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8
Pier Cesare Rivoltella
Pier Giuseppe Rossi (eds.)
L’agire didattico
Manuale per l’insegnamento
E D I T R I C E
LA SCUOLA
La collana è peer reviewed
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5
Introduzione
7
Introduzione
2. Oltre il costruttivismo
Wilson, nel 2005, per descrivere la situazione
Il valore della pratica che si era creata nella didattica dall’inizio del
nuovo millennio, così si esprimeva:
8
Oltre il costruttivismo
Negli ultimi anni sono emerse anche altre riflessioni critiche sul
costruttivismo. Gli esempi precedenti sono stati scelti perché si pon-
gono in un’ottica di superamento dialettico e non di opposizione al
costruttivismo e ne recuperano alcuni elementi fondanti. Non a caso
Lesh e Doerr parlano di post-costruttivismo.
9
Introduzione
10
Oltre il costruttivismo
11
Introduzione
12
Le prime risposte
3. Le prime risposte
L’apprendimento, come anticipato, richiede una partecipazione
attiva dello studente. È una rimappatura che tiene conto dei concetti
posseduti e degli stimoli esterni accettati. Ma come si sviluppa tale
processo? È un percorso solo interno alla mente o interagisce con
quanto accade nel mondo? E, qualora si ammettesse che tale pro-
cesso abbia un legame con l’ambiente, il rapporto è deterministico,
oppure il soggetto rielabora gli input in base alla propria struttura?
A tali domande il testo, pur ribadendo l’autonomia della per-
sona, risponde proponendo di superare le dicotomie di origine car-
tesiana esterno-interno, oggetto-soggetto, processo-prodotto, mente-
corpo.
13
Introduzione
«The medium triggers a change of state in the system, and the system trig-
gers a change of state in the medium. What change of state? One of those
which is permitted by the structure of the system» (Maturana - Varela
1987, p. 75).
14
Le prime risposte
15
Introduzione
16
Didattica come scienza dell’insegnamento
17
Introduzione
18
Struttura del testo
19
Introduzione
20
Struttura del testo
21
Introduzione
22
Parte prima
Teoria e storia
Capitolo primo
1. Premessa
In questo capitolo intendiamo affrontare la questione dell’episte-
mologia della Didattica. Per “epistemologia” s’intende sia la teoria
generale della conoscenza (per la quale si usa anche il termine “gno-
seologia”), sia – in un senso più circoscritto – la teoria della scienza.
Noi useremo tale termine in questo secondo senso, per riferirci agli
assetti teorici della Didattica intesa come disciplina scientifica1.
In prima approssimazione, diremo che la Didattica è la scienza
dell’insegnamento ma, come vedremo, la questione è destinata a ri-
velarsi più complessa. Per chiarirla, sia pure sommariamente, attra-
verseremo tre problemi:
– il nesso tra ontologia ed epistemologia della Didattica;
– le possibili concezioni epistemologiche della Didattica;
– la delimitazione di un “oggetto” specifico alla Didattica come
scienza.
I primi due punti costituiscono una preparazione del cuore del
discorso, che è sviluppato nel terzo punto, e mirano a dare alcuni
chiarimenti sul genere di epistemologia che adotteremo. Difatti, poi-
ché ogni analisi teorica muove da certe premesse, senza le quali non
sarebbe possibile, è opportuno rendere esplicite tali premesse, altri-
1
Per evitare continue precisazioni useremo “Didattica” (con l’iniziale maiu-
scola) per riferirci alla scienza dell’insegnamento, e “didattica” (con l’iniziale mi-
nuscola) come sinonimo d’insegnamento.
25
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
2. Epistemologia e ontologia
Un primo chiarimento concerne la distinzione tra epistemologia
e ontologia. Detto in modo sommario, l’epistemologia concerne il
processo di conoscenza della realtà, e le condizioni di validità di tale
conoscenza; l’ontologia riguarda invece ciò che esiste, la natura della
realtà in sé. Questi due piani non devono essere confusi: il problema
di quali cose esistano e di come esse stiano è diverso da quello di
come si possa conoscerle validamente. Tuttavia, la natura della realtà
non è senza conseguenza sui modi validi di conoscerla. Schematiz-
zando, rispetto alla Didattica, si può concepire la sua ontologia di ri-
ferimento in termini naturali o in termini storico-sociali. In altre
parole, si può vedere il campo delle pratiche d’inse-
L’insegnamento come gnamento e d’apprendimento come una realtà na-
realtà naturale turale, oppure storico-sociale.
