiscono laddove il welfare state non può agire attraverso
attività di cura, di svago, attività sociali, ricreative, di aiuto sociale, che però non
segue dei modelli di riferimento, delle regole e quindi porta spesso ad una
confusione educativa); INFORMALI (cioè le esperienze di vita vissute dal soggetto,
quindi qualcosa di non individuabile, ma soprattutto i contesti informali non sono
legati a istituzioni, ciò significa che il soggetto apprende, viene educato, attraverso
un’intenzionalità pedagogica, cioè attraverso esperienze, attraverso il lavoro, il
luogo che meglio può definire questo concetto è la strada, oppure oggigiorno anche
i social network). Nel percorso educativo, l’obiettivo è quello di trovare un equilibrio
tra tutti e tre i contesti, cioè nel sistema educativo integrato. A partire dal ‘900 si è
iniziato a dare importanza al contesto e all’esperienza come mezzo per apprendere.
Quindi l’apprendimento nasceva attraverso l’agire, il confronto e la pratica del
lavoro. In questo modo quindi viene superata la classica concezione di “scuola come
unico luogo di cultura e apprendimento”, si aprono i confini del contesto educativo,
sia in termini di spazi che di tempi, dando vita alla Life-Long Education, cioè
all’educazione per tutta la vita e per tutti. Quindi non si hanno più limiti di età, fasce
di età, né limite a livello di durata scolastica. È nata questa nuova prospettiva,
perché andando avanti con gli anni le relazioni sociali si sono trasformate, la società
è diventata più complessa e quindi di conseguenza si è creato un sistema aperto
extrascolastico. E nel momento in cui parliamo di educazione che va oltre il contesto
scolastico, allora stiamo facendo riferimento al concetto di EDUCAZIONE DIFFUSA
(Life-wide learning), cioè che avviene in diversi contesti, in diverse fasi di vita, in
diverse esperienze, che quindi occupa ogni spazio e tempo dell’uomo.

Gli interventi educativi si hanno soprattutto nel caso di disagio. Il disagio


rappresenta uno stato di malessere, inerenti a problemi psicologici, affettivi,
familiari, sociali. Ciò avviene maggiormente nella fase del passaggio da infanzia a
adolescenza, caratterizzata dalla crisi di transizione e trasformazione. Il disagio si fa
accentuato quando i sentimenti positivi vengono messi da parte e prevalgono
sentimenti di disperazione e autocritica. Lì si sfocia nella devianza, cioè nel non
rispetto delle norme, delle regole. Questo può derivare da condizioni familiari,
sociali, dal contesto in cui si vive, o dalla tendenza ad uniformarsi a sistemi di
illegalità. Disagio e devianza causano la marginalità, cioè il mancato riconoscimento
dell’uguaglianza dei diritti e delle pari opportunità, caratterizzata dal sentirsi esclusi
e inadeguati. L’educazione, in questi casi, deve focalizzarsi non sulla pericolosità
sociale, ma sulla potenzialità del soggetto, quindi valorizzare le sue risorse, la sua
identità. Ci sono diversi approcci, che mettono al centro l’individuo in quanto attivo
e spinto da motivazioni, da intenzioni, o altri che invece si applicano sull’esperienza
vissuta dal soggetto, sulla relazione educativa. Tra questi “La pedagogia dei ragazzi
difficili” di Bertolini. Questi affermano che si diventa criminali perché si soffre di
carenze morali o mentali, quindi qui si parla di mancanza di razionalità, di
educazione, di principi, di valori e di regole. Quando parliamo di devianza, disagio,
marginalità stiamo descrivendo una società distorta, che non presta attenzione ai
bisogni dei suoi cittadini, causando vandalismo, bullismo, teppismo, isolamento,
suicidi e omicidi. Per la comprensione di tali comportamenti, si utilizza la prospettiva
fenomenologica, che punta all’interpretazione del mondo del soggetto, della sua
realtà, quindi non all’azione in sé, quanto alle motivazioni che lo hanno spinto a
mettere in atto quel comportamento. Per il recupero della persona ci sono due
orientamenti: uno orientato verso il collegamento con la realtà attraverso
l’educazione, la cultura in cui il giovane è un progetto che, nel suo deviare durante la
crescita, non va mai lasciato solo (PERSONALISMO PEDAGOGICO); e l’altro basandosi
sui significati che la persona dà alle azioni che compie, tenendo conto dei bisogni
dell’individuo legati all’identità e alle relazioni (INTERAZIONALISMO SIMBOLICO).
Quando si parla di recupero della persona quindi si fa riferimento a tecniche di
prevenzione che mirano alla comprensione del problema e ad evitare che questi si
ripetano in futuro, attraverso l’acquisizione di due relazioni: la relazione tra
ambiente e risposte del soggetto, e la relazione tra fattori di rischio e fattori di
protezione.

