Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Questo concetto viene assunto dalla scuola nell’ambito della formazione professionale, legato
all’attività finalizzata alla formazione delle attitudini e capacità operative che servono a
gestire vari contesti professionali. La competenza è qualcosa che ha a che fare con il
cosiddetto “saper fare”. Questo concetto, nell'ambito scolastico, ha generato dibattito e
polemiche, poiché è come se avesse dato enfasi alla dimensione pragmatica e avesse lasciato
sullo sfondo le conoscenze e saperi professionali. Alcuni sostengono che abbia comportato
una semplificazione dei saperi che vengono mediati a scuola fino al punto da banalizzare
questi saperi.
Per superare queste critiche, bisogna stabilire quali sono le relazioni che si stabiliscono tra
competenza e sapere scolastico. Il modello della didattica per concetti, elaborato dal
professor Elio Damiano, ritiene che il sapere scolastico, per potere essere appreso in maniera
efficace e trasformarsi in competenza, si deve definire come oggetto culturale.
L’oggetto culturale è il sapere organizzato così da essere messo a disposizione dei processi
di apprendimento. E’ necessario focalizzare la differenza tra sapere scientifico e sapere
scolastico:
● Sapere scientifico: così come ci viene consegnato dalla scienza, elaborato all’interno
dei diversi domini scientifici.
● Sapere scolastico: è modulare il sapere scientifico, dandogli una forma per renderlo
sintonico con i processi di apprendimento degli allievi, trasformandolo in un presidio
che lo renda comprensibile e acquisibile dagli allievi.
○ Non è una banalizzazione del sapere scientifico, ma modulato per essere
messo a disposizione dei processi di apprendimento: richiede una connessione
tra sapere scientifico e i processi che gli danno una configurazione che lo
renda disponibile all’apprendimento.
Gli abiti sono le disposizioni permanenti della soggettività, ovvero l’insieme dei presidi,
criteri, valori, punti di riferimento ai quali ognuno si affida per prendere decisioni e
strutturare la relazione con l’ambiente e con gli altri. L’azione didattica incide anche sugli
abiti degli studenti, quindi sulla formazione della visione del mondo e dei modi di fare, stabili
e ricorrenti, ai quali ognuno si affida per interagire con l’ambiente e con gli altri.
L’azione didattica deve quindi preoccuparsi di promuovere presso gli allievi sia i sapri che il
modo di pensare e costruire quei saperi, intenzionata non soltanto alla materia ma anche alla
disciplina.
Per Brumer, l’oggetto per il sé è costituito da quei significati che fanno emergere lo scenario
della soggettività e della coscienza: connotazioni che prendono consistenza nell’incontro tra
la struttura dell’oggetto e quei riverberi che quell’oggetto assume per la soggettività.
Secondo Baldacci, il presidio didattico che può tenere insieme queste dimensioni della
conoscenza è una struttura particolare, ovvero il curricolo. Egli dice che le pratiche educative
non sono mai neutrali ma intrise di finalità educative. Il curricolo 1 corrisponde all'oggetto in
sé, mentre il curricolo 2 è rappresentativo dell’oggetto per il sé: quest’ultimo promuove un
modo di pensare quei contenuti espressi nel curricolo 1, ovvero stabilire il valore che quei
contenuti possono avere per la soggettività.
C’è una differenza significativa tra apprendere è comprendere, poiché la comprensione non
è solo apprendimento delle componenti strutturali dell’oggetto. Il processo di apprendimento
diventa comprensione dell’oggetto quando riesce a tenere insieme le due diverse dimensioni
della conoscenza, è quindi sintesi delle componenti di struttura e di senso, dell’oggetto in sé e
dell’oggetto per il sé. Non ha soltanto una valenza cognitiva ma anche interpretativa: è volta a
far sì che l’allievo possa costruire il proprio valore personale che l’oggetto di conoscenza può
assumere per lui. E’ quindi un percorso finalizzato alla promozione delle dimensioni di senso.
Si può quindi parlare di un apprendere che transita, che potrebbe essere limitato
all’acquisizione delle strutture, mentre si fa comprensione quando correla il valore strutturale
dei contenuti al valore di senso che assume per la soggettività dello studente.
Lo studioso Gerard Egan individua quattro diverse forme di comprensione, ovvero quattro
diversi percorsi di apprendimento che si possono sviluppare per costruire la connessione tra
struttura e senso.
Il bambino tende a strutturare il mondo come coppie di opposti, tra le quali cerca di
individuare un punto di mediazione (es. caldo vs freddo: tiepido) che cerca di ritrovare
nell’esperienza personale. Egli ricorre all’immaginazione quando non trova nell’esperienza il
punto di mediazione tra le coppie di opposti, costruendolo attraverso l’immaginazione.
Questa distinzione non deve indurre a pensare che l’immaginazione disponga di un valore
epistemico maggiore di quello riconosciuto alla fantasia, perché entrambe sono facoltà della
mente volte a rappresentare l’invisibile e l’indefinito e quindi, hanno entrambe uno spessore
epistemico. Sono entrambe rivolte a costruire una rappresentazione del mondo in termini di
ciò che esso può essere o può diventare: esse abituano la mente a pensare la realtà in termini
di ciò che la realtà può diventare, e sono quindi volte a sostenere la proiezione della persona
verso il possibile.
