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Riassunto Progettare e Valutare per l’equità e la qualità della didattica


CAPITOLO 1. IL DIBATTITO PEDAGOGICO SU CURRICOLO E PROGRAMMAZIONE
Quando si parla di curricolo non si allude a una neutra definizione di contenuti educativi o di soluzioni tecniche di
apprendimento, ma si considera il complesso delle condizioni dell'insegnamento/apprendimento, il suo essere
sistema prima ancora che aggregazione di elementi. Il suo concretizzarsi in ambito di progettazione didattica tiene
conto delle dimensioni sociali e psicologiche, degli aspetti scientifici e culturali, dei fattori sociologici e ambientali,
delle condizioni istituzionali e materiali in cui il processo formativo viene a realizzarsi.
La programmazione curricolare è un'attività capace di definire percorsi formativi tenendo conto della molteplicità di
elementi che contraddistinguono il rapporto tra insegnamento e apprendimento. È quella serie di operazioni che gli
insegnanti, nella loro collegialità, compiono per organizzare concretamente l'attività didattica e mettere in atto le
esperienze di apprendimento che costituiranno Il curricolo effettivamente seguito dagli studenti. All'interno di diversi
contesti internazionali si è posta una riflessione sul significato della programmazione.
 Nel 1902 Dewey menziona il termine curricolo per la prima volta sottolineando come, attraverso esso, il
sapere e il fare dell'allievo possono essere collegati.
 Nel 1949 Tyler Getta le basi per un dibattito che proseguirà per tutta la seconda metà del 900. Si parla di “
Teorie del curricolo”.
 Tornatore evidenzia la difficoltà dello scindere la teoria dalla pratica del curricolo, in quanto il curricolo è
immerso nel campo delle Scienze dell'Educazione.
Esistono molti modelli di curricolo, ma nessuno di essi consente di definire una vera e propria teoria che risulti valida
per disegnare un curricolo. Si tratta quindi di pseudomodelli, poiché non riescono ad avere la funzione di interpretare
la complessa realtà del curricolo. Gli unici modelli che tengono conto di tutti gli elementi di un curricolo e della sua
realizzazione pratica possono essere considerati i tentativi:
 di Dewey → mette in discussione i curricoli tradizionali. Pone una teoria dell'intelligenza che è anche teoria
dell'apprendimento. Le sue indicazioni sono di carattere generale.
 di Bruner → Il suo discorso dà luogo a un complesso di ricerche scientifiche che costituiscono la base di
specifiche applicazioni, relative al modo di sviluppare abilità mentali di base attraverso processi che realizzino
strutture di base della conoscenza adulta.
Alcuni modelli, nati a partire dall'analisi di problemi entro le realtà scolastiche, hanno avuto lo scopo di analizzarle,
interpretarle e comprenderle; altri possono ancora oggi costituire una base per interpretare Il curricolo. Importante è
l'aggancio con il contesto i problemi concreti: non si tratta di definire a tavolino indicazioni teoriche valide per
costruire curricoli, bensì si tratta di partire dei curricoli esistenti, per analizzarli e interpretarli secondo schemi
razionali capaci di porre in evidenza tematiche fondamentali e da qui sviluppare nuovi e più validi curricoli. Il punto di
crisi di molti modelli è spesso determinato dalla loro incapacità di tener conto di aspetti connessi alle singole realtà
scolastiche locali: questi aspetti incidono fortemente sulla progettazione e realizzazione del curricolo e determinano la
distanza tra la teoria e la pratica. Per ricomporre questa distanza l'unica via percorribile è quella della ricerca
empirica, che deve sapere entrare all'interno dei contesti in cui il curricolo si realizza e deve tenere conto della
molteplicità di variabili in esso presenti. Ritrovare le motivazioni storiche che hanno condotto alle diverse definizioni
di curricolo può contribuire ad attivare nella scuola prassi di programmazione più intenzionali, meno rigide e più
consapevoli del ruolo che gli insegnanti hanno nei confronti del cambiamento.
Il concetto di curricolo Il termine curricolo ha origini latine (currere). Nel 1688 Morhof inserì un capitolo sui
programmi di studio intitolato De curricolo scholastico. Con l’Illuminismo assume il significato attuale di Percorso
formativo intenzionalmente progettato. Nel contesto italiano si passa da un concetto di “ programma”, inteso come
elenco di argomenti di studio, a un’idea di programma intesa in senso curricolare (es. Indicazioni Nazionali). Si tratta
appunto di programmi intesi in senso curricolare in quanto non rappresentano un contenitore di argomenti
disciplinari, ma delineano un percorso di insegnamento-apprendimento. Si introduce così il termine curricolo nel
dibattito pedagogico. Il primo definirlo come corso di studi fu Dewey nel 1902.
Nel 1918 Bobbit ne parla sottolineandone 2 significati:
 “Arco di esperienze” che caratterizzano lo sviluppo delle conoscenze e delle capacità degli allievi, in contesti
più o meno intenzionalmente orientati;
 Successione intenzionalmente strutturata delle esperienze formative che la scuola adotta esplicitamente per
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completare tale sviluppo.


Bobbit assume l'idea di curricolo come pianificazione strutturata delle attività volte al raggiungimento di obiettivi
determinati e importanti per la vita degli allievi; l'approccio è razionale e tecnologico, in quanto l'azione del
progettare è funzionale al raggiungimento degli obiettivi è fortemente intenzionale. Il concetto di intenzionalità nella
progettazione Dà il via a un dibattito che parte dagli Stati Uniti e si diffonde in Europa.
Il dibattito internazionale Il dibattito sul curricolo assume un'importanza centrale nel panorama americano nel 1949
quando Tyler definisce una schematizzazione razionale per affrontare la programmazione scolastica. quattro sono le
domande a cui si deve rispondere quando si analizza o si progetta un curricolo:
1. Quali sono le finalità che si propone di raggiungere la scuola?
2. Quali sono le esperienze utili a raggiungere tali finalità?
3. Come organizzare tali esperienze?
4. Come verificare che le finalità siano state raggiunte?
Rispondere a tali interrogativi significa impegnarsi in un percorso di progettazione educativa e didattica atto a cogliere
il rapporto tra mezzi e fini. Il modello curricolare di Tyler propone un'impostazione razionale tecnologica della
programmazione scolastica; l'idea di apprendimento alla base è di stampo comportamentista è il processo di
acquisizione del sapere è concepito in termini lineari, definibili attraverso sequenza e tassonomiche di obiettivi che
procedono dal semplice al complesso. Questo modello razionalista - impostato per costruire uno schema neutrale
indipendente dai contesti di realizzazione - da un lato darà l'avvio a sviluppi che enfatizzeranno l’aspetto tecnologico e
lineare del processo formativo e l’ipervalorizzazione degli obiettivi, dall’altro porrà elementi problematici: nasce la
questione di come un modello curricolare debba comprendere un aggancio con la realtà in cui si rende concreto il
curricolo progettato.
La svedese Hilda Taba (1962) propone uno schema curricolare costituito da 7 fasi. Questi primi sviluppi critici, pur
condividendo lo schema di Tyler, impostano la problematica curricolare secondo un modello di razionalità limitata: le
scelte progettuali non rispondono più a una logica di scelta ottimale nel rapporto mezzi-fini, bensì rispondono a una
logica di accettabilità. Prende corpo la riflessione su un curricolo connesso strettamente al contesto in cui viene
realizzato.
L'impostazione di Tyler darà origine alla “pedagogia per obiettivi”, filone di studi sul curricolo che mette al centro il
tema degli obiettivi, da scegliere, da raggiungere e da definire. L'illustrazione più interessante dei modelli della
pedagogia per obiettivi è quella dei Nicholls (1976), che delinea la ciclicità delle diverse fasi della progettazione
curricolare.
Frey sostiene che non si possa parlare di una vera e propria teoria del curricolo, bensì di “teorie parziali del
curricolo”. Egli propone una classificazione composta da tre filoni che delineano l’orientamento di alcuni studi sul
curricolo:
1. orientamento contenutistico → il curricolo è visto come percorso che riproduce la struttura delle discipline
all’interno del sapere umano. I saperi, considerati distinti tra loro, occupano specifiche materie di studio,
organizzate secondo la strutturazione della disciplina stessa, ricercando un equilibrio curricolare tra le diverse
componenti disciplinari. Una variante è quella a orientamento strutturalistico, le cui teorie superano i vincoli
imposti dalle delimitazioni delle discipline e propongono itinerari di insegnamento più funzionali
all'apprendimento degli allievi. L'idea di fondo di questo filone di teorie è quella secondo cui ogni disciplina ha
di per sé un proprio valore formativo: non è necessaria una mediazione didattica.
2. orientamento tassonomico → Propongono un'analisi interna del curricolo in riferimento a obiettivi, abilità
cognitive e processi di apprendimento. il punto centrale di queste teorie è l'individuazione a priori degli
obiettivi di apprendimento, da definire sulla base di un modello tassonomico dell'apprendimento punto L'idea
è quella dello sviluppo sequenziale, dal semplice al complesso. emerge la necessità del curricolo di rispettare il
naturale sviluppo cognitivo dell'allievo, proponendo un percorso di apprendimento di abilità Per gradi, dove le
conoscenze vengono via via inserite nel processo solo dopo che sono stati acquisiti tutti i prerequisiti
necessari. Gli obiettivi delle tappe del percorso sono essenziali, rispetto al quale contenuti e metodi risultano
subordinati.
3. orientamento processuale e sistemico → Il curricolo viene rappresentato come un sistema complesso. Viene
messo in evidenza il legame tra curricolo e variabili del contesto socio educativo: il contesto risulta
importante perché possono essere messi in luce, da un lato i bisogni formativi degli allievi e dall'altro lato le

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competenze di base e professionali necessarie per agire efficacemente entro tale contesto. Ciò avrà
un'influenza sulla definizione degli obiettivi curricolari e sulla progettazione dei contenuti utili al
raggiungimento degli obiettivi stessi, tenendo conto delle diversità degli allievi. Il processo di apprendimento
viene concepito come flessibile in quanto orientato al raggiungimento di traguardi comuni per tutti gli allievi,
ma anche diverso in risposta alle variabili del contesto e dei bisogni formativi che si determinano punto la
flessibilità del processo di insegnamento-apprendimento viene concepita come possibilità di previsioni del
curricolo in itinere.
Ajello e Pontecorvo propongono una quarta categoria di ricerche sul curricolo: gli studi che mettono in risalto il
legame tra curricolo e cultura di una società. Si mette in luce quanto si può socialmente determinare il modo in cui il
curricolo viene realizzato in classe e/o con studenti sociologicamente diversi.
Il dibattito sul curricolo iniziato negli USA con Tyler arriva in Europa negli anni 60 con il tedesco Robinsohn e apporta
ulteriori elementi di complessità alla tematica curricolare; emerge una visione meno rigida di applicazione dei modelli
curricolari, meno incentrata sull'importanza di definire obiettivi precisi, più attenta a considerare i problemi che
sorgono all'interno degli specifici contesti scolastici. nuovo concetto basato su un alto livello di sperimentazione e
flessibilità.

Il dibattito italiano Si diffonde a partire dalla metà degli anni 70. La legge 517 del 1977 ha una portata innovativa che
pone le basi per una progettazione curricolare e dà voce a un confronto scientifico che già da anni cercava di incidere
sulle prassi scolastiche.
 Clotilde Pontecorvo (1973) porta in Italia il dibattito internazionale sul curricolo, approfondendo gli aspetti
connessi alla psicologia dell'educazione e alle procedure sperimentali in ambito educativo. Sottolinea
l'importanza di far entrare nella scuola percorsi di ricerca che diffondano tra gli insegnanti le prassi per la
definizione degli obiettivi didattici in termini comportamentali. L'autrice afferma l'importanza di un
atteggiamento sperimentale all'interno della scuola, disponibile all'innovazione e alla verifica dei risultati.
Pensare in anticipo obiettivi e percorsi non significa predeterminare rigidamente il percorso dell' allievo, ma
dare razionalità al percorso dell'insegnante che avrà possibilità di verificare la sua didattica e apportare
cambiamenti, riprogettando in funzione delle risposte degli alunni.
 Cesare Scurati (1977) Sottolinea come un progetto curricolare debba rispondere a 4 criteri imprescindibili:
realtà (aderenti al contesto reale), razionalità (intenzionali e volte verso un’impostazione scientifico-
sperimentale), socialità (realizzate collegialmente) e pubblicità (trasparenti, comunicabili e verificabili). Questi
caratteri dovrebbero essere le prassi della programmazione scolastica. L'atteggiamento verso la
programmazione che si auspica nella scuola e dunque quello dell' apertura all'innovazione, ma anche del
rigore della ricerca. La Pontecorvo insiste molto sull'aspetto dell'Innovazione, ponendola in collegamento con
il curricolo: questo rapporto richiama quello tra teoria e prassi ed evidenzia la necessità di considerare
l'innovazione curricolare all'interno dei contesti scolastici in cui verrà realizzata.
 Maragliano e Vertecchi (1978) sottolineano L'importanza di una programmazione curricolare che si innesti
all'interno degli specifici contesti scolastici; la programmazione parte con la realizzare bisogni formativi e le
risorse disponibili in tali contesti e adotta poi soluzioni efficaci punto rispetto a queste prassi occorre dare
maggiore responsabilità agli insegnanti interessati alla crescita di una scuola democratica. La programmazione
curricolare richiede i docenti una disponibilità importante di tempo per le attività di progettazione e
valutazione. la programmazione deve essere innanzitutto un'azione collettiva, che inizia da un'analisi della
realtà scolastica e segue le fasi della programmazione per obiettivi concludendosi con la fase della
valutazione, strumento di monitoraggio del curricolo e di regolazione dell'attività scolastica. Anche qui la
programmazione è inquadrata dentro una prospettiva di ricerca e innovazione, secondo un approccio
sperimentale che individui ipotesi innovative in modo collegiale e verifichi i risultati al fine del perseguimento
di una scuola che sia democratica.
Pellerey dice che la progettazione curricolare va intesa come studio del curricolo, considerato come l'insieme delle
esperienze di apprendimento, in vista di un suo miglioramento qualitativo. Lui illustra l'elemento di sistematicità della
progettazione didattica Attraverso uno schema che rompe la sequenzialità delle fasi previste da Tyler e Taba ed
evidenzia le relazioni di reciprocità e di interdipendenza tra gli elementi del curricolo. Lo schema rappresenta la realtà
della progettazione curricolare mettendo in evidenza come tra l'analisi dei bisogni degli alunni, la definizione degli
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obiettivi, l'organizzazione dei contenuti e delle attività e la valutazione vi sia una stretta interconnessione e non una
mera sequenzialità. Anche se il curricolo rappresenta una realtà complessa, rimane la necessità di una progettazione
intenzionale e razionalmente definita a monte che sappia orientare l'attività educativa e didattica verso finalità di
promozione dell'apprendimento, ricordando la primaria e finalità della scuola: quella della crescita culturale cognitiva
degli alunni. Pellerey sottolinea l'innovatività che la programmazione curricolare porta con sé, in cui tutti gli attori del
curricolo devono essere responsabilmente consapevoli.
Negli anni ‘70 le parole chiave che emergono sono quelle di innovazione, sperimentazione, intenzionalità, collegialità.
Gli insegnanti vengono visti come protagonisti di una scuola dell’innovazione che sta ponendo le basi per un'autentica
democrazia dell'istruzione.
Dalla fine degli anni ‘80 fino agli inizi del nuovo millennio il dibattito italiano restituisce la complessità del nuovo
panorama istituzionale che investe la scuola italiana; Si avvertono gli effetti di una scuola che spesso ha rinunciato a
utilizzare la programmazione curricolare come motore per l'innovazione. Le resistenze degli insegnanti al
cambiamento si fanno evidenti, l'autonomia non decolla, si avverte la mancanza di una cultura della valutazione nelle
scuole e delle scuole, i livelli di apprendimento degli studenti evidenziano risultati preoccupanti. In questo contesto la
proposta del curricolo assume i tratti dell'utopia, nel senso di luogo desiderabile e dotato di valore verso cui svolgere
la direzione e l'impegno.
La logica della progettazione curricolare da un lato è un processo determinato in risposta ai bisogni del contesto in cui
si realizza, dall'altro si propone come esortazione al cambiamento e orientatore rispetto a prospettive di innovazione,
di qualità, di buona scuola, sia a livello di macrosistema che di micro sistema.
Le Indicazioni Nazionali per il curricolo delineano una cornice curricolare di scuola democratica e di qualità, all'interno
della quale è possibile pensare di perseguire il cambiamento, immaginando un curricolo che sia orientato verso mete
di apprendimento capaci di garantire a tutti il possesso delle abilità per la vita.

Il dibattito sul curricolo oggi Negli Stati Uniti Pinar ri-concettualizza il curricolo come una conversazione
internazionale. Secondo lui lo sviluppo della ricerca sul curricolo può essere ricondotto a tre periodi storici:
 quello delle origini e della individuazione di un paradigma per l'analisi e la costruzione dei curricoli (Bobbit e
Tyler)
 quello che dallo sviluppo dei curricoli nazionali delinea uno specifico ambito di ricerca orientato alla
comprensione e analisi dei curricoli (1969-1980 fino al 2001)
 dal 2001 fino ad oggi: si apre un dibattito più complesso sul curricolo, di matrice costruttivista che chiama in
causa il tema dell’engagement etico quale elemento chiave per conversare sul curricolo a livello
internazionale e spostare l'attenzione dalla prospettiva tradizionale Tyleriana a studi che diano voce a
prospettive diverse da quelle di cultura anglosassone.
Pinar (1975) critica il razionalismo e le posizioni positivistiche di Tyler, viste come punti di riferimento imprescindibili
per qualsiasi riflessione sul curricolo. Egli propone una ri-concettualizzazione all'interno del paradigma di riferimento
costruttivista. Si tratta di una nuova concezione di curricolo quale tema chiave del discorso educativo mondiale, da
definire in una logica nuova di confronto e negoziazione tra le visioni educative del mondo, non solo occidentale.
Emerge la necessità di conversazione internazionale, non conclusa ma in divenire. La critica di Pinar si concentra
soprattutto sulla carenza che la visione Tyleriana evidenzia rispetto a un quadro filosofico-interpretativo di riferimento
per Il curricolo: il modello di Tyler è funzionale, adeguato a raggiungimento di obiettivi comportamentali, ma è
manchevole laddove si cerchino le finalità educative nel loro complesso. Pinar si impegna a costruire una visione
valoriale del curricolo. Questo quadro fa riferimento agli studi sul curricolo e alle progettazioni di curricoli educativi
nei paesi del mondo. È intriso di valori sociali di tipo democratico e delinea un'idea di scuola che resiste a concezione
neoliberiste e di mercato dell'istruzione. È una cornice orientata a valori di collegialità e cooperazione dentro i luoghi
del curricolo e a valori di nonviolenza. Il metodo per portare avanti questi studi è quello del confronto aperto è libero
tra gli educatori del mondo, capace di spostare il baricentro geografico del dibattito dagli Stati Uniti fino agli altri
baricentri del mondo. Un confronto considerato come una conversazione internazionale tra gli educatori dei vari
continenti.
La proposta della scuola di Pinar è quella di rimettere al centro degli studi sul curricolo due elementi chiave:
 Le scelte in merito al quadro filosofico-valoriale cui fare riferimento
 L'analisi delle condizioni di fattibilità, intese come strutture di sostegno ad azioni progettuali che siano
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sostenibili e pragmaticamente orientate, aderenti ai bisogni dei contesti reali.