Nel caso dell’ontologia naturale, agirà il
Ontologia naturale postulato della stabilità e della regolarità della
natura, per cui si tenderà a pensare che, di là
dalle contingenze storico-sociali, la Didattica sia volta a cogliere le
costanti naturali del processo d’insegnamento-apprendimento, che
riposano sulla costituzione biologica dell’uomo (difatti, l’insegna-
mento, almeno nella forma intenzionale, è un fenomeno specifico
alla specie umana [Baldacci, 2012]). Così, si tenderà a ritenere che
vi siano principi o leggi perenni dell’insegnamento-apprendimento
che la Didattica deve scoprire o ricostruire, e la ricerca assumerà un
taglio nomotetico (= ricerca di leggi universali). Insomma, nella sua
natura profonda, l’uomo è sempre il medesimo in tutte le epoche e
in tutti i contesti, perciò il processo d’insegnamento-apprendimento
possiede una struttura costante.
Vedere il campo delle pratiche d’insegnamento-
L’insegnamento come apprendimento come una realtà di genere storico-
realtà complessa sociale muta completamente il quadro di riferi-
26
Epistemologia e ontologia
27
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
28
Quadri epistemologici
3. Quadri epistemologici
Come si è detto, l’ontologia vincola l’epistemologia dettando
l’esigenza di adeguatezza del processo conoscitivo rispetto alla na-
29
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
30
Quadri epistemologici
2
In un’analisi più articolata, si dovrebbe prendere in esame anche l’ipotesi di
un’epistemologia “storicizzata”, di cui rappresenta un esempio “forte” Goldmann, cit.
31
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
32
Il problema dell’oggetto della Didattica
sua definizione precisa e univoca non è necessaria per farne una di-
sciplina scientifica. Batteremo perciò altre strade.
Dal punto di vista di un’epistemologia formale, le condizioni di
possibilità di una Didattica come scienza sono legate alla sua capa-
cità di soddisfare i requisiti tipici di ogni sapere scientifico. Grosso
modo, tali requisiti sono quelli di possedere un proprio autonomo
oggetto e un metodo rigoroso (Agazzi, 1979; Antiseri, 1976). L’inda-
gine logico-epistemologica verte perciò essenzialmente sull’ogget-
tualità e sulla metodologia di ricerca della Didattica. A questo com-
pito, però, potremo qui provvedere solo a
grandissime linee e limitandoci alla questione Oggettualità
dell’oggettualità.
In prima approssimazione, l’oggetto di una scienza L’oggetto della
è costituito dalla “cosa” di cui essa si occupa: la Didat- Didattica:
l’insegnamento
tica è la scienza dell’insegnamento, come la Semiotica
è la scienza del segno. Tuttavia, la questione non è così
semplice. In primo luogo, il concetto d’insegnamento non è uni-
vocamente determinato, bensì ha un carattere polisemico, ma a
questo penseremo più avanti. In secondo luogo, l’oggetto di una
scienza non è identificabile con la “cosa” di cui si occupa, perché di-
scipline differenti possono studiare la medesima “cosa” da punti di
vista diversi: e difatti esiste una psicologia dell’insegnamento come
una sociologia dell’insegnamento. Pertanto, si è più vicini alla so-
stanza della questione, se si asserisce che l’oggetto scientifico è una
data cosa guardata da un certo punto di vista. Così, la Didattica
costituisce una disciplina autonoma se, e solo se, si occupa dell’in-
segnamento da una propria specifica angolazione, che è necessario
identificare per fondare tale autonomia. Ma in questo discorso l’og-
getto rimane ancora indeterminato, a causa della genericità di
espressioni come “cosa” e “punto di vista”, il cui valore è meramente
metaforico e che devono perciò essere sostituite da formulazioni
più precise. A questo proposito, in luogo di “cosa” è più appropriato
usare l’espressione: “campo di esperienza” o, nel nostro caso,
“campo di pratiche”. In altre parole, un primo aspetto dell’oggetto
è costituito da un campo d’esperienza che cade sotto una nozione
33
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
3
Per riferirsi a questo aspetto si può usare anche l’espressione “regione onto-
logica”, denominando di conseguenza la rete concettuale della disciplina come la
sua “ontologia regionale” (Baldacci, 2012).
