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Questo avanzamento concettuale è stato reso possibile grazie alle scelte dell'insegnante.
Per potere trasformare il "sapere da insegnare" in "sapere insegnato" occorre rendere la
comprensione coinvolgente, per esempio partendo da un'immagine anziché da una
definizione. Tuttavia, per i bambini, la sola immagine non risulterà sufficiente ai fini della
comprensione di un fenomeno complesso (es. funzionamento delle corde vocali).
Un'altra strada mostrata da Alberto Manzi, famoso maestro, consiste nell'utilizzare le
conoscenze pregresse; in un'intervista Manzi raccontò che per sfatare una falsa
concezione di un bambino, che affermava che le corde vocali fossero 21, si mise a
strimpellare un violino in classe per mostrare che, nonostante esso avesse solo 4 corde,
poteva emettere più suoni e che lo stesso valeva per le corde vocali
I tre orientamenti degli studi sul cambiamento concettuale
Il primo orientamento vede il cambio concettuale come un processo di accomodamento,
che ristruttura una conoscenza precedente a partire da una situazione di forte risonanza
(Silveira,1991) definito con il concetto di "conflitto cognitivo".
Il secondo orientamento afferma che le nuove concezioni debbano avere un maggiore
potere conoscitivo rispetto alle precedenti per poterle sostituire (Posner & Strike, 1992). Il
limite di questo orientamento sta nel ritenere il cambio concettuale come un meccanismo
di sostituzione.
Il terzo orientamento ritiene che i concetti non siano sostituibili o completamente integrabili
ma piuttosto utilizzabili in ambienti conoscitivi diversi a condizione che vengano appresi
significativamente (Pozo & Gomez Crespo, 1998). Questa é la prospettiva che prendiamo
in considerazione, in particolare quella di Vosniadou (2008) secondo la quale il cambio
concettuale avviene tramite integrazione delle conoscenze iniziali in un sistema
gerarchico.
Il percorso, che qualifica il lavoro dell'insegnante, di trasformazione del sapere da
insegnare a sapere insegnato, può essere definito anche facendo riferimento alla teoria
della mediazione didattica (Damiano, 2013) che sottolinea il ruolo fondamentale per
l'apprendimento giocato dai mediatori che diventano sempre più caratterizzati da linguaggi
formali.
Un esempio di scelta traspositiva può essere quella attuata da Monica Zanon, insegnante
delle superiori, che per introdurre il tema delle equazioni chiede ai suoi studenti di provare
a inventare una bilancia e determinare il valore dell'incognita da inserire. Nella prima
attività l'insegnante chiede di risolvere insieme un'equazione espressa in linguaggio
algebrico (consegna di gruppo). Durante tale attività è stata già riscontrata una prima
formalizzazione dei concetti.
La seconda attività prevede una consegna individuale nel quale viene chiesto di:
Guardare due video nell'ordine dato
Schematizzare su un foglio Word ciò che si è capito
Creare un gioco per i compagni per aiutarli a capire meglio
Far sì che il gioco diventi autocorrettivo
Quindi, le scelte traspositive dell'insegnante, inizialmente focalizzate sulle conoscenze
pregresse degli studenti, in quest'ultima attività hanno permesso di far rielaborare i concetti
appresi.
7.6 Dalla legittimazione sociale dei saperi alle pratiche sociali di
riferimento: dare senso al sapere insegnato
Durante la pandemia di COVID 19, un'insegnante di lettere del CPIA (centro provinciale
istruzione adulti) propone ai suoi studenti, dopo aver introdotto il Decameron di Boccaccio,
di scrivere dei racconti autobiografici e di condividerli sulla piattaforma della classe. Questa
scelta traspositiva della docente ha reso accessibile la nota opera di Boccaccio e la sua
struttura narrativa in cui i personaggi, così come gli studenti, si ritrovano ad affrontare una
difficile situazione sanitaria (trattasi della Peste del 1300).
Il principio della rilevanza sociale del sapere
L'insegnante nel trasporre il sapere deve permettere che questo non venga percepito
come estraneo, nonostante possa appartenere a periodi lontani come il Decameron, con
questo concetto si intende il principio della rilevanza sociale o di delegittimazione del
sapere (Damiano; 1999, 2007; Rossi, Pezzimenti. 2012).
Le pratiche sociali di riferimento come elemento da conservare nella trasformazione del
sapere La stessa docente del CPIA, in un'altra consegna, propone di scrivere un breve
testo autobiografico in cui raccontare la propria infanzia. Tale attivitá oltre a consentire di
acquisire padronanza con la lingua italiana (i CPIA sono maggiormente frequentati da
stranieri) consente anche di esemplificare il concetto di pratiche sociali riferimento e di
attenzionato le scelte compiute dall'insegnante per intrecciare i tre livelli del sapere.
Conservare la dimensione pratica e sociale del sapere nell'insegnamento della matematica
nella scuola primaria
Nell'insegnamento della matematica è importante che, attuando le strategie traspositive, si
preservi una dimensione pratica e sociale del sapere. La matematica, come afferma
Bolondi (2004) è la scienza che ci fornisce strumenti per la risoluzione di problemi pratici.
Un'insegnante di seconda primaria ha deciso di avviare le prime esperienze di risoluzione
dei problemi di matematica attraverso la considerazione che i bambini avevano del
concetto di problema, intenso in senso ampio e non specifico della disciplina
(Balconi,2008) Insegnante: Bambini, cos'è per voi un problema?
S. Quando i miei fratelli mi picchiano
D: Quando sono al mare e non tocco
E: Quando faccio la monella e la mamma e il papá si arrabbiano
La scelta dell'insegnante ha una triplice valenza riguardante per i bambini, l'insegnante e la
disciplina poiché
a) favorisce il coinvolgimento e l'interesse verso il sapere, attraverso l'aggancio con le
esperienze di vita degli studenti
b) mostra la visione dell'insegnante nell'intendere il concetto di "problema" e allo
stesso tempo il suo modo di interrogare i saperi dei bambini mettendoli in relazione con i
saperi esperti.
c) consente di portare attenzione all'idea che i problemi ammettono strategie di
risoluzione differenti che chiamano in causa una serie di variabili che il linguaggio
matematico è in grado di formalizzare. Superare l'artificialità del sapere da insegnare
attraverso la ricostruzione delle pratiche sociali di riferimento
La connessione tra i tre livelli sopra menzionati aiuta a capire il concetto di "pratiche sociali
di riferimento" e permette di comprendere il limite traspositivo che spesso caratterizza i
saperi scolastici quando sono sganciati dagli obiettivi per i quali sono stati elaborati.