Le pratiche di prevenzione per il disagio, devianza e marginalità illustrano anche


pratiche per prevenire la creazione di un’educazione che sia senza strumenti
emotivi, come autoconsapevolezza, autocontrollo, empatia, che è un fenomeno
attuale negli ultimi anni, caratterizzato da incapacità di comunicare tra generazioni,
dalla mancanza di un’educazione che non ha saputo creare un mondo emotivo nel
soggetto, arrivando così a perdere la trasmissione dei valori tra una generazione e
l’altra e ad un’incapacità dell’adulto di affermarsi come autorità rassicurante. E così
gli adolescenti sembrano aver perso i modelli da imitare, a cui ispirarsi, fare
riferimento, creando di conseguenza degli stili di massa da fotocopiare. Lo scopo
dell’educazione quindi qui è suscitare nel soggetto la capacità di crearsi un proprio
linguaggio affettivo, un proprio mondo interiore, una propria identità.

Il concetto di imitazione sociale, stili di massa, è dovuto anche ad un altro


fenomeno: i media e la comunicazione digitale. L’apprendimento, sappiamo, che si
può ottenere tramite l’esperienza, tramite la capacità di fare previsioni, e tramite
l’imitazione, ovvero osservando un modello e ripetendone i gesti (neuroni specchio).
Con l’era digitale, l’apprendimento e l’identità sono cambiati. I social network sono
dei luoghi di narrazione del sé, di rispecchiamento, luoghi dove appunto si può
apprendere. L’identità, all’inizio dell’epoca digitale, si definiva come NICKNAME
(cioè identità simulata), oggi invece si parla di IDENTITY PERFORMANCE (cioè di
raccontare agli altri la mia storia, il mio mondo, mostrare agli altri attraverso foto,
video). E questo di conseguenza ha portato ad un’epoca dove si sono perse le
relazioni face to face, e prevalgono appunto quelle digitali, virtuali. Ciò ha causato
problematiche soprattutto nel parenting, cioè nel rapporto tra genitori-figli, per
mancanza di comunicazione, di condivisione, di conoscenza dell’altro. I social
network però non hanno solo aspetti negativi, infatti servono comunque a scopo
informativo, o a partecipare ad eventi a distanza, a stare in contatto con persone
fisicamente lontane. Quando parliamo di digitalizzazione, vengono compresi anche i
videogiochi. E a questo proposito c’è stato Tramma, autore anche di un libro sui
videogiochi. Tramma ha evidenziato il lato positivo dei videogiochi: il soggetto
quando gioca, è attivo, è partecipe, è divertito, è interessato, quindi di conseguenza
apprende meglio e in fretta. Per il gioco ci sono diverse identità, quella reale, cioè il
soggetto che gioca, quella virtuale, cioè il personaggio scelto che mi rappresenta, e
quella proiettiva, cioè quello che vorrei il mio personaggio riuscisse a fare (Se
ideale). Queste caratteristiche del gioco, secondo Tramma, dovrebbero essere
utilizzate anche all’interno della scuola, essere motivati, interessati, divertiti, creare
un se ideale, essere attivi, per una migliore forma di apprendimento. Tutto questo
per colmare quel vuoto, quel distacco che c’è tra le nuove e vecchie generazioni,
quindi utilizzare le competenze digitali per costruire ponti generazionali.

