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Didattica generale

Lezione 1: Apprendere e comprendere


La competenza si può definire come l’insieme delle attitudini personali finalizzate
all’efficace gestione dei contesti di vita. Negli ultimi decenni questo concetto è stato
introdotto nel contesto scolastico, infatti ora si parla di “scuola delle competenze”.

Questo concetto viene assunto dalla scuola nell’ambito della formazione professionale, legato
all’attività finalizzata alla formazione delle attitudini e capacità operative che servono a
gestire vari contesti professionali. La competenza è qualcosa che ha a che fare con il
cosiddetto “saper fare”. Questo concetto, nell'ambito scolastico, ha generato dibattito e
polemiche, poiché è come se avesse dato enfasi alla dimensione pragmatica e avesse lasciato
sullo sfondo le conoscenze e saperi professionali. Alcuni sostengono che abbia comportato
una semplificazione dei saperi che vengono mediati a scuola fino al punto da banalizzare
questi saperi.

Per superare queste critiche, bisogna stabilire quali sono le relazioni che si stabiliscono tra
competenza e sapere scolastico. Il modello della didattica per concetti, elaborato dal
professor Elio Damiano, ritiene che il sapere scolastico, per potere essere appreso in maniera
efficace e trasformarsi in competenza, si deve definire come oggetto culturale.

L’oggetto culturale è il sapere organizzato così da essere messo a disposizione dei processi
di apprendimento. E’ necessario focalizzare la differenza tra sapere scientifico e sapere
scolastico:

● Sapere scientifico: così come ci viene consegnato dalla scienza, elaborato all’interno
dei diversi domini scientifici.
● Sapere scolastico: è modulare il sapere scientifico, dandogli una forma per renderlo
sintonico con i processi di apprendimento degli allievi, trasformandolo in un presidio
che lo renda comprensibile e acquisibile dagli allievi.
○ Non è una banalizzazione del sapere scientifico, ma modulato per essere
messo a disposizione dei processi di apprendimento: richiede una connessione
tra sapere scientifico e i processi che gli danno una configurazione che lo
renda disponibile all’apprendimento.

Il professor Massimo Baldacci, docente ordinario di Pedagogia Generale dell’università di


Urbino, sottolinea come le metodologie di conversione del sapere scientifico a sapere
scolastico non siano mai svincolate da alcune finalità educative. Le pratiche educative e
didattiche (gli approcci metodologici), non sono svincolate da alcune dimensioni di valori, e
quindi non sono mai a-valoriali ma intrisi di finalità educative. Ciò comporta che l’azione
didattica si costuisca all’incrocio di due dimensioni:

● Finalizzata a promuovere l’apprendimento degli apparati disciplinari.


● Orientati alla produzione di abiti.

Gli abiti sono le disposizioni permanenti della soggettività, ovvero l’insieme dei presidi,
criteri, valori, punti di riferimento ai quali ognuno si affida per prendere decisioni e
strutturare la relazione con l’ambiente e con gli altri. L’azione didattica incide anche sugli
abiti degli studenti, quindi sulla formazione della visione del mondo e dei modi di fare, stabili
e ricorrenti, ai quali ognuno si affida per interagire con l’ambiente e con gli altri.

Tipi di metodologie utilizzate nei processi d’insegnamento:

● Metodologia direttiva: tramite fonti autorevoli.


● Metodologia cooperativa: attraverso il confronto con altri.
● Metodologia della ricerca: risorse e ricerche personali.

Il contenuto da apprendere è sempre lo stesso, ma l’affidarsi ad una metodologia rispetto ad


un’altra ha un impatto sulla formazione degli abiti (disposizioni permanenti della
soggettività) degli studenti, pur non modificando il contenuto strutturale.

Distinzione tra metodo e metodologia:

● Metodologia: insieme di criteri che l’insegnante utilizza per organizzare i processi di


apprendimento concreti nel corso dell’attività scolastica.
○ Le metodologie si traducono in un insieme di metodi.
● Metodo: insieme di strategie concrete che danno spessore e concretezza all’approccio
metodologico adottato (es. metodologia direttiva: lezione frontale).
○ Il metodo è ispirato dalla metodologia.

Lezione 2: Competenze e saperi in contesto scolastico


Distinzione e connessione tra conoscenze e valori nell’ambito dell'azione didattica.

Lo scopo fondamentale dell’azione didattica è promuovere il sapere come oggetto culturale.


Il professor Baldacci sostiene che questo processo di modulazione è soggetto a processi
metodologici che hanno effetto sugli abiti degli studenti.

L’azione didattica è incardinata sull’obiettivo di promuovere presso l’allievo le conoscenze


legate a determinati presidi scientifici. Questo processo avviene attraverso un processo di
rimodulazione intriso di valori, che sollecita l’allievo anche a creare dei particolari e
personali quadri di riferimento che consistono in diverse visioni del mondo, interpretativi
dell’esperienza.

La connessione intrinseca tra conoscenza e valori si riverbera nell’organizzazione dell’attività


didattica che si svolge all’interno dell’ambito scolastico. Uno dei principali presidi che
rendono evidente la struttura intrinseca dell’azione didattica è il curricolo. Il curricolo è la
pianificazione e organizzazione dell’attività didattica: attività, obiettivi formativi ecc. che
l’insegnante intende perseguire con gli allievi nel corso dell’attività didattica.
Nel curricolo si trova una partizione:

● Curricolo 1: l’insieme degli argomenti che l’insegnante affronta durante il percorso


scolastico.
● Curricolo 2: specifica quali sono le dimensioni di valore (abiti) che vengono
sollecitati dagli apparati metodologici applicati dall’insegnante per mettere in pratica
l’apprendimento di determinati contenuti.
○ E’ la dimensione che individua le sollecitazioni rivolte dall'insegnante al fine
di promuovere l’apprendimento e la definizione personale degli universi di
valore ai quali l’allievo si riferisce per interfacciarsi con il mondo.

Mentre il Curricolo 1 è orientato a promuovere l’oggetto “in sé”, ovvero il contenuto da un


punto di vista puramente dichiarativo, il Curricolo 2 promuove la rappresentazione di ciò che
l’oggetto è “per il sé”, ovvero il valore che quella conoscenza può assumere per la
soggettività di chi la deve apprendere.

Questa distinzione tra curricoli si riverbera anche nell’organizzazione di un diverso modo di


declinare le conoscenze nel perimetro dell’azione didattica, in cui possono essere declinate in
termini di conoscenze dichiarative, conoscenze topiche e conoscenze di inquadramento
generale.

● Conoscenze dichiarative: orientate a promuovere l’acquisizione di una definizione


dell’oggetto, consentono di rispondere alle domande “chi è? cos’è? come si fa?”
○ Qualificano l’oggetto come insieme di caratteristiche.
○ Impianto di tipo descrittivo.
○ Derivazione di tipo induttivo e deduttivo.
● Conoscenze topiche e inquadramento generale: traggono origine dai processi
inferenziali, ovvero che partono da ciò che si conosce per ricavare qualcosa che
ancora non si conosce: spingono il contenuto oltre sé stesso.
○ Conoscenze topiche: quando il nuovo contenuto continua a ricadere nel
perimetro di una determinata scienza.
○ Inquadramento generale: il nuovo contenuto porta alla formazione di nuovi
quadri conoscitivi che non ricadono più in un determinato dominio scientifico
ma diventano chiavi di lettura dell’esperienza nel suo complesso.

Lezione 3: Comprendere la struttura e comprendere il senso


Le discipline e le materie scolastiche non sono la stessa cosa, può esserci al limite solo una
corrispondenza. Le discipline implicano particolari modi di pensare o di interpretare il mondo
(sviluppati dagli studenti), mentre le materie scolastiche sono gruppi di contenuti che gli
studenti devono imparare.

● La materia è data da una serie di concetti che afferiscono da un determinato dominio


scientifico: gli argomenti che l’insegnante tratta con gli allievi durante l’attività
scolastica (il programma).
● La disciplina è data dai criteri generativi dei concetti relativi ad un dominio: le
modalità procedurali che un determinato dominio scientifico mette in campo per
costruire quelle conoscenze intorno al suo oggetto di studio.
○ Mentre i concetti sono i saperi, le discipline sono i percorsi generativi di quei
saperi: la materia è data dalla conoscenza, la disciplina è data dal modo di
pensare la conoscenza.

Ogni dominio scientifico presenta un apparato epistemico in cui è riscontrabile la distinzione


tra materia e disciplina. La disciplina è anche ancorata al modo concreto con cui la persona si
relaziona alle cose per affrontarle e decidere in che modo deve comportarsi nei suoi confronti,
collocandosi quindi prevalentemente sul versante degli abiti.

L’azione didattica deve quindi preoccuparsi di promuovere presso gli allievi sia i sapri che il
modo di pensare e costruire quei saperi, intenzionata non soltanto alla materia ma anche alla
disciplina.

Edmund Husserl asseriva che la conoscenza è sempre conoscenza di qualcosa: è una


ricostruzione interna che il cervello costruisce del mondo esterno.

Nella conoscenza insistono due diverse dimensioni:

● Oggetto in sé: struttura dell’oggetto di conoscenza, appreso come insieme di


caratteristiche e tratti. Esprime una forma di conoscenza predicativa: attribuire
all’oggetto una serie di qualità.
○ Individua la struttura: un insieme di predicati che descrivono l’oggetto.
● Oggetto per il sé: l’incontro dell’oggetto con la soggettività di colui che lo apprende.
○ Individua il senso: il valore che quell’oggetto di conoscenza rappresenta per la
soggettività di colui che lo deve apprendere. Le sollecitazioni che la struttura
provoca sullo studente.

Per Brumer, l’oggetto per il sé è costituito da quei significati che fanno emergere lo scenario
della soggettività e della coscienza: connotazioni che prendono consistenza nell’incontro tra
la struttura dell’oggetto e quei riverberi che quell’oggetto assume per la soggettività.

Secondo Baldacci, il presidio didattico che può tenere insieme queste dimensioni della
conoscenza è una struttura particolare, ovvero il curricolo. Egli dice che le pratiche educative
non sono mai neutrali ma intrise di finalità educative. Il curricolo 1 corrisponde all'oggetto in
sé, mentre il curricolo 2 è rappresentativo dell’oggetto per il sé: quest’ultimo promuove un
modo di pensare quei contenuti espressi nel curricolo 1, ovvero stabilire il valore che quei
contenuti possono avere per la soggettività.

C’è una differenza significativa tra apprendere è comprendere, poiché la comprensione non
è solo apprendimento delle componenti strutturali dell’oggetto. Il processo di apprendimento
diventa comprensione dell’oggetto quando riesce a tenere insieme le due diverse dimensioni
della conoscenza, è quindi sintesi delle componenti di struttura e di senso, dell’oggetto in sé e
dell’oggetto per il sé. Non ha soltanto una valenza cognitiva ma anche interpretativa: è volta a
far sì che l’allievo possa costruire il proprio valore personale che l’oggetto di conoscenza può
assumere per lui. E’ quindi un percorso finalizzato alla promozione delle dimensioni di senso.

Si può quindi parlare di un apprendere che transita, che potrebbe essere limitato
all’acquisizione delle strutture, mentre si fa comprensione quando correla il valore strutturale
dei contenuti al valore di senso che assume per la soggettività dello studente.

Lo studioso Gerard Egan individua quattro diverse forme di comprensione, ovvero quattro
diversi percorsi di apprendimento che si possono sviluppare per costruire la connessione tra
struttura e senso.

● Comprendere con l’immaginazione;


● Comprendre con il vissuto;
● Comprendere con la ragione;
● Comprendere con il corpo.

Lezione 4: Immaginazione e fantasia nei processi di apprendimento


L’immaginazione è una facoltà mentale che si può definire come una forma primordiale di
conoscenza, la prima che si ritrova nelle società primitive ma anche la prima forma di
conoscenza che si ritrova nell’attività conoscitiva del bambino. Si può quindi creare un
parallelismo tra lo sviluppo delle forme di conoscenza nella storia dell’umanità e nella vita
dei singoli.

Si ricorre all’immaginazione quando si avverte l’esigenza di ricondurre al senso delle


esperienze di vita che in prima approssimazione sembrano incomprensibili, quando si deve
dare forma all’invisibile.

Il bambino tende a strutturare il mondo come coppie di opposti, tra le quali cerca di
individuare un punto di mediazione (es. caldo vs freddo: tiepido) che cerca di ritrovare
nell’esperienza personale. Egli ricorre all’immaginazione quando non trova nell’esperienza il
punto di mediazione tra le coppie di opposti, costruendolo attraverso l’immaginazione.

Distinzione tra immaginazione e fantasia:

● Immaginazione: rappresentazione mentale diversa dalla realtà, di qualcosa che non


esiste ma che è verosimile e che quindi potrebbe potenzialmente esistere, poiché
compatibili con il reale.
● Fantasia: costruzione mentale alternativa alla realtà ma che la rappresenta attraverso
delle caratteristiche che non potrebbero esistere. Queste costruzioni mentali non sono
passibili di esistenza perché si sostanziano in tratti intrinsecamente estranei alla realtà.