Questo limite nella scelta traspositiva è definito da Chevallard con la nozione di 'artificialità'
del sapere che diventa un elemento ineliminabile perché un certo sapere é costruito per
essere usato e non insegnato. Con il termine trasposizione didattica Chevallard definisce
"la transizione" dalla conoscenza concepita come strumento da usare alla conoscenza
concepita come oggetto di insegnamento.
In questo capitolo si è cercato di offrire spunti di riflessione per ridurre l'inevitabile
artificialità che caratterizza i saperi scolastici:
1. Selezionando nuove fondanti di una certa disciplina senza pretendere di coprire un
programma vasto.
2. Considerando la verticalità dei saperi e le diverse esigenze di formalizzazione
3. Pensando alla trasversalità dei saperi consentendo agli studenti di mettere in
dialogo discipline differenti.
In conclusione l'insegnante dovrà essere cosciente del rischio di svelare l'artificialità dei
saperi e dovrà costantemente mettere in gioco le proprie conoscenze, credenze e dei
presupposti disciplinari. Il rapporto tra insegnante e sapere disciplinare é un percorso di
apprendimento senza fine, che solo quando è tematizzato, crea condizioni per rendere
intenso il legame che bambine e bambini costruiscono con la conoscenza e il loro modo di
usare questa conoscenza nel mondo, come cittadini ancora prima che come studenti.
CAP. 8 I DISPOSITIVI DIDATTICI
L’azione didattica invece è l’insieme dei gesti, e degli atti di insegnamento in un dato
contesto didattico con i relativi strumenti.
Il curricolo implicito comprende ad esempio: la gestione dello spazio, del tempo, del
gruppo classe e delle regole. L’insieme di questi aspetti porta a una pedagogia latente cioè
dei risultati non del tutto congruenti agli obbiettivi prefissati intenzionalmente dal docente.
-sintesi: capacità di riunire elementi al fine di formare una nuova struttura organizzata e
metodo.
Secondo Bloom quindi bisogna lavorare a ritroso, descrivendo nel dettaglio le abilità
necessarie al raggiungimento dell’obbiettivo.
Per Calvani la lezione frontale dove l’insegnante spiega, utilizza materiale a disposizione di
tutti e i bambini ascoltano. Per il dominio conoscitivo ritiene sia necessario al fine
dell’apprendimento un processo cognitivo di tipo mnemotico perché è strettamente legato
al cosa si conosce.
Si utilizza un’attività legato alla quotidianità dei bambini come andare in biblioteca. Ciò può
essere svolto già dalla scuola dell’infanzia dove gruppi di bambini dovranno interpretare
dei libri dalla copertina. Nella discussione vediamo che c’è un lavoro gestito dal gruppo
mentre l’insegnante ha un ruolo di sostegno. Ciò permette attraverso anche racconti
narrativi sempre in riferimento alla discussione di ampliare l’elaborazione del pensiero.
L’obbiettivo è anche una formazione dell’intero gruppo classe dove tutti interagiscono.
Obbiettivi metacognitivi: L’insegnante dovrà tener conto dello stile di apprendimento dei
singoli alunni. Quindi deve valutare l’oggetto della riflessione, i tempi della riflessione e
predisporre strumenti adatti per dare visibilità ai processi riflessivi.
-Lezione: considerata come la strategia con più alto grado di istruttività del docente.
-Approccio tutoriale e drill practice: prevede una sequenza di unità di conoscenza orientate
al raggiungimento di uno specifico obbiettivo. Si pone all’allievo una certa quantità di
informazioni con richiesta di risposte frequenti, delle quali è possibile controllare
immediatamente la correttezza. Anche in questo caso non è previsto u coinvolgimento
diretto dell’alunno; è limitato a eseguire le istruzioni impartite dal docente.
-Studio di caso: in questo caso il docente presenta una situazione reale o verosimile su cui
far costruire ipotesi. Es: prendere decisioni, analisi del problema ecc.
-Apprendimenti cooperativi: la collaborazione tra pari assume molta rilevanza nel processo
di apprendimento.
-Problem solving e scoperta guidata: il bambino viene posto in una situazione enigmatica
che consente l’attivazione in termini di conflitto cognitivo. Il problem solving stimola i
processi di formulazione delle ipotesi e successivi tentativi di verifica, dando vita ad
apprendimenti didattici basati sulla scoperta.
-Simulazione e role playing: Queste strategie si articolano su due assi, quelle della
simulazione e quella della drammatizzazione. Il punto di forza consiste nell’esplorare per
gli alunni ruoli differenti e in tal senso costruire rappresentazioni personali.
-Brainstorming: viene indicata come la strategia dove si riscontra il maggior grado di attività
degli studenti; poiché sono messi nella situazione di poter esprimere liberamente la loro
opinione.
-didattica, agendo sui contenuti, al fine di renderli più accessibili agli alunni avvalendosi di
differenti strumenti.
Per predisporre la didattica occorre sempre la mediazione. Cioè tener presente i diversi
alunni.
CAP. 9
Nell’evoluzione della storia della didattica è interessante vedere come le cosiddette scuole
a metodo (ovvero quelle scuole che scelgono di connotarsi in un metodo definito e
riconoscibile, vedi scuole montessoriane) abbiano avuto un ascesa negli ultimi anni
(precisamente dopo gli anni ’60-’90) con una progressione delle iscrizioni degli alunni.
In questo capitolo vedremo cosa significhi come scuola e come insegnante aderire a un
metodo e proporlo alle famiglie incidendo di conseguenza nei processi di cittadinanza
consapevole arricchendo le possibili offerte educative.
Partiamo innanzitutto dal significato generale di metodo: un modo ordinato di procedere
per conseguire uno scopo che può essere poi generalizzato e applicato a contesti diversi
(caratteristiche quest’ultime dei metodi scientifici e tradizionali).
Alberto Marradi nell’Enciclopedia delle scienze sociali (Treccani, 1996) parla di metodo
inteso come “strada, cammino con il quale..” e sottolinea delle regole che caratterizzano il
metodo: esse sono facili, per tutti, non opinabili (quindi non cambiano in base
all’osservatore) e se seguite e rispettate condurranno alla conoscenza vera di ciò che si è
prefissato.