I contenuti dell’immaginazione sono tanto validi quanto i contenuti della fantasia: entrambe
costruiscono delle rappresentazioni che possono diventare criteri esplicativi e conoscitivi
dell’esperienza. Persino Platone si serviva, per argomentare i connotati fondamentali
dell’esistenza, non solo dell’argomentazione logica, razionale e fondata sul dato ma si serve
anche del mito, ovvero rappresentazioni fantasiose che malgrado il loro grado di irrealismo
riescono comunque ad esplicare dei fatti dell’esistenza e si pongono come rappresentazioni in
grado di ricondurre a senso i connotati dell’esistenza.
Immaginazione e fantasia sono anche alla base di alcune scoperte scientifiche, come
Leonardo da Vinci con il volo: la capacità di pensare la forza di gravità secondo una
prospettiva più ampia che essa testimonia nell’immediato affonda le radici nella fantasia e
nell’immaginazione, che permettono di pensarla non solo come ciò che essa è ma anche come
ciò che può diventare.
Edgar Morin sostiene che il progresso dell’umanità è possibile nella misura in cui l’uomo
conserva in sé stesso una certa dose di delirio. Il delirio è ciò che spinge l’uomo a staccarsi
dalla realtà com’è per prospettare la realtà come può essere. L’uomo compiuto riesce a tenere
insieme la componente sapiens e demens.
Il processo immaginativo mette in atto un salto epistemico che trascende le parti che
compongono l’oggetto. Nonostante ciò, essa non ha valenza soltanto irrealistica. Gli elementi
eccedenti dell’oggetto derivano dalle relazioni che l’oggetto instaura con la soggettività di
colui che conosce l’oggetto, quindi dai riverberi che le dimensioni strutturali dell’oggetto
provocano nella soggettività. L’immaginazione è quindi una risorsa capace di orientare la
struttura dell’oggetto in sé verso la configurazione di ciò che l’oggetto è per il sé. Il prodotto
dell’immaginazione (il tutto che trascende le parti) è riconoscibile anche per chi guarda
all’oggetto solo in sé, piuttosto che per il sé.
Una variante del binomio fantastico è l’ironia, che consiste nel proporre all’allievo dei
compiti che gli chiedono di elaborare i concetti entro una prospettiva divertente che solleciti
il sorriso. Il divertimento alla base dell’ironia esprime un dinamismo profondo del
linguaggio, che si instaura tra il detto e l’inteso. L’ironia tematizza l'eccedenza tipica del
comprendere con l’immaginazione perché è un dispositivo didattico che sostiene il
decentramento linguistico, sfruttando la capacità del linguaggio di trascendere il detto per
rendere visibile l’inteso che non è immediatamente riconoscibile dall’analisi semantica del
detto.
Egan sosteneva che le esperienze personali della vita concreta sono tutte cadenzate da un
ritmo specifico. Il ritmo è la risorsa che esprime il vissuto della conoscenza, il significato che
l’esperienza assume per la persona. E’ la risorsa della mente che viene utilizzata sia dal
bambino che dagli autori delle opere letterarie per esprimere il senso delle loro conoscenze.
Ogni genere letterario ha un suo ritmo: ad esempio Manzoni usa ottonari ed endecasillabi
nelle tragedie e nelle odi per esprimere la tensione emotiva ed il significato umano degli
eventi che sta rappresentando in quei componimenti.
Max Weber diceva che le conoscenze non sono asettiche ma hanno una connotazione
intrinsecamente umana. Per quanto possano avere una componente strutturale e cognitiva,
sono risorse che implicano una visione del mondo, ovvero un modo particolare di avvertire
l’esperienza e la posizione della dimensione sociale dell’uomo rispetto al mondo.
Gerard Egan sosteneva che ogni tipo di conoscenza è conoscenza umana, e possiamo avere
accesso a una tale conoscenza attraverso le speranze, le paure e le intenzioni che ne
guidavano gli autori. Comprendere compiutamente significa concepire le conoscenze a
partire dalle tensioni autenticamente umane che risiedono nel vissuto.
Si compie un atto di umanizzazione delle conoscenze: fare in modo che il vissuto si renda
disponibile all’oggetto. Wiggins diceva che comprendere significa elaborare una risposta
personalizzata a questioni che ineriscono al valore che quei concetti assumono per la
soggettività degli allievi.
L’atto ermeneutico assume intrinsecamente delle valenze e connotazioni didattiche.
Comprendere vuol dire svolgere un percorso ermeneutico che porta a cogliere e portare in
evidenza le risonanze interne che le connotazioni strutturali degli oggetti esterni provocano
sulla soggettività.
La dimensione ermeneutica della conoscenza si insinua nello scarto tra ciò che l’oggetto è
in sé e ciò che è per il sé: colma la distanza tra queste due dimensioni, consentendo di
orientare le caratteristiche della prima dimensione verso le suggestioni tipiche della seconda.
