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DIDATTICA

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Pier Cesare Rivoltella
Pier Giuseppe Rossi (eds.)

L’agire didattico
Manuale per l’insegnamento

E D I T R I C E
LA SCUOLA
La collana è peer reviewed

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Stampa Officine Grafiche «La Scuola», Brescia
ISBN 978 - 88 - 350 - 3065 - 2
Dell’uso di questo manuale

L’agire didattico. Manuale dell’insegnante consta di un volume carta-


ceo e di un corpus di materiali digitali, che del volume costituiscono
l’estensione, disponibili on line nel sito Nuova Didattica (in Internet,
URL: http://www... ).
Nel corpo del testo sul volume cartaceo, i rimandi ai materiali digi-
tali sono indicati dal ricorso al maiuscoletto. In corrispondenza di que-
sti rimandi, un simbolo a margine, affiancato dal titolo del materiale,
specifica il tipo di contenuto cui ci si sta riferendo. Di seguito l’elenco
dei simboli e dei tipi di contenuto digitale cui fanno riferimento.

T Scheda Teorie e Correnti

 Scheda Approfondimento
A Scheda Autori
! Scheda Attività

In fondo al volume, l’indice dei concetti riporta i lemmi di cui viene


fornita definizione all’interno del glossario disponibile sul sito Nuova
Didattica, unitamente alle pagine del testo cartaceo in cui essi ricorrono.

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Introduzione

1. Una scelta di campo


Nel primo decennio del nuovo millennio sono
emerse alcune linee di indagine destinate a modi- Linee d’indagine nella
ricerca didattica…
ficare il volto della ricerca didattica. Sono evolute,
dapprima, senza troppo clamore, ma ora hanno
raggiunto una loro maturità.
Un rinnovato interesse per il teacher’s thinking Teacher’s thinking T
(Shulman) ha spostato l’attenzione sulla dialet-
tica insegnamento-apprendimento e sulla professionalità docente,
valorizzando l’analisi delle pratiche didattiche come strumento di ri-
cerca e di formazione. Sono stati così smussati alcuni
aspetti del costruttivismo e sono stati avviati tra- Costruttivismo T
iettorie post-costruttivisti ed enattivisti. Contempo-
raneamente gli approfondimenti condotti nel settore delle teorie del-
l’azione e delle neuroscienze hanno alimentato percorsi che garanti-
scano una diversa circolarità tra teoria e pratica, da un lato, tra
mente, corpo e ambiente, dall’altro, e hanno assegnato al corpo un
ruolo attivo nei processi di conoscenza (cfr. infra Parte terza, cap.
diciottesimo).
Le nuove tecnologie, d’altro canto, stanno interagendo in modo
sempre più integrato con i processi formativi. Ciò non è determinato
dalla loro presenza nelle aule scolastiche, ma dall’impatto che il loro
uso nella vita quotidiana ha sui processi di concettualizzazione e sulle
pratiche, sia degli studenti, sia dei docenti (cfr. infra Parte prima,
cap. quarto; Parte seconda, cap. decimo).

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Introduzione

La professionalità docente è, ad un tempo, risultato e causa


delle modifiche precedenti. La complessa realtà socio-culturale, i
nuovi bisogni nella formazione, i diversi supporti e strategie ri-
chiedono professionisti della didattica dotati di competenze
esperte, così come la consapevolezza del sé professionale determina
negli insegnanti nuovi modelli e modalità operative e una diversa
visione della propria traiettoria formativa (cfr. infra Parte terza,
cap. ventesimo).
Non ultima, l’attivazione in Italia delle Facoltà di Scienze della for-
mazione, sul finire dello scorso secolo, ha alimentato di nuova linfa la
ricerca nel settore. I processi precedenti hanno fatto sì che la didattica
uscisse da sterili sudditanze nei confronti di altre discipline e dive-
nisse, nel dialogo con le altre Scienze dell’educazione, una scienza ma-
tura (Frabboni 2000; Laneve 2003), la scienza dell’insegnamento (cfr.
infra Parte prima, capp. primo e secondo).
Una riflessione simile a quella che sta attraversando il
…e filosofica settore educativo è presente anche in altri campi del sa-
pere. In ambito filosofico il dibattito tra neorealismo e
post-modernismo nelle sue varie forme (costruttivismo radicale,
pop-filosofia, decostruzionismo, realytismo) ha molti punti in co-
mune con le riflessioni in campo educativo. Il manifesto di Ferraris
(2012) e la dialettica tra realismo e post-modernismo possono essere
curvati nel settore educativo, dove è iniziata una riflessione su al-
cuni esiti del costruttivismo, attivata anche in questo caso dall’at-
trito col reale, ovvero dalle dinamiche e dai problemi che gli inse-
gnanti incontrano ogni giorno in classe. Contemporaneamente le
riflessioni sull’esternalismo hanno avuto forti interazioni con la ri-
cerca neuroscientifica, favorendo sinergie e ampliando percorsi in
cui l’embodiement ha una posizione privilegiata.

2. Oltre il costruttivismo
Wilson, nel 2005, per descrivere la situazione
Il valore della pratica che si era creata nella didattica dall’inizio del
nuovo millennio, così si esprimeva:

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Oltre il costruttivismo

«2000s - Practitioner concerns. As the new century emerged, I found my-


self increasingly alienated from the constructivism-instructionism debates
and from discussions that only fostered ID’s continuing dependence on
psychology for insight and direction.
At the present time I find myself preferring pragmatism or pragmatic rea-
lism as an underlying philosophy (e.g., House 1991; Rorty 1989), and
practitioner perspectives as a needed antidote to the surfeit of high-road
theory and privileging of science over other ways of knowing and doing
[…]. I prefer to listen to a good practitioner story than to decode a set of
boxes and arrows, although I acknowledge that both have a place».

Già nel 2002 Begg, in un saggio sull’enattivi- I limiti del costruttivismo


smo, evidenziava alcuni limiti del costruttivismo:
– l’impossibilità di evitare risultati indesiderabili nella costruzione di
conoscenza;
– l’influenza della cultura dominante nel settore dell’istruzione e
sulla struttura della conoscenza;
– la sottovalutazione dell’accoppiamento strutturale tra insegnanti e
studenti;
– l’assenza di collegamenti espliciti con le teorie dell’apprendimento
proposte dalle scienze cognitive e dalla neurobiologia (Begg 2002,
p. 2).
Nel 2003 Lesh e Doerr avevano evidenziato altre criticità del co-
struttivismo, riferendosi nello specifico alla didattica della matema-
tica. Il loro ragionamento si fondava su tre elementi:
– non tutto può essere costruito;
– nell’apprendimento il processo e il prodotto, l’azione e il risultato
dell’azione, o, nel loro linguaggio, modello e modellizzare, debbono
procedere parallelamente;
– la modellizzazione e la successiva verifica possono essere strategie
utili nella didattica e nella formazione degli insegnanti.

Negli ultimi anni sono emerse anche altre riflessioni critiche sul
costruttivismo. Gli esempi precedenti sono stati scelti perché si pon-
gono in un’ottica di superamento dialettico e non di opposizione al
costruttivismo e ne recuperano alcuni elementi fondanti. Non a caso
Lesh e Doerr parlano di post-costruttivismo.

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Introduzione

Pensiero sistemico In sintesi: non è sufficiente indicare come do-


e complessità vrebbe essere l’insegnamento. Occorre comprendere,
e la ricerca deve dare risposte a tale domanda, perché
le pratiche degli insegnanti non procedono coerenti rispetto alle “in-
tenzioni” e quali processi di regolazione sono messi in atto dagli in-
segnanti quando si scontrano con “l’attrito del reale”. Il che non
equivale a proporre un’accettazione passiva dello status quo. La pe-
dagogia è sempre profetica e analizza le pratiche educative per mo-
dificarle. Né, tanto meno, la proposta è quella di credere che l’espe-
rienza quotidiana sia l’unica maestra per un insegnamento di qua-
lità, abdicando al ruolo della formazione e della didattica come
scienza.
Alla scienza dell’insegnamento oggi non si chiedono modelli pre-
costruiti da seguire in classe, ma indicazioni per progettare e gestire
l’azione didattica, abbinando sguardo profetico e sostenibilità. La
complessità del contesto non può essere ridotta con modalità ridu-
zioniste. Va gestita individuando alcuni indicatori che a un tempo
siano gestibili e forniscano una visione sistemica. In tale direzione un
supporto può essere fornito dal concetto di semplessità
 Semplessità (Berthoz 2011).
Riprendendo le analisi di Begg, Wilson, Lesh e
Doerr, emergono alcuni spunti comuni:
– riequilibrare la relazione fra insegnamento e apprendimento;
– valorizzare sia il prodotto, sia il processo,
– partire dalle pratiche dei docenti, dall’azione didattica, dall’inte-
razione mente-corpo.

Il primo punto è, forse, il più significativo. L’at-


La riscoperta della
centralità tenzione alla centralità dello studente e al processo ha
dell’insegnamento collocato in secondo piano il ruolo dell’insegna-
mento, nella sua dialettica con l’apprendimento, nei
processi formali. Alcuni docenti evidenziano che non tutto può es-
sere costruito, come sottolineano Lesh e Doerr, o che il costruttivi-
smo non permette di evitare risultati indesiderabili nei processi
(Begg). Anche gli insegnanti teoricamente più convinti del costrut-
tivismo rilevano che nella loro pratica incontrano difficoltà ad ap-

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Oltre il costruttivismo

plicare i dettami di tale teoria. Riequilibrare il rapporto tra insegna-


mento e apprendimento non equivale a recuperare teorie istruttivi-
ste, ma propone la didattica come mediazione, valorizza la didattiz-
zazione delle discipline, evidenzia la regolazione in azione. Significa
cogliere l’azione didattica come interazione continua tra docente e
studente, uno spazio-tempo in cui, grazie all’accoppiamento strut-
turale, co-emergono significati e apprendimenti (cfr. infra Parte se-
conda, cap. nono).
Il terzo elemento individua la pratica dei docenti come base per
la ricerca didattica. Tale riferimento ha diversi risvolti:
– una maggiore attenzione al teacher’s thinking ovvero alla filosofia
educativa dei docenti;
– una nuova concezione della professionalità docente, figura sempre
più assimilabile a quella di un professionista riflessivo;
– una differente modellizzazione della progettazione.
Approfondiamo la dialettica tra apprendimento e insegnamento.
L’attenzione allo studente, il ruolo dello stesso nella ri-mappatura
delle proprie concettualizzazioni, la necessità di un suo coinvolgi-
mento attivo e consapevole nei percorsi di apprendimento, elementi
sottolineati dal costruttivismo, non sono in discussione.
Il problema centrale è la necessità di passare da una visione psi-
cologica dell’apprendimento, a una visione pedagogica del processo
educativo centrata sull’interazione insegnamento-apprendimento.
Per descrivere l’apprendimento in ambito for-
male sembra utile prendere in esame una traietto- La relazione
ria complessa fondata sulla dialogicità ricorsiva tra docente-studente-classe
docente, studente, classe.
I processi di conoscenza sono attivati da situazioni di criticità che
nascono nei contesti reali. Vi è innanzitutto una percezione del di-
sagio e l’identificazione del problema, poi un’individuazione delle
possibili soluzioni, infine la validazione dell’efficacia delle stesse.
In questa sede ci preme sottolineare il ruolo del docente in cia-
scuna fase.
Nella percezione del disagio per identificare il problema, il ruolo
di mediazione dell’insegnante è essenziale in quanto il passaggio si
basa su una polarità che solo egli padroneggia: le conoscenze inge-

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Introduzione

nue dello studente vs le conoscenze della comunità scientifica. In


altri termini al docente spetta attivare/mediare il conflitto tra i con-
cetti presenti nelle pratiche degli studenti e quelli delle comunità
scientifiche (cfr. infra Parte terza, cap. sedicesimo).
Successivamente gli studenti producono ipotesi ed elaborano
concetti, grazie anche ai suggerimenti e ai materiali proposti dal do-
cente, elaborazione che continua nel confronto sociale e culturale
durante il quale le assunzioni vengono perfezionate (vedi schema
alla pagina successiva).
La traiettoria dal disagio, all’elaborazione, alla validazione è ci-
clica e ricorsiva. Spetta all’insegnante fare emergere il problema dal
disagio, proporre conflitti cognitivi, accompagnare i singoli studenti
nelle loro riflessioni, costruire processi di validazione che tengano
conto del contesto, dei saperi disciplinari, dei valori sociali e cultu-
rali della collettività scientifica e/o sociale (cfr. infra Parte terza, cap.
diciassettesimo).
Tutto ciò è possibile se studenti e docenti sono delle
L’azione didattica unità in dialogo (Damiano 2008), se esiste un accop-
piamento strutturale tra di essi, se esiste un’intesa.
L’azione è lo spazio-tempo per l’intesa, il luogo dove le traietto-
rie dell’insegnamento e dell’apprendimento si intrecciano e comu-
nicano. Ciò che emerge dipende dall’azione e dall’interazione, oltre
che dai singoli attori. L’agire complesso coinvolge mente e corpo
degli attori. Si nutre delle loro intenzioni, del loro fare, dei loro
sguardi, del linguaggio del corpo.
L’insegnamento non deriva in modo meccanico dall’apprendi-
mento, non dipende solo dai processi di apprendimento. Come Shul-
man ha evidenziato, il pensiero degli insegnanti si costituisce in base
a una serie di elementi quali le conoscenze disciplinari, i valori sociali
e civili, i contesti di lavoro, che costituiscono la filosofia educativa
dell’insegnante, insieme a una propria visione dell’apprendimento.
Al docente è richiesto di costruire in contesto e in
A Laurillard base a un ampio repertorio di dispositivi e attività (Lau-
rillard 2012) il percorso didattico e di regolare in
azione il processo stesso. Così come si richiede di gestire la propria
traiettoria formativa. In tal senso egli è un professionista.

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Le prime risposte

L’analisi della pratica permette di cogliere in modo olistico il pro-


cesso di insegnamento e di far emergere il dialogo tra i diversi attori
e tra le diverse tensioni: non a caso questo manuale è completato da
un archivio di video utili non tanto a mostrare le buone pratiche, ma
a evidenziare la dialettica dell’azione. L’obiettivo è quello di osservare
l’azione didattica nella sua complessità, per far emergere i processi
che permettono modellizzazioni complesse e sostenibili, caratteriz-
zate dalla semplessità.
Questa la scommessa oggi più intrigante su cui il progetto che
supporta il presente testo vuole cimentarsi.

3. Le prime risposte
L’apprendimento, come anticipato, richiede una partecipazione
attiva dello studente. È una rimappatura che tiene conto dei concetti
posseduti e degli stimoli esterni accettati. Ma come si sviluppa tale
processo? È un percorso solo interno alla mente o interagisce con
quanto accade nel mondo? E, qualora si ammettesse che tale pro-
cesso abbia un legame con l’ambiente, il rapporto è deterministico,
oppure il soggetto rielabora gli input in base alla propria struttura?
A tali domande il testo, pur ribadendo l’autonomia della per-
sona, risponde proponendo di superare le dicotomie di origine car-
tesiana esterno-interno, oggetto-soggetto, processo-prodotto, mente-
corpo.

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Introduzione

Enattivismo Una prima risposta è individuabile nelle teorie enatti-


viste (Rossi 2011).

«The activity of coming to know, of learning, is a modification of structure.


At the same time it is the system’s structure that limits what actions it can
take in the environment, and therefore what it can come to know. What
a system does in response to a trigger from its medium is determined en-
tirely by its structure» (Reid 2004).

Un sistema che apprende è

«… an active self-updating collection of structures capable of informing (or


shaping) its surrounding medium into a world through a history of struc-
tural coupling with it» (Varela 1987, p. 52).

L’interazione tra sistema e ambiente diviene il nodo cruciale e


durante l’interazione sistema e ambiente si modificano entrambi,
apprendono.

«The medium triggers a change of state in the system, and the system trig-
gers a change of state in the medium. What change of state? One of those
which is permitted by the structure of the system» (Maturana - Varela
1987, p. 75).

Se utilizziamo lo stesso linguaggio per i processi


formativi, insegnamento e apprendimento sono due
Il concetto di trigger
sistemi che si confrontano e interagiscono. Seguono
logiche autonome e interessi diversi, partono da concetti e cono-
scenze dissimili. Solo se riescono a divenire unità in dialogo, si atti-
vano dei trigger e in tal caso un sistema offre all’altro degli input che
poi l’altro accetta e rielabora, ovvero apprende.
Il concetto di trigger non è nuovo e ha affinità con idee pre-
senti in varie teorie. Senza voler banalizzare, ma solo per eviden-
ziare alcune analogie, sicuramente la zona di sviluppo
A Vygotskij prossimale in Vygotskij, la necessità di accertare le co-
noscenze pregresse dello studente per poi partire da
A Ausubel esse, come suggerisce Ausubel (1978), la devoluzione

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Le prime risposte

(Brousseau 1998), l’orizzontalità vivibile e la verticalità Brousseau A


significativa (Meirieu 2007), il ruolo del colloquio cli- Meirieu A
nico nella didattica per concetti (Damiano 1994) pre-
sentano affinità con il concetto precedentemente espresso di trigger.
Inoltre le tematiche affrontate dalle neuroscienze e, in particolare, le
ricerche sui neuroni specchio sembrano fornirci utili strumenti per
comprendere le basi biologiche dell’“intesa” tra sistemi.
L’enattivismo, infine, evidenzia quel continuum mente-corpo-
artefatto-mondo che non solo, come precedentemente descritto,
connette il sistema all’ambiente, ma recupera concetti cari all’embo-
died cognition, all’augmented reality, alla distributed cognition. Non a
caso Holton (2010) propone l’equazione: Constructi-
vism + Embodied Cognition = Enactivism. Il tema Enattivismo T
sarà ripreso in vari passaggi del testo.

Un ulteriore aspetto qualificante il nostro approccio in


questo manuale è quello relativo al rapporto tra le neuro- Neuroscienze
scienze cognitive e il processo di insegnamento-apprendi-
mento. In tale prospettiva, che possiamo definire neurodidattica (Ri-
voltella 2012), si tratta di mantenersi ugualmente distanti dalle op-
poste tentazioni che in tempo recente hanno caratterizzato le prassi
degli insegnanti e della ricerca.
Il primo di questi atteggiamenti è il programma forte di
chi assolutizza le evidenze neuroscientifiche pensando di Programma
conseguenza che una didattica efficace sia solo quella che si forte
concepisca come applicazione deterministica di quanto sulla
base di quelle evidenze emerge. Si collocano qui le idee diffuse ri-
guardo alle fasi critiche dell’apprendimento in età evolutiva (quando
è o non è opportuno insegnare qualcosa), al potenziamento della
performance mnemonica, al ruolo del sonno in funzione dell’ap-
prendimento, alla “programmazione” dell’apprendimento lingui-
stico (literacy) e numerico (numeracy).
L’altro atteggiamento, che chiameremo programma de-
Programma
bole, è invece quello di chi si appropria in maniera superfi- debole
ciale del lessico neuroscientifico, si sostituisce al neuroscien-
ziato e ritiene di dare consistenza alle proprie affermazioni (di solito
non controllate dal punto di vista sperimentale) supportandole con

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Introduzione

quelle che si suppone siano evidenze che dalla ricerca neuroscientifica


provengono. Anche in questo caso non si contano gli esempi che si
possono portare: l’idea che le tecnologie digitali stiano ridefinendo il
corredo genetico degli individui (Ferri 2011), che preparino l’avvento
di una nuova fase dell’ominazione (homo sapiens sapiens digital – Si-
mone 2011), che ridefiniscano l’intelligenza (intelligenza digitale –
Battro 2009). Ma analogamente si può pensare alla definizione di
profili cognitivi razionali o creativi in relazione alla dominanza della
parte destra o sinistra del cervello, alla fiducia di sfruttare tutto “lo spa-
zio corticale” ancora inutilizzato, alla convinzione che ai diversi stili
di apprendimento corrispondano precise configurazioni neurali.
La nostra convinzione è invece che chi si occupa di di-
Il dialogo tra dattica continui a farlo dialogando con le neuroscienze in
due discipline funzione di alcuni punti fermi, gravidi di sviluppi sul
piano didattico, che proprio la ricerca in questo settore
ha consentito di fissare.
Sul piano del metodo, l’invito è ad avere estrema cautela nel ge-
neralizzare o nel ricavare inferenze quando si tratta di apprendi-
mento e di insegnamento: l’orientamento evidence based della ricerca
neuroscientifica serve a controllare le affermazioni e a esplicitarle.
Quello che in didattica probabilmente si sa con maggiore certezza è
idiografico, relativo alla dimensione micro, indiziario.
Sul piano del contenuto, quel che di più interessante dalla ricerca
neuroscientifica proviene è l’idea dell’insegnamento come di una si-
tuazione intersoggettiva in cui il sistema corpo-cervello è protago-
nista di un’azione che richiede sapienza performativa, un raffinato si-
stema di regolazione, la capacità di testimoniare in maniera sugge-
stiva ciò che proprio in virtù dell’efficacia di questa testimonianza
può essere opportunamente appreso. L’insegnamento
 Neuroscienze è corpo, azione, teatro (Gallese 2011; Rivoltella 2012;
Rossi 2011).

4. Didattica come scienza dell’insegnamento


Come si caratterizza in questo nuovo contesto la didattica come
scienza? Nel passato la didattica ha fornito le “ricette” da applicare

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Didattica come scienza dell’insegnamento

nell’insegnamento. La ricerca evidenziava le strategie migliori, quelle


che garantivano un più probabile successo e le proponeva ai docenti.
Così sono nate le varie modellizzazioni didattiche. Il modello della
evidence base education sembra ripercorrere tale traiettoria.
Accanto a questo approccio ne sta emergendo un altro, anch’esso
attento alle pratiche, all’indagine scientifica e a un esame rigoroso
delle stesse. Dalla ricerca, in questo caso, derivano però quegli indi-
catori che occorre controllare per progettare e per regolare in azione
la complessità del reale.
I modelli per la progettazione esemplificano tale
cambiamento (cfr. infra parte seconda, capp. settimo, Progettare la di-
undicesimo e dodicesimo). Non più e non solo la pro- dattica
gettazione (o forse meglio la programmazione) risulta
essere l’applicazione di modelli predefiniti (didattica per obiettivi,
per competenze, per progetti, per concetti). Progettare richiede
oggi la costruzione di un percorso didattico “su misura” per il con-
testo.
Il riferimento al contesto non determina una rinuncia a un ap-
proccio scientifico, ma sposta a un livello “meta” il modello. Se
prima i modelli erano relativi alle tipologie e alle caratteristiche dei
percorsi, oggi essi indicano al docente il processo che egli compie
per elaborare il progetto.
I modelli attuali sono molto diversi da quelli proposti agli albori
dell’Instructional Design. Dagli schemi degli anni Sessanta e Settanta
del secolo scorso (si pensi ad addie) rigidamente lineari e determi-
nistici (waterfall), si è passati a modelli ciclici e ricorsivi che ben de-
scrivono il modo con cui il docente opera realmente nella progetta-
zione. Ecco il rapid prototyping nelle sue varie versioni (Tripp e Bi-
chelmeyer 1990; Wilson et alii 1993; Botturi et alii 2007) o
il modello fbs (Gero 1994; Gero - Kannengiesser 2002; Gero A
Rossi - Toppano 2009) che tengono conto dei processi ciclici
per approssimazioni successive e prendono in esame le si-
mulazioni mentali e le modellizzazioni del contesto (Schön Schön A
1993) che caratterizzano il pensiero del docente come pro-
fessionista. Si veda in questa direzione il mo-
dello lsde proposto dalla Laurillard (2012). Instructional design 

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Introduzione

Formare i Ma come si acquistano le competenze per la progetta-


professionsiti zione e la regolazione? Ovvero come si diventa professio-
nisti riflessivi?
Un insegnante deve disporre di un ampio catalogo di strategie,
conoscenze e modelli (cfr. infra parte seconda). Ma sicuramente que-
sto non è sufficiente perché disponga della phronesis aristotelica, la
saggezza in azione.
D’altro canto sebbene la pratica sia alla base dell’acquisizione di
competenze, la pratica da sola è monca: se il docente non attiva un
processo pratica-teoria-pratica e se non mette in atto percorsi rifles-
sivi, la pratica è cieca.
L’esigenza di avere professionisti della formazione impone un
nuovo rigore scientifico alla didattica che garantisca alla formazione
iniziale di avviare alla professionalizzazione e alla formazione in ser-
vizio di favorire la messa a punto di un’identità professionale e per-
sonale (cfr. infra Parte terza).
La terza parte del testo costruisce un ponte tra l’attività del do-
cente per insegnare (attività produttiva) e l’attività del docente per
arricchire la propria traiettoria professionale e personale (attività co-
struttiva). In essa sono descritti ampiamente i dispositivi per la for-
mazione dei professionisti, motivando perché la didattica è una
scienza e cercando di descrivere come declinare il concetto di scienza,
secondo traiettorie innovative. Oggi non è più pensabile esaminare
l’insegnamento senza l’insegnante con il suo patrimonio professio-
nale e personale, come in generale non è possibile parlare dell’os-
servato senza tener conto della prospettiva dell’osservatore.

5. Struttura del testo


L’agire didattico. Manuale per l’insegnamento costituisce il primo
risultato tangibile del lavoro di una comunità professionale di do-
centi universitari (20 professori di 16 sedi) che si è raccolta imma-
ginando di funzionare come un laboratorio permanente di ricerca e
riflessione sulle pratiche di insegnamento e i problemi dell’appren-
dimento. Si tratta di un sicuro aspetto di novità in un panorama,

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Struttura del testo

come quello delle nostre università, in cui spesso prevalgono al con-


trario logiche particolari e chiusure autoreferenziali con la conse-
guente frammentazione degli indirizzi di ricerca e la mancanza di
un’effettiva circolazione e fertilizzazione delle esperienze.
Gli effetti positivi speriamo si possano registrare presto:
– la definizione di un framework concettuale comune in grado, se
non di uniformare, quanto meno di rendere coerenti gli standard
formativi degli studenti nelle diverse sedi nel campo della didattica;
– in virtù di questo framework, la costruzione di un campione di
studenti rappresentativo a livello nazionale che consenta la compa-
razione dei dati e la definizione di protocolli e disegni di ricerca in
comune;
– l’allestimento di un dispositivo di aggiornamento professionale,
di intercettazione del nuovo, di scouting e promozione di giovani ri-
cercatori: una vera e propria “accademia della didattica” in cui far
maturare idee, confrontarle, condividerle e affidarle alla comunità
più ampia dei ricercatori;
– l’adozione di modelli e materiali di lavoro comuni all’interno di un
laboratorio permanente del fare didattica in grado di produrre ri-
flessione, strumenti, orientamenti.

Nello specifico, con il presente volume questo gruppo di lavoro


intende promuovere un nuovo tipo di approccio alla forma-ma-
nuale. Ne indichiamo sinteticamente di seguito i punti di forza.
L’agire didattico. Manuale per l’insegnamento è un prodotto edi-
toriale transmediale, composto da una parte cartacea e da una digi-
tale perfettamente integrate tra loro. L’obiettivo della parte cartacea
è di fornire al lettore delle trattazioni monografiche agili su temi di
cui gli estensori, nel campo didattico, sono portatori di competenze
riconosciute. La logica che guida i singoli contributi è fortemente in-
terpretativa: non ci interessava che essi si trasformassero in repertori
bibliografici aridi, capaci di rendere conto della letteratura sull’ar-
gomento; abbiamo voluto invece che fossero letture molto perso-
nali, sguardi originali che consentano a chi legge di confrontarsi con
un preciso punto di vista.

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Introduzione

La struttura di ogni singolo capitolo prevede, in conclusione, una


mappa concettuale che favorisca l’esplicitazione retrospettiva del suo
percorso argomentativo. Marcatori grafici indicano all’interno del
testo i punti di raccordo tra la parte cartacea e le sue estensioni on
line. Richiami a margine aiuteranno il lettore a individuarne le unità
semantiche cogliendone i contenuti essenziali. Si tratta di elementi
di semplessificazione (Berthoz 2011) della trattazione che hanno il
compito di facilitare il lavoro del lettore.
La parte digitale, disponibile on line, va pensata come un’esten-
sione e un’integrazione della trattazione cartacea. In essa si possono
distinguere differenti strumenti:
– schede, in cui vengono sinteticamente inquadrati autori, teorie, ap-
profondimenti;
– attività, che presentano studi di caso, strumenti di ricerca e inter-
vento;
– materiali audio e video;
– risorse biliografiche e sitografiche;
– un lessico dei termini tecnici.
Uno spazio specifico, all’interno della parte on line, vengono ad
assumere le riprese video di insegnanti in situazione. Si tratta di fil-
mati il cui obiettivo è di mettere a disposizione degli studenti uno
strumento per lo sviluppo professionale e per la meta-analisi delle
proprie pratiche didattiche. Sull’esempio della tradizione di ricerca
francese (Altet, Vinatier), un video di questo genere riprende l’inse-
gnante alle prese con il setting d’aula, fornendo allo studente ele-
menti per rielaborare riflessivamente il proprio
 Microteaching agire. A differenza del microteaching di tradizione
anglosassone, questo approccio non parte dal pre-
supposto che il video serva a correggere gli errori nella comunica-
zione didattica (supponendo di conseguenza di disporre di un mo-
dello adeguato di comunicazione didattica), ma a portare a consa-
pevolezza degli insegnanti aspetti e problemi dell’azione didattica in
contesto.
L’architettura degli argomenti prevede una macrotripartizione.
La prima parte (Teoria e storia) si muove entro i confini dell’epi-
stemologia e della teoria generale della didattica lungo due princi-

20
Struttura del testo

pali assi: l’asse criteriologico, lungo il quale si organizzano i pro-


blemi della definizione della didattica, della ricostruzione delle sue
linee di filiazione teorica, dell’analisi prospettica di modelli (capp.
primo e secondo); l’asse tassonomico, lungo il quale vengono espli-
citati gli snodi della didattica generale nei suoi rapporti con le di-
dattiche disciplinari (cap. terzo) e con i diversi contesti della sua ap-
plicazione (capp. quinto e sesto, quest’ultimo dedicato nello speci-
fico al rapporto tra didattica e organizzazioni) e si individua nella di-
mensione tecnologica non un aspetto specifico dell’agire didattico,
ma una dimensione trasversale alle sue diverse manifestazioni (cap.
quarto).
La seconda parte (Saperi e strumenti) rappresenta, se ci si con-
sente la metafora, la cassetta degli attrezzi dell’insegnante/formatore.
In essa viene definito il framework dell’agire didattico nella circola-
rità delle sue componenti (cap. settimo) che vengono poi analizzate
contestualmente: progettazione (capp. undicesimo e dodicesimo),
trasposizione (cap. nono), comunicazione e gestione dell’aula (cap.
ottavo), valutazione (capp. tredicesimo, quattordicesimo e quindi-
cesimo). Un rilievo particolare viene poi garantito a dispositivi, am-
bienti e artefatti (cap. decimo), elementi che entrano a tutti gli ef-
fetti a fare parte, nel moderno agire didattico, della progettazione e
della regolazione.
La terza parte del libro (Professionalità docente) costruisce un
ponte tra l’attività produttiva e l’attività costruttiva. La prima è rela-
tiva alla trasformazione del reale, la seconda alla trasformazione della
persona in riferimento alla sua traiettoria personale e professionale.
La formazione all’insegnamento non è pensabile oggi senza la for-
mazione dell’insegnante come professionista. Il primo contributo
costruisce tale legame e affronta i temi della mediazione e delle re-
golazione, centrali nella logica di un approccio enattivo alla didat-
tica come quello sviluppato in queste pagine (cap. sedicesimo).
Vengono, successivamente, messi a fuoco alcuni saperi che, come
quelli trattati nella seconda parte, contribuiscono a definire il pro-
filo professionale dell’insegnante, ma che, a differenza di quelli, tra-
ducono alcune dimensioni nuove o da tempo presenti, consegnate

21
Introduzione

dalla ricerca a nuova rilevanza. È il caso della dimensione riflessiva


(cap. diciannovesimo), del ruolo del corpo messo in luce dalla ri-
cerca sulla dimensione motoria di estrazione neuroscientifica (cap.
diciottesimo). Ma anche l’apertura interculturale, più in generale il
tema delle diversità (cap. diciassettesimo), chiede un’attenzione spe-
cifica in un contesto di crescente pluri-culturalismo nella costitu-
zione delle classi, così come l’esigenza di dotare l’insegnante di stru-
menti che siano funzionali allo sviluppo di ricerca educativa (cap.
ventunesimo). Da ultimo, non può mancare una visione sintetica
dei problemi e delle metodiche della formazione dei professionisti
(cap. ventesimo), un’urgenza non rinviabile a fronte delle sfide che
i nuovi contesti e i loro assetti lanciano all’educazione.