Sarà poi la scienza moderna a porre il problema del metodo e del suo rigore (Renè
Descartes discuteva del “problema del metodo” nella filosofia e G.Galilei individuò il
metodo scientifico-sperimentale come determinante per la scienza moderna).
Le definizioni di un metodo scientifico
George A. Theodorson e Achilles G. Theodorson alla voce “Metodo scientifico” nel
dizionario sociologico indicano come deve essere applicato:
1. Si definisce il problema
2. Il problema è formulato nei termini di un particolare quadro teorico
3. Si immaginano una o più ipotesi relative al problema, analizzando i principi teorici
già accettati
4. Si determina la procedura da usare per raccogliere i dati per la verifica dell’ipotesi
5. Si raccolgono i dati
6. Si analizzano i dati per verificare o meno l’ipotesi.
Per analizzare però il termine “metodo” in ambito pedagogico dobbiamo fare riferimento al
pedagogista J.Dewey che nel suo Democrazia ed educazione intende il metodo come
“un’organizzazione tale della materia che lo renda più efficace nell’uso” e in cui sottolinea
l’importanza dell’osservazione, dell’esperienza, della riflessione, della conoscenza della
materia nell’azione educativa.
Dewey infatti, spiegando il metodo in ambito pedagogico, parla anche di prospettiva
scientifica e di rigore in cui i riferimenti teorici devono attingere da molteplici saperi e in cui
ha molto valore l’esperienza pratica diretta del docente. Se vengono rispettate queste
premesse si potrà parlare di una vera e propria scienza dell’educazione in cui si progetta
l’azione didattica con determinati strumenti di ricerca connessi coi saperi e sempre
flessibili, non legati a un solo metodo ma che spaziano nel definirsi per mantenersi attuale.
Metodo pedagogico
Tornando in ambito italiano, ricordiamo la distinzione fatta da Angiolo Gambaro nel 1934
nell’enciclopedia Treccani che distingue fra metodo sistematico, inquisitivo, dimostrativo e
pedagogico. Quest’ultimo viene da lui descritto come l’insieme ordinato di atti e
procedimenti con i quali l’educatore conduce l’educando alla formazione della propria
cultura spirituale e sottolinea, inoltre, l’importanza da parte del docente di valutare il
proprio operato, applicando in modo flessibile le indicazioni legislative al contesto che ha
dinanzi e mirando ad una formazione culturale profonda senza legarsi radicalmente
all’applicazione dei dettami teorici.
Storicamente sappiamo che nel 1821 vennero create le scuole di metodo che miravano
alla preparazione di futuri maestri di scuola elementare, inizialmente con un corso di
durata fra i 3 e i 6 mesi e successivamente ampliando il percorso su un arco temporale più
lungo e rivolgendo questa formazione anche ai maestri delle scuole materne, dividendole
tra regie (in cui rientravano le scuole montessoriane) e quelle riconosciute. La creazione di
uno Stato unitario portava alla necessità di avere maestri con una eterogenea
preparazione culturale e pronti a svolgere il primo processo di alfabetizzazione di massa.
E’in questo panorama che nascono i metodi nominali.
Ritornando alla parola metodo, Gaston Mialaret nel testo “Le scienze
dell’educazione”(1978) sottolinea che sebbene siano riconosciuti diversi metodi (metodo
decrolyano, montessoriano, etc) e diverse tecniche (insegnamento individualizzato, lavoro
di gruppo, etc) manca però una sintesi della metodologia educativa, ovvero un quadro
d’insieme coerente stabilito su criteri scientifici chiaramente esplicitati. Raggiungere questo
obiettivo risulta difficile a causa della molteplicità di metodi e tecniche esistenti. Possiamo
effettuare molte classificazioni distinguendo tra metodi nuovi e vecchi, definirli in base al
loro rapporto con i fondamenti psicologici o filosofici e, ancora, in base all’analisi dei gruppi
coinvolti (classe, senza classe) o ai materiali usati (iconici, verbali, ..), la tipologia di lavoro
proposta etc… Ciò che più conta è tenere conto del metodo in quanto animato da un
educatore in una situazione educativa.
Per Piero Bertolini nel Dizionario di Pedagogia e Scienze dell’educazione (1996) il metodo,
in senso ampio, è indicato come quelle attività-in-contesto utilizzate per raggiungerei
obiettivi educativi. Un metodo didattico nello specifico individua le procedure e i mezzi
adatti per raggiungere gli obiettivi stabiliti in sede di programmazione. La scelta del metodo
sarà basato su vari fattori(obiettivi, tipologia di soggetti coinvolti, tempi, spazi, etc) e dovrà
essere posto a verifica in relazione alle risposte fornite dagli allievi.
Infine Fiorino Tessari (2002) schematizza i metodi così:
-metodi espositivi
-metodi operativi
-metidi investigativi
-metodi euristico-partecipativi
-metodi individualizzati
-metodi nominali
9.3 I metodi nominali
I metodi nominali sono quelli che fanno riferimento agli autori che li hanno inventati e
diffusi. In Italia, i più diffusi sono i metodi Agazzi, Montessori, Pizzigoni, Bortolato, Terzi,
Venturelli. Fra il 2017 e il 2018 è stata realizzata un’esposizione dal titolo “Giro giro tondo.
Design for children” realizzata per la triennale Design Museum di Milano in cui una sezione
era dedicata ai cosiddetti Maestri (Montessori, Agazzi, e altri) visti come principali designer
dell’azione educativa sottolineando la connessione esistente tra pedagogia, didattica e
design. Uomini e donne che ribaltando l’idea di insegnamento tradizionale hanno
realizzato con le loro idee innovative una scuola nuova.
Per loro fu decisivo l’incontro con il direttore didattico Pietro Pasquali (1847-1921), che
aveva realizzato a Brescia una profonda riforma degli asili infantili.
Francesco Altea nel libro Il metodo di Rosa e Carolina Agazzi. Un valore educativo intatto
del tempo sottolinea che nel loro progetto erano presenti numerosi riferimenti ad altre
teorie pedagogiche:
Le sorelle Agazzi propongono un materiale “adatto” ai bambini, tratto dalla vita di tutti i
giorni, e non un materiale “adattato” come quello montessoriano, cioè costruito
appositamente dagli adulti.