4
Riteniamo insensato separare e opporre insegnamento e apprendimento: la
Didattica è fondata sul loro nesso.
5
In altre parole, l’oggetto di una scienza emerge dalla sua ontologia regionale,
ed è espresso convenzionalmente dal concetto limite di questa.
34
Il problema dell’oggetto della Didattica
6
Per la polisemia del termine “insegnamento” cfr. Laporta, 1994; Damiano,
1993.
7
Di Banfi cfr. anche la voce “didattica”, in Enciclopedia Treccani, 1931, nella
quale lo studioso tratteggia l’idea di didattica in generale. Per la cui critica cfr. Ma-
ragliano, 1988.
35
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
8
Sui concetti-funzione, cfr. Cassirer, 1973 (1910).
36
Il problema dell’oggetto della Didattica
9
Sulla questione cfr. il cap. terzo di questa prima parte.
37
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
10
Per il problema dei media didattici cfr. tra gli altri Rossi, 2011; Rivoltella,
Ferrari, 2010.
38
Il problema dell’oggetto della Didattica
Insegnante
Discente Sapere
11
Per una ricognizione sulla morfologia della Didattica cfr. tra gli altri Cal-
vani, 2007a.
39
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica
Processo
Soggetto Oggetto culturale
Prodotto
40
Il problema dell’oggetto della Didattica
41
3UHPHVVD
2QWRORJLD QDWXUDOH
2QWRORJLD VWRULFD
(SLVWHPRORJLD H 2QWRORJLD
2QWRORJLD FRPSOHVVD
(SLVWHPRORJLD IRUPDOH
4XDGUL HSLVWHPRORJLFL
(SLVWHPRORJLD QDWXUDOL]]DWD
42
(SLVWHPRORJLD FULWLFD
'LGDWWLFD
,O FRQFHWWRIXQ]LRQH GL LQVHJQDPHQWR
Teorie e modelli
Loredana Perla
43
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
44
L’origine della Didattica
45
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
46
Il modello in Didattica: elementi di definizione
tiche e – per ciò stesso – ridondanti per taluni aspetti e parziali per altri.
Modelli, appunto, e non riscontri di esperienze didattiche, che pure hanno
in varia misura e diffusione ispirato» (Damiano 1993, pp. 91-92).
47
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
dattica. Questo per la necessità, sempre più avvertita dai teorici della
Didattica, di rappresentare la logica implicita soggiacente alle prati-
che (Perla 2010). Tale logica non si lascia cogliere immediatamente,
è una didattica nascosta fatta di repertori latenti di habitus, di con-
getture, di credenze, di ragionamenti abduttivi che solo parzialmente
accedono alla comprensione esplicita, restando, invece, in forma di
teorie ingenue (sul funzionamento dell’insegnamento, dell’appren-
dimento, della mente dell’allievo). Si tratta di teorie implicite molto
potenti, perché in grado di influenzare le pratiche didattiche in mi-
sura forse maggiore di quanto non vi riescano le
Didattica
La Nuova Ricerca teorie formali. La Nuova Ricerca Didattica (Da-
miano 2006) ha posto in termini espliciti il pro-
blema del ripensamento di una teoria dell’inse-
gnamento non comprensiva di tali teorie implicite, corrispondenti
a una conoscenza specifica degli insegnanti, la teachers’ practical kno-
wledge (Cochran Smith et alii, 2008) ancora largamente ignota alla
ricerca Didattica. Di qui il cambiamento di paradigma delle fun-
zioni della ricerca didattica alla luce dell’epistemologia dell’azione e
una nuova definizione di modello didattico come «rappresentazione
semplificata delle azioni di insegnamento mirata a segnalare, enfa-
tizzandoli, gli aspetti di volta in volta ritenuti rilevanti per gli in-
tenti di chi lo produce» (Damiano 2006, p. 164). Di volta in volta,
ovvero relativamente ai contesti didattici di volta in volta considerati.
La definizione di modello che più si approssima alle funzioni di una
teoria didattica volta a descrivere ciò che realmente accade nei con-
testi dell’insegnamento è dunque quella di una rappresentazione
semplificata degli elementi rilevanti dell’agire didattico, riguardati
nelle loro relazioni fondamentali.