Questa distinzione non deve indurre a pensare che l’immaginazione disponga di un valore
epistemico maggiore di quello riconosciuto alla fantasia, perché entrambe sono facoltà della
mente volte a rappresentare l’invisibile e l’indefinito e quindi, hanno entrambe uno spessore
epistemico. Sono entrambe rivolte a costruire una rappresentazione del mondo in termini di
ciò che esso può essere o può diventare: esse abituano la mente a pensare la realtà in termini
di ciò che la realtà può diventare, e sono quindi volte a sostenere la proiezione della persona
verso il possibile.

I contenuti dell’immaginazione sono tanto validi quanto i contenuti della fantasia: entrambe
costruiscono delle rappresentazioni che possono diventare criteri esplicativi e conoscitivi
dell’esperienza. Persino Platone si serviva, per argomentare i connotati fondamentali
dell’esistenza, non solo dell’argomentazione logica, razionale e fondata sul dato ma si serve
anche del mito, ovvero rappresentazioni fantasiose che malgrado il loro grado di irrealismo
riescono comunque ad esplicare dei fatti dell’esistenza e si pongono come rappresentazioni in
grado di ricondurre a senso i connotati dell’esistenza.

Immaginazione e fantasia sono anche alla base di alcune scoperte scientifiche, come
Leonardo da Vinci con il volo: la capacità di pensare la forza di gravità secondo una
prospettiva più ampia che essa testimonia nell’immediato affonda le radici nella fantasia e
nell’immaginazione, che permettono di pensarla non solo come ciò che essa è ma anche come
ciò che può diventare.

Immaginazione e fantasia rappresentano le facoltà mentali che sostengono la progettualità


umana, consentendo di orientare l’esperienza sia personale che sociale e umana verso la
costruzione di mondi possibili. Esse comportano la valorizzazione non solo della componente
sapiens dell’uomo ma anche la sua componente demens.

Edgar Morin sostiene che il progresso dell’umanità è possibile nella misura in cui l’uomo
conserva in sé stesso una certa dose di delirio. Il delirio è ciò che spinge l’uomo a staccarsi
dalla realtà com’è per prospettare la realtà come può essere. L’uomo compiuto riesce a tenere
insieme la componente sapiens e demens.

Immaginazione e fantasia comportano un decentramento cognitivo che consente all’uomo di


operare un salto epistemo: consentono di conoscere le cose non solo come somma di tratti ma
anche secondo la prospettiva della totalità, oltre la struttura dell’oggetto. Consentono quindi
di cogliere quelle caratteristiche degli oggetti che non dipendono dalla specificità dei loro
tratti, che vanno oltre essi ma che sono comunque elementi fondamentali per conoscere
compiutamente l’oggetto, proiettando quelle caratteristiche verso un’espansione di sé.

Lezione 5: Didattica dell’Immaginazione


L’immaginazione non è governata dalla categoria della necessità ma della possibilità. Non è
finalizzata a riprodurre e descrivere la realtà ma quella di creare mondi possibili, tramite
ipotesi. Non si nutre solo di rappresentazioni fantasiose e irrealistiche, ma di disposizioni
soggettive quali lo stupore e la meraviglia, ovvero funzioni che scorgono l’insolito e lo
straordinario nell’esperienza quotidiana.

L'immaginazione si può definire come una facoltà provocatoria: non è finalizzata


all’equilibrio, ma introduce dubbi e problemi non indotti dalla logica delle cose. Ha quindi
una funzione problematizzante, volta a perseguire progetti e a realizzare sogni.
Esiste un nesso molto stretto tra immaginazione e creatività. L’immaginazione concepisce
l’oggetto come totalità, non come somma di parti ma come un tutto. Si possono riconoscere
tratti dell’oggetto che non scaturiscono dalle caratteristiche peculiari che compongono
l’oggetto.

L’immaginazione ha la funzione di eccedenza: focalizza il tutto che trascende le parti,


concepisce una riconoscibilità a dimensioni dell’oggetto che rappresentano una novità
rispetto alle caratteristiche riconosciute alle parti.

Il processo immaginativo mette in atto un salto epistemico che trascende le parti che
compongono l’oggetto. Nonostante ciò, essa non ha valenza soltanto irrealistica. Gli elementi
eccedenti dell’oggetto derivano dalle relazioni che l’oggetto instaura con la soggettività di
colui che conosce l’oggetto, quindi dai riverberi che le dimensioni strutturali dell’oggetto
provocano nella soggettività. L’immaginazione è quindi una risorsa capace di orientare la
struttura dell’oggetto in sé verso la configurazione di ciò che l’oggetto è per il sé. Il prodotto
dell’immaginazione (il tutto che trascende le parti) è riconoscibile anche per chi guarda
all’oggetto solo in sé, piuttosto che per il sé.

Le implicazioni didattiche di questo modo di concepire l’oggetto di conoscenza si riscontrano


nella didattica dell’immaginazione. Essa richiede un intervento didattico che sia in grado di
sollecitare presso gli allievi le potenzialità analoganti della mente, ovvero il pensare per
metafore.

La metafora è il particolare dinamismo conoscitivo che consiste nel conoscere un oggetto


per mezzo di un altro. Essa produce un oggetto di conoscenza tramite il confronto con un
altro che non ha con il primo né correlazioni logiche né correlazioni empiriche. Dal punto di
vista epistemico non è un atto replicativo ma un atto amplificativo: il pensare metaforico non
ha valenze induttive o deduttive, ma valenze espansive. Amplifica in una dimensione
inaspettata dei tratti non immediatamente deduttivi dell’oggetto che ricadono sotto la
percezione immediata.

● Il pensiero replicativo è fondamentalmente assertivo e descrittivo, una forma di


pensiero finalizzata a riprodurre una replica del reale attraverso l’induzione (dal
confronto all’astrazione, individuare elementi comuni) e la deduzione (dal concetto
generale al riconoscimento dell’oggetto).
● Il pensiero amplificativo è fondamentalmente metaforico e creativo. Trova il suo
esito naturale nell’evocazione: insieme di attributi dell’oggetto che dipendono dal
confronto che la soggettività opera tra quell’oggetto e un altro oggetto che non ha con
il primo correlazioni logiche o empiriche. Esso non ha una connotazione descrittiva
ma costruttiva: istituisce le cose nel momento stesso in cui le pone, asserisce che le
cose possono essere guardate in un certo modo.
○ La metafora è un’analogia tra relazioni, e non tra oggetti: attraverso essa la
soggettività coglie una relazione che riguarda entrambi gli oggetti
Lezione 6: Metodologia dell’Immaginazione
Il binomio fantastico è un dispositivo di apprendimento ideato da Gianni Rodari: afferma
che la parola agisce soltanto quando incontra una seconda parola che la provoca, che la
costringe a uscire dai binari dell’abitudine e a scoprirsi in nuove modalità di significato.
Costruisce un'associazione discorsiva tra parole che attengono a universi semantici distinti,
non opposti.

Il binomio fantastico supporta il comprendere con l’immaginazione perché il compito


dell’allievo è individuare e unificare i due termini attraverso la costruzione di una trama
narrativa che li riconduca ad un senso unitario, attraverso l’espediente narrativo. Rende
possibile riconoscere l'eccedenza di significato che scaturisce quando si incontrano tra loro
termini non correlati ma che devono essere ricondotti a senso tramite una trama narrativa. La
struttura discorsiva sostiene la tensione immaginativa del binomio fantastico.

Una variante del binomio fantastico è l’ironia, che consiste nel proporre all’allievo dei
compiti che gli chiedono di elaborare i concetti entro una prospettiva divertente che solleciti
il sorriso. Il divertimento alla base dell’ironia esprime un dinamismo profondo del
linguaggio, che si instaura tra il detto e l’inteso. L’ironia tematizza l'eccedenza tipica del
comprendere con l’immaginazione perché è un dispositivo didattico che sostiene il
decentramento linguistico, sfruttando la capacità del linguaggio di trascendere il detto per
rendere visibile l’inteso che non è immediatamente riconoscibile dall’analisi semantica del
detto.

Nel binomio fantastico la risonanza proposta dal compito si struttura in termini


prevalentemente linguistici e concettuali, mentre nell’ironia ci si trova di fronte ad un
decentramento del punto di vista, che chiede di analizzare il contenuto attraverso un'analisi
distonica divergente rispetto a quella con la quale viene di solito analizzato. L’ironia propone
i concetti in una prospettiva di distonia che orienta verso segmenti di significato eccedenti
rispetto a quelli espressi dall’immediatezza del contenuto.

Il pensare per immagini è il rielaborare il contenuto di apprendimento attraverso sistemi di


elaborazione diversi dalla parola, sollecitando attraverso l’allievo definizioni del contenuto
che tematizzano il contenuto stesso attraverso termini che rimandano a immagini o hanno una
valenza sensibile che orientano verso costrutti che rimandano a realtà esperibili attraverso i
sensi. Offre un punto di sostegno alla dimensione metaforica dell’apprendimento, poiché
sollecita a guardare l’oggetto nei termini del “come se” e trova possibilità di attuazione nel
linguaggio figurato (mito della caverna di Platone). Permette di portare in rilievo degli
elementi del concetto che non sono immediatamente rilevabili dalla sua configurazione
linguistica.

Egan sosteneva che le esperienze personali della vita concreta sono tutte cadenzate da un
ritmo specifico. Il ritmo è la risorsa che esprime il vissuto della conoscenza, il significato che
l’esperienza assume per la persona. E’ la risorsa della mente che viene utilizzata sia dal
bambino che dagli autori delle opere letterarie per esprimere il senso delle loro conoscenze.
Ogni genere letterario ha un suo ritmo: ad esempio Manzoni usa ottonari ed endecasillabi
nelle tragedie e nelle odi per esprimere la tensione emotiva ed il significato umano degli
eventi che sta rappresentando in quei componimenti.

Il ritmo ha la capacità di esprimere il valore soggettivo che le esperienze e le conoscenze


riverberano nella soggettività della persona, portando in rilievo la distinzione tra l’oggetto in
sé e l’oggetto per il sé: correla le componenti strutturali alla dimensione soggettiva.

Lezione 7: Spiegare e comprendere in contesto scolastico


Comprendere con il vissuto significa avere come punto di partenza un dato di fondamentale
importanza: la conoscenza per essere appresa compiutamente ha bisogno di essere
umanizzata. Essa non è solo l’esito di percorsi razionali ma anche di dimensioni legate
all’emotività, al vissuto: atti che si collocano nell’ambito dello stupore, meraviglia,
entusiasmo.

Conoscere significa mettere in rilievo anche le aspirazioni, il volere, le prospettive, i sogni di


coloro che hanno portato a compimento quelle conoscenze. Le conoscenze sono intrise di
istanze umane che non vengono in rilievo se si considerano solo cognitivamente, ma devono
essere accostate alla particolare risorsa della soggettività che è il vissuto.

Max Weber diceva che le conoscenze non sono asettiche ma hanno una connotazione
intrinsecamente umana. Per quanto possano avere una componente strutturale e cognitiva,
sono risorse che implicano una visione del mondo, ovvero un modo particolare di avvertire
l’esperienza e la posizione della dimensione sociale dell’uomo rispetto al mondo.

Gerard Egan sosteneva che ogni tipo di conoscenza è conoscenza umana, e possiamo avere
accesso a una tale conoscenza attraverso le speranze, le paure e le intenzioni che ne
guidavano gli autori. Comprendere compiutamente significa concepire le conoscenze a
partire dalle tensioni autenticamente umane che risiedono nel vissuto.

Comprendere con il vissuto significa portare in evidenza le connotazioni ermeneutiche della


conoscenza: vengono in rilievo quando alla conoscenza si applica sia il processo di
spiegazione che di interpretazione, che è un atto di attribuzione di senso. Significa portare in
rilievo le ragioni che possano rendere rilevante quella conoscenza per la soggettività.

Howard Gardner opera una distinzione tra spiegare e comprendere:

● Spiegare: cogliere l’oggetto come somma di caratteristiche e tratti, insieme di


connotazioni che nel loro insieme costituiscono quel particolare oggetto.
● Comprendere: avvertire le ragioni per cui quell'oggetto diventa rilevante per la
soggettività. Rilevare il senso che correla l’oggetto allo scenario della coscienza.
○ Interpretare porta in rilievo le connotazioni ermeneutiche del sapere.

Si compie un atto di umanizzazione delle conoscenze: fare in modo che il vissuto si renda
disponibile all’oggetto. Wiggins diceva che comprendere significa elaborare una risposta
personalizzata a questioni che ineriscono al valore che quei concetti assumono per la
soggettività degli allievi.
L’atto ermeneutico assume intrinsecamente delle valenze e connotazioni didattiche.
Comprendere vuol dire svolgere un percorso ermeneutico che porta a cogliere e portare in
evidenza le risonanze interne che le connotazioni strutturali degli oggetti esterni provocano
sulla soggettività.