Come dice Brumer, il vissuto consente di inserire nella conoscenza lo scenario della
soggettività e della coscienza.
Questi tipi di conoscenze sono quindi focalizzate sull’idea dell’oggetto per il sé, ovvero sul
significato che quel determinato contenuto di apprendimento può avere per l’esperienza
umana e personale dello studente. Stabiliscono quindi il rilievo di una conoscenza per la
soggettività personale, condivisa, e umana.
Sempre Lipman, individua nel Pensiero Caring la risorsa della soggettività che sostiene la
focalizzazione degli atteggiamenti proposizionali nel processo conoscitivo. Esso tematizza gli
oggetti di conoscenza come contenuti meritevoli di cura, attenzione e tutela, in quanto
rilevanti per la soggettività umana, in grado di influenzare nel lungo periodo il
comportamento e le scelte di una determinata persona.
Il Pensiero Caring interviene quando la mente umana tematizza certi contenuti come qualcosa
che ha valore e impegna i propri atti di cura, attenzione e tutela in quel determinato sapere. E’
per esempio ciò che dovrebbe succedere quando uno studente è chiamato a compiere la scelta
universitaria: dopo essersi interfacciato con i vari domini scientifici del sapere durante il
percorso della scuola dell’obbligo, egli sceglie di spendere il proprio tempo e le proprie
risorse nell'approfondimento del tipo di sapere che ha maggiore rilevanza per la sua
soggettività e per la sua esperienza personale.
Il Pensiero Caring dispone quindi la persona verso il sapere con un atteggiamento di costanza
e di permanenza nel tempo, poiché la spinge a costruire degli obiettivi realistici e proponibili
che non impegnano soltanto il suo presente ma anche il suo progetto di vita a lungo termine.
Sostiene quindi un atto decisionale, poiché finalizzato all’elaborazione degli oggetti meta.
Gli oggetti meta sono un costrutto psicologico che indicano degli obiettivi collocati in un
tempo futuro ma che sono in grado di impegnare anche il tempo presente, motivando e
orientando il comportamento e le scelte del soggetto che ha a cuore quegli obiettivi.
Dice John Dewey, che il Pensiero Caring può seguire due diversi percorsi:
Brumer distingue tra le forme di pensiero, ovvero le risorse che la mente attiva per costruire
conoscenza. La mente costruisce conoscenza tramite il pensiero paradigmatico e narrativo.
Brumer afferma che queste due forme di pensiero sono comunque complementari e ricorrono
contemporaneamente negli atti conoscitivi concreti e nella definizione dell’oggetto. La
differenza tra i due pensieri è di tipo sostanziale: il pensiero paradigmatico si individua con la
conoscenza dell’oggetto in sé, il pensiero narrativo con la conoscenza dell’oggetto per il sé.
Per Brumer, il pensiero narrativo è alla base della genesi dei significati sia positivi che
negativi. Egli dice che, usando un esempio, se la fissione nucleare è diventata bomba atomica
ciò non dipende dalla formula della fissione nucleare come concetto in sé, ma dall’uso che i
soggetti coinvolti nella sua scoperta hanno deciso di farne, ovvero come l’hanno elaborata da
un punto di vista narrativo. Quel contenuto (la bomba atomica) viene quindi letto come
l’esito dell’azione che soggetti immersi in quel contesto hanno compiuto per raggiungere un
determinato obiettivo utilizzando certi mezzi (la formula della fissione nucleare).
Per svolgere il compito di prestazione, l’allievo non deve guardare soltanto al contenuto ma
anche a sé stesso, trasferendo nella realizzazione del compito anche la dimensione soggettiva
legata al vissuto, dando così all’oggetto di conoscenza la possibilità di diventare rilevante per
la sua esperienza personale.
Questa visione della ragione assume il suo massimo apice nell’Illuminismo, che definisce la
razionalità come “Dea Ragione” attribuendole quei poteri salvifici generalmente attribuiti
dalle religioni.
Tra queste due diverse concezioni della realtà non c’è quindi corrispondenza: Kant mette
quindi in evidenza sia le condizioni necessarie alla ragione per ricostruire la realtà, ma
sottolinea anche quelle dimensioni della conoscenza a cui la ragione non può accedere.
Il primo costrutto che risente del modo di Kant di vedere la ragione è il concetto di esistenza,
ovvero la percezione di ciò che esiste e di ciò che non esiste.
Già prima di Kant, Hume aveva posto a revisione il concetto di esistenza focalizzando la
relazione che si può creare tra il concetto di razionalità e esistenza. La conclusione a cui
Hume è arrivato è che l’esistenza non si può identificare come una qualità degli oggetti:
l’esistenza non aggiunge né toglie nulla alla rappresentazione che il pensiero dà di
quell’oggetto. Un oggetto, nella rappresentazione data dal pensiero razionale, conserva gli
stessi tratti che conserva quando quell’oggetto evidentemente esiste. Ad esempio, la struttura
di un atomo rimane invariata sia che lo osserviamo con un microscopio, quindi all’interno del
perimetro della realtà concreta, sia che la ricostruiamo con il nostro pensiero razionale
quando non siamo in grado di vederla ad occhio nudo; la prova della sua esistenza, quindi,
non aggiunge nulla alla sua struttura effettiva.