Quando abbiamo parlato di Life Long Education, abbiamo specificato l’importanza


dell’educazione aperta a tutti e per tutta la vita, e quando si parla di “tutti” significa
persone provenienti da background diversi. Quindi parliamo anche di differenze
individuali, concetto presente nella psicologia cognitiva degli anni 70. Essa, infatti
sposta l’attenzione dall’apprendimento alle qualità delle differenze tra gli individui.
Questo spostamento permette di superare la concezione di rendimento come
“conseguenza automatica delle abilità del soggetto”, per definirlo invece come “un
modo personale di funzionamento cognitivo”. L’educazione in questo caso deve
valorizzare le qualità degli individui. Bernstein a questo proposito ha voluto
approfondire la relazione tra classe di appartenenza e successo/fallimento
scolastico. E infatti ha notato che le classi più elevate avevano più successo perché la
scuola utilizzava un linguaggio proprio di quelle classi, e ciò quindi facilitava
l’apprendimento, contrariamente per le classi meno agiate, che con un linguaggio
diverso, avevano meno successo dovuto ad una minore comprensione e di
conseguenza minor apprendimento. Le differenze sul piano tecnico-scientifico si
possono spiegare in 2 relazioni: la prima tra coloro che hanno facilmente accesso ai
media digitali e hanno quindi più manualità, e quelli che vengono definiti “analfabeti
digitali”, e la seconda relazione tra coloro che usano i media con creatività e spirito
critico e quelli che non lo fanno. Nel momento in cui parliamo di differenze, è
necessario un chiarimento anche sul concetto di “disabilità”. La legge 104 è la legge
per l’assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone disabili, persone che
hanno quindi diritto al loro potenziale e al loro sviluppo e che quindi non devono
essere ostacolate da impedimenti che lo Stato può rimuovere. Questo per arrivare
alla convenzione ONU sui diritti delle persone disabili che supera la concezione di
disabile come deficit o come diverso dal resto, introducendo le pari opportunità, la
non discriminazione, l’uguaglianza, l’autonomia. Come agisce l’educazione nei
confronti delle differenze? In 2 modi: primo, visto che le differenze fanno parte
dell’essere, l’educazione per valorizzare queste differenze, deve creare i presupposti
per far sì che ogni soggetto costruisca le proprie conoscenze nei tempi e negli spazi
che ritiene più comodi, opportuni; secondo, l’educazione deve far capire ai soggetti
che la differenza non significa diversità, ma è risorsa, una qualità. Deleuze, a questo
proposito, affermò che l’individuo non va considerato come frutto di mente-corpo,
identità-differenza, ma va considerato come processo, perché integra parti opposte,
e come molteplice, perché media aspetti molteplici. Grazie a ciò, si chiarisce che
l’identità costituisce la relazione, cioè serve alla relazione. Dewey aveva introdotto il
termine “transazione” per far notare che la relazione contraddistingue il rapporto
del singolo col mondo e con gli altri. Anche Winnicott nella relazione tra Io e l’altro,
ha chiarito che l’Io non è un polo, ma è il rapporto tra i due poli. E infine anche
Bertin esprime la sua opinione sul concetto di identità-differenza, affermando che
non bisogna unirle in un'unica sintesi, perché così si andrebbero ad annullare le
caratteristiche dell’una e dell’altra, va quindi presa una soluzione razionale che tiene
contrapposti i due concetti, una soluzione razionale che sia ben ampia in modo da
integrare i diversi aspetti.

Le operazioni fondamentali che l’educatore mette in atto durante il percorso


formativo sono la documentazione e la progettazione.