L’interpretazione e l’atto ermeneutico agiscono come elementi ordinatori della soggettività:


consentono di concepire l’oggetto di conoscenza come totalità, e non solo come somma di
tratti. Sono in grado di trascendere la dimensione episodica e frammentaria delle conoscenze
perché le riconducono ad un ordine che ne attribuisce un senso e ne specifica lo spessore
autenticamente umano. Sul piano didattico, consentono l’accesso a segmenti di conoscenza
che rimangono preclusi finché l’oggetto viene considerato solo sotto il punto di vista
strutturale.

La dimensione ermeneutica della conoscenza si insinua nello scarto tra ciò che l’oggetto è
in sé e ciò che è per il sé: colma la distanza tra queste due dimensioni, consentendo di
orientare le caratteristiche della prima dimensione verso le suggestioni tipiche della seconda.

Come dice Brumer, il vissuto consente di inserire nella conoscenza lo scenario della
soggettività e della coscienza.

Interpretare significa predisporre dispositivi di apprendimento idonei a sollecitare presso


l’allievo atti che lo facciano riflettere sulle ragioni per cui i contenuti possono diventare
rilevanti per la soggettività personale, sociale e umana, che considera ciò che l’uomo è a
partire dalle dimensioni profonde del suo essere.

Lezione 8: Gli atti di conoscenza nel processo di apprendimento


Comprendere attraverso il vissuto significa esercitare l’apprendimento secondo un triplice
modo di declinare le conoscenze, poiché implica l’esercizio disciplinato della risorsa della
soggettività. In sede didattica ciò avviene attraverso la distinzione di tre diverse tipologie di
conoscenze: dichiarative, topiche, e di inquadramento generale. Le ultime due, di tipo
inferenziale, possono appunto promuovere un apprendimento che orienta le conoscenze
attraverso il vissuto, mentre le prime sono orientate verso l’oggettività.

Le conoscenze dichiarative si identificano come la semplice definizione di un oggetto e sono


riconducibili alla funzione predicativa; conoscere significa attribuire determinate certe
caratteristiche ad un oggetto di conoscenza per definirlo e renderlo riconoscibile attraverso i
suoi specifici attributi. Questo tipo di conoscenza è quindi focalizzato sull’idea di oggetto in
sé definito a partire dalle sue caratteristiche costitutive; è una premessa indispensabile ma
l’apprendimento non si può focalizzare unicamente sulle definizioni oggettive, poiché è
insufficiente a mediare l’apprendimento verso il vissuto e lascia la dimensione della
soggettività sullo sfondo.

Le conoscenze topiche e di inquadramento generale sono attivate da processi di tipo


inferenziale. Hanno in comune la capacità di spingere il contenuto oltre sé stesso, ma
presentano anche delle differenze: mentre le differenze topiche orientano le conoscenze
comunque all’interno del perimetro dell’ambito scientifico di riferimento (es. rimangono
nell’ambito della letteratura), le conoscenze di inquadramento generale spingono il contenuto
oltre sé stesso in una dimensione più ampia, che trascende l’ambito scientifico iniziale per
diventare chiave di lettura dell’esperienza in generale, donando allo studente nuovi modi di
vedere ed interpretare il mondo.

Questi tipi di conoscenze sono quindi focalizzate sull’idea dell’oggetto per il sé, ovvero sul
significato che quel determinato contenuto di apprendimento può avere per l’esperienza
umana e personale dello studente. Stabiliscono quindi il rilievo di una conoscenza per la
soggettività personale, condivisa, e umana.

Per elaborare le conoscenze topiche e di inquadramento generale, lo studente è sollecitato a


guardare non solo all’oggetto in sé ma anche al suo modo personale di vedere e di vivere
l’oggetto. C’è un incontro tra la struttura che viene dal contenuto e tra la struttura che viene
dalla soggettività.

Da un punto di vista strettamente metodologico, il punto d’incontro tra le tre tipologie di


conoscenze analizzate e l’apprendimento in sede scolastica è il processo di
problematizzazione. Esso si definisce come un modello di azione didattica che capovolge
l’impianto didattico tradizionale: invece che andare dal contenuto alla risposta, nel processo
di problematizzazione si va dal contenuto alla domanda. L’obiettivo non è quindi formulare
delle risposte giuste, ma delle domande pertinenti. Il contenuto viene interpretato come ciò
che può dare una risposta possibile ad una domanda fondamentale che l’allievo è chiamato a
identificare.

Problematizzare significa quindi apprendere il contenuto per interrogarlo. Anche in questo


caso, l’interrogazione può avvenire secondo una direzione dichiarativa, topica, o di
inquadramento generale:

● Le domande di contenuto (dichiarative) sono quelle domande finalizzate a


promuovere l'elaborazione di una definizione dell’oggetto.
○ Si incardinano entro compiti di tipo cognitivo: la dimensione del vissuto è
lasciata sullo sfondo poiché chiedono all’allievo di identificare ciò che un
contenuto è in sé stesso, definendolo attraverso le caratteristiche che lo
definiscono.
● Le domande topiche richiedono di individuare nuclei concettuali comuni a un
insieme di conoscenze che attengono al medesimo settore disciplinare. Sollecitano
l’allievo ad assumere il contenuto per spingerlo oltre sé stesso, per esempio attraverso
il confronto di più concetti per cogliere similitudini e differenze tra essi.
○ Aggiungono compiti amplificativi ai compiti cognitivi, chiedendo all’allievo di
immergersi in un contesto.
● Le domande di inquadramento generale non hanno solo compiti cognitivi e
amplificativi, ma compiti evocativi: chiedono all’allievo di cogliere nel contenuto una
chiave di lettura dell’esperienza considerata nella sua generalità, spingendolo a
riflettere su dati particolari dell’esperienza personale, sociale, e dell’uomo.
Lezione 9: Narrare gli apprendimenti (prima parte)
L’atteggiamento proposizionale e il pensiero Caring sono le risorse della soggettività che
permettono la focalizzazione e l’identificazione del vissuto nella connessione tra questa
dimensione e la struttura delle conoscenze.

L’atteggiamento proposizionale è un costrutto elaborato da Matthew Lipman nel suo testo


Educare al pensiero che fa riferimento alle risonanze emotive delle conoscenze. Egli sostiene
che nella costruzione degli apparati epistemici che fanno riferimento alle diverse discipline si
può individuare un aspetto strutturale e un aspetto più legato al vissuto. Quest’ultimo è
individuabile con il pensiero dei diversi studiosi che hanno affrontato quello specifico
concetto ma è anche intrinseco al concetto stesso, ed è quindi funzionale per la sua
comprensione.

Questo atteggiamento mette quindi in correlazione due dimensioni: il costrutto scientifico


considerato in sé stesso e la disposizione personale di chi ha elaborato quel costrutto,
indispensabile per la sua comprensione dell’oggetto in quanto tale ma anche per
comprenderne la dimensione umanizzante.

L’atteggiamento proposizionale è quindi considerato un retroterra che permette di dare


consistenza e spessore ai contenuti, focalizzando la distinzione che si fa in sede scolastica tra
obiettivo didattico e obiettivo formativo:

● L’obiettivo didattico fa riferimento al contenuto e alla dimensione strutturale e


funzionale del contenuto;
● l’obiettivo formativo fa riferimento allo sviluppo delle attitudini tipicamente umane,
alle disposizioni emotive con le quali la persona si riferisce ai contenuti di conoscenza
e che si ritrovano in qualunque atto conoscitivo, quali la capacità di deduzione, di
confrontare, trasversali a qualunque conoscenza.

Sempre Lipman, individua nel Pensiero Caring la risorsa della soggettività che sostiene la
focalizzazione degli atteggiamenti proposizionali nel processo conoscitivo. Esso tematizza gli
oggetti di conoscenza come contenuti meritevoli di cura, attenzione e tutela, in quanto
rilevanti per la soggettività umana, in grado di influenzare nel lungo periodo il
comportamento e le scelte di una determinata persona.

Il Pensiero Caring interviene quando la mente umana tematizza certi contenuti come qualcosa
che ha valore e impegna i propri atti di cura, attenzione e tutela in quel determinato sapere. E’
per esempio ciò che dovrebbe succedere quando uno studente è chiamato a compiere la scelta
universitaria: dopo essersi interfacciato con i vari domini scientifici del sapere durante il
percorso della scuola dell’obbligo, egli sceglie di spendere il proprio tempo e le proprie
risorse nell'approfondimento del tipo di sapere che ha maggiore rilevanza per la sua
soggettività e per la sua esperienza personale.

Il Pensiero Caring dispone quindi la persona verso il sapere con un atteggiamento di costanza
e di permanenza nel tempo, poiché la spinge a costruire degli obiettivi realistici e proponibili
che non impegnano soltanto il suo presente ma anche il suo progetto di vita a lungo termine.
Sostiene quindi un atto decisionale, poiché finalizzato all’elaborazione degli oggetti meta.

Gli oggetti meta sono un costrutto psicologico che indicano degli obiettivi collocati in un
tempo futuro ma che sono in grado di impegnare anche il tempo presente, motivando e
orientando il comportamento e le scelte del soggetto che ha a cuore quegli obiettivi.

Dice John Dewey, che il Pensiero Caring può seguire due diversi percorsi:

● Prizing: il giudizio di cura dell’oggetto è la premessa del ragionamento. La persona


avverte in prima istanza il valore del contenuto di conoscenza e successivamente
sviluppa su di esso le conoscenze che individuano sul piano cognitivo quelle ragioni
che sono in grado di impegnare la sua azione negli atti di tutela di quel contenuto.
● Apprizing: il giudizio di cura è l’esito del ragionamento. Dapprima ci si confronta
con le componenti strutturali del sapere e poi lo si tematizza come un contenuto
meritevole di cura in grado di impegnare gli sforzi e i progetti di vita a lungo termine.

Qualunque percorso segua, il Pensiero Caring risulta sempre in un atto decisionale.

Lezione 9: Narrare gli apprendimenti (seconda parte)


Il compito di prestazione è il dispositivo didattico che riassume in sé la capacità e la
possibilità di mediare il pensiero attraverso il vissuto.

Brumer distingue tra le forme di pensiero, ovvero le risorse che la mente attiva per costruire
conoscenza. La mente costruisce conoscenza tramite il pensiero paradigmatico e narrativo.

● Il pensiero paradigmatico ha come scopo l’individuazione dell’oggetto di


conoscenza a partire dalle sue strutture e definizioni, ovvero come somma di tratti e
caratteristiche che lo rendono riconoscibile e lo classificano come oggetto in sé stesso.
○ Trova il suo criterio di validazione nel criterio di verità: le affermazioni di
questo pensiero assumono valore epistemico quando c’è corrispondenza tra la
rappresentazione che il pensiero dà dell’oggetto e i tratti che l’oggetto
effettivamente presenta. Si dice che la costruzione sistemica del pensiero
paradigmatico è valida perché è vera, mentre non ha valore se c’è discrepanza
tra la rappresentazione del pensiero e la realtà dell’oggetto.
● Il pensiero narrativo è orientato a elaborare le conoscenze attraverso le strutture
narrative e del racconto. Colloca l’oggetto in una trama narrativa e la elabora
attraverso le cinque funzioni particolari del pensiero narrativo, ovvero le funzioni con
cui la mente umana elabora gli oggetti di conoscenza: azione, soggetto, obiettivo,
mezzi, contesto.

Brumer afferma che queste due forme di pensiero sono comunque complementari e ricorrono
contemporaneamente negli atti conoscitivi concreti e nella definizione dell’oggetto. La
differenza tra i due pensieri è di tipo sostanziale: il pensiero paradigmatico si individua con la
conoscenza dell’oggetto in sé, il pensiero narrativo con la conoscenza dell’oggetto per il sé.
Per Brumer, il pensiero narrativo è alla base della genesi dei significati sia positivi che
negativi. Egli dice che, usando un esempio, se la fissione nucleare è diventata bomba atomica
ciò non dipende dalla formula della fissione nucleare come concetto in sé, ma dall’uso che i
soggetti coinvolti nella sua scoperta hanno deciso di farne, ovvero come l’hanno elaborata da
un punto di vista narrativo. Quel contenuto (la bomba atomica) viene quindi letto come
l’esito dell’azione che soggetti immersi in quel contesto hanno compiuto per raggiungere un
determinato obiettivo utilizzando certi mezzi (la formula della fissione nucleare).

Il compito di prestazione è quindi un dispositivo didattico incardinato sui dinamismi del


pensiero narrativo; non ha come scopo immediato la promozione dell’acquisizione delle
strutture di un oggetto, ma l’operazione del racconto dei saperi che consenta l’emergere dei
valori e dei significati che quel sapere assume per la soggettività umana. Trasferisce in sede
didattica le cinque funzione del pensiero narrativo precedentemente nominate, chiedendo
all’allievo di simulare un’identità (ogni compito di prestazione inizia sempre infatti con una
consegna che dice “immagina di essere”) e fornendogli un contesto, dei mezzi, ma soprattutto
uno scopo che l’allievo deve immaginare di conseguire assumendo e pensando quel ruolo.
Non gli chiede quindi di riferire i saperi ma di agire i saperi e agire il sé attraverso i saperi.