Molta attenzione era dedicata all’atto del parlare, definito anche come parlare vivente, che
nasceva dalle conversazioni naturali dei bambini posti a contatto con gli oggetti e i
materiali. Si trattava di esercizi volti ad arricchire il lessico e a implementare le capacità
dialogiche, relazionali, argomentative. Lo scopo è imparare a esprimere un proprio
concetto intorno alle cose che già si conosce.
Come intendo il museo didattico nell’educazione della infanzia e della fanciullezza, 1922;
1. Studiare o ristudiare alcuni autori più antichi come Bacone, Comenio, Rousseau,
Pestalozzi, Filangeri, Voltaire, Herbart, Cuoco, Froebel, Spencer, Huxley, Ardigò,
De Dominicis, mantenendo come riferimento il metodo sperimentale di Galileo
Galilei;
2. Ricercare e studiare i programmi delle scuole delle altre nazioni;
3. Andare all’estero per verificare di persona la proposta relativa alle scuole nel bosco;
4. Individuare i punti cardine per la propria proposta educativa, sperimentandoli e
verificandoli;
5. Creare un comitato scientifico con cui condividere il programma innovativo,
confrontandosi sulle proposte, cercando un supporto culturale e finanziario.
Dopo la visita alle scuole nel bosco, dove gli alunni passavano gran parte del tempo
all’aperto ma continuavano a studiare col metodo dei cartelloni, Pizzigoni ha concluso che
non poteva bastare un ambiente salubre per modificare la scuola. Bisognava ribaltare il
concetto stesso di insegnamentoapprendimento. Ecco in sintesi i principi di base per
rinnovare il modo di fare la scuola:
Nel 1927 si inaugura la scuola Rinnovata, in via Castellino da Castello, 10 a Milano, che
vedeva nel progetto architettonico, la piena realizzazione del pensiero educativo
pizzigoniano. L’edificio scolastico progettato da Belloni è stato oggetto di critiche per
l’investimento economico sostanzioso, molto diverso dalle altre scuole. La scuola era
curata nei minimi dettagli con l’ambiente molto bello e funzionale, con porta-finestre per
poter uscire direttamente nel giardino da ogni aula. Fu una delle prime volte in cui didattica
e architettura si erano messe a dialogare.
Per Pizzigoni il metodo della “Rinnovata” vuole poche parole e molti fatti, mette
l’informazione e il libro al secondo posto; al primo posto mette il dar forza al corpo e allo
spirito dello scolaro, attraverso la vita in una scuola ricca di esperienza.
Attualmente in Italia vi sono due soli plessi che utilizzano il metodo Pizzigoni: Rinnovata e
Dante Alighieri a Milano, per poter insegnare in essi è necessario frequentare un corso
riconosciuto di differenziazione didattica.
Approfondimento 1
Che cosa vuol dire oggi essere una preside di una scuola a metodo
Pizzigoni?
Ancora oggi la scuola Rinnovata è sperimentale e ha una organizzazione didattica ad hoc:
i docenti devono avere un titolo specifico e sono assegnate in organico dal Ministero
dell’Istruzione risorse extra organico per la realizzazione del metodo. Ancora oggi la
fattoria didattica e gli spazi agricoli formano nello scolaro la capacità di osservare e trarre
delle conclusioni. Agli alunni di ogni classe viene dato in gestione un piccolo
appezzamento di terreno in cui devono decidere cosa coltivare e come organizzare la cura
del seminato. Al momento del raccolto devono gestire la vendita dei prodotti e la loro
pubblicizzazione, scegliendo anche come utilizzare il ricavato. In questo modo avviene il
processo di apprendimento per competenze.
Nell’anno del Covid è stata sperimentata la vendita on Line dei prodotti che l’agronomo
della scuola aveva coltivato durante il lockdown, aggiornando i bambini con videolezioni.
Gli alunni si sono impegnati anche nella pubblicazione di una rivista scolastica in formato
digitale.
1896 si laurea in medicina con una tesi in psichiatria, ottenendo un posto all’ospedale San
Giovanni.
1906 accetta un incarico come direttrice di alcune scuole per bambini dai tre a sette anni
nel quartiere
San Lorenzo. Si trattava di un progetto, ideato dall’ingegnere Eduardo Talamo, per la
riqualificazione di un quartiere povero e malfamato.
Il 6 gennaio 1907 si inaugurò in via dei Marsi al n. 58 la prima Casa dei Bambini.
Questo incarico le consentì di sperimentare il materiale didattico all’educazione dei sensi,
ideato per bambini con ritardo mentale, proponendo a bambini, senza difficoltà legate a
una specifica patologia, inseriti però in un contesto estremamente degradato. I risultati
ottenuti erano inaspettati, e la condussero a sistematizzare quanto osservava in modo
scientifico.
Nel 1935 Jean Piaget nel XV tomo dell’Encyclopèdie Française spiega così l’efficacia del
metodo
Montessori: nei primi stadi dello sviluppo il bambino apprende più con l’azione che con il
pensiero.
Un opportuno materiale, che serva ad alimentare l’azione, conduce alla conoscenza più
rapidamente rispetto a seppur ottimi libri.
Nel 1909 in occasione del primo corso di formazione tenuto da Montessori a Città di
Castello in Umbria è stato pubblicato Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato
all’educazione infantile nelle case dei bambini. Quello che l’aveva in particolare colpita era
l’enorme attenzione e concentrazione che i bambini avevano mostrato nei confronti del
materiale proposto.
Scoprimmo così che l’educazione non è ciò che il maestro dà, ma è un processo naturale
che si svolge spontaneamente nell’individuo umano; che essa non si acquisisce
ascoltando le parole, ma per virtù di esperienze effettuate nell’ambiente. (Montessori,
1970, p.6)
Ecco allora che vi è un ribaltamento del ruolo del docente che non deve continuamente
parlare, spiegare, correggere, ma ha compiti di conoscere bene il materiale, saperlo
presentare nella lezione, intervenire meno possibile, favorendo la capacità del bambino di
scoprire da solo.
1. Un’attenzione estetica e un’attrattività che agisce sul bambino (si tratta di oggetti
belli, accattivanti, facili da maneggiare, curati, con colori vivaci e forme armoniose);
2. L’attività proposta (gli oggetti sono facilmente maneggiabili e trasportabili dai
bambini anche piccoli);
3. Il controllo dell’errore (il materiale è progettato accuratamente per autocorreggersi,
senza l’intervento dell’adulto);
4. I limiti (in questo materiale non è previsto un eccesso di stimolazioni, come nella
vita reale, ma è individuato un solo aspetto approfondito).