Pinar si concentra sul curricolo quale pratica professionale connessa al pensiero riflesso indicato da Dewey, che deve
essere orientato da valori etici: le decisioni curricolari sono giustificabili solo sulla base di un pensiero critico orientato
verso modo di essere, pragmaticamente realizzato attraverso un divenire, ovvero crescita educativa. Il curricolo è
visto come il mezzo e il fine per sviluppare in modo coinvolgente l'apprendimento dello studente. Pinar sottolinea
l'importanza della forte professionalità pedagogica di chi opera nel campo del curricolo.

Si sente la necessità di collocare le scelte progettuali dell'educazione dentro uno sfondo etico e valoriale che si
interroghi sui perché del curricolo, sul che cosa e sul come. Occorre cogliere le differenze con la prospettiva Tyleriana,
neutrale, iper-razionalista. La prospettiva costruttivista di Pinar si spinge verso un'idea di curricolo che tiene insieme la
necessità di uno sguardo locale sul curricolo, attento ai bisogni del contesto, all'analisi della cultura di quel contesto e
alla ricerca di quali siano le azioni più aderenti per lo sviluppo e l'emancipazione sociale dei soggetti inseriti. C'è la
preoccupazione per la diffusione di un ideale di educazione a livello globale per lo sviluppo di una società
democratica. In questa prospettiva il curricolo diviene oggetto di un fine di crescita dell'individuo e di trasformazione
sociale nel mondo. Entro tale prospettiva svolge un ruolo centrale l'azione dell'insegnante che si pone come attore
intellettuale e che progetta, si confronta e assume decisioni in qualità di reale professionista dell'educazione.
Quale metodo per la costruzione di un curricolo? Pinar non lascia spazio metodologico al paradigma scientifico-
sperimentale e neo-comportamentista. La proposta metodologica delineata mette in secondo piano la progettazione
del curricolo quale procedura per la definizione di obiettivi e il controllo del loro raggiungimento; il curricolo è in
equilibrio tra una progettazione situata all’interno dei contesti educativi e una progettazione impegnata in un
processo di conversazione internazionale. La proposta è pertanto quella di un’internazionalizzazione degli studi sul
curricolo. Si delinea un curricolo che prende forma nel dialogo, che è in movimento e non definisce strutture rigide.
Anche qui determinante il ruolo dell’insegnante.

CAPITOLO 2. PROGETTAZIONE E VALUTAZIONE NEL DIBATTITO LEGISLATIVO: QUALI SPAZI PER LA


QUALITA’ E L’EQUITA’ NELLA SCUOLA ITALIANA?
Il dibattito normativo sulla programmazione scolastica in Italia ha origine negli anni ‘70, in un periodo di slancio verso
la realizzazione di un’azione educativa e didattica più consapevole, maggiormente rivolta a trovare soluzioni per
garantire il successo di tutti gli allievi. Dopo la nascita della scuola media unica nel 1962, appaiono alcuni riferimenti
legislativi che costituiranno le premesse fondamentali per la pratica della programmazione nei vari livelli scolastici.
➔1971: introduzione del tempo pieno e contitolarità di 2 insegnanti nella stessa classe. La legge apre maggiori
possibilità di confronto tra insegnanti: si sottolinea la necessità di collegialità da realizzarsi nei fatti, al fine di
organizzare con intenzionalità condivisa gli interventi formativi. ll tempo pieno non ha goduto solo di consensi, ma si
sono presentate anche resistenza da parte di insegnanti timorosi del “nuovo”.

Il debutto della programmazione nella scuola italiana 1974-1977: introduzione della programmazione scolastica nella
scuola italiana, con 2 provvedimenti legislativi che ne definiscono condizioni di realizzazione e funzioni.
1. Decreto Presidenziale n°416 del 1974. Dà voce nella scuola agli ideali democratici e progressisti derivati dai
fermenti innovativi del ‘68; contengono disposizioni sullo stato giuridico degli insegnanti, sulla
sperimentazione e ricerca educativa. L’insegnante viene caratterizzato come professionista all’interno di una
comunità professionale che agisce collegialmente, che agisce in risposta ai bisogni degli alunni. Vengono
istituiti il COLLEGIO DEI DOCENTI e il CONSIGLIO DI INTERCLASSE: ad essi viene affidata la programmazione
dell’azione educativa e didattica. Il funzionamento della scuola viene definito sempre più in termini
collaborativi e democratici e si creano le basi per la realizzazione di prassi di programmazione. Gli insegnanti
sono chiamati a utilizzare la prassi progettuale per calare le linee programmatiche nazionali all’interno dei
contesti locali definendo obiettivi specifici, metodologie didattiche, modalità di valutazione a partire da
un’analisi dei contesti. Si sottolinea l’importanza della valutazione periodica ai fini del miglioramento
dell’offerta formativa della scuola. Si prefigurano le questioni sulla progettazione e la valutazione come
strumenti per una scuola di qualità.
2. Legge n°517 del 1977, rivolta alla scuola elementare e media. Questa legge rinnova profondamente la
struttura della scuola di base, introducendo cambiamenti:
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➢ la progettazione educativa e didattica quale funzione fondamentale della


professionalità docente
➢ l’osservazione sistematica degli alunni e la valutazione periodica dell’apprendimento
➢ l’introduzione della scheda personale dell’alunno
➢ il lavoro in equipe fra insegnanti per la programmazione di interventi educativi
➢ la soppressione delle classi differenziali.
Il richiamo alla progettazione di interventi individualizzati, all’attenzione per le esigenze dei singoli allievi e dunque
all’intenzionalità educativa e didattica è fortemente evidente.
Si precisa la finalità democratica della scuola di base e il dovere della scuola di assumersi la responsabilità, dal punto
di vista didattico, di assicurare a tutti gli alunni la piena formazione. Le prassi del programmare e valutare sono viste in
stretta relazione l’una con l’altra. Inoltre, viene delineata la distinzione tra progettazione educativa e programmazione
didattica. Si trattava dunque di rispondere al principio democratico di elevare il livello di educazione di ciascun
cittadino attraverso un modo di fare scuola attento alle esigenze educative dei diversi alunni, capace di integrare le
diversità, competente nel realizzare una didattica individualizzata, finalizzato a dare a tutti le competenze del buon
cittadino, mediante un insegnamento di autentica professionalità educativa e didattica e che si sostanzia della
collegialità. Nella parte terza del decreto del 1979 vengono evidenziate le specifiche fasi che devono essere compiute
nell'ambito della progettazione collegiale, ispirandosi pienamente al criterio della programmazione curricolare. La
circolare ministeriale del 1982 propone un modello di programmazione per obiettivi, che sappia partire dall'analisi dei
bisogni educativi dei bambini e che tenga conto di un carattere dinamico è flessibile della programmazione, in ragione
di una corretta applicazione delle modalità di verifica e valutazione.

La maturità della programmazione scolastica: dagli anni ‘80 al ’91 Dopo l’effervescenza degli anni ‘70, si tratta di
portare a regime le indicazioni della legge 517/77. Le normative che seguono risultano attualmente superate da nuovi
provvedimenti, ma mantengono un valore di rilievo nel dibattito politico-istituzionale sul rinnovamento della scuola. 3
sono le normative che porteranno a compimento il percorso di una progettazione educativa e didattica capace di
costituire l’elemento propulsore per la qualità della scuola pubblica.
 DPR 1985 → viene affrontato il rapporto fra programma e programmazione, sottolineando come il docente
costituisca il fulcro di una organizzazione didattica intenzionalmente orientata al raggiungimento degli
obiettivi previsti a partire da un’attenta analisi delle condizioni di partenza degli alunni. Il principio guida è
quello del rispetto della diversità e dell’uguaglianza, secondo una prospettiva che mira ad assicurare a tutti gli
alunni il conseguimento delle attività di base, pur nel rispetto delle attitudini di ognuno. Si sottolinea il valore
determinante della programmazione didattica e il ruolo dell’insegnante nella scelta consapevole del metodo
didattico. Vengono incoraggiate le prassi collegiali della programmazione e della valutazione, vista come
strumento di regolazione continua della programmazione stessa.
 Legge 148/1990 → Le indicazioni sulla programmazione delle azioni educative didattiche trovano piena
realizzazione nella scuola primaria. La nuova organizzazione curricolare per moduli e la sostituzione
dell'insegnante unico con il gruppo di 3 docenti su 2 classi costituiscono la nuova cornice entro cui viene
rilasciata la prassi di una programmazione di carattere collegiale. La collegialità e la corresponsabilità delle
scelte educative e didattiche divengono elementi sostanziali di una programmazione che costituisce il motore
dell' organizzazione scolastica. La ristrutturazione dell'orario settimanale del docente va nella direzione di una
irrinunciabilità della funzione progettuale nella professionalità di ciascun insegnante. La CM del ‘91 prospetta
un modo non tradizionale di fare scuola, dove gli insegnanti sono esortati a usare al meglio e con creatività
tempi, spazi e metodologie.
 DM 1991 → riguarda la scuola dell’infanzia. Si evidenzia come questa scuola faccia parte a pieno titolo di un
percorso curricolare orientato verso finalità di promozione democratica della crescita e dello sviluppo delle
competenze di tutti gli alunni. Si propone un vero e proprio “programma nazionale”, dove vengono definite le
finalità, gli apprendimenti fondamentali per gli alunni, i criteri metodologici e didattici delle attività educative.
Le singole programmazioni dovranno poi essere contestualizzate in base alle specifiche esigenze educative e
di apprendimento dei bambini. Si evidenzia inoltre la necessità di pensare a una piena e matura
professionalità dell’insegnante. Si conclude così il periodo fiorente di revisione dei programmi e degli
ordinamenti dei segmenti della scuola italiana di base.
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Il dibattito sull’autonomia scolastica Con la legge Bassanini del ‘97 viene concessa l’autonomia organizzativa,
gestionale, didattica di ricerca, alle scuole statali di ogni ordine e grado. Essa offre uno scenario di particolare
interesse per definire le prassi della progettazione educativa nella scuola dell’autonomia e il ruolo professionale svolto
dai docenti che hanno la responsabilità della progettazione e dell’attuazione del percorso di insegnamento e di
apprendimento. Viene messa in evidenza la responsabilità progettuale del Collegio dei docenti per la definizione di un
Piano dell’Offerta Formativa (POF). Molti degli scenari aperti dall’autonomia non si sono pienamente realizzati nelle
scuole italiane.

Due sono le criticità che rappresentano vincoli e opportunità per la scuola dell’innovazione:
 l’importanza di non lasciare sole le scuole nella progettazione delle scelte curricolari. Senza chiari riferimenti a
livello nazionale, la scuola autonoma manca degli strumenti fondamentali per un’effettiva programmazione
curricolare che porti a risultati di qualità per tutti gli studenti. Essenziale è l’introduzione di forme di
valutazione e autovalutazione.
 la necessità di non lasciare soli gli insegnanti nella realizzazione di una riforma così importante.
È evidente l’urgenza di progettare adeguate iniziative di formazione e aggiornamento costante per gli insegnanti.

Il nuovo millennio e l’allontanamento da un’idea di equità scolastica Ancora oggi la scuola italiana fatica nel
perseguire un nuovo modo di fare scuola, che sappia contemplare responsabilità progettuale dei singoli istituti e
garanzia di qualità dell’offerta formativa su tutto il territorio nazionale.
 RIFORMA MORATTI (2003) → apre il sipario su un modo diverso di intendere la scuola italiana, distante dai
valori pedagogici che avevano caratterizzato le indicazioni legislative degli anni ‘70-’80. La legge sottolinea
l’importanza della personalizzazione a discapito dell’individualizzazione: mette quindi l’accento sul diritto alla
diversità degli alunni ed elabora un’azione didattica finalizzata allo sviluppo di attitudini già presenti negli
alunni, a discapito del raggiungimento delle competenze di base per ciascun bambino. Inoltre, riformula la
denominazione delle Unità Didattiche in Unità di Apprendimento: la responsabilità cade tutta sullo studente
che apprende e non sull’insegnante; ci sono obiettivi formativi (non declinati in termini specifici) che portano
a ragionare per “prodotti finali”, screditando la valutazione formativa.
 INDICAZIONI PER IL CURRICOLO (2007) → Il Ministro Fioroni riposiziona la scuola all’interno delle principali
finalità di una istituzione pubblica orientata alla promozione democratica del sapere. Diventa quella cornice
istituzionale di riferimento nazionale a partire dalla quale ciascuna scuola, nel pieno esercizio dell’autonomia
educativa, progettuale e di ricerca e sviluppo, può declinare un’ offerta formativa specificatamente orientata
a soddisfare i bisogni educativi della propria utenza e adattarsi alla domanda formativa locale. Le Indicazioni
Nazionali forniscono quei traguardi formativi generali e quegli obiettivi formativi per disciplina imprescindibili
a partire dai quali si possono, in autonomia, declinare gli obiettivi specifici. È all’interno della cornice
istituzionale delle Indicazioni Nazionali che le scuole orientano il proprio agire organizzativo e progettuale
didattico a livello di progettazione educativa e programmazione didattica. Pur essendoci uguali obiettivi
generali per tutti, ciascuna scuola può offrire PTOF e curricoli diversi.
 DL 137/2008 → fatica a trovare una collocazione coerente nell' insieme delle normative precedenti. prevede
la riduzione del tempo scuola per gli alunni, la valutazione in decimi e l'insegnante unico nella scuola primaria.
Questo decreto prospettò una scuola dalle caratteristiche tradizionali, lontana dalle innovazioni che le
ricerche empiriche nazionali e internazionali sulla qualità dell'istruzione richiederebbero.
 2012 → segue una versione aggiornata delle Indicazioni Nazionali per Il curricolo. Vi è un richiamo più
marcato alle competenze chiave di cittadinanza; la definizione di un profilo di competenze nel passaggio dalla
scuola dell'infanzia alla scuola primaria; un arricchimento degli obiettivi di apprendimento e dei traguardi di
competenza nei campi di esperienza e nelle discipline.
 LEGGE DELLA BUONA SCUOLA (2015) → sembra affrontare annose problematiche della scuola italiana, come
l’assunzione di insegnanti per contrastare il precariato, la formazione dei docenti in servizio, l’assunzione di
docenti di potenziamento, l’introduzione di un piano di edilizia scolastica e dell’alternanza scuola-lavoro.
D’altra parte, la legge attribuisce al dirigente scolastico più potere per promuovere il merito: in questo modo
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si innestano dinamiche divisive. L’ex POF diventa PTOF.


 LINEE GUIDA SULLA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE (2015) → da non considerare come l’ennesimo
documento finale che accompagna la scheda di valutazione, bensì una prospettiva teorico-pratica per tutto il
processo di insegnamento-apprendimento, da progettare in modo intenzionale. Si richiama l’attenzione sul
nuovo costrutto della competenza, suggerendo di utilizzare gli apprendimenti acquisiti nell’ambito delle
singole discipline all’interno di un più globale processo di crescita individuale.
 2018 → rilettura delle Indicazioni nazionali emanate nel 2012.

CAPITOLO 3
In questo capitolo si entra nel merito delle principali azioni che possono essere messe in campo dagli insegnanti per
progettare programmare le attività didattiche. Alcuni dispositivi messi appunto dalle liste però, negli ultimi vent’anni,
per accompagnare le scuole della costruzione delle proprie progettazioni educative e didattiche, nella definizione dei
momenti di valutazione e di autovalutazione e delle scelte strategiche finalizzate a promuovere la qualità della
proposta formativa, curricolare e didattica di ogni scuola. In questa direzione saranno presentati il piano triennale
dell’offerta formativa, il rapporto di autovalutazione e il piano di miglioramento.
Il curricolo deve essere progettato a diversi livelli. Il primo livello è quello della definizione del piano dell’offerta
formativa, esso rappresenta il documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale delle
istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extra curricolare, educativa e organizzativa che le
singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia. Esso definisce tutti gli aspetti: a partire da finalità e obiettivi
educativi, proseguendo con le modalità relazionali, culturali, organizzative con cui la scuola svolge le sue attività
formative, fino ad arrivare ai criteri e alle modalità di valutazione e autovalutazione delle stesse. All’interno del piano
possono inoltre essere comprese le progettazioni specifiche relative alle attività di aggiornamento, di ricerca e
sperimentazione. Ciò comporta una competenza progettuale complessa da parte della scuola che non solo si
preoccupa di esplicitare le intenzionalità educativa e didattica, ma si impegna anche sul fronte dell’innovazione della
ricerca, progettando con razionalità tutti gli aspetti che contribuiranno a qualificare sempre più l’offerta educativa e la
didattica stessa.
Il secondo livello più specifico di progettazione del curricolo è invece quello della programmazione didattica, o meglio:
delle programmazioni didattiche. Il termine più appropriato è certamente quello di programmazione che si riferisce a
un’azione di anticipazione di obiettivi di apprendimento ben determinati. Si tratta dunque del livello progettuale in cui
vengono definiti gli obiettivi specifici delle diverse attività didattiche messe in atto e, in relazione a esse, vengono
definiti non solo contenuti e metodologie, ma tutte le condizioni che andranno a connotare l’intero processo di
insegnamento- apprendimento preso in esame.
La programmazione ha un forte carattere di dinamicità e di molteplicità di percorsi, in quanto:
 Deve preventivare molteplici riprogettazioni in itinere
 Ogni gruppo classe parteciperà più percorsi progettuali (individualizzati, personalizzati, mono disciplinari,
eccetera)
 Ogni allievo parteciperà a più gruppi di riferimento ai quali saranno rivolte differenti progettazioni.
Le programmazioni didattiche non possono che di scendere dal livello più generale di progettazione definito dal POF:
punto di riferimento costante che si propone come orientamento per tutte le altre progettazioni più specifiche.
Il POF garantisce a ciascun insegnante comunità scolastica, qual è la piattaforma di valori e di significati condivisi da
coloro -i docenti- che hanno la responsabilità educativa e didattica nella scuola.
Qualsiasi programmazione che voglia porsi nella direzione dell’intenzionalità educativa deve preoccuparsi di
prefigurare in anticipo gli obiettivi da raggiungere. I valori dell’educazione servono a chiarirci che cosa intendiamo per
buona scuola e ci disegnano un orizzonte verso il quale ci appare giusto e adeguato procedere con le nostre azioni di
insegnamento. Diviene dunque necessario esplicitare le finalità educative della scuola, cioè le direzioni di senso delle
sue azioni progettuali. Le finalità educative della scuola devono sempre essere rintracciate nei documenti
programmatici nazionali, in quanto si presuppone che essi siano il risultato di un dibattito democratico della società
civile e politica aperto anche a distanza europei e internazionali. Le indicazioni legislative e normative e le indicazioni
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programmatiche ministeriali disegnano per ciascun livello di scuola il quadro di riferimento nazionale, ne definiscono
la struttura istituzionale fondamentale, ne delineano le principali maggiormente condivise finalità socioeducative.
Ciascuna istituzione scolastica, nella sua autonomia è chiamato a conoscere e a discutere tali finalità generali.
A una scuola autonoma, infatti, non si chiede di definire i suoi valori e fini educativi generali bensì essa il compito di
prendere piena consapevolezza degli orientamenti definiti a livello nazionali, di farli propri e agirli da protagonista nei
contesti specifici. Non si tratta solo di far discendere obiettivi educativi dalle finalità istituzionali dichiarate nei
documenti programmatici, ma di leggere tali finalità attivando processi di riflessione filosofica, sociologica e
psicologica che aiutino gli insegnanti a definire la loro idea di scuola per una società democratica.
La presa di consapevolezza delle finalità della scuola da parte degli insegnanti e la definizione degli obiettivi educativi
sono dunque operazioni che chiamano in causa dei procedimenti complessi che richiedono di tener conto da una
parte quale idea di scuola e di alunno si desidera perseguire, e dall’altro quali sono le condizioni di partenza nello
specifico contesto in cui si opera; in particolare quali sono i bisogni educativi degli alunni.