La documentazione ha la funzione di conservare le informazioni e recuperarle in un


tempo successivo. Può essere interpretata come scienza per conoscere
l’educazione, o come tecnica per farla conoscere. Lo stesso documentare è un agire
educativo. Quando si parla di documentazione si fa riferimento a idee, teorie,
riflessioni, e alle cosiddette “scritture professionali” cioè contributi, pensieri di
autori. La documentazione intesa come processo di registrazione e memoria si
sviluppa attraverso due processi: da un lato le tracce del vissuto, quindi l’esperienza,
e dall’altro la progettazione del futuro. La documentazione non ha inizio quando
l’educatore si siede al tavolino e scrive un documento, già l’idea, l’intenzione che
precede l’azione è documentazione. La prospettiva fenomenologica sostiene il ruolo
della documentazione, in quanto è un’attività di interpretazione del mondo, che
deriva dal rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Anche la
prospettiva ermeneutica appoggia l’agire documentativo, in quanto mira a trovare
un senso nelle azioni. Attraverso la documentazione si diffonde il sapere
pedagogico, è un atto di educazione diffusa, perché dà voce alle storie di vita non
tutelate. E in più la documentazione è sia auto educativa, perché documentando si
utilizza l’automonitoraggio, l’autocontrollo, l’autovalutazione; ed è anche un agire
etico, perché chi scrive documenti deve rispettare e proteggere le storie degli altri
con prudenza. Quindi l’educatore deve acquisire delle competenze educative per
questo tipo di operazione, cioè: organizzare il lavoro da documentare, raccogliere
fonti ed informazioni, strutturare, ordinare il materiale, stesura del lavoro, e
diffusione della documentazione.
La progettazione consiste in una pianificazione sequenziale di fasi e azioni ordinate
in maniera gerarchica e orientate al raggiungimento di obiettivi prefissati. È
importante la progettazione perché rispondere ai bisogni educativi, alle esigenze,
quindi per non cadere nell’improvvisazione, per la valutazione, per verificare punti
di partenza, traguardo e obiettivi, per il futuro, per il successo. Sostanzialmente si
vanno a progettare le strategie, i percorsi, le attività, le risorse, i tempi e gli spazi.
Ovviamente durante la progettazione possono accadere imprevisti, che però sono
visti come degli errori. E su questo ad esempio Lipari non era d’accordo, e infatti
affermò che l’uomo è dotato di una razionalità limitata, quindi anche le sue
competenze sono limitate, e l’imprevisto è una cosa umana, che può accadere
proprio perché la conoscenza è limitata. Anche Bertolini ha affermato che
l’imprevisto non è un errore, anzi, è parte del processo progettuale. Bertolini, in più,
affermò che l’agire educativo e l’agire progettuale coincidono, nel momento in cui è
consentito ai soggetti di modificarsi non secondo degli schemi, ma secondo il loro
modo di dare significato al mondo e al se. La progettazione ha lo scopo della
mediazione: è come un ponte che connette il mondo della vita con il mondo
dell’educazione. Quando si parla di progettazione però non bisogna solamente
considerarla come un’attività svolta nel percorso formativo, anche perché in realtà è
la progettazione che accompagna l’intera attività. Abbiamo detto che l’agire
educativo si esprime attraverso la struttura ternaria educatore-educando-nucleo
fondante. Nella progettazione il nucleo fondante è la qualità della vita: cioè
benessere emotivo, inclusione sociale, sviluppo personale, relazioni interpersonali.
L’obiettivo quindi è puntare al miglioramento della qualità della vita. E ciò prevede
due fasi: progettazione del progetto di vita e progetto formativo. Queste due fasi si
articolano in 4 momenti: indagine generale per conoscere le condizioni di vita del
soggetto, interpretazione dei dati raccolti, condividerli con le altre agenzie, quindi
negoziare dati, per creare un percorso formativo adatto ai ist del soggetto, e
valutazione dell’ipotesi progettuale.
LA PRIMA ESTENSIONE

Consiste nell'analizzare i contesti per collocare il progettare nelle relazioni. Il


progettista deve identificare un contesto che sia espressione di intenzionalità
pedagogica, di una decisione politica che promuova la crescita personale e collettiva
e il miglioramento del benessere sociale.

Nella parte iniziale dell’operazione sono esplicite le teorie di riferimento e l'idea che
il progettista ha dell'educazione, quindi la sua natura pedagogica.

