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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DEL MOLISE

CORSO DI PEDAGOGIA DELLA RELAZIONE D'AIUTO

Prof. Refrigeri Luca

LAVORO FINALE
INDICE

1. LA RELAZIONE EDUCATIVA E LA RELAZIONE D'AIUTO.

QUESTIONI TEORICHE

1.1 LE PRINCIPALI TEORIE EDUCATIVE BASATE SULLA RELAZIONE

EDUCATIVA

2. LA RELAZIONE EDUCATIVA CON LO STUDENTE

3. LA RELAZIONE FORMATIVA TRA DOCENTI

3.1 L’IMPORTANZA DEL CONSIGLIO DI CLASSE

4. L'EDUCAZIONE PER LE RELAZIONI IN CLASSE: TEORIE E

TECNICHE OLTRE LA CONCLUSIONE DEL PROGRAMMA

4.1 LA RELAZIONE EDUCATIVA

4.2 TEORIE E TECNICHE

5. LA RELAZIONE EDUCATIVA CON LA FAMIGLIA

5.1 L’IMPORTANZA DELLA RELAZIONE

5.2 IL COINVOLGIMENTO DEI GENITORI

5. UNA PROPOSTA DI RELAZIONE D'AIUTO IN CLASSE

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
1. LA RELAZIONE EDUCATIVA E LA RELAZIONE D'AIUTO. QUESTIONI

TEORICHE

Partendo dall’assunto che la relazione sia un rapporto che collega, in maniera essenziale

o accidentale, due o più cose, fatti, concetti; è opinione diffusa che in ogni relazione ci

sia dell’educativo, certo è che l’educazione passa sempre attraverso una relazione e per

questo che alla relazione educativa è necessario prestare un’attenzione pedagogica

particolare.

La relazione educativa è caratterizzata da componenti affettive e sociali. Essa è una

forma di relazione d'aiuto che presuppone l'impegno da parte dell'insegnante a prendersi

cura della formazione e della crescita degli studenti. In ambito educativo la relazione

d'aiuto va a sostanziarsi in vari modi dal contenimento emotivo all'educazione del futuro

cittadino.

Nella relazione d'aiuto si configurano diversi ambiti di intervento (dal clinico al

giuridico) ma quello che a noi interessa è quello educativo. Punto fermo è il

riconoscimento dell'altro come persona con la quale elaborare una progettualità per

affrontare il problema, avvalendosi delle risorse di cui dispone, cercando di fargli

raggiungere dei risultati. E' importante entrare nella relazione con autenticità,

congruenza, empatia riconoscendo le risorse del soggetto. La competenza professionale

dell'insegnante si avvale proprio della capacità di costruire una relazione educativa

pedagogicamente fondata, in cui le dimensioni affettive e sociali siano commisurate ai

bisogni, alle caratteristiche dell'allievo, agli obiettivi dell'intervento educativo, flessibili

alle circostanze e ai cambiamenti che via via la relazione stessa produce nell'allievo.

E' la relazione educativa che detta i comportamenti di ciascuno dei due soggetti,

educatore ed educando, i quali divengono reciprocamente insegnante e alunno soltanto


all’interno di tale ambito specifico assegnando loro ruoli differenti, ma di pari

importanza. Anche l’educatore apprende e cambia, nella e attraverso la relazione

educativa, ed è per questo motivo che tale tipo di relazione viene considerata all’insegna

della reciprocità.

1.1 LE PRINCIPALI TEORIE EDUCATIVE BASATE SULLA RELAZIONE

EDUCATIVA

La teoria psicoanalitica

La psicoanalisi, corrente scientifica fondata da Sigmund Freud, è nata in campo medico.

Applicata al campo educativo, la psicanalisi concentra la sua attenzione alle motivazioni

dei comportamenti di alunni e docenti e sostiene che essi siano originati da dinamiche

inconsce. Secondo la teoria psicoanalitica, la classe è il campo di un incontro/scontro di

forze inconsce che emergono attraverso una grande varietà di sintomi: esplosioni di

collera, forme di mutismo, insuccessi scolastici. La psicoanalisi studia tali sintomi e li

interpreta per ricercare le cause profonde che ne sono all'origine, senza trascurare, nel

caso di specie, la storia personale di un adolescente. L'immagine di sé si costruisce

attraverso un lungo percorso, a partire dal rapporto con la madre e con le altre figure di

riferimento e ogni relazione incide profondamente sul modo di comportarsi. Essa aiuta a

chiarire la ricchezza della relazione educativa e offre agli insegnanti strumenti utili per

capire non solo gli studenti ma anche se stessi. Secondo la psicoanalisi, nel rapporto con

gli allievi un'insegnante è spinto a rivivere la propria infanzia. Controllando le proprie

emozioni, il maestro può rispondere adeguatamente ai comportamenti inconsci del

bambino e dell'adolescente e aiutarlo a risolvere le difficoltà eventualmente incontrate.