Hume concludeva che l’esistenza non risponde al dinamismo della necessità, ma individua
una possibilità. L’elaborazione razionale di un concetto non implica necessariamente che
esso debba esistere solo perché ho la capacità di pensarlo, ma implica la possibilità della sua
esistenza perché io sono in grado di pensarlo.
Frege elabora il concetto di esistenza basandosi sulla distinzione che compie tra proprietà di I
livello e proprietà di II livello:
Secondo Frege l’esistenza è una qualità di secondo livello perché non riguarda direttamente
gli individui ma le qualità che attengono a loro volta agli individui, ed è quindi una qualità di
qualità. La caratteristica fondamentale dell’esistenza è la capacità di istanziare, ovvero
avere la capacità di rendere concrete nello spazio e nel tempo una o più qualità. Se un oggetto
esiste, quindi, esso possiede una o più qualità che si manifestano concretamente nello spazio
e/o nel tempo, poiché l’esistenza non è una qualità di per sé.
Russell elabora il concetto di esistenza sulla base del concetto di funzione proposizionale
(FP), che non è altro che la forma epistemica del giudizio, ovvero l'assegnazione di una
qualità ad un oggetto. La funzione proposizionale è riconducibile al costrutto epistemico
fondamentale, ovvero il costrutto attributivo che si esprime attraverso il costrutto di X è A,
che assegna la qualità A al concetto X.
Il concetto di esistenza è correlato al dinamismo della FP, che risiede nelle condizioni di
verità del costrutto attributivo X è A, che può essere o un’affermazione vera o
un’affermazione falsa. E’ vera quando riscontra elementi che la confermano nel mondo
empirico, mentre è falsa quando non è confermata da nessun elemento dell’esperienza
empirica. Secondo Russell, esiste tutto ciò che sotto il punto di vista della FP può essere
considerato vero, che assume quindi valore di verità tramite la conferma nel mondo empirico.
Edgar Morin sostiene che una conoscenza non è uno specchio delle cose del mondo esterno;
tutte le percezioni sono allo stesso tempo ricostruzioni e traduzioni cerebrali a partire da
stimoli e segni captati e modificati attraverso i sensi. La conoscenza sotto forma di teorie è il
risultato di una traduzione e ricostruzione attraverso i linguaggi del linguaggio e del pensiero.
Per essere valida, la conoscenza deve confrontare i costrutti che elabora in base alle regole
della scienza e del ragionamento con le caratteristiche che provengono dal contesto. Deve
quindi valutare i costrutti non solo a partire dalla loro coerenza interna, dettata dalla
razionalità, ma anche in riferimento alle conseguenze che i costrutti riverberano nel contesto
entro il quale prendono consistenza o in cui vengono assunti, secondo la ragionevolezza.
Lo strumento che la mente attiva per costruire conoscenza è il giudizio, ovvero il dinamismo
epistemico volto a costruire connessioni tra concetti. Giudicare vuol dire fondamentalmente
connettere, costruendo associazioni tra concetti. L’atto conoscitivo può essere quindi
considerato rispetto a un duplice piano: un piano epistemico e un piano linguistico,
definibile come la manifestazione del piano epistemico.
● Sul piano epistemico conoscere vuol dire assegnare ad un oggetto alcune qualità e si
svolge prettamente a livello mentale, di pensiero;
● il piano linguistico traduce il piano epistemico: la connessione oggetto + qualità del
piano epistemico si traduce nella connessione soggetto + predicato; in cui i predicati
sono i costrutti linguistici che spiegano le qualità del soggetto.
Comprendere con la ragione significa acquisire sia le connessioni che vengono formate con i
giudizi, sia i modelli associativi con i quali la mente arriva a concepire tali connessioni, sia i
nessi che uniscono gli elementi che entrano nel giudizio attraverso la razionalità e
l’esperienza. Vi sono due diversi tipi di nessi associativi:
Comprendere con la ragione significa quindi trascendere l’elaborazione verbale dei contenuti,
riuscendo a individuare la peculiarità dei nessi associativi che nel giudizio connettono tra loro
soggetto e predicato. Si opera quindi un transito tra la logica formale e la logica informale, o
meglio ampliando il ragionamento dalla sola logica formale anche alla logica informale.
● Logica formale: rileva la validità degli enunciati solo a partire dalla coerenza interna,
dal rispetto delle regole del ragionamento, e da un processo interno di natura
estremamente formale che è indipendente dal contesto.
● Logica informale: la validità degli enunciati dipende anche dal confronto
dell’enunciato formale con il contesto, a partire dalla considerazione che i riverberi
dell’enunciato causano nel contesto e quindi dalle conseguenze che causano sulla
situazione. Fa riferimento all’esperienza e al senso contestuale.