In una prospettiva storica il metodo Montessori era criticato dagli esponenti del mondo
accademico e scolastico, soprattutto di formazione realista, neokantiana, idealista o
spiritualista.
Attualmente in Italia ci sono le 235 scuole a metodo Montessori (nidi, scuole primarie,
scuole secondarie di primo grado).
Approfondimento 2
Che cosa vuol dire oggi essere una preside di una scuola a metodo
Montessori?
L’Istituto Comprensivo “Riccardo Massa” di Milano, al cui interno funziona dall’anno
scolastico 1969/70 un plesso di scuola primaria a metodo Montessori, ha avviato una
sperimentazione della scuola secondaria di primo grado a indirizzo Montessori nel 2016.
Molti docenti utilizzano da anni metodi attivi, attraverso scelte metodologiche che
privilegino l’adozione di azioni cooperative e bandiscano le competitività, favoriscano il
tutoring, accolgano e valorizzano le diversità, spostino l’attenzione valutativa da una mera
somma a una consapevole differenziazione e personalizzazione. È quindi nello scambio
continuo e reciproco delle buone pratiche che si costruisce una comunità che accetta con
favore il principio che gli alunni si aiutino e facciano “gruppo” solidale.
Nei processi innovativi possono esserci tensioni, incomprensioni e addirittura conflitti tra
gruppi diversi di docenti che hanno impostazioni metodologico-didattiche diverse. Questo
comporta per il dirigente scolastico la necessità di diffondere a tutto il personale la
consapevolezza di appartenere a un’organizzazione complessa unitaria, in modo che le
persone superino la tendenza a operare come singoli.
9.7 Tecniche Freinet
Celestin Freinet (1896-1966) Gars, Francia.
A partire dal pensiero pedagogico e sociale di Celestin ed Elise Freinet in Italia nel 1951
nacque il MCE (Movimento di Cooperazione Educativa). Erano molti i docenti che
sentivano la necessità di condividere un’ipotesi di un’azione educativa marcatamente
democratica con priorità come: la cooperazione solidale, l’integrazione sociale, la
valorizzazione del lavoro.
Le tecniche non hanno nulla di definitivo in quanto sono soltanto delle risposte a bisogni
emergenti, ricavate in maniera sperimentale. Sono un esempio di atteggiamento dinamico,
non dogmatico verso le esigenze educative. Basta guardare agli schedari autocorrettivi,
all’uso stesso della tipografia a scuola, ai piani di lavoro e ai sistemi di valutazione.
Freinet ha voluto definire in termini di “metodo” le procedure operative via via messe a
punto, come risposta a precisi bisogni. Inoltre, egli considerava scorretto parlare di metodo
nei confronti di una pedagogia popolare che ancora mancava di basi sicure,
scientificamente provate su cui fondare i sistemi educativi.
Il metodo Steiner-Waldorf conta oltre 2600 istituti nei vari continenti, dal nido alla scuola
superiore, di cui 97 in Italia. L’ideatore di questa proposta è Rudolf Steiner (1861-1925),
fondatore dell’antroposofia, che sperimentò molte esperienze pratiche e riflessioni nel
campo della pedagogia anche terapeutica, arrivando negli anni Venti a definire un diverso
tipo di progetto educativo.
Nel 1919 Rudolf Steiner fu invitato a organizzare una scuola per i figli degli operai presso
la fabbrica di sigarette Waldorf-Astoria.
In Italia la prima scuola steineriana è stata realizzata negli anni Quaranta. Questo percorso
prevede da parte dell’educatore una conoscenza approfondita di quello che viene definito
l’uomo quale essere triarticolato, ovvero diviso nelle capacità di pensare, sentire e
volere. Per favorire questo sviluppo vengono tenute presenti le facoltà cognitivo-
intellettuali (pensiero), creativo-artistiche (sentimento), pratico-artigianali (volontà).
Due argomenti che caratterizzano questo metodo sono una grande attenzione rivolta alle
discipline artistiche quali: arti, arti plastiche, musica, teatro, pittura, lavori manuali e
artigianato, oltre a una differente suddivisione degli argomenti. Viene proposta anche
l’euritmia.1
Si precisa che queste scuole non appartengono all’elenco dei metodi riconosciuti dal
Ministero e per questo motivo devono essere realizzati degli esami esterni nei momenti dei
passaggi ai successivi ordini scolastici. La formazione dei docenti è legata a un rigoroso
percorso di autoeducazione connesso a una crescita interiore, il maestro non esprime né
voti, né valutazione.
1 L'euritmia è un’arte del movimento basata sui principi esoterici propri dell'antroposofia. È stata creata da Rudolf
Steiner insieme alla danzatrice Lory Maier-Smits. Secondo Steiner l'euritmia può fornire una connessione diretta fra chi
la pratica e il mondo supersensoriale. Avrebbe inoltre finalità curative. (Wikipedia)
Loris Malaguzzi e il Reggio Emilia Approach
Nel 1970 diventa Direttore delle scuole dell’infanzia e poi dei nidi.
Loris Malaguzzi ha condiviso con i propri collaboratori delle aspettative altissime nei
confronti dei bambini: non aspettative di prestazioni, di risultati quantificabili, bensì di
fiducia che i bambini fossero interessati a tutto, capaci di trovare un senso nelle occasioni
e nelle piste offerte dalla città, dalle cose, dagli animali, dalla natura; fiducia che avessero
la capacità di raccontare, di sentire.
Creatore di questo progetto è Marco Orsi. Si tratta di una proposta che sta riscuotendo un
grandissimo successo nelle scuole attuali, molte sono le istituzioni scolastiche che
chiedono di poter aderire a questa rete.
Senza Zaino è una rete di scuole, attive da oltre dieci anni, il cui modello educativo è
fondato sui valori dell’ospitalità, della responsabilità e della comunità. Non serve più lo
zaino, perché tutto il materiale è a scuola, uguale per tutti, condiviso, rispettato e curato.
Tavoli di lavoro sono quadrati o modulari e le lezioni sono concordate con i ragazzi
all’inizio della giornata.
