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Il metodo espositivo
LEZIONE FRONTALE
Tra le critiche mosse alla lezione frontale, quelle di maggior rilievo riguardano:
TECNICHE ATTIVE
Il metodo operativo
IL LABORATORIO
Prima di essere “ambiente” (setting), il laboratorio è uno “spazio mentale
attrezzato”, una forma mentis, un modo di interagire con la realtà per
comprenderla e/o per cambiarla. Ad esempio, possono citarsi i laboratori
linguistici, i laboratori informatici e quelli multimediali.
Il termine laboratorio va inteso in senso estensivo, come qualsiasi spazio, fisico,
operativo e concettuale, opportunamente adattato ed equipaggiato per lo
svolgimento di una specifica attività formativa.
Dal punto di vista logistico, il laboratorio dovrebbe essere un locale a sé stante,
appositamente costruito e corredato per produrre apprendimenti specialistici. È
necessario, dunque, che la scuola si presenti come un ambiente attrezzato,
perché esiste (nella scuola) un diffuso primato della parola sull’azione e questo,
se è pertinente quando si perseguono competenze verbali e linguistiche, è
inappropriato quando la competenza richiesta è spiccatamente operativa.
Con gli studenti che presentano difficoltà comunicative il laboratorio è una
metodologia essenziale per l’apprendimento e solo successivamente si potrà
proseguire con processi di “verbalizzazione”, confronto e ragionamento.
2 KIT CONCORSO STRAORDINARIO
Dal punto di vista formativo, il laboratorio si caratterizza per l’oggetto della
sua azione, vale a dire per l'attività che vi si svolge ed il soggetto agisce è attivo.
L’essere attivo del soggetto si può esplicitare in molti modi e ai due estremi
ritroviamo due tipologie:
• l’attività riproduttiva: l’allievo che copia, che ripercorre la procedura
richiesta, che riproduce ciò che ha studiato
• l’attività produttiva: è attivo l’allievo che inventa, che ipotizza nuove
strategie risolutive, che produce qualcosa ex novo.
Nel laboratorio si opera su entrambi i piani: ma lo scopo formativo principale
del laboratorio è quello di produrre pensiero a partire dall’azione e non è
mai meramente applicativo (ossia riproduttivo).
Con il lavoro in laboratorio ha il dominio del suo operato, infatti, produce,
opera concretamente e “facendo” sa dove vuole arrivare e perché → attività
meta cognitiva.
L'attività proposta nel laboratorio:
¨ si deve prestare ad una manipolazione concreta (non bastano i codici
linguistici verbale o simbolico);
¨ deve implicare le operazioni cruciali (devono essere presenti i passi
principali – ITEMS - di una procedura);
¨ non deve avere una soluzione unica (deve dare la possibilità di scegliere
e di decidere; cfr. applicazione del pensiero divergente);
¨ deve provocare uno “spiazzamento” cognitivo (deve far scoprire
qualcosa di nuovo, mettendo in crisi le vecchie conoscenze);
¨ si deve situare ad una giusta distanza (il nuovo non deve essere né
troppo vicino al conosciuto né troppo distante→principio di Vygotskij della
zona di sviluppo prossimale);
¨ deve comportare diversi livelli di interpretazione (pluralità dei punti di
vista→ capacità di confronto);
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¨ deve coinvolgere il rapporto dello studente con il sapere (nel
laboratorio il sapere è conoscenza in azione→cfr. concetto di apprendimento
secondo Racc. UE 2006 – 2018: SAPERE – SAPER FARE – SAPER ESSERE
= CONOSCENZE – ABILITA’ – COMPETENZE)
Il metodo investigativo
LA RICERCA SPERIMENTALE
L'apprendimento per ricerca può attivarsi solo attraverso l'insegnamento
mediante la ricerca, secondo un principio di specularità che vale per tutti i
metodi didattici. Oggi la ricerca di base opera lungo due direttrici:
• ¨ ricerca sperimentale classica, connessa al metodo ipotetico-
deduttivo
• ¨ ricerca-azione espressione del metodo euristico partecipativo.
E’ importante che gli studenti siano messi in condizione di applicare entrambi
i metodi ed anche di contaminarli.