Lo scopo è abilitare l’allievo a comprendere i contenuti rispetto alla peculiarità che essi
assumono quando vengono analizzati sullo sfondo dei diversi domini scientifici. Per attivare
questo dinamismo testo-contesto vengono usati i compiti di confronto che propongono
all’allievo un concetto e gli chiedono di analizzarlo rispetto ai diversi domini scientifici,
correlando appunto tra loro testo e contesto. L’obiettivo è promuovere un apprendimento
razionale non focalizzato solo sul pensiero ma anche sull’atto del pensare.
Sul piano didattico, si propone l’attivazione di un dinamismo epistemico più complesso che
opera il transito dal pensiero al pensare, dai contenuti ai processi generativi dei contenuti,
ovvero l’esplicitazione metodologica dell’atto del pensare.
Una variante dei compiti di confronto risiede nel dispositivo didattico della commutazione
epistemica. Questi compiti propongono il confronto dell’allievo con un fatto, sia di cronaca
che per esempio storico, e chiedono di elaborarlo alla luce dei diversi domini scientifici,
contestualizzandolo nelle diverse materie epistemiche. L’allievo deve quindi considerare sia il
contenuto che i processi generativi del contenuto, poiché gli si chiede di esercitare un
determinato modo di pensare, focalizzandosi anche sui processi generativi ovvero i contesti.
L’obiettivo è promuovere esperienze di comprensione che promuovono la logica informale e
sono quindi incardinate sul criterio della ragionevolezza.
Nel perimetro didattico, si focalizzano i contenuti non solo per apprenderli dal punto di vista
definitorio ma per individuare i paradigmi e le regole paradigmatiche, ovvero i criteri in
base ai quali un dominio scientifico costruisce e dà validità ai propri enunciati. Per esempio,
ciò che non si può esplicare tramite il nesso paradigmatico di causa-effetto non è valido nel
dominio della scienza. Il passaggio dai concetti ai paradigmi è un processo anche didattico e
scolastico.
Damiano afferma che i mediatori didattici si possono classificare in quattro tipologie diverse:
Il concetto di Vicarianza dice che anche se vi sono alcuni aspetti della realtà che hanno un
legame particolare con un determinato sistema sensoriale ciò non esclude che questi aspetti
della realtà possano essere appresi anche attraverso altri sistemi sensoriali. Un contenuto che
per la sua particolare struttura si offra solo ad uno specifico senso può essere concettualizzato
anche attraverso sistemi sensoriali alternativi, anche quando il sistema sensoriale principale
viene in qualche modo pregiudicato. Ciò avviene tramite la sostituzione delle risposte
automatiche disfunzionali con altre più appropriate.
Ci sono dimensioni della realtà che possono essere concettualizzate anche attraverso sistemi
sensoriali alternativi, poiché esiste una sostanziale indipendenza degli apprendimenti dalle
caratteristiche strutturali dello stimolo. Stimoli particolari si offrono in maniera prevalente a
determinati canali sensoriali, ma ciò non impedisce che possano essere concettualizzati
attraverso canali sensoriali alternativi.
Questo transfert del processo conoscitivo da un sistema sensoriale all’altro non avviene
autonomamente ma attraverso l’intenzionalità del soggetto, ricadendo sotto il controllo delle
facoltà deliberative. Nell’esperienza personale si sviluppa la predisposizione a sviluppare la
capacità di conoscenza attraverso diversi canali sensoriali che non solo sono intenzionali ma
dipendono anche dalle peculiarità dello specifico soggetto.
L’altra dimensione che dipende dal concetto di vicarianza fa riferimento ai processi imitativi,
ovvero la modalità privilegiata del corpo di apprendere e rappresentare l’esperienza,
mettendo in atto processi riproduttivi delle caratteristiche degli oggetti. Possono scansionarsi
secondo tre diverse dimensioni:
La prima differenza tra i due modelli è il modo di esprimere le diverse funzioni didattiche.
Nel modello del 1956, esse sono definite attraverso dei sostantivi, ad esempio Comprensione,
Analisi, Valutazione. Nel modello 2001, i sostantivi sono sostituiti da predicati coniugati in
prima persona come Comprendi, Analizza, Valuta. Ciò è importante perché questa
rimodulazione fa acquisire alla tassonomia un profilo più praticabile dal punto di vista della
spendibilità didattica, perché i verbi indicano in maniera più precisa cosa viene chiesto di fare
all’allievo per poter conseguire l’apprendimento.
L’ultimo aspetto da considerare, sia nel modello di Bloom che in quello di Anderson e
Krathwohl, è la ragione per cui questo modello di apprendimento viene definito Tassonomia.
Questa scelta è motivata dal fatto che il processo di apprendimento non è un singolo atto
cognitivo unitario: l’apprendimento compiuto deve transitare attraverso una molteplicità di
atti cognitivi.