Si tratta in poche parole della terza via indicata da Pellerey Per la progettazione educativa che, da una parte, si
propone di identificare, in termini valoriali, la situazione educativa desiderata e dall’altra parte, si propone di rilevare
in modo valido e attendibile le caratteristiche della situazione educativa allo stato presente. La terza via mira, dunque,
a trovare una vera e propria via di mezzo tra metodo ascendente, che parte da un’analisi della situazione di partenza
per poi arrivare a una serie di bisogni formativi e in funzione di questo identifica gli obiettivi da poter perseguire, e
metodo discendente che individua i bisogni formativi degli alunni. Si tratta di una via mediana in quanto percorrerla
significa porsi nella prospettiva di una continua ricerca di equilibrio tra situazione ideale da raggiungere e situazione
reale da assumere come punto di partenza per le azioni educative. Ghelfi e guerra e parlano a questo proposito di un
modello curricolare della progettazione educativa. Tale modello curricolare detto anche pedagogico indica
l’evoluzione di altri due modelli:
 Il primo preso in esame è quello cosiddetto burocratico, attento a una visione della progettazione come
strumento fondamentale per dare consistenza all’intenzionalità educativa e formativa degli insegnanti
 Il secondo modello è quello funzionale, attento a una prassi progettuale che sia garanzia di una buona
organizzazione scolastica.
In entrambi i casi, il punto di debolezza è costituito dal perdere di vista la motivazione intrinseca di un’autentica
progettazione curricolare. Dinanzi al mercato globale che richiede sempre più professionalità qualificate è un sistema
economico dove sono richieste solo vasti percentuale di lavoratori con livelli bassi di scolarizzazione, la sfida europea
dell’innalzamento dell’istruzione in tutti i paesi si pone come urgente e non più procrastinabile. La finalità ultima è
quella di avere giovani con livelli elevati di competenza negli ambiti chiave per esercitare il diritto alla cittadinanza.
Otto sono le competenze chiave che vengono definite all’interno del documento europeo e che sono relative ai
seguenti ambiti:
1. Comunicazione nella lingua madre
2. Comunicazione in lingua straniera
3. Competenza matematica e competenze di base in scienza e
4. Competenza digitale
5. Imparare a imparare
6. Competenze sociali e civiche
7. Spirito di iniziativa
8. consapevolezza ed espressione culturale
È facile osservare come gli ambiti di competenza si pongano come richieste urgenti anche per il nostro sistema
scolastico italiano il quale si trova di fronte a quella che l’OCSE individua come la sfida dell’equità, equità intesa come
qualità intrinseca di un sistema di istruzione democratico capace di garantire a tutti elevate competenze. L’unitarietà
del sistema e degli obiettivi da raggiungere costituiscono aspetti imprescindibili di una scuola che sa assumersi la
propria responsabilità.
I dati recenti dell’OCSE-Pisa hanno evidenziato che, soprattutto in paesi come l’Italia, gli studenti appartenenti ad
ambienti socioeconomici difficili non ricevono le stesse opportunità scolastiche che ricevono quelli che provengono da
famiglie appartenenti al ceto medio alto.
La riforma Moratti ha introdotto in modo unilaterale nei curricoli scolastici un’idea di forte personalizzazione, che
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valorizza da enfasi a un diritto alla diversità che non può non essere bilanciato da ideali e finalità altrettanto forti
connesse al diritto all’uguaglianza. Il diritto alla diversità se da un lato evidenzia la necessità di garantire a ciascun
bambino la valorizzazione delle sue attitudini personali dall’altro lato porta con sé il pericolo di una completa
deresponsabilizzazione della scuola nei confronti dell’impegno nella didattica. (Quella che dovrebbe cambiare in base
alle esigenze formative di tutti).
La prospettiva curricolare disegnata dalle indicazioni nazionali del 2007 per la scuola dell’infanzia il primo ciclo di
istruzione è dunque quella di un percorso formativo coerente che inizia con l’accesso del bambino alla scuola
dell’infanzia e procede fino a raggiungimento delle competenze definite chiave per garantire il diritto alla cittadinanza
attiva. Solo l’avere mette chiare e trasparenti permette di creare una società che vuole essere democratica virgola e
importante, dunque, che i traguardi formativi siano chiari In modo da poter riflettere i termini di condivisione di
finalità e valori e la funzione pubblica all'interno della società della scuola.
Nel panorama attuale appare indispensabile pensare un curricolo di base che va dall’ingresso nella scuola dell’infanzia
al termine del primo biennio secondario di secondo grado, capace di costruire quelle competenze basilari atte
garantire il diritto all’uguaglianza tutti gli alunni.

L’autonomia delle istituzioni scolastiche permette la libertà di insegnamento e il pluralismo culturale si concretizza
con la progettazione e la realizzazione di interventi educativi volte lo sviluppo della persona umana in base alla
domanda delle famiglie e alle caratteristiche dei soggetti coinvolti. Per ciascuna scuola e per ciascun collegio docenti si
devono identificare le modalità a essi più consone per progettare il proprio curricolo locale; le opportunità di scelta
che il regolamento sull’autonomia lascia sono notevoli e riguardano tre ambiti:
 L’autonomia didattica
 L’autonomia organizzati
 L’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo
Per quanto concerne i primi due ambiti, quello dinamico organizzativo, è importante riflettere sull’importanza della
correlazione che li unisce. Si può chiaramente osservare che l’istituzione dell’autonomia scolastica lascia nelle mani di
insegnanti e dirigenti ogni forma organizzativa didattica che sia coerente con tali obiettivi.
Sul piano della didattica, si sottolinea che al fine del successo formativo degli alunni si possono adottare tutte le forme
di flessibilità che si ritengono opportune e così accade anche per la scelta di qualsiasi modalità organizzativa. nella
cornice dell’autonomia, lo spazio per l’individuazione creativa di scelte organizzative diverso dall’usuale molto ampio,
ad esempio: didattica per classi aperte, costituzione di gruppi di livello tra classi diverse per il recupero di alunni con
difficoltà in alcune materie, flessibilità dell’orario settimanale in funzione delle esigenze delle singole discipline
eccetera. Queste sono solo alcune delle opportunità che l’autonomia organizzativa offre. L’autonomia organizzativa
dovrebbe essere sfruttata per individuare tutti gli spazi possibili per creare situazioni periodiche di progettazione
collegiale fra gli insegnanti.
Solo offrendo ai docenti le condizioni spazio-temporali più opportune per progettare costantemente la didattica è
infatti possibile immaginare un futuro di novazione per la scuola. La dimensione collegiale del confronto e della
progettazione didattica e oggi certamente è un forte punto di criticità per la scuola italiana, soprattutto per quanto
riguarda la scuola secondaria. Sulla individuazione di spazi di effettivo riconoscimento della professionalità docente
che ciascuna scuola deve puntare, e tale professionalità si manifesta nella progettazione della didattica, nei momenti
in cui si riflette sulla didattica, per valutarla, aggiustarla e rinnovarla. Si tratta di trovare momenti comuni, dove gruppi
più o meno grandi di insegnanti si possono incontrare e confrontare.
Si evidenzia l’importanza di impegnare la scuola nel terzo ambito dell’autonomia, quello relativo ai percorsi di ricerca,
sperimentazione e sviluppo. Il principale oggetto su cui deve essere esercitato l’atteggiamento di ricerca
dell’insegnante è quello della progettazione: verificare e valutare con sistematicità la progettazione educativa di una
scuola costituisce il percorso di ricerca per eccellenza che gli insegnanti possono realizzare. Occorre riflettere anche
sull’importanza di collocare l’idea di ricerca, sperimentazione e sviluppo, Non legato ad attività straordinarie
sporadiche ma all’interno delle principali attività quotidiane del fare scuola : la progettazione educativa, la
programmazione didattica e la loro realizzazione all’interno delle varie situazioni educative e formative. È proprio
nell’ambito di questa attività professionale che gli insegnanti dovrebbero considerare l’importanza di prassi serie e
rigorosi di osservazione, analisi dei dati, valutazione e riflessione, dando alla programmazione scolastica quel
carattere di dinamicità. Tali prassi di ricerca valutativa costituiscono un’importante opportunità per realizzare
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l’autovalutazione nella scuola dell’autonomia; occorre sottolineare che non è facile immaginare di realizzare tale
autovalutazione senza un supporto dall’esterno (Orientamenti teorici, modelli di riferimento, tecniche).
L’autovalutazione deve essere supportata a livello istituzionale da un sistema di valutazione centrale, ruolo che
compete all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione: INVALSI.
È importante esista un punto di riferimento esterno capace di porsi come uno sguardo che controlla che i processi
formativi procedano nella giusta direzione. L’autonomia della scuola deve coniugarsi con la consapevolezza dei limiti
in cui va inquadrata e mantenuta.
Oggi l’INVALSI ha il compito di promuovere sostenere la valutazione della qualità dell’istruzione in tutte le sue diverse
funzioni che si possono esprimere sia all’interno di situazioni macro, sia all’interno di situazioni micro, sia sollecitando
prassi di valutazione e autovalutazione all’interno delle scuole, sia proponendo dall’esterno rilevazioni campionarie di
monitoraggio dei processi e dei risultati dell’intero sistema scolastico. Dentro le singole scuole è opportuno che si
creino condizioni per mettere in atto strategie di autovalutazione, promuovendo incontri collegiali tra gli insegnanti
per la rilettura e l’analisi del piano dell’offerta formativa, mettendo a punto strumenti per rilevare la qualità educativa
e didattica dell’Istituto percepita dagli studenti, dei genitori, dagli stessi insegnanti.
Questa opportunità di ricerca a livello micro è importante in quanto permettono di non dimenticare che qualsiasi atto
valutativo auto valutativo deve essere contestualizzato per rispondere alle esigenze effettive locali.
È sorta la problematica secondo cui c'è necessità di stabilire standard per poter verificare con un’ottica esterna la
qualità dei sistemi formativi. tra gli indicatori di qualità uno dei più importanti sono i livelli di competenza raggiunti dai
bambini.
Lo strumento del PTOF per una progettazione educativa di qualità Il piano triennale dell’offerta formativa costituisce
l’elemento centrale di tutta la progettazione educativa di un istituto scolastico: raccoglie l’intenzionalità progettuale
del collegio docenti e costituisce un punto di riferimento fondamentale per l’orientamento di ogni prassi educative
didattica all’interno della scuola. Nella sua valenza triennale costituisce anche l’occasione per gli insegnanti di
riflettere sulla realizzazione del curricolo e valutare la distanza tra curricolo teorico e curricolo messo in pratica, al fine
di adottare opportune strategie di miglioramento.
Questo documento possiamo dire che abbia una effettiva valenza politico-istituzionale all’interno della scuola, le
intenzioni progettuali che in esso vengono esplicitate costituiscono infatti un impegno una responsabilità che la scuola
si assume nei confronti della comunità sociale a cui si rivolge sul territorio.
Il PTOF rappresenta il principale documento progettuale di una scuola; esso comprende e rende esplicite tutte le
scelte di progettazione educativa effettuate dal collegio docenti. Con il PTOF la scuola si presenta:
 Ai propri operatori: insegnanti, dirigenti…
 Alla propria utenza: alunni e famiglie
 Al territorio
Come servizio che si prende cura del bisogno di educazione e formazione espresso dal contesto territoriale e si
assume l’impegno di mantener fede alle proprie intenzionalità progettuali. Il PTOF presuppone una progettazione
collegiale è una partecipazione allargata. Come già detto questo documento viene redatto dal collegio docenti che,
dopo aver condiviso le scelte educative con le altre componenti degli organi collegiali dunque, famiglie, enti locali
eccetera, trova le modalità tecnico-organizzative e il registro comunicativo più adatto per esprimerle in modo chiaro
in un documento scritto.
La dimensione della collegialità nella costruzione del PTOF è dunque una componente irrinunciabile. In fase di
elaborazione iniziale del documento la scuola deve, da un lato porsi in ascolto delle proposte dei pareri formulati dagli
organismi e dalle associazioni anche di fatto dei genitori e, dall’altro, creare momenti di incontro e discussione tra
insegnanti. In seguito, durante l’elaborazione del documento un gruppo di insegnanti (Rappresentanti dei diversi
ambiti del azione educativa della scuola) realizza completamente la stesura del PTOF attraverso un lavoro
collaborativo e negoziando le scelte più importanti.
Il documento ipotetico deve essere sottoposto prima a ciascun membro e poi all’intero collegio docenti. Il quale deve
discuterlo, eventualmente criticarlo prendendo in esame le proposte di modifica dei colleghi, fino ad arrivare a una
stesura definitiva e condivisa.
Tale documento è pubblico, ha valenza triennale Ma può essere rivisto annualmente e deve essere presente presso la
segreteria didattica della scuola fin dall’inizio dell’anno e può essere consultato da chiunque lo richieda. Il PTOF
richiede e sollecita la valutazione/autovalutazione della qualità all’interno della scuola Come si è visto, l’attivazione di
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modalità collegiali per l’elaborazione del piano facilita la diffusione di un atteggiamento di disponibilità e
partecipazione a momenti di valutazione e autovalutazione atti a verificare la distanza tra il curricolo che si va
realizzando e l’intenzionalità progettuale indicate nel PTOF. Quest’ultimo costituisce infatti il punto di riferimento
fondamentale nei momenti di autovalutazione della qualità che il collegio docente è chiamato a promuovere
all’interno della scuola. Le riflessioni sui punti di forza e di criticità del PTOF e della sua realizzazione nel contesto
scolastico costituiscono la base per la revisione annuale e, ovviamente, triennale del PTOF.
Possiamo sintetizzare quattro tappe nell’elaborazione del documento, il PTOF
 analizza e descrive il contesto educativo di riferimento in cui la scuola svolge la sua azione formativa
 propone lo sfondo delle finalità educative generali della scuola
 delinea i modelli di azione che intende utilizzare per perseguire le finalità educative individuate
 evidenzia le modalità con cui collegio docenti, insieme alle altre componenti degli organi collegiali,
verificherà e valuterà la realizzazione sul campo della proposta progettuale
L’analisi del contesto educativo territoriale dovrà essere svolta con cura e sistematicità, in ragione di questo, sarà
dunque importante analizzare il contesto socioculturale e socioeconomico di provenienza degli alunni e le loro
caratteristiche cognitive e socioaffettive. Conoscere tale contesto di provenienza degli alunni aiuta a comprendere i
vissuti di apprendimento, Gli stimoli culturali di cui possono usufruire in modo da orientare di conseguenza l'offerta
formativa rispetto alle risorse e agli ostacoli presenti appunto bisogna anche conoscere gli interessi e le motivazioni in
modo tale da arrivare a comprendere gli stili cognitivi e calibrare fin da subito le proposte educative e didattiche.
Le risorse e i vincoli presenti all’interno della scuola. Ciò al fine di valutare il contesto il clima sociale presente
all’interno dell’istituto; le risorse umane disponibili in termini di professionalità e competenze ma anche strumenti
disponibili in termini di spazi, materiali. Si tratta, come afferma Lastrucci, di analizzare le variabili di sfondo, relative
all’ambiente extra scolastico nel quale gli alunni sono inseriti e le variabili di contesto che dipendono dalla funzionalità
gestionale organizzativa della scuola. Tale analisi può essere condotta attraverso l’utilizzo di griglie e di questionari
utili a rilevare informazioni sul contesto territoriale sulle risorse scolastiche presenti. Le finalità educative del PTOF
dovranno essere definite a partire da una riflessione sui paradigmi teorico-pedagogici considerati come valori di
riferimento per tutti gli insegnanti. Le finalità dovranno essere definite in relazione alle mete educative da far
perseguire agli alunni; in secondo luogo potranno essere definite finalità in relazione alla cura educativa e formativa
delle famiglie; infine potranno essere definite finalità relativamente alla promozione della cultura e dell’educazione
sul territorio. I mezzi per il perseguimento delle finalità educative comprendono tutte le azioni che la scuola adotta
allo scopo di creare un contesto di istituto che faciliti il più possibile la crescita di tutti gli alunni in termini di
acquisizione di competenze. La prima finalità da perseguire è quella di garantire a tutti gli alunni una solida
formazione di base; dunque, le azioni che la scuola mette in atto nell’ambito della progettazione educativa devono
avere questa finalità come principale bussola di orientamento. Ghelfi e guerra indicano tre dimensioni strutturali della
progettazione educativa:
 la dimensione sociale Tale dimensione concerne le scelte che la scuola fa in merito a come gestire
promuovere le relazioni interne alla scuola stessa. Occorrerà in questo ambito individuare modalità operative
condivise per assicurare un buon funzionamento degli organi collegiali affinché la gestione sociale sia
garantita all’interno della scuola e tutte le componenti (insegnanti, dirigente, genitore, personale
amministrativo, enti locali) si sentano protagonisti attivi. La valorizzazione della professionalità degli
insegnanti si inserisce a pieno titolo in questa dimensione; l’idea di fondo è che ciascun docente portatore di
professionalità e di alcune competenze specifiche. Il clima socio-relazionale nella comunità degli insegnanti è
un aspetto fondamentale, ed è importante discutere sulle modalità e le regole più opportune da adottare per
promuovere un buon clima sociale tra tutte le componenti della scuola: tra alunni, tra insegnanti e alunni, tra
personale docente e non docente tra insegnanti e dirigente. Attenzione particolare va data ai rapporti tra
scuole famiglia, rapporti importanti ai fini di un buon contesto di apprendimento per i bambini, ma anche
tanto delicati. Spesso le competenze degli insegnanti su questo versante sono molto carenti e
frequentemente i genitori vengono percepiti più come un ostacolo. Infine, occorre sottolineare che le scelte
connesse alla dimensione sociale devono interrogare gli insegnanti in merito a come accogliere e integrare le
diversità degli alunni, diversità che in alcuni casi potranno essere speciali (DSA, disabilità, alunni stranieri ecc.)
ma sempre da considerare nella prospettiva dell’inclusione.