Pier Cesare Rivoltella - Pier Giuseppe Rossi

22
Parte prima

Teoria e storia
Capitolo primo

Epistemologia della didattica


Massimo Baldacci

1. Premessa
In questo capitolo intendiamo affrontare la questione dell’episte-
mologia della Didattica. Per “epistemologia” s’intende sia la teoria
generale della conoscenza (per la quale si usa anche il termine “gno-
seologia”), sia – in un senso più circoscritto – la teoria della scienza.
Noi useremo tale termine in questo secondo senso, per riferirci agli
assetti teorici della Didattica intesa come disciplina scientifica1.
In prima approssimazione, diremo che la Didattica è la scienza
dell’insegnamento ma, come vedremo, la questione è destinata a ri-
velarsi più complessa. Per chiarirla, sia pure sommariamente, attra-
verseremo tre problemi:
– il nesso tra ontologia ed epistemologia della Didattica;
– le possibili concezioni epistemologiche della Didattica;
– la delimitazione di un “oggetto” specifico alla Didattica come
scienza.
I primi due punti costituiscono una preparazione del cuore del
discorso, che è sviluppato nel terzo punto, e mirano a dare alcuni
chiarimenti sul genere di epistemologia che adotteremo. Difatti, poi-
ché ogni analisi teorica muove da certe premesse, senza le quali non
sarebbe possibile, è opportuno rendere esplicite tali premesse, altri-

1
Per evitare continue precisazioni useremo “Didattica” (con l’iniziale maiu-
scola) per riferirci alla scienza dell’insegnamento, e “didattica” (con l’iniziale mi-
nuscola) come sinonimo d’insegnamento.

25
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

menti si corre il rischio di presentare un punto di vista dovuto a una


precisa opzione teorica (sia pure provvisoria) come se fosse assoluto
e privo d’alternative.

2. Epistemologia e ontologia
Un primo chiarimento concerne la distinzione tra epistemologia
e ontologia. Detto in modo sommario, l’epistemologia concerne il
processo di conoscenza della realtà, e le condizioni di validità di tale
conoscenza; l’ontologia riguarda invece ciò che esiste, la natura della
realtà in sé. Questi due piani non devono essere confusi: il problema
di quali cose esistano e di come esse stiano è diverso da quello di
come si possa conoscerle validamente. Tuttavia, la natura della realtà
non è senza conseguenza sui modi validi di conoscerla. Schematiz-
zando, rispetto alla Didattica, si può concepire la sua ontologia di ri-
ferimento in termini naturali o in termini storico-sociali. In altre
parole, si può vedere il campo delle pratiche d’inse-
L’insegnamento come gnamento e d’apprendimento come una realtà na-
realtà naturale turale, oppure storico-sociale.
Nel caso dell’ontologia naturale, agirà il
 Ontologia naturale postulato della stabilità e della regolarità della
natura, per cui si tenderà a pensare che, di là
dalle contingenze storico-sociali, la Didattica sia volta a cogliere le
costanti naturali del processo d’insegnamento-apprendimento, che
riposano sulla costituzione biologica dell’uomo (difatti, l’insegna-
mento, almeno nella forma intenzionale, è un fenomeno specifico
alla specie umana [Baldacci, 2012]). Così, si tenderà a ritenere che
vi siano principi o leggi perenni dell’insegnamento-apprendimento
che la Didattica deve scoprire o ricostruire, e la ricerca assumerà un
taglio nomotetico (= ricerca di leggi universali). Insomma, nella sua
natura profonda, l’uomo è sempre il medesimo in tutte le epoche e
in tutti i contesti, perciò il processo d’insegnamento-apprendimento
possiede una struttura costante.
Vedere il campo delle pratiche d’insegnamento-
L’insegnamento come apprendimento come una realtà di genere storico-
realtà complessa sociale muta completamente il quadro di riferi-

26
Epistemologia e ontologia

mento. Nel caso dell’ontologia storica, infatti, Ontologia storica 


la costituzione biologica specie-specifica del-
l’uomo (che ovviamente nessuno nega) definisce solo un campo di
possibilità, ed è il divenire storico-sociale a determinare le forme
concrete e storico-relative assunte dai processi d’insegnamento-ap-
prendimento. Così, si tenderà a ritenere che i principi e le categorie
dell’insegnamento siano astrazioni determinate e storicamente rela-
tive, e che esse vadano comprese entro un certo quadro storico-so-
ciale. Insomma, la natura dell’uomo è storica: l’uomo attualizza le
possibilità definite dalla sua costituzione biologica in forme diffe-
renti nelle varie epoche e nei diversi contesti sociali, per cui la strut-
tura del processo d’insegnamento-apprendimento è socialmente de-
terminata e storico-relativa.
Questa problematica ontologica è resa più acuta
L’insegnamento come
da due ulteriori questioni. La prima è la possibilità realtà complessa
di un’ontologia di riferimento di carattere complesso
(Morin, 1993), sociale e naturale al tempo stesso, perché alcuni
aspetti della struttura dell’insegnamento-apprendimento potrebbero
inerire al dominio naturale, altri a quello sociale, e altri ancora essere
difficilmente classificabili. Di conseguenza le ontologie meramente
naturali o sociali costituirebbero una semplificazione unilaterale ri-
spetto alla realtà delle cose, e sarebbero perciò destinate a generare
impostazioni riduttive. La seconda è che le assunzioni ontologiche
compiute in sede epistemologica, spesso, rimangono implicite e agi-
scono così in modo incontrollato. Difatti, è difficile sviluppare un
discorso scientifico senza compiere almeno alcune assunzioni onto-
logiche. Questo non implica che una concezione epistemologica
debba assumere come riferimento un’ontologia completa e detta-
gliata. Le è però necessario almeno un orientamento circa il carat-
tere generale di tale ontologia (naturale, sociale, complessa…), pur-
ché reso esplicito e dunque sorvegliato. Altrimenti il presupposto
ontologico rischia di precipitare nella matrice epistemologica e di
confondersi con le sue strutture, agendo in maniera incontrollata
sull’inconsapevole ricercatore. Per il resto, una volta precisato que-
sto orientamento generale, crediamo che ci si debba attenere al prin-
cipio di austerità ontologica (ovvero, al celebre rasoio di Ockam), e

27
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

dunque limitarsi a quelle assunzioni ontologiche minime stretta-


mente necessarie alla coerenza del discorso (Quine, 2005). Per esem-
pio, se si assume che l’apprendimento umano sia un processo di con-
tinua riorganizzazione dell’esperienza, e che come tale segua il prin-
cipio di continuità dell’esperienza (ogni esperienza è condizionata da
quelle precedenti, e influenza quelle successive), si assume implici-
tamente l’esistenza di un sé individuale persistente nel tempo, ne-
cessario per rendere sensato tale principio di continuità (Dewey,
1996).
Per quanto ci riguarda, rispetto alla Didattica, assumeremo la
cornice generale di un’ontologia di carattere complesso, sociale e na-
turale al tempo stesso, senza però preoccuparci di dettagliarla o tanto
meno di fissare le proporzioni tra tali aspetti.
 Ontologia complessa Anche in questi termini generali, un’ontolo-
gia complessa ha conseguenze rilevanti sul
piano epistemologico. Infatti, sebbene il rapporto tra questi piani
non sia di tipo deduttivo (l’epistemologia non si può derivare dal-
l’ontologia), l’epistemologia è almeno in parte vincolata dall’onto-
logia. In altre parole, muovendo dall’ontologia non si può determi-
nare quale soluzione epistemologica sia valida, ma si possono esclu-
dere certi tipi di soluzioni, poiché inadeguati alla natura ontologica
della realtà da conoscere.
Per chiarire ulteriormente la questione, se
Adeguatezza e affidabilità
del processo conoscitivo l’epistemologia si occupa delle condizioni di va-
lidità della conoscenza scientifica, possiamo ri-
durre schematicamente questo problema a due aspetti: l’adeguatezza
del processo conoscitivo rispetto alla natura ontologica della realtà da
conoscere, e l’affidabilità del processo conoscitivo, ossia la sua capa-
cità di mettere capo a conoscenze vere rispetto a tale realtà. L’onto-
logia vincola l’epistemologia rispetto alla prima questione, all’ade-
guatezza del processo conoscitivo. E questo vincolo ontologico è ca-
pace di determinare decorsi epistemologici marcatamente differenti.
Difatti, tornando alle conseguenze di un’ontologia complessa sul-
l’epistemologia della Didattica, assumere una realtà simultaneamente
naturale e storico-sociale dei processi d’insegnamento-apprendi-
mento rende avvertiti (anzi: guardinghi), contro frettolose genera-

28
Quadri epistemologici

lizzazioni nomotetiche. Ma qui non ci riferiamo alla classica cautela


nella generalizzazione, in base alla quale si richiede un’evidenza em-
pirica ampia e rappresentativa prima di arrischiare tale generalizza-
zione. Ci riferiamo invece allo stesso carattere nomotetico della ge-
neralizzazione (laddove inteso in senso puro): alla pretesa di arrivare
a leggi costanti e sovra-storiche, simili a leggi naturali. Difatti, la
complessità dell’insegnamento-apprendimento deve rendere molto
cauti in proposito, dando consapevolezza del rischio di reificare la
sua struttura, riducendo a realtà meramente naturale una realtà sto-
rico-naturale, i cui principi (o almeno una parte di essi) potrebbero
essere valevoli in modo puramente storico relativo, e possedere dun-
que il carattere di astrazioni storicamente determinate più che quello
di leggi naturali (Goldmann, 1981). Posto questo monito critico
contro le tentazioni di assimilare la Didattica a una mera scienza na-
turale dell’insegnamento-apprendimento, non ci impegneremo però
in ulteriori chiarimenti, aggiungendo soltanto che un’ontologia com-
plessa esclude soluzioni semplicistiche del rapporto Natura/Storia.
Per esempio, non si pensi di cavarsela assumendo che le forme del-
l’apprendimento ineriscano a un’ontologia naturale, mentre i suoi
contenuti a un’ontologia storica, perché quest’ultimo assunto costi-
tuisce una banalità lapalissiana, mentre il primo potrebbe rappre-
sentare proprio quel genere di reificazione che occorre evitare, sfor-
zandoci di capire come tali forme, nonostante abbiano una compo-
nente naturale, subiscano una strutturazione storico-sociale.
Tenuto conto di queste considerazioni, una volta posta un’onto-
logia complessa dell’insegnamento-apprendimento, conviene com-
piere una mossa trascendentale, assumendo la connessione Na-
tura/Storia come mera idea regolativa, come puro canone metodo-
logico rispetto al modo di pensare la realtà dell’insegnamento-ap-
prendimento.

3. Quadri epistemologici
Come si è detto, l’ontologia vincola l’epistemologia dettando
l’esigenza di adeguatezza del processo conoscitivo rispetto alla na-

29
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

tura della realtà da conoscere. La soddisfazione di questo vincolo


ontologico, benché necessaria, non esaurisce però gli standard di va-
lidità del processo conoscitivo: sono in gioco anche l’affidabilità del
processo e i suoi eventuali limiti. In altre parole, mentre la questione
di quale genere sia la realtà da conoscere è preliminare all’epistemo-
logia, o meglio riguarda il suo rapporto con l’ontologia, sono stret-
tamente epistemologiche le domande circa cosa è possibile cono-
scere, e come è possibile farlo in modo affidabile.
Anche rispetto a questo problema, ci limiteremo a un’analisi a
grana grossa, compiendo una distinzione
 Epistemologia formale tra epistemologia formale ed episte-
 Epistemologia naturalizzata mologia naturalizzata. Torneremo in-
fine sul rapporto tra epistemologia e on-
tologia.
Epistemologia formale: L’epistemologia formale rappresenta una rico-
principi e canoni della struzione razionale dell’assetto del sapere e dell’at-
didattica
tività scientifica (Giorello, 1994). Questo tipo di
epistemologia si preoccupa cioè di analizzare le
condizioni di validità della conoscenza, e perciò di definire un in-
sieme di principi, criteri o requisiti che tale conoscenza deve soddi-
sfare per essere “scientifica” nel senso di razionalmente giustificata.
La strategia teorica usata da questa Epistemologia è dunque basata
sull’analisi logica di tali condizioni e requisiti, e questi assumono
una portata normativa rispetto ai modi di fare scienza, prescrivendo
come deve essere organizzata la conoscenza e come deve procedere
il suo processo per essere valido. Entro questa cornice, l’epistemo-
logia della Didattica consiste nell’individuare i criteri di struttura-
zione di questo sapere (Frabboni, 2000), nonché i canoni metodo-
logici che le consentono di elaborare una conoscenza valida circa
l’insegnamento-apprendimento.
L’epistemologia naturalizzata muove dalla
Epistemologia
naturalizzata: studio delle critica di quella formale, alla quale rimprovera
pratiche di insegnamento di voler imporre all’attività scientifica canoni
esterni ad essa, anziché di cercare di indivi-
duarne i criteri immanenti (Quine, 1986). Così, questo tipo di Epi-
stemologia sostituisce l’analisi logica con l’analisi empirica della pra-

30
Quadri epistemologici

tica scientifica, e più precisamente con la psicologia empirica dei


processi conoscitivi concretamente messi in atto nella ricerca. In
questo modo, essa diviene simile a una scienza naturale che studia
il processo della conoscenza scientifica. D’altra parte, pur essendo di
tipo descrittivo, il risultato non perde del tutto di portata prescrit-
tiva, perché l’analisi dei vari tipi di strategie adottate ne può rivelare
una differenza d’efficacia, e quindi acquisire anche una funzione
normativa. Secondo la variante evoluzionista di questa Epistemolo-
gia, nel corso della propria storia evolutiva, la pratica scientifica se-
leziona i canoni che si sono mostrati più adatti a favorire la crescita
della conoscenza. Entro questa cornice, l’epistemologia della Di-
dattica consiste nell’analisi empirica delle pratiche d’insegnamento-
apprendimento (Damiano, 2007a) (e in particolare di quelle che si
mostrano maggiormente efficaci rispetto a certi problemi), e i cor-
relati processi di formazione delle credenze didattiche dei docenti,
allo scopo di estrapolarne i criteri immanenti.
Se i “naturalisti” contestano all’Epistemologia formale di pre-
scrivere dall’esterno standard strutturali e giustificativi alla scienza,
e dunque canoni astratti definiti in modo meramente logico, i “for-
malisti” rimproverano a loro volta all’Epistemologia naturalizzata il
fatto di minimizzare la questione della fondatezza dei criteri scien-
tifici (Nagel, 1999), e dunque dell’effettiva garanzia di validità del
sapere scientifico, oltre a quello di tendere a convertire la descrizione
di ciò che si fa con la prescrizione di ciò che si dovrebbe fare2.
Anche in questo caso, almeno in linea di
principio, si apre perciò lo spazio per una terza Epistemologia critica:
i canoni e le pratiche
via epistemologica, che definiremo come Epi-
stemologia critica (Banfi,1957). Una tale Epistemologia critica 
impostazione, pur serbando un carattere for-
male, prevede un ruolo anche per le indagini naturalizzate. Infatti,
l’analisi logica dei criteri di validità del sapere scientifico non può es-
sere del tutto priva di rapporti con i risultati dell’analisi empirica

2
In un’analisi più articolata, si dovrebbe prendere in esame anche l’ipotesi di
un’epistemologia “storicizzata”, di cui rappresenta un esempio “forte” Goldmann, cit.

31
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

delle pratiche d’insegnamento e della elaborazione delle credenze di-


dattiche dei docenti. A questo proposito, le stesse strutture episte-
mologiche formali devono essere assunte in una cornice congetturale
e fallibilista: in linea di principio dovrebbero essere in grado di spie-
gare l’efficacia e i limiti dei canoni di fatto adottati, così come sono
ricostruibili attraverso le analisi empiriche delle pratiche didattiche,
e dovrebbero essere in grado d’indicare ulteriori criteri di validità.
La nostra opzione teorica sarà a favore di una tale epistemologia
critica, il cui assetto fondamentale è comunque quello canonico del-
l’Epistemologia formale (e in questo capitolo ci limiteremo a svi-
luppare questo aspetto).
Riassumendo, avanziamo l’ipotesi teorica di un’epistemologia cri-
tica della Didattica, che assuma come quadro di riferimento un’on-
tologia complessa dell’insegnamento-apprendimento. Si tratta cioè di
individuare gli assetti e i canoni della conoscenza didattica attraverso
un’analisi logica corroborata da analisi empiriche, riferendo tale co-
noscenza alla realtà complessa, tanto naturale quanto storico-sociale,
delle pratiche d’insegnamento-apprendimento. Nel seguito, ci limi-
teremo però ad alcune annotazioni generali, senza tentare una rea-
lizzazione dettagliata di questo programma di lavoro.

4. Il problema dell’oggetto della Didattica


Una definizione Si potrebbe ritenere di dare uno statuto scientifico
della Didattica? alla Didattica attraverso una sua definizione univoca
e precisa, ma tale strada è irta di difficoltà e si è mo-
strata infruttuosa (Genovesi, 2008). Per altro, ogni disciplina scien-
tifica sconta una simile difficoltà, e d’altra parte una tale definizione
non è una condizione della sua operatività, semmai vale il contrario:
quando una disciplina è operativa e produce risultati validi ci si può
interrogare sensatamente sul suo carattere. Le risposte rimangono
però legate alle sue forme operative e ai loro esiti. Così, se si chiede
(poniamo) che cos’è la matematica, le risposte tipiche sono che la
matematica è ciò che fanno i matematici, oppure che è ciò che è
scritto nei libri di matematica. Lo stesso vale per la Didattica: una

32
Il problema dell’oggetto della Didattica

sua definizione precisa e univoca non è necessaria per farne una di-
sciplina scientifica. Batteremo perciò altre strade.
Dal punto di vista di un’epistemologia formale, le condizioni di
possibilità di una Didattica come scienza sono legate alla sua capa-
cità di soddisfare i requisiti tipici di ogni sapere scientifico. Grosso
modo, tali requisiti sono quelli di possedere un proprio autonomo
oggetto e un metodo rigoroso (Agazzi, 1979; Antiseri, 1976). L’inda-
gine logico-epistemologica verte perciò essenzialmente sull’ogget-
tualità e sulla metodologia di ricerca della Didattica. A questo com-
pito, però, potremo qui provvedere solo a
grandissime linee e limitandoci alla questione Oggettualità 
dell’oggettualità.
In prima approssimazione, l’oggetto di una scienza L’oggetto della
è costituito dalla “cosa” di cui essa si occupa: la Didat- Didattica:
l’insegnamento
tica è la scienza dell’insegnamento, come la Semiotica
è la scienza del segno. Tuttavia, la questione non è così
semplice. In primo luogo, il concetto d’insegnamento non è uni-
vocamente determinato, bensì ha un carattere polisemico, ma a
questo penseremo più avanti. In secondo luogo, l’oggetto di una
scienza non è identificabile con la “cosa” di cui si occupa, perché di-
scipline differenti possono studiare la medesima “cosa” da punti di
vista diversi: e difatti esiste una psicologia dell’insegnamento come
una sociologia dell’insegnamento. Pertanto, si è più vicini alla so-
stanza della questione, se si asserisce che l’oggetto scientifico è una
data cosa guardata da un certo punto di vista. Così, la Didattica
costituisce una disciplina autonoma se, e solo se, si occupa dell’in-
segnamento da una propria specifica angolazione, che è necessario
identificare per fondare tale autonomia. Ma in questo discorso l’og-
getto rimane ancora indeterminato, a causa della genericità di
espressioni come “cosa” e “punto di vista”, il cui valore è meramente
metaforico e che devono perciò essere sostituite da formulazioni
più precise. A questo proposito, in luogo di “cosa” è più appropriato
usare l’espressione: “campo di esperienza” o, nel nostro caso,
“campo di pratiche”. In altre parole, un primo aspetto dell’oggetto
è costituito da un campo d’esperienza che cade sotto una nozione

33
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

unificante3. Così, la dimensione oggettuale della Didattica si riferi-


sce al campo di pratiche che cade unitariamente sotto il concetto
d’insegnamento (ossia, al campo delle pratiche d’insegnamento-ap-
prendimento4). Quanto al “punto di vista”, in senso operativo esso
corrisponde alla rete concettuale adoperata dalla disciplina per dare si-
gnificati scientifici ai fenomeni di un dato campo d’esperienze. Il
punto di vista della Semiotica corrisponde al reticolo di categorie
usato da questa disciplina per leggere il mondo (per esempio: emit-
tente, codice, messaggio, canale, destinatario…). In questo modo,
l’oggettualità della Didattica si risolve nella rete concettuale da essa
adoperata per interpretare il campo di pratiche che cade unitaria-
mente sotto la nozione d’insegnamento. Tale oggettualità perde per-
ciò qualsiasi connotato “cosale”. Così, si può anche dire che l’oggetto
della Didattica è l’insegnamento, se s’intende l’insegnamento come il
concetto limite della sua rete categoriale, e sotto il quale cade il campo
delle pratiche d’insegnamento-apprendimento5. Per approfondire il
discorso sulla dimensione oggettuale della Didattica, occorre perciò
sia chiarire il concetto d’insegnamento, sia precisare il carattere della
struttura concettuale ad essa inerente.
Iniziamo dal chiarimento del concetto d’inse-
Il concetto ordinario
di insegnamento gnamento. Naturalmente vi è in primo luogo un
concetto ordinario d’insegnamento, proprio del
linguaggio comune, che è sufficiente per gli usi pra-
tici quotidiani. In sede scientifica occorre però superare questo con-
cetto ordinario, che si mantiene vago e ambiguo, per giungere a una
soluzione formale. Non si tratta però tanto di pervenire a una defi-
nizione univoca, quanto di chiarire la struttura polisemica di tale
concetto, così da evidenziare la problematica immanente alla Di-

3
Per riferirsi a questo aspetto si può usare anche l’espressione “regione onto-
logica”, denominando di conseguenza la rete concettuale della disciplina come la
sua “ontologia regionale” (Baldacci, 2012).
4
Riteniamo insensato separare e opporre insegnamento e apprendimento: la
Didattica è fondata sul loro nesso.
5
In altre parole, l’oggetto di una scienza emerge dalla sua ontologia regionale,
ed è espresso convenzionalmente dal concetto limite di questa.

34
Il problema dell’oggetto della Didattica

dattica6. Difatti, col termine “insegnamento” si può intendere sia il


contenuto da insegnare (come quando si chiamano “insegnamenti”
le diverse discipline del curricolo formativo), sia l’azione di insegnare
(le condotte con cui l’insegnante cerca di favorire l’apprendimento
del discente); e per altro verso ci si può riferire sia alla relazione di-
retta dell’insegnante col discente (si chiama “insegnamento” la co-
municazione di conoscenze al discente), sia a una loro relazione in-
diretta (come avviene nel caso dell’esempio: quando si parla dell’in-
segnamento di don Milani, non ci si riferisce alle lezioni che egli te-
neva ai ragazzi di Barbiana, bensì al messaggio morale trasmesso dal
suo esempio); su un ulteriore piano, si può intendere sia un feno-
meno informale (come quando si verifica l’esigenza contingente di
mostrare a un novizio come eseguire una certa operazione del corso
di una data attività), sia un fenomeno formale (come l’insegnamento
scolastico di un sapere disciplinare). Si potrebbe continuare, ma il ca-
rattere polisemico nel concetto d’insegnamento appare evidente. Di
fronte a questa polisemia, il tentativo di imbrigliare tale concetto in
una definizione univoca rischia di risultare dogmatico e unilaterale,
finendo per oscurare aspetti cruciali della sua struttura. Invece di
pensare all’insegnamento come a un concetto-sostanza, caratteriz-
zato da un significato univoco si possono compiere due mosse di-
verse (di carattere logico diverso, e quindi complementari).
La prima e più radicale mossa è quella di passare
dal concetto sostanziale all’idea trascendentale (Banfi, L’idea regolativa
di insegnamento
1967)7. Ciò implica la rinuncia a qualsiasi valenza on-
tologica o referenziale del termine “insegnamento”, per
conferirgli un valore puramente regolativo verso l’insieme dei signi-
ficati evidenziati dalle diverse accezioni del concetto. In questa di-
rezione, l’idea d’insegnamento esprime un senso più astratto ma uni-
tario che sussume i suoi diversi significati concettuali, trasformandoli

6
Per la polisemia del termine “insegnamento” cfr. Laporta, 1994; Damiano,
1993.
7
Di Banfi cfr. anche la voce “didattica”, in Enciclopedia Treccani, 1931, nella
quale lo studioso tratteggia l’idea di didattica in generale. Per la cui critica cfr. Ma-
ragliano, 1988.