48
L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento
49
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
50
L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento
51
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
52
L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento
53
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
54
Orientamenti emergenti
4. Orientamenti emergenti
Siamo agli approdi del nostro rapido viaggio nella storia dei mo-
delli teorici della Didattica.
Entrati nel nuovo secolo e monitorate le tendenze di avanza-
mento della conoscenza didattica in questo primo decennio, è pos-
sibile registrare l’emergere di un interesse culturale diffuso, non più
soltanto di settore, per i temi specifici della Didattica. È questo, evi-
dentemente, l’effetto del cambiamento profondo (anche culturale)
che sta investendo il sistema dell’istruzione formale, informale e
non-formale del nostro Paese e, con esso, le funzioni stesse dell’agire
didattico. La ricerca del difficile equilibrio fra qualità della forma-
zione e razionalizzazione di Scuola e Università (Calvani 2011; Perla
55
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli
1
A questo proposito cfr. il Regolamento concernente «Definizione della di-
sciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale del personale do-
cente del sistema educativo di istruzione e formazione», ai sensi dell’art. 2, comma
416, della L. 244/2007.
56
Orientamenti emergenti
57
1DVFLWD GHOOD WHRULD GHOO
LQVHJQDPHQWR
/
RULJLQH GHOOD 'LGDWWLFD 6YLOXSSL GHOOD 'LGDWWLFD GRSR &RPHQLR
/D 'LGDWWLFD QHOO
2WWRFHQWR H QHO SULPR 1RYHFHQWR
,O PRGHOOR LQ 'LGDWWLFD
3ROLVHPLD GHO PRGHOOR
HOHPHQWL GL GHILQL]LRQH
58
0RGHOOL GLGDWWLFL 7UDWWL FDUDWWHUL]]DQWL L
SURFHVVRULHQWHG PRGHOOL SURFHVVRULHQWHG
/
DJLUH GLGDWWLFR QHOOH WHRULH H 0RGHOOL GLGDWWLFL 7UDWWL FDUDWWHUL]]DQWL L
7UH FODVVL GL PRGHOOL
QHL PRGHOOL GHO 1RYHFHQWR SURGXFWRULHQWHG PRGHOOL SURGXFWRULHQWHG
0RGHOOL GLGDWWLFL 7UDWWL FDUDWWHUL]]DQWL L
Teorie e modelli. Mappa concettuale
2ULHQWDPHQWL HPHUJHQWL
Capitolo terzo
59
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
60
Il rapporto fra didattica e didattica delle discipline
Tale nesso ci interroga sul mandato della scuola ri- L’indagine delle
spetto alla formazione degli individui, sul ruolo che i di- pressi scolastiche
versi saperi disciplinari possono ricoprire nella prepara-
zione dei futuri cittadini e, dunque, sulle scelte che ri-
sulta necessario operare sia rispetto alla selezione dei contenuti da
proporre a scuola sia la formazione dei futuri insegnanti.
Già cinquant’anni fa Bruner sosteneva che in una società com-
plessa la cultura produce conoscenze e abilità che «sorpassano di
molto le possibilità conoscitive di ciascun individuo» quindi si svi-
luppa una
61
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
«In una disciplina non c’è nulla di più essenziale della sua metodologia, e
perciò nulla è così importante nell’insegnamento della disciplina stessa,
come offrire al più presto l’occasione di apprendere tale metodologia: le
forme di connessione, gli atteggiamenti, le speranze, i giochi mentali e le
frustrazioni che ad essa si accompagnano» (Bruner 1995, p. 234).
62
Il rapporto fra didattica e didattica delle discipline
63
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
istituzionale
Pedagogia La possibilità di restituire alle conoscenze che sono
espressione della nostra cultura un ruolo formativo
forte e aggiornato passa attraverso una riflessione at-
tenta sulla natura dei diversi saperi e sull’intenzionalità pedagogica
con cui li guardiamo. Con il termine “saperi” ci si riferisce in genere
prevalentemente a saperi codificati e trasmissibili, saperi “formati”,
come quelli disciplinari o “non ancora formati” come quelli che
emergono dalle contaminazioni interdisciplinari e, più in generale,
dalle prassi sociali.