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 la dimensione politico culturale Questa seconda dimensione chiama in causa le scelte operative che il collegio
docenti adottare l’azione rapporti della scuola con l’esterno. La conoscenza da parte dell’istituto scolastico
delle risorse territoriali costituisce un primo aspetto da curare con sistematicità, diviene essenziale assumere
decisioni in merito a come progettare la continuità orizzontale senza lasciare al caso la realizzazione di
specifici progetti locali di intervento formativo, anzi scegliendo le collegandoli con la programmazione
curricolare. Un secondo aspetto di questa dimensione riguarda le scelte relative alla continuità verticale,
finalizzata alla progettazione di un curricolo che coinvolga ordini diversi di scuola. L’idea della continuità non
risponde alla semplice necessità di eliminare i passaggi bruschi tra un livello scolastico e l’altro, ma propone in
modo più problematico il tema della continuità o discontinuità come esigenza di progettazione curricolare
verticale, attenta definire obiettivi a lungo termine, capaci di porsi come mete da perseguire attraverso una
costruzione progressiva di competenze che impegna gli insegnanti a partire dalla scuola dell’infanzia fino a
quando viene conclusa la formazione scolastica obbligatoria. Un altro aspetto che riguarda questa dimensione
è quello della documentazione educativa e didattica. All’interno della scuola, la documentazione consente agli
insegnanti di conoscersi reciprocamente e quindi di confrontarsi e scambiarsi informazioni. All’esterno
dell’istituto, la documentazione svolge poi varie importanti funzioni: da strumento di dialogo e confronto con
i genitori, a mediatore per la diffusione della cultura pedagogica all’interno del territorio. Infine, la
documentazione viene vista come una metodologia sistematica per rivolgersi all’istituzione pubblica regionale
al fine di rendere trasparente la propria azione educativa e formativa e di entrare a far parte di eventuali
procedure di accreditamento. In ultimo questa dimensione comprende anche la necessità di assumere
decisioni in merito alla pianificazione di eventuali progetti di ricerca e sperimentazione. Il fare ricerca nella
scuola costituisce un atteggiamento caratteristico della professionalità dell’insegnante, il quale nel suo
progettare la didattica si pone in un’ottica di sperimentazione. Ciò significa aderire a uno stile di ricerca che
richiede una definizione trasparente degli obiettivi che si intendono perseguire, una pianificazione attenta
delle metodologie e delle procedure educative didattiche da adottare e soprattutto una verifica rigorosa dei
risultati che si sono raggiunti

 la dimensione funzionale Questa dimensione è relativa alle decisioni pratico-organizzative che il collegio
docenti è chiamato ad assumere rispetto alla disposizione di risorse umane e materiali. In primo luogo, sarà
molto importante che il collegio docenti si interroghi sul principale elemento che caratterizza l’architettura
didattica di un istituto: la composizione delle classi o delle sezioni e la rispettiva collocazione in essere degli
insegnanti. Il criterio, pedagogico didattico, fondamentale per progettare tale architettura sarà la dinamicità e
la flessibilità, percependo la classe come una realtà aperta. Di notevole rilievo saranno anche le decisioni da
prendere in merito all’organizzazione delle routine quotidiane: fondamentali non solo all’interno della scuola
dell’infanzia, ma anche nei livelli scolastici successivi. Le routine dei pasti, dei cambi e dei servizi igienici, del
riposo, del gioco libero… Costituiscono, momenti educativi didattici molto importanti. Infine, un ultimo
aspetto da considerare in questa dimensione rispondere esigenza di organizzare in modo pratico ed efficace le
scelte rispetto alla strumentazione didattica: dall’adozione di libri di testo di materiali didattici, all’acquisto di
strumenti standardizzati per la didattica e la valutazione, o di tecnologie digitali per la didattica. A questo
proposito occorre evidenziare l’importanza di una gestione del materiale didattico aperta alla ricchezza delle
proposte che provengono dalle tecnologie dell’informazione della comunicazione (TIC).

PTOF, RAV e PDM sono solo alcuni degli acronimi che ruotano attorno al tema della progettazione educativa, della
programmazione didattica e della valutazione e autovalutazione scolastica. Sono strumenti che richiedono alle
istituzioni scolastiche di riflettere e di agire, in un’ottica di miglioramento continuo. Invalsi assunto notevole
importanza, un ruolo di coordinamento proponendo protocolli di valutazione, pianificando visite alle scuole da parte
dei nuclei di valutazione esterna e mettendo a disposizione strumenti per attivare nelle scuole stesse lezioni di
autovalutazione in modo da definire azioni di miglioramento e rendicontazione sociale (Condivisione e diffusione dei
risultati raggiunti dalla scuola secondo un principio di trasparenza).
Il rapporto di autovalutazione (RAV), secondo l’invalsi, può essere inteso come: un insieme di strumenti che rende
possibile la raccolta sistematica di dati quantitativi e qualitativi a livello di scuola, al fine di orientare le istituzioni
scolastiche in un processo di autovalutazione data-driven e di supportare la valutazione interna.
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Uno dei modelli teorici adottati dal sistema nazionale di valutazione e quello definito CIPP (contesto, processo,
prodotto) che è diventato un punto di riferimento per la valutazione delle scuole a partire dagli anni 60. L’ acronimo
corrisponde agli elementi costitutivi del modello valutativo context, input, processes, product.
Come afferma Stufflebeam:
 La valutazione del contesto verifica i bisogni, i problemi e le risorse all’interno di una specifica situazione
educativa
 La valutazione dei dati in ingresso consente di verificare le strategie e i piani di lavoro scelti in fase progettuale
per l’implementazione dell’azione educativa
 La valutazione dei processi consente il monitoraggio delle attività; tali informazioni aiutano a guidare e
regolare le azioni che si vanno realizzando sulla base delle intenzionalità progettuali
 La valutazione dei dati in uscita consente la verifica, a breve a lungo termine, dei risultati Sia di quelli
intenzionali che di quelli non preventivate.
Il modello tiene dunque in considerazione molteplici indicatori all’interno di ciascuna macro variabile e può essere
applicato in diverse situazioni, siano esse di valutazione interna oppure di valutazione dall’esterno; esso inoltre
risponde all’esigenza di una valutazione intesa sia in senso formativo, sia in senso sommativo. Si è poi passati al
modello c e p Contesto, esiti e processi ovvero la struttura attualmente adottata da tutte le scuole italiane per la
descrizione del RAV. Le istituzioni scolastiche sono state portate a pianificare un percorso di miglioramento per il
raggiungimento dei traguardi connessi alle priorità delineate in questo documento, il RAV vuole dunque fornire una
rappresentazione pubblica trasparente. Della scuola attraverso un analisi del suo funzionamento. Nelle linee guida del
Miur viene ribadita l’importanza per le istituzioni scolastiche di prestare attenzione alla definizione delle priorità e dei
traguardi in modo da redigere coerentemente il piano di miglioramento, questo documento presenta alcune
problematiche emerse dall'analisi dei rav disponibili sul portale scuola in chiaro, si rileva una certa debolezza nella
definizione di poche, chiare e pertinenti priorità, di traguardi misurabili e di obiettivi di processo adeguati.
Per quanto riguarda la compilazione del rav c’è uno strumento compilabile dal dirigente ovvero il questionario scuola
dove egli attraverso una piattaforma online ripercorre la struttura del rav considerando le dimensioni del contesto, i
processi legati alle pratiche educative didattiche e quelli che riguardano le pratiche gestionali organizzative.Quando il
dirigente termina la compilazione del rav viene reso pubblico presso il portale scuola in chiaro, alla conclusione di
questo documento c'è l'attuazione del piano di miglioramento.
Le sezioni del piano di miglioramento sono le seguenti:
 Scegliere gli obiettivi di processo più utili e necessari alla luce delle priorità individuate nel RAV
 Decidere le azioni più opportune per raggiungere gli obiettivi scelti
 Pianificare gli obiettivi di processo individuati
 Valutare, condividere e diffondere i risultati alla luce del lavoro svolto dal nucleo interno di valutazione
La compilazione e responsabilità del dirigente scolastico, che diventa responsabile dei contenuti e dei dati inseriti. Di
recente il rav e il PDM trova uno spazio all'interno del PTOF nella sezione le scelte strategiche. Se da un lato si ritiene
che una operazione indispensabile per individuare un format comune a tutte le scuole che consenta di agevolare la
redazione del PTOF, dall’altro, occorre sottolineare come nello schema proposto non vengono messi in luce alcuni
importanti aspetti della vita scolastica, mancano completamente i riferimenti ai paradigmi teorici e pedagogici seguiti
dalla scuola, così come non sono esplicitati i valori educativi e le finalità che guidano l’agire progettuale didattico.
Se questi aspetti non fossero adeguatamente pensati, esplicitati, condivisi e descritti si potrebbe facilmente incorrere
nel rischio che l’adozione di un format comune rappresenti solo un obbligo formale, condiviso da pochi insegnanti,
e compilato solo per soddisfare le richieste ministeriali. Riprendendo il tema dei dati resi disponibili dal ministero
attraverso strumenti come il RAV e il PDM, ci sono autori, in ambito nazionale, che evidenziano una serie di
perplessità legate alla capacità delle scuole di interpretare i dati in vista. Secondo Robasto, infatti, per avanzare nella
direzione della richiesta ministeriale è imprescindibile siano soddisfatte almeno tre condizioni: Essere in grado di
leggere criticamente i dati messi a disposizione da altri; essere in grado di raccogliere autonomamente i dati utili ma
mancanti; avere le risorse necessarie per controllare lo scarto tra risultati attesi e dato raccolto.
Pertanto, senza queste tre condizioni le scuole potrebbero mettere in luce la difficoltà a raccogliere evidenze e a
documentare il proprio operato. D’altro canto, Moretti e Giuliani affermano che i dirigenti scolastici e gli insegnanti
dovrebbero sempre porsi come interlocutori consapevoli che cooperano per maturare una cultura valutativa
adeguata alle esigenze di una scuola che si trasforma. In conclusione, la questione degli strumenti messi a
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disposizione dal MIUR del loro impatto rispetto all’uso e all’interpretazione che se ne fa nelle scuole e particolarmente
complessa, poiché una riflessione di questo tipo dovrebbe sempre considerare la pluralità di fattori che entrano in
gioco. Infatti, i modelli organizzativi delle scuole, le modalità di formazione dei docenti e dirigenti, le culture della
qualità didattica, della valutazione dell’autovalutazione che sono presenti nei diversi territori scolastici sono tutti i
fattori che dovrebbero essere adeguatamente considerati e studiati.
L’insegnante come professionista agentivo Si propone una riflessione sull’autonomia professionale dell’insegnante
nelle scuole. Il concetto di agency, in questo senso, può rappresentare un interessante punto di partenza per riflettere
sulla possibilità o meno dell’insegnante di esercitare nel contesto in cui opera la sua capacità agentiva sia in senso
individuale che collettivo. Il termine agency è un costrutto che si sviluppa in ambito sociologico tra fine degli anni 70
inizio degli anni 80 attraverso il contributo di importanti studiosi come Giddens, Bourdieu e Sahlins. Il sociologo
Giddens fu il primo autore a diffondere l’uso del termine agency focalizzando il suo oggetto di indagine sull’analisi dei
modi in cui le azioni umane sono dialetticamente connesso alla struttura sociale in forma tale da render le due
dimensioni reciprocamente costitutive. Sono in tempi più recenti il concetto di agentività è entrato a far parte del
lessico pedagogico nell’ambito della ricerca didattica sulla professionalità docente. È necessario sottolineare che non
esiste una definizione a questo termine, l’agency è un termine difficile e spesso gli studiosi che utilizzano questo
concetto non lo definiscono né lo cooperativizzano. Una delle ragioni è che non c’è consenso tra gli studiosi circa la
nozione di agency, soprattutto se applicata ai contesti educativi. Margiotta ritiene che l’agentività è insita nell’azione
umana. Quest’ultima si genera entro contesti sociali e di apprendimento lifelong e lifewide allargati. L’agency,
pertanto, è costituita da una componente individuale e una sociale. Considerando questa doppia accezione di agency,
alcuni autori collegano questo costrutto alla capacità degli insegnanti di agire intenzionalmente e costruttivamente
per dirigere la propria crescita professionale e incidere su quella degli altri. Diviene rilevante, allora, riflettere sulle
modalità con le quali si attua l’interazione tra l’agente (docente) e la struttura (scuola) e sulle conseguenze di tale
rapporto.
Secondo Calvert, il passaggio fondamentale da intraprendere per muoversi in direzione agentiva è quello di muoversi
dalla prospettiva dello sviluppo professionale a quella dell’apprendimento professionale.
L’autrice sottolinea che per troppi anni gli insegnanti e i responsabili politici hanno inteso la formazione continua
come un qualcosa da ricevere in termini di sviluppo professionale. Se, invece, la prospettiva viene ribaltata è evidente
che l’apprendimento professionale arriverebbe a riconoscerei gli insegnanti come agenti della loro crescita e
l’apprendimento potrebbe essere a tutti gli effetti un’esperienza guidata in gran parte dalla persona che apprende.
Considerando le caratteristiche interne dell’insegnante la motivazione è, senza dubbio, uno dei fattori più rilevanti in
grado di condizionare l’apprendimento degli studenti. Viene documentato nel contesto italiano che invece di dare
migliori insegnanti a studenti più difficili ne risulta il contrario. È stata rilevata a seguito di studi una correlazione tra la
percezione di status che hanno gli insegnanti del loro ruolo nella società EI risultati degli studenti negli apprendimenti.
Da un lato, un insegnante è poco motivato (Oh che percepisce la propria professionalità poco rilevante) potrebbe
contribuire a incrementare il livello di disuguaglianza rimarcando il divario tra studenti che provengono da sfondi
diversi; dall’altro, un insegnante poco motivato e preparato difficilmente potrà partecipare in maniera attiva all’intero
progetto a scuola assumendosi quindi delle responsabilità di sistema che vanno oltre l’insegnamento in aula.
È possibile richiamare almeno due elementi che contribuiscono a qualificare la formazione continua e permanente del
docente come un processo sistemico, processuale e agentivo. Il primo riguarda l’importanza di attivare nella scuola un
confronto continuo e sistematico fra i docenti sulla documentazione dei risultati dei processi messi in atto. La
documentazione educativa può assumere un’importanza strategica nella professionalità docente e può divenire un
momento di crescita co-evolutiva.
Il secondo punto, connesso con il precedente, concerne l’attenzione alla effettiva ricaduta degli esiti nella scuola sia
per l’innovazione educativa e didattica, sia per la formazione degli insegnanti. L’agentività dell’insegnante è un
processo fortemente legato ai differenti momenti di ricerca e sperimentazione che dovrebbero essere attuati nella
scuola in un’ottica di monitoraggio di miglioramento continuo delle qualità. Documenti come il RAV e il PDM possono
essere intesi come delle bussole in grado di accompagnare i docenti durante i processi di ideazione, revisione,
riprogettazione e monitoraggio e valutazione della qualità della scuola e della didattica.
In ambito nazionale il Miur ha costituito tre diversi gruppi di lavoro con l’obiettivo di favorire la focalizzazione di
alcune questioni del Piano Nazionale di formazione in particolare sui temi come indicatori di qualità, standard
professionali, curriculum e portfolio professionale docente. Il piano nazionale di formazione dei docenti consente di

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ripensare in un modo sistemico il tema della professionalità e della formazione dei docenti, occorre anche rilevare che
questo piano fa emergere alcune criticità che dovrebbero essere affrontati in maniera prioritaria.
La prima criticità riguarda la gestione delle risorse economiche stanziate dal governo (Esempio non viene chiarito
come le risorse stanziate possono fluire in un unico piano strutturato e organico dal momento che le risorse vengono
conferite direttamente alle scuole, mentre i fondi della carta docente direttamente dagli insegnanti); la seconda
concerne invece la mancata definizione di un monte ore da dedicare alla formazione continua, sarebbe opportuna la
definizione di un monte ore strutturato da dedicare alla cura della propria preparazione.
Si riportano alcune delle principali indicazioni elaborate dal gruppo di lavoro standard professionali nel sopraccitato
documento. Con standard professionali si intende un insieme di competenze attese in situazione, di carattere teorico
e operativo, descritte attraverso una serie di comportamenti professionali attesi. Secondo il documento MIUR e la
elaborazione di standard consente di rendere socialmente visibile il profilo professionale dei docenti italiani (rendere
socialmente visibile il profilo professionale dell’insegnante) É in questa direzione il gruppo di lavoro proposto una
serie di indicatori e aree che possono concorrere, sulla base di tre livelli di progressione:
 Competenza iniziale, in fase di formazione di consolidamento, per esempio il docente principiante in periodo
di inserimento e prova con accompagnamento e tutoraggio
 Competenza di base, cioè padronanza sicura e consolidata, per esempio docente che ispira i propri
comportamenti professionali agli standard attesi
 Competenza esperta, quindi padronanza matura accreditata del sapere professionale, per esempio un
docente che sa mettere a disposizione dei colleghi e delle organizzazioni a cui appartiene alle proprie
competenze
Le aree che qualificano la professionalità del docente sono cinque:
 Cultura: Conoscenze culturali e disciplinari dei saperi che sono oggetto di insegnamento
 Didattica: Insegnamento pianificato è strutturato per l’apprendimento, utilizzo di metodologie innovative e
strategie didattiche per sostenere l’apprendimento, metodi e strategie di valutazione e gestione delle
relazioni e dei comportamenti in classe
 Organizzazione: partecipazione all’esperienza professionale organizzata a scuola, coinvolgimento nei processi
di autovalutazione, miglioramento, rendicontazione; capacità di lavoro collaborativo tra docenti
 Istituzione o comunità: padronanza del contesto professionale, con le sue regole, routine e responsabilità.
capacità di instaurare rapporti positivi con genitori, partner istituzionali e sociali.
 Cura della professione: alimentare la propria competenza attraverso esperienze di formazione, sviluppo della
propria professionalità con disponibilità ad assumere funzioni e responsabilità all’interno e all’esterno della
scuola.