È inoltre fondamentale una parte bibliografica, poichè l’operato deve poggiare su


fondamenta culturali solide e socialmente accettate e associare a questi materiali un
archivio personale di appunti raccolti dalla rete.

Oggi è possibile effettuare ricerche bibliografiche accedendo all'OPAC, questo


richiede la scelta di parole chiavi, considerare un arco temporale accessibile,
considerare documenti in lingua soprattutto per i progetti internazionali, verificare la
veridicità dei documenti, scegliere documenti variabili, chiedere aiuto ad esperti.
Inoltre, il progetto deve sempre tener conto del territorio quindi è necessario fare
analisi su questo ad esempio tramite i dati ISTAT.

LA SECONDA ESTENSIONE

Consiste nell' utilizzare modelli e orientamenti progettuali che possono sostenere il


lavoro del progettista:

1 il modello del di sviluppo ecologico di Sterling approfondisce 3 dimensioni:

 percettiva (contribuisce ad ampliare i campi d'interesse)


 concettuale (consolidare la struttura dei legami nei contesti di vita)
 pratica (sviluppare le capacità di indagare le relazioni.

2: il modello di sviluppo sinergico di TRIANI presenta 3 tipi di sinergia:

 il principio di correlazione (nessun aspetto della progettazione va pensato da


solo)
 il principio di continuità (la progettazione dipende da un processo estremo e
non è il susseguirsi di fasi separate)
 il principio di comunicazione (è la qualità dei rapporti a rendere il progetto in
grado di rispondere alle necessità di tutti).
3: il modello di sviluppo formativo, secondo il quale la struttura e condivisione di
un progetto sono un esercizio formativo che permette di conoscersi e sperimentarsi.

L’utilizzo di un modello è risulta importante sia per dar forma ad un pensiero


pedagogico sia per coordinare le intenzioni con le azioni; un modello dovrebbe
essere scelto in relazione al problema.

Secondo GATTI è possibile raggruppare i modelli in 3 macro categorie e in 4 diverse


tipologie (razionalità assoluta, problem solving, progettazione dialogica e ricerca
progettuale). Le tre macrocategorie sono rappresentate da:

 lineare-segmentale, il cui modello di riferimento è quello della razionalità


assoluta che rinvia ai valori di TYLER
 circolare i cui modelli di riferimento sono quelli del problem solving e della
progettazione dialogica orientata al dialogo /incontro
 quello spirale caratterizzato dalla ricerca basata su progetti che si propongono
come una situazione di sperimentazione fondata sul coinvolgimento del
personale.

Per quanto riguarda la sostenibilità del progetto, ne identifichiamo diversi tipi:

 quella economica, segue un modello che tiene conto dell'analisi del rapporto
tra costi e benefici e della definizione di sviluppo sostenibile finalizzata al
miglioramento dei disagi futuri
 quella educativa e sociale che garantisce innovazione e equità
 quella ambientale, che richiede la consapevolezza della limitatezza delle
risorse e dell'impatto che ha sull'ambiente l'attività umana, richiedendo
quindi di optare per scelte ecologiche.

La mappa concettuale è uno strumento cognitivo funzionale, utilizzato sia come


dispositivo di lavoro personale che di mediatore di attività di gruppo, ha un
linguaggio proprio e ha la funzione di ordinare la conoscenza in forma grafica nella
prima fase esplorativa sia di guidare la gestione del progetto individuando idee
principali e favorendo collegamenti tra idee.

LA TERZA ESTENSIONE

Consiste nell'identificare le finalità a cui il progetto ambisce e i bisogni educativi in


chiave di prevenzione per evitare un disequilibrio tra bisogno e possibilità.
Per poter rispondere ad un bisogno è necessaria un’analisi stessa del bisogno
educativo. L’analisi del problema segue questa scala:

1. manifestazione del problema


2. collocazione del problema in un contesto
3. comprensione del problema
4. impegno verso il problema
5. trasformazione del problema in obbiettivi da raggiungere

Per poter compiere l’ultimo passaggio è possibile utilizzare uno strumento chiamato
albero dei problemi. Questa procedura consente di suddividere il problema in sotto-
problemi gerarchizzati secondo principi causa ed effetto o identificando i vincoli che
possono condizionare il progetto.