Attribuire centralità ai saperi nei processi formativi che si svol-
gono all’interno delle istituzioni impone una riflessione sulle “forme”
culturali dei saperi stessi e su come queste vengono definite (Mar-
tini 2005). Di fatto, dall’Illuminismo in poi, i saperi si sono orga-
nizzati in discipline scientifiche convenzionalmente accettate e co-
dificate nell’ambito della comunità degli esperti che, in un certo pe-
riodo storico e in un certo contesto socio-politico, hanno costituito
il pensiero dominante. Come afferma Foucault,
«entro i suoi limiti, ogni disciplina riconosce proposizioni vere e false. […]
La disciplina è un principio di controllo della produzione del discorso. Oc-
corre concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose,
in ogni caso come una pratica che imponiamo loro; e proprio in questa pra-
tica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità» (Fou-
cault 1971, p. 27).
64
La scuola rispetto ai saperi disciplinari
«Come mai i botanici e i biologi del xix secolo non hanno mai visto quel
che Mendel vedeva… Mendel diceva il vero, ma non era nel “vero” del di-
scorso biologico del suo tempo […]; è occorso tutto un mutamento di
scala, il dispiegamento di tutto un nuovo piano d’oggetti nella biologia,
perché Mendel entrasse nel vero e le sue proposizioni apparissero allora (in
buona parte) esatte. Mendel era un mostro vero e per questo la scienza non
poteva parlarne» (Foucault 1971, p. 18).
co-disciplinarietà
L’organizzazione “enciclopedica” dei saperi e Multi, inter, trans,
dei discorsi è stata considerata in modo rigida-
mente frammentario per lungo tempo, richia-
mandosi a un’idea della conoscenza lineare, statica e cumulativa che
non considera la morfologia sistemica e complessa della realtà che di
per sé non contempla una tale segmentazione. Tale suddivisione con-
venzionalmente condivisa dalle comunità degli scienziati, spesso im-
pedisce un’analisi completa della realtà, che si presenta nella sua glo-
balità e complessità e, dunque, nella sua multidisciplinarietà e in-
terdisciplinarità intrinseca. Come sostengono Callari Galli e Lon-
dei (2005)
65
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
66
L’esperienza d’apprendimento e la trasposizione didattica
67
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
68
L’esperienza d’apprendimento e la trasposizione didattica
69
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
70
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente
71
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
72
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente
1
Cfr. la seconda parte di questo volume.
73
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
74
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente
75
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari
76
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente
77
Didattica e saperi disciplinari: dialogo da costruire.
Mappa concettuale
'LGDWWLFD JHQHUDOH H
GLGDWWLFD GLVFLSOLQDUH
5LFHUFD GLGDWWLFD H
SUDWLFKH GL LQVHJQDPHQWR D VFXROD
3HGDJRJLD LVWLWX]LRQDOH
)RUPD]LRQH DL VDSHUL
IRUPD]LRQH GL FRPSHWHQ]H
78
Capitolo quarto
Le tecnologie dell’educazione
Floriana Falcinelli
79
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
80
Definizione ed evoluzione delle tecnologie dell’educazione
Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta con l’avvento del compu-
ter si assiste allo sviluppo di una grande stagione di ricerca pedago-
gica e didattica incentrata sulla programmazione dei processi di ap-
prendimento e sulla possibilità di trattare l’informazione in modo
più o meno “intelligente”.
La possibilità di avere a disposizione computer L’uso del computer
sempre più amichevoli e di tradurre in linguaggio di- a scopi didattici
gitale ogni simbolo analogico (convergenza digitale)
diffonde nella ricerca didattica tre concetti che cambiano radical-
mente l’approccio alla formazione. Termini come multimedialità, in-
terattività, ipertestualità entrano nel linguaggio didattico, sollecitando
mutamenti non solo nell’uso di alcuni strumenti tecnologici, ma so-
prattutto nell’approccio alla cultura, alla sua produzione e diffusione.
Si afferma così l’idea di “tecnologie aperte” cioè tecnologie che, favo-
rendo un uso flessibile, esplorativo, attivo, partecipato e creativo, per-
mettono all’utente di introdurre elementi personali nella conoscenza.
81
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
82
Definizione ed evoluzione delle tecnologie dell’educazione
83
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
84
Tecnologie di informazione e comunicazione: risorsa per la didattica
85
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
rati e come anche nei processi formativi la conquista del sapere possa
avvenire attraverso modalità comunicative mediate che integrino la
tradizionale relazione docente-allievo (Calvani 2007b).