Nella sua forma classica, il metodo investigativo, qualificato come ipotetico-
deduttivo è composto dalle seguenti fasi:
¨ Individuazione e definizione del problema: deve suscitare interesse,
curiosità, conflitto cognitivo.
¨ Analisi e selezione delle ipotesi.
¨ Delimitazione del campo della ricerca (capacità di selezione)
¨ Selezione delle fonti (da cui rilevare dati e informazioni)
¨ Registrazione ed elaborazione dei dati raccolti.
¨ Confronto e verifica delle ipotesi.
¨ Definizione del principio generale.
Il metodo individualizzato
IL MASTERY LEARNING
Mastery Learning letteralmente significa “apprendimento della maestria o
della padronanza” intese come “apprendimento di abilità”, tuttavia nelle
riflessioni italiane più recenti esso rappresenta l’apice della personalizzazione
dell’appreso, ossia sviluppo sistematico di processi metacognitivi, decisionali
e creativi.
Il mastery learning è una modalità di organizzazione dell'intervento didattico
che si concentra sulle diversità individuali, sui ritmi e sui tempi di
apprendimento degli allievi.
Il principale teorico fu Block (1972) che ne fissò i procedimenti fondamentali:
¨ L’insegnante definisce le abilità concettuali e operative che gli studenti
dovrebbero raggiungere al termine dell’intervento didattico;
¨ L’insegnante definisce i livelli intermedi dopo aver effettuato l'analisi del
compito e definisce gli obiettivi particolari in una successione di unità
didattiche in grado di promuovere progressivamente le abilità finali;
¨ L’insegnante elabora le prove di verifica del raggiungimento o meno degli
obiettivi delle unità didattiche individuate;
¨ L’insegnante predispone le unità didattiche tenendo conto il più possibile
dello stato di preparazione iniziale dei suoi allievi;
¨ L’insegnante struttura le attività integrative e di recupero da proporre a
quegli allievi che non avessero raggiunto ancora livelli intermedi di abilità nelle
singole unità didattiche;
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¨ L’insegnante controlla il raggiungimento del minimo indispensabile di
dominio delle conoscenze che consenta all’allievo di affrontare l'unità
successiva
NB: Lo schema di attuazione del mastery learning ricorda la tecnica dell'istruzione
programmata: si caratterizza per il fatto di scomporre la materia di insegnamento in brevi
passaggi, detti frames, o anche items o cadres; tali frames contengono una o due
informazioni fondamentali e/o richiedono al soggetto la formulazione di una risposta, sulla
base delle informazioni precedentemente date.
Fondata sui principi del condizionamento operante di B.F. Skinner,
l'istruzione programmata si presenta secondo sequenze lineari.
Nella sequenza lineare ogni frame è costituito da un semplice periodo che
comprende poche informazioni e da una domanda che implica le informazioni
appena presentate. Con la sequenza ramificata, a seconda delle risposte date
dall'allievo, il programma può prevedere sviluppi differenti, ad esempio
specifici programmi di recupero, oppure la possibilità di saltare alcuni frames
e procedere più rapidamente per i soggetti più abili. Le prime macchine per
insegnare (teaching machines) e le prime applicazioni del computer nella
didattica seguivano le impostazioni dell’istruzione programmata.
A differenza del mastery learning, le sequenze dell'istruzione programmata si
presentano rigide e vincolanti, non sono affatto rispettose delle differenze
individuali e veicolano una concezione dell'insegnamento inteso come
modellamento, poiché fondate sulla convinzione che qualsiasi conoscenza
possa essere acquisita da chiunque, purché associata a rinforzi positivi.
Le tecniche attive
METODOLOGIE INNOVATIVE
Le tecniche attive comportano la partecipazione sentita e consapevole dello
studente alle attività proposte, in quanto contestualizzano le situazioni di
apprendimento in ambienti reali analoghi a quelli che l’allievo ha sperimentato
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nel passato (attualizzazione dell’esperienza), che vive attualmente
(integrazione qui e ora della pluralità dei contesti) o che vivrà in futuro
(previsione e virtualità).