CAPITOLO 4
Nel capitolo sì ripercorre lo scenario normativo e culturale che ha portato alla definizione delle indicazioni nazionali
del 2012 e poi al loro aggiornamento nel 2018. Vengono indicate le principali direzioni metodologiche che ogni
insegnante dovrebbe seguire per costruire una buona programmazione. Le Indicazioni nazionali sono un documento
di indirizzo politico culturale e operativo attraverso il quale accompagnare le scuole nella costruzione del curricolo.
Qui Vengono esplicitate sia le Finalità generali che la scuola deve perseguire per lo sviluppo armonico dello studente,
sia le competenze chiave che necessario a prendere partendo dalla scuola dell’infanzia. Queste competenze
riguardano l’occupabilità, l’inclusione sociale, una vita sostenibile, fruttuosa, una gestione attenta della vita alla salute
e alla cittadinanza attiva. Le indicazioni nazionali sono strutturate su tre grandi macro-sezioni:
 Cultura, scuola e persona
 Finalità generali
 Organizzazione del curricolo
Nel primo punto viene fatto presente l'orizzonte culturale di riferimento all'interno del quale si collocano le
indicazioni nazionali del 2012, fa riferimento al rapporto tra scuola territorio e scuola famiglia, alle modalità di
socializzazione tra bambini e ragazzi, alla centralità della persona nella costruzione del proprio percorso.
Ne risulta la dimensione democratica e inclusiva della scuola che deve dare supporto allo sviluppo dell’identità
dell’individuo, la garanzia della possibilità di scegliere ed essere uguale agli altri ma anche la possibilità di poter
svolgere attività per la crescita del proprio paese. Ulteriori elementi esplicitate in questa sezione sono la diffusione di
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tecnologie dell’informazione della comunicazione, interpretate come potenziali mediatori per accompagnare processi
di apprendimento di socializzazione. In questo caso la scuola aspettano alcune finalità: fornire agli studenti occasioni
di apprendimento dei saperi e dei linguaggi culturali, permettere che acquisiscano strumenti di pensiero per
selezionare le informazioni, sviluppare la capacità di elaborare metodi e categorie in grado da fare da bussola negli
itinerari personali, favorire l’autonomia di pensiero. Viene inoltre sottolineata la dimensione di responsabilità
individuale delle persone ma anche interdisciplinare e multidisciplinare del piacere che non deve portare solo il
dominio dei singoli ambiti disciplinari ma anche all’ elaborazione delle connessioni che ci sono.
È importante sottolineare la differenza tra scuola del programma e scuola del curricolo. La scuola del programma è
legata a una visione selettiva ed elitaria della cultura, per realizzare apprendimenti significativi si affida alla bontà
dell'organizzazione specialistica delle discipline mentre la scuola del curricolo dà importanza non solo ai saperi ma
anche alle metodologie e alle modalità relazionali, strumenti e ambienti di apprendimento. Nella scuola del
programma viene definito il cosa insegnare direttamente dall’organizzazione accademica dei saperi disciplinari.
Barbieri presenta due possibili direzioni interpretative e operative del concetto di programma, da un lato l'esistenza di
una nozione Di programma che rimanda a un insieme di contenuti da insegnare obbligatoriamente dall'altra
un'attività complessa che comprende almeno obiettivi generali da realizzare e mezzi per raggiungerli. su questa
seconda prospettiva si sono basati nuovi programmi didattici per la scuola primaria del 1985, fondati su un approccio
di tipo curricolare.
Nella sezione finalità generali ci sono due parti: scuola, costituzione, Europa e profilo dello studente. In questa parte
viene sottolineata l’impronta democratica e inclusiva della scuola, delineando lo spazio progettuale che c’è tra questo
documento e il campo d’azione che coinvolge le scuole Nella costruzione del curricolo. L’autonomia scolastica
consente di elaborare il proprio curricolo in funzione di alcune norme generali stabiliti dallo stato.
Nella seconda parte si introduce il concetto di profilo dello studente ovvero si descrive brevemente le competenze
legate alle discipline di insegnamento e all esercizio attivo della cittadinanza che un ragazzo deve mostrare di
possedere al termine del primo ciclo di istruzione. Queste corrispondono alle competenze chiavi del quadro di
riferimento europeo, compito di ogni docente è quello di tracciare e osservare lo sviluppo raggiunto nelle varie
progressioni. Il termine competenza è piuttosto recente e te, secondo Baldacci implica un sapere e un saper fare. le
cose non devono essere solo ripetute mnemonicamente ma usate come strumenti nella vita quotidiana.
 Conoscenza (sapere): insieme di fatti, teorie e pratiche relative a un settore di studio di lavoro. Es. Sapere che
cos’è un aquilone, come funziona.
 Abilita (saper fare) : capacità di applicare le conoscenze per svolgere compiti ho per risolvere i problemi es.
Assemblare un aquilone secondo uno schema noto.
 Competenze (saper essere) : capacità di utilizzare conoscenze e abilità in situazioni reali di vita e lavoro. Es.
Progettare un prototipo di aquilone per far muovere una barca a vela.
L’ultima sezione delle indicazioni nazionali parla dell'organizzazione del curriculo. Nella parte introduttiva ripercorre il
fatto che le indicazioni sono un quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole, è un testo
aperto all'interpretazione e che la comunità scolastica deve contestualizzare elaborando specifiche scelte. La
progettazione dovrà partire dalla scelta dei traguardi per lo sviluppo delle competenze adattando, declinando gli
obiettivi di apprendimento a ciascuna disciplina in funzione del contesto classe. Gli obiettivi di apprendimento nella
visione ministeriale:
 Individuano campi del sapere indispensabili per raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze
 Sono utilizzati dalle scuole per la progettazione didattica rispetto ai contesti
 Sono organizzati i nuclei tematici definiti relazione periodi didattici lunghe.
In realtà l’importanza degli istituti comprensivi in quanto sono luoghi di coesistenza, convivenza di identità culturali e
professionali diversificate e permettono la progettazione di un unico curricolo verticale che facilita Il collegamento
con i diversi cicli di istruzione.
 I traguardi: sono punti di arrivo rispetto a un processo. Sono riferimenti per gli insegnanti e aiutano a
finalizzare l'azione educativa allo sviluppo integrale dell'allievo E permettono alle istituzioni scolastiche di
impegnarsi affinché ogni alunno possa conseguirli. ES. essere un buon orticoltore: saper progettare un orto,
saper gestire un orto
 Obiettivi di apprendimento: abilità messe in atto per un agire competente, sono conoscenze indispensabili per
raggiungere i traguardi per lo sviluppo delle competenze.
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La valutazione secondo il Miur:


 è un processo che deve relazionarsi ed essere coerente con i traguardi e gli obiettivi di apprendimento
delle indicazioni attuabile grazie a verifiche intermedie e periodiche
 è un processo trasparente che coinvolge sia gli alunni che le famiglie
 precede e accompagna la realizzazione dei percorsi curricolari
 è un dispositivo che regola e attiva le azioni didattiche da intraprendere
 è un dispositivo, costruito e condiviso collegialmente, volto a sostenere momenti di valutazione
formativa e sommativa ma anche come strumento per l' autovalutazione
 è un processo che si unisce e dialoga con il sistema nazionale di valutazione con il compito di rilevare e
misurare gli apprendimenti.
La certificazione delle competenze, secondo le indicazioni nazionali, può essere attuata solo dopo processi di
osservazione documentazione valutazione. Nella prima parte del modello vengono scritte le informazioni anagrafiche,
mentre nella seconda vengono espressi rispetto alle competenze chiave europei i livelli raggiunti dallo studente.
Questo documento viene prodotto dal consiglio di classe in concomitanza l'ultimo scrutinio e consegnato alle famiglie
oltre che all’istituzione scolastica del ciclo successivo. Il decreto ministeriale del 3 ottobre 2017 regolamenta a livello
nazionale ed elabora modelli di certificazione da utilizzare al termine della scuola primaria. Non è un documento
burocratico ma un atto educativo che deve indicare chiaramente e supportare il livello di competenza raggiunto dall'
alunno. Le finalità:
 certifica l’acquisizione delle competenze progressivamente acquisite dall’ alunno
 descrive lo sviluppo progressivo dei livelli delle competenze chiave e di cittadinanza a cui il processo di
insegnamento mirava
 descrive i risultati del processo formativo al termine della scuola primaria e secondaria di primo grado
facendone una valutazione complessiva rispetto ai saperi acquisiti per affrontare problemi e compiti reali o
simulati dai traguardi per lo sviluppo di competenze agli obiettivi di apprendimento
Le indicazioni per la scuola dell’infanzia sono declinate in cinque campi di esperienza: il sé e l’altro, il corpo e il
movimento, immagini suoni e colori, i discorsi e le parole, la conoscenza del mondo. è compito del docente progettare
in un’ottica collegiale la realizzazione di esperienze didattiche a partire dal:
 identificazione dei campi di esperienza
 identificazione e selezione dei traguardi per lo sviluppo di competenza
 declinazione dei traguardi in obiettivi legati al sapere e al saper fare.
Il momento dell’identificazione della declinazione dei traguardi in obiettivi di apprendimento dovrà essere integrato
con altri elementi che accompagnano la programmazione delle attività didattiche. Nella sezione la scuola del primo
ciclo viene sottolineato il ruolo fondamentale nella scuola sia di promuovere processi di conoscenza di sé e della
propria identità, sia come ambiente di crescita attraverso esperienze didattiche attive, in grado di suscitare curiosità
nell’alunno e farlo mettere alla prova. Noi compiti di realtà sono attività che lo studente svolge per risolvere una
situazione problematica nuova quanto più possibile vicina al mondo reale utilizzando conoscenze abilità che già
possiede, la risoluzione della situazione problema diventa il prodotto finale su cui si basa la valutazione
dell’insegnante. In questo modo si verifica non solo ciò che lo studente sa ma ciò che sa fare. Le linee guida
ribadiscono di non focalizzarsi solamente sul prodotto a discapito del processo che lo ha portato a risolvere o
individuare ipotesi per affrontare la situazione, per questo gli insegnanti dovrebbero utilizzare strumenti per
monitorare e tracciare la prestazione dello studente.
Un’ulteriore rischio e quello legato alla scelta degli strumenti opportuni, validi affidabili per raccogliere i dati del
processo di risultato. Altro elemento discusso e il contesto all'interno del quale avviene il processo formativo dello
studente esso deve far fronte alle esigenze di sperimentazione, ricerca e innovazione in modo da promuovere
apprendimenti significativi. Gli elementi che qualificano il contesto di buona scuola sono:
 la valorizzazione dell’esperienza e delle conoscenze degli alunni da dove partire per i nuovi contenuti
 l'attuazione di interventi idonei rispetto alla diversità in modo che non diventino disuguaglianze
 la promozione di esperienze didattiche in modo da sollecitare percorsi di esplorazione scoperta
 promozione di esperienze basate sull’apprendimento collaborativo
 la promozione del proprio modo di apprendere
 la progettazione e l’attuazione di attività didattiche laboratoriali
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Nella parte conclusiva delle indicazioni nazionali sono indicati i principi che guidano ogni disciplina, i traguardi di
competenza e gli obiettivi che la luna dovrebbe raggiungere nella scuola primaria, ogni obiettivo e poi declinato in
base ai nuclei tematici. È importante che l’obiettivo sia ben formulato e facilmente individuabile il tipo di prova che
consente di verificarlo. Le indicazioni nazionali del 2012 hanno l’intento di promuovere una riflessione sul senso dell’
istruzione dell’educazione che deve Orientare le scelte dei docenti verso la progettazione di ambienti di
apprendimento che favoriscano l'acquisizione di abilità e competenze sociali, civiche, metacognitive e metodologiche.
Viene sottolineato che esistono comunque diversi fattori che concorrono a sviluppare competenze e apprendimenti
stabili e significativi. È indispensabile quindi investire sulla professionalità docente sulla collaborazione tra docenti
potenziando le occasioni di lavoro collaborativo ma non rinunciando a valorizzare i saperi professionali come risorsa
effettiva.

CAPITOLO 5
Nel capitolo si parla dell’unità didattiche del progetto didattico come via metodologico operative per garantire la
realizzazione di una scuola democratica attenta all’ equità, uguaglianza e diversità. Come si è detto all’inizio del
capitolo tre, per parlare di intenzionalità nell’ambito della didattica, il termine più consono è quello di
programmazione. Il termine progettazione propone un’operatività più ampia, orientata a delineare direzioni di azioni,
finalità educative da perseguire, scelte metodologiche da compiere, orientamenti per la valutazione complessiva delle
azioni realizzate. Al contrario il concetto di programmazione propone invece un ambito di operatività più specifica,
orientata definire tempi e fasi del progetto, specificare obiettivi, contenuti e attività, metodi e strumenti, tempi e
spazi, verifiche iniziali, intermedie e finali. Ciò non deve significare rigidità, anzi, ciò significa chiarezza sugli obiettivi da
raggiungere e disponibilità verificarne il raggiungimento per un eventuale modificare il percorso. La programmazione
didattica, o meglio, le tante programmazioni didattiche che gli insegnanti realizzano durante l’anno scolastico si
concretizzano in un periodico e sistematico lavoro collegiale diretto a definire traguardi percorsi che i gruppi di alunni
e i docenti dovranno compiere e che via via potranno essere rivisti e modificati a partire sia dei bisogni formativi degli
alunni, sia in funzione delle finalità educative che la scuola si è proposta di raggiungere. La ciclicità e la dinamicità
costituiscono due elementi distintivi della programmazione didattica, la quale alla funzione di disegnare e ridisegnare
il curricolo da realizzare. Potremmo rappresentare questo movimento ciclico della programmazione didattica
attraverso una spirale aperta che procede in direzione di uno sfondo generale delineato dalle finalità educative della
scuola e che, durante il percorso, si apre obiettivi intermedi di apprendimento, ritornando tuttavia ricorsivamente su
sé stessa per ripartire dei bisogni formativi dei bambini. L’azione di programmazione dell’insegnante nell’ambito della
didattica connota ancora di più la sua professionalità, è fondamentale che si radichi la consapevolezza di una didattica
intesa come specifica competenza dell’insegnante nell’analizzare, definire, realizzare, verificare e gestire i processi
socio cognitivi.

Le finalità educative esplicitate nel PTOF devono pertanto costituire lo sfondo l’orientamento delle programmazioni
didattiche che invece identificano la direzione generale verso cui procedere ( direzione determinata dei traguardi per
lo sviluppo delle competenze definite nelle indicazioni nazionali). Inoltre, l’orientamento più generale delle
programmazioni didattiche è quello di un’azione progettuale degli insegnanti nell’ottica della continuità verticale,
capace di convergere verso un costante consolidamento di quelle competenze di base considerate indispensabili per
la vita. Questi strumenti intellettuali indispensabili, di base, lo sono per due principali ragioni:
 perché possono essere considerati strutture portanti per supportare la costruzione di competenze più
elevate, connessa al pensiero intuitivo, divergente, critico (Saperi di base che permettono di procedere con
più sicurezza in diversi percorsi di apprendimento)
 perché garantiscono al soggetto l’utilizzo di abilità strettamente funzionali al vivere sociale, alla comprensione
delle regole. ES. Buone competenze nell’abilità di lettura e produzione di diverse tipologie di testo, abilità
logico matematiche e di problem solving, abilità nell’utilizzo di nuove tecnologie, sono risorse irrinunciabili
per il cittadino di oggi e devono essere continuamente formate e consolidate.
L’organizzazione scolastica dovrà dunque assicurare in primis una solida formazione nella direzione di queste
competenze ma anche dare l’opportunità di coltivare, approfondire ed esplorare ambiti di competenza diversificati. Si
può usare la metafora di una strada maestra orientata a raggiungere le mete specifiche di apprendimento ma che
permette di fare varie uscite dal percorso verso sentieri secondari a seconda della curiosità e degli interessi degli
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alunni.
Principale direzione della programmazione didattica è quella dell’assunzione di responsabilità, da parte della scuola,
nell’offrire a ciascun alunno i contesti e le metodologie di apprendimento più adeguate a garantire a tutti il
raggiungimento di competenze di base di buona qualità. Ci si riferisce in questo senso al termine di
individualizzazione: Principio pedagogico e filo conduttore per tutta l’attività che pone attenzione alle diverse
caratteristiche ed esigenze cognitive degli allievi finalizzata modulare l'insegnamento delle competenze di base.
La seconda direzione su cui abbiamo accennato può essere intesa come un secondo tipo di individualizzazione volta
però a raggiungere obiettivi differenziati per ciascun alunno, è indicata col termine di personalizzazione possiamo
considerarla come un’ulteriore modalità dell’individualizzazione che presta attenzione anche i talenti personali di
ciascuno, promuovendoli e sostenendoli attraverso l’offerta di opportunità di percorsi didattici opzionali. Si va
sostenendo la tesi di una prevalenza nella scuola di tutti dell’individualizzazione, perché è la richiesta di una solida
formazione delle competenze di base degli studenti un’urgenza impellente. Dai risultati delle recenti rilevazioni OCSE
Pisa emerge un quadro sulle liberaci (insieme di conoscenze e abilità basilari per agire attivamente nella società come
cittadini) dei quindicenni problematico e preoccupante con competenze in matematica e letteratura che evidenziano
medie al di sotto di quella della maggior parte dei paesi OCSE.
Le differenziazioni dei risultati sarebbero non regate a: collocazione geografica della scuola, tipo di istituto
frequentato es. Tecnico professionale rispetto ai licei, contesto socioculturale di provenienza dell’allievo.
In tale situazione storica e culturale in cui sistema scolastico non riesce ancora garantire livelli di equità accettabili è
necessario agire per sostenere un atteggiamento pedagogico didattico che veda nella scuola lo strumento
fondamentale per fornire a tutti i giovani gli strumenti indispensabili per una cittadinanza attiva.
La programmazione didattica si orienta secondo due direzioni quindi:
Quella principale ovvero la programmazione didattica dell’individualizzazione, indirizzata all’organizzazione di quella
parte di curricolo che deve garantire a tutti gli allievi il possesso di buone competenze di base
La seconda è quella che introduce un diverso tipo di individualizzazione che si può intendere come individualizzazione
divergente, orientata raggiungimento di obiettivi di apprendimento differenti per ciascun alunno, definita dunque
personalizzazione.
L’approccio dell’individualizzazione sposta sulla scuola la principale responsabilità del successo dello studente, in
quanto prevede che l’organizzazione scolastica adegui l’insegnamento alle differenti caratteristiche di ciascun alunno
rendendosi flessibile in vista del raggiungimento di competenze ritenute irrinunciabili per tutti. Si parla in particolare
dell’ipotesi Bloomiana del Mastery Learning, o apprendimento per la padronanza. L’idea che vi è la base è quella
secondo cui tutti sono in grado di acquisire le competenze fondamentali del curricolo a patto che vengano offerti
tempi e metodologie didattiche adeguati. Questo comporta una cura didattica del tutto particolare per coloro che
evidenziano maggiori difficoltà nel percorso di insegnamento e apprendimento e implica inoltre il rifiuto dell’idea che
la scuola sia capace solo di promuovere coloro che già posseggono delle competenze. (Idea che stava alla base della
scuola tradizionale)

Troppo frequentemente l’idea dell’individualizzazione è stata distorta con significati che la conducono al concetto di
omologazione e rigidità dei percorsi di apprendimento; individualizzare corrisponde invece a una prospettiva del tutto
diversa atta a garantire Agli alunni il diritto all’ uguaglianza ma anche alla diversità. Non si può negare che l’idea forte
di individualizzazione porti con sé elementi destabilizzanti e minacciosi per una scuola restia all’innovazione,
comporta infatti una necessità continua di verifica e cambiamento. La personalizzazione invece si sposta sul diritto
alla diversità ed è più semplice per l'azione didattica in quanto deve solo analizzare interessi e attitudini e predisporre
i contesti in modo favorevole. Perseguire la strada dell’individualizzazione richiede una riflessione sulla professionalità
dell’insegnante; più in generale sulla competenza dell’intera organizzazione scolastica e infine sull’importanza di un
impegno serio per rinnovare la cultura docente della nostra scuola. La pratica della programmazione didattica
costituisce un potente strumento di rinnovamento della scuola ed è il frutto di un confronto al quale devono
partecipare tutti i docenti, spetta infatti a ciascun insegnante specificare ulteriormente criteri e tecniche di intervento.
Progettare l’individualizzazione nella scuola comporta una certa professionalità da parte dei docenti e ciò significa
attivare solide competenze:
 osservazione e valutazione diagnostica delle competenze;
 definizione di obiettivi specifici di apprendimento;
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 organizzare contesti ricchi e stimolanti;