Si assiste all’avvento di una multimedialità interattiva di rete in cui
viene esaltata la possibilità per il soggetto di essere protagonista della
sua crescita culturale, in un Web 2.0 che sempre più è spazio so-
ciale, contesto di costruzione collaborativa del sapere, ambiente par-
tecipato e condiviso, luogo di apprendimento informale diffuso
(Jenkins 2010).
Emerge addirittura la definizione di una nuova intelligenza digi-
tale (Battro - Denham 2010) diventa centrale la questione relativa
ai possibili mutamenti che un cervello, sollecitato dai nuovi media,
potrebbe subire (Wolf 2009).
A rendere più complesso lo scenario, negli ultimi
I dispositivi
mobili anni si sono diffusi nuovi dispositivi, per lo più mo-
bili: notebook, tablet (iPad), smartphone, consolle con-
nesse a Internet (Wii, PlayStation3) piattaforme software 2.0 come
i social network (Facebook, Twitter, MySpace), i blog, YouTube,
Wiki e il pianeta Google; tutto ciò può essere considerato come ri-
sorsa a disposizione dell’azione didattica e, pur con specifiche di-
versità, può essere ricondotto alla grande categoria delle ict.
In questo contesto tutti gli applicativi si trovano in rete e possono
essere espansi attraverso le opportunità che la rete offre nella dire-
zione dei social network: repository e banche dati dei software sono
molto diffusi e la qualità è data dalla modalità dello sharing e del
passaparola degli insegnanti (Petrucco 2010).
La rete ha inoltre diffuso la logica del software open o free, della
dimensione del floss (Free/Libre/Open Source Software) termine
che indica contemporaneamente e collettivamente il software libero
e quello a codice sorgente aperto.
Si aprono continuamente spazi nuovi di condivisione tra ragazzi
e docenti:
86
Tecnologie di informazione e comunicazione: risorsa per la didattica
87
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
88
Spazi, tempi, relazioni: flessibilità e innovazioni
89
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
90
Spazi, tempi, relazioni: flessibilità e innovazioni
tico e la gestione dei tempi scuola; la posizione dei banchi e della cat-
tedra cambia, per prevedere la gestione di attività organizzate per
moduli flessibili e l’adozione di diverse strategie didattiche funzio-
nali alla migliore efficacia degli apprendimenti (lezione collettiva,
argomentazione e discussione, attività di ricerca in gruppo, attività
di rinforzo a piccoli gruppi o individuale).
Lo spostamento progressivo della cattedra verso l’angolo del-
l’aula, la trasformazione della sua funzione a tavolo d’appoggio, la
presenza della lim e di altri dispositivi tecnologici a disposizione di
ogni ragazzo o per più ragazzi impone anche un diverso modo di
intendere le relazioni insegnante/allievi e le tradizionali routines sco-
lastiche: gli allievi, sempre più autonomi e alfabetizzati tecnologica-
mente, procedono nell’apprendimento in modo intuitivo per sco-
perta e l’insegnante li accompagna come facilitatore, co-ricercatore,
quando non diventa solo osservatore di allievi nella sperimentazione
di nuovi percorsi di conoscenza. Si affermano modalità diverse di
gestire il gruppo di allievi e di gestire il rapporto con i colleghi, spe-
rimentando forme di progettazione e di lavoro interdisciplinare.
La possibilità di accedere facilmente in rete grazie al
Oltre lo
collegamento wireless presente in molte scuole ha reso spazio/tempo
inoltre abbastanza diffuso il web-based learning, cioè la della classe
learning
possibilità di utilizzo di Internet per attività in classe di Web-based
studio e ricerca di informazioni. Le possibilità offerte
oggi dal Web 2.0 inoltre consentono di avvalersi, in mo-
dalità open, di social network per costruire gruppi di condivisione
delle conoscenze fino a sostenere veri e propri processi di costru-
zione di sapere (Laici 2007). Si possono stabilire forme di comuni-
cazione a distanza in forma sincrona e asincrona con altri contesti
formativi e altre persone al fine di costruire comunità di apprendi-
mento o di pratica.