Le tecniche che prenderemo in esame si caratterizzano per:
• La partecipazione "vissuta" degli studenti (coinvolgono tutta la
personalità dell'allievo),
• Il controllo costante e ricorsivo (feed-back) sull’apprendimento e
l’autovalutazione,
• La formazione in situazione,
• La formazione in gruppo.
Prendiamo in considerazione quattro gruppi di tecniche attive:
• Tecniche simulativeàil soggetto impara immerso nelle situazioni.
Le tecniche simulative
IL ROLE PLAYING
Il role playing (gioco o interpretazione dei ruoli) consiste nella simulazione dei
comportamenti e degli atteggiamenti adottati generalmente nella vita reale; i
ruoli sono assunti da due o più studenti davanti al gruppo classe, che osserva.
Gli studenti devono assumere i ruoli assegnati dall’insegnante e vestire i panni
di quella situazione comportandosi come se la situazione fosse reale.
L’obiettivo è quello di far acquisire la capacità di impersonare un ruolo e di
comprendere in profondità ciò che il ruolo richiede, sviluppando l’intelligenza
emotiva e l’empatia.
Non si tratta di recitare un copione, ma di una vera e propria improvvisazione,
intesa come recita a soggetto. Riguarda i comportamenti degli individui nelle
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relazioni interpersonali, in precise situazioni operative per scoprire come le
persone possono reagire in tali circostanze.
Elementi fondamentali:
¨ si predispone una scena in cui partecipanti devono agire;
¨ i partecipanti sono al centro dell'azione e devono recitare spontaneamente
secondo l'ispirazione del momento;
¨ l'uditorio assume particolare importanza poiché il gruppo non funge da
semplice osservatore, ma cerca di esaminare e di capire quanto avviene sulla
scena;
¨ il docente deve mantenere l'azione dei partecipanti e la situazione scenica,
anche sollecitando, suggerendo, facilitando l'azione fino al momento in cui gli
studenti protagonisti non agiscono autonomamente→ha ruolo di “scaffolding”;
¨ il docente può avvalersi di collaboratori incaricati di favorire la recita, anche
con la loro recitazione.
Nel role playing possono utilizzarsi le tecniche:
• dello specchio: in cui gli attori rinviano gli atteggiamenti del soggetto al
soggetto stesso
• del doppio: in cui gli attori si sforzano di cogliere gli atteggiamenti tipici
del soggetto, prolungandone l'espressione e rendendo esplicito ciò che
rimarrebbe latente;
• autopresentazione: l’attore presenta se stesso, la propria realtà
• monologo: riflessioni personali dell’attore;
• presentazione di ruoli collettivi: lo stesso attore interpreta tutti i ruoli
previsti;
• inversione di ruoli: dopo aver sostenuto una posizione, l’attore deve
provare
a sostenere quella opposta.
Le tecniche di analisi
LO STUDIO DI CASO
Lo studio di caso consiste nella descrizione dettagliata situazione reale.
L’obiettivo è quello di sviluppare le capacità analitiche necessarie ad affrontare
sistematicamente una situazione complessa di cui sono fornite le indicazioni
fondamentali.
La descrizione di un caso è un brano scritto al quale possono essere associati
documenti, tabelle o schemi. La situazione da esaminare può anche riguardare
un caso problematico, ma bisogna non dimenticare che l’obiettivo non è quello
di risolvere il problema, ma quello di imparare ad affrontare i problemi,
individuarli e posizionarli: diremmo che la finalità è quella di sviluppare non
l’abilità di problem solving, quanto quella di problem posing.
La descrizione viene consegnata agli studenti che, dapprima, studiano il caso
individualmente e poi lo discutono in gruppo, moltiplicando così le alternative
di approccio al caso stesso. Pertanto, si sviluppano non solo le capacità
analitiche, na anche altri aspetti formativi, quali la capacità di lavorare in
gruppo. con la conseguente acquisizione di abilità, quali:
L’INCIDENT
L'incident può essere considerato una variante dello studio di caso, nonstante
si differenzi da esso sia per l'oggetto di studio che per la tecnica utilizzata,
quanto (e soprattutto!) per l’obiettivo da raggiungere.