Lo zaino è un simbolo di una costante non appartenenza al luogo, in questo caso la
scuola. Togliere lo zaino significa riprogettare l’ambiente formativo con la partecipazione
attiva di alunni, genitori e docenti.
CAP. 10
SCUOLA E TERRITORIO
10.1 UNA SCUOLA CHE APRE LE SUE PORTE
Alcune prospettive pedagogiche sull'antica frattura tra l'universo della scuola e quello della
vita:
Edgar Morin nel 1921 aggiunge:"La nostra educazione ci insegna solo molto parzialmente
a vivere...perchè ignora i problemi del vivere..".
Queste posizioni trovano origine nel fatto che la scuola si è posta come uno spazio "altro",
separato dalla vita, codificato grazie a uno schema ben preciso: divisione degli allievi,
consolidamento degli apprendimenti mediante una strutturazione formale delle prestazioni,
valutazioni periodiche, ammissioni o bocciature, suddivisioni per merito o ceto,
certificazioni in uscita. Tutta questa organizzazione per un unico fine: trasmettere la
conoscenza già stabilita a priori per tramandare uno status sociale legato a valori morali
ed economici che si voleva mantenere immutato.
Il territorio può essere definito come l'insieme di natura, ambiente, paesaggi, musei, teatri,
biblioteche, archivi, patrimoni culturali di vario genere, la società civile stessa con cui la
scuola, uscendo dai propri cancelli, si relaziona. Se poi consideriamo il territorio in
prospettiva geografica, ossia un lembo di superficie sottoposto a un processo di
appropriazione da parte di una comunità, capiamo quanto sia importante far impadronire
gli alunni di ciò che sta fuori il cancello scolastico per far sì che possano esercitare la
cittadinanza attiva poichè ci si può occupare solo di ciò che si conosce e si sente "proprio".
Quando allora si parla di contatto e relazione con il territorio, non parliamo di qualcosa di
straordinario ma di qualcosa che avviene nel quotidiano, che modella l'insegnamento
stesso. Un'istituzione che si muove in questa direzione ovviamente tende a trasmettere
un'idea di cultura condivisa e non elitaria che partecipa al dibattito politico e culturale,
forgiando la sua opera sulle parole di Freinet, Freire, Don Lorenzo Milani.
L'idea oggi è che la scuola debba inserirsi nella società e ci si chiede "come " possa farlo,
quali modalità utilizzare tenendo presente il continuo flusso tra l'entrare e l'uscire di saperi,
informazioni, contatti. Così le Indicazioni Nazionali del 2012 colgono questo passaggio:"
Ogni specifico territorio possiede legami con le varie aree del mondo e con ciò stesso
costituisce un microcosmo che su scala locale riproduce opportunità, interazioni, tensioni,
convivenze globali".
Lo sviluppo è definito come una modificazione permanente del modo in cui un individuo
percepisce e affronta il suo ambiente. Per ambiente ecologico si intende uno spazio
concepito come un insieme di strutture una dentro l'altra, come le bambole russe. Al livello
più interno c'è la casa , l'aula, il laboratorio..e quindi un terreno familiare. Il passo
successivo ci invita a considerare le relazioni fra gli ambienti e queste sono
importantissime per lo sviluppo del bambino, tanto da influenzarlo più degli eventi stessi.
Per esempio, se il bambino impara velocemente o meno a leggere non dipende solo dalle
capacità dell'insegnante ma soprattutto dal rapporto fra scuola e casa e dalla loro natura.
Il terzo livello ci invita ad ammettere che lo sviluppo del bambino può dipendere da eventi
ai qiali il bambino non è neanche presente. Per esempio lo sviluppo può essere influenzato
dalla professione dei genitori.
Infine, ogni cultura ha situazioni ambientali simili, per esempio la casa, la strada, l'ufficio,
mentre queste cambiano passando da una cultura all'altra. E' come se all'interno di ogni
società esistesse uno schema per l'organizzazione di ogni situazione ambientale che,
volendo, potrebbe essere modificato con il risultato di alterare comportamenti e sviluppo.
Tutto ciò può essere definito in termini più astratti: il complesso di interrelazioni fra le
persone che si occupano del bambino sarà chiamato microsistema. Di queste relazioni ce
ne saranno alcune alle quali l'individuo partecipa personalmente e queste costituiscono i
mesosistemi; poi ci saranno quelle a cui l'individuo non prende proprio parte ma che lo
influenzeranno nel suo sviluppo e sono gli ecosistemi. Infine, tutti questi sistemi sono
considerati una manifestazione di modelli gerarchici di tipo ideologico e organizzativo e
sono prodotti dalle società e dalle varie culture, inseriti gli uni negli altri e danno origine ai
macrosistemi. Quindi, in una stessa società i micro- meso-eco sistemi tendono ad essere
simili mentre in culture diverse, i sistemi costituenti possono variare in modo marcato. Si
deduce che mettendo a confronto gruppi sociali differenti, si può sistematicamente
descrivere e distinguere le caratteristiche ecologiche di una società poichè questi ambienti
determinano lo sviluppo umano.
10.2 SCUOLA E NATURA
Che cosa si intende per natura? Negli ultimi decenni si sta recuperando un concetto più
primitivo della vita umana e nello specifico delle prime fasi della vita di bambini e ragazzi.
Si cerca un contatto con la terra, con i suoi ritmi. Questo interesse si era colto fin dal
passato e si erano delineate due vie: sviluppo del bambino seguendo un andamento
naturale assecondando i tempi propri della vita e presenza di ambienti naturali per
sviluppare al meglio il portato educativo.
Rousseau (1712-1778) può essere considerato uno tra i più illustri difensori dell'ambiente
naturale in cui deve crescere il bambino. Infatti dice:"Mantenete il fanciullo nella sola
dipendenza delle cose ed avrete seguito l'ordine della natura nel progresso della sua
educazione". L'adulto non deve dare le risposte ma lasciare il tempop affinchè l'allievo trovi
le soluzioni: " Non impari la scienza ma la inventi".
In questo ovviamente il corpo assume notevole importanza poichè è il primo contatto con il
mondo.
Frobel (1782-1851) realizza nel 1839 il suo primo giardino d'infanzia, progettando spazi
dove il bambino potesse giocare liberamente all'aria aperta e dove venissero allestiti anche
orti destinati alla coltivazione dei bambini e laddove ciò fosse impedito a causa degli spazi
ridotti, l'autore ipotizza l'uso di cassette o vasi dove poter seminare.