35
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

in momenti del farsi dell’insegnamento stesso. In altre parole, nella


concreta pratica dell’insegnamento vi è il momento formale, come
quello informale; il momento diretto, come quello indiretto. L’idea
compendia questi momenti in una sistematica unitaria, garantendo
l’apertura all’intera trama dei suoi significati e agendo perciò da di-
spositivo critico contro i tentativi di chiudere il concetto in un’ac-
cezione parziale e unilaterale. Tuttavia, se questa mossa preserva il
concetto d’insegnamento da chiusure dogmatiche, essa riguarda però
più il modo di pensare l’insegnamento in maniera unitaria (la sua fi-
losofia, si potrebbe dire), che non quello di conoscerlo scientifica-
mente. Pertanto, la mossa trascendentale deve essere preparata e
completata da una mossa di tipo funzionale, che mantiene la refe-
renza empirica del concetto, e dunque la sua pertinenza in sede
scientifica.
La mossa in questione consiste nel passaggio
Il concetto-funzionale
di insegnamento dal concetto sostanziale al concetto funzionale8. Il
concetto sostanziale sfronda la polisemia per giun-
gere a un significato univoco (la “sostanza” del concetto). Il concetto
funzionale assume invece i diversi aspetti della polisemia come va-
riabili della propria struttura, serbando il loro carattere referenziale,
ossia la loro capacità di denotare aspetti specifici della realtà delle
pratiche d’insegnamento-apprendimento. Così, il concetto-fun-
zione d’insegnamento può essere rappresentato in questa forma:
Insegnamento (insegnante, discente,
contenuto, medium, azione, contesto… x, y, z)
dove le espressioni tra parentesi indicano le “variabili” (qui indivi-
duate solo sommariamente) che caratterizzano la struttura dell’in-
segnamento (con x, y, z come variabili da determinare). In questa
forma, il concetto d’insegnamento si mantiene insaturo, perché il
suo riferimento empirico (la specifica realtà d’insegnamento che de-
nota) non è precisata finché non sono saturate almeno alcune di
queste variabili. Tutto questo vuol dire che di fatto non esiste l’in-
segnamento in generale (pertinente all’idea): l’insegnamento è sem-

8
Sui concetti-funzione, cfr. Cassirer, 1973 (1910).

36
Il problema dell’oggetto della Didattica

pre l’insegnamento di qualcosa (il contenuto), da parte di qualcuno


(l’insegnante) a qualcun altro (il discente), in una data situazione
sociale (il contesto), attraverso certi modi (le azioni d’insegnare),
entro e attraverso certi media (gli ambienti della comunicazione).
Saturando alcune di queste variabili si ottiene una specifica forma
d’insegnamento: l’insegnamento della matematica agli studenti della
scuola secondaria, per esempio. La scelta delle variabili da saturare
e di quelle da lasciare indeterminate è funzione del grado di specifi-
cità dell’analisi (più generale: l’insegnamento della matematica, eli-
minando il riferimento al contesto; più specifico, aggiungendo al-
l’esempio di cui sopra: attraverso esperienze di laboratorio).
In questo modo, si possono caratterizzare i vari
La saturazione
tipi di didattica sulla base di una saturazione diffe- differenziale del
renziale delle variabili inerenti al concetto-funzione. concetto di didattica
Per esempio, la differenza tra Didattica generale e Di-
dattiche disciplinari corrisponderebbe alla scelta di saturare (= speci-
ficare) la variabile relativa al contenuto d’insegnamento (nelle Di-
dattiche disciplinari: didattica della matematica, didattica della sto-
ria…), oppure nel lasciarla insatura come nella Didattica generale
(che prescinde dal riferimento a uno specifico sapere)9.
La struttura del concetto-funzione si mostra però dipendente dal-
l’ontologia di riferimento (perché, a differenza dell’idea, il concetto
mantiene un portato referenziale alla realtà). La questione è parti-
colarmente complessa, per cui ci limitiamo a schematizzarla. Di-
ciamo che tale struttura esibisce una doppia forma di relatività: teo-
rica e storica. Da un lato, tale struttura si mostra relativa all’ontolo-
gia interna di una data teoria (Quine, 1986). Questa forma di rela-
tività dipende dagli aspetti dell’insegnamento assunti come rilevanti
per la sua interpretazione teorica. Così, se entro un dato paradigma
teorico tale struttura può avere la forma D (x, y, z), entro un altro
quadro paradigmatico può assumere la forma D (x, y, t) (in altre pa-
role, in questo secondo caso si ritiene teoricamente rilevante t in-
vece di z). Per altro, assumendo come riferimento generale un’on-

9
Sulla questione cfr. il cap. terzo di questa prima parte.

37
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

tologia complessa, si deve preventivare anche il carattere storico re-


lativo della struttura del concetto-funzione (Preti, 1976). Infatti, le
variabili che compaiono in tale struttura sono astrazioni vuote solo
a livello di un’epistemologia formale generale. Ma nel quadro di spe-
cifici momenti storici (e all’interno di paradigmi particolari), esse si
saturano in forme specifiche, assumendo il carattere di astrazioni
determinate storico relative. Supponiamo, per esempio, che la y rap-
presenti il medium didattico, ossia l’ambiente dell’insegnamento-
apprendimento. Prima dell’invenzione della scrittura, il sistema dei
media includeva solo l’oralità, la gestualità e l’iconicità. L’invenzione
della scrittura, in particolare dopo quella del libro a stampa, ha riar-
ticolato il sistema dei media, determinando – per così dire – il pas-
saggio dall’astrazione determinata y1 a y2. Oggi, con l’invenzione e
la diffusione dei new media, la variabile medium passa a un’ulteriore
forma determinata, che include anche questi ultimi10. Come si è
detto, la questione della relatività della struttura concettuale è in re-
altà più complessa (e meno schematica). Ma quanto detto dovrebbe
essere sufficiente a mettere in guardia contro il fraintendimento di
considerare la struttura dell’insegnamento in maniera dogmatica,
come una struttura nomotetica pietrificata ed eterna.
Riassumendo, abbiamo individuato tre livelli logici del concetto
d’insegnamento: il concetto ordinario con cui ci riferiamo al campo
delle pratiche d’insegnamento-apprendimento; il concetto-funzione
con cui si rappresenta la struttura delle variabili costitutive dell’in-
segnamento, nella sua relatività teorica e storica; e l’idea regolativa
connessa all’insegnamento in generale, come astrazione indetermi-
nata che garantisce contro chiusure unilaterali del senso dell’inse-
gnamento.
La struttura del concetto-funzione d’insegna-
La struttura concettuale mento fornisce anche un abbozzo dei nodi ine-
dell’insegnamento renti alla rete concettuale della Didattica, che co-
stituisce l’espressione operativa del suo specifico

10
Per il problema dei media didattici cfr. tra gli altri Rossi, 2011; Rivoltella,
Ferrari, 2010.

38
Il problema dell’oggetto della Didattica

punto di vista epistemologico11. Attraverso tale rete, la Didattica cat-


tura, interpreta e dirige l’esperienza relativa al campo dell’insegna-
mento-apprendimento. Una rete è però costituita anche dai fili che
collegano tali nodi. In altre parole, essa costi-
tuisce un sistema di relazioni o una struttura Struttura concettuale 
concettuale. Anche la struttura di questo si-
stema va concepita come relativa in senso teorico e in senso storico,
e forse le va riconosciuto anche un certo grado di convenzionalità
che la rende variabile in funzione della convenienza rispetto ai pro-
blemi da affrontare (per certi tipi di problemi potrebbe essere con-
veniente configurare tale rete in certe forme, per altri in forme di-
verse). Facciamo un rapido esempio, attraverso due differenti rap-
presentazioni grafiche (le abbiamo usate entrambe in occasioni di-
verse).
La prima rappresentazione è quella solitamente usata nel campo
delle Didattiche disciplinari (Martini, 2002):

Insegnante

Discente Sapere

Tale rappresentazione evidenzia la rilevanza della relazione del


discente col sapere, della mediazione didattica del docente e della
stessa relazione di quest’ultimo col sapere. Essa può essere vista come
uno dei possibili dispiegamenti della struttura:
Insegnamento (insegnante, sapere, discente)

11
Per una ricognizione sulla morfologia della Didattica cfr. tra gli altri Cal-
vani, 2007a.

39
Capitolo I - Massimo Baldacci - Epistemologia della didattica

La seconda rappresentazione è stata usata nel campo della Di-


dattica generale (Baldacci, 2004):

Processo
Soggetto Oggetto culturale

Prodotto

In base ad essa, l’insegnamento si configura come una situazione


nella quale si verifica un processo d’interazione tra un soggetto che ap-
prende e un oggetto culturale, dando luogo a un certo prodotto d’ap-
prendimento. Questa rappresentazione può essere vista come uno
dei possibili dispiegamenti della struttura:
Insegnamento (soggetto, oggetto culturale,
processo interattivo, prodotto)
Qui non si tratta di stabilire quale di questi schemi concettuali
sia in assoluto migliore, quanto di cogliere come essi consentano di
mettere a fuoco problematiche diverse e rispondano perciò a diffe-
renti esigenze teoriche. Nel primo schema, per esempio, la presenza
esplicita della variabile “insegnante” e la sua relazione con il “sapere”
permette di far emergere il problema di come tale relazione (assu-
mendo la forma di un’epistemologia personale del docente) possa
influenzare l’insegnamento. Questo genere di problema non si pre-
sta invece a essere posto nel quadro del secondo schema. Quest’ul-
timo, per altro, evidenzia la distinzione e il nesso tra processo e pro-
dotto dell’apprendimento, e permette di capire che alcuni modelli
d’insegnamento possono privilegiare il primo e altri il secondo.
Tutto questo consente di cogliere come la rete concettuale tenda
a essere relativa allo specifico paradigma teorico. E questo ha due
implicazioni fondamentali. Da un lato, si deve evitare di identifi-
care la rete inerente all’Epistemologia della Didattica, con la rete di
un paradigma teorico specifico e particolare (come quelli presen-
tati). Volendo essere rigorosi, non esiste una singola Didattica, vi

40
Il problema dell’oggetto della Didattica

sono solo le Didattiche: differenti paradigmi teorici che esprimono


specifici schemi concettuali. Così, si può parlare di una rete concet-
tuale della Didattica in generale soltanto spostandoci al livello tra-
scendentale, e quindi come corrispettivo dell’idea d’insegnamento,
ossia solo nei termini di uno schema trascendentale che rappresenta
astrattamente ma unitariamente l’insieme dei possibili schemi con-
cettuali particolari, ponendosi come loro struttura limite.
Concludendo, rispetto alla visione ingenua che identifica l’og-
getto come la “cosa” di cui si occupa la disciplina, siamo pervenuti
a configurare l’oggettualità come una struttura limite aperta che dà
forma a un campo d’attività scientifica, garantendone la coerenza e
l’apertura.

41
3UHPHVVD

2QWRORJLD QDWXUDOH

2QWRORJLD VWRULFD
(SLVWHPRORJLD H 2QWRORJLD
2QWRORJLD FRPSOHVVD

$GHJXDWH]]D H DIILGDELOLWj GHO SURFHVVR FRQRVFLWLYR

(SLVWHPRORJLD IRUPDOH

4XDGUL HSLVWHPRORJLFL
(SLVWHPRORJLD QDWXUDOL]]DWD

42
(SLVWHPRORJLD FULWLFD

/¶RJJHWWR GHOOD 'LGDWWLFD

,O FRQFHWWR RUGLQDULR GL LQVHJQDPHQWR


,O SUREOHPD GHOO¶RJJHWWR GHOOD
/¶LGHD UHJRODWLYD GL LQVHJQDPHQWR
Epistemologia della didattica. Mappa concettuale

'LGDWWLFD

,O FRQFHWWRIXQ]LRQH GL LQVHJQDPHQWR

/D VWUXWWXUD FRQFHWWXDOH GHOO¶LQVHJQDPHQWR


Capitolo secondo

Teorie e modelli
Loredana Perla

1. L’origine della Didattica


Se non è possibile datare con precisione l’inizio della Il programma
funzione dell’insegnamento (poiché coincidente col bi- di Comenio
sogno-necessità dell’uomo, che si perde nella notte dei
tempi, di tramandare il deposito di saperi e culture da una genera-
zione all’altra), possiamo però individuare l’inizio della riflessione
teorica sull’insegnamento – cioè della Didattica – nel diciassettesimo
secolo, con la pubblicazione in latino della Didactica
Magna di Jan Amos Komenský (1640), rielaborazione Comenio A
di un precedente testo (Didactica Ceca) scritto per l’edu-
cazione del popolo ceco. Komenský (Comenio, 1592-1670) segna
così l’avvio del processo di autonomizzazione teorica della Didat-
tica (che tuttavia raggiungerà il proprio acme solo molto più tardi:
nel Novecento) riuscendo per la prima volta a interpretarne l’istanza
di riflessività (propria di ogni tentativo teorico) e a darle forma in
quello spazio intermedio che si apre fra il discorso di senso comune
e il discorso scientifico.

«Didactica docendi artificium sonat: per didattica si intende l’arte d’inse-


gnare […]. Noi osiamo promettere una grande didattica, cioè un’arte uni-
versale di insegnare tutto a tutti e di insegnare con tale sicurezza che sia
pressoché inevitabile conseguire buoni risultati» (Didactica magna, 1640).

Così si rivolgeva Comenio ai lettori e in quell’incipit è il manife-


sto del suo programma: identificare un ambito di studio nuovo, con

43
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

connotazioni formali proprie. La cultura della modernità ha favorito


in tutta Europa il successo del programma di Comenio, in ragione
anche della tradizione dell’humanitas che ne è stata il miglior fer-
mento. Per quanto, infatti, al tempo di Comenio l’insegnamento
fosse ancora legato alla precettistica privata, tanto la Riforma prote-
stante (col sostegno di Lutero del diritto dei fedeli al libero esame e
alla lettura della Bibbia), quanto l’opera dei Gesuiti, col metodo
della Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu, e dello stesso
Calvino (1509-1564) che vedeva nell’istruzione il necessario com-
plemento di una giusta capacità amministrativa (senza contare la
posizione pedagogicamente innovativa di M. de Montaigne, 1533-
1592), avevano posto i presupposti per la diffusione di un’offerta
generalizzata di conoscenza: e dunque della realizzazione di quel-
l’utopia comeniana dell’insegnare tutto a tutti che, dalla seconda
metà del Settecento, l’Illuminismo (con la statalizzazione dei Col-
legi) e la Rivoluzione Francese (1789-1795) avrebbero portato a
compimento.
Da Comenio in poi si intensificano gli investimenti
Sviluppi della
Didattica dopo per la lotta all’analfabetismo e i problemi dell’istruzione
Comenio diffusa diventano oggetto di teorizzazione di alcuni
A Locke grandi pensatori. Prima di Locke (1632-1704) e di Fé-
A Fénelon nelon (1651-1715) (con i Pensieri sull’educazione, 1693
e un trattatello sull’educazione delle giovinette, 1687),
A Rousseau poi di Rousseau (1712-1778) ai quali si aggiungono
A Pestalozzi (ma siamo già nella contemporaneità) Pestalozzi
A Froebel (1746-1837), Froebel (1782-1852), Herbart (1776-
A Herbart 1841). Questi autori marcano un punto di svolta stra-
ordinariamente importante nella storia della Didattica, poiché ride-
finiscono ab imis ruolo e funzioni dell’insegnamento, nonché le rap-
presentazioni dell’allievo presenti nei modelli tradizionali dell’edu-
cazione. La svolta teorica cui essi danno impulso avviene in riferi-
mento a quattro nuclei tematici.
– l’infanzia ha caratteristiche specifiche delle quali ogni buon me-
todo non può non tener conto (l’insegnamento deve tutelare il nesso
motivazione-apprendimento);

44
L’origine della Didattica

– l’infanzia ha bisogni propri di autosviluppo (va dunque spostato


il baricentro dell’azione di insegnamento dal maestro al bambino:
puerocentrismo);
– l’assunzione di centralità, nella relazione educativa, della dialet-
tica autorità-libertà. Sulla corretta gestione di tale antinomia si fonda
gran parte dell’efficacia del processo di insegnamento-apprendi-
mento;
– ogni insegnamento deve partire dall’intuizione e dal contatto di-
retto con l’esperienza.
A questo proposito non si può ignorare la grande lezione di Pe-
stalozzi, secondo la quale la formazione dell’uomo è unità di mano,
mente e cuore e che questa unità può essere sviluppata attraverso
l’educazione professionale, intellettuale e morale insieme. Una le-
zione che, ancora oggi, mentre si discute vivacemente delle urgenze
dei raccordi fra Scuola, Università e mondo del Lavoro, si presenta
di insuperata attualità.
Queste incipienti novità influenzano significati- La Didattica
vamente lo sviluppo della Didattica nell’Ottocento e nell’Ottocento e nel
soprattutto nel primo Novecento, quando vengono primo Novecento
a coagularsi intorno al costrutto dell’“uomo nuovo”
per la cui edificazione, sin dalla prima infanzia, lo strumento adatto
viene individuato proprio nell’agire didattico (soprattutto scola-
stico). Quello che è stato chiamato “secolo della Didattica” (Laneve
2003), cioè il Novecento, è il frutto, è utile qui sottolinearlo, di una
serie di apporti non trascurabili rivenienti dai precedenti due secoli
e che il Novecento porta a catalisi nelle intersezioni fra le esperienze
del movimento delle scuole nuove, gli sviluppi della normativa (se-
guiti alla Legge Casati, R.D. 13.XI.1859) e la complessa dinamica
dei processi socio-economici connessi al tempo storico che stiamo
considerando (aumento della popolazione scolastica e del numero di
insegnanti, diffusione dell’associazionismo professionale e dell’edi-
toria scolastica, sviluppo dell’economia industriale e
del benessere in gran parte dell’Europa). È evidente che La didattica oggi
qui non è possibile richiamare tutta l’articolata dialet-
tica fra pratiche sociali e trasformazioni economico-politico-
culturali che hanno fatto avanzare il processo di autonomizzazione

45
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

teorica della Didattica cui ha dato abbrivo Comenio. Di certo oggi


la Didattica, in ragione della celerità e della rilevanza degli sviluppi
capitalizzati nella sua breve storia, si configura a pieno titolo nella cité
scientifique internazionale come l’ambito privilegiato del discorso
sulla prassi dell’insegnamento. Un discorso che comprende per un
verso la riflessione su dispositivi, tecniche e artefatti che rendono ef-
ficace l’agire didattico ma anche, per altro verso, sulle valenze nor-
mative (cioè sulle finalità) che orientano la scelta di quei dispositivi,
tecniche e artefatti, al fine di evitare il rischio del tecnicismo dal
quale qualsiasi discorso didattico non è immune. Per non incorrere
nel tecnicismo (che è la tendenza a ritenere giustificato l’uso di una
tecnica per sé e in sé), è importante aver ben chiaro il rapporto di
coerenza che connette metodi e tecniche alle finalità: queste ultime
devono essere considerate immanenti ai primi che vengono giusti-
ficati solo in virtù della stretta compenetrazione col senso educativo
che ne orienta la scelta. Ecco perché è assai utile la sistematizzazione
del discorso didattico in “modelli”, pur con l’avvertenza richiamata
all’inizio del prossimo paragrafo. I “modelli” riescono, infatti, a ren-
der chiari questi rapporti di coerenza e saldano insieme l’elemento
teleologico con quello metodologico dell’agire didattico, svolgendo
così una funzione analitico-descrittiva sul piano teorico e una fun-
zione normativa o di indirizzo sul piano pragmatico (Baldacci 2004).

2. Il modello in Didattica: elementi di definizione


Polisemia del concetto Damiano (1993) invita alla prudenza quando
di modello in didattica
si accosti la nozione di modello in ragione della
sua intrinseca polisemicità. Ciò è confermato dalle
numerose, diverse, accezioni rintracciabili nella letteratura di settore
del nostro Paese. Mi pare utile riportarne qualcuna. Secondo lo
stesso Damiano il modello didattico è la

«rappresentazione semplificata di schemi operativi per realizzare azioni edu-


cative istituzionalizzate nella scuola. Si tratta dunque di proposte, per quanto
tendenzialmente organiche, comunque riduttive rispetto all’esperienza per-
ché mirate a suggerire – ovvero a privilegiare – determinate pratiche didat-

46
Il modello in Didattica: elementi di definizione

tiche e – per ciò stesso – ridondanti per taluni aspetti e parziali per altri.
Modelli, appunto, e non riscontri di esperienze didattiche, che pure hanno
in varia misura e diffusione ispirato» (Damiano 1993, pp. 91-92).

Per Laneve un modello didattico è la «concettualizzazione essen-


ziale di un complesso di proposte teoriche, organiche e coerenti»
(Laneve 1993, 58). Secondo Calvani è invece un

«dispositivo teorico di natura progettuale e strategica, capace di indicare


una serie di possibilità operative (selezione di strategie didattiche, risorse,
concrete azioni didattiche) in relazione a specifici contesti attuativi» (Cal-
vani 2007a, p. 58).

Ma modello è anche uno «schema concettuale secondo cui pos-


sono essere connessi e ordinati i vari aspetti della vita educativa in
rapporto a un principio teleologico che ne assicuri coerenza e orga-
nicità» (Bertin 1975, p. 77) e che funga da schema-guida verso le
prassi (Baldacci 2010, p. 13). Facendo sintesi delle diverse interpre-
tazioni, possiamo considerare il modello didattico come una strut-
tura di mediazione fra teoria e pratica che promuove una rappre-
sentazione semplificata e parziale dell’agire didattico. L’esperienza
dell’insegnamento-apprendimento è infatti talmente complessa che
un modello che voglia rappresentarne l’insieme di variabili deve ne-
cessariamente semplificare le cose. Per questo non è possibile consi-
derare un modello alla stregua di una teoria: si tratta piuttosto di
un’approssimazione alla teoria (mentre la modellizzazione dell’espe-
rienza è il primo passo verso la formalizzazione teorica). Questa ap-
prossimazione si realizza compiendo le operazioni di astrazione e di
semplificazione che sono le condizioni necessarie per poter padro-
neggiare cognitivamente l’esperienza educativa (Baldacci 2010, p.
21). A questo aggiungo una precisazione. Se nella letteratura didat-
tica sino a tutti gli anni Novanta il modello ha costituito il princi-
pio-cardine della sistematizzazione teorica, a par-
tire dalla svolta pratica esso va ormai modificando La “svolta pratica”
le sue funzioni, assumendo quelle di una “strut- in Didattica 
tura in progress” della produzione teorica in Di-

47
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

dattica. Questo per la necessità, sempre più avvertita dai teorici della
Didattica, di rappresentare la logica implicita soggiacente alle prati-
che (Perla 2010). Tale logica non si lascia cogliere immediatamente,
è una didattica nascosta fatta di repertori latenti di habitus, di con-
getture, di credenze, di ragionamenti abduttivi che solo parzialmente
accedono alla comprensione esplicita, restando, invece, in forma di
teorie ingenue (sul funzionamento dell’insegnamento, dell’appren-
dimento, della mente dell’allievo). Si tratta di teorie implicite molto
potenti, perché in grado di influenzare le pratiche didattiche in mi-
sura forse maggiore di quanto non vi riescano le
 Didattica
La Nuova Ricerca teorie formali. La Nuova Ricerca Didattica (Da-
miano 2006) ha posto in termini espliciti il pro-
blema del ripensamento di una teoria dell’inse-
gnamento non comprensiva di tali teorie implicite, corrispondenti
a una conoscenza specifica degli insegnanti, la teachers’ practical kno-
wledge (Cochran Smith et alii, 2008) ancora largamente ignota alla
ricerca Didattica. Di qui il cambiamento di paradigma delle fun-
zioni della ricerca didattica alla luce dell’epistemologia dell’azione e
una nuova definizione di modello didattico come «rappresentazione
semplificata delle azioni di insegnamento mirata a segnalare, enfa-
tizzandoli, gli aspetti di volta in volta ritenuti rilevanti per gli in-
tenti di chi lo produce» (Damiano 2006, p. 164). Di volta in volta,
ovvero relativamente ai contesti didattici di volta in volta considerati.
La definizione di modello che più si approssima alle funzioni di una
teoria didattica volta a descrivere ciò che realmente accade nei con-
testi dell’insegnamento è dunque quella di una rappresentazione
semplificata degli elementi rilevanti dell’agire didattico, riguardati
nelle loro relazioni fondamentali.

3. L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento


Tre “classi” di modelli Proverò ora a presentare una classificazione es-
senziale dei principali modelli didattici del Nove-
cento seguendo più che il criterio storiografico (che mira a una ri-
costruzione delle caratteristiche dominanti iscrivendole entro una

48
L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento

scansione d’ordine temporale: vedi i contributi significativi di San-


tomauro 1953 e di Laneve 1993; 2003), il criterio epistemologico
(più agevole sul piano delle sintesi) che mira a focalizzare, via via,
le diverse declinazioni che l’agire didattico assume nei modelli che
consideriamo.
Sulla base di quest’ultimo criterio, è possibile individuare nel
corso del Novecento tre “classi” di modelli didattici (ancorati a uno
o più quadri metateorici). La prima comprende i modelli il cui agire
didattico è process-oriented, nei quali, cioè, l’attenzione è rivolta so-
prattutto ai processi di apprendimento dell’allievo. Si tratta di una
classe di modelli ispirati soprattutto (ma non solo) dal-
l’attivismo pedagogico. La seconda classe comprende i Attivismo T
modelli il cui agire didattico è product-oriented e teso ad
accentare soprattutto gli esiti dell’apprendimento. I quadri teorici
ispiratori di questa classe di modelli sono le diverse teorie dell’istru-
zione (da Bruner a Skinner), le teorie del curricolo (anche nelle va-
rianti più aggiornate delle pedagogie e didattiche per
competenze); le teorie del primo cognitivismo, di Cognitivismo T
matrice cibernetico-informatica. La terza e ultima
classe di modelli è quella che comprende tutte le forme dell’agire di-
dattico context-oriented (o, come Damiano le definisce, dei «processi
mediatori», Damiano 1998; 2006). Si tratta di modelli ispirati da
quadri teorici di matrice perlopiù ecologico-interazionista-costrut-
tivista. Il focus dell’agire didattico è qui spostato sull’organizzazione
di ambienti di apprendimento e sullo sviluppo del potenziale for-
mativo dei saperi attraverso la trasposizione didattica (cfr. infra Parte
seconda, cap. nono).
Specifichiamo ora salienze e tratti di ciascuna delle tre “classi” di
modelli con l’avvertenza che la classificazione viene proposta so-
prattutto per ragioni di sistematizzazione teorica: qualora si andasse
a osservare l’agire didattico in situazione, come sa ogni buon ricer-
catore di Didattica, ibridazioni e contaminazioni fra modelli sareb-
bero rilevate con altissima frequenza.
La temperie culturale della prima metà del Nove- Modelli didattici
cento apre una stagione fertile per la teorizzazione Di- process-oriented
dattica grazie alle molteplici contaminazioni fra teorie

49
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

e pratiche didattiche promosse dal movimento dell’attivismo, svi-


luppatosi in Europa e negli Stati Uniti d’America già dalla fine del
xix secolo, in pieno clima positivistico. I modelli process-oriented
sono inquadrabili proprio entro l’alveo teorico dell’attivismo. Que-
sta tipologia si contraddistingue per la rilevanza assegnata al sog-
getto in formazione e per l’enfasi portata sui suoi processi di ap-
prendimento, ancor prima che sui prodotti dell’apprendimento. In
antitesi alle impostazioni precettistiche e nozionistiche dei modelli
tradizionali, nei modelli process-oriented l’agire didattico mira a far
superare le separazioni fra attività intellettuali e attività manuali, va-
lorizzando tutte le forme di autogoverno e di integrazione degli al-
lievi fra l’esperienza scolastica e l’esperienza sociale. La logica rego-
lativa dell’agire didattico rappresentato in questi modelli è quella
dello stimolo all’“imparare facendo” (learning by doing) e all’inter-
scambio fra ambiente sociale e processi educativi. La Scuola è con-
siderata il luogo privilegiato per introdurre i bambini alla vita co-
munitaria e per far loro ripercorrere, attraverso le tappe del percorso
individuale di apprendimento, le tappe evolutive della più ampia
comunità umana. Forte è qui l’influenza della filosofia prag-
A Dewey matista dello statunitense Dewey (1859-1952), nel cui
pensiero l’etica si identifica con la socialità e l’apprendi-
mento si qualifica per la rinuncia a qualsiasi forma di contemplati-
vismo. L’istruzione è anche impegno morale a saper trasformare e
risolvere i problemi posti dalla realtà e la Scuola è un laboratorio di
democrazia, laddove gli allievi possono sperimentare, in un conte-
sto protetto, la costruzione di una società pluralista. Conoscere, fare,
riflettere sono, nelle pratiche rappresentate in questi modelli, di-
mensioni strettamente interconnesse. Esse sono il “cuore pulsante”
di quell’apprendere attivo (con, dalla e sull’espe-
 process-oriented
Modelli didattici rienza) che diventerà il nucleo strutturale di tutte
le didattiche “su misura” anche recenti (si vedano,
fra gli altri, Kerschesteiner, Claparède, Ferrière,
Decroly, Montessori); delle didattiche dei maestri sperimentatori di
Pietralba (Agosti e Chizzolini); delle didattiche antiautoritarie
(Neill), non direttive (Rogers), cooperative (don Milani,
A Freinet Ciari, Freinet, Lodi, Bernardini et alii); il più recente coo-

50
L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento

perative learning, Comoglio 1996; Capoferri 2004); delle didattiche


della ricerca (Giunti 1973; e lo stesso Dewey, 1965); per problemi
(Scurati e Fiorin 1997); dei laboratori e dei progetti (De Bartolomeis
1978; 1989); del peer-tutoring (Ehly e Larsen 1980).
Anzitutto l’opzione per il “metodo” come scoperta-ri- Il metodo
flessione-sperimentazione sulla realtà delle cose. La Scuola è
un laboratorio di ricerca metodologicamente controllato sul piano
del rigore e della scientificità e il metodo scientifico è la procedura
privilegiata del pensare riflessivo. Le esperienze didattiche contem-
perate da questi modelli aprono all’utilizzo ampio e pervasivo di
strumenti e artefatti: il laboratorio tipografico per la costruzione di
testi di Freinet; la “scrittura collettiva” di don Milani; i “contratti di
lavoro” che Parkhust fa stipulare agli allievi sono esempi illuminati
di come i dispositivi possano trasformare l’agire didattico. Poi
la centralità assegnata al discente inteso come soggetto epi- L’alunno
stemico. È l’allievo, infatti, che “definisce” i criteri dell’inter-
vento didattico poiché solo lui – attraverso il consenso dato al voler
apprendere – può trasformare le sollecitazioni dell’agire didattico in
operazioni davvero significative ai fini della propria crescita.
E, ancora, il ruolo della valutazione che, essendo cen-
trata soprattutto sui processi, è formativa in senso pieno, La valutazione
cioè è posta a guida regolativa delle azioni didattiche e, di formativa
fatto, i criteri valutativi finiscono col coincidere con i fini
medesimi dell’educazione. Infine, il richiamo insistente ai vissuti
dell’allievo e alla funzionalizzazione del curricolo alla dialettica degli
interessi-bisogni entro la quale l’agire dell’insegnante si fa “perife-
rico” per lasciar spazio all’agire del discente.
Una seconda classe comprende i modelli il cui agire Modelli didattici
didattico è product-oriented, volto cioè a porre gli ac- product-oriented
centi sugli esiti dell’insegnamento e a metterne in evi-
denza i “predittori” di efficacia. Detto in altri termini, la logica re-
golativa di questa classe di modelli è la “causazione” in base alla quale
l’insegnamento interviene alla stregua di un fattore – necessario e
sufficiente – per la generazione dell’apprendimento (Damiano 1998,
p. 37). Basterebbe cioè studiare le relazioni fra la misura dei com-
portamenti degli insegnanti in classe (processi) e la misura dell’ap-

51
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

 and Biddle, 1974


Schemi Dunkin prendimento degli allievi (prodotti) per arrivare a
capire il “funzionamento” dell’agire didattico
(Dunkin - Biddle 1974; Shulman 1986). In realtà
la ricerca didattica più matura ha dimostrato che le cose non stanno
in termini così “linearmente” semplificati.
I modelli riconducibili a tale classe sono quelli

Instructional
Design
che vanno sotto il nome di id (Instructional De-
A Gagné sign), nati negli anni Sessanta con Gagné; quelli
delle tecnologie dell’istruzione (prima versione);
T Mastery Learning del mastery learning di Bloom, («apprendimento
A Bloom per la padronanza»); della Pedagogia per Obiet-
tivi; della Pedagogia per competenze (Pellerey
2004).
Modelli epistemocentrici, del cosiddetto “post-attivismo”, in-
quadrabili cronologicamente fra gli anni Sessanta e la prima metà
degli anni Ottanta, in questi modelli viene rifiutato tanto l’ideale
educativo come “mero” adattamento sociale quanto la prospettiva
centrata sulle attività spontanee del bambino. Viene invece prestata
una più puntuale attenzione all’insegnamento delle discipline di stu-
dio e assegnato un primato all’istruzione formale (intesa come for-
mazione di abilità metodologiche per interpretare la realtà: il cosid-
detto habitus dell’“imparare a imparare”). Qui l’agire didattico di-
venta ingegneria dell’istruzione. È facile riconoscere fra i quadri me-
tateorici di questi modelli la teoria dell’istruzione di Bruner e la teo-
ria neo-comportamentista di Skinner nella quale il problema del-
l’apprendimento viene risolto attraverso la connessione fra stimolo
e risposta.
Skinner e la sua équipe, come è noto, elaborarono un sistema di
programmazione degli insegnamenti articolato in sequenze parcel-
lizzate di attività al termine delle quali l’allievo riceveva un rinforzo
positivo o negativo a seconda della giustezza o meno della risposta
fornita. Tale impostazione chiedeva una definizione diversa degli
obiettivi didattici: non più nei termini di processi mentali da pro-
muovere, bensì nei termini di ottimizzazione delle procedure al fine
di ottenere comportamenti osservabili, prestazioni (verificabili) del-
l’apprendimento. Le “macchine per insegnare” seguivano la mede-

52
L’agire didattico nelle teorie e nei modelli del Novecento

sima logica di impostazione programmata (affidata però a un soft-


ware) e, pur se fortemente avversate all’epoca della loro comparsa,
sono state l’annuncio della rivoluzione tecnologica dell’apprendi-
mento dei nostri giorni.
Nel solco delle teorie cognitiviste fioriscono invece i modelli di-
dattici della mente (siamo alla fine degli anni Settanta) e due dei
campi di applicazione più produttivi sono quelli delle competenze
metacognitive (le cosiddette key competencies: competenze di base,
considerate oggi quanto mai rilevanti per lo sviluppo
del lifelong learning; Flavell e Wellman 1977; Brown Scardamalia
1987) e delle competenze di scrittura (Bereiter - Scar- e Bereiter A
damalia 1987).
I tratti significativi di questa classe di modelli sono anzitutto la
centralità assegnata nuovamente all’insegnante in ragione della di-
rettività imposta dai tragitti programmatori e del richiamo ai criteri
di efficacia ed efficienza della trasposizione didattica. Poi la sottoli-
neatura delle componenti sommative della valutazione didattica che
viene configurata soprattutto in termini di coerenza fra il “prima” e
il “dopo” del processo di insegnamento-apprendimento, al fine di
verificare gli esiti effettivamente conseguiti a percorso compiuto.
L’ultima classe che consideriamo, la più recente in
termini cronologici, include tutti i modelli context- Modelli didattici
oriented. Qui il focus dell’agire didattico è spostato dalla context-oriented
“mente” di chi insegna e apprende e dai “prodotti” al-
l’organizzazione dei contesti e degli ambienti di apprendimento (la co-
siddetta «pedagogia degli ambienti», Damiano 2006) e, natural-
mente, agli strumenti di sviluppo del potenziale formativo dei saperi.
I quadri teorici che vi fanno da sfondo sono soprattutto due: il
paradigma ecologico (Bronfenbrenner 1979) e quello costruttivista
(von Foerster 1987; Morin 1993; Maturana - Varela 1992). Matu-
rati entrambi nell’alveo delle scienze biologico-fisiche ed ecologiche
(ma anche dell’epistemologia genetica di impronta piagetiana), essi
introducono un cambio di passo decisivo nello studio dell’insegna-
mento alla luce del cambiamento post-epistemologico che sostitui-
sce il concetto di “causazione” con quello di sistema circolare di
azioni e relazioni.