L’oggetto è una situazione reale, ma di emergenza: anche con l’incident è
necessario lo sviluppo di abilità decisionali e vengono proposte progettazioni
di intervento come nello studio di caso. Tuttavia, varia la tecnica didattica
perché il materiale presentato agli studenti è molto breve e volutamente carente
di elementi essenziali.
Gli studenti dovranno affrontare i nodi problematici, trovando una soluzione
all’emergenza: pertanto, in questa sede, l’obiettivo diventa lo sviluppo di
capacità di problem solving.
ll brainstorming è una metodologia teorizzata alla fine degli anni ’30 da A.F.
Osborne (teorico della creatività – vedere dispensa sulla creatività) e consiste
in un tipo di intervista di gruppo nella quale viene sfruttato il gioco creativo
dell’associazione di idee: la finalità è fare emergere diverse possibili
alternative, in vista della soluzione di un problema o di una scelta da compiere.
L’applicazione del brainstorming può riguardare diversi ambiti
educativi/formativi e può essere utilizzata sia con minori che con adulti. Il
brainstorming può essere effettuato anche con gruppi di bambini ai primi anni
IL COOPERATIVE LEARNING
Il Cooperative Learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento
attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi
reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso.
L’insegnante assume un ruolo di facilitatore (scaffolding) ed organizzatore
delle attività, strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti,
favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di
apprendimento in un processo di “problem solving di gruppo”, conseguendo
obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti.
Tali obiettivi possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi di
apprendimento gli studenti sviluppano determinate abilità e competenze
sociali, intese come un insieme di “abilità interpersonali e di piccolo gruppo
indispensabili per sviluppare e mantenere un livello di cooperazione
qualitativamente alto”.
Nelle scuole statunitensi sembra emergere la tendenza a disporre i banchi a
cerchio o a ferro di cavallo, oppure divisi in tanti quadrati o triangoli per 4 - 6
alunni ognuno. Nel primo caso, l'insegnante sta al centro, nel secondo si sposta
da un gruppo all'altro. In certe scuole, la disposizione dei banchi cambia più
volte al giorno a seconda degli insegnanti o delle materie.
IL CIRCLE TIME
Il circle time (cerchio del tempo) è una metodologia che proviene dagli USA
ed ha l’obiettivo di creare comunicazione tra i membri della classe.
Per la realizzazione di questa tecnica è necessario un setting d’aula particolare:
le sedie vanno disposte in circolo e la cattedra è assente.
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PEER TUTORING
Il peer tutoring è una metodologia che ha radici storiche molto antiche e nel
corso dei secoli è stata variamente utilizzata: viene fatta risalire all’antica
Grecia di Aristotele, alla Roma di Quintiliano nel I secolo d.C., e si ritrova nella
scuola gesuitica e in Comenio (XVII secolo).
Torna in auge nell’India coloniale dove Andrew Bell (si parla di mutuo
insegnamento, conosciuto come metodo Lancaster e Bell) fondò una scuola per gli
orfani dei soldati inglesi morti in guerra.
Questo metodo si diffuse in Europa soprattutto in Francia ed Italia, ma anche
in Africa, America latina, Stati Uniti e Canada. Non dimentichiamo che anche
nel metodo Montessori i bambini più grandi insegnano ai più piccoli.
Questa metodologia condivide con il Cooperative learning il riferimento
teorico a Piaget e Vygotskij:
¨ Piaget: per la visione dello sviluppo cognitivo possibile attraverso il
superamento di squilibri socio-cognitivi che stimolano la crescita individuali.
¨ Vygotskij: per il ruolo essenziale del contesto sociale nel promuovere
l’apprendimento del bambino.
La rinascita di questa metodologia negli anni ’60-’70 si deve alle crescenti
esigenze di integrazione sociale nei paesi più industrializzati. Negli Stati Uniti
alcuni programmi di Tutoring vennero utilizzati per promuovere possibili
soluzioni ai problemi di integrazione sociale. Furono sperimentati programmi
di insegnamento reciproco focalizzati soprattutto sullo sviluppo di relazioni
sociali significative tra i partecipanti in ambito scolastico ma anche sullo
sviluppo di abilità di lettura, matematica, scienze, recupero di difficoltà di
apprendimento; vennero anche realizzate attività di tutoring della stessa età
(Martinez e Comoglio, 1994).