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LA DIDATTICA PER COMPETENZE

Dal testo di Franca Da Re, La didattica per competenze, Person.

Fornire strumenti per la formazione della persona competente

Una didattica su misura per gli studenti


! Le competenze costituiscono il significato dell’istruzione, sono in grado di dare
motivazione alle abilità, alle conoscenze e ai contenuti disciplinari. Attraverso la didattica
per competenze, riusciamo a rispondere alle domande degli studenti, che celano un
bisogno profondo di attribuire senso al proprio apprendimento e al proprio lavoro: «Perché
studiamo la storia?», «A che serve imparare i polinomi e i sistemi di equazioni?». Nella
didattica per competenze, si continua a studiare la storia e a risolvere i sistemi di
equazioni, ma legando tali conoscenze e abilità a problemi concreti o ancorati alla realtà,
oppure attraverso mediatori didattici e organizzazioni capaci di catturare l’interesse
dell’allievo e mobilitare le sue risorse personali.
! Se la competenza, come recita la Raccomandazione del Parlamento Europeo del
2008, è «comprovata capacità di utilizzare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali
e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e
personale», ovvero “sapere agito” in contesto significativo, si comprende che perseguire
competenze presuppone un insegnamento che travalica la divisione disciplinare: non
esistono, infatti, problemi e situazioni che si possano affrontare mobilitando un solo sapere
disciplinare; di solito un problema si affronta da diversi punti di vista. Una dimostrazione di
tutto ciò sta anche nell’affermazione sempre più ampia nel mondo del lavoro dei gruppi e
delle organizzazioni, dove la formazione di team di progetto eterogenei rispetto a
competenze, funzioni, ruoli è la norma, soprattutto quando si tratta di mettere a punto
nuovi prodotti o nuove strategie, risolvere crisi ecc.

Un nuovo modo di insegnare


! Ai docenti si chiede di impostare la didattica e l’insegnamento in modo che gli
alunni possano avvicinarsi al sapere attraverso l’esperienza e acquisire la teoria attraverso
un percorso induttivo, che passi dall’esperienza alla sua rappresentazione.
! La didattica per competenze si avvale di diverse strategie e tecniche sia didattiche
sia di organizzazione del gruppo classe:
• l’apparato tradizionale di didattiche di trasmissione delle conoscenze e di esercitazione di
procedure (lezione frontale, esercitazione ecc.);
• la contestualizzazione dei concetti, dei principi, dei contenuti disciplinari nella realtà e
nell’esperienza;
• la proposizione in chiave problematica e interlocutoria dei contenuti di conoscenza e
l’utilizzo di mediatori e tecniche didattiche vari e flessibili per valorizzare i diversi stili
cognitivi e di apprendimento degli allievi;
• la valorizzazione dell’esperienza dell’allievo attraverso la proposta di problemi da
risolvere, situazioni da gestire, prodotti da realizzare in autonomia e responsabilità,
individualmente e in gruppo, utilizzando le conoscenze e le abilità già possedute e
acquisendone di nuove, attraverso le procedure di problem solving e di ricerca;
• la riflessione e la riformulazione metacognitive continue, prima, durante e dopo l’azione,
per trovare giustificazione, significato, fondamento e sistematizzazione al proprio
procedere;
• l’apprendimento in contesto sociale e cooperativo per dare rilievo ai contributi, alle
capacità e alle attitudini diverse e per favorire la mutua collaborazione e la reciprocità.

Insegnare per competenze, ovvero avvicinarsi al sapere attraverso l’esperienza, non


significa abbandonare i contenuti, giacché essi rappresentano proprio il campo di
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esperienza in cui esercitare abilità e competenze. Essi, però, vanno accuratamente


vagliati e selezionati, poiché non tutto è ugualmente rilevante e non tutto si può imparare;

vanno proposti i contenuti irrinunciabili e fondamentali e la didattica deve fare il possibile


perché essi si trasformino in conoscenze, ovvero in patrimonio permanente dell’allievo. Le
conoscenze saranno quelle necessarie a supportare le abilità (intese come applicazione di
conoscenze, procedure, metodi) e le competenze (capacità di agire e di re-agire di fronte
ai problemi, utilizzando tutte le risorse personali e agendo in autonomia e responsabilità).

La valutazione delle competenze


! Per conseguire competenze, dobbiamo offrire agli allievi occasioni di assolvere in
autonomia i “compiti significativi”, cioè compiti realizzati in contesto vero o verosimile e in
situazioni di esperienza, che implichino la mobilitazione di saperi provenienti da campi
disciplinari differenti, la capacità di generalizzare, organizzare il pensiero, fare ipotesi,
collaborare, realizzare un prodotto materiale o immateriale. Il compito affidato non deve
essere banale, ma legato a situazioni di esperienza concreta e un po’ più complesso
rispetto alle conoscenze e abilità che l’alunno già possiede, per poter attivare il problem
solving. Attraverso i compiti significativi non soltanto si mobilita ciò che si sa, ma si
acquisiscono nuove conoscenze, abilità e consapevolezza di sé e delle proprie possibilità.

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Dal saggio di Mario Comoglio, La valutazione autentica, in “Orientamenti pedagogici” n.


49, Erickson, 2002.