53
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

Didattica della Nella prospettiva inaugurata da tali modelli didat-


situazione tici, pensare e apprendere equivalgono sostanzialmente
a “situarsi”, sincronizzando tutte le risorse interne ed
esterne disponibili. Gli indirizzi che declinano me-
T Costruttivismo glio principi e funzioni dei modelli context-oriented
sono il costruttivismo socio-culturale (Vygotskij
2007) e il costruttivismo sociale (Brown et alii 1993;
Brown e
A
Campione Brown - Duguid 1991; Brown - Campione 1994;
Wenger 2006). Si tratta di prospettive assai distanti
da quelle dei modelli product-oriented, figli dell’illusione scientista di
poter costruire una “solidarietà” fra la conoscenza logico-sperimen-
tale e la gerarchizzazione dei saperi. In realtà la conoscenza è “di-
stribuita” (Salomon 1993), così come distribuito è il curricolo (Frab-
boni 1989; 2004). E “distribuita” è anche l’intelligenza, in
A Gardner forme diverse (Gardner 1987). E nell’insegnamento-ap-
prendimento nessuna “variabile” può essere isolata, né ri-
tenuta fonte “esclusiva” di spiegazione o di guadagno di un certo ri-
sultato.
È evidente la posizione antirealista di questa classe di
La conoscenza
come attività modelli: la realtà non è “predata” alla conoscenza, ma si
di costruzione costruisce mano a mano che viene conosciuta e, aspetto
assolutamente non trascurabile, il soggetto che ap-
prende viene accreditato come parte attiva del processo di questa
costruzione, come nella tradizione del miglior attivismo pedagogico.
Damiano definisce tali modelli del «Processo-processo» o della “me-
diazione”, poiché essi rappresentano la realtà dell’agire didattico li-
bera dai lacci e dai lacciuoli della “causazione”, dalle concezioni ge-
rarchiche dell’insegnamento nonché, aspetto non marginale oggi,
nell’era dei test di valutazione di sistema, dall’ansia del prodotto. E
il polo del sapere viene qui rafforzato dalla processualità di una me-
diazione (trasposizione) attivata in relazione a una triplice tipologia
di saperi:
– i saperi di cui i soggetti che apprendono sono portatori e che pos-
sono legarsi più o meno alle sollecitazioni didattiche ricevute;
– i saperi impliciti embodied nelle biografie del soggetto e nella cul-
tura dei contesti specifici;

54
Orientamenti emergenti

– i saperi incorporati negli artefatti culturali materializzati nelle


forme di oggetti, pratiche, riti, strumenti e che esercitano un ruolo
potentissimo nella regolazione dell’agire didattico.
L’apprendistato cognitivo (Brown - Collins - Duguid Collins A
1989); le classi-comunità (Brown - Campione 1994); la
Comunità di Pratica (Wenger 2006); la narrativa nelle pratiche di-
dattiche (Bruner 1990; Smorti 1994); l’e-learning
scrittura 
(Galliani 1999; 2003; 2004; Rossi 2011); la didat- Didattica della
tica della scrittura (Boscolo, 2002; Cisalto, 2006;
Laneve, 2009; Perla, 2007, 2012) e la Media Education (Rivoltella
2003; 2007; 2008); l’insegnamento orientativo (Zanniello 2003),
costituiscono fronti di un lavoro teorico e pratico
context-oriented che consegna al nuovo secolo, siamo Modelli context 
ormai all’alba del Duemila, modelli innovativi ma
anche le molte domande emergenti dai contesti di una realtà inse-
gnativa fattasi oggettivamente più complessa.
La Didattica, scienza empirica dell’insegnamento, si lascia inter-
pellare. Anche perché il suo impegno teorico resta quello di darsi
un profilo epistemologico sempre più autonomo e riconoscibile. E
questo è possibile solo con l’avanzamento della conoscenza ottenuto
attraverso la ricerca.

4. Orientamenti emergenti
Siamo agli approdi del nostro rapido viaggio nella storia dei mo-
delli teorici della Didattica.
Entrati nel nuovo secolo e monitorate le tendenze di avanza-
mento della conoscenza didattica in questo primo decennio, è pos-
sibile registrare l’emergere di un interesse culturale diffuso, non più
soltanto di settore, per i temi specifici della Didattica. È questo, evi-
dentemente, l’effetto del cambiamento profondo (anche culturale)
che sta investendo il sistema dell’istruzione formale, informale e
non-formale del nostro Paese e, con esso, le funzioni stesse dell’agire
didattico. La ricerca del difficile equilibrio fra qualità della forma-
zione e razionalizzazione di Scuola e Università (Calvani 2011; Perla

55
Capitolo II - Loredana Perla - Teorie e modelli

2004, 2011); le trasformazioni incoative (almeno nel nostro Paese)


nei modelli della formazione dell’insegnante1 e del sapere professio-
nale (Calidoni 2000); l’attenzione per lo sviluppo delle key compe-
tencies e in specie di quelle digitali (propiziata dalle molte iniziative
dell’oecd); le richieste emergenti dai tanti campi delle Didattiche
particolari (Didattica della scrittura, Didattiche disciplinari, Didat-
tica degli adulti, Didattica delle organizzazioni, Didattica professio-
nale, Didattica speciale, Didattica interculturale, Didattica tran-
smediale, Didattica dello Sport), sono elementi che disegnano l’oriz-
zonte di un lavoro notevole per i ricercatori di Didattica.
Da dove partire?
Anzitutto dall’eredità che il Novecento ci ha lasciato: un cantiere
di indirizzi plurimi di ricerche empiriche in pieno fermento che pre-
figurano il superamento dei modelli teorici della Didattica così come
li abbiamo intesi sino ad oggi (cioè nei termini di “parole per” gli in-
segnanti, visti come destinatari di saperi sostanzialmente estranei
alla loro esperienza, Damiano 1998, p. 30).
A questa modellistica della pratica, frutto di un approccio pre-
scrittivo allo studio dell’insegnamento, vanno progressivamente af-
fiancandosi i tentativi di alcune linee di ricerca che, nell’alveo della
ricca tradizione della metodologia empirica del nostro Paese, ten-
tano di studiare l’insegnamento in situazione e per quel che accade
nelle pratiche effettive. Si tratta di studi orientati a indagare il lavoro
degli insegnanti analizzandolo in profondità, avvalendosi di dispo-
sitivi plurali (Altet 2003; Altet - Vinatier 2006; Mortari 2010; Cerri
2008a) e a partire dall’ipotesi che l’insegnante è un produttore di
sapere pratico.
La direzione seguita da questa linea di ricerche è duplice, come in
una medaglia a due facce: per un verso l’analisi-comprensione-
interpretazione dell’insegnamento (l’obiettivo è la formalizzazione di

1
A questo proposito cfr. il Regolamento concernente «Definizione della di-
sciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale del personale do-
cente del sistema educativo di istruzione e formazione», ai sensi dell’art. 2, comma
416, della L. 244/2007.

56
Orientamenti emergenti

una conoscenza dell’insegnamento); per altro verso l’individuazione


delle forme di accompagnamento professionale più adeguate a favo-
rire la comunicazione del sapere pratico da insegnanti veterani a in-
segnanti novizi (l’obiettivo è la messa-a-punto di dispositivi e stru-
menti per una formazione dell’insegnante a partire dalle pratiche edu-
cative).
Mai come in questa fase della nostra storia i programmi di ri-
cerca più promettenti in Didattica appaiono quelli che propiziano
connessioni tra fare e conoscere, fra teorie e pratiche, fra ricercatori
e insegnanti (Desgagné 1997; Desgagné et alii 2001;

Donnay et alii 2001). Le linee di ricerca che comin- La ricerca
ciano a solcare i versanti sino a oggi inesplorati della collaborativa
transdisciplinarità – dalla didattica enattiva alla neu-
rodidattica (Rossi 2011; Rivoltella 2012) – orientano lo sguardo
verso l’orizzonte di un post-costruttivismo destinato a ridefinire l’in-
terazione mente-corpo-ambiente nei termini di una conoscenza teo-
rica probabilmente ancora in gran parte da scrivere: il cantiere della
Didattica è aperto e operoso.

57
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58
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Teorie e modelli. Mappa concettuale

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Capitolo terzo

Didattica e saperi disciplinari:


un dialogo da costruire
Elisabetta Nigris

1. Il rapporto fra didattica e didattica delle discipline


La questione del rapporto fra didattica e didattica delle discipline
è molto dibattuta e fonte spesso di contrapposizioni radicali appa-
rentemente inconciliabili. Da un lato si sostiene la supremazia della
didattica generale quale scienza in grado, da sola, di delineare le con-
dizioni contestuali migliori e di individuare strategie, metodologie,
strumenti idonei ad assicurare che tutti gli allievi acquisiscano con-
tenuti, abilità e competenze indispensabili per padroneggiare i di-
versi saperi. In questo senso, le didattiche disciplinari altro non sa-
rebbero che le applicazioni della didattica generale ai singoli casi
concreti.
Sul fronte opposto, troviamo studiosi appartenenti ai diversi
campi disciplinari che sostengono l’inconsistenza della didattica ge-
nerale in sé che, se avulsa da un campo del sapere a cui essere appli-
cata, rischia di condurre a ragionamenti talmente privi di un qual-
siasi aggancio con la realtà che si intende esplorare da risultare ste-
rili. Questa posizione assume che si insegna sempre qualcosa e dun-
que la didattica non può che essere la didattica “di qualcosa”(Frab-
boni - D’Amore 1996; D’Amore 1999).
La didattica generale, che mette al centro del suo
discorso scientifico il soggetto che apprende nella sua Didattica generale
globalità in uno specifico contesto dato, può a pieno
titolo sostenere un suo autonomo campo di ricerca relativo sia ai
modelli teorici di riferimento sia all’analisi di quella che Damiano

59
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

definisce «azione didattica». La didattica generale infatti individua e


prende in esame le variabili che caratterizzano il contesto di ap-
prendimento-insegnamento, e le loro possibili interconnessioni, fa-
cendo luce su:
– le dinamiche relazionali, fra pari così come fra adulto e ragazzi;
– le dinamiche comunicative che sostengono o ostacolano le azioni
didattiche;
– la varietà di materiali strutturati e non strutturati a cui allievi e in-
segnanti possono ricorrere e manipolare;
– le possibili metodologie connesse agli obiettivi che via via vengono
prefissati (il lavoro di gruppo, la discussione, il role play, l’analisi di
caso);
– i processi e le azioni di valutazione.
Se da un lato, la ricerca didattica ha di volta in volta
Ricerca didattica
e pratiche fatto riferimento ad altri ambiti disciplinari come la
di insegnamento psicologia, la sociologia, la statistica, costruendo un
a scuola dialogo di diversa intensità ed efficacia a seconda dei
periodi storici, dei modelli teorici e dei contesti, dal-
l’altro lato un sempre più ampio numero di docenti e di ricercatori
proveniente dall’ambito della Didattica generale si rende conto della
sua non autosufficienza e della necessità di aprirsi a un confronto
sempre più serrato e rigorosamente fondato con i saperi delle diverse
discipline anche per colmare lo scollamento fra il mondo dei ragazzi
e le proposte scolastiche, che producono allontanamento e insuc-
cessi in studenti provenienti dalle diverse classi sociali.
D’altro canto, diventa sempre più chiara ed esplicita la difficoltà
degli insegnanti che si appellano solo alle loro conoscenze discipli-
nari come fonte di ispirazione in classe: sempre meno allievi dimo-
strano di impegnarsi e/o apprendere solo perché l’insegnante glielo
chiede, sono sempre di più le situazioni in cui risulta evidente la
mancanza di senso di molte proposte scolastiche agli occhi delle
nuove generazioni, a cui si aggiunge la perdita di prestigio della
scuola e della figura dei docenti agli occhi di una grossa porzione
della società. Inoltre, in ambiti quali quello della matematica e delle
scienze si assiste in tutto il mondo industrializzato e in particolare in
Italia a un aumento della disaffezione degli studenti, che scelgono

60
Il rapporto fra didattica e didattica delle discipline

sempre meno queste materie come ambiti elettivi di vocazione e im-


pegno appassionato.
Nel mondo non scolastico, peraltro, il successo di buone espe-
rienze di divulgazione scientifica, ad esempio in ambito televisivo,
così come in quello museale – soprattutto nel mondo anglosassone,
ma recentemente anche in Italia – ha portato alla ribalta l’impor-
tanza di riflettere sul modo in cui viene presentata una certa disci-
plina, sulla scelta di contenuti e concetti da proporre, sulle modalità
comunicative più efficaci (ad esempio l’utilizzo di immagini, del re-
gistro narrativo, delle simulazioni):

«La continua domanda di formazione e il cambiamento degli scenari nei


quali i processi formativi vengono pensati e progettati reclamano una ri-
flessione pedagogica aggiornata sul nesso fra cultura e educazione» (Mar-
tini 2005).

Tale nesso ci interroga sul mandato della scuola ri- L’indagine delle
spetto alla formazione degli individui, sul ruolo che i di- pressi scolastiche
versi saperi disciplinari possono ricoprire nella prepara-
zione dei futuri cittadini e, dunque, sulle scelte che ri-
sulta necessario operare sia rispetto alla selezione dei contenuti da
proporre a scuola sia la formazione dei futuri insegnanti.
Già cinquant’anni fa Bruner sosteneva che in una società com-
plessa la cultura produce conoscenze e abilità che «sorpassano di
molto le possibilità conoscitive di ciascun individuo» quindi si svi-
luppa una

«tecnica economica di istruzione basata in gran parte sull’esposizione orale,


al di fuori del concreto contesto, anziché sulla dimostrazione diretta nel
contesto stesso» (Bruner 1995, p. 230).

La scuola è il luogo dove tale pratica viene istituzionalizzata e


l’insegnante ne è l’emblema in qualità di rappresentante e trasmet-
titore della cultura al di là delle condizioni dei contesti di vita, for-
mando all’uso dei linguaggi come strumenti di comprensione e tra-
sformazione tipici di una società dell’informazione, della conoscenza

61
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

e della tecnica. Bruner individua quattro problemi essenziali oggetto


di indagine delle prassi scolastiche:
– la psicologia della materia di studio;
– la stimolazione del pensiero nella scuola;
– la personalizzazione della conoscenza;
– la valutazione del lavoro che si svolge.
Le materie di studio sono specifiche metodologie di pensiero e di
indagine e sono specifiche modalità del discorso applicabile a certi
fenomeni.

«In una disciplina non c’è nulla di più essenziale della sua metodologia, e
perciò nulla è così importante nell’insegnamento della disciplina stessa,
come offrire al più presto l’occasione di apprendere tale metodologia: le
forme di connessione, gli atteggiamenti, le speranze, i giochi mentali e le
frustrazioni che ad essa si accompagnano» (Bruner 1995, p. 234).

Negli anni Ottanta si sono delineate due grandi correnti in seno


alla didattica interessate allo studio delle situazioni didattiche: i lavori
che si muovono nella prospettiva delle didattiche delle discipline in
senso stretto (ad esempio matematica e scienze, prima lingua e lin-
gue straniere) e quelli relativi allo studio delle pratiche di insegna-
mento in senso lato.
Entrambe queste prospettive hanno come oggetto le situazioni
didattiche, di insegnamento e apprendimento nel loro svolgersi in
contesi “naturali” e mirano a fondare un corpus di conoscenze teo-
ricamente ed empiricamente fondato (Marchive 2011).
Negli ultimi anni si sta sviluppando un’emergente nuova area di
ricerca che presuppone la necessità di un confronto stretto e co-
struttivo fra questi due ambiti di riflessione, che sicuramente par-
tono da prospettive differenti e adottano approcci diversi, ma sono
entrambi indispensabili sia per illuminare i processi che conducono
i soggetti nelle diverse età della vita verso la conoscenza della realtà,
sia per individuare strategie di insegnamento che possano facilitare
e sostenere questi percorsi di apprendimento.
Uno degli snodi concettuali essenziale nel confronto tra le due
prospettive è l’ipotesi di una lettura e interpretazione (Bagni 2009)

62
Il rapporto fra didattica e didattica delle discipline

delle epistemologie dei saperi in chiave pedagogica e in vista di una


loro trasmissione. La chiave pedagogica consente a insegnanti e al-
lievi il superamento della logica esclusivamente trasmissiva foca-
lizzando l’attenzione sull’intenzionalità pedagogica che dà rispo-
sta a bisogni formativi e apre la strada alla progettazione di per-
corsi di “senso” per la formazione scolastica ed extrascolastica
(Martini 2005).
La sfida consiste nel coniugare gli aspetti più propriamente con-
nessi a obiettivi formativi con quelli relativi alla trasmissione/co-
struzione dei saperi e con le dimensioni strettamente pedagogiche di
un fenomeno educativo (le routine, contratto formativo, le relazioni,
la comunicazione, gli spazi e materiali, i tempi). Tale sfida può es-
sere raccolta se si prende come oggetto di studio la situazione di in-
segnamento articolando l’analisi intorno ai tre poli: insegnante, al-
lievo, sapere, così come sono stati delineati in ipotesi di modello da
studiosi di diversa matrice culturale (il triangolo pedagogico di
Houssaye 1992; il triangolo didattico di Develay 1992; la model-
lizzazione del processo di insegnamento-apprendimento
di Altet 1994a, la teoria delle situazioni didattiche di Brousseau A
Brousseau 1988).
Secondo Marchive (2011) le situazioni di insegnamento inclu-
dono aspetti metodologici, aspetti relazionali-affettivi, forme inte-
rattive e comunicative, organizzazione sociale degli allievi, regole e
rituali, e costituiscono le unità di base per l’analisi delle pratiche.
Le situazioni di insegnamento possono essere studiate quindi da
un triplice punto di vista:
– i saperi in gioco e le condizioni di trasmissione (logica didattica);
– le relazioni interpersonali e l’organizzazione della classe (logica pe-
dagogica);
– l’appartenenza culturale, ossia il peso dei valori morali e delle con-
vinzioni personali, “epistemologia spontanea” del docente (logica
antropologica).
Si tratta di prospettive che nelle pratiche didattiche sono stret-
tamente interrelate, pratiche che si definiscono in “azioni situate”
(Durand 1998), cioè azioni nel loro essere e divenire, processi in
corso determinati dall’interrelazione delle diverse variabili in gioco,

63
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

storicamente situate; azioni come “imprevisti attesi” (La Borde -


D’Amore 1999).

2. Il “mandato” della scuola rispetto all’acquisizione di saperi


disciplinari

 istituzionale
Pedagogia La possibilità di restituire alle conoscenze che sono
espressione della nostra cultura un ruolo formativo
forte e aggiornato passa attraverso una riflessione at-
tenta sulla natura dei diversi saperi e sull’intenzionalità pedagogica
con cui li guardiamo. Con il termine “saperi” ci si riferisce in genere
prevalentemente a saperi codificati e trasmissibili, saperi “formati”,
come quelli disciplinari o “non ancora formati” come quelli che
emergono dalle contaminazioni interdisciplinari e, più in generale,
dalle prassi sociali.
Attribuire centralità ai saperi nei processi formativi che si svol-
gono all’interno delle istituzioni impone una riflessione sulle “forme”
culturali dei saperi stessi e su come queste vengono definite (Mar-
tini 2005). Di fatto, dall’Illuminismo in poi, i saperi si sono orga-
nizzati in discipline scientifiche convenzionalmente accettate e co-
dificate nell’ambito della comunità degli esperti che, in un certo pe-
riodo storico e in un certo contesto socio-politico, hanno costituito
il pensiero dominante. Come afferma Foucault,

«entro i suoi limiti, ogni disciplina riconosce proposizioni vere e false. […]
La disciplina è un principio di controllo della produzione del discorso. Oc-
corre concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose,
in ogni caso come una pratica che imponiamo loro; e proprio in questa pra-
tica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità» (Fou-
cault 1971, p. 27).

L’ordine di controllo e la regolarità variano a seconda dei periodi


storici, delle epistemologie condivise dal pensiero dominante di una
certa comunità di scienziati, ma anche della società nel suo com-
plesso. Ad esempio, ci si può chiedere con Foucault:

64
La scuola rispetto ai saperi disciplinari

«Come mai i botanici e i biologi del xix secolo non hanno mai visto quel
che Mendel vedeva… Mendel diceva il vero, ma non era nel “vero” del di-
scorso biologico del suo tempo […]; è occorso tutto un mutamento di
scala, il dispiegamento di tutto un nuovo piano d’oggetti nella biologia,
perché Mendel entrasse nel vero e le sue proposizioni apparissero allora (in
buona parte) esatte. Mendel era un mostro vero e per questo la scienza non
poteva parlarne» (Foucault 1971, p. 18).

co-disciplinarietà 
L’organizzazione “enciclopedica” dei saperi e Multi, inter, trans,
dei discorsi è stata considerata in modo rigida-
mente frammentario per lungo tempo, richia-
mandosi a un’idea della conoscenza lineare, statica e cumulativa che
non considera la morfologia sistemica e complessa della realtà che di
per sé non contempla una tale segmentazione. Tale suddivisione con-
venzionalmente condivisa dalle comunità degli scienziati, spesso im-
pedisce un’analisi completa della realtà, che si presenta nella sua glo-
balità e complessità e, dunque, nella sua multidisciplinarietà e in-
terdisciplinarità intrinseca. Come sostengono Callari Galli e Lon-
dei (2005)

«il pensiero, costretto all’interno delle singole discipline, ha evidenziato


sintomi di malessere […] l’interdisciplinarietà non si accontenta di giu-
stapporre, ma fa interagire più discipline con lo studio di un oggetto, di un
campo, di un obiettivo; la terza (la transdisciplinarietà), più ambiziosa,
tenta di estrarre da questa collaborazione un filo conduttore, fino a perve-
nire ad una filosofia epistemologica completamente nuova rispetto alle epi-
stemologie delle singole discipline chiamate alla collaborazione».

Veniamo a qualche esempio che rende evidente lo sguardo plu-


ridisciplinare a contenuti specifici. Se studio il sistema delle mar-
cite, sistemazione agraria messa a punto dai monaci cistercensi nel
Medioevo, dovrò prendere in considerazione e integrare conoscenze
storico-geografiche, con quelle biologiche, ma anche con quelle fi-
siche e matematiche. Inoltre, se prendiamo in considerazione que-
sto tema da un punto di vista concettuale di tipo eco-sistemico,
dovrà inerire anche altri ordini di fattori. Così come se affronto il

65
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

tema delle carte geografiche, dovrò integrare la conoscenza geogra-


fica del territorio con quella matematica, relativa ai modelli con cui
vengono costruite le rappresentazioni, con quella filosofica che mi
aiuta a inquadrare il concetto di rappresentazione, con quella sto-
rico-geografica. La diversa tipologia delle rappresentazioni carto-
grafiche è relativa alle conoscenze possedute da una certa popola-
zione in un certo contesto storico, all’evoluzione di tali conoscenze
nel tempo, alla storia delle diverse visioni ideologiche e filosofiche
del mondo; si pensi a come sono cambiate le carte da quella di Mer-
catore che faceva riferimento a un mondo di commerci e di naviga-
zione poco più vasto del Mediterraneo fino alla carta di Peter, che si
sforza di superare la visione europacentrica del mondo. Un altro
esempio illuminante vienedalle ricerche più avanzate sulla perce-
zione visiva, studi che intrecciano le conoscenze acquisite nel campo
della fisica con quelle biologico-anatomiche sulla conformazione
dell’occhio con teorie psicologiche: ad esempio, dalla Gestalt in poi
è risultato chiaro come quello che vediamo dipenda da quello che ci
aspettiamo di vedere.
Ragionando in termini pedagogici, la formazione
Formazione ai
saperi, formazione ai saperi che adotta un modello organizzativo di se-
di competenze parazione disciplinare, come ha evidenziato bene
Morin, è funzionale all’accumulazione di conoscenze,
che sottende un approccio deterministico, trasmissivo, dunque cu-
mulativo-informativo della conoscenza; considerare invece l’inter-
connessione dei diversi saperi, in un’ottica di costruzione autonoma
e originale di conoscenze di cui ci si appropria in modo critico e
spendibile nella realtà, può condurre a quella che Morin definisce la
«testa ben fatta» (Morin 2000). Perciò, la trasposizione in campo
formativo dei saperi disciplinari specializzati e separati «richiede di
analizzarne criticamente sia i limiti, sia le potenzialità» in modo che
il soggetto diventi in grado di contestualizzare i saperi e assegnarvi
un senso. Morin individua proprio nella separazione dei saperi l’in-
capacità di cogliere il carattere pluridimensionale dei problemi che
l’umanità si pone e quindi intravede nella logica inter e transdisci-
plinare una chiave di volta della trasposizione didattica, mentre nel-
l’ambito della ricerca la complessità si traduce in una logica più pro-

66
L’esperienza d’apprendimento e la trasposizione didattica

priamente co-disciplinare (Rossi 2011) da cui può emergere la ric-


chezza di un dialogo a partire da epistemologie, paradigmi e metodi
differenti intorno a uno stesso oggetto di studio.
Di fatto, dagli anni Sessanta, in tutti gli ambiti scientifici è stato
messo in discussione un approccio epistemologico lineare e causale,
per lasciare il posto a un approccio complesso e sistemico. Ciascuna
delle parti del sistema secondo il paradigma della complessità, cioè
ciascun sapere scientifico o, meglio, ciascuna prospettiva da cui viene
guardato un certo fenomeno sistemico, trattiene in sé un ideale co-
stitutivo, un progetto cognitivo fondante, un orientamento di valore
che funge da guida, cioè una specifica intenzionalità formativa. È
interessante chiederci se di questa relazione sia possibile rintracciare,
oltre a un significato epistemologico, anche un senso pedagogico.
Se si assume la complessità come una caratteristica strutturale dei
saperi nella loro incompletezza e incertezza, nel loro dinamismo, al-
lora si accetta che non esiste una forma unica “universale” dei sa-
peri, ma diverse forme di organizzazione, storicamente fondate, che
vengono di volta in volta contestualizzate e adeguate ai contesti
d’uso. Come ci dice la psicologia culturale, l’attribuzione di signifi-
cati costituisce la modalità specifica del funzionamento della mente
dentro una cultura e, se i saperi sono “modi di fare significato” con-
venzionalmente accettati in un certo mondo culturale, allora la plu-
ralità e le connessioni tra saperi non costituiscono un ostacolo alla
formazione, bensì un campo potenzialmente fertile per apprendi-
menti di senso e di ricostruzione o reinterpretazione, ermeneutica,
delle conoscenze, e questo è ciò che orienta verso la formazione del
pensiero critico e dialettico.

3. L’esperienza d’apprendimento e la trasposizione didattica


Proprio per la natura polimorfica e storicamente si- Dal sapere
tuata dei saperi, D’Amore (1999)afferma come – per sapiente al sapere
un insegnante – conoscere l’epistemologia della disci- insegnante
plina sia altrettanto importante che conoscere la disci-
plina stessa. Questa affermazione è, secondo l’autore, riconducibile
almeno a due ordini di fattori: uno di carattere culturale in senso

67
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

ampio e uno di carattere specificamente pedagogico-didattico. Dal


punto di vista culturale, lo sviluppo della disciplina richiede una
continua revisione di senso e di significato che la disciplina stessa
ricerca all’interno di sé e che il docente è chiamato a ricostruire. Ad
esempio l’insegnante di matematica non è un creatore di teoremi
e/o di teorie, ma un professionista, al quale la società propone di far
sì che giovani cittadini costruiscano e apprendano a usare compe-
tenze matematiche. Il docente non può dunque limitarsi a ripetere
la matematica appresa all’università (suo luogo di formazione cul-
turale, per quanto concerne la specifica materia); egli deve trasfor-
mare la matematica (il sapere matematico elaborato dall’accademia)
in un sapere adatto agli allievi affidati alle sue cure; deve trasformare
il sapere in un sapere da insegnare (D’Amore 1999); questa trasfor-
mazione non è affatto banale, anzi, al contrario, è ampiamente crea-
tiva e fa strettamente parte, condizionandola, della professionalità
del docente (Fandino Pinilla 2002).
Come afferma Morin

«la missione dell’insegnamento non è di trasmettere del puro sapere, ma


una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiu-
tarci a vivere […] aiutandoci a pensare in modo aperto e libero» (Morin
2000, p. 3.).