La teoria umanista

La psicologia umanista prende in esame il comportamento del docente e i suoi effetti

sull'alunno. Carl Rogers ha elaborato una forma di psicoterapia basata sul rapporto di

parità tra terapeuta e paziente. Ispirandosi a questo approccio, un insegnante, per

risultare efficace e significativo, deve essere flessibile e spostare il suo interesse dai

contenuti al soggetto della relazione educativa. Una pratica didattica ispirata alla teoria

umanista, secondo Rogers, richiede tre atteggiamenti chiave:

Autenticità o congruenza che è la capacità di essere spontanei e trasparenti;

Considerazione positiva incondizionata dei vissuti dell’altro, riconoscendo all’altro la

libertà di provarli;

Comprensione empatica che è la capacità di sintonizzarsi e comprendere gli stati

emotivi e cognitivi dell’altro, L’empatia è strettamente connessa alla sospensione del

giudizio, dissolve l’alienazione e riporta l’uomo al centro della sua esperienza.

Secondo Rogers, la scuola deve creare individui aperti alla novità e alle trasformazioni.

L'educatore deve insegnare a imparare. L'allievo dovrà poi essere in grado di valutare da

solo l'apprendimento per il successo scolastico. La relazione educativa ha il compito di

favorire la metacognizione ossia l'autovalutazione dei risultati conseguiti.

La teoria sistemica

La psicologia sistemica analizza la relazione educativa partendo da due presupposti:

tutto è comunicazione e il mondo psichico è un sistema. Secondo Paul Watzlawick, uno

dei più noti esponenti dell'approccio sistemico, per spiegare un singolo fenomeno,

occorre prendere in considerazione tutto il suo contesto. Ciò significa che l'improvviso

insuccesso scolastico di un ragazzo potrà essere spiegato esaminando il contesto o i


contesti di vita dello stesso (famiglia, classe, gruppo dei pari). L'educatore deve favorire

la riorganizzazione interna ogni volta che un nuovo elemento turba l'equilibrio

precedente. Nel gruppo egli deve individuare le persone chiave che renderebbero

possibile il mutamento collettivo. Tiene sotto controllo l'ansia o stimola l'attenzione

quando si presenta un problema o viene assegnato un compito: un'ansia eccessiva può

spingere alla fuga di fronte al compito da affrontare mentre un livello troppo basso di

ansia determina una bassa motivazione. Ogni volta che un problema viene risolto, si

crea un nuovo tipo di stabilità dinamica. Sulla base di queste considerazioni l'approccio

sistemico sottolinea come le abilità relazionali dell'educatore siano strutture

internazionali, perché l'educatore deve essere capace di interagire nel modo opportuno

sia con il singolo sia con il gruppo.


2. LA RELAZIONE EDUCATIVA CON LO STUDENTE

Il rapporto tra educatore ed educando si concretizza attraverso i processi di

apprendimento di socializzazione ed è quindi un luogo di scambio, di collaborazione e

di cooperazione tra i soggetti coinvolti, per cui la forma che assume la relazione

insegnante-alunno è una delle caratteristiche fondamentali per un metodo educativo

efficace.

L’importanza della qualità della relazione fra insegnante e alunno, come fattore

determinante il benessere dello studente, è cosa documentata da tempo. Gli studenti

passano molte ore con i loro insegnanti e i docenti utilizzano queste ore per aiutare i

loro allievi ad acquisire le conoscenze e le competenze nell’ambito dei saperi. Inoltre,

essi forniscono ai propri discenti la competenza sociale, ovvero quegli strumenti che

agevoleranno nel futuro l’ingresso nella società.

La connotazione emotiva della relazione educatore-educando è fondamentale, in quanto

solo un legame emotivamente valido è in grado di determinare, in maniera autentica,

l’apprendimento degli allievi.