Per svolgere il compito di prestazione, l’allievo non deve guardare soltanto al contenuto ma
anche a sé stesso, trasferendo nella realizzazione del compito anche la dimensione soggettiva
legata al vissuto, dando così all’oggetto di conoscenza la possibilità di diventare rilevante per
la sua esperienza personale.

Lezione 10: L’esistenza come categoria epistemica e didattica


Nella tradizione occidentale, la razionalità è sempre stata considerata come l’unico possibile
fondamento della conoscenza. La conoscenza valida è solo quella che ha origine nella
razionalità, riconosciuta nel sillogismo Aristotelico: dispositivo epistemico che tenta di far
scaturire la conoscenza esclusivamente dalle regole del ragionamento, affrancando questo
processo a dati esterni al ragionamento e quindi che possono provenire dall’esperienza e dal
mondo dei sensi.

Questa visione della ragione assume il suo massimo apice nell’Illuminismo, che definisce la
razionalità come “Dea Ragione” attribuendole quei poteri salvifici generalmente attribuiti
dalle religioni.

In età moderna, ritroviamo un ripensamento della razionalità nella filosofia di Immanuel


Kant, che aveva come scopo l’individuazione sia delle potenzialità che i limiti della ragione.
Il punto di partenza della revisione di Kant è la sua differenziazione tra fenomeno e noumeno.

● Noumeno: realtà in sé stessa.


● Fenomeno: realtà ricostruita dalla ragione, e quindi dalla scienza.

Tra queste due diverse concezioni della realtà non c’è quindi corrispondenza: Kant mette
quindi in evidenza sia le condizioni necessarie alla ragione per ricostruire la realtà, ma
sottolinea anche quelle dimensioni della conoscenza a cui la ragione non può accedere.
Il primo costrutto che risente del modo di Kant di vedere la ragione è il concetto di esistenza,
ovvero la percezione di ciò che esiste e di ciò che non esiste.

Già prima di Kant, Hume aveva posto a revisione il concetto di esistenza focalizzando la
relazione che si può creare tra il concetto di razionalità e esistenza. La conclusione a cui
Hume è arrivato è che l’esistenza non si può identificare come una qualità degli oggetti:
l’esistenza non aggiunge né toglie nulla alla rappresentazione che il pensiero dà di
quell’oggetto. Un oggetto, nella rappresentazione data dal pensiero razionale, conserva gli
stessi tratti che conserva quando quell’oggetto evidentemente esiste. Ad esempio, la struttura
di un atomo rimane invariata sia che lo osserviamo con un microscopio, quindi all’interno del
perimetro della realtà concreta, sia che la ricostruiamo con il nostro pensiero razionale
quando non siamo in grado di vederla ad occhio nudo; la prova della sua esistenza, quindi,
non aggiunge nulla alla sua struttura effettiva.

Hume concludeva che l’esistenza non risponde al dinamismo della necessità, ma individua
una possibilità. L’elaborazione razionale di un concetto non implica necessariamente che
esso debba esistere solo perché ho la capacità di pensarlo, ma implica la possibilità della sua
esistenza perché io sono in grado di pensarlo.

Questa concezione dell’esistenza trova riscontro in elaborazioni più recenti, in particolare


nelle riflessioni di Gottlob Frege e Bertrand Russell, che convergono in alcuni punti ma si
allontanano radicalmente in altri. I loro pensieri convergono appunto sul modo di concepire e
rappresentare il concetto di esistenza.

Frege elabora il concetto di esistenza basandosi sulla distinzione che compie tra proprietà di I
livello e proprietà di II livello:

● Proprietà di I livello: si riferiscono a qualità di individui (es. Carlo ha gli occhi


chiari, la qualità “occhi chiari” è attribuita all’individuo “Carlo”)
● Proprietà di II livello: si riferiscono a qualità di qualità. (es. il chiaro è un colore
degli occhi, la qualità “chiaro” viene attribuita alla qualità “colore degli occhi”)

Secondo Frege l’esistenza è una qualità di secondo livello perché non riguarda direttamente
gli individui ma le qualità che attengono a loro volta agli individui, ed è quindi una qualità di
qualità. La caratteristica fondamentale dell’esistenza è la capacità di istanziare, ovvero
avere la capacità di rendere concrete nello spazio e nel tempo una o più qualità. Se un oggetto
esiste, quindi, esso possiede una o più qualità che si manifestano concretamente nello spazio
e/o nel tempo, poiché l’esistenza non è una qualità di per sé.

Russell elabora il concetto di esistenza sulla base del concetto di funzione proposizionale
(FP), che non è altro che la forma epistemica del giudizio, ovvero l'assegnazione di una
qualità ad un oggetto. La funzione proposizionale è riconducibile al costrutto epistemico
fondamentale, ovvero il costrutto attributivo che si esprime attraverso il costrutto di X è A,
che assegna la qualità A al concetto X.

Il concetto di esistenza è correlato al dinamismo della FP, che risiede nelle condizioni di
verità del costrutto attributivo X è A, che può essere o un’affermazione vera o
un’affermazione falsa. E’ vera quando riscontra elementi che la confermano nel mondo
empirico, mentre è falsa quando non è confermata da nessun elemento dell’esperienza
empirica. Secondo Russell, esiste tutto ciò che sotto il punto di vista della FP può essere
considerato vero, che assume quindi valore di verità tramite la conferma nel mondo empirico.

La FP orienta il concetto dell’esistenza verso la dimensione della possibilità, poiché la


condizione che rende un oggetto passibile di esistenza non scaturisce dalla sua definizione
razionale ma è necessario che la rappresentazione razionale abbia la possibilità di
manifestarsi nello spazio e nel tempo. Non basta quindi pensare l’oggetto, ma vederlo
manifestarsi nella dimensione empirica, poiché un oggetto che non esiste possiede comunque
delle qualità nella sua rappresentazione razionale, ma non è in grado di manifestarle.

Lezione 11: Razionalità e ragionevolezza nei processi di apprendimento


La conoscenza del mondo non può essere affidata in modo univoco alla categoria del
ragionamento e quindi alle regole della logica, poiché l’elaborazione della conoscenza
richiede che il suo profilo epistemico sia individuato non solo a partire da elementi interni
alla conoscenza stessa ma anche basandosi sulle conseguenze che un determinato principio
produce nei contesti in cui è stato elaborato e/o nei contesti in cui trova applicazione. I
costrutti scientifici non risolvono quindi in sé stessi la razionalità dell’oggetto.

Edgar Morin sostiene che una conoscenza non è uno specchio delle cose del mondo esterno;
tutte le percezioni sono allo stesso tempo ricostruzioni e traduzioni cerebrali a partire da
stimoli e segni captati e modificati attraverso i sensi. La conoscenza sotto forma di teorie è il
risultato di una traduzione e ricostruzione attraverso i linguaggi del linguaggio e del pensiero.

La conoscenza è intrinsecamente intenzionata a relazionarsi con il contesto, e ciò richiede una


revisione del concetto di razionalità. In riguardo a ciò, è necessario tenere conto della
distinzione tra razionalità e ragionevolezza come viene elaborata da Lipman nell’opera
Educare al pensiero.

Per essere valida, la conoscenza deve confrontare i costrutti che elabora in base alle regole
della scienza e del ragionamento con le caratteristiche che provengono dal contesto. Deve
quindi valutare i costrutti non solo a partire dalla loro coerenza interna, dettata dalla
razionalità, ma anche in riferimento alle conseguenze che i costrutti riverberano nel contesto
entro il quale prendono consistenza o in cui vengono assunti, secondo la ragionevolezza.

La mente razionale non è la mente che dà risposte in maniera assiomatica ricavandole da


nessi logici di causa e effetto unicamente considerati, ma è la mente ragionevole che è
consapevole della parzialità dei costrutti fondati solo sulla coerenza interna e della necessità
di dover confrontare quei costrutti con il contesto, ovvero con i riverberi che quei costrutti
producono sulle esperienze di vita in cui quei costrutti vengono assunti.

Lo strumento che la mente attiva per costruire conoscenza è il giudizio, ovvero il dinamismo
epistemico volto a costruire connessioni tra concetti. Giudicare vuol dire fondamentalmente
connettere, costruendo associazioni tra concetti. L’atto conoscitivo può essere quindi
considerato rispetto a un duplice piano: un piano epistemico e un piano linguistico,
definibile come la manifestazione del piano epistemico.

● Sul piano epistemico conoscere vuol dire assegnare ad un oggetto alcune qualità e si
svolge prettamente a livello mentale, di pensiero;
● il piano linguistico traduce il piano epistemico: la connessione oggetto + qualità del
piano epistemico si traduce nella connessione soggetto + predicato; in cui i predicati
sono i costrutti linguistici che spiegano le qualità del soggetto.

Comprendere con la ragione significa acquisire sia le connessioni che vengono formate con i
giudizi, sia i modelli associativi con i quali la mente arriva a concepire tali connessioni, sia i
nessi che uniscono gli elementi che entrano nel giudizio attraverso la razionalità e
l’esperienza. Vi sono due diversi tipi di nessi associativi:

● Accidentale: in cui anche se il soggetto perdesse l’attributo dal punto di vista


linguistico, manterrebbe la sua identità sul piano epistemico
○ Quest’uomo è musicista: un uomo rimane un uomo anche se non è musicista.
● Sostanziale: in cui se il soggetto perde l’attributo dal punto di vista linguistico, perde
anche la sua identità sul piano epistemico
○ Quest’uomo è razionale: un uomo non è più tale se perde la razionalità, ovvero
ciò che lo distingue dagli animali.

Comprendere con la ragione significa quindi trascendere l’elaborazione verbale dei contenuti,
riuscendo a individuare la peculiarità dei nessi associativi che nel giudizio connettono tra loro
soggetto e predicato. Si opera quindi un transito tra la logica formale e la logica informale, o
meglio ampliando il ragionamento dalla sola logica formale anche alla logica informale.

● Logica formale: rileva la validità degli enunciati solo a partire dalla coerenza interna,
dal rispetto delle regole del ragionamento, e da un processo interno di natura
estremamente formale che è indipendente dal contesto.
● Logica informale: la validità degli enunciati dipende anche dal confronto
dell’enunciato formale con il contesto, a partire dalla considerazione che i riverberi
dell’enunciato causano nel contesto e quindi dalle conseguenze che causano sulla
situazione. Fa riferimento all’esperienza e al senso contestuale.

Lezione 12: Strutture didattiche della ragionevolezza


Il primo dispositivo di apprendimento che si osserva è il dinamismo tra testo e contesto, il
quale media la ragionevolezza poiché orientati alla contestualizzazione. Questo dinamismo
trova la sua legittimazione didattica entro compiti di apprendimento che mettono l’allievo di
fronte a compiti di contestualizzazione, ovvero a compiti di individuazione del significato di
un concetto rispetto ai contesti di occorrenza, sullo sfondo dei domini scientifici entro i quali
quel concetto ricorre.

Lo scopo è abilitare l’allievo a comprendere i contenuti rispetto alla peculiarità che essi
assumono quando vengono analizzati sullo sfondo dei diversi domini scientifici. Per attivare
questo dinamismo testo-contesto vengono usati i compiti di confronto che propongono
all’allievo un concetto e gli chiedono di analizzarlo rispetto ai diversi domini scientifici,
correlando appunto tra loro testo e contesto. L’obiettivo è promuovere un apprendimento
razionale non focalizzato solo sul pensiero ma anche sull’atto del pensare.

Sul piano didattico, si propone l’attivazione di un dinamismo epistemico più complesso che
opera il transito dal pensiero al pensare, dai contenuti ai processi generativi dei contenuti,
ovvero l’esplicitazione metodologica dell’atto del pensare.

Una variante dei compiti di confronto risiede nel dispositivo didattico della commutazione
epistemica. Questi compiti propongono il confronto dell’allievo con un fatto, sia di cronaca
che per esempio storico, e chiedono di elaborarlo alla luce dei diversi domini scientifici,
contestualizzandolo nelle diverse materie epistemiche. L’allievo deve quindi considerare sia il
contenuto che i processi generativi del contenuto, poiché gli si chiede di esercitare un
determinato modo di pensare, focalizzandosi anche sui processi generativi ovvero i contesti.
L’obiettivo è promuovere esperienze di comprensione che promuovono la logica informale e
sono quindi incardinate sul criterio della ragionevolezza.

Le cornici si definiscono come l’insieme dei presupposti e precomprensioni che fanno da


sfondo ai concetti che attendono un determinato dominio scientifico. Rappresentano
l’insieme dei presupposti partendo dai quali prendono forma gli enunciati dei diversi domini
scientifici, facendo riferimento ai criteri procedurali che quel determinato dominio utilizza
per promuovere l’apprendimento dei propri contenuti epistemici. Si definiscono i significati
sia delle azioni che delle affermazioni, ovvero i criteri che sono all’origine dei modi di
apprendimento di un determinato dominio scientifico.