Inoltre, un obiettivo ben definito deve soddisfare il criterio “SMART”, ovvero:

S: deve essere semplice, chiaro nella sua definizione e comprensibile a qualsiasi


lettore anche i non tecnici.

M: deve essere misurabile, utilizzando degli indicatori

A: essere auspicabile sia nel senso di raggiungibile e realizzabile sia nel senso di un
obbiettivo che possa essere condiviso dalla comunità.

R: deve essere realistico, concretamente realizzabile

T: deve essere collocabile nel tempo.

Dinanzi un problema si attivano quindi logiche di problem solving e problem posing,


intese come capacità di mettere in atto il pensiero critico e riflessivo al fine di
identificare i problemi complessi, destrutturandoli e trovando possibili soluzioni in
funzione degli obiettivi.

Uno degli errori che l'educatore potrebbe commettere durante la stesura di un


progetto è quello di assumere una posizione egocentrica nei confronti
dell’educando, attuare pregiudizi che consentono di occultare le potenzialità e
capacità dell’altro. Bisogna assumere un atteggiamento non giudicante, come difesa
e riservarsi tempo e spazio personali per poter riflettere e rivalutare.
LA QUARTA ESTENSIONE

Consiste nell'attuare processi di condivisione e partecipazione, dal momento che


progettare è un'azione collettiva di una comunità educante.

Il rapporto tra ente pubblico e agenzie educative può assumere forme diverse:

 se il soggetto promotore è l'ente si assiste all'esercizio di una forza di


attrazione;
 se invece è il primato ad avanzare la proposta la forza è di validazione;
 se invece sono entrambi ad avanzare la proposta allora la forza che opera è
collaborativa.

Attraverso una comunità di pratiche è possibile garantire un continuo afflusso di


progettualità nell'istituzione, e tra i compiti di questa comunità si riconoscono la
prossimità tra i membri, la circolazione spontanea delle informazioni e l'adesione ad
un modello basato su condivisione.

WENGER individua 3 modalità di esercizio della comunità:

1. potenziale (il futuro come occasione d’incontro)


2. attiva (è il presente)
3. latente (passato come svelamento di storia).

Vi sono 3 diverse modalità di aggregazione:

1. Un partner è un'entità con la quale si ha un rapporto stabile, con il quale si


condivide la stessa visione del mondo, interessi ed esperienze significative;
2. Gli stakeholder, un portatore di interesse. A differenza dei primi non
investono nulla ma beneficiano del progetto.
3. La rete, un sistema di connessioni messa in atto dal soggetto per rispondere ai
propri bisogni, è sempre attiva.

Il gruppo secondo LEWY è più della somma dei singoli membri, ha struttura propria
ed è caratterizzato da relazioni interdipendenti, quindi il cambiamento di una parte
influisce sull'altra.

Un gruppo finalizzato alla presentazione di un progetto è dinamico e

1. rischia di dare troppa attenzione al prodotto e non al progetto


2. la perdita dell'identità
3. insorgere di dinamiche conflittuali non rivolte alla relazione

Per evitare ciò i percorsi formativi devono incrementare lo sviluppo di competenze


affettive e sociali.

LA QUINTA ESTENSIONE

Consiste nella gestione degli spazi e tempi in cui collocare un progetto secondo
indicazioni nazionali del MIUR. Lo spazio deve essere accogliente, ben curato,
orientato al gusto estetico ed espressione delle scelte educative, e il tempo deve
consentire al bambino di essere sereno, giocare ed esplorare.

Gli ambienti di apprendimento, sia formali che non, sono quelle che valorizzano la
collaborazione, la diversità, l'autonomia, la riflessione; anche carceri e piazze
possono diventarlo se progettati secondo queste condizioni.

Attraverso il diagramma di GIANT è possibile gestire il progetto trasferendo in forma


grafica lo sviluppo temporale, infatti può essere utilizzato sia in forma sofisticata, sia
semplice, e riporta sull’asse verticale le attività e su quello orizzontale la durata
temporale.