In realtà non basta nemmeno transitare tra queste forme di apprendimento, ma il transito deve
avvenire attraverso determinati criteri gerarchici: nel modello della Tassonomia di Bloom, è
necessario attivare una serie di funzioni conoscitive in ordine sequenziale. Qualunque
apprendimento deve transitare attraverso tutte le funzioni e deve anche assumere la
padronanza di ogni forma di apprendimento precedente per poter passare al successivo, ed è
ciò che rende il modello tassonomico.
La prima funzione del modello della Tassonomia di Bloom è la funzione del Ricordare, che
nella versione del 1956 era rappresentata dal termine Conoscenza. In generale, Ricordare
vuol dire incorporare nella memoria a lungo termine delle determinate conoscenze ed avere la
capacità di richiamarle alla memoria quando occorre.
Le operazioni cognitive che specificano questa funzione, dal punto di vista didattico, si
esprimono in compiti che chiedono all’allievo di costruire delle definizioni, recuperando
dalla memoria contenuti che descrivono un determinato argomento e riferire questi contenuti
nel modo più corretto possibile. Definire i concetti significa rispondere a quesiti riconducibili
allo schema generale delle domande Che cos’è, Chi è, Come si fa.
Il termine originario Conoscenza, che prendeva il posto di Ricordare (introdotto nel 2001),
indica l’importanza che questa funzione assume nel modello didattico implicito della
Tassonomia di Bloom. Nella didattica tradizionale, la conoscenza era l’obiettivo finale del
processo di apprendimento, mentre Bloom lo colloca alla base; così intesa come il richiamare
alla memoria, la conoscenza è il presupposto di tutta una serie di operazioni cognitive
successive. Lo scopo dei processi di apprendimento non è la conservazione dei contenuti
nella memoria, la promozione nell’allievo di elaborare secondo livelli di concettualizzazione
sempre più complessi le conoscenze dichiarative che rappresentano il nucleo concettuale di
fondo di ogni conoscenza.
I compiti che concretizzano questa funzione servono per valutare l’efficacia delle procedure
che sono state messe in atto per acquisire determinati contenuti. Si vogliono quindi conoscere
sia le qualità che i limiti del proprio modo di apprendere per ottimizzarlo, concentrandosi sui
compiti e sui metodi di apprendimento che meglio si adattano alle caratteristiche di ognuno.
Sostanzialmente sono riconducibili a consegne tipo Che cosa conosci di questo argomento?
Quali procedure hai utilizzato per conseguire questo apprendimento? Le ritieni pertinenti?
L’allievo è quindi sollecitato ad accostare i contenuti disciplinari per focalizzare il proprio
modo di apprendere, adempiendo al comando socratico di “conosci te stesso”.
La sesta, e ultima, funzione è quella del Creare. Nella versione del 2001, rappresenta il
livello di elaborazione cognitiva più complesso, e non vi si può accedere se non si
padroneggiano tutte le funzioni cognitive precedenti. In questa funzione, a differenza delle
altre, l’allievo non è sollecitato ad agire su contenuti già esistenti ma deve attivare le sue
funzioni conoscitive per generare qualcosa di nuovo.
Questa funzione si concretizza nell’atto cognitivo del progettare, cioè sollecitare l’allievo a
elaborare un contenuto che non richiede la riflessione su qualcosa di già dato, ma di costruire
su qualcosa di nuovo pertinente al contenuto che è già stato appreso. Ciò porta dal noto al
nuovo, costruendo un oggetto innovativo.
La conoscenza fattuale può essere anche espressa sotto forma di conoscenza di fatti ed eventi
specifici, conoscendoli quindi non solo come etichette linguistiche e associati a definizioni
ma come accadimenti e situazione, compresa la conoscenza delle loro fonti. Ad esempio,
conoscere la data di nascita di un autore, conoscere i luoghi in cui si ambienta un romanzo.
E’ il tipo di conoscenza più elementare e semplice, e per questo viene spesso svalutata nella
prassi didattica diffusa. Nella Tassonomia di Bloom, essa rappresenta invece il fondamento
dei processi di fondamento che vengono dopo; se non si padroneggiano questi livelli di
conoscenza non si può accedere a livelli più complessi.
● Descrittivi: principi che stabiliscono una regola generale che indica come accadono
gli eventi.
● Esplicativi: principi finalizzati a individuare le cause dell’origine di un determinato
fenomeno.
● Predittivi: conseguenze che prospettano le possibili evoluzioni di un fenomeno.
Si distingue dalla conoscenza concettuale poiché è la conoscenza del come, e non del che
cosa, ovvero del prodotto. In termini generali, fa riferimento ad algoritmi e procedure che
determinate discipline mettono in campo per risolvere vari problemi.
Si distingue dalla conoscenza metacognitiva, invece, perché la conoscenza procedurale
riguarda ambiti di conoscenza circoscritti e ben distinti tra loro, utilizzando procedure di
natura contestuale e operativa, mentre la conoscenza metacognitiva usa procedure di carattere
cognitivo e mentale per raggiungere un determinato obiettivo.
Si può declinare il quadro generale della conoscenza procedurale secondo molte declinazioni:
secondo metodi e tecniche, e come conoscenza di criteri.