Saperi sapienti Questa trasformazione dei saperi scientifici che Che-


e trasposizione vallard (1985) chiama sapienti (savoir savant) in saperi da
didattica
insegnare, avviene innanzitutto grazie a un’azione di se-
lezione, di scelta dei contenuti che il docente – in quanto
esperto della disciplina – ritiene irrinunciabili dal punto di vista epi-
stemologico e più idonei dal punto di vista del senso che possono ac-
quisire rispetto al mondo esperienziale e alle cosiddette enciclopedie
dei ragazzi. Tale selezione passa attraverso la ricostruzione, che il do-
cente opera per lo studente, degli sforzi e delle difficoltà che gli es-
seri umani hanno incontrato nel costruire una certa disciplina così
come si presenta oggi, nel definire concetti, nello scoprire teorie.
Uno degli errori che ha allontanato e, a volte disamorato i ragazzi ri-
spetto ad alcuni ambiti del sapere (ad esempio, la matematica e le

68
L’esperienza d’apprendimento e la trasposizione didattica

scienze) è stato proprio il fatto di averli presentati come se fossero


atemporali e impersonali, ossia avulsi dall’esperienza di coloro che
hanno dato loro forma e anche di chi si accinge ad apprenderli. Inol-
tre, illustrare lo sviluppo storico di una disciplina permette di riper-
correre gli errori commessi nel passato dagli studiosi e utilizzarli per
ricostruirne i concetti fondamentali.
Le forme scientifiche dei saperi – che si danno all’interno della co-
munità scientifica e corrispondono a modalità di struttura formale
codificata – si declinano via via in forme didattiche che si delineano
all’interno delle istituzioni formative e corrispondono a modalità di
trasposizione didattica, ossia in base a una costruzione di senso con-
testualmente e didatticamente situata. Come afferma Martini ope-
rare una trasposizione didattica significa «situare altrove» (Martini
2005, pp. 64-65) a due livelli: nell’intreccio di relazioni sociali e cul-
turali che il sistema formativo intrattiene con i suoi sottosistemi e
con il mondo esterno; nelle situazioni concrete della didattica.
Secondo l’approccio «antropo-didattico» (Mercier - Schubauer-
Leoni - Sensevy 2002), la trasformazione che il docente può cercare
di compiere avviene a due livelli di lettura e interpretazione, ap-
punto, antropologici: quello delle forme del discorso scolastico (Sar-
razy 1998), in senso linguistico-gergale ma anche simbolico-rap-
presentazionale, e quello più specificamente contestuale, legato alle
condizioni didattiche.
Secondo D’Amore (1999), praticare questa doppia let- Epistemologia
tura antropologica delle discipline comporta un cambio realista e
epistemologico: si abbandona quella che l’autore definisce pragmatista
epistemologia “realista”, che sceglie i concetti, in questo
caso matematici, come punto di arrivo finale e ideale, esposti con lin-
guaggio appropriato, per adottare invece un’epistemologia cosiddetta
pragmatista, in cui il concetto viene costruito e acquisito gradual-
mente in modo personale e situato.
Questo approccio si declina dunque nelle seguenti direzioni:
– situare i punti di riferimento fondamentali e gli assi d’intelleggi-
bilità (concetti, postulati e metodi) dei saperi della propria disci-
plina per rendere possibili gli apprendimenti significativi per gli
alunni;

69
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

– assumere una distanza critica nei confronti della disciplina inse-


gnata;
– stabilire relazioni fra la cultura prescritta nel programma di for-
mazione e quella degli alunni;
– trasformare la classe in un luogo culturale aperto alla pluralità delle
prospettive in uno spazio comune;
– portare uno sguardo critico sulle proprie origini e pratiche cultu-
rali e sul proprio ruolo sociale.
In altre parole, integrare i saperi con la vita, i saperi
L’integrazione
dei saperi del passato con quelli del presente perché i saperi non
possono essere disconnessi né dalle grandi domande uni-
versali, né dalle domande collettive culturalmente ancorate, né dalle
domande più individuali. I saperi non sono neanche immutabili,
ma rappresentano realizzazioni umane in evoluzione costante per ri-
spondere agli interrogativi che pone la vita.

«Le discipline scientifiche, letterarie ed artistiche possono essere comprese


come altrettante risposte a domande che gli uomini si pongono sul mondo
per capirlo e per capire se stessi» (Simard cit. in Sorin 2011).

Per fare ciò è necessario superare la frammentazione e la specia-


lizzazione crescente dei saperi, così come la disparità stessa dei sa-
peri, costruendo «legami fra le conoscenze stesse e fra le conoscenze
e le varie sfere dell’attività umana, perché ci sia più coerenza negli
apprendimenti. L’integrazione dei saperi significa (Simard cit. in
Sorin 2011):
– trapiantare i nuovi saperi su quelli anteriori;
– strutturare o ristrutturare i saperi;
– ricollocare i saperi in un contesto storico di emergenza;
– stabilire relazione fra i saperi;
– trasferire i saperi, cioè applicarli consapevolmente in contesti di-
versi da quelli in cui sono stati acquisiti e aggiornarli continuamente
per rilevare le sfide del presente.
In sintesi, il concetto di trasposizione didattica,
Contenuti disciplinari
e contenuti insegnati e il filone di ricerca ad esso connesso, ritiene che le
condizioni che regolano i sistemi di insegnamento

70
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente

siano molto differenti da quelli che regolano i diversi ambiti scien-


tifici, socio-umanistici, artistici in cui questi i concetti disciplinari
sono stati formulati; perciò, insegnare complessi concetti elaborati
in un certo ambito disciplinare a soggetti non esperti, richiede una
trasformazione dei “contenuti da insegnare” che parta innanzitutto
da una selezione essenziale dei concetti fondamentali su cui si fonda
una certa disciplina (nodi o snodi concettuali, nuclei concettuali) e
che questi ultimi vadano tradotti in “contenuti insegnati” grazie a
strategie e metodologie adeguate, che li ricolleghino al mondo espe-
rienziale e alle enciclopedie degli allievi, evidenziandone il senso e la
ricaduta che può avere per loro.

4. Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del


docente
Iscrivere il proprio modo di intendere la didattica delle discipline
in questo quadro teorico-metodologico, richiede una rivoluzione
copernicana rispetto al modo di intendere il processo di insegna-
mento-apprendimento in un certo ambito disciplinare.
Innanzitutto, come abbiamo già affermato, accettare la pluralità
delle epistemologie delle discipline comporta che l’insegnante col-
lochi le sue conoscenze acquisite durante il percorso universitario e
la sua eventuale esperienza professionale fuori dalla scuola, all’in-
terno dei differenti stadi di sviluppo e alla continua ricerca di senso
che quella specifica disciplina ha operato nei diversi periodi storici;
inoltre, è chiamato a situarsi nell’ambito dei diversi modelli episte-
mologici che contemporaneamente convivono in questo momento
storico e scientifico.
Un approccio didattico che non considera i saperi scientifici
come statici e monolitici, ma che li guarda attraverso gli occhi della
loro storia evolutiva e che al tempo stesso si preoccupa di formu-
lare una trasposizione didattica di questa evoluzione agli allievi, in-
tende non presentare un solo modello della conoscenza e dell’in-
formazione, ma orienta gli insegnanti, e la ricerca didattica stessa,
a quella creativa trasformazione che permette agli allievi di avvici-

71
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

narsi a un mondo conoscitivo estraneo, senza diffidenza o sogge-


zione, mettendoli in grado di comprendere a partire dal loro punto
di osservazione.
Di fatto, questo cambiamento chiama in causa il
Contratto didattico
e rappresentazioni
concetto di contratto didattico. La nozione di con-
degli insegnanti tratto didattico è stata sviluppata congiuntamente
nell’ambito della psicologia cognitiva (Orletti 2000)
e della didattica disciplinare, in particolare, della didattica della ma-
tematica (Brousseau 1986). Il contratto didattico è una metafora
della vita quotidiana in classe, secondo cui i soggetti che parteci-
pano al processo di insegnamento-apprendimento non sono più
semplici parlanti o interlocutori, ma assumono ruoli ben precisi al-
l’interno di azioni in gran parte condivise. Secondo l’idea del con-
tratto didattico, i comportamenti socio-cognitivi degli insegnanti
(richieste, criteri di valutazione, azioni specifiche, dinamiche rela-
zionali e comunicative) e degli allievi (modo di atteggiarsi, di inte-
ragire con i pari e con gli adulti, di rispondere al compito richiesto,
di cercare o meno la prestazione) dipendono dalle regole implicite
ed esplicite del docente e, dunque, dalla sua concezione della scuola,
del suo ruolo, ma anche dall’idea che hanno della loro disciplina.
Attraverso il contenuto proposto, l’insegnante costruisce, consape-
volmente o meno, un rapporto con l’allievo e con la disciplina,
un’immagine della disciplina, una situazione di successo o di insuc-
cesso che influenza le concezioni personali dell’allievo su di sé e sulla
materia studiata, costituisce un processo di motivazione allo studio.
Queste concezioni sono determinanti per le scelte future dell’allievo,
per la sua maturazione personale e sociale, per la motivazione ad ap-
prendere e per il sentimento di autoefficacia in essa implicata. In
una situazione d’insegnamento l’allievo ha generalmente come com-
pito quello di comprendere e di risolvere un problema che gli viene
presentato e l’accesso a tale compito avviene attraverso un’interpre-
tazione delle domande poste, delle informazioni fornite, degli ob-
blighi imposti che sono costanti del modo di insegnare di quel de-
terminato insegnante. Queste abitudini specifiche del maestro at-
tese dall’allievo e i comportamenti dell’allievo attesi dal docente co-
stituiscono il contratto didattico (D’Amore 2007, pp. 1-2).

72
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente

Spesso queste attese non sono dovute ad accordi espliciti, impo-


sti dalla scuola o dagli insegnanti o concordati con gli allievi, ma
alla concezione della scuola, della matematica, ai giudizi, pregiudizi
e attese reciproche oltre che alla ripetizione di abitudini didattiche.
Secondo Bendefa e Lafortune (2011) le rappresentazioni degli inse-
gnanti influenzano le pratiche di insegnamento della propria disci-
plina come emerge dagli studi sulla microcultura della classe. In par-
ticolare questi studi evidenziarono come le consegne date dagli in-
segnanti possono essere fortemente segnate dal rapporto che esse in-
trattengono con la propria disciplina e dalle idee che si sono costruiti
rispetto all’apprendimento e all’insegnamento della disciplina stessa.
Le rappresentazioni degli insegnanti determinano il loro modo di
“vedere” ciò che è la comprensione degli studenti (Gattuso 1993;
Bednarz - Gattuso - Mary 1995; Robert - Robinet 1989).
Dal punto di vista dei modelli di insegnamento
Concezioni ingenue,
adottabili, accettare l’incompletezza e l’incertezza dei mis-concezioni,
saperi e del sapere richiede a chi insegna un cambio concetti formali
di prospettiva rispetto ai modelli di progettazione1:
non solo infatti si supera l’idea di programma che risponde a un pa-
radigma lineare, ma anche quello di programmazione in cui si de-
terminano tempi e attività in base a schemi predefiniti, che non
comprendono quelli che Perticari (1996) chiama «gli attesi impre-
visti» o quella che De Vecchi (????) definisce la «tolleranza del caos».
Il caos apparente e temporaneo può nascere dal fatto di adottare
un’epistemologia che contempli l’errore, come percorso di cono-
scenza degli scienziati, così come degli allievi in classe e, per questo,
parta dalle conoscenze informali degli allievi per arrivare a quelle
formali, convenzionalmente formulate e accettate dagli esperti della
disciplina.
Un contratto didattico che considera l’apprendimento formale
in una certa disciplina come un obiettivo a lungo termine, richiede
dunque una temporanea accettazione totale delle conoscenze e so-
prattutto delle mis-concezioni degli allievi, quali condizioni e stru-

1
Cfr. la seconda parte di questo volume.

73
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

menti per arrivare all’acquisizione dei concetti formali. La scelta di


partire comunque dalle conoscenze che i ragazzi hanno già prece-
dentemente acquisito in modo informale e non formale, valoriz-
zando autenticamente il percorso di conoscenza ad esse legato cor-
risponde a un duplice obiettivo: da un lato quello di motivare i ra-
gazzi allo studio, grazie al legame di fiducia basato su un autentico
riconoscimento della loro esperienza fuori dalla scuola; dall’altro
lato, ancora più significativo soprattutto in un’ottica “disciplinari-
sta”, l’assunzione dei precedenti mondi esperienziali e conoscitivi
dei ragazzi risponde a finalità strettamente cognitive e meta-cogni-
tive essenziali nei processi di comprensione (Aa.Vv. 2011). Già se-
condo Piaget (1975), infatti, l’allievo messo a “contatto” con una
formazione nuova la interpreta a partire dalle proprie conoscenze,
competenze, esperienze e dai propri comportamenti. Gli alunni rior-
ganizzano dunque quello che conoscono in funzione di nuove co-
noscenze per poterle evocare e usare in modo appropriato. Questo
processo di appropriazione delle conoscenze porta gli alunni a capire
i concetti propri di un certo ambito disciplinare, in modo più o
meno approfondito, in relazione ai processi di costruzione prece-
dentemente sviluppati.
In didattica della matematica, per esempio, il concetto di rap-
presentazione – entro cui si devono situare i nuovi concetti che un
soggetto si accinge ad affrontare/acquisire – viene espresso mediante
i seguenti termini: “concezione”, “credenza”, “percezione”.
Nella stessa direzione si muove De Vecchi (????), studioso che
opera nell’ambito della didattica generale, che distingue i termini
”concezione” e “costrutto” rispetto a quello di rappresentazione per-
ché i primi diffondono l’idea della costruzione autonoma di cono-
scenze, il secondo invece rimanda a un modello mentale di portata
sociale, che fa riferimento a costrutti precedentemente formulati a
livello collettivo. Per Viennot:

«quando un gruppo di alunni mette in opera una stessa rappresentazione


in una situazione data e quella rappresentazione presenta una certa stabi-
lità, si parla di concezione» (Conquin - Viennot 1988, p. 70).

74
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente

Gilbert Arsac (cit. in Artigue 1990) definisce le rappresentazioni


come delle ipotesi implicite non teorizzate. Più specificamente, par-
tendo ed elaborando lo schema delineato da Piaget, la costruzione
di significati, a partire dall’esplorazione e dalla conoscenza che cia-
scuno ha della realtà implicita in ogni processo di acquisizione di
nuove conoscenze, avviene attraverso tre passaggi:
– il riferimento alla rappresentazione (concezione) della realtà, che
passa attraverso diverse forme di apprendimento formale e infor-
male e che sottende implicazioni culturali e concettuali di cui non
sempre il soggetto è consapevole;
– l’individuazione dei legami fra la precedente rappresentazione e la
nuova realtà fenomenica a cui ci si accosta, così come delle connes-
sioni e inter-connessioni fra le differenti parti costituenti di una to-
talità (i diversi elementi di un sistema complesso);
– la capacità di ricostruire un ordine gerarchico fra i diversi elementi
di un sistema e fra i diversi concetti a cui si ricorre per comprendere
il funzionamento e le leggi che regolano il sistema stesso.
Procedere in questa direzione, a partire dalle conoscenze infor-
mali per arrivare a quelle formali, chiama in causa la mediazione di-
dattica dell’insegnante. Ci vorrà, dunque, un lavoro di «ascolto pa-
ziente e appassionato» dell’insegnante per capire come gli allievi
«provino per la prima volta a darsi conto delle cose, cerchino di tro-
vare relazioni da connettere fra loro per capire modi di esistere» (la
realtà che vanno studiando), per comprendere intrecci e complessità
di cui questa realtà è costituita. Ed è in questo modo che i ragazzi
«possono arricchire di significati parole, costruendole/facendole e
capendole dentro le esperienze» ed essere, viceversa, stimolati ad ac-
quisire linguaggi e terminologie adeguati a descrivere fenomeni com-
plessi (Raimondi 2003, p. 13).
In ultima istanza, inoltre, la comprensione della La dimensione
realtà e la costruzione di nuovi significati attraverso emotiva ed estetica
cui interpretarla include in modo pervasivo la di- della conoscenza
mensione emotiva sia in quanto correlata alle dina-
miche affettive e relazionali che si generano nel gruppo di appren-
dimento, sia come dimensione che ci informa sul nostro modo di
appropriarci conoscitivamente della realtà. Come Longo sostiene,

75
Capitolo III - Elisabetta Nigris - Didattica e saperi disciplinari

«siamo essere viventi […], mangiamo, beviamo, consumiamo energia, cre-


sciamo, ci riproduciamo, obbediamo a stimoli che vengono dall’esterno o
dal nostro interno […] la maggior parte degli scienziati ritiene che tutte le
forme di vita abbiano un’origine comune. Proviamo per gli esseri viventi
le stesse emozioni che proviamo per i nostri simili e questo influenza in
modo determinante il modo in cui li conosciamo: tenerezza, empatia per
gli esseri che assomigliano a noi, repulsione-schifo, repulsione-paura,
paura-paura» (Longo 1995, pp. 59-60).

Longo invita dunque a un approccio allo studio della biologia


che integri il metodo scientifico dell’osservazione per imparare a di-
stinguere, differenziare, classificare e ipotizzare spiegazioni con un at-
teggiamento “empatico”, di riconoscimento di sé come “essere vi-
vente” nell’incontro con le differenti forme di vita. In modo ana-
logo Giordano e Samek Ludovici invitano a un’esperienza globale
nello studio dei fenomeni fisici o astronomici, un’esperienza che
tiene connesse le dimensioni cognitive, emotive ed estetiche come al-
tamente “informative” oltre che formative.

«Prima di imparare qualcosa relativamente al cielo bisogno re-imparare ad


osservarlo, alzando gli occhi al di là e al di sopra dell’orizzonte ristretto a
cui le costruzioni umane spesso ci racchiudono. Prima di tutto dovremmo
poterci riappropriare del piacere di osservare cosa fa il sole durante il
giorno, di cercare la luna e di osservarla con pazienza magari leggendo
Saffo, Leopardi o Galileo» (Giordano - Samek Ludovici 2003, p. 61).

Da bambini iniziamo a porci domande sul senso delle cose, della


vita e di ciò che ci circonda: cosa vuol dire vita? Come funzionano
le cose? Come fanno a vivere nell’acqua i pesci? Quale meraviglia
dello stare sospesi senza cadere e senza che nessuno ci sostenga se
non la gravità sia sulla terra sia in relazione al sole? Dove va il sole
la sera? Domande che nascono e mantengono in modo intrinseco
curiosità intellettuale, stupore e sentimento di meraviglia, atteggia-
menti e disposizioni fondamentali per avvicinarsi alla conoscenza di
ciò che è scienza, di ciò che non lo è e dei modi, delle domande e dei
percorsi attraversati dagli scienziati per comprendere, conoscere, de-

76
Verso un apprendimento critico e consapevole: il ruolo del docente

scrivere e rappresentare. L’approccio “inesperto e ingenuo” al mondo


e alle parole, apre la strada dell’apprendimento agli insegnanti che
non solo stanno in ascolto, che è solo un presupposto imprescindi-
bile, ma che continuano a interrogare i significati della loro disci-
plina “dall’interno”, riscoprendone epistemologie ed evoluzioni sto-
riche e le originarie fonti di scoperta. Le idee ingenue, le mis-cono-
scenze o gli errori dei ragazzi possono essere accostati ai percorsi che
gli scienziati, i letterati e gli artisti hanno attraversato nelle loro ri-
cerche? Secondo un proverbio marocchino «la luna e le stelle non
sono sopra di noi, è la Terra a essere sotto i nostri piedi» (Lanciano
2011). È possibile immaginare un modo di trasmettere che coniu-
ghi la naturale predisposizione all’attribuzione di senso degli esseri
umani, la curiosità e l’interpretazione con la necessità di insegnare
metodi specifici di conoscenza dei saperi? L’insegnante che tenta “ri-
sposte” progetta le proprie azioni didattiche affrontando incoerenze,
contraddizioni, contrapposizioni e ostacoli che nascono dall’azione
di mediazione costante verso la ristrutturazione continua delle co-
noscenze dei ragazzi, con la fatica cognitiva e relazionale che questo
comporta. La ricerca didattica, generale e disciplinare, affianca la
scuola e gli insegnanti nel dipanare e fare luce sulla complessità di
ogni situazione di insegnamento nella sua unicità e, contempora-
neamente, all’interno di più ampi orizzonti di significato, sulle re-
lazioni con il sistema scolastico e con l’ambiente sociale (D’Amore
- Frabboni 1996) che la dimensione formativa non può eludere.

77
Didattica e saperi disciplinari: dialogo da costruire.
Mappa concettuale

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GLGDWWLFD GLVFLSOLQDUH

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78
Capitolo quarto

Le tecnologie dell’educazione
Floriana Falcinelli

1. Definizione ed evoluzione delle tecnologie dell’educazione


Per tecnologie dell’educazione si intende un com- Definizione
plesso sistema di artefatti che possono potenziare la co- di tecnologie
dell’educazione
municazione didattica e come tale intervenire nei pro-
cessi di insegnamento/apprendimento. Sono dispositivi
artificiali che assumono la funzione di mediatori per la gestione delle
informazioni tra un emittente e un ricevente, agendo sulle modalità
con cui l’informazione viene trasmessa e soprattutto su come l’utente
la riceve, la gestisce, la rielabora (Mc Luhan 1967).
La formazione è l’esito di un processo di comunicazione e per
questo ha sempre utilizzato mediatori per cui la storia dell’uso delle
tecnologie nell’azione didattica è legata da un lato all’evoluzione tec-
nologica, dall’altro al cambiamento che nel corso del tempo ha ca-
ratterizzato il paradigma epistemologico della didattica, definita
oggi, anche alla luce delle ultime conquiste delle neuroscienze (Ri-
voltella 2012), scienza dei processi di insegnamento/apprendimento,
integrati in un’azione vista come un unico sistema complesso (Rossi
2011).
Il Novecento è stato giustamente definito “secolo dei La diffusione
media” perché ha visto la nascita e soprattutto la diffu- della cultura
sione di tutti i mezzi tecnologici deputati alla trasmis- dei media
sione di informazioni e alla comunicazione. Si è assi-
stito infatti allo sviluppo e consolidamento di radio, cinema e tele-
visione, in quanto forme comunicative, tecnologiche, sociali ed eco-

79
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

nomiche che, uscendo dalla dimensione artigianale, sono entrate a


pieno titolo nel sistema industriale e diventate mezzi di comunica-
zione di massa, tanto che i media precedenti come telegrafo, tele-
fono, fotografia e stampa sono stati costretti a riqualificarsi e a ride-
finire il proprio ruolo e la propria funzione.
Contemporaneamente si è affermata la cultura dei media, carat-
terizzata dall’integrazione sensoriale-linguistica e tecnologica tra pa-
rola, suono e immagine, da un’esperienza conoscitiva per immer-
sione, dalla percezione globale del messaggio, dalla codificazione
degli elementi di conoscenza secondo la logica del sensorio integrale
(partecipazione, senso del qui e ora, nello spazio e nel tempo, coin-
volgimento emozionale), da un tipo di apprendimento per intui-
zione (Galliani 1998).
Nella tradizione didattica, specialmente italiana, la cultura dei
media è stata vista come alternativa, talvolta opposta alla cultura
della scuola, caratterizzata dalla preminenza della comunicazione
verbale, scritta e orale, da monomedialità sensoriale linguistica e tec-
nologica, da astrazione e razionalizzazione dell’esperienza, da codi-
ficazione formalizzata dei saperi della cultura tradizionale del pas-
sato, da un tipo di apprendimento concettuale secondo una logica
analitica, lineare, sequenziale.
Invece di promuovere l’integrazione tra i due approcci come ri-
sorsa per l’apprendimento significativo degli allievi, la ricerca didat-
tica ha indugiato spesso a letture che ne hanno evidenziato la con-
trapposizione, esaltando in genere la cultura scolastica librocentrica
e attribuendo a quella dei media una valenza prevalentemente ne-
gativa. Generalmente gli insegnanti hanno considerato i media come
sussidi audiovisuali per trasmettere il sapere in modo più efficace,
coinvolgente e motivante, senza modificare per nulla l’impostazione
dell’azione didattica.
Una svolta importante si è avuta nella seconda metà
L’avvento delle
tecnologie
del Novecento, quando si è cominciato a pensare che
dell’istruzione l’uso della tecnologia potesse cambiare, riorganizzare, ot-
timizzare il processo di insegnamento-apprendimento.
Con la pubblicazione, nel 1954, del famoso articolo di
A Skinner Skinner The science of learning and the Art of Teaching

80
Definizione ed evoluzione delle tecnologie dell’educazione

nasce un nuovo settore di ricerca che indaga come l’impiego delle


tecnologie possa favorire e supportare la programmazione didattica
di percorsi di apprendimento, pianificati in relazione a specifici sti-
moli e articolati in sequenze progressive e graduali, organizzate in re-
lazione a obiettivi operazionalizzati e verificati costantemente (istru-
zione programmata). Il tutto in riferimento a
un paradigma comportamentista orientato al Comportamentismo T
controllo degli stimoli e al rinforzo delle rispo-
ste esatte.
Verso la fine degli anni Cinquanta si sviluppa la rivoluzione co-
gnitiva per cui, come rileva Calvani,

«attraverso orientamenti diversi, in certi casi anche contrapposti, quali il


comportamentismo skinneriano, lo sviluppo dell’orientamento tassono-
mico-curricolare e la nascita della scienza cognitiva con i suoi risvolti ci-
bernetico-informatici e psico-linguistici, prendendo le distanze
da una tradizione didattica prevalentemente ispirata all’atti- Attivismo T
vismo deweyano, si dà vita ad un intenso fervore di applica- Dewey A
zioni curricolari e tecnologiche» (Calvani 2001, p. 98).

Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta con l’avvento del compu-
ter si assiste allo sviluppo di una grande stagione di ricerca pedago-
gica e didattica incentrata sulla programmazione dei processi di ap-
prendimento e sulla possibilità di trattare l’informazione in modo
più o meno “intelligente”.
La possibilità di avere a disposizione computer L’uso del computer
sempre più amichevoli e di tradurre in linguaggio di- a scopi didattici
gitale ogni simbolo analogico (convergenza digitale)
diffonde nella ricerca didattica tre concetti che cambiano radical-
mente l’approccio alla formazione. Termini come multimedialità, in-
terattività, ipertestualità entrano nel linguaggio didattico, sollecitando
mutamenti non solo nell’uso di alcuni strumenti tecnologici, ma so-
prattutto nell’approccio alla cultura, alla sua produzione e diffusione.
Si afferma così l’idea di “tecnologie aperte” cioè tecnologie che, favo-
rendo un uso flessibile, esplorativo, attivo, partecipato e creativo, per-
mettono all’utente di introdurre elementi personali nella conoscenza.