Nel perimetro didattico, si focalizzano i contenuti non solo per apprenderli dal punto di vista
definitorio ma per individuare i paradigmi e le regole paradigmatiche, ovvero i criteri in
base ai quali un dominio scientifico costruisce e dà validità ai propri enunciati. Per esempio,
ciò che non si può esplicare tramite il nesso paradigmatico di causa-effetto non è valido nel
dominio della scienza. Il passaggio dai concetti ai paradigmi è un processo anche didattico e
scolastico.

L’ultimo dispositivo didattico è la distinzione tra mappa mentale e mappa concettuale. Si fa


riferimento alla teoria dell’apprendimento di Ausubel, che afferma che l’apprendimento per
essere significativo deve connettere il nuovo al pregresso. Le nuove conoscenze devono
relazionarsi a ciò che l’allievo già conosce di quel determinato argomento, o per correggerlo
o per ampliarlo o per eliminarlo poiché errato. Se non si attiva questo processo di
connessione vi sarà solo un apprendimento meccanico ma non significativo, e quindi non
fruibile all’allievo.

● Mappa mentale: rappresentazione mentale pregressa anche incompleta o errata del


nuovo contenuto che l’allievo possiede prima di apprenderlo.
● Mappa concettuale: data dalla rappresentazione che la scienza dà di un determinato
concetto, ovvero la definizione scientifica.
Apprendere vuol dire operare un transito dalla rappresentazione pregressa di un contenuto
alla sua rappresentazione scientifica, quindi adeguare la mappa mentale alla mappa
concettuale. Ciò avviene attraverso due dinamismi di apprendimento: la conversazione
clinica e la dissonanza cognitiva.

● Conversazione clinica: discussione libera tra insegnante e allievi finalizzata a far


emergere le rappresentazioni pregresse che gli allievi hanno di un determinato
contenuto, governata da criteri non direttivi e non valutativi.
○ L’insegnante deve solo sollecitare le mappe mentali degli allievi senza dare
valutazioni su ciò che gli allievi dicono anche se sono concetti impropri o
palesemente errati.
● Dissonanza cognitiva: momento di ristrutturazione in cui la rappresentazione
pregressa deve transitare verso la rappresentazione scientifica. Si pone come il
presidio che consente l’adeguazione della mappa mentale alla mappa concettuale.

La dissonanza cognitiva si opera attraverso la ricerca del controfattuale, ovvero un elemento


con cui l’allievo si confronta che contraddice la sua rappresentazione pregressa. L'insegnante
lo presenta all’allievo per introdurre un elemento critico che sollecita la motivazione ad
approfondire la conoscenza, avvicinandosi sempre più alla rappresentazione scientifica.

Lezione 13: Corporeità e apprendimento


Comenio, un filosofo del ‘600, affermava che nulla può essere nell’intelletto se non transita
attraverso i sensi. Il corpo è rilevante nei processi di apprendimento a partire dalla sua
capacità di elaborare l’esperienza dal punto di vista del vissuto, delle facoltà affettive. Perciò,
si può pensare al corpo come un mediatore didattico, ovvero un dispositivo che sostituisce un
concetto o contenuto con un analogato, un oggetto diverso da quello originale ma ha la
facoltà di elaborare quel concetto per renderlo disponibile all’apprendimento.

L’analogato contiene tutte le medesime caratteristiche dell’oggetto originale, ma le


riorganizza e rimodula per farle diventare disponibili ai processi di apprendimento. E’ il
dispositivo didattico che trasferisce nel perimetro dell’aula gli oggetti che rappresentano i
contenuti da apprendere, rendendoli disponibili all’apprendimento, creando una sintonia tra
l’ordine ontologico dell’oggetto e l’ordine psicologico di colui che è chiamato ad apprendere
il contenuto epistemico di quell'oggetto. Svolge quindi una funzione di mediazione.

Damiano afferma che i mediatori didattici si possono classificare in quattro tipologie diverse:

● Mediatore attivo: presuppone un confronto diretto tra l’allievo e il contenuto da


apprendere. Riduce al minimo la funzione di mediazione, viene definito anche
mediatore di soglia. Presenta dei livelli di rischio ed è gravato da un eccessivo carico
di realismo, poiché rischia di promuovere una rappresentazione del contenuto troppo
legata all’esperienza personale e percettiva, limitandone la trasferibilità in contesti
diversi da quello in cui è stato sperimentato in origine.
● Mediatore iconico: ricostruisce gli oggetti di apprendimento servendosi di
significanti e segni grafici che si offrono al senso della vista (es. mappa concettuale,
forme, colori) e possono essere decodificati attraverso la dimensione sensoriale.
● Mediatore analogico: fondato sulle capacità imitative del corpo. Chiede all’allievo di
ricostruire l’oggetto di apprendimento attraverso una simulazione, agendo secondo il
criterio “come se”. Il corpo è implicato attraverso il punto di vista fisico e di
movimento attraverso la sua capacità di imitazione.
● Mediatore simbolico: ha meno rilevanza nell’ambito didattico perché il corpo viene
utilizzato meno che rispetto ai mediatori precedenti, in quanto ne si mette a risalto
solo il valore simbolico, come suggerito dal nome.

Il fondamento scientifico che rende plausibile l’individuazione nel corpo di un mediatore


didattico risiede nel concetto di Intelligenze Multiple formulato da Gardner. Egli sostiene
che non esiste solo una forma di intelligenza ma molteplici, poiché molteplici sono le vie
attraverso cui la persona può accedere alla conoscenza della realtà, costruendo una
rappresentazione interna della conoscenza esterna. Ogni mediatore è collegato a una specifica
forma di intelligenza, a sua volta collegata a una specifica forma di sensorialità che può
ricostruire la rappresentazione dell’oggetto esterno. Sono tutte forme intellettive che si
equivalgono e sono legate alla specificità del modo d'essere di ognuno, poiché ogni persona è
diversa e tende ad approfondire solo una o due di queste forme di intelligenza. E’ quindi
necessario che ognuno usi i mediatori di apprendimento più adatti alle proprie forme di
intelligenza predilette.

La dimensione del vissuto è la capacità del corpo di percepire l’esperienza, acquisendo il


dato conoscitivo facendo uso anche delle risorse affettive e non solo cognitive, ad esempio
creando connessioni e nessi logici tra oggetti distanti che la dimensione cognitiva ed empirica
non sono in grado di codificare. Brumer dice che questa capacità del corpo non ha una
funzione replicativa ma costruttiva, poiché non rileva qualcosa che già esiste ma istituisce
nuovi legami tra oggetti, guardando l’uno attraverso le caratteristiche dell’altro. Ciò individua
il corpo come mediatore didattico che ha sia capacità replicative che crative.

Lezione 14: Il corpo come risorsa per l’apprendimento


Che relazione c’è tra conoscenza e sensorialità?

Il concetto di Vicarianza dice che anche se vi sono alcuni aspetti della realtà che hanno un
legame particolare con un determinato sistema sensoriale ciò non esclude che questi aspetti
della realtà possano essere appresi anche attraverso altri sistemi sensoriali. Un contenuto che
per la sua particolare struttura si offra solo ad uno specifico senso può essere concettualizzato
anche attraverso sistemi sensoriali alternativi, anche quando il sistema sensoriale principale
viene in qualche modo pregiudicato. Ciò avviene tramite la sostituzione delle risposte
automatiche disfunzionali con altre più appropriate.

Ci sono dimensioni della realtà che possono essere concettualizzate anche attraverso sistemi
sensoriali alternativi, poiché esiste una sostanziale indipendenza degli apprendimenti dalle
caratteristiche strutturali dello stimolo. Stimoli particolari si offrono in maniera prevalente a
determinati canali sensoriali, ma ciò non impedisce che possano essere concettualizzati
attraverso canali sensoriali alternativi.

Questo transfert del processo conoscitivo da un sistema sensoriale all’altro non avviene
autonomamente ma attraverso l’intenzionalità del soggetto, ricadendo sotto il controllo delle
facoltà deliberative. Nell’esperienza personale si sviluppa la predisposizione a sviluppare la
capacità di conoscenza attraverso diversi canali sensoriali che non solo sono intenzionali ma
dipendono anche dalle peculiarità dello specifico soggetto.

L’altra dimensione che dipende dal concetto di vicarianza fa riferimento ai processi imitativi,
ovvero la modalità privilegiata del corpo di apprendere e rappresentare l’esperienza,
mettendo in atto processi riproduttivi delle caratteristiche degli oggetti. Possono scansionarsi
secondo tre diverse dimensioni:

● Imitazione: la prima forma conoscitiva che il corpo mette in azione, osservabile


specialmente nel bambino. Consiste nel riprodurre con il corpo le fattezze di un
oggetto che ricade nel campo di percezione attuale della persona.
● Mimetismo: la riproduzione di un oggetto assente dal campo di percezione attuale
della persona. Indica che dal punto di vista evolutivo c’è stata un’ulteriore crescita,
poiché le cose sono percepite non solo quando sono presenti sul momento ma anche
quando sono assenti poiché presenti nella memoria. Si riproduce quindi l’immagine
mentale dell’oggetto, piuttosto che l’oggetto in sé, che è una rappresentazione che ha
caratteristiche connotate dal punto di vista percettivo e sensoriale piuttosto che
prettamente formale.
● Mimesi: attraverso il corpo, si imitano oggetti che non hanno un correlato effettivo
immediato ma hanno una valenza più astratta e non cadono sotto la percezione
immediata dei sensi. Porta la persona a imitare l’universo dei valori, come bellezza,
giustizia, equilibrio, dimensioni prive di un correlato sensoriale immediato ma
vengono riprodotti dal corpo attraverso le loro caratteristiche costitutive.

Lezione 15: Tassonomia di Bloom - quadro generale (prima parte)


Ci sono due versioni della Tassonomia di Bloom: la prima è quella originale di Jeremy
Bloom del 1956; la seconda è una revisione creata da due suoi allievi, Anderson e Krathwohl,
del 2001. In entrambe le versioni, il modello didattico si struttura su alcune operazioni
cognitive disposte in senso piramidale; viene fatta salva la struttura tassonomica, ovvero non
è possibile accedere al prossimo step didattico senza la padronanza delle operazioni
precedenti.

La prima differenza tra i due modelli è il modo di esprimere le diverse funzioni didattiche.
Nel modello del 1956, esse sono definite attraverso dei sostantivi, ad esempio Comprensione,
Analisi, Valutazione. Nel modello 2001, i sostantivi sono sostituiti da predicati coniugati in
prima persona come Comprendi, Analizza, Valuta. Ciò è importante perché questa
rimodulazione fa acquisire alla tassonomia un profilo più praticabile dal punto di vista della
spendibilità didattica, perché i verbi indicano in maniera più precisa cosa viene chiesto di fare
all’allievo per poter conseguire l’apprendimento.

Un altro elemento di distinzione riguarda la disposizione delle posizioni apicali: le due


disposizioni più elevate sono invertite, poiché nel 1956 erano disposte con Valutazione sulla
cima della piramide e Sintesi subito sotto. Nel 2001, invece, Crea prende il posto di Valuta,
che scende al secondo posto nella piramide. Un’ulteriore manipolazione è la sostituzione di
Sintesi con Crea, la nuova posizione apicale, che assume quindi un nuovo significato: le
funzioni creative assumono il termine ultimo del processo di apprendimento.

L’ultimo aspetto da considerare, sia nel modello di Bloom che in quello di Anderson e
Krathwohl, è la ragione per cui questo modello di apprendimento viene definito Tassonomia.
Questa scelta è motivata dal fatto che il processo di apprendimento non è un singolo atto
cognitivo unitario: l’apprendimento compiuto deve transitare attraverso una molteplicità di
atti cognitivi.

In realtà non basta nemmeno transitare tra queste forme di apprendimento, ma il transito deve
avvenire attraverso determinati criteri gerarchici: nel modello della Tassonomia di Bloom, è
necessario attivare una serie di funzioni conoscitive in ordine sequenziale. Qualunque
apprendimento deve transitare attraverso tutte le funzioni e deve anche assumere la
padronanza di ogni forma di apprendimento precedente per poter passare al successivo, ed è
ciò che rende il modello tassonomico.

Ciascuna funzione si specifica attraverso una serie di sottofunzioni, segmenti più


circostanziati che sono però tutte riconducibili alla matrice e alla radice della funzione
conoscitiva originale.

Lezione 15: Tassonomia di Bloom (seconda parte)


Tra i compiti fondamentali del docente c’è la definizione degli obiettivi didattici, ovvero
connessioni tra una funzione cognitiva della tassonomia e un argomento specifico di una
disciplina (es. Analizzare l’infinito di Leopardi).

La prima funzione del modello della Tassonomia di Bloom è la funzione del Ricordare, che
nella versione del 1956 era rappresentata dal termine Conoscenza. In generale, Ricordare
vuol dire incorporare nella memoria a lungo termine delle determinate conoscenze ed avere la
capacità di richiamarle alla memoria quando occorre.