Si può anche utilizzare una piattaforma dedicata (lcms) per
espandere l’attività di classe online superando i vincoli di spazio e
tempo, spesso molto restrittivi nella attività didattica in presenza e
per attivare forme di comunicazione più ampie, fino a parlare di e-
learning, o di blended learning, un tipo di formazione a distanza,
integrata con le attività in presenza, che pone l’accento sull’ap-
91
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
92
Competenze digitali per l’e-democracy
93
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione
94
Competenze digitali per l’e-democracy
95
Le tecnologie dell’educazione. Mappa concettuale
/
XVR GHO FRPSXWHU D VFRSL GLGDWWLFL
96
Capitolo quinto
97
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento
98
Studiare oggetti situati. Dai modelli alle pratiche
99
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento
100
Teoria e metodologia per l’apprendimento
101
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento
102
Teoria e metodologia per l’apprendimento
103
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento
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Teoria e metodologia per l’apprendimento
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Teoria e metodologia per l’apprendimento
distribuita
come forma peculiare di apprendimento sociale. I co- Cognizione
strutti di “cognizione distribuita”, di “intelligenza
pratica”, di “learning organization” permettono di ve-
dere i contesti organizzativi come luoghi sociali di produzione di co-
noscenza e invitano così a studiarli come luoghi di formazione e au-
toformazione. Ciò richiede lo studio empirico delle modalità me-
diante le quali le persone producono e trovano nello svolgimento
della loro attività criteri ed elementi per la realizzazione dell’azione
situata in corso.
Queste sono le sfide che spingono la ricerca didattica a studiare
le pratiche lavorative in una prospettiva di sviluppo trasformativo. Le
attività svolte quotidianamente, e la ricerca di dispositivi metodolo-
gici che ne consentano lo sviluppo, diventano così legittimi oggetti
di ricerca anche dal punto di vista didattico in quanto le nuove pro-
spettive epistemologiche tematizzano il conoscere come un processo
non solo euristico ma anche trasformativo.
Il quadro interpretativo e metodologico che viene Pensiero pratico
proposto dal campo dei practice-based studies offre
nuove categorie di analisi del lavoro e dei processi di conoscenza che
in esso si attivano, ricomponendo dicotomie quali mente/corpo e
materialità/immaterialità, nell’assunto dell’equivalenza tra fare e pen-
sare. «Lavorare è uno stare nel mondo» (Gherardi - Bruni 2007, p.
54) legato alla realizzazione di un progetto e ha a che fare con la par-
tecipazione a sistemi sociali di apprendimento. Il concetto di pen-
siero pratico, che guida questi approcci, non implica alcuna pre-
supposizione circa la sua relazione con il pensiero teorico, né una
dicotomia tra la sfera intellettuale e quella manuale dell’azione
umana. Il pensiero pratico si riferisce a tutto il pensiero che fa parte
di attività più ampie e che agisce per realizzare gli scopi di quelle at-
tività (Scribner 1986). È il sapere pratico a costituire il valore del la-
voro: lavorare non è conoscere una serie di pratiche, bensì sapere in
pratica come fare un mestiere o una professione, è un saper fare in
situazione, un saper lavorare insieme che intesse relazioni tra per-
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lisi del sapere pratico sia di una forma di competenza che consente
alle comunità di pratiche un controllo riflessivo del sapere che ge-
nerano e degli effetti che questo produce. Essa ha offerto strumenti
concettuali e operativi per sviluppare attività di autointerpretazione,
sviluppo e trasformazione del pensiero e delle pratiche lavorative.
Si sono affermate così linee di ricerca che hanno aperto molte
piste di lavoro promettenti risolvendo alcune questioni ma lascian-
done aperte altre.
Wenger rende bene l’idea della zona dentro la quale è chiamata
a muoversi la formazione: «Nessuna comunità può progettare com-
piutamente l’apprendimento di un’altra comunità. E nello stesso
tempo nessuna comunità può progettare compiutamente il proprio
apprendimento» (Wenger 2006, p. 27). Affermare che le comunità
di pratiche sono già coinvolte nel progetto del loro stesso apprendi-
mento, perché alla fine saranno loro a decidere cosa devono impa-
rare, non significa affermare che una prospettiva localmente situata
sia intrinsecamente valida.