81
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

Interattività Si parla di interattività genericamente come possibilità


di intervenire sull’informazione modificandola: Calvani ne
individua varie forme:
– transitiva diretta, intesa come retroazione fisica sul programma del
computer;
– transitiva esplorativa come le attività di navigazione libera su In-
ternet;
– transitiva cooperativa quando il computer è strumento di lavoro
(Calvani 2001).
La multimedialità permette la fruizione integrata di
Multimedialità
diversi linguaggi; il dialogo uomo-macchina può essere
reso più ricco e completo proprio perché si possono uti-
lizzare in modo integrato e simultaneo le conoscenze veicolate da
più media attraverso un unico sistema di comunicazione. Si realizza
così l’integrazione tra i diversi linguaggi, tra i diversi temi e tra i di-
versi media che non coinvolge soltanto l’intelligenza e la mente ma,
comportando proiezioni, identificazioni e ulteriori coinvolgimenti
emotivi, è come se portasse l’intero corpo a immergersi in tale di-
mensione. Ma la multimedialità dà anche la possibilità di intra-
prendere percorsi di apprendimento personalizzati dal momento che
gli uomini apprendono, rappresentano e utilizzano le conoscenze in
sistemi simbolici diversi (Maragliano 2004).
Assumere il multimediale come ambiente di lavoro sollecita a ri-
pensare-ridefinire i contenuti e le forme dell’insegnamento in un’ot-
tica di integrazione piena tra l’autorevolezza della macchina del sa-
pere per eccellenza (il libro) e la forza d’urto delle macchine dello
svago e del coinvolgimento (tv, cinema, ma soprattutto videogioco).
Compare dunque la parola Edutainment come integrazione di for-
mazione e intrattenimento (Cangià 2009) con rilievo e dignità pari,
come ben ricordava Mc Luhan quando diceva che coloro che fanno
distinzione tra intrattenimento ed educazione forse non sanno che
l’educazione deve essere divertente e il divertimento educativo (Mc
Luhan 1967).
Tipico dell’edutainment è il videogioco: opportunamente scelto,
mette nella condizione di apprendere, di compiere dei sacrifici per
raggiungere obiettivi chiari e dichiarati, di sopportare e superare la

82
Definizione ed evoluzione delle tecnologie dell’educazione

frustrazione che viene dai fallimenti per progredire, favorisce la con-


sapevolezza delle proprie azioni, il problem solving induttivo e il pen-
siero critico, lo sviluppo della capacità di scelta e di decisione, la ca-
pacità di osservazione e di analisi situazionale (Greenfield 1985; An-
tinucci 2001; Felini 2012; Prensky 2008).
Per ipertesto si intende un software che consente una Ipertestualità
gestione non lineare delle informazioni che sono organiz-
zate tramite associazioni chiamate links o nodi. Tali nuclei di infor-
mazione, collegati ad altri nodi per mezzo di legami basati su nessi
logici, permettono al fruitore di navigare da un nucleo all’altro, da
un concetto all’altro, da un oggetto a un altro con grande libertà
(Landow 1993).
L’ipertesto, oggi anche ipermedia, grazie alla possibilità di inte-
grare in modo non lineare testi e media diversi, rende possibili iti-
nerari e tempi individualizzati e personali di apprendimento (frui-
zione), permette un controllo consapevole dei propri processi di rior-
ganizzazione del sapere che avvengono mediante una ricerca costante
e in risposta a esigenze personali, permette l’acquisizione e il raffor-
zamento di competenze fondamentali quali: la progettualità, la de-
terminazione dei nuclei essenziali di un argomento, la sintesi, la ca-
pacità di realizzare relazioni logiche tra i concetti (costruzione).
Il computer dà all’utente la possibilità di interagire con
l’informazione costruendola e decostruendola continua- Computer e scuola
mente. Esso permette di: conservare, organizzare, trasmet-
tere, ricevere, ricercare, trasformare un’enorme quantità di
informazione di tutti i tipi in tutte le modalità percettive e comu-
nicative e di interagire con grande facilità e versatilità con chi è se-
duto davanti allo schermo (Papert 1994); è uno strumento multi-
funzionale che permette di svolgere i più svariati compiti, di svilup-
pare percorsi creativi, di mettersi in gioco.
Tra le molte risorse che un computer mette a disposizione, par-
ticolare diffusione ha avuto l’uso del word processor. La videoscrittura
permette la digitalizzazione ovvero la potenzializzazione del testo,
l’integrazione dei ruoli di autore, realizzatore, lettore, la virtualizza-
zione della scrittura (Lévy 1997); induce e facilita la riflessione di chi
scrive sulle possibilità e caratteristiche del linguaggio scritto, fa per-

83
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

cepire il senso dello scrivere per comunicare, la scrittura diventa pro-


cesso di produzione creativa in perenne movimento, grazie alla pos-
sibilità di rivedere, manipolare il testo, favorisce inoltre la coopera-
zione tra gli allievi, impegnati nel comune progetto di composizione.
Grazie al computer nella scuola è stato possibile utilizzare molti
programmi applicativi pensati appositamente per il raggiungimento
di obiettivi didattici: tali software comunemente chiamati software
didattici sono entrati prepotentemente nel mercato, in modo spesso
caotico, rendendo indispensabile la costruzione di griglie di valuta-
zione della qualità per permettere agli insegnanti di orientarsi.
Il computer può infine favorire la possibilità dell’apprendimento
attraverso l’esperienza perché esso può simulare la realtà e quindi
consente di apprendere osservando la realtà e agendo su di essa, co-
gliendo le conseguenze delle proprie azioni.
Nel tempo, il computer si è caratterizzato come vero e proprio am-
biente di apprendimento in cui esaltare la curiosità dell’allievo, il suo
desiderio di esplorare, di ricercare, di scoprire cose nuove, di costruire
oggetti significativi di conoscenza attraverso un processo di creazione
realizzato in collaborazione con altri allievi e insegnanti disposti a met-
tersi in gioco e ad accogliere la “sfida” della ricerca. È interessante no-
tare come lo sviluppo del computer si collochi in un contesto storico-
culturale nel quale vari orientamenti culturali (er-
T Connessionismo meneutica, decostruzionismo, connessionismo,
teoria della complessità) confluiscono nel consoli-
dare un nuovo paradigma, al cui interno la conoscenza è vista come
processo di esplorazione e costruzione attiva di significati, nel quale
maggiore attenzione viene data alle relazioni, al contesto, alle disso-
nanze più che alle concordanze.
Si afferma la logica costruttivista secondo la quale l’apprendi-
mento è significativo quando è costruito dall’allievo in modo esplo-
rativo, riflettendo su situazioni reali: è dunque situato, cioè legato a
un contesto, e distribuito, cioè condiviso con altri attraverso la ri-
cerca di significati comuni (Bruner 1990).
In ambito didattico si verifica così un graduale spostamento di at-
tenzione dalla macchina e dalla sua programmazione all’utente e a
come egli può apprendere in modo significativo; vengono realizzati

84
Tecnologie di informazione e comunicazione: risorsa per la didattica

nuovi software che rendono il computer utensile, tool amplificatore


di un processo di formazione che deve essere gestito sem-
pre più dallo stesso soggetto in apprendimento (Jonassen Jonassen A
2000). L’attenzione viene dunque spostata sul processo
di apprendimento dell’allievo e sulle condizioni che lo rendono pos-
sibile, mentre si affacciano nell’universo delle scienze dell’educazione
settori di ricerca nuovi che manifestano interessanti intersezioni con
la pedagogia e la didattica (teoria della comunicazione, tecnologie
dell’istruzione e dell’apprendimento, scienza dei processi cognitivi,
informatica).
Intanto la rivoluzione digitale impone ai media tradizionali di
rivedere obiettivi e strategie di approccio all’informazione e alla co-
municazione, nella logica di un sistema mediale integrato. Si rende
necessaria dunque una riflessione sul sistema complessivo dei media
visti come nuovi contesti di conoscenza e nuovi ambienti formativi
(Galliani 1998).

2. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione come


risorsa per l’azione didattica
Ma una nuova rivoluzione nei processi formativi Internet, il web
viene prodotta dalla realizzazione del Web e dalla dif- e la cybercultura
fusione di Internet (Falcinelli 2003).
Il cyberspazio non è solo il luogo virtuale in cui tutti potenzial-
mente possono accedere all’informazione e comunicare fuori dai
vincoli spazio temporali, è soprattutto l’avvento di una nuova cul-
tura caratterizzata dall’idea che il sapere non è chiuso e definito, pa-
trimonio di pochi, ma è aperto a tutti e si arricchisce grazie al con-
tributo di ogni persona che è in grado di partecipare a comunità vir-
tuali che si strutturano in questo amnios comunicativo, in cui si co-
struiscono e si condividono nuovi sistemi di significato, secondo
una logica reticolare (Levy 1999).
Le nuove tecnologie vengono denominate Tecnologie dell’infor-
mazione e della comunicazione (tic o ict nella dizione inglese), pro-
prio a sottolineare come i due aspetti non possano più essere sepa-

85
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

rati e come anche nei processi formativi la conquista del sapere possa
avvenire attraverso modalità comunicative mediate che integrino la
tradizionale relazione docente-allievo (Calvani 2007b).
Si assiste all’avvento di una multimedialità interattiva di rete in cui
viene esaltata la possibilità per il soggetto di essere protagonista della
sua crescita culturale, in un Web 2.0 che sempre più è spazio so-
ciale, contesto di costruzione collaborativa del sapere, ambiente par-
tecipato e condiviso, luogo di apprendimento informale diffuso
(Jenkins 2010).
Emerge addirittura la definizione di una nuova intelligenza digi-
tale (Battro - Denham 2010) diventa centrale la questione relativa
ai possibili mutamenti che un cervello, sollecitato dai nuovi media,
potrebbe subire (Wolf 2009).
A rendere più complesso lo scenario, negli ultimi
I dispositivi
mobili anni si sono diffusi nuovi dispositivi, per lo più mo-
bili: notebook, tablet (iPad), smartphone, consolle con-
nesse a Internet (Wii, PlayStation3) piattaforme software 2.0 come
i social network (Facebook, Twitter, MySpace), i blog, YouTube,
Wiki e il pianeta Google; tutto ciò può essere considerato come ri-
sorsa a disposizione dell’azione didattica e, pur con specifiche di-
versità, può essere ricondotto alla grande categoria delle ict.
In questo contesto tutti gli applicativi si trovano in rete e possono
essere espansi attraverso le opportunità che la rete offre nella dire-
zione dei social network: repository e banche dati dei software sono
molto diffusi e la qualità è data dalla modalità dello sharing e del
passaparola degli insegnanti (Petrucco 2010).
La rete ha inoltre diffuso la logica del software open o free, della
dimensione del floss (Free/Libre/Open Source Software) termine
che indica contemporaneamente e collettivamente il software libero
e quello a codice sorgente aperto.
Si aprono continuamente spazi nuovi di condivisione tra ragazzi
e docenti:

«così diviene possibile per un insegnante condividere in Scribd i propri


documenti, rendere disponibili in Slideshare le proprie presentazioni, in-

86
Tecnologie di informazione e comunicazione: risorsa per la didattica

vitare i propri alunni a pubblicare in Anobii le loro recensioni letterarie»


(Rivoltella - Ferrari 2010, p. 81).

Altri strumenti possono essere i servizi di instant messa- lim 


ging (come Skype, Msn Messenger o Google Talk) e i media
digitali.
Tra questi una sottolineatura merita la Lavagna Inte- lim e altri
rattiva multimediale (lim), supporto che, grazie all’uso media digitali
integrato di proiettore e computer, consente di visualiz-
zare e navigare i contenuti del computer e del web, integrarli con
osservazioni e commenti, importare e modificare oggetti, salvare e
rendere disponibili i contenuti di una sessione di lavoro.
La lim è sostanzialmente una periferica di un computer che può
essere utilizzata usando semplicemente il sistema operativo e i soft-
ware tradizionalmente installati nel computer e rendendo, grazie al-
l’uso dello schermo visivo, percettivamente evidenti ed emozional-
mente coinvolgenti i contenuti di studio; pur rimanendo una lava-
gna a supporto del lavoro dell’insegnante rivolto collettivamente alla
classe, si differenzia dalle lavagne tradizionali in termini di multi-
medialità, ipertestualità, connettività e memoria. Pertanto un con-
tenuto, preparato in anticipo dal docente o costruito collaborativa-
mente in classe, può essere ricostruito, arricchito dagli alunni in mo-
menti successivi ma anche

«riutilizzato, aggiornato, o migliorato dal docente in future applicazioni,


scambiato con i colleghi, distribuito in versione digitale o stampata dagli
alunni, ripreso per un recupero delle conoscenze e così via» (Faggioli 2010,
p. 79).

La lim può essere usata in modo molto versatile dal docente:


permette di svolgere lezioni più coinvolgenti e motivanti, ma do-
vrebbe sempre più diventare una superficie di interazione tra do-
cente e allievi e tra gli allievi, spazio di costruzione condivisa della
conoscenza, per proporre contenuti aperti, accedere a realtà esterne
alla classe, visualizzare e analizzare informazioni, documenti ed espe-
rienze, realizzare forme di lavoro per gruppi, approcci euristici per

87
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

scoperta guidata, permettere di valorizzare le 3X dell’apprendimento


digitale eXplore, eXchange, eXpress (Biondi 2008). La lim risulta
particolarmente utile per i soggetti disabili dal momento che faci-
lità processi di scrittura e lettura e di comprensione di concetti ma-
tematici in modo da poter condividere con gli altri percorsi di ap-
prendimento.
Altri sono invece dispositivi portabili come il lettore Mp3 e Mp4,
lo smartphone o l’iPod che costituiscono importanti terminali at-
traverso i quali gli studenti possono condividere risorse e comuni-
cazione, anche dialogando con la lim pensata come spazio collabo-
rativo, costruendo le basi per una cultura transmediale.
A questa categoria possiamo ricondurre anche gli e-book (lette-
ralmente testo elettronico) tool attraverso i quali è possibile caricare
e leggere contenuti digitali, in numero quantitativamente elevato ri-
spetto alle possibilità offerte dall’editoria classica (Roncaglia 2010);
attraverso device dedicati, gli e-reader, attualmente dotati della tec-
nologia e-ink ovvero l’inchiostro digitale che non affatica la vista, o
generalisti come l’iPad, oggi è possibile avere a disposizione dovun-
que un considerevole numero di testi, a basso costo (Rotta -Bini -
Zamperlin 2010).
Le potenzialità didattiche di tali strumenti, che secondo recenti
norme dovranno lentamente sostituire nella scuola i tradizionali libri
di testo, sono interessanti purché non ci si limiti alla lettura elettro-
nica di pdf, ma ci si muova nella logica del “testo espanso” (Darnton
2009). La ricerca applicata già oggi ci mette a disposizione strumenti
che hanno la possibilità di connettersi in rete aprendo la lettura a
inedite modalità di condivisione; il pdf prevede link che esemplifica
delle astrazioni con l’impiego di linguaggi multimediali tali da con-
sentire una ibridazione tra lineare e reticolare, che si possano ag-
giungere note a margine al testo e farle apparire nel device di persone
che appartengono alla cerchia di amici creando delle vere e proprie
comunità di pratica. Si potrebbe infine arrivare all’idea della crea-
zione di libri digitali aperti, costruiti dai ragazzi e dai docenti attra-
verso percorsi di ricerca. Siamo all’inizio dunque di un promettente
futuro.

88
Spazi, tempi, relazioni: flessibilità e innovazioni

3. Spazi, tempi, relazioni: progettare ambienti di apprendi-


mento flessibili, tecnologicamente innovativi
L’azione didattica sembra voler attrezzarsi con di- Mutamento del
verse tecnologie anche per rispondere in modo più ef- setting didattico
ficace alle richieste dei cosiddetti «nativi digitali» (Pren-
sky 2001) e costruire raccordi con le modalità diffuse di apprendi-
mento informale in rete caratterizzato da multitasking, autorialità e
socialità.
La portabilità e la integrabilità delle diverse tecnologie favorisce
infatti la capacità di attendere a più compiti nello stesso tempo,

«parcheggiare e riprendere con grande rapidità compiti cognitivi su cui


stiamo lavorando: non è capacità di lavorare in parallelo su più compiti
allo stesso tempo ma di rendere talmente veloce il passaggio da un compito
all’altro da restituire l’impressione della contemporaneità» (Rivoltella - Fer-
rari 2010, p. 48).

L’avvento degli strumenti del web 2.0 e la diffusione web 2.0 


dei dispositivi mobili d’altra parte ha favorito la possibilità
per ciascuno di essere autore diretto di messaggi, senza particolari
mediazioni, di esprimere attraverso linguaggi diversi propri pensieri,
proprie emozioni, propri vissuti e di condividere tutto questo con
altri, in spazi di socialità virtuali carichi però di valore emozionale
(Papert 2006).
La diffusione nelle scuole delle nuove tecnologie e la loro facilità
d’uso ha permesso una introduzione delle ict nelle quotidiane atti-
vità di classe e non solo nelle ore riservate all’informatica, in labo-
ratori appositamente dedicati (Ferri 2008): ciò al fine di motivare
maggiormente gli allievi verso l’attività scolastica, favorendo atteg-
giamenti emozionali positivi, sostenere processi di memorizzazione
e approfondimento delle informazioni, promuovere una migliore
capacità di studio autonomo e di metacognizione, sviluppare capa-
cità socio-relazionali e infine promuovere lo sviluppo della compe-
tenza digitale.

89
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

Questo è stato sostenuto dal miur in alcuni progetti come Cl@ssi


2.0, progetto che ha richiesto una trasformazione profonda del-
l’azione didattica in classe e una diversa concezione della progetta-
zione didattica, più centrata sull’idea di percorsi di costruzione della
conoscenza aperti e sull’allestimento di ambienti di apprendimento
caratterizzati da lavoro cooperativo.
In questo scenario gli insegnanti, in quanto sog-
Le ict come fattore
di innovazione getti ermeneutico-critici che cercano di attribuire
didattica senso al proprio agire didattico e al sistema complesso
in cui esso avviene, debbono considerare le ict come
nuovi contesti/ambienti di insegnamento apprendimento, come ri-
sorse per l’azione formativa, cogliendo però gli elementi di diversità
che essi introducono nella tradizionale relazione didattica: il pro-
cesso di apprendimento si avvale di esperienze multidimensionali,
diviene sempre più costruttivo e reticolare, condiviso socialmente,
sperimenta le dimensioni del gioco, dell’immaginario, dell’espressi-
vità emozionale, è alimentato da eventi comunicativi informali (Ferri
2011).
Le tecnologie vengono così considerate strumenti per la trasfor-
mazione del contesto formativo in ambiente di apprendimento, nel
quale sia possibile la costruzione condivisa di conoscenza, la intera-
zione con il contenuto dell’informazione, la personalizzazione dei
percorsi e delle strategie di apprendimento, l’acquisizione dei diversi
sistemi simbolici culturali, rappresentati dalle discipline in modo at-
tivo e creativo (Rossi 2009).
Particolarmente importante è risultato l’uso delle ict come stru-
menti compensativi in situazione di difficoltà di apprendimento
(dsa) o di specifiche disabilità.
In tutti i casi le ict possono essere utilizzate in modo integrato
con gli altri strumenti tradizionali come il libro a stampa e con la sa-
piente mediazione dell’insegnante che deve scegliere quali tecnolo-
gie utilizzare e per quali attività, in relazione a una progettazione di-
dattica consapevolmente elaborata e a principi di ergonomia didat-
tica (Ranieri 2011).
Il rapporto continuo e diffuso con le tecnologie ridisegna i con-
testi di apprendimento, tende a riconfigurare lo stesso spazio didat-

90
Spazi, tempi, relazioni: flessibilità e innovazioni

tico e la gestione dei tempi scuola; la posizione dei banchi e della cat-
tedra cambia, per prevedere la gestione di attività organizzate per
moduli flessibili e l’adozione di diverse strategie didattiche funzio-
nali alla migliore efficacia degli apprendimenti (lezione collettiva,
argomentazione e discussione, attività di ricerca in gruppo, attività
di rinforzo a piccoli gruppi o individuale).
Lo spostamento progressivo della cattedra verso l’angolo del-
l’aula, la trasformazione della sua funzione a tavolo d’appoggio, la
presenza della lim e di altri dispositivi tecnologici a disposizione di
ogni ragazzo o per più ragazzi impone anche un diverso modo di
intendere le relazioni insegnante/allievi e le tradizionali routines sco-
lastiche: gli allievi, sempre più autonomi e alfabetizzati tecnologica-
mente, procedono nell’apprendimento in modo intuitivo per sco-
perta e l’insegnante li accompagna come facilitatore, co-ricercatore,
quando non diventa solo osservatore di allievi nella sperimentazione
di nuovi percorsi di conoscenza. Si affermano modalità diverse di
gestire il gruppo di allievi e di gestire il rapporto con i colleghi, spe-
rimentando forme di progettazione e di lavoro interdisciplinare.
La possibilità di accedere facilmente in rete grazie al
Oltre lo
collegamento wireless presente in molte scuole ha reso spazio/tempo
inoltre abbastanza diffuso il web-based learning, cioè la della classe

learning 
possibilità di utilizzo di Internet per attività in classe di Web-based
studio e ricerca di informazioni. Le possibilità offerte
oggi dal Web 2.0 inoltre consentono di avvalersi, in mo-
dalità open, di social network per costruire gruppi di condivisione
delle conoscenze fino a sostenere veri e propri processi di costru-
zione di sapere (Laici 2007). Si possono stabilire forme di comuni-
cazione a distanza in forma sincrona e asincrona con altri contesti
formativi e altre persone al fine di costruire comunità di apprendi-
mento o di pratica.
Si può anche utilizzare una piattaforma dedicata (lcms) per
espandere l’attività di classe online superando i vincoli di spazio e
tempo, spesso molto restrittivi nella attività didattica in presenza e
per attivare forme di comunicazione più ampie, fino a parlare di e-
learning, o di blended learning, un tipo di formazione a distanza,
integrata con le attività in presenza, che pone l’accento sull’ap-

91
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

prendimento dell’allievo, visto al centro dell’azione formativa, pro-


tagonista e co-costruttore del processo di conoscenza (Falcinelli -
Laici 2009).
Un progetto formativo in cui la dimensione classe si espande in
rete, superando i limiti spazio/temporali permette di: integrare e svi-
luppare le attività didattiche in presenza con attività on-line da svol-
gere sia con modalità di lavoro autonomo, sia collaborativo a piccoli
gruppi; facilitare l’accesso aperto ai materiali di studio e a momenti
di problematizzazione degli argomenti di studio attraverso la di-
scussione in rete; favorire momenti di interazione costante tra i do-
centi e gli allievi per il necessario scaffolding; consentire una espan-
sione dei contenuti attraverso la costruzione da parte degli studenti
di specifici materiali e la condivisione di mappe dei saperi; attivare
percorsi di ricerca favorendo modalità di partecipazione attiva degli
studenti alla costruzione della conoscenza; sviluppare spazi di co-
municazione, di discussione e di riflessione condivisa sull’esperienza
formativa anche con genitori ed esperti fuori dell’ambiente scola-
stico; permettere una verifica costante dei processi di apprendimento
e una auto-valutazione da parte degli studenti del loro percorso di
conoscenza.

4. Competenze digitali per l’e-democracy

Definizione di L’educazione all’uso delle ict diviene una dimensione


competenza fondamentale del progetto formativo della scuola, nel
digitale quadro anche di un’educazione alla cittadinanza, un’espe-
rienza non occasionale e separata dalle altre attività, ma
congruente con le finalità della scuola e integrata nel suo progetto
formativo.
La scuola deve assumere un approccio “colto” verso i media e le
nuove tecnologie, conoscere l’esperienza diffusa dei ragazzi (Rivol-
tella 2006) e aiutarli a organizzare, riflettere, attribuire a essa un
senso e un significato per la loro esistenza. Deve soprattutto guidare
i ragazzi perché si orientino verso una nuova ecologia dei media, che
preveda un’integrazione virtuosa delle diverse esperienze mediali e

92
Competenze digitali per l’e-democracy

tecnologiche con le molteplici esperienze con altri linguaggi e altre


modalità di approccio alla realtà. Deve inoltre favorire un uso non
passivizzante del mezzo tecnologico; il tutto nel quadro di una media
education intesa anche come educazione alla cittadinanza che vuol
dire non proteggere i minori dai media ma aiutarli a conoscere, com-
prendere, utilizzare i media in modo consapevole per interpretare la
realtà in cui vivono e prepararsi alla responsabilità di cittadini adulti,
capaci di intervenire nelle decisioni pubbliche che governano le loro
condizioni di vita (Buckingham 2006).
Un progetto formativo in tale ambito significa elaborare percorsi
di media literacy (Jenkins 2010) che, lavorando sulle ict e con le
ict, permettano agli allievi di conquistare la competenza digitale.
Nella Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consi-
glio del 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l’ap-
prendimento permanente, rispetto alla competenza digitale si dice:

«La competenza digitale consiste nel saper utilizzare con dimestichezza e


spirito critico le tecnologie della società dell’informazione (tsi) per il la-
voro, il tempo libero e la comunicazione. Essa è supportata da abilità di
base nelle tic: l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, pro-
durre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e par-
tecipare a reti collaborative tramite Internet. La competenza digitale pre-
suppone una solida consapevolezza e conoscenza della natura, del ruolo e
delle opportunità del tsi nel quotidiano: nella vita privata e sociale come
anche al lavoro […] Le persone dovrebbero anche essere consapevoli di
come le tsi possono coadiuvare la creatività e l’innovazione e rendersi conto
delle problematiche legate alla validità e all’affidabilità delle informazioni
disponibili e dei principi giuridici ed etici che si pongono nell’uso interat-
tivo delle tsi».

È evidente quindi che la nozione di competenza Le dimensioni


digitale, se vuole avere una rilevanza educativa, della competenza
deve implicare una visione di quadro, la capacità digitale
di saper valutare una varietà di soluzioni tecnolo-
giche e il possesso di un’attrezzatura cognitiva e cul-
turale di riferimento.

93
Capitolo IV - Floriana Falcinelli - Le tecnologie dell’educazione

Nella competenza digitale vanno quindi considerate tre dimen-


sioni:
– la dimensione tecnologica comprende la conquista di abilità e no-
zioni di base che consentono di valutare, produrre, presentare e
scambiare informazioni, integrate con la capacità di scegliere le tec-
nologie opportune per affrontare problemi reali;
– la dimensione cognitiva riguarda la capacità di leggere, selezionare
interpretare e valutare dati, costruire modelli astratti e valutare le in-
formazioni considerando la loro pertinenza e affidabilità;
– infine la dimensione etica che implica il saper interagire con gli
altri in modo responsabile e corretto stabilendo impegni e accordi
nei confronti di se e degli altri (Calvani - Fini - Ranieri 2010).
A queste dimensioni se ne può aggiungere un’altra definita par-
tecipativa/relazionale, che implica il saper gestire le relazioni inter-
personali online in modo costruttivo, negoziando la condivisione
della conoscenza, rispettando il punto di vista degli altri e sapendo
gestire efficacemente gli inevitabili conflitti (Petrucco 2010).
La competenza digitale è alla base della cittadinanza digitale che
è l’estensione naturale, il completamento e l’interpretazione globale
delle nuove forme di interazione e di vita sociale e politica. La cit-
tadinanza digitale non è una forma diversa di cittadinanza, ma
l’estensione della cittadinanza come finora abbiamo inteso con le
competenze a essa connesse (imparare a imparare, progettare, colla-
borare e partecipare, agire in modo autonomo e responsabile, co-
municare, risolvere problemi, individuare collegamenti e relazioni,
acquisire e interpretare l’informazione) che debbono realizzarsi nel
contesto virtuale allo stesso modo che nella vita reale.
Questo implica avviare i giovani a una comprensione critica, a
una presa di coscienza della complessità sociale e informativa pro-
posta dai nuovi media affinché possano vederli anche come veicolo
dei valori pedagogici della cittadinanza come il dialogo, la parteci-
pazione alla realizzazione di una società migliore centrata sul valore
della persona, la costruzione e la condivisione di attività orientate al
bene comune (Fiorin 2009).

94
Competenze digitali per l’e-democracy

Per promuovere l’e-democracy (Ministero per l’In- Superamento del


novazione e le Tecnologie 2004) essere cittadini nella digital divide
e avvento
società dell’informazione non significa solo poter acce- dell’e-democracy
dere ai servizi di una amministrazione pubblica più ef-
ficiente, capace di disegnare i propri servizi sui bisogni
degli utilizzatori (e-government) ma anche poter partecipare in
modo nuovo alla vita delle istituzioni (e-democracy). La e-demo-
cracy si articola in varie dimensioni: la e-inclusion, l’accesso all’in-
formazione con particolare riferimento a quella prodotta da soggetti
pubblici, l’accesso alla sfera pubblica per produrre informazione, la
partecipazione alla formazione delle opinioni, il dialogo tra citta-
dini e istituzioni, l’assunzione di iniziativa da parte dei cittadini, la
possibilità di voto, il coinvolgimento dei cittadini e delle loro forme
associative in specifici processi decisionali.
L’acquisizione della competenza digitale permette il superamento
del digital divide (sociale, geografico, generazionale) e offre ai citta-
dini la possibilità di esercitare i propri diritti, anche nella prospettiva
delineata da Horizon 2020, il Framework Programme for research
and innovation della Commissione Europea.

95
Le tecnologie dell’educazione. Mappa concettuale

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96
Capitolo quinto

Ricerca didattica e contesti di apprendimento


Nuovi costrutti epistemologici
Loretta Fabbri

Una riflessione sulla ricerca didattica chiede oggi di esplicitare


gli ancoraggi teorici e le implicazioni operative che rappresentano i
punti di riferimento condivisi da coloro che a diversi livelli e da di-
verse prospettive si occupano di studiare i processi di apprendimento
e di costruzione della conoscenza nei diversi contesti lavorativi e di
vita quotidiana. Si tratta di situare la ricerca didattica dentro un vo-
cabolario condiviso da una comunità scientifica paradigmaticamente
impegnata ad affrontare in maniera più sistematica il tema dell’ap-
prendere e del conoscere nei diversi contesti sociali. Le discipline e
le aree di ricerca che si occupano di questi territori di confine – dalle
scienze sociali a quelle psicologiche fino agli studi organizzativi –
sono sempre più impegnate a costruire framework concettuali utili
a delimitare nuove traiettorie di specificazione epistemologica, in
cui poter legittimare nuove alleanze e scambi tra i saperi scientifici
e quelli professionali.
Il capitolo chiama in causa un impianto argomentativo che offre
alcune traiettorie di lettura a partire dalle quali cercare di dipanare
alcuni fondamenti della ricerca didattica. A me l’impegno di deli-
neare i percorsi che vale la pena di privilegiare.