In alternanza si può usare il PERT che si avvale della teoria dei grafici. Questa si basa
su una rappresentazione reticolare composta da frecce e nodi in cui le fasi tipiche
del progetto sono messe in relazione (valuta l'attività, il tempo, i responsabili per
ogni fase).

LA SESTA ESTENSIONE

Consiste nell'amministrare le risorse e nell'essere consapevoli delle proprie


responsabilità educative.

Per ogni fase del progetto deve essere monitorato il budget per evitare che sia poco
o che non si sappia come spenderlo.

La gestione finanziaria affidata ad un esperto dovrebbe prevedere un uso ragionato


delle risorse, la presenza di una documentazione delle spese e collocamento delle
risorse in modo funzionale al tempo.

Le risorse possono provenire da fondi dell' UE, ministeri, regioni, aziende, privati e ci
sono due modalità di accesso ai fondi: o ad accesso vincolato tramite un bando
(modalità delle amministrazioni pubbliche) o ad accesso libero, senza gara (modalità
dei privati); in questo secondo caso va distinto tra contributi la sponsorizzazione (in
cui prevale un resoconto economico) e la donazione (volontaria, più l'idea attrae più
ci sono donazioni).

La raccolta fondi (fundrising) è praticata da organizzazioni non profit, di volontariato,


del terzo settore, si basa sul principio di matrimoni di interesse e reciprocità e
persegue la cultura della carità, della filantropia, del mecenatismo... chi raccoglie
fondi deve saper gestire i rapporti con i donatori e proporre idee innovative.

LA SETTIMA ESTENSIONE

Consiste nella valutazione degli obiettivi per verificare i risultati del progetto, ed essi
devono essere associati uno o più indicatori che aiutano a definire gli esiti.

Palumbo e G. li dividono in descrittivi e normativi, e per una valutazione efficace


devono essere caratterizzati da validità, attendibilità, adeguatezza, comprovabilità,
sensibilità, tempestività.

Utilizzando criteri di ordine descrittivi, bisogna assumere come riferimento i principi


di qualità che secondo Cusci sono:

 erogata (coglie l'aspetto organizzativo di un servizio ed è valutata


dall'esterno);
 percepita ( coglie la percezione che destinatari/operatori hanno del servizio
ed è valutata o dall'interno o dall'esterno;
 e sociale (si riferisce all'equità della distribuzione delle risorse rispetto ai
bisogni ed è valutata dall'esterno).

La valutazione è espressa in centesimi e si rivolge a 5 macro aree ripartite in micro


veli (qualità del progetto, impatto sociale, sostenibilità nel tempo e qualità delle
aggregazioni).
PROGETTARE IL QUOTIDIANO E L'EMERGENZA

il progetto educativo ha sempre una dimensione orientata al futuro che si realizza


attraverso una triplice prospettiva:

1 filosofica, ossia la capacità di progettare un'idea da realizzare in futuro.

2 emotiva affettiva, in quanto progettare prende le mosse anche da motivazioni


affettive

3 istituzionale, in quanto la pedagogia attiva una dimensione progettuale che


orienta e sostiene l'azione pubblica e delle istituzioni.

oggi l'uomo sente l'esigenza educativa di intervenire nel quotidiano dato che la
società sembra sviare verso l'instabilità e l'incertezza. ci sono molte condizioni che
influiscono sulla quotidianità dei soggetti, come ad esempio una crisi valoriale o la
frammentazione del sapere.

l'impegno dell'educazione è dedicato quotidianamente a fronteggiare questi


problemi e la sfida che lancia all'emergenza è quella di una risposta concreta e
positiva. Per questo è necessario che l'educatore abbia delle competenze come ad
esempio quella di riconoscere la realtà alla luce degli eventi e dei rapporti di causa
effetto, assumersi la responsabilità del futuro educativo dell'altro, progettare la rete
e in rete e documentare il proprio agire educativo. Mentre l'istituzione deve avere
consapevolezze delle condizioni sociali, economiche e politiche, definire obiettivi e
strategie e rafforzare e valorizzare i legami comunitari della società.

l’elemento comune tra la dimensione professionale e quella istituzionale è la


necessità di connettere la pratica progettuale e le competenze con lo scopo di
analizzare i problemi che emergono all'interno delle società.