Le operazioni cognitive che specificano questa funzione, dal punto di vista didattico, si
esprimono in compiti che chiedono all’allievo di costruire delle definizioni, recuperando
dalla memoria contenuti che descrivono un determinato argomento e riferire questi contenuti
nel modo più corretto possibile. Definire i concetti significa rispondere a quesiti riconducibili
allo schema generale delle domande Che cos’è, Chi è, Come si fa.

Il termine originario Conoscenza, che prendeva il posto di Ricordare (introdotto nel 2001),
indica l’importanza che questa funzione assume nel modello didattico implicito della
Tassonomia di Bloom. Nella didattica tradizionale, la conoscenza era l’obiettivo finale del
processo di apprendimento, mentre Bloom lo colloca alla base; così intesa come il richiamare
alla memoria, la conoscenza è il presupposto di tutta una serie di operazioni cognitive
successive. Lo scopo dei processi di apprendimento non è la conservazione dei contenuti
nella memoria, la promozione nell’allievo di elaborare secondo livelli di concettualizzazione
sempre più complessi le conoscenze dichiarative che rappresentano il nucleo concettuale di
fondo di ogni conoscenza.

La seconda funzione è quella del Comprendere, originariamente definita Comprensione.


Viene indicata secondo due diverse modalità: comprendere o capire, utilizzati come sinonimi.
Non è possibile accedere alle funzioni di comprensione se non si ha la padronanza dell’atto di
ricordare. Comprendere vuol dire individuare i profili dei referenti delle conoscenze, ovvero
contenuti di esperienza specifici ai quali si possono riferire le definizioni concettuali apprese
attraverso l'atto del ricordare. Se le definizioni non si associano a contenuti di apprendimento
non è possibile completare un apprendimento significativo, poiché conoscere significa
elaborare una rappresentazione interna degli oggetti esterni.

Lezione 15: Tassonomia di Bloom (terza parte)


Comprendere è la funzione volta a identificare gli oggetti esterni a cui si possono riferire le
conoscenze interne acquisite tramite l’atto del ricordare. Se non si padroneggia il ricordare,
infatti, non è possibile accedere all’atto del comprendere, data la natura tassonomica del
modello di Bloom (come del modello di Anderson e Krathwohl). Entrambi i modelli
intendono questa il Comprendere come una funzione che si può scomporre ed esercitare
attraverso tre sottofunzioni: tradurre, semplificare, prevedere.

● Tradurre: elaborare un contenuto conoscitivo attraverso una molteplicità di codici di


rappresentazioni (es. verbale, visuo-spaziale, cinestetico, musicale)
○ Si mostra di aver compreso quando si ha la capacità di rappresentare uno
stesso contenuto tramite un codice diverso da quello originale.
● Semplificare: fornire esempi, chiedendo all’allievo di riflettere su un determinato
oggetto per identificare i suoi elementi costitutivi.
○ Si deve essere in grado di identificare un esempio che sia riferibile ad un
concetto relativo ad un contenuto di apprendimento.
● Prevedere: partire da un concetto per fare previsioni su ciò che succederà in una
determinata situazione.

La terza funzione della Tassonomia di Bloom è l’Utilizzare, precedentemente definita


Applicazione. Vuol dire usare una determinata conoscenza per intervenire sul contesto e
risolvere un determinato problema che ha a che fare con quella conoscenza.

La quarta funzione è quella di Analizzare, precedentemente Analisi. Significa avere la


capacità di cogliere gli elementi fondamentali di un oggetto. Ciò si può applicare tramite i
compiti che prospettano all’allievo un problema in cui viene presentata una molteplicità di
informazioni e si chiede all’allievo di individuare tra queste quelle che sono rilevanti alla
soluzione del problema rispetto a quelle inutili; ma anche i compiti che chiedono all’allievo
di individuare analogie e differenze tra concetti.

Lezione 15: Tassonomia di Bloom (parte quarta)


Si ricorda che nel modello iniziale del 1956, Sintesi e Valutazione erano rispettivamente al
vertice e al penultimo posto nella piramide di apprendimento; mentre, nel modello del 2001,
Valutare scende al penultimo posto, e Sintesi viene sostituito da Crea, che prende il posto di
Valutazione al vertice della tassonomia.

Valutare significa dare all’allievo compiti che consistono nell’esprimere valutazioni


personali sulle proprie conoscenze o su conoscenze prodotte da altri, producendo giudizi
valutativi. In entrambi i modelli, il valutare si declina in termini meta-cognitivi: l’esercizio di
questa funzione richiede sia di rivolgersi ai contenuti disciplinari non per farne emergere le
caratteristiche ma per diventare consapevoli del proprio modo particolare di acquisire
determinati contenuti. Non esprime quindi una valenza cognitiva ma meta-cognitiva.

I compiti che concretizzano questa funzione servono per valutare l’efficacia delle procedure
che sono state messe in atto per acquisire determinati contenuti. Si vogliono quindi conoscere
sia le qualità che i limiti del proprio modo di apprendere per ottimizzarlo, concentrandosi sui
compiti e sui metodi di apprendimento che meglio si adattano alle caratteristiche di ognuno.

Sostanzialmente sono riconducibili a consegne tipo Che cosa conosci di questo argomento?
Quali procedure hai utilizzato per conseguire questo apprendimento? Le ritieni pertinenti?
L’allievo è quindi sollecitato ad accostare i contenuti disciplinari per focalizzare il proprio
modo di apprendere, adempiendo al comando socratico di “conosci te stesso”.

La sesta, e ultima, funzione è quella del Creare. Nella versione del 2001, rappresenta il
livello di elaborazione cognitiva più complesso, e non vi si può accedere se non si
padroneggiano tutte le funzioni cognitive precedenti. In questa funzione, a differenza delle
altre, l’allievo non è sollecitato ad agire su contenuti già esistenti ma deve attivare le sue
funzioni conoscitive per generare qualcosa di nuovo.

Questa funzione si concretizza nell’atto cognitivo del progettare, cioè sollecitare l’allievo a
elaborare un contenuto che non richiede la riflessione su qualcosa di già dato, ma di costruire
su qualcosa di nuovo pertinente al contenuto che è già stato appreso. Ciò porta dal noto al
nuovo, costruendo un oggetto innovativo.

Lezione 16: Conoscenza fattuale (prima parte)


Bloom, Anderson e Krathwohl identificano quattro diverse forme di conoscenza: fattuale,
concettuale, procedurale, metacognitiva.

La conoscenza fattuale comporta l’apprendimento di nuclei di informazione specifici e


circoscritti, che possono essere declinati attraverso una pluralità di declinazioni e
rappresentano gli elementi di base che sono necessari per padroneggiare le altre forme di
conoscenza più complesse associate a varie discipline. E’ quindi l’apprendimento della
terminologia, costituita da frammenti di informazioni ritenuti rilevanti e validi in sé stessi.

La terminologia consiste in due di sottocategorie: parole associate ad alcune definizioni,


ovvero il lessico di una disciplina, a partire da cui si costruiscono ulteriori forme di sapere;
segni associati a significati (es. chiave di violino, segni matematici, segnali stradali). Può
essere espressa tramite segnali verbali e non verbali associati a referenti: la struttura della di
fondo della disciplina contiene un’etichetta verbale o non verbale a cui corrisponde un
referente, ovvero un significato.

La terminologia è necessaria per procedere nella conoscenza di una determinata disciplina,


poiché bisogna apprendere i concetti di base di cui quella disciplina si serve per costruire
conoscenza attorno al proprio oggetto di studio.

La conoscenza fattuale può essere anche espressa sotto forma di conoscenza di fatti ed eventi
specifici, conoscendoli quindi non solo come etichette linguistiche e associati a definizioni
ma come accadimenti e situazione, compresa la conoscenza delle loro fonti. Ad esempio,
conoscere la data di nascita di un autore, conoscere i luoghi in cui si ambienta un romanzo.

E’ il tipo di conoscenza più elementare e semplice, e per questo viene spesso svalutata nella
prassi didattica diffusa. Nella Tassonomia di Bloom, essa rappresenta invece il fondamento
dei processi di fondamento che vengono dopo; se non si padroneggiano questi livelli di
conoscenza non si può accedere a livelli più complessi.

Lezione 16: Conoscenza concettuale (seconda parte)


Conoscere attraverso la dimensione concettuale vuol dire procedere per categorie e
classificazioni.

● Categorie: criteri di raggruppamento di fatti che consentono di individuare elementi


omogenei tra fatti diversi, collocandoli in un unico insieme basandosi sul fatto che
condividono una o più caratteristiche.
○ Costruire una connessione dei nuclei informativi, generando una
rappresentazione coerente e significativa dell’oggetto che si tratta, che
permette di conoscerlo più profondamente rispetto alla conoscenza fattuale
poiché non comporta solo l’assunzione di fatti.
● Classificazioni: relazioni che intercorrono tra le categorie.

La conoscenza concettuale si articola in diversi criteri di apprendimento.

Il primo è il classificare, ovvero organizzare fatti e informazioni in raggruppamenti


omogenei, individuare di elementi in comune tra una pluralità di nuclei informativi e operare
una conoscenza che organizza i frammenti informativi in raggruppamenti omogenei che sono
individuati da ciò che i diversi nuclei informativi hanno in comune. Si transita quindi dalle
conoscenze di base alle conoscenze profonde.
I processi classificatori consentono quindi di transitare ad un livello di conoscenza più
significativo, più astratto e non solo concreto, che presenta quindi maggiori livelli di
difficoltà. Il dinamismo della conoscenza concettuale declinata in termini di classificazione
consente di spiegare molte difficoltà che insorgono durante i processi di comprensione, per
esempio quando l’allievo non conosce le categorie dei nuclei di informazione, oppure quando
un nucleo di informazione è ricondotto ad una categoria errata.

Le difficoltà legate ai processi di classificazione dipendono da una pluralità di fattori: le


classificazioni hanno una notevole quota di arbitrarietà perché sono conoscenze di tipo
inferenziale, poiché non si basano sui dati di fatto; non è immediatamente percepito il rilievo
che una determinata categoria assume nella vita quotidiana; le conoscenze concettuali non si
limitano a individuare categorie ma richiedono di stabilire delle connessioni tra le categorie,
per conseguire una rappresentazione più compiuta del contenuto.

Le conoscenze concettuali acquistano rilievo quando il soggetto riesce a utilizzare queste


conoscenze come strumenti da usare per comprendere la vita reale, scoprendone quindi la
funzione strumentale che consente di intervenire sui contesti e di operare in maniera più
efficace con maggiore padronanza.

Un altro criterio di apprendimento sono i principi e generalizzazioni, che assumono forma


descrittiva, esplicativa, e/o predittive.

● Descrittivi: principi che stabiliscono una regola generale che indica come accadono
gli eventi.
● Esplicativi: principi finalizzati a individuare le cause dell’origine di un determinato
fenomeno.
● Predittivi: conseguenze che prospettano le possibili evoluzioni di un fenomeno.

L’ultima forma di conoscenza concettuale è quella che si esprime in termini di teorie,


modelli, e strutture, che agiscono tramite la connessione dei principi per generare il profilo
teorico di un determinato fenomeno per analizzarlo con i criteri di riferimento di un dominio
scientifico differente. Sanciscono quindi la connessione tra apparati conoscitivi che attengono
a domini scientifici differenti.

Lezione 16: Conoscenza procedurale (terza parte)


La conoscenza procedurale è la conoscenza del “come si fa”, e si può definire attraverso
diversi livelli di complessità: l’esecuzione una sequenza di azioni relativi a una conoscenza,
la decisione su quali conoscenze seguire, l’elaborazione di una sequenza di azioni originale,
né codificata né scaturisce da un altro atto di conoscenza preesistente.

Si distingue dalla conoscenza concettuale poiché è la conoscenza del come, e non del che
cosa, ovvero del prodotto. In termini generali, fa riferimento ad algoritmi e procedure che
determinate discipline mettono in campo per risolvere vari problemi.
Si distingue dalla conoscenza metacognitiva, invece, perché la conoscenza procedurale
riguarda ambiti di conoscenza circoscritti e ben distinti tra loro, utilizzando procedure di
natura contestuale e operativa, mentre la conoscenza metacognitiva usa procedure di carattere
cognitivo e mentale per raggiungere un determinato obiettivo.

Si può declinare il quadro generale della conoscenza procedurale secondo molte declinazioni:
secondo metodi e tecniche, e come conoscenza di criteri.

Nel caso di metodi e tecniche, vengono in rilievo le procedure che determinati domini
disciplinari seguono per conseguire conoscenza intorno al loro oggetto di studio. Rientrano in
questo ambito gli algoritmi, che portano ad un risultato univoco tramite passaggi sequenziali
che bisogna seguire. Sia gli algoritmi che i metodi e le tecniche presentano una serie di
passaggi da seguire, ma i metodi e le tecniche non comportano necessariamente ad un
risultato univoco, poiché anche seguendo le sequenze di azione non è scontato arrivare
sempre allo stesso risultato.