Maria Montessori (1870-1952) sostiene:" il fatto più importante risiede nel liberare
possibilmente il fanciullo dai legami che lo isolano nella vita artificiale creata dalla
convivenza cittadina". Qui si prospetta addirittura che il bambino entri in contatto con
l'acqua, il sole per far sì che l'anima non rattrappisca; liberare i bambini da abiti troppo
ingessati e addirittura farli correre con i piedi nudi nell'erba fresca.
Punti focali di ogni azione educativa sono: l'orto della classe, i campi e il lavoro della terra.
Ogni allievo studia annualmente con qualche profondità lo sviluppo di 4 o 5 piante. Così il
lavoro della terra diventa l'asse attorno al quale ruotano tutte le altre discipline: italiano,
matematica, geometria, disegno, geografia...Quindi si realizza quella complementarietà fra
il dentro, aula, e il fuori, spazi verdi coltivati. Tutto ciò, dice la Pizzigoni, rende in
educazione e in danaro: rende in quanto rafforza l'amore per la terra e promuove
l'orientamento professionale in quel senso.
Anche l'edificio scolastico è progettato in maniera dettagliata, per cui ogni classe deve
avere un'uscita diretta sul cortile. (fiori in giardino e pure in classe).
Howard Gardner scrive un saggio sulla pluralità delle intelligenze nel 1983 e nell'ottava
menziona quella naturalistica o anche " arte di arrangiarsi nella natura". Egli
sostiene:"l'intelligenza naturalistica è la capacità di riconoscere piante ed animali...tutti
sappiamo farlo ma....alcuni eccellono in questo campo. Questa abilità oggi è stata dirottata
sull'osservazione di oggetti creati dall'uomo piuttosto che sulla natura. Infatti molti sono
bravissimi nel riconoscere un'auto per esempio, mentre i nostri antenati dovevano essere
in grado di riconoscere animali carnivori, serpenti velenosi o funghi commestibili". Disturbi
da deficit di natura.
Così si è iniziato a parlare di disturbi da deficit di natura, frase coniata da Richard Louv nel
libro "l'ultimo bambino nei boschi, come riavvicinare i nostri figli alla natura". Il problema
risiederebbe proprio nella mancanza di un contatto con la natura nel quotidiano che ha
portato ad un'atrofizzazione delle capacità sensoriali. La natura, invece, obbliga il bambino
all'utilizzo dei 5 sensi e lo costringe ad odorare, ascoltare, toccare, vedere, gustare.
Nella prefazione al libro di Louv, Silvia Vegetti Finzi (1938), dice che come primo passo è
necessario riportare l'attenzione al corpo ricreando il binomio vita e natura. Il nostro corpo
non è un accessorio, noi siamo il nostro corpo. Per cui, i bambini sentono il bisogno di
quelle cose che non si possono comprare come l'aria, la terra, l'acqua, l'erba, le piante, gli
animali.
Un mondo che allontana i bambini dal contatto con l'ambiente esterno
Il mondo attuale è per i bambini un ambiente pieno di divieti e di cose da non fare. la
conseguenza è che il mondo, privo di bambini diventa più pericoloso per il bambino che vi
si avventura. Anche i giardini scolastici perdono la loro segretezza: il bambino è sempre
controllato da un adulto e non può mai esplorare liberamente, ossia quando lo desidera.
raramente si scende in giardino (se non piove, a ricreazione...).Anche l'esperienza risulta
impoverita: i bambini non vivono esperienze primarie, ma secondarie ossia offerte dalla
televisione, cioè vissute da altri e da loro fruite in modo passivo.
Spesso anche le esperienze primarie sono già filtrate dall'adulto di turno e quindi
sterilizzate. Già Dewey (1859-1952) ci aveva parlato di offrire eperienze grezze, non finite
e piene di difficoltà.
Gianfranco Zavalloni (1957-2012) ci parla di orti della pace in contrapposizione agli orti
fascisti chiamati "della guerra". Lui scrive il testo "La pedagogia della lumaca. Per una
scuola lenta e nonviolenta" prospettando la possibilità di intervenire sui ritmi artificiali e
competitivi che vengono imposti agli alunni. Coltivare un orto a scuola significa "rallentare":
c'è l'attesa, la pazienza, la maturazione della capacità previsionale.
Infine si ricorda la stesura dei "Diritti naturali dei bambini" (2003) di cui è bene ricordare i 3
principali: 1. diritto all'ozio a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti; 2.
diritto a sporcarsi a giocare con la sabbia, la terra, l'erba, le foglie, l'acqua, i sassi, i rametti;
3. diritto agli odori a percepire il gusto degli odori, riconoscere i profumi offerti dalla natura.
Iniziano così numerose esperienze come le forest school, vere e proprie scuole create nei
boschi, dove la scelta educativa è quella di immergere i bambini nella natura. Il nome che
accomuna queste esperienze è OUTDOOR EDUCATION. Con queste occasioni ci si
rivolge anche agli adulti che vogliono misurarsi con gli altri in contesti differenti da quelli
che abitualmente frequentano.
Ma cosa si intende per natura? Se guardiamo i nostri giardini ci rendiamo conto della mano
dell'uomo che agisce su di essi. Così risulta essere più corretto parlare di "nature" come
sostiene Van Aken. Dice Louv che ci sono due significati principali: uno deriva dal verbo
latino nasci cioè nascere e l'altro è legato al concetto di "vita all'aria aperta". Ma se
focalizziamo la nostra attenzione sulle varie culture, ci rendiamo conto che il discorso si
amplia. La natura presentata ai bambini nei cartoni animati è umanizzata, già interpretata;
c'è poi una natura nascosta nelle città: cortili , giardinetti e parchi. Questa si allarga se
pensiamo alla campagna e all'agricoltura fuori città. Questa è forse la natura con cui la
scuola può confrontarsi. Si tratta di full immersion ossia un'immersione totale dove i
bsmbini apprendono vivendo in giardino. Così anche l'adulto può immergersi
accompagnando i bambini nelle loro scoperte aiutandoli a rielaborare le esperienze che
compiono.