Nel caso di metodi e tecniche, vengono in rilievo le procedure che determinati domini
disciplinari seguono per conseguire conoscenza intorno al loro oggetto di studio. Rientrano in
questo ambito gli algoritmi, che portano ad un risultato univoco tramite passaggi sequenziali
che bisogna seguire. Sia gli algoritmi che i metodi e le tecniche presentano una serie di
passaggi da seguire, ma i metodi e le tecniche non comportano necessariamente ad un
risultato univoco, poiché anche seguendo le sequenze di azione non è scontato arrivare
sempre allo stesso risultato.
Conservare vuol dire mantenere la conoscenza nella memoria a lungo termine per periodi
prolungati di tempo, e si rivolge prevalentemente al passato. Entra in gioco nella prima
funzione cognitiva della Tassonomia, ovvero quella del Ricordare. Gli atti di conservazione
sono atti di apprendimento che l’allievo attua per inserire le informazioni acquisite nella
memoria a lungo termine.
Tutte le altre funzioni si condensano intorno al Trasferimento, che significa svolgere una serie
di funzioni cognitive con lo scopo di trasferire la memoria a lungo termine in contesti diversi
rispetto ai quali quella determinata informazione è stata acquisita per la prima volta. Le
operazioni di trasferimento sono orientate al futuro, e si chiede all’allievo di applicare le
informazioni contenute nella sua memoria in altri ambiti diversi da quello di partenza.
In base a come, nei processi di apprendimento, si declinano tra loro funzioni di conservazione
e trasferimento, si possono individuare tre diversi scenari: apprendimento mancato,
meccanico, o significativo.
Riconoscere vuol dire recuperare dalla memoria a lungo termine le conoscenze per
confrontarle con le informazioni già presentate; è quindi fondata su un atto di confronto. Può
anche essere esercitata chiedendo all’allievo di individuare la corrispondenza tra due gruppi
di informazioni e tramite quesiti a risposta multipla.
Rievocare vuol dire recuperare dalla memoria a lungo termine le informazioni richieste,
spostare nella Memoria di Lavoro e verbalizzare la risposta, ed è un’azione più complessa del
Riconoscere poiché non è mediata da un’informazione offerta all’allievo.
Viene esercitata tramite la sollecitazione il recupero di informazioni apprese in precedenza
senza ausili che agevolino l’atto di recupero; oltre che tramite a quesiti a sollecitazione bassa
che non contiene informazioni che agevolano il recupero (es. descrivi come è fatta una
cellula), e quesiti a sollecitazione alta che contengono numerose informazioni che agevolano
il recupero (es. completazione della frase con la parola mancante).
● Parafrasi: trasformare un testo fatto di parole in un testo fatto di parole diverse che
conservano però lo stesso significato.
● Traduzione: rappresentare un contenuto espresso con un determinato codice con un
codice differente (es. parole in formato matematico)
I compiti cognitivi che adempiono alla funzione interpretativa sono di due tipi: prove a
risposta formulata in cui gli allievi devono scrivere la risposta corretta , e prove a risposta
selezionata in cui l'allievo deve selezionare la risposta corretta scegliendo tra più alternative.
Spesso hanno una struttura alle prove con cui si valuta la funzione cognitiva del Ricordare:
per focalizzare la risposta sull’Interpretare è necessario che il compito prospetti all’allievo
con un’informazione nuova, ovvero che l’allievo non ha mai incontrato in precedenza ma che
può analizzare e risolvere usando le conoscenze che possiede. Ciò dipende dall’insegnante e
dalla sua conoscenza di ciò che i suoi allievi hanno già affrontato e di ciò che conoscono.
Per classificare si possono compiere almeno tre azioni cognitive: capire se un oggetto
appartiene effettivamente a una categoria più ampia; assumere un oggetto entro una classe di
appartenenza; individuare le caratteristiche che un oggetto ha in comune con un altro oggetto,
passando appunto dal particolare all’universale.
E’ una componente fondamentale della comprensione del testo, che aiuta l'allievo a costruire
immagini mentali corrispondenti all’oggetto del testo, promuovendo quindi l’attuazione di un
apprendimento significativo.
Una funzione più complessa è quella del Dedurre, che vuol dire individuare uno schema che
riconduce a senso un insieme di caso, individuando in particolar modo le relazioni ricorrenti
che intercorrono tra i casi di un insieme. Significa quindi confrontarsi con più casi e
individuare la rete di relazioni che connettono quei casi. Ciò che differenzia questa funzione
dalla Classificazione è che l'elemento comune non è una classe di appartenenza ma una
relazione.
● Esercizio: atto essenzialmente esecutivo, che richiede una procedura nota o riferire
una conoscenza acquisita, riferito a problemi familiari.
● Problema: comporta una procedura più complessa poiché è un atto decisionale, che
richiede la decisione di quale procedura eseguire o quale conoscenza adoperare per
affrontare situazione non familiari. L’allievo deve quindi elaborare le conoscenze che
possiede per formulare procedure per affrontare il nuovo problema.