I metodi e le tecniche rappresentano i modi specifici di pensare delle diverse discipline,


invece che il riferimento ai risultati conoscitivi prodotti da quelle discipline. Focalizzano
l’attenzione sulle procedure che bisogna seguire per raggiungere un risultato, e sono quindi
più focalizzati sul processo che sul prodotto. Non consentono di esplicitare già in partenza
quale sarà il risultato finale verso cui orientano le sequenze di azioni.

La conoscenza procedurale si determina anche in termini di criteri: non comporta solo il


sapere come bisogna procedere per risolvere un determinato problema, ma anche essere in
grado di padroneggiare i criteri per sapere quando e come utilizzare determinate procedure.
Bisogna quindi saper riconoscere a quali problemi si devono applicare tali procedure in modo
pertinente.

Lezione 16: Conoscenza metacognitiva (quarta parte)


La conoscenza metacognitiva è la conoscenza dei processi cognitivi in generale che più
personali; ha il compito di rendere gli studenti consapevoli dei loro personali modi di
comprendere, di evidenziare i propri punti di forza e debolezza, e di promuovere
l’autoregolazione dei processi cognitivi. L’autoregolazione fa riferimento alle strategie che
bisogna mettere in atto per utilizzare le risorse cognitive rispetto ai compiti di apprendimento.

Bisogna tenere presente che la conoscenza metacognitiva non è circoscritta a domini


cognitivi specifici ma è trasversale a tutti i domini, poiché utilizza processi cognitivi che
rimangono uguali a prescindere dal dominio che si sta analizzando e comprendendo. Si può
declinare come conoscenza strategica, conoscenza dei compiti cognitivi, e come conoscenza
di sé.

La conoscenza strategica si definisce come la conoscenza delle strategie generali che


consentono di apprendere contenuti appartenenti a molteplici ambiti disciplinari, e sono
quindi trasversali alla molteplicità dei saperi. Utilizza vari processi di apprendimento:
● Memorizzazione: strategia per trasferire le conoscenze nella memoria a lungo
termine;
● Elaborazione: ricodificazione in forme differenti delle conoscenze memorizzate per
elaborarle verso un più elevato livello di comprensione;
● Organizzazione: ricostruzione del contenuto in forma schematica utilizzando grafici,
mappe concettuali, ecc.

Esempi di conoscenza strategica sono: conoscenza delle diverse strategie di elaborazione


della conoscenza; conoscenza delle diverse strategie organizzative; conoscenza dei criteri di
pianificazione; conoscenza dei criteri di monitoraggio della comprensione.

La conoscenza dei compiti cognitivi necessari all’apprendimento tratta il gestire una


particolare batteria di conoscenza, ad esempio quando si affronta un problema nuovo. Ciò si
applica tramite la conoscenza di diversi livelli di difficoltà associati ai diversi compiti
cognitivi, e tramite la conoscenza “condizionale” delle strategie cognitive, ovvero sapere
quando e perché usarle in modo pertinente. Ciò che la distingue dalla conoscenza procedurale
è che quest’ultime viene usata quando si affronta un problema con il quale si ha familiarità, in
cui occorre solo applicare ciò che si conosce senza creare nulla di originale. La conoscenza
metacognitiva avviene a livello mentale e non pratico, come invece quella procedurale,
poiché è la conoscenza dei criteri che compongono le procedure per capire quando è
opportuno usarle in situazioni non familiari.

La conoscenza di sé è la consapevolezza dei propri modi preferenziali e ricorrenti di


apprendere, e di come questi sostengono o ostacolano i processi di apprendimento. Serve a
comprendere quando non si conosce bene qualcosa, ovvero sapere di “non sapere” e quali
strategie attivare per conseguire quella determinata conoscenza. Serve anche a conoscere la
propria motivazione a conoscere, a essere consapevoli di ciò che si pensa sulle proprie
motivazioni per cui ci si impegna nei processi di apprendimento, fondamentali per affrontare
l’apprendimento in maniera corretta. In questo ambito rientrano anche le convinzioni relative
all’interesse che si ha per il compito, che sono variabili importanti per capire quali sono le
possibilità di successo che ognuno ha per conseguire determinati apprendimenti.

Fa parte della conoscenza di sé anche l’autoefficacia, ovvero un modo di valutare la propria


capacità di conoscere; indica quanto un soggetto si sente o non si sente capace di apprendere
un contenuto. Anche se possiede le capacità per affrontare un contenuto, i disturbi di
autoefficacia modesti lo scoraggiano dall’investire le sue capacità e risorse verso
l’apprendimento di quel determinato contenuto.

Lezione 17: Obiettivi didattici - Funzione “Ricordare”


Secondo Bloom, Anderson, e Krathwohl, gli atti di apprendimento si condensano attorno alle
funzioni cognitive fondamentali della Conservazione e Trasferimento.

Conservare vuol dire mantenere la conoscenza nella memoria a lungo termine per periodi
prolungati di tempo, e si rivolge prevalentemente al passato. Entra in gioco nella prima
funzione cognitiva della Tassonomia, ovvero quella del Ricordare. Gli atti di conservazione
sono atti di apprendimento che l’allievo attua per inserire le informazioni acquisite nella
memoria a lungo termine.

Tutte le altre funzioni si condensano intorno al Trasferimento, che significa svolgere una serie
di funzioni cognitive con lo scopo di trasferire la memoria a lungo termine in contesti diversi
rispetto ai quali quella determinata informazione è stata acquisita per la prima volta. Le
operazioni di trasferimento sono orientate al futuro, e si chiede all’allievo di applicare le
informazioni contenute nella sua memoria in altri ambiti diversi da quello di partenza.

In base a come, nei processi di apprendimento, si declinano tra loro funzioni di conservazione
e trasferimento, si possono individuare tre diversi scenari: apprendimento mancato,
meccanico, o significativo.

● L’apprendimento mancato si verifica quando l’allievo, posto di fronte a un compito,


si mostra incapace di svolgere sia atti di conservazione che di trasferimento.
● L’apprendimento meccanico si verifica quando l’allievo è capace di svolgere atti di
conservazione ma non di trasferimento.
● L’apprendimento significativo si verifica quando l’allievo è capace di svolgere sia
atti di conservazione che di trasferimento.

Le operazioni di conservazione e trasferimento permettono di capire meglio cosa sono gli


obiettivi cognitivi. essi sono dati dalle operazioni mentali che l’allievo deve svolgere sui
contenuti, quindi la capacità di elaborare un contenuto disciplinare alla luce degli obiettivi
previsti dalla Tassonomia di Bloom. Gli obiettivi cognitivi dicono dunque quali atti di
conservazione si devono eseguire per raggiungere un apprendimento significativo.

L’obiettivo cognitivo ha una struttura semplice: consiste nell’associazione di un verbo, tra


quelli di cui si compone la Tassonomia di Bloom, che esprime una delle ad una conoscenza
(es. Analizzare + la struttura di una cellula).

La valutazione comporta l’identificazione di prove strutturate per il raggiungimento di


ciascun obiettivo, differenti tra loro basandosi sulle diverse funzioni cognitive.

La funzione del Ricordare è la funzione che comporta l’esercizio di un atto cognitivo


finalizzato a promuovere la conservazione dell’informazione nella memoria a lungo termine.
Le sottocategorie cognitive del Ricordare sono quelle del Riconoscere e del Rievocare, che
esplicano la funzione cognitiva a diversi livelli d’intensità.

Riconoscere vuol dire recuperare dalla memoria a lungo termine le conoscenze per
confrontarle con le informazioni già presentate; è quindi fondata su un atto di confronto. Può
anche essere esercitata chiedendo all’allievo di individuare la corrispondenza tra due gruppi
di informazioni e tramite quesiti a risposta multipla.

Rievocare vuol dire recuperare dalla memoria a lungo termine le informazioni richieste,
spostare nella Memoria di Lavoro e verbalizzare la risposta, ed è un’azione più complessa del
Riconoscere poiché non è mediata da un’informazione offerta all’allievo.
Viene esercitata tramite la sollecitazione il recupero di informazioni apprese in precedenza
senza ausili che agevolino l’atto di recupero; oltre che tramite a quesiti a sollecitazione bassa
che non contiene informazioni che agevolano il recupero (es. descrivi come è fatta una
cellula), e quesiti a sollecitazione alta che contengono numerose informazioni che agevolano
il recupero (es. completazione della frase con la parola mancante).

Lezione 18: Obiettivi didattici - Funzione “Comprendere” (prima parte)


Comprendere vuol dire integrare le conoscenze apprese in uno schema concettuale più
ampio; è la prima funzione che si colloca sul versante dell’atto cognitivo del Trasferimento.
Significa compiere un apprendimento significativo, trasferendo le conoscenze in contesti
diversi da quelli in cui sono state originariamente appresi.

Le sottofunzioni del Comprendere sono Interpretare, Esemplificare, Classificare, Riassumere,


Dedurre, Confrontare, e Spiegare.

Interpretare significa rimodulare l’informazione da una forma rappresentativa diversa da


quella tramite cui è stata appresa. Gli atti di apprendimento che concretizzano questa
funzione sono:

● Parafrasi: trasformare un testo fatto di parole in un testo fatto di parole diverse che
conservano però lo stesso significato.
● Traduzione: rappresentare un contenuto espresso con un determinato codice con un
codice differente (es. parole in formato matematico)

I compiti cognitivi che adempiono alla funzione interpretativa sono di due tipi: prove a
risposta formulata in cui gli allievi devono scrivere la risposta corretta , e prove a risposta
selezionata in cui l'allievo deve selezionare la risposta corretta scegliendo tra più alternative.
Spesso hanno una struttura alle prove con cui si valuta la funzione cognitiva del Ricordare:
per focalizzare la risposta sull’Interpretare è necessario che il compito prospetti all’allievo
con un’informazione nuova, ovvero che l’allievo non ha mai incontrato in precedenza ma che
può analizzare e risolvere usando le conoscenze che possiede. Ciò dipende dall’insegnante e
dalla sua conoscenza di ciò che i suoi allievi hanno già affrontato e di ciò che conoscono.

Esemplificare significa fornire un esempio specifico o di un concetto o di un principio


generale. Ci sono due atti operatori che concretizzano questa funzione: individuare le
caratteristiche definitorie di un concetto; utilizzare un concetto presente nella memoria a
lungo termine per riconoscere o costruire un oggetto che esemplifichi le caratteristiche del
concetto. Le procedure sono quindi la presentazione di un concetto e la successiva
produzione o individuazione di un oggetto che rappresenti tale concetto.

Classificare consiste nell’individuare in quale misura le caratteristiche di un oggetto concreto


combaciano con quelle di un concetto, verificando se e in quale misura un oggetto può essere
sussunto entro una categoria concettuale più ampia. Ciò che differenzia questa funzione
dall’Esemplificare è la direzione verso cui si “viaggia”:
● Esemplificare: dall’universale al particolare, si parte da un concetto e si chiede di
individuare un caso idoneo e rappresentarlo
● Classificare: dal particolare all’universale, si parte da un caso specifico e si chiede di
sussumerlo entro una classe più ampia

Per classificare si possono compiere almeno tre azioni cognitive: capire se un oggetto
appartiene effettivamente a una categoria più ampia; assumere un oggetto entro una classe di
appartenenza; individuare le caratteristiche che un oggetto ha in comune con un altro oggetto,
passando appunto dal particolare all’universale.

Lezione 18: Funzione “Comprendere” (seconda parte)


Riassumere significa rielaborare in un’unica frase (o poche frasi) un particolare contenuto.
Gli atti operativi che la esplicano sono riconducibili a due grandi macrocategorie: estrapolare
il tema generale di un testo, e individuare i punti principali di un testo, focalizzando il tema
generale e i sottopunti in cui si esplica. I compiti che corrispondono a questa funzione sono
ad esempio riassumere le funzioni principali dei diversi blocchi di un programma
informatico, riassumere in pochi punti gli eventi descritti in un resoconto storico, ecc.

E’ una componente fondamentale della comprensione del testo, che aiuta l'allievo a costruire
immagini mentali corrispondenti all’oggetto del testo, promuovendo quindi l’attuazione di un
apprendimento significativo.

Una funzione più complessa è quella del Dedurre, che vuol dire individuare uno schema che
riconduce a senso un insieme di caso, individuando in particolar modo le relazioni ricorrenti
che intercorrono tra i casi di un insieme. Significa quindi confrontarsi con più casi e
individuare la rete di relazioni che connettono quei casi. Ciò che differenzia questa funzione
dalla Classificazione è che l'elemento comune non è una classe di appartenenza ma una
relazione.

Le procedure che adempiono a questa funzione sono: confrontare i dati all’interno di un


insieme, comprendere lo schema che organizza l’insieme, individuare l'informazione richiesta
dal compito (risposta formulata/selezionata). Bisogna quindi considerare con le informazioni
degli oggetti isolati, ma le relazioni che intercorrono tra i diversi oggetti. I compiti cognitivi
che appartengono a questa categoria sono prove di completamento, in cui si forniscono dei
dati e si chiede di individuare il dato successivo o la regola che struttura la successione;
compiti di uguaglianza, in cui si fornisce un’uguaglianza incompleta di uno degli elementi e
si chiede all’allievo di individuarlo; compiti di disuguaglianza, in cui bisogna individuare il
dato non pertinente in un insieme di dati. Come anche compiti nei quali l’allievo deve
individuare una regola o un principio che organizza le relazioni tra i casi.