1. sull'ambiente
2. nell'ambiente
3. per l'ambiente
Dunque il contesto in cui i bambini vivono diventa un vero e proprio testo, cioè uno spazio
vivo, in cui costruire insieme ai bambini i saperi. Ovviamente, far sperimentare ai bambini
nuove esperienze di ricerca e di scoperta all'esterno è molto più complesso e faticoso,
rispetto a tenere una lezione di esclusivo insegnamento frontale in classe, ma più ricchi e
inaspettati sono i frutti di queste pratiche.
Natura e paesaggio
Questa concezione del paesaggio viene ad avere importanti ripercussioni sul sistema
educativo ed è così che la conoscenza del paesaggio viene a declinarsi nelle discipline, in
tutte le discipline. Per comprendere un paesaggio occorre anzitutto guardarlo e quindi
immergersi in esso. Nell'antichità la parola vista e conoscenza erano sinonimi. Così ci
poniamo in una posizione di dialogo nello sviluppo della dialettica tra identità e diversità-
alterità.
La dimensione naturale e umana diventano elemento cogente del nostro stesso patrimonio
culturale. Nei confronti del paesaggio possiamo mettere in atto azioni educative:
osservazione attiva, sperimentazione...L'idea è quella di prendere coscienza diretta del
contesto in cui si vive e dei contesti che di volta in volta ci si pongono davanti.
Con i termini Patrimonio o bene culturale ci si riferisce ai musei, alle biblioteche, alle aree e
ai parchi archeologici....Il concetto di bene culturale ha pian piano sostituito quello di
patrimonio perche il termine ha il vantaggio di includere anche i beni immateriali e quindi
libera la tutela da una concezione "monumentale". Bene culturale esprime la ricchezza del
fenomeno, sotto il segno di un solo denominatore:la cultura. Anche se ancora è molto
diffuso il termine cultural heritage, negli ultimi anni il termine bene culturale fa la sua
comparsa nei documenti ufficiali dell'Unione Europea. Spesso le scuole hanno "adottato"
monumenti con dei progetti volti a proteggere il nostro patrimonio. Nel 2015 è stato siglato
un protocollo d'intesa fra il MIUR e il MIBACT (Ministero dei beni e delle attività culturali e
del turismo) per unire la scuola e i beni culturali. Così la scuola si è aperta verso musei,
monumenti, biblioteche uscendo dal proprio spazio alla ricerca di un patrimonio molto
spesso dimenticato, da utilizzare come tramite immediato di conoscenza.
Andare al museo
La scuola da moltissimi anni ha imparato a confrontarsi con i musei. In America, già dalla
fine del Settecento molti musei avevano mostrato la loro attenzione per le istituzioni
scolastiche. george Brown, dal 1887, sostiene che la cultura popolare potrà ampliarsi con
l'utilizzo di musei, delle biblioteche e dei laboratori. Sempre negli Stati Uniti nel 1938
erano previste delle ore di museo come materia al pari delle altre.
In Francia, sempre nel '38 ci si interrogava su quale fosse il modo migliore per far visitare i
musei: il buon maestro deve conoscere per primo ciò che si andrà a visitare e far puntare
l'attenzione dei bambini su una cosa o su un'altra, dirigendo il processo di conoscenza.
C'è da sottolineare il fatto che il museo veniva visto come un luogo non adatto
all'educazione ma come luogo per conservare o comunque per estimatori. Così l'ICOM
( International Council of Museums) ha sciolto ogni dubbio definendo il museo come luogo
in cui si effettuano ricerche concernenti le testimonianze materiali dell'uomo e del suo
ambiente. Queste vengono acquisite, conservate, comunicate ed esposte ai fini di studio,
di educazione e di diletto.
Il museo nel suo rapporto con la scuola ha attraversato diverse concezioni:
descolarizzazione ossia l'azione di quei musei che non vogliono proporre alcun
programma per le scuole; parascolarizzazione ossia quei musei che pensano a questo
luogo come un prolungamento della vita scolastica; armonizzazione ossia riconoscimento
delle specifiche diversità e obiettivi fra scuola e museo capaci di confrontarsi e cooperare.
C'è da dire che quando una scuola si reca al museo porta con sè le caratteristiche della
formalità poichè il percorso viene scelto dal docente, la proposta è uguale per tutti gli
alunni, i tempi sono scanditi ed omogenei, le alternative individuali sono poche o nulle.
Oggi ogni museo propone percorsi diversi per i vari pubblici, non solo scolastici e punta
alla partecipazione diretta delle persone. I musei sono molto numerosi in Italia ed è
importante che le scuole ci si rechino per confrontarsi con oggetti culturali (scientifici,
artistici, storici, antropologici..) e riflettere accanto ad opere originali è ovviamente
differente dal lavorare sulle riproduzioni. Partecipando in maniera attiva al museo,
interviene l'azione riflessiva e partecipata: non ci sono risposte prestabilite e il bambino si
pone in modo nuovo di fronte all'oggetto.
Chi frequenta il museo è diventato elemento imprescindibile per la vita stessa di tale
istituzione. Come sostiene Hooper, l'atto del conoscere prende forma nel momento
dell'esperienza e nel museo il soggetto che apprende e il soggetto che insegna hanno
uguali poteri poichè la conoscenza è raggiunta soprattutto attraverso lo scambio
vicendevole, il rapporto con gli altri.
Grazie alle varie forme di partecipazione nate dal contatto con i beni culturali, l'idea che
prende corpo è di creare una comunità sempre più ampia , verso la quale, fin da molto
piccoli, si deve imparare a rapportarsi, condividendo e partecipando pienamente a questo
mondo. Le Indicazioni Nazionali ci dicono che "il sistema educativo deve formare cittadini
in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e
composite, siano quella nazionale, europea e mondiale. Quindi si punta alla costruzione di
una società che si apra e si contamini costantemente con l'esterno e che si confronti con i
modi anche del fare politica, intesa come partecipazione attiva a più alti gradi.
Lavorare con, sul, nel territorio diventa un modo per sanare la frattura fra sistema
educativo e vita reale per permettere di riappropriarci del mondo e crescere in autonomia,
allontanando lo spettro in educazione della totale dipendenza dall'adulto. Passaggio
cruciale diventa quindi il cercare di "dare rilievo alla dimensione pubblica
dell'esistenza"(Mortari), riscoprendo una dimensione politica che Platone afferma "non è
un dono di natura e nemmeno del caso, ma è insegnabile e che la possiede l'acquista con
il prendersi cura di questo apprendimento".