1. Studiare oggetti situati. Dai modelli alle pratiche


Nell’ultimo ventennio nel panorama internazionale ha avuto
luogo una significativa svolta epistemologica che ha sottolineato la

97
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

necessità di adottare un diverso approccio allo studio degli eventi e


dei fenomeni sociali. Dentro un quadro teorico e metodologico in
cui non è diventato ancora scontato interrogarsi su “che cosa deb-
bono studiare gli scienziati sociali e come possono farlo”, studiosi
diversi hanno introdotto l’idea che la ricerca debba focalizzarsi su
“oggetti situati”, siano essi il lavoro, la formazione, l’apprendimento
o le organizzazioni.
Si tratta di prospettive che con il termine “situato” intendono
evidenziare due aspetti che caratterizzano l’oggetto indagato. Esso è
“socialmente situato”, cioè prodotto dalla storia di un ambiente, dai
suoi sistemi di significato, dalle consuetudini e dalle routine sedi-
mentate nel contesto sociale. Parallelamente, il termine “situato” in-
dica anche una pratica che è sempre “emergente”, cioè aperta al cam-
biamento e all’innovazione. Quando in un processo di indagine ven-
gono circoscritti degli oggetti di interesse connessi a dei soggetti, a
un gruppo o a un’organizzazione, questi devono essere avvicinati e
studiati in relazione alle variabili situazionali e ambientali, ai vin-
coli materiali e immateriali che definiscono il sistema di attività nel
quale sono immersi (Engeström - Miettinen - Punamäki 1999;
Wertsch 1991).
Tradotto in termini metodologici, ciò significa misu-
Didattica degli
ambienti rarsi con le difficoltà di un’attività condotta in un «am-
“ordinari” biente ordinario» (Clot 2006, p. 127). La ricerca si avvi-
cina allo studio delle condizioni di vita del quotidiano,
quelle che nascono nell’ambiente naturale. Come studiosi siamo
chiamati a confrontarci con le abilità anonime, le rappresentazioni
di senso comune, le analisi della ragione pratica e soggettiva di chi
è coinvolto nel processo euristico. L’istanza che ha caratterizzato
negli ultimi decenni le scienze sociali di assumere come oggetti di in-
dagine fenomeni storicamente e socialmente conno-
 metodologici
Dispositivi tati si è tradotta in dispositivi metodologici in
grado di indagare la complessa fenomenologia degli
eventi umani cogliendone la dimensione idiografica.
La ricerca didattica condivide da tempo traiettorie teorico-me-
todologiche interessate ad analizzare le pratiche di vita quotidiana,
a studiare come l’agire si realizza all’interno dei contesti sociali, pro-

98
Studiare oggetti situati. Dai modelli alle pratiche

fessionali e lavorativi, ridimensionando approcci di ricerca indivi-


dualistici, decontestualizzati e universalistici. Tuttavia, si registra
come gli studi didattici abbiano spesso privilegiato la ricerca sulle
pratiche educative formali. Sia sufficiente ricordare le ricerche ri-
guardanti la progettazione o i modelli didattici. La riflessione sui
modelli formali della programmazione e dei curricula ha, per lungo
tempo, avuto la meglio sullo studio delle pratiche reali di insegna-
mento-apprendimento. La ricerca sui modelli didattici, per esem-
pio, ha avuto come focus comune l’implementazione di pratiche for-
mali costruite sulla base di rappresentazioni diverse dell’insegna-
mento-apprendimento. La focalizzazione sullo studio

gestione delle attività educative, ha segnato la crisi progettazione 


delle pratiche di progettazione reali, così come della Pratiche di

non solo delle loro descrizioni formali ma anche del-


l’idea di poter interpretare il rapporto tra teorici e pratici attraverso
un paradigma applicativo.
Al pari di quanto successo in altri ambiti scientifici, gli studi sulle
pratiche educative hanno consentito di scoprire la specificità e la di-
versità delle strategie reali con cui le persone affrontano uno stesso
compito lavorativo. Sia che si tratti di progettare traiettorie di ap-
prendimento o di gestire processi di costruzione della conoscenza,
l’osservazione delle pratiche reali mostra un’enorme eterogeneità
nelle modalità di problem solving. Soprattutto ha fatto emergere
forme di intelligenza individuale e organizzativa che sostengono
l’elaborazione di pratiche non canoniche, “diversamente esperte”,
flessibili (Stenberg 2000).
A partire dalla tematizzazione di questi argomenti e dall’evidenza
empirica dei limiti di un approccio basato sullo studio dei processi
di adozione ad arte dei professionisti di modelli ritenuti promettenti
da parte della comunità dei ricercatori, si è aperto un lungo pro-
cesso di riflessione intorno ai correttivi e alle trasformazioni che
avrebbero dovuto caratterizzare i nuovi paradigmi della ricerca di-
dattica, soprattutto nella sua declinazione di ricerca-formazione.
Il crescente interesse verso lo studio della conoscenza professio-
nale confluisce, per esempio, verso un comune sforzo di condivi-
sione di quelle epistemologie professionali che muovono dalla legit-

99
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

timazione della pratica come processo in grado di produrre cono-


scenza. In particolare, il paradigma riflessivo (Schön 1993), il co-
strutto di comunità di pratica (Lawe - Wenger 1991), la teoria del-
l’apprendimento trasformativo e situato (Mezirow 1991; Marsick -
Cederholm - Turner - Pearson 1992) hanno definito lo sfondo teo-
rico-concettuale o, in altri termini, i nuovi campi tematici, su cui si
stanno riscrivendo non solo le pratiche formative, ma anche i modi
con cui studiarle (Fabbri - Striano - Melacarne 2008).
Studiare le pratiche significa incontrarsi con l’au-
 pratica
Conoscenza tonomia teorica della conoscenza pratica. La forza
epistemologica della pratica sta nel riconoscimento
del suo ruolo nei processi di costruzione della cono-
scenza e il conseguente riconoscimento delle persone come soggetti
che apprendono da ciò che fanno e producono saperi capaci di in-
terpretare e risolvere i problemi che incontrano. La condivisione di
questi assunti invita a spostarsi verso lo studio delle interazioni di
specifici attori in azione nei contesti quotidiani, nei luoghi di la-
voro, all’interno dei setting non formali di apprendimento.
Le attività educative e formative sono realizzate da più attori so-
ciali in situazioni di intersoggettività che si muovono dentro orga-
nizzazioni nelle quali la produzione di significato varia a seconda
dei contesti interattivi a cui l’attore organizzativo partecipa. Il sem-
pre più diffuso riconoscimento della funzione di mediazione della
cultura ha contribuito a discutere e a problematizzare la possibilità
di studiare gli individui e le loro azioni come soggetti isolati dalle
reti di significato che connotano le comunità di cui fanno parte.
Risulta alquanto difficile continuare a tematizzare i processi educa-
tivi e formativi in termini decontestualizzati, come processi “indi-
viduali”. Ciò che si è chiamati a rivalutare è la dimensione collettiva,
socialmente distribuita e organizzata dentro la quale si situano e,
quindi, si interpretano rapporti, relazioni e azioni educative e for-
mative. Le pratiche professionali, i saperi situati, i processi di co-
struzione della conoscenza da parte delle comunità professionali, i
processi di apprendimento e di costruzione della conoscenza nelle
organizzazioni, sono altrettante sfide che interrogano oggi la ricerca
didattica e educativa.

100
Teoria e metodologia per l’apprendimento

Insieme all’investimento e all’impegno tradizionale di costruire


teorie generali, la finalità della ricerca in ambito educativo e for-
mativo è sempre più quella di focalizzarsi anche sulla costruzione di
local theory che sappiano rendere conto di azioni situate, che siano
l’esito di un approccio dialogico e partecipativo alla costruzione
della conoscenza e che siano in grado di generare trasformazioni
condivise.

2. Sfondi teorico-metodologici per la progettazione e la gestione


dei contesti di apprendimento
I costrutti di apprendimento e di costruzione della co- Teoria della
noscenza rappresentano nell’attuale scenario socio-econo- coltivazione
mico la risposta più condivisa a una società che riconosce riflessiva
tali fattori come i propulsori emancipativi dello sviluppo
personale, sociale e organizzativo. L’attenzione attuale è a una tra-
iettoria strategica definibile come ricerca dei dispositivi in grado di
sollecitare, coltivare, indirizzare gli apprendimenti che abitano le or-
ganizzazioni e caratterizzano, durante l’arco della loro vita e nello
svolgimento delle diverse funzioni, le persone e le loro comunità.
L’interesse della ricerca didattica verso l’apprendimento adulto e
lo studio dei contesti organizzativi hanno facilitato l’incontro, e in
alcuni casi la contaminazione, con l’educazione degli adulti, con gli
studi sull’apprendimento organizzativo e con le traiettorie di ricerca
che oggi chiedono di ripensare lo stesso apprendimento scolastico a
partire da un confronto con le forme di apprendimento che avven-
gono nei contesti lavorativi. Da qui sono discesi alcuni assunti oggi
largamente condivisi:
1. L’apprendimento non è identificabile solo con Apprendimento
quello che avviene in quei particolari contesti formali come apprendistato
che sono le scuole, non è più visto come un’acquisi-
zione mentale individuale, ma come acquisizione sociale nella cor-
nice complessa della partecipazione a pratiche che caratterizzano le
comunità di appartenenza.
La metafora dell’apprendistato – nata per altro in ambito socio-edu-
cativo – aiuta a comprendere meglio l’idea di apprendimento (Ro-

101
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

goff 2006) come una pratica contestualizzata, graduale, inserita in


un contesto significativo di attività. L’apprendistato diventa la me-
tafora attraverso la quale l’apprendimento si configura come traiet-
toria di partecipazione progressiva e situata dei novizi alle comunità
di riferimento (Wenger 2006).
2. Da campi diversi emerge una problematizzazione
Apprendimento
sociale della concezione rappresentazionale e cognitiva della co-
noscenza, la quale è collocata metaforicamente “nella
testa delle persone” ed è vincolata agli stadi di sviluppo
dei processi mentali. L’esplosione del tema dell’apprendimento so-
ciale e organizzativo ha dato luogo a una letteratura ampia e diver-
sificata che ha promosso una rinnovata concezione della conoscenza
come attività situata in una ecologia relazionale (Gherardi - Bruni
2007). Dentro questa prospettiva il focus è dato dalla valorizzazione
e dallo sviluppo della conoscenza che si genera emergente in situ
dalla dinamica delle interazioni (Suchman 1998). Si delineano ele-
menti significativi che definiscono nuove piste di lavoro fondate su
una “epistemologia relazionale” della conoscenza in cui il conoscere
diventa un processo che coinvolge l’intera persona e l’apprendere
implica quindi il divenire una persona diversa in relazione alle pos-
sibilità aperte da questi sistemi di relazioni.
3. Un’altra sottolineatura importante da fare riguarda la
Conoscenza
negoziale nuova idea di “sapere” che si è affermata. Il “sapere” non si
riduce alla scienza e nemmeno alla conoscenza, non è co-
stituito soltanto da un insieme di enunciati denotativi. In esso con-
vergono le idee di saper fare, saper vivere, saper ascoltare. Conoscere
non significa acquisire solo un sapere, ma essere in grado di generarlo
attraverso il confronto con gli altri, l’apprezzamento di punti di vista
diversi dal proprio, la capacità di accettare soluzioni condivise. Ciò
che risulta da queste posizioni è l’idea della conoscenza come attività
socialmente costruita che rimanda a processi conversazionali,
scambi, confronti dialettici tra una pluralità di attori che sono alle
prese con problemi da risolvere, con questioni da elaborare, con cri-
ticità da capire e decifrare. Si sottolinea inoltre il ruolo dell’impre-
vedibilità, della situazionalità come fattori in grado di attivare nuove
forme di sapere derivanti da processi riflessivi capaci di conversare

102
Teoria e metodologia per l’apprendimento

con le situazioni (Schön 1993) e generare conoscenze utili a risolvere


questioni caratterizzate da ambiguità e imprevedibilità chiamando in
causa le conoscenze in uso, depositate nelle azioni dei soggetti.
4. Un altro punto di riferimento è dato dal riconosci-
Comunità
mento che l’apprendimento e la conoscenza sono proprietà di pratica
delle comunità in quanto processi situati e incarnati nelle
persone. È a partire dal modello dell’inquiry deweyana, Dewey A
dall’accento posto da molte ricerche sul ruolo giocato dalla
razionalità riflessiva, che gli studi legati all’ambito dell’educazione
degli adulti si sono legati agli studi sulle epistemologie professionali
e alla svolta epistemologica del professionista riflessivo

tica (CdP) hanno messo in evidenza una notevole crea- di pratica 


che fa capo a Schön. Gli studi sulle Comunità di pra- Comunità

tività e capacità di apprendimento da parte di diversi at-


tori organizzativi. Una misura di intelligenza individuale, ma so-
prattutto organizzativa è data proprio dal grado di creatività delle
strategie con cui ognuno svolge e affronta il proprio lavoro. II ter-
mine CdP è maturato dentro un settore di ricerca nato in un ambito
di confine tra studi educativi sull’apprendi-
mento e studi organizzativi. Questa prospettiva, Teoria sociale
dell’apprendimento T
infatti, parte da una definizione sociale di ap-
prendimento per analizzare come le organizza-
zioni dipendano dai sistemi sociali di conoscenza e ciò delinea nuove
piste di lavoro orientate a valorizzare e apprezzare i processi di co-
struzione di conoscenza generati dalle comunità sia per imparare ciò
che devono imparare sia per validare e sviluppare i propri sistemi di
conoscenza.
Dal versante della ricerca psicopedagogica, una visione dell’ap-
prendimento come processo costruttivo, sociale e contestuale ha per-
messo così di studiare i contesti di lavoro come luoghi privilegiati per
capire i processi di acquisizione delle conoscenze negli adulti, oltre
a fornire chiavi di lettura innovativa per trattare in modo efficace il
problema dell’apprendimento organizzativo.
Come accompagnare le comunità professionali a sviluppare, va-
lidare, trasformare il proprio agire è la sfida a cui devono rispondere

103
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

gli studi didattici. La ricerca di strategie di sostegno alle traiettorie


di apprendimento dei singoli e delle comunità rappresenta il focus
trasversale ai diversi paradigmi disciplinari. Sia per quanto riguarda
i processi di costruzione della conoscenza nei contesti scolastici che
in quelli lavorativi si condivide una svolta paradigmatica. Incre-
mentare i processi di acquisizione della conoscenza significa ap-
prezzare il lavoro di costruzione delle comunità e adoperarsi perché
i partecipanti possano accedere alle risorse necessarie per imparare
ciò che devono imparare allo scopo di intraprendere azioni condivise
e validate.
Dal versante metodologico la ricerca didattica è sempre
Metodologie
di ricerca più chiamata ad adottare approcci capaci di accompa-
immersive gnare, sostenere o trasformare le traiettorie di sviluppo
delle persone e delle organizzazioni. La ricerca-azione, la
ricerca partecipativa, le metodologie qualitative sono alcune delle
strade che hanno segnato una svolta nell’apprezzamento di indagini
interessate a rintracciare i legami che collegano le scienze al mondo
sociale. Dentro questo sfondo alcune traiettorie di ricerca tendono
a situare la costruzione della conoscenza didattica dentro la com-
plessità del reale, delle sue dinamiche e relazioni. Quando la ricerca
si avvicina alle sedi “dove nascono i fatti” si entra nel cuore delle
controversie. Passando dalle teorie alle pratiche quotidiane, aumenta
il rumore, si moltiplicano le questioni, si complessificano i problemi.
Si apre uno spazio conoscitivo altrimenti non raggiungibile: im-
mergersi, intervenire è anche conoscere. La ricerca si configura come
un’attività che, non potendo svolgersi in un laboratorio sperimentale
o far ricorso a teorie generali per giustificare le proprie tesi, deve spo-
stare la propria attenzione sulle dinamiche sociali e sulle situazioni
ambientali del contesto preso in esame, in quanto variabili decisive
per la comprensione del fenomeno studiato e per la progettazione
del progetto di ricerca.

2.1. (Ripensare le) Pratiche scolastiche


Parlare di scuola significa oggi tematizzare alcune criticità che
chiedono di ripensare l’apprendimento scolastico e il modo di stu-

104
Teoria e metodologia per l’apprendimento

tenuto nel 1987 all’American Educational Research As- educative 


diare le pratiche educative. Nel suo discorso presidenziale Pratiche

sociation, Lauren Resnick (1995) ha sollevato la que-


stione della discontinuità tra apprendimento a scuola e conoscenza
fuori dalla scuola sottolineando in particolare l’astrattezza delle co-
noscenze e delle capacità acquisite a scuola rispetto al loro uso nel
mondo. La soluzione auspicata non è certo quella di addestrare gli
studenti a particolari lavori, un compito che tutti ormai concordano
sia meglio lasciare a forme perfezionate di addestramento sul lavoro.
La scuola dovrebbe concentrare piuttosto i suoi sforzi nel preparare
le persone a essere capaci di imparare in modo adattivo, così che
possano produrre prestazioni efficaci quando le situazioni sono im-
prevedibili e il compito richiede dei cambiamenti. Al riguardo Re-
snick crede che sia possibile prefigurare soluzioni a partire dalla pro-
mozione di linee di ricerca diversificate sull’apprendimento in con-
testi scolastici ed extrascolastici.
Molti studi hanno documentato come le pratiche di insegna-
mento e apprendimento che prendono forma dentro la scuola espri-
mano un alto grado di eterogeneità delineando traiettorie di ap-
prendimento più o meno promettenti. Alcune ricerche si sono fo-
calizzate sulla capacità di scrittura muovendosi sia in ambienti edu-
cativi che lavorativi. Queste mostrano come le persone considerate
scrittori abili in un contesto spesso siano giudicate scrittori inesperti
in un contesto nuovo. Ne sono esempi quegli studenti di Giuri-
sprudenza più brillanti che scrivono con successo sulle riviste di giu-
risprudenza durante il corso di studio, i quali sono successivamente
giudicati scrittori di poco conto quando entrano negli studi legali e
devono preparare un memorandum riassuntivo. Parallelamente, gli
studi di Lave mostrano come quegli apprendisti macellai, che den-
tro una scuola professionale imparano a tagliare la carne secondo
procedure appartenenti a “protocolli” che caratterizzano i negozi di
macelleria, risultano del tutto inadatti per svolgere tale lavoro nei
supermercati. Questo studio ci dà la cifra di come alcuni curricoli
scolastici possano configurarsi come marginali e insignificanti ri-
spetto a quanto sarà centrale nella vita professionale. Lo scollamento
tra conoscenza scolastica e conoscenza extrascolastica sollecita la ri-

105
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

cerca a produrre sapere sulle pratiche didattiche in uso ma anche a


delineare le condizioni per la loro trasformazione.
Gli studenti sono tenuti lontani dal mondo sociale professionale
in cui dovranno andare a collocarsi. Da una parte la scuola e le sue
pratiche conoscitive rischiano di non consentire l’accesso al senso di
ciò che si fa in funzione di dove lo si fa – il caso degli studenti di giu-
risprudenza o più in genere il significato del saper scrivere bene di-
pende dai contesti dentro i quali si esercita quella pratica – dall’al-
tra si propongono attività decontestualizzate e marginali costruite
su paradigmi autoreferenziali che accentuano la distanza tra cono-
scenza scolastica e conoscenza extrascolastica.
Gli sfondi teorico-metodologici richiamati suggeriscono di par-
lare delle persone che apprendono come di apprendisti, di appren-
distato cognitivo, della possibilità di riconsiderare l’educazione sco-
lastica secondo la prospettiva offerta dal concetto di partecipazione
periferica legittima. L’apprendimento scolastico viene ripensato alla
luce di discipline diverse che hanno contribuito a delineare un in-
sieme di costrutti teorici che si coniugano da un lato con l’amplia-
mento di prospettiva con cui si considera il fenomeno “apprendi-
mento” con altri fenomeni della vita sociale e, dall’altro, con una ri-
definizione della problematica dell’acquisizione della conoscenza a
scuola (Pontecorvo - Ajello - Zucchermaglio 1995). Ad una esigenza
epistemologica di contaminazione tra gli studi sull’apprendimento
dentro e fuori la scuola si accompagna l’istanza di sviluppare ricer-
che partecipative che riscrivano i rapporti tra conoscenza professio-
nale e conoscenza scientifica.
Queste indagini dimostrano come lo studio em-
 sociale
Apprendimento
pirico e situato dei processi di costruzione della co-
noscenza e di apprendimento possa fornirci una co-
noscenza più circostanziata di ciò che accade nei contesti reali. L’edu-
cazione scolastica ha a che fare con il modo in cui gli adulti inten-
dono riprodurre se stessi e quindi si configura come un problema
sempre aperto. Quale comunità di pratica si sta riproducendo nella
scuola? Quali relazioni i nuovi arrivati possono trovare in tale co-
munità? E quali relazioni si istaurano con la vita culturale della co-

106
Teoria e metodologia per l’apprendimento

munità? Sono domande cruciali che impegnano la ricerca educativa


internazionale quale che sia l’opzione teorica adottata.
La ricerca di approcci alternativi alla tradizionale dicotomia fra
l’apprendere attraverso l’esperienza e l’apprendere a distanza, l’ap-
prendere facendo e l’apprendere per astrazione ha aperto molte-
plici piste di ricerca che tentano di guardare, studiare e compren-
dere le pratiche educative così come prendono forma nelle comu-
nità scolastiche.
Dal versante procedurale della ricerca didattica si tratta di guar-
dare alla scuola, agli insegnanti, ai soggetti in formazione, ai gruppi,
ai contesti, ai contenuti e ai metodi come oggetti di studio e non
come campo di applicazione di ricerche svolte in altri campi. La
scuola cambia in relazione anche alla capacità delle comunità scien-
tifiche di riconoscere in essa un’organizzazione che produce sapere
didattico. I ricercatori che si occupano di scuola sono tenuti a co-
noscere gli oggetti di cui si occupano, ad aprire le proprie teorie alla
ricerca. Nessuna teoria può ritenersi o dirsi conclusiva rispetto al
campo o ai problemi che questo pone. Spesso l’attenzione verso lo
studio dei modelli ha concentrato il focus della ricerca sui processi di
implementazione di nuove pratiche didattiche piuttosto che sulla
loro conoscenza ed eventuale negoziazione dei processi di sviluppo
e cambiamento.
In questi ultimi decenni la ricerca didattica ha condiviso un’at-
tenzione verso lo studio delle culture professionali ed educative che
poi ha significato lavorare per la costruzione di teorie didattiche em-
piricamente fondate. L’idea di una pratica come contesto generatore
di conoscenza ha cambiato e riscritto i rapporti tra ricerca scientifica
e ricerca professionale. La ricerca didattica inizia a ridefinirsi a par-
tire dal dibattito intorno a quella che si è delineata come vera e pro-
pria zona critica tra attività d’indagine e sviluppo professionale. Ciò
che è emerso sono i limiti di approcci euristici che non sono riusciti
a tematizzare un’intesa simmetrica tra le attese necessariamente di-
verse dei professionisti e dei ricercatori, che non sempre è riuscita a
valorizzare le conoscenze prodotte dentro le comunità professionali.
In questo senso la ricerca, che ha obiettivi di intervento o intende es-

107
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

sere finalizzata allo sviluppo professionale, è una ricerca dialogica


che consente di attivare le diverse competenze di cui il ricercatore e
gli attori coinvolti sono portatori per poter co-costruire e condivi-
dere i processi di cambiamento. La dialettica tra i saperi professio-
nali e i saperi scientifici è la base che legittima la compartecipazione
alla costruzione di teorie pratiche generate dal contesto e potenzial-
mente in grado di generare nuovi corsi di azione.

2.2. Le pratiche organizzative


Comunità di pratica Dal versante della ricerca educativa e didattica,
emerge un impegno sempre più rilevante e diffuso
a tracciare traiettorie in grado di indagare in maniera specifica e si-
stematica il mondo delle organizzazioni e i contesti lavorativi accre-
ditandoli e interpretandoli come luoghi dentro i quali i soggetti
hanno la possibilità di prendere forma e trasformarsi apprendendo,
costruendo conoscenza, strutturando identità capaci di partecipare
a sistemi sempre più complessi in cui è più stretto il rapporto tra in-
novazione organizzativa e processi di apprendimento (Jo-
A Jonassen nassen - Land 2000; Fabbri 2008; Rossi 2011; Alessan-
drini 2004). In questo senso, i temi tradizionali dell’ap-
prendere e del conoscere si ridefiniscono dentro nuove trame con-
cettuali e soprattutto “traslano” verso i contesti lavorativi e le co-
munità di pratiche (CdP). I termini di comunità e di pratica hanno
introdotto un promettente punto di vista nell’interpretazione delle
organizzazioni come sistemi sociali di apprendimento ponendo al
centro dell’attenzione la ricerca di dispositivi in grado di sostenere
e accompagnare di tali sistemi. Condividere un’idea, lavorare, pren-
dere decisioni, costruire progetti con altri colleghi sono processi che
quotidianamente caratterizzano e definiscono i
Una nuova idea contesti organizzativi che abitiamo. L’organizza-
di organizzazione zione è tematizzata come un’attività collettiva non
riconducibile né a una struttura astratta, né alle
singole persone che vi lavorano. Essa si configura come un bricolage
collettivo orientato a dare una forma all’esperienza tale da renderla
utile alla soddisfazione dei diversi bisogni, interessi e obiettivi che

108
Teoria e metodologia per l’apprendimento

circolano al suo interno (Zucchermaglio - Alby 2006). Tale bricolage


non è imposto. Esso emerge come prodotto dell’interazione tra per-
sone, artefatti e sistemi di significato e si configura

distribuita 
come forma peculiare di apprendimento sociale. I co- Cognizione
strutti di “cognizione distribuita”, di “intelligenza
pratica”, di “learning organization” permettono di ve-
dere i contesti organizzativi come luoghi sociali di produzione di co-
noscenza e invitano così a studiarli come luoghi di formazione e au-
toformazione. Ciò richiede lo studio empirico delle modalità me-
diante le quali le persone producono e trovano nello svolgimento
della loro attività criteri ed elementi per la realizzazione dell’azione
situata in corso.
Queste sono le sfide che spingono la ricerca didattica a studiare
le pratiche lavorative in una prospettiva di sviluppo trasformativo. Le
attività svolte quotidianamente, e la ricerca di dispositivi metodolo-
gici che ne consentano lo sviluppo, diventano così legittimi oggetti
di ricerca anche dal punto di vista didattico in quanto le nuove pro-
spettive epistemologiche tematizzano il conoscere come un processo
non solo euristico ma anche trasformativo.
Il quadro interpretativo e metodologico che viene Pensiero pratico
proposto dal campo dei practice-based studies offre
nuove categorie di analisi del lavoro e dei processi di conoscenza che
in esso si attivano, ricomponendo dicotomie quali mente/corpo e
materialità/immaterialità, nell’assunto dell’equivalenza tra fare e pen-
sare. «Lavorare è uno stare nel mondo» (Gherardi - Bruni 2007, p.
54) legato alla realizzazione di un progetto e ha a che fare con la par-
tecipazione a sistemi sociali di apprendimento. Il concetto di pen-
siero pratico, che guida questi approcci, non implica alcuna pre-
supposizione circa la sua relazione con il pensiero teorico, né una
dicotomia tra la sfera intellettuale e quella manuale dell’azione
umana. Il pensiero pratico si riferisce a tutto il pensiero che fa parte
di attività più ampie e che agisce per realizzare gli scopi di quelle at-
tività (Scribner 1986). È il sapere pratico a costituire il valore del la-
voro: lavorare non è conoscere una serie di pratiche, bensì sapere in
pratica come fare un mestiere o una professione, è un saper fare in
situazione, un saper lavorare insieme che intesse relazioni tra per-

109
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

sone, oggetti, linguaggi, tecnologie, istituzioni, norme. Una visione


non razionale e astratta di ciò che accade nei contesti organizzativi
e più attenta alla dinamicità e generatività delle comunità profes-
sionali riscrive l’agenda degli impegni della ricerca didattica.

2.3. Le pratiche formative


Comunità Gli studi organizzativi e le nuove epistemologie profes-
riflessive sionali hanno contribuito a mettere in crisi una visione della
formazione come impresa di knowledge delivery, come di-
spositivo separato dal contesto lavorativo. Per molti anni la forma-
zione è stata pensata e organizzata con gli stessi criteri con cui veni-
vano progettati i setting educativi dei contesti scolastici tradizionali.
Tali studi hanno sollecitato la ricerca di nuovi dispositivi formativi
capaci di valorizzare i saperi degli attori organizzativi e il ruolo della
pratica nei processi di costruzione della conoscenza.
In particolare la teoria dell’apprendimento trasformativo (Mezi-
row 2003; Marsik 2012) e la teoria della coltivazione (Wenger 2006)
hanno contribuito ad aprire un filone di ricerca sui dispositivi di so-
stegno, di sviluppo e di trasformazione dei processi di apprendi-
mento situati e generati dagli scambi tra attori che condividono un
problema, un interesse e si confrontano per cercare di trovare una so-
luzione a partire dalle conoscenze e dai saperi di cui sono portatori.
Il confronto, lo scambio, la messa in comune, la capacità di impa-
rare dagli altri diventano gli strumenti per costruire conoscenza e
per accrescere le proprie capacità di apprendimento.
Un punto di riferimento, specificatamente educa-
Apprendimento
trasformativo tivo, raccoglie le indicazioni di Mezirow (2003) sul-
l’apprendimento trasformativo, ovvero sui dispositivi
formativi e auto-formativi che consentono ai soggetti di esercitare
un’azione di validazione/trasformazione dei processi, dei contenuti
e delle premesse dell’esperienza personale e professionale (Watkins
- Marsick 1992). È dentro questo quadro che la formazione si è pre-
cisata così come progettazione delle risorse di apprendimento attra-
verso la promozione di transizioni riflessive (Fabbri 2008). La ri-
flessività ha assunto il significato sia di una metodologia per l’ana-

110
Teoria e metodologia per l’apprendimento

lisi del sapere pratico sia di una forma di competenza che consente
alle comunità di pratiche un controllo riflessivo del sapere che ge-
nerano e degli effetti che questo produce. Essa ha offerto strumenti
concettuali e operativi per sviluppare attività di autointerpretazione,
sviluppo e trasformazione del pensiero e delle pratiche lavorative.
Si sono affermate così linee di ricerca che hanno aperto molte
piste di lavoro promettenti risolvendo alcune questioni ma lascian-
done aperte altre.
Wenger rende bene l’idea della zona dentro la quale è chiamata
a muoversi la formazione: «Nessuna comunità può progettare com-
piutamente l’apprendimento di un’altra comunità. E nello stesso
tempo nessuna comunità può progettare compiutamente il proprio
apprendimento» (Wenger 2006, p. 27). Affermare che le comunità
di pratiche sono già coinvolte nel progetto del loro stesso apprendi-
mento, perché alla fine saranno loro a decidere cosa devono impa-
rare, non significa affermare che una prospettiva localmente situata
sia intrinsecamente valida.
Se è vero che una comunità include l’apprendimento come fatto
scontato nella storia della sua pratica, che l’apprendimento appar-
tiene al mondo dell’esperienza e della pratica e segue la negoziazione
dei significati e si sviluppa con le sue regole, ovvero si determina
ovunque, con o senza la formazione, è altrettanto vero che appren-
dere nella pratica non significa affermare che tutto ciò che si muove
dentro una comunità di pratica è apprendimento. Le comunità di
pratiche hanno bisogno anche di disapprendere, trasformarsi, evol-
vere. Al riconoscimento e alla legittimazione del sapere pratico come
patrimonio delle comunità professionali si è accompagnata la que-
stione di come consentire a questi saperi di validarsi, di diventare
visibili, di circolare in contesti più ampi, di trasformarsi.
Marsick, lavorando con il costrutto di comunità di pratica e di
apprendimento trasformativo nei contesti di vita e di lavoro, sotto-
linea nei suoi recenti lavori come le comunità o le organizzazioni si
trovino a sperimentare in momenti diversi della loro storia, vincoli
e quindi possibilità di innovarsi differenti. Nei contesti di lavoro,
come negli altri contesti sociali, la questione di fondo è “che cosa

111
Capitolo V - Loretta Fabbri - Ricerca didattica e contesti di apprendimento

renda l’apprendimento così profondo ed efficace, dato che non è or-


ganico” (Marsick 2011, p. 19), che non è l’esito di soli processi na-
turali e spontanei di generazione di conoscenza. Da questi e altri
studi una grande enfasi viene posta così sullo studio
 organizzativa
Innovazione dei setting formativi che possono agevolare l’innova-
zione organizzativa e lo sviluppo personale e profes-
sionale, evidenziando interessanti piste di lavoro in
cui si enfatizza a volte il legame stretto tra i bisogni di innovazione
e le condizioni di sviluppo organizzativo, altre volte il legame tra ri-
conoscimento e motivazione al cambiamento (Cooperrider - So-
rensen - Whitney - Yaeger 2000), altre volte ancora i limiti stessi
dell’apprendere dall’esperienza quando questa viene ricondotta alla
sola esperienza del soggetto in formazione (Taylor 2011).
Al grande guadagno culturale e professionale, quello cioè di ri-
conoscere la rilevanza dei saperi situati dentro le pratiche, ha corri-
sposto la sfida di individuare i modi attraverso cui tali saperi in
azione vengono messi in circolazione, viaggiano nel tempo e nello
spazio, diventano parti di repertori e mutano in modo sostanziale nel
corso di tale processo. Sicuramente il paradigma dell’apprendimento
situato coniugato con quello dell’apprendimento trasformativo ha
prefigurato set formativi dove l’attività lavorativa diventa oggetto di
parola e di pensiero con l’obiettivo di riconsegnare ai soggetti in for-
mazione una consapevolezza critica del loro agire e una competenza
che consenta loro di partecipare e co-costruire i processi di cambia-
mento e innovazione che ogni professione richiede e porta con sé.