 utilizzare diverse metodologie e strumenti didattici;
 pianificare organizzare i tempi di insegnamento e apprendimento e di verifica di apprendimento
 costruire e utilizzare strumenti di verifica sommativa
La dimensione della progettazione collegiale nella quotidianità scolastica costituisce tuttavia un ulteriore e
irrinunciabile opportunità per formare, consolidare, confrontare condividere competenze tra insegnanti e aumentare
così livello di qualità della didattica e di professionalità dell’insegnante.
È necessario considerare quali siano le concrete condizioni didattiche che possono essere strategiche affinché
l’individualizzazione riesca ad essere perseguita e realizzata dall’insegnante. Per entrare nel merito di questo ambito è
opportuno prendere in esame la strategia dell’individualizzazione per eccellenza ovvero il Mastery Learning. Negli
Stati Uniti alla fine degli anni 60, Benjamin Bloom, elabora una proposta metodologica fondata sull’ipotesi che tutti gli
studenti possono raggiungere la padronanza cognitiva gli apprendimenti considerati fondamentali a partire da una
proposta didattica adeguata alle caratteristiche individuali e ai tempi di apprendimento di ciascuno. Secondo Bloom,
in un sistema di istruzione occorre considerare come variabili indipendenti le caratteristiche in ingresso degli studenti,
caratteristiche fortemente differenziate nei gruppi di studenti che accedono alla scuola e sono in gran parte
determinate dal contesto sociale culturale di provenienza. (Se si propone a bambini con caratteristiche differenziate
una didattica uguale per tutti le differenze continueranno ad esserci) Bloom sostiene che la distribuzione “normale”
dei risultati sia un'idea che si auto realizza, occorre dunque considerare le caratteristiche di ogni alunno come variabili
modificabili su cui l'istruzione può agire. Si tratta di una strategia didattica in cui l’insegnante svolge una funzione di
guida, supporto e controllo durante tutto il processo di insegnamento apprendimento. Importante è il feedback,
elemento fondamentale che dà la possibilità di inserire nel processo didattico momenti di valutazione formativa con
la precipua funzione di retroazione sul percorso: si tratta di raccogliere informazioni sugli apprendimenti dell’alunno
al fine di operare scelte didattiche opportune. Fasi di progettazione del mastery learning:
 l'insegnante definisce quali sono le padronanza e che gli studenti dovrebbero raggiungere al termine
dell’unità di insegnamento
 l'insegnante stabilisce livelli intermedi definendo obiettivi specifici in una successione di sequenze
 elabora le prove in grado di verificare in modo graduale il raggiungimento o meno degli obiettivi
individuati ed eventuali correttivi da apportare a ciascuno studente
 predispone le attività tenendo conto della preparazione iniziale dei suoi allievi
 crea possibili correttivi da apportare al percorso didattico con attività integrative per gli allievi che non
avessero ancora raggiunto livelli intermedi di padronanza
 realizza il percorso formativo garantendo a coloro che non riuscissero ad avere il minimo indispensabile di
padronanza delle conoscenze di non affrontare la sequenza successiva fino alla soluzione delle competenze.
Riprendendo la terminologia coniata da Scriven nel campo della valutazione dei programmi, evidenziando come la
possibilità di realizzare nelle classi un avere propria didattica individualizzata sia fortemente dipendente dalla
possibilità di mettere in atto delle pratiche valutative atte a diagnosticare le difficoltà dell’allievo e ad assumere
decisioni didattiche coerenti.
Gagné sottolinea l’importanza del feedback nella progettazione della didattica evidenziando i momenti fondamentali
nello sviluppo di una lezione. Il feedback formativo, cioè la possibilità per l’insegnante di fornire un’informazione
valida all’allievo sulla correttezza della sua prestazione è direttamente conseguente alla possibilità di verificare in
itinere l’apprendimento dell’alunno. Lo scopo non è dunque quello di una valutazione esercitata per discriminare tra
coloro che hanno appreso da coloro che non hanno appreso, ma quello di assumere da parte dell’insegnante delle
informazioni sul processo cognitivo che lo studente sta mettendo in atto per apprendere al fine di potergli fornire
delle informazioni di ritorno utili e valide per il miglioramento dell’apprendimento stesso, in modo da migliorare il
setting per realizzare una didattica volta la recupero o al consolidamento delle competenze.
Gli effetti positivi del mastery non sono relativi solo al miglioramento dei risultati di apprendimento, bensì migliora
anche il senso di fiducia degli studenti nelle loro capacità, aumenta la loro frequenza scuola e il loro livello di
partecipazione alle lezioni. Inoltre, le strategie di mastery non sono solo adeguate a sviluppare abilità cognitive di tipo
elementari, ma sono adatte anche a favorire abilità di problem solving, di ragionamento deduttivo e di espressione
creativa.
È ovvio che tutto ciò tende ad avvenire quando la strategia del mastery viene realizzata in condizioni ottimali di tempi,
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spazi e risorse ma vengono messi in luce due idee di Bloom che possono essere considerate come elementi
irrinunciabili e idee guida per chi voglia realizzare l’individualizzazione nei differenti setting formativi:
L’utilizzo frequente della valutazione formativa, del feedback, dei correttivi e dell’arricchimento didattico (mette in
luce l’importanza di un uso della valutazione formativa come strategia utile per diagnosticare difficoltà ed errori nel
processo di insegnamento- apprendimento e dunque fornire poi dei feedback sia l’alunno che all’insegnante. Il
docente deve possedere la disponibilità e la competenza di mettere poi in atto dei correttivi e delle variazioni della
metodologia didattica.). La chiarezza e la coerenza tra tutti gli elementi del processo di insegnamenti (essa richiede
all’insegnante di progettare un intervento didattico con razionalità e coerenza: deve essere quindi un’idea chiara in
cui vengono definiti gli obiettivi fondamentali di apprendimento che dovranno essere raggiunti e sui quali si
concentrerà maggiormente la metodologia didattica, che dovrà essere verificata in itinere, sulla quale dovranno
focalizzarsi i momenti di recupero fino a che non si possa accertare il raggiungimento)
Sono idee guida per qualsiasi intervento volto a ridurre la variazione dei risultati finali e spostarli verso livelli elevati di
qualità.

La strategia dell’UDL per l’individualizzazione dei percorsi: aspetti irrinunciabili L’unità didattica (Percorso didattico
volto al raggiungimento di obiettivi di apprendimento uguali per tutti attraverso l'uso di strategie didattiche e tempi
differenziati in base ai bisogni) è la strategia più adeguata a impostare una programmazione volta
all’individualizzazione dei percorsi. Si tratta di una strategia che punta a raggiungere degli obiettivi, basilari e riferibili
principalmente all’indicazioni nazionali che vengono fornite per ogni area disciplinare, quelle conoscenze abilità che
possiamo considerare irrinunciabili da garantire a tutti, in vista anche del raggiungimento delle competenze chiave
per il diritto a una cittadinanza attiva. Tale strategia deve essere progettata dagli insegnanti, ogni unità didattica deve
richiedere un impegno progettuale e creativo affinché si raggiungano delle competenze di base seguendo un percorso
coerente e adeguato rispetto al gruppo di bambini a cui l’unità didattica è rivolta.
La programmazione didattica ha il compito di approfondire l’analisi delle condizioni in ingresso focalizzandosi
sull’alunno e sulle variabili attinenti al suo apprendimento. Molteplici sono i fattori che possono influire
sull’apprendimento dell’alunno:
 contesto socioculturale familiare in cui il bambino è cresciuto;
 valore e all’importanza che l’alunno attribuisce al sapere e all’apprendimento e alla rappresentazione che egli
ha di sé stesso come soggetto che apprende. La possibilità di percepirsi quindi come potenzialmente capace
di apprendere;
 caratteristiche cognitive e metacognitive dell’alunno: il suo stile cognitivo, i tempi di concentrazione e di
elaborazione delle informazioni, la capacità di autodisciplinarsi
È importante comunque sapere che una buona programmazione didattica ha il dovere di essere consapevole di tutti
questi fattori e di conoscerne le caratteristiche in relazione agli alunni della propria classe o sezione. È proprio a
partire da una conoscenza analitica delle caratteristiche in ingresso dell’alunno che è possibile una progettazione
consapevole e calibrata rispetto alle esigenze del singolo. Si tratta dunque di una valutazione iniziale che ha funzioni
specificamente diagnostiche. Il termine diagnosi rimanda al campo della medicina; si tratta dunque di un’azione
orientata a identificare in modo analitico caratteristiche cause di un fenomeno attraverso procedure empiriche di
osservazione.
Come si declina tale termine nell’ambito della valutazione scolastica? Vertecchi sostiene che la valutazione ha
soprattutto una funzione diagnostica, essa deve quindi fornire elementi circa le condizioni in cui determinate
procedure vengono avviate e sul modo in cui esse si sviluppano. La valutazione diagnostica diventa così un supporto
metodologico di grande importanza per la realizzazione di strategie di insegnamento individualizzato che si
propongono il raggiungimento di elevati livelli qualitativi di istruzione.
Lo scopo della diagnosi è dunque quello di acquisire dati validi e affidabili per assumere decisioni ponderate in merito
all’organizzazione didattica del percorso di ciascuno studente. La poca attenzione rispetto alle condizioni in cui gli
allievi affrontano i compiti e tra le cause della differenziazione che si registra nei livelli di conoscenza al termine delle
procedure didattiche è importante quindi tenerne conto. Gattullo, evidenzia l’importanza della funzione diagnostica
del controllo scolastico. Tale funzione era da lui considerata importante sia per accertare, all’inizio del percorso
formativo, l’adeguatezza dell’intervento programmato agli effettivi livelli di apprendimento degli allievi, sia per
diagnosticare eventuali lacune negli apprendimenti del singolo allievo e i suoi conseguenti bisogni educativi così da

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permettere una revisione per quanto riguarda gli scopi, gli strumenti e l’organizzazione del processo. Tutto ciò al fine
di portare l’allievo a un livello di parità con gli altri, in un’ottica appunto di individualizzazione dell’apprendimento. È
dunque importante, all’inizio di un percorso didattico, conoscere qual è l’atteggiamento Psico-affettivo e
motivazionale dell’alunno nei confronti dell’apprendimento attraverso l’osservazione del comportamento in classe,
l’osservazione e la rilevazione di comportamenti sociali degli alunni e delle dinamiche socio- relazionali in classe.
Spetta tuttavia i docenti la responsabilità di approfondire il rilievo che i molteplici fattori hanno sui processi di
apprendimento del bambino; così come spetta agli insegnanti conoscere l’utilizzo degli strumenti di osservazione dei
comportamenti e di rilevazione delle strategie metà cognitive. È utile che gli insegnanti possano fruire testi validi e
strumenti specifici inerenti alla valutazione e le procedure docimologiche, al fine di essere stimolati nelle pratiche di
auto aggiornamento e di approfondimento e confronto professionale fra colleghi.
Si ritiene importante approfondire quindi il tema centrale della valutazione diagnostica in relazione alle competenze
metacognitive e agli stili di apprendimento degli alunni. A questo proposito si fa frequentemente uso di questionari
strutturati o di griglie di autovalutazione, di facile somministrazione. Si parla in particolare del Questionario sui
Processi Cognitivi (QPA), un questionario elaborato sugli studenti di scuola secondaria di secondo grado e poi tarato
su un campione di 3757 soggetti dal quinto anno di scuola primaria al primo anno di università di sei regioni italiane.
Questo questionario è strutturato su cinque scale, ciascuna delle quali analizza una dimensione dei processi metta
cognitivi:
1. La motivazione intrinseca all’apprendimento: misura un approccio dell’apprendimento fondato sul valore dei
contenuti in quanto il soggetto li considera importanti per sé stesso e non per motivi esterno, dunque, è
coinvolto razionalmente e affettivamente nel processo di apprendimento;
2. La meta cognizione e l’apprendimento autoregolato: misura la conoscenza del soggetto rispetto ai propri
processi di apprendimento, permette di ottenere un risultato migliore;
3. Le strategie di apprendimento: rileva le strategie che lo studente utilizza maggiormente al fine di renderlo
consapevole se il proprio modo di impostare lo studio risulta produttivo;
4. Il consolidamento dell’apprendimento: rileva l’abitudine dello studente nell’attuare i processi di studio che
mirano a consolidare quanto appreso;
5. L’apprendimento superficiale: evidenzia un tipo di apprendimento povero di contenuti in completo, con
scarso coinvolgimento personale.
Il questionario è stato elaborato in tre versioni Funzione dell’età e della classe scolastica dei soggetti; ciascuno
studente risponde a un certo numero di dichiarazioni di comportamento (item) dichiarando la sua frequentazione di
ciascuna prassi su una scala a cinque livelli.
La prospettiva diagnostica mantiene un’importanza essenziale costante durante tutto il processo di insegnamento-
apprendimento: sia l’inizio di ciascuna unità didattica, sia in itinere.
È necessario che gli insegnanti impegnati sulla classe e sulla sezione condividano il significato diagnostico da attribuire
al momento della valutazione in ingresso in funzione degli obiettivi essenziali da raggiungere; saranno dunque
necessarie alcune importanti operazioni: identificazione collegiale degli aspetti da accertare nelle verifiche o
osservazioni diagnostiche e scelta degli strumenti da utilizzare;
definizione collegiale dei tempi in cui svolgere con la classe o sezione le verifiche o le osservazioni
diagnostiche;
Individuazione delle modalità con cui saranno letti i risultati delle verifiche/osservazioni diagnostiche
Messa a punto delle programmazioni didattiche specifiche da parte di ciascun insegnante in funzione dei risultati
diagnostici delle decisioni prese collegialmente.
Opportuno inoltre ricordare la valutazione analogica: un dispositivo complesso e sofisticato da realizzare, tuttavia
molto importante da conoscere al fine di realizzare dei percorsi di ricerca e sperimentazione in questo senso. Si tratta
di una valutazione iniziale che mira a fornire informazioni non solo diagnostiche, ma anche prognostiche sul percorso
formativo che l’alunno sta per intraprendere e le sue effettive possibilità di successo. Le ricerche hanno messo in luce
la valenza di prove di accertamento di tipo analogico la cui funzione non è quella di verificare le conoscenze in
possesso indispensabili per affrontare un nuovo argomento, ma ciò che viene verificato è il livello di predisposizione
del soggetto ad affrontare positivamente quell’argomento. Per la loro particolarità e difficoltà di costruzione, tali
prove di verifica in ingresso costituiscono uno strumento valutativo alquanto complesso che richiede approfondite
competenze per un suo adeguato utilizzo.

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La principale qualità di un’attività didattica individualizzata è che essa sia pensata, cioè intenzionalmente progettata e
orientata raggiungimento di obiettivi.
Un obiettivo, dunque, indica una meta da conseguire e se espresso in maniera chiara orienta il processo di
insegnamento attraverso itinerari disciplinari che vedono via via le attività didattiche volte a promuovere il
raggiungimento degli obiettivi. Tutto ciò rende possibile l’instructional alignment, cioè una buona coerenza di tutto il
processo, la cui condizione iniziale è appunto la chiarezza con cui obiettivi sono stati esplicitati.
Occorre osservare che gli obiettivi didattici definiti per ogni unità didattica si pongono come tappe intermedie
fondamentali lungo un itinerario curricolare più complessivo, volto al perseguimento di obiettivi educativi o traguardi
di apprendimento più ampi.
Pellerey, Mette in luce due aspetti per evidenziare la rilevanza degli obiettivi in un processo didattico:
 Il primo è l’opportunità che si offrono in termini di comunicazione tra scuola e famiglia, scuola e territorio, ma
anche tra insegnanti e alunni (Elemento essenziale per aumentare la consapevolezza dello studente rispetto
al percorso da compiere e dunque la sua motivazione)
 Il secondo aspetto è relativo al ruolo che gli obiettivi svolgono nei processi di autovalutazione della scuola. Si
sono innescati processi di autovalutazione a vari livelli: tra gli insegnanti impegnati sulla classe o sezione, tra
insegnanti di una stessa area disciplinare, tra insegnanti e studenti, tra insegnanti e genitori e infine
all’interno del collegio docenti.
Entriamo ora in merito della formulazione degli obiettivi didattici, si è detto diverse volte che devono essere espressi
con chiarezza e precisione, cosa significa tutto questo? Come si può pervenire alla formulazione di obiettivi didattici
assumendo come punto di partenza i traguardi delle indicazioni nazionali?
Per rispondere alla prima domanda, è importante considerare che per formulare correttamente un obiettivo didattico
occorre esprimerlo attraverso una forma sintattica che lo renda verificabile nel senso di poterne controllare il
raggiungimento durante il percorso. Appare chiaro che per formulare un obiettivo occorre esprimerlo in termini
comportamentali, cioè attraverso verbi che indichino chiaramente azioni che il soggetto può mettere in atto e che
siano percepibili nella realtà esterna. Verbi come comprendere, capire, riflettere, credere non potranno essere
utilizzati per esplicitare un obiettivo comportamentale, mentre saranno più adeguati termini che rimandano a
comportamenti osservabili dell’alunno, come: scrivere, recitare, costruire, risolvere, paragonare. Occorre fare
attenzione a non scambiare la definizione dell’obiettivo da raggiungere con la definizione del processo attraverso il
quale l’insegnante intende raggiungerlo. Un obiettivo infatti ha sempre come soggetto l’alunno che mette in atto una
prestazione.
Possono risultare utili le tassonomie degli obiettivi, esse identificano differenti livelli (dal più semplice al più
complesso) di abilità cognitive che il soggetto può introdurre in un processo di insegnamento-apprendimento in
relazione a specifici contenuti disciplinari. Le tassonomie rappresentano dei tentativi di ordinare in un certo numero
di categorie tutte le abilità richieste per conseguire un obiettivo di un processo di insegnamento-apprendimento. Le
tassonomie più conosciute sono quelle di Bloom, Gagné e Guildford. Quella di Bloom è la più conosciuta e quella
maggiormente utilizzata si va a dividere secondo conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi e infine
valutazione.
Le tassonomie non possono proporsi come vere proprie guide per definire gli obiettivi di apprendimento ma possono
essere particolarmente utili se considerate come una sorta di bussola di orientamento da utilizzare con senso critico
per precisare la formulazione degli obiettivi didattici.
Passando ora alla seconda domanda occorre osservare che per la definizione di un obiettivo comportamentale la
possibilità di riferirsi a un obiettivo più generale, condiviso e livello nazionale, costituisce di per sé una condizione
essenziale. I traguardi per lo sviluppo delle competenze che vengono specificate nelle indicazioni nazionali
rappresentano dunque degli obiettivi generali riferiti a specifici ambiti disciplinari utili ad impostare una didattica volta
effettivamente lo sviluppo di competenze.
Il concetto di competenza è un concetto complesso in cui entrano a far parte diverse componenti: cognitive,
motivazionali, sociali. Nella competenza le caratteristiche psicologiche del soggetto, le sue credenze e abitudini si
integrano contratti stabili dell’apprendimento: le conoscenze e le abilità. La competenza in quanto tale non potrà in
nessun caso essere globalmente rilevata; le conoscenze e le abilità costituiscono tuttavia dei validi indicatori di
competenza. Ciascun obiettivo didattico potrà quindi essere formulato a partire da una declinazione dei traguardi per
lo sviluppo delle competenze, identificando:
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 Le specifiche abilità cognitive che tale traguardo richiede;