La sottofunzione del Confrontare consiste nell’individuare somiglianze e differenze tra un


insieme di oggetti, e individuare corrispondenze tra i tratti di un oggetto e i tratti di un altro
oggetto. Struttura delle prove risiede nel criterio della mappatura, ovvero nel rilevare in che
modo le singole parti di un oggetto corrispondono alle singole parti di un altro oggetto,
individuare quindi cosa hanno in comune gli oggetti e conseguentemente ciò che li distingue.
Ciò si applica tramite compiti in cui bisogna individuare corrispondenze tra informazioni note
e informazioni nuove, ad esempio confrontare fatti storici antichi con fatti storici recenti, o
confrontare un fenomeno scientifico con un altro. Questi compiti, come tutti quelli
appartenenti alla funzione del Comprendere, non sono possibili se non si è padroneggiata la
funzione del Ricordare.

L’ultima sottofunzione è Spiegare, che significa essere in grado di individuare un sistema e


costruire un quadro interpretativo idoneo a spiegare un fenomeno in base al nesso
causa-effetto. Individuare una sequenza di cause e effetti all’interno di un insieme di fatti
presentati in maniera disordinata, rielaborando in ordine sequenziale secondo un ordine in cui
ciò che viene prima è la causa di ciò che viene dopo. Significa quindi ricorrere ad un modello
esplicativo per individuare in che modo il cambiamento che investe un elemento dell'insieme
si riverbera sugli altri elementi dello stesso insieme.

Le prove che esplicano questo atto cognitivo sono:

● Ragionamento: ipotizzare la causa di un determinato evento;


● Risoluzione di problemi: diagnosticare le cause di malfunzionamento di un sistema;
● Progettazione: individuare i cambiamenti da introdurre nel sistema per raggiungere
un determinato obiettivo;
● Previsione: individuare in che modo i cambiamenti in un punto del sistema possono
produrre modifiche in altri punti del sistema.

Lezione 19: Funzione “Applicare”


Applicare significa utilizzare conoscenze e procedure per eseguire esercizi o risolvere
problemi. Per comprendere a fondo ciò che significa bisogna fare una distinzione tra esercizio
e problema, poiché in ambito didattico non indicano la stessa cosa poiché rispondono a
strutture differenti.

● Esercizio: atto essenzialmente esecutivo, che richiede una procedura nota o riferire
una conoscenza acquisita, riferito a problemi familiari.
● Problema: comporta una procedura più complessa poiché è un atto decisionale, che
richiede la decisione di quale procedura eseguire o quale conoscenza adoperare per
affrontare situazione non familiari. L’allievo deve quindi elaborare le conoscenze che
possiede per formulare procedure per affrontare il nuovo problema.

Le sottofunzioni dell’Applicare sono due: Eseguire e Implementare.

Eseguire vuol dire confrontarsi con un problema familiare e affrontarlo o con le procedure
già conosciute o con le conoscenze già acquisite, e si applica attraverso gli esercizi che
presentano situazioni familiari. I compiti devono avere la stessa struttura affrontata in
precedenza anche se i dati specifici variano.

L’atto di Implementare ha una struttura più complessa poiché l’allievo si confronta con
problemi non familiari, la cui struttura non è mai stata affrontata in precedenza e che deve
quindi essere elaborata ex novo. Consiste nell’individuare quale sia la procedura più adatta,
ovvero quella che risulta maggiormente funzionale per risolvere il quesito che si deve
affrontare, tra una serie di procedure possibili.

Questa sottofunzione a volte esige una rimodulazione delle procedure, che è suggerita dalla
peculiare struttura del compito che deve essere analizzata prima di fare qualsiasi altra
operazione. Si è quindi più vicini alla dimensione dei metodi che degli algoritmi: si presenta
come un diagramma di flusso che come una linea rigida, poiché è spesso necessario adattare
le procedure al problema che si sta affrontando, e quindi prendere delle decisioni che variano
rispetto a come la procedura è formalmente presentata. Nell’algoritmo l’atto decisionale è
incorporato nella struttura stessa della procedura, e non è il soggetto che svolge il problema a
dover prendere le decisioni. Non è quindi detto che le stesse procedure, applicate in situazioni
diverse, porteranno sempre allo stesso risultato.

La procedura delle consegne che espletano la sottofunzione dell’Implementare è decisionale,


mette quindi l’allievo di fronte a un problema che richiede che egli prenda delle decisioni
piuttosto che seguire semplicemente le procedure che sono a lui già note. Si chiede non solo
di recuperare la conoscenza ma di agire su di essa per risolvere il problema.

Nell’ambito del modello di Bloom emerge una particolare concezione del Fare: non vuol dire
mettere in atto un’azione immediata, ma consiste nella rappresentazione mentale dell’azione.
Non si identifica con l’azione in sé, ma implica l’esercizio di tutta un serie di azioni cognitive
che esigono di rappresentare preventivamente l’azione sul piano mentale. Arricchisce la
dimensione pratico-operativa delle componenti cognitive e di riflessione che consentono di
ampliare il potere del soggetto sull’azione stessa.

Lezione 20: Funzione “Analizzare”


Analizzare significa scomporre una conoscenza nelle parti che la costituiscono, al fine di
individuare gli elementi costitutivi di un insieme, verificare le connessioni reciproche,
verificare le connessioni di ciascun elemento con il tutto di cui fa parte. Le sottofunzioni che
la articolano sono sostanzialmente tre: Differenziare, Organizzare, Attribuire.

● Differenziare: individuare le parti rilevanti di un insieme;


● Organizzare: individuare i nessi che intercorrono tra le parti, in che modo ciascuna
parte di un insieme è collegata alle altre;
● Attribuire: individuare le intenzioni di un indagine, i punti di vista dal quale sono
osservati i fatti.

Le operazioni cognitive che concretizzare l’Analizzare sono: distinguere tra fatti e opinioni;
stabilire nessi tra le affermazioni e le conclusioni contenute in un discorso o in un testo;
distinguere, in un insieme di dati, quelli che sono rilevanti da quelli che non lo sono; stabilire
relazioni tra idee; individuare gli “impliciti” e i "sottintesi" di un discorso; focalizzare gli
elementi dai quali desumere le finalità di un testo o di un discorso.
Differenziare è la funzione più generale: vuol dire individuare le parti più rilevanti di un
costrutto, distinguendole da quelle meno rilevanti, analizzare quindi le diverse parti di un
insieme in relazione all’importanza che rivestono nell’insieme stesso.

E’ necessario rilevare una differenza tra Differenziare e Confrontare (sottofunzione della


Comprensione): mentre il confronto compara due oggetti considerando tutti gli elementi e
distingue per rendere rilevanti tutti gli aspetti, nell’atto di Differenziare si compara per
distinguere gli elementi rilevanti da quelli che non lo sono.

Organizzare significa individuare le relazioni che intercorrono tra le parti di un contenuto e


le relazioni che intercorrono tra le parti e l’insieme, ovvero il contenuto stesso. L’obiettivo è
inserire un dato informativo all’interno di una struttura, costruendo uno schema nel quale
inserire gli elementi che compongono l’oggetto nel suo insieme. Le prove in cui si applica la
sottofunzione dell’Organizzare sono o a risposta formulata, che consiste nel costruire uno
schema, o a risposta selezionata, in cui bisogna selezionare la struttura più adatta tra opzioni
presentate dal problema stesso.

Attribuire è una funzione cognitiva diversa dalle precedenti, poiché consiste nel riconoscere
punti di vista, valori, intenzioni implicite di un discorso cognitivo. Implica quindi un processo
di decostruzione del discorso e si costituisce in una serie di atti di matrice inferenziale. Va
oltre la funzione del Concettualizzare (sottofunzione del Comprendere): non si tratta di
introdurre un concetto in una categoria più ampia ma si deve individuare le intenzioni che si
volevano perseguire tramite quel determinato concetto. Significa anche individuare le
motivazioni per cui i concetti sono stati posti in essere tramite la loro interpretazione.

Il formato delle prove in cui si applica la sottofunzione dell’Attribuire può essere o a risposta
formulata o a risposta selezionata. Prove di selezione si dividono in due tipi:

● Presentare un discorso cognitivo (es. un testo letterario) e chiedere di individuare il


punto di vista selezionando tra un insieme di opzioni;
● Chiedere di presentare un affermazione relativa al contenuto (es. saggio) e individuare
il grado di accordo che l’autore del contenuto stesso avrebbe con essa, su una scala
che va da “assolutamente d’accordo” a “per nulla d’accordo”.

Lezione 21: Funzione “Valutare”


Valutare significa formulare giudizi a partire da criteri e standard di riferimento,
confrontando un prodotto con una norma che funge da riferimento. Non tutti i giudizi, però,
rappresentano valutazioni così intese dalla Tassonomia di Bloom: né il giudizio che inserisce
un elemento in una classe più ampia (Comprensione), né il giudizio che confronta due
elementi per individuare similitudini e differenze rientrano nella Valutazione.

Un giudizio, per rientrare nella funzione di Valutare, deve stabilire l’adeguatezza di una
prestazione rispetto a un criterio, confrontandola con uno standard di riferimento, decidere
quindi il grado di adeguatezza di una prestazione o contenuto ad uno standard assunto come
punto di riferimento. Per adempiere a questi obiettivi, la valutazione può assumere due
forme: Controllo e Critica.

● Controllo: consiste nella valutazione fondata su “criteri interni”


○ Valuta se ci sono contraddizioni tra le parti di un contenuto, se vi è coerenza
tra premesse e conclusioni, e se i dati presi in considerazione sono idonei a
discutere quel determinato problema.
● Critica: una forma di valutazione fondata su “criteri esterni”
○ Valuta il grado di efficacia di una soluzione rispetto a un obiettivo, il grado di
ragionevolezza di un’ipotesi, e quale tra più soluzioni possibili sia la più
adeguata alla gestione di un problema.
■ Le prove che sollecitano questa sottofunzione constistono
nell’esprimere un giudizio di adeguatezza su una prestazione propria o
di altri, e fornire o esplicitare i criteri in base ai quali elaborare il
giudizio.

Lezione 22: Funzione “Creare”


La funzione Creare si trova al vertice della Tassonomia di Bloom, e si pone come un atto di
tipo combinatorio: combina insieme vari elementi per creare una struttura che sia innovativa
e funzionale al raggiungimento di certi obiettivi e certi standard. Contiene tutte le funzioni
precedenti, che è necessario aver padroneggiato per giungere a questa funzione.

L’obiettivo principale di questa funzione è riorganizzare (mentalmente) alcuni elementi del


sistema per combinarli in maniera tale da generare un prodotto inedito. Non si replica dunque
ciò che già si conosce, ma si sollecita l’allievo a generare un prodotto innovativo, elaborando
in modo chiaro e innovativo tutti gli elementi e le connessioni di materiale già esistente.

Le componenti del processo creativo sono tre:

● Generazione: rappresentazione mentale del problema, comprensione del compito ed


elaborazione mentale delle possibili soluzioni;
● Pianificazione: valutazione di ciascuna alternativa e selezione di quella ritenuta più
idonea;
● Realizzazione: messa in atto della soluzione selezionata.

Generare, nello specifico, vuol dire rappresentare mentalmente il problema e le alternative di


soluzione. Ci si confronta quindi con un problema inedito, mai affrontato prima, si
prospettano le alternative di soluzione e si individuano i criteri per valutare le alternative di
soluzione, ma senza ancora trovare quella più idonea. Le prove che esplicano questa
sottofunzione consistono nell’osservare dei fenomeni e prospettare delle possibili ipotesi
esplicative; nell’ipotizzare possibili conseguenze di un fatto; nell’ipotizzare gli usi possibili
di uno strumento o di una conoscenza.

Pianificare vuol dire elaborare un metodo per verificare l’ipotesi selezionata tramite l’atto
della Generazione. Si devono stabilire la sequenza dei passaggi necessari a verificare
un’ipotesi, tenendo conto sia di quali passaggi eseguire e del perché eseguirli. Le prove
consistono quindi nel presentare un problema e chiedere di ipotizzare tutti i possibili modi di
risolverlo. Avviene quindi una rappresentazione mentale di ipotesi procedurali.

Produrre (o Realizzare) è l’ultimo atto cognitivo del Creare, e consiste nel realizzare un
piano di azione finalizzato al raggiungimento di un determinato obiettivo. E’ la sottofunzione
in cui effettivamente si creano prodotti innovativi, che rispondono a determinati standard,
mentre le due sottofunzioni precedenti erano atti di progettazione che si esplicano
concretamente in questa sottofunzione finale.

L’atto del Creare non porta quindi dall’uguale all’uguale: porta dal molteplice al nuovo,
poiché consiste nell’acquisire delle conoscenze non per impararle fine a sé stesse, ma usare
quelle conoscenze al fine di creare qualcosa di innovativo.

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