112
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6WXGLDUH RJJHWWL VLWXDWL 'DL PRGHOOL DOOH SUDWLFKH
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113
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Ricerca didattica e contesti di apprendimento.
Nuovi costrutti epistemologici. Mappa concettuale
Capitolo sesto

Didattica e apprendimento nelle organizzazioni


Franco Bochicchio

1. Didattica e postmodernità
Nella prospettiva didattico-pedagogica l’attuale realtà è teoriz-
zata come una collettività globale, socialmente interconnessa ed evo-
luta, dove le conoscenze sono riconosciute fattore strategico per lo
sviluppo dei processi produttivi e l’apprendimento è condizione per
il funzionamento e l’innovazione dei sistemi sociali (Paparella 2012).
Un ambiente dove le nuove tecnologie, nell’ampliare spazi di azione-
decisione-scelta favoriscono nuove opportunità di crescita per le per-
sone.
Valicando un costume culturale ancora diffuso dominato da pre-
giudizi ereditati da un passato dal quale la didattica si è da tempo af-
francata (Calonghi 1993), la presenza del tema in questo manuale
rimarca che nella postmodernità, il campo della didattica non è
identificabile né con l’istruzione né con il mondo della scuola, ma
abbraccia le esperienze umane in senso life-wide: apprendimento du-
rante tutto il corso della vita e in ogni luogo. Esperienze che, per-
tanto, comprendono anche la formazione continua e la formazione
degli adulti.
Dal punto di vista pedagogico, postmo- La postmodernità: significato
dernità in negativo significa presa di distanza
dalla conformità, rifiuto di spinte omologanti, abbandono di con-
cezioni ideologiche. In positivo, il termine enfatizza la capacità del-
l’uomo di affrontare l’incertezza, di adattarsi il meglio possibile al
mutare degli eventi, di essere protagonista attivo della propria vita,

115
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

di acquisire maggiore autonomia e responsabilità in vista di rag-


giungere gli auspicati traguardi di vita e di lavoro (Bochicchio
2011b).
Nella postmodernità anche il termine “organizzazione” assume
originali connotazioni di significato, superando il tradizionale ri-
chiamo a comunità produttive dove decisioni, scelte e valori sono
strumentali al business. In particolare, l’organizzazione è considerata
un ambiente sociale (che comprende aziende private, pubbliche am-
ministrazioni, scuole, imprese che operano nel settore dei servizi alle
imprese e alle persone ecc.) produttore di soggettività, dove è possi-
bile favorire l’educabilità degli adulti coniugando processi produttivi
e processi formativi. In questa prospettiva muta anche
Il lavoro nella il tradizionale significato del lavoro, per lungo tempo
postmodernità considerato un’esperienza negativa, alienante e fru-
strante, dove adesso prevalgono connotazioni più posi-
tive:

«Lavoro come esperienza che coinvolge il pathos, il logos e l’ethos, ovvero il


corpo, la mente, le emozioni, i sentimenti, i significati e i valori della per-
sona, permettendo alla personalità di realizzarsi compiutamente» (Rossi
2008, p. 11).

Conseguentemente, il lavoro e la professione si connotano come


dimensioni realizzativo-trasformative del sé, assumendo centralità
nel progetto educativo (Galliani 2003).
La realtà quotidiana sembra tuttavia molto distante dalla realtà
teorizzata.
Sul piano delle decisioni, delle scelte e dei valori, l’oggettività (or-
ganizzativa) sembra travalicare la soggettività (individuale). Da un
lato il lavoro è un privilegio riservato a pochi al quale molti legitti-
mamente aspirano; dall’altro, l’esperienza del lavoro – sul piano
identitario – non sembra pienamente realizzare le aspirazioni degli
occupati ma, viceversa, alimentare ansia e incertezza in coloro che
sono preoccupati di perderlo.
Gli ambienti di lavoro, luoghi del “convivere”
 organizzazioni
Convivere nelle
tra soggetti cui non è dato scegliersi, da un lato

116
Didattica e postmodernità

sono contenitori di emozioni, bisogni, desideri e vicende personali,


dall’altro sono produttori di diseguaglianze, conflitti, ingiustizie e
manipolazioni (Bochicchio 2011a).
In breve, la postmodernità non sembra aver risolto contraddi-
zioni e ambiguità. L’individuo sembra trovare considerazione e ri-
conoscimento principalmente nelle categorie economiche della pro-
duzione e del consumo, soggiogato ai disegni dei grandi poteri fi-
nanziari (Giddens 1991).
Il quadro delineato, inoltre, sembra ostacolare anziché favorire
la transizione dalle organizzazioni che producono alle “organizza-
zioni che apprendono”.
Come la didattica può contribuire a ridurre le Le sfide della didattica
distanze tra realtà effettiva e realtà teorizzata?
Come l’agire formativo deve connotarsi in vista di
rendere praticabile la teoria?
Sembra questa una tra le sfide più impegnative che attendono la
didattica dal confrontarsi con il tema dell’apprendere nelle organiz-
zazioni in modo esente dalla retorica, dove questo termine non de-
signa il contesto del post-lavoro ma, piuttosto, il contesto del lavoro
della conoscenza e delle professioni riflessive, aperto nel coniugare cre-
scita umana e sviluppo delle organizzazioni.
Su quali giustificazioni poggia l’assumere in carico tale sfida da
parte della didattica?
L’oggetto della didattica è l’insegnamento, assunto in coessen-
ziale rapporto con l’apprendimento. In particolare:

«…Tutto ciò che si fa perché un soggetto che intenda imparare, apprenda


conoscenze relative ai diversi saperi, nella scuola e non, rendendo il pro-
cesso di insegnamento – nei fini e nei mezzi – da casuale a organizzato»
(Laneve 1997, p. 207).

La vocazione pragmatica della didattica trova altresì La vocazione


conferma nel proporsi come criteriologia del sapere (che pragmatica
della didattica
privilegia la ricerca “in situazione”) e dell’agire (che punta
a risolvere problemi pratici) ricercando continue mediazioni tra la
teoria e la pratica (Paparella 1993). Didattica come scienza regolativa

117
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

che elabora criteri di azione che operativamente si definiscono nei


processi della decisione e della scelta, prospettando “sistemi di senso”
utili sia per rispondere a criteri funzionalistici di efficacia/efficienza,
sia per consolidare l’idea dell’azione razionale rispetto allo scopo
(Galliani 1993, p. 91).
In tempi recenti, la didattica è stata anche definita disciplina del
sapere professionale (Calidoni 2000), dove la presenza di questo ter-
mine (“professionale”) non intende evocare il desueto paradigma
empirico-praticista ma riaffermare il principio del conoscere in vista
di agire (ovvero, l’improduttività dell’agire in assenza di informa-
zioni pertinenti), dove decisioni e scelte non sono mai le migliori in
assoluto ma piuttosto quelle possibili.
Ambienti dove insegnanti e formatori agiscono
La formazione
! dei formatori come professionisti riflessivi, capaci di rendere conto
delle decisioni e delle scelte compiute, di personaliz-
zare le strategie modellizzando ogni specifica situazione per come
essa emerge nel processo formativo.

2. Apprendere nelle organizzazioni tra teorie e prassi


Apprendere nelle organizzazioni è un concetto che può essere in-
terpretato in modo duplice. Sul versante pratico sta a indicare espe-
rienze educativo-formative intenzionali che hanno luogo in parti-
colari ambienti sociali (le organizzazioni, appunto). Sul versante teo-
rico sta a indicare condizioni strutturali e processuali dell’appren-
dere tipiche della postmodernità, incrociando due correnti di pen-
siero che per lungo tempo hanno proceduto di pari passo:
– l’organizational learning (apprendimento or-
Organizational learning
e learning organization
ganizzativo) dove l’attenzione è focalizzata sul
processo dell’apprendere, con un orientamento
più descrittivo;
– la learning organization (organizzazione che apprende), dove l’at-
tenzione è focalizzata sulla struttura dell’apprendere – considerata
condizione regolativa del cambiamento e fattore endogeno di svi-
luppo di singoli, gruppi e comunità – con un orientamento più pre-
scrittivo (Tsang 1997).

118
Apprendere nelle organizzazioni tra teorie e prassi

Sull’assunto empirico-induttivo – tipico della ricerca didattica –


secondo cui nessuna teoria trova applicazione in un preesistente
“vuoto sociale” di convinzioni, linguaggi, modelli ed esperienze,
anche se nell’apprendere nelle organizzazioni prevalgono istanze teo-
riche, è ingenuo ignorare che nei contesti produttivi le pratiche che
a tale concetto si richiamano hanno una consolidata tradizione.
Esperienze che per lungo tempo hanno seguito – o per meglio
dire, “inseguito” – i cambiamenti privilegiando logiche di adatta-
mento alle esigenze del sistema produttivo (Nanni 1996), anche se
negli ultimi tempi si registra una positiva attenzione verso i bisogni
delle “persone”, che fino al recente passato erano considerati “di-
pendenti” di nome e di fatto.
Transizioni da non interpretarsi come fasi che temporalmente si
succedono l’un l’altra escludendosi a vicenda, ma come chiavi di let-
tura che permettono di comprendere la varietà delle pratiche for-
mative nelle organizzazioni e le teorie alle quali si ispirano, spesso in
modo implicito:
– il paradigma modernista, caratterizzato dall’adattamento dell’indi-
viduo agli imperativi del sistema sociale – tipico di attività adde-
strative – dove la principale preoccupazione è sui contenuti, ovvero
sul che cosa insegnare;
– il paradigma neomodernista, interessato a ricomporre la frattura fra
l’individuo e l’organizzazione prospettando possibili mediazioni sul
piano dei bisogni e delle attese. In queste pratiche dal che cosa in-
segnare il pensiero si amplia al come insegnare e, inoltre, a chi;
– il paradigma postmoderno, dove la formazione tende a configurarsi
come un processo dialetticamente, riflessivamente e soggettivamente
aperto, per meglio fronteggiare l’imprevedibilità dei problemi. La
preoccupazione dei formatori abbraccia qui dimensioni tipiche del-
l’approccio complesso nello studio dei fatti della realtà: che cosa inse-
gnare, come, a chi, in quali ambienti, e con quali risorse e tecnologie.

2.1. Il paradigma modernista


L’elemento dominante del paradigma moderni- La formazione come
sta – dove prevalgono logiche deterministe e posi- trasmissione di saperi

119
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

tiviste – è la “fedeltà”: agli imperativi del sistema sociale, ai bisogni


di coloro che finanziano gli interventi (i committenti), ai contenuti
“trasmessi” ed “esposti” dagli insegnanti (i formatori).
Una formazione fedele, per definizione, è necessariamente esterna
(e spesso anche estranea) al soggetto che apprende, poco interessata
anche ai suoi bisogni.
Nel nostro Paese queste pratiche si sono affermate soprattutto a
partire dal secondo dopoguerra per rispondere alla crescente richie-
sta di mano d’opera qualificata proveniente dalle grandi aziende ma-
nifatturiere localizzate nel cosiddetto “triangolo industriale” (Torino,
Genova e Milano).
Si tratta di esperienze dove si impongono a qualcuno le risposte
alle domande che altri hanno formulato e voluto, qualificandosi per
finalità meramente “addestrative”, dove prevale la razionalità tipica
del modello di organizzazione del lavoro fordista-taylorista.
Il bisogno di formazione è “autocentrato”, considerato un requi-
sito di funzionamento del sistema rispetto a regole stabilite dal si-
stema stesso. La progettazione privilegia la costruzione di sequenze
di programmi addestrativi-istruttivi. Nella comunicazione didattica
prevale la trasmissione di contenuti “esposti” dal formatore (che nella
relazione educativa accentua la “sovra-esposizione” dell’insegnante)
e la valutazione è interessata soprattutto ad accertare l’avvenuta ac-
quisizione di capacità tecnico-operative.

2.2. Il paradigma neomodernista


A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, si sono
affermate nuove correnti di pensiero – anche favorite dai significa-
tivi mutamenti avvenuti nella società, che nel denunciare i limiti dei
precedenti approcci e delle pratiche correlate, hanno insistito sul-
l’opportunità di restituire centralità al soggetto che apprende e di
tenere conto delle influenze dell’ambiente, evitando alla formazione
di assumere i caratteri della conformazione secondo un risultato at-
teso che ha valore soltanto nell’esecuzione e nell’applicazione.
L’affermazione del paradigma neomodernista va dunque inter-
pretata come la risposta a nuove istanze socio-educative, anche se

120
Apprendere nelle organizzazioni tra teorie e prassi

non sembra pienamente superare limiti e ambiguità ereditati dal


passato.
L’apprendimento da un lato è funzionale alle esigenze di sviluppo
organizzativo (e i bisogni seguitano nel privilegiare le esigenze del si-
stema produttivo, anche quando non lo dichiarano apertamente),
dall’altro è strumentale a quanti intendono migliorare condizioni e
possibilità di inserimento lavorativo (e i bisogni si correlano alle esi-
genze del sistema sociale).
In questa prospettiva, la formazione si propone La formazione come
e si dispone, si ingegna e si prova come luogo del- elaborazione di saperi
l’elaborazione della conoscenza, dove la competenza
è assunta come il nuovo traguardo educativo, anche se poi nella re-
altà tale concetto oscilla tra visioni tradizionali (di base e tecnico-
professionali) e innovative (trasversali e strategiche). Nelle pratiche
si accentua l’attenzione sulle dimensioni affettive, relazionali ed emo-
zionali del lavoro e della vita organizzativa, e la complessità viene ri-
conosciuta fattore costitutivo del processo formativo, anche se l’idea
viene spesso tradotta in modo deterministico come input-trasfor-
mazione-output (Lipari 2002).

bisogni di 
L’analisi dei bisogni viene presentata come una pra- Analisi dei
tica capace di mediare tra differenti istanze: dell’indi-
viduo e dell’organizzazione. formazione
La progettazione privilegia sequenze di obiettivi tas-
sonomicamente ordinati. La comunicazione didattica si apre al-
l’ascolto e al dialogo, anche favorita dall’uso di strategie e di meto-
dologie “attive” (problem solving, studio di casi, simulazioni…), dove
il formatore assume il ruolo di facilitatore di apprendimento. La va-
lutazione è interessata a verificare i risultati rispetto agli obiettivi
prefissati, configurandosi come raccolta di informazioni sull’espe-
rienza formativa (reazioni, apprendimento, trasferimento, cambia-
mento) con una prevalente attenzione al «controllo del processo»
(Hamblin 1974). Un quadro che testimonia una sostanziale inno-
vazione pedagogica che riguarda tanto i sistemi scolastici quanto la
formazione aziendale.
Seppure rinunciando a configurare l’esperienza come luogo dove
il sapere viene esposto dal formatore, le affermazioni (dei formatori)

121
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

continuano a prevalere sulle interrogazioni (dei discenti), finendo


con «l’affermare senza formare» (Maggi 1988). Pratiche dove

«…l’intelligenza è piegata agli interessi dell’azienda per poi scoprire che


l’individuo più apprezzato è colui che sa servirsi dell’intelligenza con mo-
dalità più innovative, flessibili e creative rispetto a quelle per cui l’azienda
lo ha formato» (Demetrio 1994, p. 25).

2.3. Il paradigma postmoderno


La nascita del paradigma postmoderno è conseguenza dell’emer-
gere di problemi tipici di una realtà sociale globalizzata, più inter-
connessa e tecnologicamente evoluta, definita, appunto, postmo-
derna. Una realtà dove la nuova filosofia costruttivista (e, più di re-
cente, post-costruttivista) sembra farsi pienamente carico delle nuove
sfide. La conoscenza è considerata il prodotto di una costruzione at-
tiva, consapevole e responsabile del soggetto, che ha carattere situato
nel contesto. Un processo che si realizza attraverso particolari forme
di collaborazione e negoziazione sociale, dove gli individui costrui-
scono nuove conoscenze sia sulla base di quelle già possedute, sia at-
traverso la negoziazione e la condivisione dei significati con altri.
A questa corrente di pensiero si correlano nuovi
La formazione come
co-costruzione dei modelli educativi dove le tecnologie si inseriscono
saperi prepotentemente nella scena dell’educazione come
strumenti di mediazione delle nuove forme di inte-
razione sociale. In queste nuove comunità di apprendimento il di-
scente è considerato un costruttore attivo della propria conoscenza,
anziché un recettore passivo di saperi posseduti da altri (Calvani
2000; Cattaneo - Rivoltella 2010).
Il processo di formazione è tematizzato come un evento “aperto”
all’imprevedibilità di una realtà meno controllabile, dove la qualità
della formazione (come “prodotto sociale”) non riguarda esclusiva-
mente la relazione educativa, perché sono in gioco variabili istitu-
zionali, organizzative e di sistema (Galliani 2003). Le differenze tra
progettazione e comunicazione didattica tendono a sfumare in un
divenire che si costruisce nel corso dell’azione tra dichiarato ed emer-

122
Tra retorica e progettualità

gente, esplicito e tacito, reale e virtuale. Nell’assumere la formazione


come una ricerca-azione, anche la valutazione viene tematizzata
come ricerca orientata alla comprensione e all’apprezzamento dei ri-
sultati, nel quadro di approcci meno condizionati da preoccupazioni
burocratiche.
All’interno di tale quadro maturano nuove forme di consapevo-
lezza sulla possibilità di sintonizzare pratiche formative e pratiche
organizzative nel quadro di sinergie tra differenti sistemi, come pure
l’utilità di dialogare con differenti culture, valori e linguaggi privi-
legiando un approccio complesso e sistemico allo studio dei feno-
meni della realtà. Trova così cittadinanza anche la possibilità di as-
sumere l’organizzazione come un ambiente dove l’apprendimento è
situato in una rete di memorie e significati sedimentati tanto negli
individui quanto nei sistemi sociali che appren- Governance
dono, “processando” le conoscenze che quotidia- dei servizi e 
namente producono. nuove tecnologie

partecipata 
In sintesi, è nel paradigma postmoderno che il La formazione
lavoro e la professionalità sono riconosciute di-
mensioni identitarie della persona, dove l’appren-
dere nelle organizzazioni tende a ridurre le distanze tra realtà effet-
tiva e teorizzata nel quadro di nuove forme di partecipazione.

3. Tra retorica e progettualità


Anche se imprese, scuole, associazioni, manifestano da tempo in-
teresse per il tema dell’organizzazione che apprende, nel tradurre in
pratica tale concetto si registrano posizioni non del tutto conver-
genti, dove la retorica è sempre in agguato.
Con un atteggiamento più realista molti studiosi si interrogano
da tempo sulle condizioni che possono favorire la transizione di or-
ganizzazioni tradizionali in learning organization, spaziando dai
modi di appropriazione delle conoscenze (da parte di individui e or-
ganizzazioni) alla gestione manageriale della conoscenza (knowledge
management), dove è necessario adeguare strutture, procedure, ri-
sorse e pratiche formative.

123
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

In tempi recenti, l’attenzione vira soprattutto sulle tecnologie che


possono favorire la produzione, l’utilizzazione e la diffusione delle
conoscenze, sull’assunto che il sapere sia “archiviabile” per mezzo di
adeguati sistemi tecnologici e informativi, e inoltre che tale sapere sia
“riusabile” e “capitalizzabile” al pari di altre risorse (Scarbrought et
alii 1999). Posizioni che non sono state esenti da critiche, a causa di
una visione semplicistica e oggettivante della conoscenza che sem-
brerebbe assurgere al ruolo di generica merce di scambio, finendo
con il confondersi con una semplice informazione.
In modo ottimistico, altri studiosi hanno osser-
Oltre ottimismo e
idealismo:
vato che numerose imprese – tra quelle più sensibili
l’organizzazione ai processi di innovazione – da tempo si sono evo-
che apprende lute in learning organization, citando numerosi
esempi: Motorola, Shell, Rover, Eni. Realtà produt-
tive che hanno costituito Corporate University, Business School con
l’obiettivo di vendere all’esterno le conoscenze prodotte interna-
mente. In tal modo – secondo l’opinione degli studiosi – le suddette
imprese sembrano avere compreso che il rapporto tra conoscenza e
produzione di nuova ricchezza dipende dal grado di efficienza con
il quale le prime vengono capitalizzate (Garratt 1994).
Da posizioni più idealiste, altri ancora hanno sostenuto che tutte
le organizzazioni sono “di fatto” learning organization, perché nel-
l’assumere decisioni rispetto alla variabilità dei problemi che quoti-
dianamente affrontano, le organizzazioni – in modo anche incon-
sapevole – modificano comportamenti abituali e convinzioni radi-
cate. Inoltre, anche le logiche collaborative tipiche dell’organizza-
zione che apprende sono la naturale conseguenza del fatto che nes-
sun individuo, singolarmente considerato, possiede tutte le infor-
mazioni necessarie per assumere decisioni efficaci.
Ottimisti e idealisti hanno una visione riduttiva e ingenua della
learning organization. Nel primo caso, tendono a circoscrivere le co-
noscenze prodotte dai membri di una comunità a una pura que-
stione commerciale; nel secondo caso non sembrano tenere conto
che l’organizzazione che apprende non è un evento naturale o spon-
taneo, ma intenzionale, dove la partecipazione attiva degli attori pre-
suppone una consapevolezza matura.

124
Tra retorica e progettualità

Senge (1990) ha affermato che la learning organization è un «si-


stema aperto» dove gli individui sono «agenti di azione» e «agenti di
apprendimento organizzativo». Un sistema dove il processo di ap-
prendimento organizzativo richiede una visione condivisa sul-
l’obiettivo da raggiungere e sulle direzioni da seguire, dotando i sog-
getti di adeguate risorse in vista di conseguire risultati a vantaggio
dell’intera comunità (Weick 1991).
Ad esempio, gli insegnanti di una scuola – o i dirigenti di un’im-
presa – hanno consapevolezza di operare in una learning organiza-
tion piuttosto che in una organizzazione di tipo tradizionale? Quali
guadagni ricavano dal partecipare a un progetto che si “nutre e si
alimenta” dei loro comportamenti quotidiani?
Gli alunni di una scuola hanno la percezione di studiare in un’or-
ganizzazione che apprende piuttosto che in una scuola tradizionale?
Sono più motivati? Hanno performance superiori rispetto a quelli di
una scuola tradizionale? Interrogativi che ottimisti e idealisti sem-
brano del tutto ignorare.
I tratti che distinguono una learning organization da un’organiz-
zazione tradizionale, sono stati oggetto di numerosi studi. Per citare
i più noti: la teoria dell’azione di Argyris e Schön (1993), la «quinta
disciplina» di Senge (1990), la teoria della creazione della conoscenza
di Nonaka (1994).
Da questi studi trova conferma che l’apprendi- Dai saperi
mento organizzativo non è un evento naturale perché individuali
richiede precise condizioni. Tra queste: flessibilità nel- all’apprendimento
diffuso
l’organizzazione del lavoro, disponibilità al cambia-
mento e all’innovazione, relazioni dinamiche, colla-
borative e partecipative tra le persone.
Inoltre, se la natura multidimensionale dell’innovazione implicita
nella learning organization è considerata il prodotto dell’interazione
fra tutti i membri, diffondere le conoscenze non significa limitarsi
a favorirne l’incontro, ma allestire adeguate condizioni sul piano
progettuale, metodologico, comunicativo, tecnologico e valutativo.
Infine, nella learning organization le unità elementari per l’ap-
prendimento sono rappresentate dai gruppi e non dai singoli indi-
vidui. Per questo motivo la “comunità di pratica” è considerata da

125
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

molti studiosi una modalità di apprendere e di produrre conoscenze


funzionale alla learning organization, che nell’incentivare l’innovati-
vità e la creatività dei membri favorisce la trasformazione dell’ap-
prendimento individuale in apprendimento organizzativo.
Comunità orientate al “fare”, dove la pratica assume aspetti espli-
citi e taciti, codificati e non, favorendo la costruzione, lo sviluppo e
il mantenimento delle identità individuali e sociali attraverso un co-
stante lavoro di condivisione e coproduzione di senso tra i membri
della comunità (Wenger 2006; Illeris 2004).

4. La scuola come organizzazione che apprende


L’esigenza di innovazione e di cambiamento, i bisogni emergenti
tipici di una società globalizzata e più interculturale, la “modernità
liquida” dei saperi e delle relazioni, sono questioni che impongono
a qualunque organizzazione di confrontarsi e misurarsi, ricercando
originali risposte. Una situazione che la scuola sembra avere com-
preso da tempo, com’è altresì testimoniato dall’accresciuto interesse
verso studi, modelli e linguaggi esterni rispetto ai suoi tradizionali ri-
ferimenti.
L’attenzione della scuola verso l’organizzazione che apprende, in
particolare, è giustificato da numerose ragioni, ampiamente legit-
time: l’esigenza di ammodernare i tradizionali dispositivi in vista di
migliorare la qualità dell’istruzione, eliminare il manto di autorefe-
renzialità dove per lungo tempo questa istituzione si è auto-confinata
confrontandosi dialetticamente con bisogni e istanze reali della so-
cietà, promuovere sinergie con altri sistemi, cogliere nuove oppor-
tunità di sviluppo.
Esigenze che in modo indiretto confermano la volontà della
scuola di valicare una concezione estetico-ideologica a vantaggio di
altre, più pragmatiche ed efficientistiche.
Una situazione apprezzabile e, al tempo stesso,
Nuove integrazioni
e contaminazioni non esente da insidie, perché la scuola non deve “in-
seguire” logiche iperfunzionaliste tipiche delle orga-
nizzazioni produttive, che finirebbero per compro-

126
Apprendere nelle organizzazioni come “scuola della vita di lavoro”

metterne la matrice identitaria. La scuola, infatti, procede con una


velocità di marcia più lenta rispetto all’economia; non potrebbe es-
sere altrimenti. L’avvicinamento tra i due mondi è auspicabile, tut-
tavia le distanze vanno mantenute. Un conto sono le integrazioni,
altro le contaminazioni: l’armonica integrazione di valori, modelli,
cultura e linguaggi crea nuova ricchezza, mentre le seconde (as-
sunte nel significato negativo del termine) provocano disagio e di-
sorientamento.
Termini come “valore”, “risorsa”, “efficienza”, “efficacia”, solo per
citarne qui alcuni, sono presenti da tempo nel lessico scolastico. Ciò
nonostante, hanno una diversa valenza secondo che si faccia riferi-
mento a un contesto educativo-scolastico piuttosto che produttivo-
manageriale.
Nella scuola, ad esempio, anche il termine learning assume con-
notazioni peculiari, che rinviano a come apprendere e fare apprendere
in vista di vivere e far vivere una situazione di espansione, di arric-
chimento culturale e di crescita continua, incentivando sinergie tra
differenti mondi attraverso dispositivi e strumenti flessibili e adattivi
capaci di favorire la collaborazione e l’integrazione (Scurati 1999).
Analogamente alle imprese, viceversa, una scuola
Learning 
La scuola come
learning organization richiede la presenza di profes-
sionisti riflessivi. Insegnanti capaci di favorire, con Organisation
i loro comportamenti, innovazioni organizzative
virtuose, di selezionare individualmente e collegialmente (sul piano
delle strategie, dei modelli, dei contenuti, dei metodi, dei linguaggi
e dei valori) ciò che è funzionale rispetto ad altro; di interrogarsi cri-
ticamente sulle decisioni e sulle scelte compiute e da compiere, dove
ogni azione è preceduta e seguita da una ricerca sulle condizioni e
sulle modalità più idonee per agire.

5. Apprendere nelle organizzazioni come “scuola della vita di


lavoro”
Come aiutare le tradizionali organizzazioni (la scuola, le imprese,
le pubbliche amministrazioni) a evolvere in comunità che appren-

127
Capitolo VI - Franco Bochicchio - Didattica, apprendimento, organizzazioni

dono, evitando di incoraggiare la diffusione di personalità social-


mente desiderabili e/o convenienti?
Dal punto di vista della formazione, pratiche genericamente ef-
ficaci, per quanto apprezzabili, non sembrano possedere forza e di-
rezione necessarie per determinare quel cambiamento più radicale
implicito nella suddetta transizione.
Si intravvedono necessarie pratiche capaci di proporsi e di di-
sporsi come “scuola della vita di lavoro”, un deciso “cambio di mar-
cia” anziché un generico restyling.
Sul piano didattico, l’uso del termine scuola assicura coerenza
con la dimensione life-wide che caratterizza l’apprendimento umano
nella postmodernità, mentre il termine “vita di lavoro” assume il la-
voro come esperienza di vita nella pluralità di declinazioni opera-
tive (integrate e inseparabili) che guidano il progetto educativo: la-
voro come convivenza, partecipazione, condivisione, collaborazione,
cooperazione. Infine, la dimensione soggettivo-esistenziale-
identitaria implicita nel suddetto concetto, riporta la “persona” al
centro del processo formativo in modo inequivocabile.
L’ipotesi prospettata poggia su assunti condivisi, in
L’ipotesi della
“scuola di vita parte già richiamati nelle precedenti pagine:
di lavoro” – la complessità come approccio capace di interpretare
e di affrontare i problemi della postmodernità (Morin
1990) che assume la formazione (e l’agire didattico) sul piano della
processualità e delle relazioni tra differenti sistemi (Galliani 2003);
– la formazione come pratica educativa che sollecita l’identità dei
soggetti nel rapportarsi riflessivamente con i molteplici campi delle
esperienze umane, dove i processi