 I contenuti, in termini di saperi, sui quali l’abilità cognitiva si esercita
 I contenuti rappresentano ciò che viene proposto agli alunni in vista del raggiungimento degli obiettivi
didattici preventivati.
I contenuti didattici sono sempre un aspetto ineliminabile importantissimo che caratterizza la definizione degli
obiettivi in termini operativi. Quando si vogliono correttamente individuare gli obiettivi didattici specifici a partire dai
traguardi definiti a livello nazionale: i traguardi per lo sviluppo possono essere letti in termini di competenza, cioè di
obiettivi di apprendimento complessi, in cui non è compreso solo il possesso di specifiche conoscenze scientifiche, ma
anche la capacità di utilizzare in modo funzionale tali conoscenze in contesti di vita reale. In conclusione, è importante
sottolineare come la formulazione degli obiettivi didattici costituisca la fase centrale di tutto il percorso didattico
anche in relazione alla fase di valutazione diagnostica. Tra fase diagnostica e fase di formulazione di obiettivi si
instaura dunque un rapporto dialettico di continua ricerca di equilibrio: l’insegnante deve interrogarsi su come
mediare tra una definizione di obiettivi che sia consona ai livelli di partenza degli alunni e la necessità di non
rinunciare a raggiungimento di competenze fondamentali.
 la definizione dei mezzi (Metodi, strumenti e procedure). In questo paragrafo saranno presi in esame i
principali ambiti che richiedono attenzione in sede di programmazione didattica, ovvero:
Scelta dei contenuti da trattare
Scelta dell’approccio didattico
Scelta di strumenti tecnologie materiali
Organizzazione degli spazi
Organizzazione dei tempi
 la scelta dei contenuti
I traguardi delle indicazioni nazionali pur non essendo rigidamente prescrittivi, individuano ambiti di saperi
irrinunciabili per tutti cittadini e dunque pongono gli insegnanti la questione di come possono essere garantiti a tutti
gli studenti lungo il percorso di studi. I saperi hanno a che fare con la pratica, con situazioni specifiche, con valori e
abitudine consolidate. I traguardi delle indicazioni nazionali riprendono saper irrinunciabili per una cittadinanza attiva.
Sul versante della programmazione didattica, esiste un insieme di criteri di riferimento importanti per la scelta dei
contenuti da proporre agli studenti all’interno delle unità didattiche. I Nicholls evidenziano quattro criteri importanti:
 La validità: cioè la possibilità che i contenuti siano autentici e attuali
 La significatività: cioè la necessità che i contenuti siano significativi e rilevanti rispetto all’obiettivo di
apprendimento che ci si propone di raggiungere
 L’interesse: cioè l’importanza di scegliere contenuti interessanti e che motivino l’alunno
 La possibilità di apprendimento: la cura affinché i contenuti selezionati siano effettivamente accessibile le
possibilità di apprendimento dei ragazzi
Ausbel sostiene che la significatività è costituita dal grado di collegamento di ciascun contenuto con altre conoscenze
e con elementi esperienziali. Un apprendimento è logicamente significativo quando ha una struttura ricca articolata,
sia internamente a se stesso, cioè di coerenza tra i vari elementi del contenuto, sia all’esterno di se stesso, in termini
di utilizzabilità da parte dell’alunno. Tale utilizzabilità è data dalla possibilità dell’alunno di ancorare il nuovo
contenuto alle conoscenze che già possiede. La caratteristica fondamentale di un apprendimento significativo è
dunque costituita dal fatto che gli allievi collegano consapevolmente le nuove informazioni ai contenuti già presenti
nella loro struttura cognitiva. L’insegnante deve riuscire a soddisfare tre condizioni:
1. Preparare materiali significativi, coerenti e contestualizzabili
2. Verificare che l’alunno abbia conoscenze rilevanti a cui ancorare il nuovo contenuto
3. Mettere in grado l’alunno di stabilire collegamenti

Al fine di un utilizzo consapevole didattiche è fondamentale che l’insegnante faccia riferimento agli stili di
apprendimento degli alunni; la fase di valutazione diagnostica iniziale deve avere infatti una ricaduta importante sulla
scelta delle metodologie. Il docente deve essere consapevole di quali sono le modalità con cui gli dicenti elaborano
l’informazione durante il processo di apprendimento: vi possono essere stili globali oppure analitici (a seconda che si
proceda nello studio dal generale al particolare oppure viceversa); stili dipendenti o indipendenti dal campo (a
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seconda che vengano meno messe in risalto le connessioni tra argomento e contesto); stili verbali o visuali
(preferenza per codici linguistici oppure iconici) stili convergenti e divergenti (in relazione all’uso del pensiero creativo
nella ricerca di soluzioni) ecc.. Anche i codici linguistici sono importanti per avere maggiore consapevolezza sulle
modalità con cui strutturano la propria conoscenza, in questo modo producono differenti rappresentazioni del sapere
e della realtà.
Un ulteriore aspetto, connesso alle meta competenze degli alunni e da cui il docente può trarre utili indicazioni per la
didattica, è dato dalla conoscenza dei loro stili attributivi. Le attribuzioni sono processi attraverso i quali gli individui
interpretano le cause degli eventi, delle azioni e dei fatti che si verificano nell’ambiente. In base allo stile attributivo
prevalente, ciascun alunno tende interpretare anche i fenomeni relativi all’apprendimento scolastico. Se il successo
l’insuccesso nello studio viene attribuito a cause controllabili dallo studente allora avremo una sua disponibilità
positiva impegnarsi nello studio, in caso contrario avremo lo studente con stile attributivo connesso a cause
incontrollabili, cioè convinto che i risultati dell’apprendimento dipendono da fattori non modificabili. La
consapevolezza dell’insegnante di fronte a tutti questi fattori è di grande importanza al fine di poter adottare nella
relazione con l’alunno uno stile educativo il più possibile adeguato.
L’attenzione allo stile cognitivo dell’alunno dovrebbe dunque costituire una preoccupazione del docente nella
gestione della relazione didattica; tale relazione deve essere infatti principalmente orientata a promuovere
l’apprendimento dello studente evitando inutili buonissimi dettati dal desiderio di creare con l’allievo buone relazioni
a livello affettivo.
Nella prospettiva di una didattica individualizzata, come si è detto la possibilità di una diagnosi attenta delle
competenze e metà competenze degli alunni costituisce un’opportunità fondamentale per farsi che l’intervento
didattico dell’insegnante sia calibrato rispetto alle diverse esigenze cognitive di ciascuno studente e agisca in
modo efficace sulle sue strutture cognitive, ponendosi nella sua zona di sviluppo prossimale e permettendogli così di
cogliere ed elaborare in modo efficace il significato di ciò che gli viene comunicato, partecipando attivamente al suo
stesso processo di apprendimento. Insegnamento-apprendimento è una relazione tra il porgere e l’afferrare saper
porgere i saperi “all’altezza giusta” in modo che l’allievo possa afferrarli con uno sforzo attivo commisurato alle sue
effettive possibilità. Il docente ha il compito di proporre lezioni ben strutturato conducendo l’apprendimento
mantenendo un equilibrio tra apprendimento personalizzato e l’assimilazione dei contenuti.

Per quanto riguarda le altre scelte da effettuare in sede di programmazione didattica in merito ai mezzi, occorre
ricordare l’importanza di un uso consapevole degli strumenti e dei materiali didattici. Le opportunità legate alle
strumentazioni didattiche, sia tradizionali, sia legate all’uso delle tecnologie dell’informazione della comunicazione
sono oggi molteplici e vanno dall’uso combinato della lavagna fino alle possibilità di utilizzo di Internet in classe,
all’uso di lavagne digitali interattive. In tutto questo l’unico criterio di scelta deve essere la progettazione consapevole
collegiale della didattica, capace di interrogarsi su che cosa offre una particolare strumentazione e dunque di scegliere
in funzione degli apprendimenti che si vogliono promuovere negli alunni e delle caratteristiche cognitive degli alunni
stessi. Un ulteriore elemento da tenere in considerazione per scegliere gli strumenti e sicuramente determinato dalla
capacità di utilizzo da parte degli insegnanti; un’insegnante competente sulle specifiche funzioni che lo strumento può
fornire riuscirà infatti a rendere più proficua l’attività degli studenti.
La scelta delle strumentazioni implica poi la predisposizione di materiale ad hoc, funzionanti come specifici mediatori
didattici per l’apprendimento degli alunni. Anche in questo caso è fondamentale evidenziare la necessità di variare i
linguaggi mediatori così come proposto anche dalle linee guida sull’Universal Design for Learning, capace di stimolare
i diversi codici di apprendimento dell’alunno: quello verbale e simbolico, ma anche quello iconico, corporeo-
espressivo, quello analogico e quello attivo, che stimola la rappresentazione fisico-percettiva.
L’organizzazione degli spazi e dei tempi si connette strettamente a queste scelte: spazio e tempo sono due categorie
fondamentali all’interno delle quali si sviluppa il pensiero e l’apprendimento e devono dunque anche essere
progettate con cura e attenzione.
Lo spazio determina fortemente il clima del setting formativo; a seconda della sua predisposizione favorisce specifiche
modalità di raggruppamento degli alunni, così come può facilitare l’uso appropriato di strumentazioni e materiali, il
rispetto delle regole, il mantenimento di un comportamento disciplinato.
Ovviamente una programmazione Chiara della tempistica di un’attività didattica non significa rigidità e inamovibilità,
ma significa intenzionalità e consapevolezza rispetto al valore che il tempo conferisce all’attività. Tempi e fasi di lavoro

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definiti e condivisi tra insegnanti alunni dando la possibilità di stabilire patti formativi chiari.
Nella logica della programmazione didattica, anche l’intenzionalità progettuale relativa ai mezzi dell’azione educativa
significa sempre esplicitazione chiara di scelte di regole, ma anche flessibilità, disponibilità, purché siano dettate da
logiche di consapevolezza e razionalità.

Due ultime riflessioni sembrano importanti pensando all’attuale contesto della nostra scuola di base. La prima
inerente all’urgenza di ritrovare nella scuola validi e proficui momenti di collegialità in cui gli insegnanti possano
confrontarsi tra di loro: discussione di situazioni didattiche tra insegnanti di classi o sezioni diverse; incontri e
confronti con esperti di didattica generale e disciplinare; scambi di insegnanti su classi o sezioni diverse e osservazione
reciproca. Tuttavia, tutte costituiscono occasioni fondamentali per costruire un autentico clima di collegialità, fondato
su un atteggiamento di disponibilità allo scambio e al confronto.
La seconda riflessione segue il filologico della prima ed è inerente all’importanza di promuovere nella scuola la cultura
della sperimentazione didattica. Fare sperimentazione didattica significa infatti uscire dalla logica esperienziale e
verificare empiricamente, attraverso modalità sistematiche, l’efficacia di specifiche metodologie di insegnamento.
Così come la valutazione diagnostica in ingresso anche la valutazione in itinere costituisce l’elemento determinante
per qualificare un’azione didattica individualizzata, esse consentono di considerare le differenze tra gli alunni e le loro
eventuali difficoltà di apprendimento come occasioni per rendere flessibile e indirizzare in modo più preciso l’azione
formativa verso traguardi di qualità per tutti.
La principale funzione della valutazione formativa è dunque quella di strumento regolatore dell’attività didattica, essa
consente una raccolta di dati sui risultati raggiunti e la possibilità della messa in atto di successivi interventi didattici
differenziati. Le caratteristiche essenziali che devono avere le prassi corrette di valutazione formativa sono:
 Le valutazioni formative si svolgono durante il percorso didattico
 Sono mirate a rilevare informazioni analitiche su specifici apprendimenti dell’alunno
 Forniscono informazioni utili per intervenire con correttivi sul processo di insegnamento- apprendimento
mettendo in atto momenti mirati di recupero di consolidamento
Le informazioni che scaturiscono dalle valutazioni formative hanno carattere essenzialmente privato, si evitano
comunicazioni eccessivamente pubbliche a livello di gruppo classe o sezione. Tali valutazioni non devono in alcun
modo concludere con un voto, ma semplicemente con l’individuazione di eventuali errori dell’alunno, da considerare
come una risorsa fondamentale per l’intervento didattico.
La valutazione formativa e parte del processo di apprendimento e non dovrebbe essere confusa con l’assegnazione
delle classificazioni finali. L’uso di classificazione delle valutazioni formative può avere due effetti indesiderabili: il
primo, le ripetute classificazioni negative convincono gli studenti di essere in realtà negativi; il secondo, sì risultati
formativi forniscono con la loro media la classificazione finale, gli studenti alla fine raggiungono un punto in cui, per
quanti sforzi facciano, non possono elevare la loro media finale.
La valutazione formativa è uno strumento essenzialmente didattico, finalizzato a fornire feedback all’insegnante, utili
ad assumere decisioni e agire consapevolmente per promuovere l’apprendimento dell’alunno.
Per realizzare questo tipo di valutazione le strategie si concentrano sulla possibilità di creare uno spazio di relazione
tra insegnante e alunno, successivo allo svolgimento di una prova, in cui i due riescano a condividere una
rappresentazione del processo di apprendimento di quest’ultimo; questo può risultare possibile se l’alunno è posto
nella condizione di esplicitare, ad alta voce, come ha proceduto nel suo ragionamento. All’interno di questo momento
di condivisione l’insegnante individua i punti di difficoltà e sostiene l’allievo nella correzione degli errori creando una
sorta di impalcatura di sostegno fatta di aiuti nel ragionamento che saranno poi tolti ma mano che l’alunno diviene
più autonomo (Scaffolding).
Dal punto di vista dell’organizzazione didattica, la realizzazione di tale modalità valutativa richiede di rivedere il setting
tradizionale in cui si svolgono le verifiche durante le unità didattiche.
Innanzitutto, il gruppo degli insegnanti deve identificare quali sono i momenti in cui collocare le verifiche formative; in
secondo luogo, gli insegnanti devono scegliere o costruire prove di verifica (di tipo strutturato, ma anche comprensive
di tipologie di domande aperte) capaci di rilevare in modo analitico le possibili difficoltà dell’alunno. La
predisposizione della prova richiede poi ai docenti di fare attenzione al fatto che possa essere svolta in tempi brevi e
possa essere corretta attraverso chiavi di lettura chiare e precise, dunque pensate.
La prova deve essere corretta in tempi altrettanto brevi. Infine, dopo la correzione della prova, gli insegnanti devono
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prevedere un tempo adeguato a poterne discutere i risultati con gli alunni. Tale momento, è realizzato perlopiù
attraverso la correzione in classe, in grande gruppo, della prova. Ricerca in tale ambito mettono in evidenza
l’importanza di individuare momenti più specifici, mirati e privati di analisi degli errori tra insegnante e allievi,
momenti quindi di dialogo educativo. È possibile ipotizzare altri tipi di strutturazione spazio- temporali in cui il
docente gli allievi possono collocare i momenti più esplicitamente finalizzati a un dialogo diagnostico nel contesto
della valutazione formativa. Rinunciare a questi momenti di dialogo nella valutazione formativa, significa per
insegnante rinunciare a comprendere le difficoltà specifiche dell’alunno e dunque rinunciare infine a un intervento
didattico di recupero mirato ed efficace.

La valutazione sommativa: un bilancio sugli apprendimenti conseguiti e sulla qualità della didattica L’ultimo aspetto su
cui, in fase di programmazione didattica, occorre assumere decisioni e quello della valutazione sommativa, ossia quel
momento di verifica e valutazione che si pone al termine dell’unità didattica. Si tratta di quelle valutazioni che si
pongono alla fine di un quadrimestre, di un anno scolastico o alla fine di un ciclo scolastico… Nell’ottica di una
didattica individualizzata è molto importante trovare connessioni tra momenti di valutazione formativa e di
valutazione sommativa. Si può approfondire il discorso entrando nel merito delle prove di livello. Per esempio, dopo
aver analizzato discusso con gli studenti risultati di una prova formativa e dopo aver proposto momento di recupero
può essere molto utile proporre allo stesso gruppo, e solo adesso, una prova sommativa orientata verificare le
conoscenze e le abilità su cui si è concentrato il recupero. In questo modo, il gruppo che aveva evidenziato delle
difficoltà, avrà ora l’opportunità di svolgere una prova sommativa intermedia, aggiuntiva rispetto agli altri alunni della
classe. In questo modo è possibile tenere maggiormente sotto controllo il rendimento degli alunni e allo stesso modo
dimostrare loro che hanno opportunità di conseguire buoni risultati.

I principali aspetti che caratterizzano la funzione sommativa della valutazione sono:


Si attua al termine di un percorso di insegnamento-apprendimento al fine di fare un bilancio sui risultati raggiunti in
funzione degli obiettivi preventivati
A carattere pubblico, il voto o il giudizio sono oggetto di una comunicazione sociale che esce dalla relazione
insegnante-alunno (tabelloni)
Tende a verificare i nuclei complessi di conoscenze abilità, nel senso che si focalizza su ampie aree di apprendimento
Costituisce l’indicatore principale per valutare la qualità della didattica e la qualità della scuola E se i risultati delle
prove sommative costituiscono un indicatore per accertare se e fino a quale punto gli obiettivi di apprendimento sono
stati raggiunti da ciascun alunno, allo stesso modo forniscono un’immagine di quanto è stata valida la proposta
didattica della scuola. Questo comporta dunque un’apertura della valutazione sommativa a un ulteriore funzione
della valutazione, che è quella della qualità dell’istruzione. Tale valutazione dà quindi la possibilità di innescare nella
scuola processi di valutazione eterodiretta, ma anche di autovalutazione.
Una seconda direzione di programmazione della didattica è quella della personalizzazione, volta a valorizzare i talenti
naturali dell’alunno suggerendo piste possibili di apprendimento e tesa a far emergere le naturali potenzialità ed
eccellenze individuali nelle varie forme di intelligenza.
Il ruolo della scuola nella prospettiva della personalizzazione dunque soprattutto quello dell’apertura di possibilità e,
al contempo, della promozione di una cultura del rispetto della valorizzazione delle differenze individuali. È
necessario che la scuola promuova negli alunni l’opportunità di scoprire le proprie attitudini personali e che le
sostenga creando spazi e occasioni di apprendimento, stimolando l’autonomia dei bambini e facendo leva su una
buona gestione delle relazioni sociali di gruppo.
Per una didattica orientata alla personalizzazione, si evidenzia la necessità che la progettazione degli insegnanti faccia
riferimento a una strategia didattica diversa da quella dell’unità didattica. Si propone così la strategia del progetto
didattico. Nella definizione di Frabboni, il progetto didattico è identificabile come: “pratica metodologica che chiama il
docente a mettere nel motore della programmazione argomenti multidisciplinari “. L’avvio al progetto didattico parte
da un’osservazione attenta degli interessi degli alunni. L’interesse costituisce infatti l’indicatore di un bisogno
fondamentale del bambino. L’osservazione, avviene in fase iniziale, deve poi poter proseguire durante lo svolgimento
del progetto, al fine di raccogliere informazioni su come procede il progetto e su quanto gli alunni siano
effettivamente coinvolti dalle attività didattiche. In un progetto didattico risulta importante delineare alcuni obiettivi
di ordine generale che diano la possibilità a ciascuno studente di orientarsi verso specificità proprie e non verso

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l’acquisizione di abilità uguali per tutti, si può parlare dunque di una rete di obiettivi su cui ognuno può individuare i
propri traguardi.
È importante dunque predisporre contesti ricchi e stimolanti, lanciare proposte offrire strumenti e materiali affinché
gli alunni possano attivare processi di esplorazione cognitiva; è fondamentale inoltre curare il clima sociale, affinché
venga favorita la cultura del riconoscimento dell’abilità individuali, della cooperazione e del rispetto reciproco. In tal
senso si evidenzia l’importanza del laboratorio come luogo privilegiato per la realizzazione del progetto didattico, in
quanto luogo, che valorizza la partecipazione autonoma dell’allievo al processo di costruzione delle sue competenze.
Il progetto Prevede uno stile didattico dell’insegnante molto diverso da quello che utilizzo in un percorso
individualizzato; lo stile deve essere non direttivo. Dunque in quest’ottica l’insegnante chiamato organizzare
l’ambiente, arricchire la situazione di stimoli e offrire sostegni discreti laddove si evidenziano necessità specifiche.
Infine, la progettazione di un progetto didattico deve prevedere la definizione di un momento di valutazione
conclusiva di tipo sostanzialmente sommativa , ma preferibilmente legata alla valorizzazione del percorso compiuto
da ciascun bambino. La valutazione conclusiva di un progetto didattico dovrebbe prevedere una riflessione comune
condivisa, tra insegnanti e con gli alunni, capace di mettere in risalto aspetti quali l’impegno, la partecipazione attiva,
la motivazione degli alunni ma anche momento in cui gli insegnanti riordinano i dati raccolti in modo da documentare
l’esperienza.