EDUCARE FRA LA RELAZIONE E L'ISTITUZIONE

le istituzioni sono sistemi finalizzati a educare e si distinguono in educativi e sociali.


Mentre le relazioni sono modalità di interazione fra soggetti e istituzioni finalizzate a
creare contesti educativi.

il prototipo delle relazioni fra le diverse istituzioni educative è l'impianto a rete


grazie alla quale ogni istituzione è in grado di connettersi alle altre in maniera
sensata. la rete può avere origini opposte:
BOTTOM UP: la rete si avvantaggia di una maggiore condivisione di valori e
motivazione positiva (non istituzionale).

TOP DOWN: la rete può incontrare difficoltà di traduzione operativa se il livello di


motivazione e responsabilità non è abbastanza alto (istituzionale).

purtroppo, il modello ideale non si traduce mai in pratica, c'è infatti bisogno che le
varie educative si uniscano e che parlino la stessa lingua.

MIGRAZIONI

L'immigrato, quando giunge nel nuovo paese ha sia il desiderio di mantenere la


propria cultura sia quello di entrare in contatto con i membri della società ospitante
e quindi integrarsi. Berry individua nel processo di acculturazione quattro possibili
esiti:

1 L'ASSIMILAZIONE, ossia adesione ai nuovi modelli culturali e il rifiuto delle proprie


origini

2 LA SEPARAZIONE, ossia il tentativo del migrante di mantenere integra la propria


identità rifiutando il contatto con le altre culture

3 L'INTEGRAZIONE

4 LA MARGINALITA': il migrante si pone in una situazione di esclusione sociale, né


propria cultura, né cultura ospitante

il processo di acculturazione quindi rappresenta la modalità attraverso la quale due


universi culturali decidono di stare in relazione oppure no.

la famiglia e la scuola posso agevolare il migrante nei processi di socializzazione nel


nuovo paese. il desiderio di mantenere i propri codici culturali entra in contrasto con
la voglia di integrazione e ascesa sociale nella società di approdo, come allo stesso
modo il desiderio da parte dei genitori di avere controllo sulle scelte dei figli si
confronta con una cultura che spinge all'emancipazione, evitando il rischio di perder
autorevolezza. la nostalgia per il paese di origine e questi contrasti possono quindi
provocare sentimenti di paura e solitudine.

quindi il compito delle istituzioni educative è quello di sostenere le nuove


generazioni ad acquisire gli strumenti necessari per saper stare in relazione con le
diversità che caratterizzano la propria e le altrui identità. il raggiungimento di tale
obiettivo si compie nel concetto di integrazione interazionistica, secondo il quale
persone con idee e culture diverse interagiscono fra di loro confrontandosi e
accettando i diversi punti di vista. Fondamentalmente, con il tempo, si assiste a una
trasformazione che passa dal concetto di integrazione al concetto di inclusione. Ciò
avviene poiché con il termine integrazione vi è un esplicito riferimento a disabili che
hanno necessità di tale trattamento. Ciò non vale anche per i migranti che hanno
solo ed esclusivamente il bisogno di essere inclusi nella società ospitante.

Le finalità derivano dal rapporto tra bisogno e possibilità e dal loro mancato
equilibrio. Il concetto di bisogno viene inteso come desiderio presente nell’animo di
una persona.

Dai bisogni educativi è necessario far discendere gli obiettivi educativi, intesi come
“linee guida, indicazioni orientative che devono stabilire le direzioni dell’azione
didattica: si tratta di mete che si ritengono desiderabili e che vanno interpretate e
declinate in relazione alle caratteristiche della situazione in cui si opera” senza
tuttavia trascurare la necessità che possano essere osservabili, misurabili e
verificabili.

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