Se è vero che una comunità include l’apprendimento come fatto
scontato nella storia della sua pratica, che l’apprendimento appar-
tiene al mondo dell’esperienza e della pratica e segue la negoziazione
dei significati e si sviluppa con le sue regole, ovvero si determina
ovunque, con o senza la formazione, è altrettanto vero che appren-
dere nella pratica non significa affermare che tutto ciò che si muove
dentro una comunità di pratica è apprendimento. Le comunità di
pratiche hanno bisogno anche di disapprendere, trasformarsi, evol-
vere. Al riconoscimento e alla legittimazione del sapere pratico come
patrimonio delle comunità professionali si è accompagnata la que-
stione di come consentire a questi saperi di validarsi, di diventare
visibili, di circolare in contesti più ampi, di trasformarsi.
Marsick, lavorando con il costrutto di comunità di pratica e di
apprendimento trasformativo nei contesti di vita e di lavoro, sotto-
linea nei suoi recenti lavori come le comunità o le organizzazioni si
trovino a sperimentare in momenti diversi della loro storia, vincoli
e quindi possibilità di innovarsi differenti. Nei contesti di lavoro,
come negli altri contesti sociali, la questione di fondo è “che cosa
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1. Didattica e postmodernità
Nella prospettiva didattico-pedagogica l’attuale realtà è teoriz-
zata come una collettività globale, socialmente interconnessa ed evo-
luta, dove le conoscenze sono riconosciute fattore strategico per lo
sviluppo dei processi produttivi e l’apprendimento è condizione per
il funzionamento e l’innovazione dei sistemi sociali (Paparella 2012).
Un ambiente dove le nuove tecnologie, nell’ampliare spazi di azione-
decisione-scelta favoriscono nuove opportunità di crescita per le per-
sone.
Valicando un costume culturale ancora diffuso dominato da pre-
giudizi ereditati da un passato dal quale la didattica si è da tempo af-
francata (Calonghi 1993), la presenza del tema in questo manuale
rimarca che nella postmodernità, il campo della didattica non è
identificabile né con l’istruzione né con il mondo della scuola, ma
abbraccia le esperienze umane in senso life-wide: apprendimento du-
rante tutto il corso della vita e in ogni luogo. Esperienze che, per-
tanto, comprendono anche la formazione continua e la formazione
degli adulti.
Dal punto di vista pedagogico, postmo- La postmodernità: significato
dernità in negativo significa presa di distanza
dalla conformità, rifiuto di spinte omologanti, abbandono di con-
cezioni ideologiche. In positivo, il termine enfatizza la capacità del-
l’uomo di affrontare l’incertezza, di adattarsi il meglio possibile al
mutare degli eventi, di essere protagonista attivo della propria vita,
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Didattica e postmodernità
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Apprendere nelle organizzazioni tra teorie e prassi
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Apprendere nelle organizzazioni tra teorie e prassi
bisogni di
L’analisi dei bisogni viene presentata come una pra- Analisi dei
tica capace di mediare tra differenti istanze: dell’indi-
viduo e dell’organizzazione. formazione
La progettazione privilegia sequenze di obiettivi tas-
sonomicamente ordinati. La comunicazione didattica si apre al-
l’ascolto e al dialogo, anche favorita dall’uso di strategie e di meto-
dologie “attive” (problem solving, studio di casi, simulazioni…), dove
il formatore assume il ruolo di facilitatore di apprendimento. La va-
lutazione è interessata a verificare i risultati rispetto agli obiettivi
prefissati, configurandosi come raccolta di informazioni sull’espe-
rienza formativa (reazioni, apprendimento, trasferimento, cambia-
mento) con una prevalente attenzione al «controllo del processo»
(Hamblin 1974). Un quadro che testimonia una sostanziale inno-
vazione pedagogica che riguarda tanto i sistemi scolastici quanto la
formazione aziendale.
Seppure rinunciando a configurare l’esperienza come luogo dove
il sapere viene esposto dal formatore, le affermazioni (dei formatori)
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Tra retorica e progettualità
partecipata
In sintesi, è nel paradigma postmoderno che il La formazione
lavoro e la professionalità sono riconosciute di-
mensioni identitarie della persona, dove l’appren-
dere nelle organizzazioni tende a ridurre le distanze tra realtà effet-
tiva e teorizzata nel quadro di nuove forme di partecipazione.
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Apprendere nelle organizzazioni come “scuola della vita di lavoro”
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