Limiti dell’approccio quantitativo alla valutazione

! In genere la valutazione del profitto scolastico è stabilita dal confronto dei risultati
ottenuti dagli studenti con i risultati attesi (obiettivi). È in base alla loro vicinanza o distanza
che si traggono inferenze sul livello di apprendimento. Quando in un’epoca non troppo
lontana è emersa l’esigenza di effettuare misurazioni che fossero rapide e semplici e allo
stesso tempo rigorose e scientificamente fondate si è fatto soprattutto ricorso a prove
standardizzate. Questo modello, il cui scopo iniziale è stato quello di accertare soltanto il
successo oppure l’insuccesso dell’apprendimento per suggerire interventi di rinforzo o di
aiuto, per molti è diventato anche un sistema di giudizio selettivo. Il suo limite maggiore sta
in “ciò” che intende e riesce a valutare. Infatti, valutando ciò che un ragazzo “sa”, il
modello controlla e verifica la “riproduzione” ma non la “costruzione” e lo “sviluppo” della
conoscenza, e neppure la “capacità di applicazione reale” della conoscenza posseduta.
! Alla fine degli anni Ottanta, in particolare negli Stati Uniti, si sviluppa una serie di
critiche riguardo all’uso diffuso e persistente nella pratica di valutazione di prove
standardizzate (grosso modo quelle che noi chiamiamo “prove oggettive”). Tali critiche
nascono nello stesso momento (o poco prima) in cui in Inghilterra prende avvio la
riflessione sulla valutazione per l’apprendimento, un tipo di valutazione che,
diversamente dalla valutazione dell’apprendimento, mira a individuare le tappe
necessarie per promuovere il progresso dello studente. Mentre la valutazione
dell’apprendimento “chiude” un processo di apprendimento, controlla l’impegno la
ricostruzione della conoscenza avvenuta nello studente, ha a che fare con voti e
graduatorie ed è più implicata in questioni di rendicontazione pubblica, la valutazione per
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l’apprendimento “apre e intende continuare” il processo di apprendimento verso un


miglioramento ed è più interessata a promuovere il successo di tutti gli studenti e a
sostenere i processi che lo rendono possibile. M. Lipman già dal 1987 rilevava che l’uso di
prove “a scelta multipla” non consente di accertare l’abilità degli studenti di risolvere
problemi complessi, di pensare in modo creativo, di comunicare con efficacia, e di
impegnarsi in attività o lavori di collaborazione.
! Altri evidenziano che prove come “ricercare la parola corretta da inserire in uno
spazio vuoto”, “riconoscere errori” (piuttosto che “fare correzioni”), oppure “trovare la
giusta corrispondenza tra le parole o i termini di una lista” non solo non sono appropriate a
verificare il possesso di abilità cognitive complesse, ma inducono anche a prese di
decisione casuali, costringono a riflessioni superficiali ed a apprendimenti di tipo
mnemonico.
! Ancora, altri studiosi sollevano il dubbio che i ragazzi che riescono bene nelle prove
“a scelta multipla” sappiano di più dei compagni che sono capaci di pensiero riflessivo,
critico e argomentativo. (...) In breve, secondo qualche autore, queste forme di valutazione
in genere non misurano ciò che invece oggi è necessario misurare negli studenti, e cioè il
possesso di strutture di conoscenza flessibili, la capacità di riorganizzare le loro
conoscenze, la capacità di essenzializzare la massa di conoscenze per ridurre il peso
cognitivo nel loro uso, la competenza metacognitiva per sapere quando, come e perché è
utile applicare determinate strategie. Accertare tutto questo è sembrato assai più
importante che non verificare il possesso o la buona memorizzazione di concetti e di fatti,
come solitamente accade quando si usano prove oggettive. Anche G. Wiggins non ha
risparmiato critiche a tali prove perché ritiene che siano poco rispettose degli studenti,
esigono risposte univoche, non considerano l’unicità del modo di ragionare, controllano la
comprensione senza dare la possibilità di esprimersi in maniera diversa da quella offerta
dalle prove stesse.

Le caratteristiche della valutazione autentica


! Una valutazione che voglia essere maggiormente “autentica” dovrebbe consentire
di esprimere un giudizio più approfondito dell’apprendimento, e cioè della capacità «di
pensiero critico, di soluzione dei problemi, di metacognizione, di efficienza nelle prove, di
lavoro in gruppo, di ragionamento e di apprendimento permanente» (Arter & Bond, 1996).
! La prospettiva di una valutazione alternativa in sostituzione di quella di solito
utilizzata nella scuola è stata proposta da Wiggins (1993) e sta a indicare una valutazione
che intende verificare non solo ciò che uno studente sa, ma ciò che “sa fare con ciò che
sa” in una prestazione reale e adeguata dell’apprendimento.
! Perché una verifica attraverso una prestazione e non attraverso un test? A volte
capita che alcuni studenti superino con facilità test a scelta multipla ma, quando viene
richiesto loro di dar prova di ciò che sanno in una prestazione concreta, si smarriscono e si
comportano da principianti e non da esperti quali invece si sono dimostrati nei test. (...)
! Le teorie dell’apprendimento/insegnamento autentico, della cognizione situata, del
costruttivismo o del costruttivismo sociale dimostrano che gli studenti comprendono e
assimilano più in profondità quando hanno a che fare con situazioni reali rispetto a quanto
devono apprendere in situazioni decontestualizzate. In linea con il concetto di
apprendimento significativo proposto da queste prospettive, appare sostenibile l’idea di
connettere la valutazione dell’apprendimento a prestazioni creative, contestualizzate.
Parliamo quindi di valutazione autentica: «quando ancoriamo il controllo al tipo di lavoro
che persone concrete fanno piuttosto che solo sollecitare risposte facili da calcolare con
risposte semplici. La valutazione autentica è un vero accertamento della prestazione
perché da essa apprendiamo se gli studenti possono in modo intelligente usare ciò che
hanno appreso in situazioni che in modo considerevole li avvicinano a situazioni di adulti e
se possono ricreare nuove situazioni» (Wiggins, 1998).

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