Eseguire vuol dire confrontarsi con un problema familiare e affrontarlo o con le procedure
già conosciute o con le conoscenze già acquisite, e si applica attraverso gli esercizi che
presentano situazioni familiari. I compiti devono avere la stessa struttura affrontata in
precedenza anche se i dati specifici variano.
L’atto di Implementare ha una struttura più complessa poiché l’allievo si confronta con
problemi non familiari, la cui struttura non è mai stata affrontata in precedenza e che deve
quindi essere elaborata ex novo. Consiste nell’individuare quale sia la procedura più adatta,
ovvero quella che risulta maggiormente funzionale per risolvere il quesito che si deve
affrontare, tra una serie di procedure possibili.
Questa sottofunzione a volte esige una rimodulazione delle procedure, che è suggerita dalla
peculiare struttura del compito che deve essere analizzata prima di fare qualsiasi altra
operazione. Si è quindi più vicini alla dimensione dei metodi che degli algoritmi: si presenta
come un diagramma di flusso che come una linea rigida, poiché è spesso necessario adattare
le procedure al problema che si sta affrontando, e quindi prendere delle decisioni che variano
rispetto a come la procedura è formalmente presentata. Nell’algoritmo l’atto decisionale è
incorporato nella struttura stessa della procedura, e non è il soggetto che svolge il problema a
dover prendere le decisioni. Non è quindi detto che le stesse procedure, applicate in situazioni
diverse, porteranno sempre allo stesso risultato.
Nell’ambito del modello di Bloom emerge una particolare concezione del Fare: non vuol dire
mettere in atto un’azione immediata, ma consiste nella rappresentazione mentale dell’azione.
Non si identifica con l’azione in sé, ma implica l’esercizio di tutta un serie di azioni cognitive
che esigono di rappresentare preventivamente l’azione sul piano mentale. Arricchisce la
dimensione pratico-operativa delle componenti cognitive e di riflessione che consentono di
ampliare il potere del soggetto sull’azione stessa.
Le operazioni cognitive che concretizzare l’Analizzare sono: distinguere tra fatti e opinioni;
stabilire nessi tra le affermazioni e le conclusioni contenute in un discorso o in un testo;
distinguere, in un insieme di dati, quelli che sono rilevanti da quelli che non lo sono; stabilire
relazioni tra idee; individuare gli “impliciti” e i "sottintesi" di un discorso; focalizzare gli
elementi dai quali desumere le finalità di un testo o di un discorso.
Differenziare è la funzione più generale: vuol dire individuare le parti più rilevanti di un
costrutto, distinguendole da quelle meno rilevanti, analizzare quindi le diverse parti di un
insieme in relazione all’importanza che rivestono nell’insieme stesso.
Attribuire è una funzione cognitiva diversa dalle precedenti, poiché consiste nel riconoscere
punti di vista, valori, intenzioni implicite di un discorso cognitivo. Implica quindi un processo
di decostruzione del discorso e si costituisce in una serie di atti di matrice inferenziale. Va
oltre la funzione del Concettualizzare (sottofunzione del Comprendere): non si tratta di
introdurre un concetto in una categoria più ampia ma si deve individuare le intenzioni che si
volevano perseguire tramite quel determinato concetto. Significa anche individuare le
motivazioni per cui i concetti sono stati posti in essere tramite la loro interpretazione.
Il formato delle prove in cui si applica la sottofunzione dell’Attribuire può essere o a risposta
formulata o a risposta selezionata. Prove di selezione si dividono in due tipi:
Un giudizio, per rientrare nella funzione di Valutare, deve stabilire l’adeguatezza di una
prestazione rispetto a un criterio, confrontandola con uno standard di riferimento, decidere
quindi il grado di adeguatezza di una prestazione o contenuto ad uno standard assunto come
punto di riferimento. Per adempiere a questi obiettivi, la valutazione può assumere due
forme: Controllo e Critica.
Pianificare vuol dire elaborare un metodo per verificare l’ipotesi selezionata tramite l’atto
della Generazione. Si devono stabilire la sequenza dei passaggi necessari a verificare
un’ipotesi, tenendo conto sia di quali passaggi eseguire e del perché eseguirli. Le prove
consistono quindi nel presentare un problema e chiedere di ipotizzare tutti i possibili modi di
risolverlo. Avviene quindi una rappresentazione mentale di ipotesi procedurali.
Produrre (o Realizzare) è l’ultimo atto cognitivo del Creare, e consiste nel realizzare un
piano di azione finalizzato al raggiungimento di un determinato obiettivo. E’ la sottofunzione
in cui effettivamente si creano prodotti innovativi, che rispondono a determinati standard,
mentre le due sottofunzioni precedenti erano atti di progettazione che si esplicano
concretamente in questa sottofunzione finale.
L’atto del Creare non porta quindi dall’uguale all’uguale: porta dal molteplice al nuovo,
poiché consiste nell’acquisire delle conoscenze non per impararle fine a sé stesse, ma usare
quelle conoscenze al fine di creare qualcosa di innovativo.