CAPITOLO 6 Le strategie chiave della valutazione formativa


La valutazione formativa degli apprendimenti non può essere una pratica saltuaria la sua azione permette di rivedere,
rimodellare o eventualmente stravolgere il percorso didattico pur di favorire l'apprendimento di tutti e di qualità.
Consente di capire se l'intervento didattico programmato e messo in atto è equo. Cambia del tutto quelli che sono i
termini della didattica tradizionale in cui si dava per scontato l'adeguatezza delle procedure didattiche e delle
tecniche adottate , il raggiungimento di un livello soddisfacente dipendeva dunque esclusivamente dal discente.
La valutazione formativa può agire come potenziamento di democratizzazione perché:
cambia la visione del insegnamento centrata sul autorità del insegnante esposta l'attenzione del docente verso tutto
ciò che può essere più vicino ai bisogni e alle difficoltà degli allievi pretende dal insegnante una visione critica e un
atteggiamento riflessivo rispetto al suo lavoro rinuncia alla selezione utilizzata come strumento per promuovere
merito e qualità , sollecita il docente e investire sulla propria competenza didattica prevede strategie non basate su
schemi didattici prescrittivi predilige una comunicazione positiva e motivante richiede di rinunciare al voto come
strumento di motivazione e individua nel feedback la modalità per costruire un patto di corresponsabilità per
l'apprendimento sostiene un ruolo attivo dello studente in un’ottica di autovalutazione e regolazione del proprio
apprendimento.
La valutazione formativa alla base sostiene approcci didattici che si adattino alle necessità che si presentano nel corso
dell' insegnamento-apprendimento. L'insegnante deve diventare un raccoglitore di informazioni durante il percorso
per poterlo modellare al meglio. La valutazione formativa implica ottenere le migliori evidenze possibili su ciò che gli
studenti hanno imparato e quindi utilizzare queste informazioni per decidere cosa fare dopo, la finalità è quella di
ottenere informazioni che suggeriscano piste d'azione e interventi ad hoc. Heritage individua tre step di riflessione per
migliorare l'azione didattica seguito di evidenze raccolte attraverso misurazioni . Sostiene che gli insegnanti devono
domandarsi: che cosa mostrano? Che cosa significa uno in termini di apprendimento degli studenti? che cosa si può
fare per migliorare l'apprendimento ?
Boyle e Charles sostengono che la valutazione formativa sia un processo dinamico che tira fuori evidenze, analisi e
azioni pone diverse questioni agli insegnanti e li permette di interrogarsi sulle loro pratiche restituendo valutazioni
sulla conoscenza didattica pedagogica. Con la valutazione formativa, l'insegnante riconosce la propria responsabilità
didattica e sociale di rispondere adeguatamente ai bisogni degli studenti. Nel dibattito internazionale sono state
specificate cinque strategie chiave di intervento rispetto alla valutazione formativa non sono altro che direttrici
d'azione che contengono allora volta procedure tecniche atte a garantire l' operatività. Queste direzioni sono date
dalle risposte a tre domande fondamentali: dove si sta orientando l'apprendimento dello studente? A che punto è il
suo apprendimento? Come raggiungere l'apprendimento prospettato e condiviso? In base alle risposte si possono
individuare cinque strategie:
1. chiarire e condividere traguardi di competenza obiettivi di apprendimento specifici e criteri di massima
padronanza e qualità
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2. proporre attività che tirino fuori evidenze di apprendimento


3. fornire un riscontro che indichi le tappe successive di apprendimento
4. attivare gli studenti come risorse didattiche degli altri
5. attivare gli studenti come esperti del proprio per rendimento

Gli insegnanti, dunque, non sono più visti come autorità onnisciente di conoscenza e gli studenti come passivi
recipienti , nella riflessione che dovrebbe fare ogni docente sull’effettivo utilizzo di tutte e 5 le strategie è necessario
osservare che ciascuna può potenzialmente aumentare la propria efficacia se completata dalle altre quindi bisogna
prendere in considerazione l'inserimento integrale di tutte queste strategie.

Strategia n.1 Chiarire e condividere gli obiettivi di apprendimento La prima strategia consiste nel coinvolgere lo
studente nel monitoraggio del percorso di insegnamento apprendimento che non deve essere vissuto come passivo e
chiamato infatti ad autoregolarsi e ad indirizzare il proprio impegno grazie ai feedback ricevuti. È necessario che ci sia
chiarezza e un linguaggio accessibile , deve essere chiaro che il traguardo di competenza si raggiunge se si conoscono ,
concordano specifici fatti eventi nozioni e regole e se si sa fare concretamente qualcosa. Dopo aver presentato il
traguardo il docente può chiedere ad esempio: per raggiungere questa competenza secondo voi che cosa occorre
conoscere e cosa occorre saper fare in senso pratico?
È necessario sottolineare che se atteggiamenti e strategie metacognitive rientrano nella programmazione devono
essere trattate con pari dignità rispetto agli altri. se coinvolgiamo gli studenti in un Brain storming chi permette di
individuare molti obiettivi specifici sul piano metacognitivo permettiamo a loro che imparino sempre di più a
individuare conoscenze abilità in modo pertinente al traguardo di competenza è importante raccogliere anche le
preoccupazioni EI dubbi questi aspetti possono essere indicativi di difficoltà non emerse o di necessità di
approfondimento. Una volta raccolti gli obiettivi specifici grazie gli interventi degli studenti bisogna spiegare perché a
livello didattico si è pensato di focalizzarsi solo su alcuni , è utile che li scrivano nei loro quaderni il modo che non
sentono il percorso come estraneo
è importante la condivisione della struttura ipotizzata per ogni lezione, può essere particolarmente funzionale perché
permette una chiarezza procedurale supporta il senso la prospettiva del traguardo di competenza da raggiungere,
sostiene l' autoregolazione del attenzione e dell’impegno nel della lezione, da più impulso al processo di chiarezza e
trasparenza e offre spunti per un confronto docente discente.
I criteri devono essere presentate sotto forma di scale di livelli e si possono essere molto utili per monitorare i
progressi in itinere ma soprattutto per permettere agli studenti di auto osservarsi e ragionare sulle modalità più utili
per raggiungere la padronanza. Nella griglia è possibile osservare come vi siano diversi gradini di padronanza prima di
raggiungere l'obiettivo specifico , ma mostra anche gli ultimi gradini che sono un livello massimo di qualità.

Strategia n.2. Proporre attività che elicitino (tirino fuori) evidenze di apprendimento Il docente programma e
propone momenti valutativi caratterizzate da attività utili per raccogliere dati su ciascuno studente. Egli predispone
momenti di osservazione che possono restituire in modo valido informazione sulla distanza tra gli obiettivi di
apprendimento e la performance del studente. È importante la scelta della tipologia di prova e dipende dal tipo di
obiettivo di apprendimento che si vuole accertare. È importante specificare alla somministrazione della prova che si
tratta di una prova di valutazione formativa individuale senza l'utilizzo del voto infatti questo espediente secondo
Butler porta gli studenti a prestare meno attenzione al feedback in quanto concentrati sul voto, spesso utilizzandolo
come mezzo di confronto con i loro pari. Il feedback in forma numerica ha un effetto negativo anche sul autostima
degli studenti con scarse capacità , essi necessitano e meritano un'opportunità di' a prendere prima di ricevere un
voto. La valutazione formativa e utilizzata prima della didattica per capire dove sono gli studenti e durante per
osservare i loro progressi. È possibile che ci siano resistente o perplessità all' assenza del voto ma è importante che il
docente sottolinei e ripeti che questo momento di verifica è utile per ricavare spunti di miglioramento alla didattica.
Occorre sottolineare l'importanza alle modalità di condivisione dei criteri di valutazione e correzione: è importante
correggere la prova in tempi brevi e vi devono emergere ciò che lo studente ha e non ha ancora appreso.
È sicuramente utile per l’insegnante appuntarsi il punteggio ottenuto in una griglia personale per poter avere una
panoramica (precisando i punti di forza e gli errori), esso è infatti solo un’informazione che aiuta a contestualizzare le
performance del singolo e dell’intera classe in modo, eventualmente di proporre interventi compensativi. Può essere

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anche utile appuntarsi gli errori più frequenti o uno ad uno, in modo da intuire più velocemente e con precisione
l’area che necessita di un maggiore sforzo di lavoro e dare indicazioni chiare per poter raggiungere l’obiettivo.
Alla consegna della prova si potrebbe anche richiedere allo studente di trovare gli errori e riflettere sulla sua
prestazione. È possibile che l'insegnante non abbia oggettivamente il tempo materiale per un momento di valutazione
formativa completo a causa di ciò la valutazione formativa si riduce a una distribuzione di feedback generici a tutti gli
alunni senza che ci sia stato un adeguata raccolta dati.

Esiste dunque la valutazione formativa cosiddetta veloce che garantisce l’esercitazione delle evidenze in tempi brevi e
di avere un'idea generale di ciò che è stato acquisito e cosa sono funzionali nella pratica didattica quotidiana e
permettono di creare momenti di valutazione formativa utili quando i tempi sono ridotti. Consentono di identificare
rapidamente gli errori e di lavorare immediatamente sull’analisi degli stessi con la classe ma hanno dei difetti di
contenuto:
 richiedono la selezione di conoscenze o abilità fondamentali da rilevare
 non assicurano un’analisi accurata degli apprendimenti ma uno sguardo generale
 l'insegnante è costretta guardare velocemente gli input e le risposte con il rischio di perdere dettagli
Con queste tecniche di valutazione e improbabile dare feedback individualizzati e possibile invece fornire feedback
ben strutturati all' intera classe, quindi pur essendo utili in caso di tempistiche brevi sono prove incomplete e da
integrare con altre strategie di valutazione formativa.

Strategie n.3 Fornire un feedback che indichi le tappe successive di apprendimento Il feedback centrale all'interno
del processo di apprendimento perché attraverso il suo utilizzo lo studente informato sul cammino che sta svolgendo
per imparare e ad essere citata da agire per il miglioramento. È necessario uno stretto legame tra le mete di
apprendimento quindi i traguardi e un momento autovalutativo dello studente a seguito della correzione di una prova
o al termine di una prova orale virgola in questo modo il feedback si inserisce in un quadro di consapevolezza dello
studente punto il feedback è generalmente costituito da un commento successivo a una prestazione, restituisce
informazioni sulla qualità della performance senza però esprimere un voto . L'insegnante identifica, comunica i punti
di forza e di debolezza e fornisce informazioni su come migliorare. Gli oggetti a cui il focus si riferisce sono
sostanzialmente tre e dipendono da
 cosa si osserva focus sul compito
 focus sui processi del compito, inerenti ai processi cognitivi messi in atto
 focus sull’autoregolazione dello studente (strategie messe in atto per portare a termine la richiesta)
Il feedback potrebbe avere un solo focus o comunque uno prevalente. È importante che la descrizione si esprime in
modo specifico e non vago, devono emergere con chiarezza e linguaggio semplice i tratti distintivi del compito dei
processi o delle strategie. È importante che vengano evitati sia se riferimento alla personalità dello studente in modo
da non creare una fissità valutativa. I feedback devono sempre avere valenza positiva , questo non vuol dire che
devono essere occultati ma semplicemente deve emergere la possibilità di miglioramento e di cambiamento. Per
ottenere un bilanciamento il modello comunicativo di feedback maggiormente utilizzato è quello Sandwich ossia
stratificazione tra ingredienti positivi, critici e di strategia di miglioramento. Può essere utile completare la procedura
con un confronto con le prestazioni precedenti sullo stesso compito dello studente per rinforzare i progressi registrati.
Si predilige un feedback individuale per diverse ragioni:
 dalla percezione di un' attenzione reale del docente sui processi del singolo
 da effettivamente la possibilità di creare un feedback ad hoc
 permette che si consolidi un rapporto basato su tecniche di processi di apprendimento
 tutela maggiormente la privacy dello studente
Il feedback collettivo è consigliabile quando si vuole restituire una visione globale dell’andamento della classe e
per promuovere l'idea di una comunità che ha prende e condivide responsabilità.
Generalmente preferibile il feedback orale per le implicazioni comunicative e sopporta però diverse criticità legata al
fatto che lo studente dopo tra consultarlo in futuro durante il processo di apprendimento è dunque consigliabile
associare anche a un feedback orale uno scritto. Il feedback scritto può essere riportato direttamente nella prova con
commenti contingenti i punti di forza e di debolezza del compito in modo da permettere al bambino di focalizzarsi per
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bene sull’informazione e associarla all'aspetto segnalato e auspicabile che il feedback ci ha dato il più presto
possibile , nella stessa elezione se la correzione richiede poco o nella lezione successiva. La motivazione verso il
feedback deve essere costruita attraverso attenzioni:
 utilizzare il feedback frequentemente
 riferirsi al feedback anche nelle lezioni successive (mostrando che ci si ricorda cosa si è detto agli allievi )
 creare attività e momenti in cui si chiede di consultare i feedback agli studenti
 verificare ciclicamente se il bambino è impostato modalità di recupero a seguito del feedback
 chiedere riscontri agli studenti sulla lezione e sulla chiarezza della spiegazione
 mostrare che si tengono in considerazione i feedback dello studente
 abituare gli studenti a formulare feedback su sé stessi

Strategia n.4 Attivare gli studenti come risorse didattiche per gli altri È consigliabile organizzare attività in cui gli
allievi si supportino, lavorino insieme, si monitorino e si auto valutino, l'idea è quella di creare una comunità di
apprendimento che condivide lo stesso percorso e le stesse responsabilità individuali e collettive. Il gruppo casse può
discutere e riflettere in modo guidato in debriefing di attività di episodi critici della vita scolastica virgola in circle time
in dibattiti su temi di attualità che li interrogano da vicino. È importante sottolineare che non tutte le classi hanno i
prerequisiti comportamentali e socio affettivi per poter portare avanti un processo collaborativo è importante dunque
che l'insegnante si avvicini a tale strategia inserendo lentamente momenti di confronto.

Strategia n. 5 attivare gli studenti come esperti del proprio apprendimento l'insegnante può sollecitare lo studente
ad autovalutarsi al termine di ogni lezione o percorso didattico valutativo virgola, in questo modo, potrà riflettere su se
ha corrisposto alle attese di impegno e ascolto previste. i momenti auto valutativi possono essere agevole con utilizzo
di tecniche di valutazione formativa veloce. Le abilità di autovalutazione dello studente possono essere sviluppate
quando il docente restituisce la prova corretta (ovviamente senza voto) con semplice indicazione di aree della
performance con errori, lacune o imprecisioni. Se supportato lo studente può:
 individuare gli errori in autonomia
 comprendere il motivo per cui sono stati commessi
 leggere criteri di valutazione della prova
 riflettere sul livello di qualità o adeguatezza raggiunta
 definire in forma scritta o orale la propria percezione di qualità o adeguatezza dei criteri valutativi
 riprendere rileggere bene i traguardi di competenze , obiettivi specifici
 esprimere la propria posizione riguardo al traguardo di competenza
 individuare strategie di miglioramento e recupero
In questi momenti è importante che l'insegnante tenga conto dell'abitudine a strutturare attentamente i momenti di
valutazione, in modo che lo studente non risolva in fretta l'invito all' allievo a pensare a strategie di recupero e di
miglioramento

CAPITOLO 7. TECNOLOGIE DIGITALI TRA MACRO E MICRO PROGETTAZIONE DIDATTICA


Elementi critici che caratterizzano il contesto italiano:
 la diffusione delle tecnologie digitali è stato un processo a macchia di leopardo che ha prodotto forti
differenziazioni tra regioni
 gli approcci adottati per sostenere la formazione continua dei docenti non sempre sono riusciti a fornire
adeguati esempi di modelli di insegnamento-apprendimento in grado di rendere efficace l’azione didattica
mediata da tecnologie digitali.
Il digitale nella professionalità docente
Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) 2015 → si sono proposte una serie di mete e azioni per raggiungere l’obiettivo
“scuola digitale” in Italia. Sono state attivate una serie di investimenti infrastrutturali finalizzati anche a formare il
personale scolastico sul tema del digitale. Viene introdotta la figura dell’animatore digitale.
Gli applicativi digitali del MIUR (es. Scuola in Chiaro) messi a disposizione per rendere visibile e accompagnare il lavoro
di progettazione educativa e di programmazione didattica delle scuole rispetto alla stesura e alla pubblicazione di
PTOF, RAV, PDM, sono un esempio di come il digitale possa contribuire a rendere esplicita la progettazione educativa
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e didattica dei docenti. Modello TPACK (Technology, Pedagogy And Content Knowledge): un insegnante oggi deve
essere competente in questi tre domini (PEDAGOGIA, TECNOLOGIA E CONTENUTI DEL PROPRIO AMBITO
DISCIPLINARE) e saper navigare tra di essi in maniera dinamica, soprattutto nelle loro intersezioni. Nel FRAMEWORK
EU DIGCOMPEDU (2017) le competenze digitali sono definite come di natura TRASVERSALE, tali da qualificare
ulteriormente il docente. Nel campo del digitale sono fondamentali le dimensioni di ACCESSO e PARTECIPAZIONE
degli alunni.
MACRO PROGETTAZIONE: risultato di un processo collegiale attraverso il quale si definisce il curricolo.
MICRO PROGETTAZIONE: livello di progettazione individuale e collegiale che fa i conti con la programmazione delle
sequenze didattiche (lezioni).
Nel corso degli ultimi anni sono nati molti artefatti digitali con lo scopo di sostenere i docenti durante la pianificazione
dell’azione didattica. Alcuni elementi possono guidare il design di un artefatto digitale:
 l'importanza di considerare nella progettazione l'elemento visuale, come una mappa, un diagramma, una
qualsiasi rappresentazione grafica chi sei in grado di rendere esplicita l'idea del docente rispetto al contenuto
didattico che ha in mente.
 si è ormai superato un approccio procedurale che vede nel momento della progettazione dell'azione didattica
un processo sequenziale nel quale ogni variabile viene vista come entità autonoma. Gli obiettivi, i contenuti
non si presentano isolati, Ma già interni a processi complessi, ai fili della stessa trama, che poi all'azione
didattica.
CONOLE: ci sono almeno due tipologie di strumenti digitali. Quelli che consentono la visualizzazione dei concetti e i
Pedagogical Planner (PP), ovvero ambienti costruiti per guidare gli insegnanti attraverso la costruzione di progetti per
sessioni di apprendimento che fanno un uso efficace della tecnologia. Quali sono i Pedagogical Planner?
 LAMS: Learning Activity Management System (2005) strumento per PROGETTARE, GESTIRE e FRUIRE di
attività di apprendimento collaborativo in rete. Dispone di una modalità autore e di una utente e comprende
dei blocchi, corrispondenti a diverse attività del processo di insegnamento-apprendimento.
 LPP: London Pedagogy Planner valorizza il potenziale delle tecnologie digitali
 CAVIR: Cooperative Virtuale Agorà consente ai docenti di cooperare alla costruzione di script.
*I ricercatori dell’UNI di Macerata, hanno esplorato l’ambito del LEARNING DESIGN e hanno dato vita ad un progetto
nazionale PROPIT, creando un software che funge da GRAPHIC ORGANIZER con il quale i docenti possono
rappresentare graficamente i due livelli di progettazione MACRO (PROGETTAZIONE EDUCATIVA) e MICRO
(PROGRAMMAZIONE
DIDATTICA). Anche se il sistema è ancora poco usato e poco conosciuto, rappresenta una valida opzione in un’ottica di
miglioramento, innovazione e adeguamento alle tecnologie tre le strategie
Un insegnante consapevole del senso della valutazione formativa con una buona padronanza del set di strategia e
riesce a costruire una didattica:
proattiva : capace di immaginare e pianificare obiettivi e trovare il modo di farli raggiungere
reattiva: sensibile ai dati e le informazioni rilevate
interattiva: propensa a individuare nuove modalità e linguaggi per entrare interazione con studenti
riparativa: rispetto alla condizione di svantaggio socio culturale o il senso di impotenza preso in percorsi di
fallimento scolastico.

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