Per promuovere la crescita relazionale e affettiva degli alunni è importante che venga

favorito un clima di classe positivo, attraverso la condivisione di prassi metodologiche

fondamentali e l’attuazione di percorsi diversificati in base alle capacità degli studenti,

alla loro crescita psicologica e alla maturazione della loro identità personale e sociale e

quindi rispettando le diverse esigenze, favorendo l’emergere dell'unicità di ciascun

allievo. Con un ambiente di apprendimento favorevole, nel quale lo studente si sente

accolto, è più facile far passare anche gli insegnamenti, spesso giudicati inutili e noiosi,

che vengono finalmente percepiti come strumenti adatti ad acquisire un ruolo di


protagonista attivo nella propria vita e nella società in cui vive.

Ma come deve essere, dunque, nella pratica un insegnante che sia anche un valido

educatore?

Il ruolo di un insegnante deve convergere necessariamente in quello di guida. Questa

guida è legittima solo quando si basa sull’autorevolezza e sulla competenza pedagogica

con cui l’educatore sa come promuovere la crescita dell’educando fino alla piena

autonomia e responsabilità personale.

Quando l’educatore interviene attraverso funzioni orientative e regolative ed è

riconosciuto dagli educandi come persona che possiede competenze oggettive ed è

percepita e accettata la sua preminenza, si può dire che egli svolge il ruolo di guida

autorevole. Le comunicazioni non esercitano il potere, non si fondano sui tratti personali

dell’educatore, ma sulle esigenze oggettive (la necessità di supporto, l’educabilità delle

persone, i contenuti e gli obiettivi).

Le forme concrete di interventi educativi in funzione di guida autorevole sono le

seguenti:

1. promozione della partecipazione alla gestione delle attività (promozione della

decisione comune e della collaborazione);

2. creazione di uno spazio per fare scelte in rapporto al proprio sviluppo e

maturazione;

3. orientamento dell’attenzione degli educandi sui contenuti della propria vita (non

indottrinamento, ma aiuto e accompagnamento nel definire il progetto di vita);

4. guida regolativa ovvero curare la disciplina attraverso interventi regolativi (non


sottomissione, ma corresponsabilità attraverso la comprensione delle regole di

vita sociale, prudenza nei casi di trasgressione delle norme);

5. guida educativa e compatibilità ovvero facilitare il raggiungimento della

compatibilità delle aspettative proprie con quelle degli altri.

Nel processo dell’educazione così regolato, si otterrà il risultato pedagogico più

importante: l’educatore passa dal controllo all’autonomia dell’educando, diventando

sempre meno indispensabile.


3. LA RELAZIONE FORMATIVA TRA DOCENTI

ll passaggio da una didattica fortemente incentrata sull’insegnante ad una didattica

capace di riconoscere il protagonismo di ragazze e ragazzi e sostenerne la

partecipazione attiva, infatti, richiede grandi cambiamenti nel modo di gestire le classi

ed organizzare l’insegnamento e l’apprendimento.

Risulta importante prendere in considerazione i seguenti aspetti:

 Favorire occasioni di scambio tra docenti di una stessa classe, della stessa

scuola, ma anche di scuole diverse al fine di arricchire ed integrare metodologie

didattiche, confrontarsi su criticità e strategie individuate per affrontarle.

Possono essere coinvolti esperti esterni che si propongono nel ruolo di

facilitatori.

 Implementare percorsi di Ricerca–Azione, in cui un formatore esterno può,

insieme agli insegnanti, delineare un problema oggetto della ricerca e definire

una via di cambiamento e sviluppo da sperimentare, accompagnando poi la

scuola nella sua realizzazione.

 Promuovere una formazione dei docenti incentrata sulle competenze socio-

emotive, essenziali non solo per il ruolo di insegnante, ma anche per la persona

stessa: grazie ad una maggiore competenza nella propria sfera emotiva, si può

raggiungere infatti una maggiore autocoscienza.

 Attivare gruppi di riflessione e crescita professionale tra insegnanti che diano

avvio a percorsi di cambiamento delle pratiche didattiche.

 Individuare docenti referenti, specializzati in determinate aree formativo-

educative che possano supportare i colleghi nell’individuazione di percorsi


formativi specializzati o avviare percorsi di formazione interni alla comunità

scolastica.

 Avviare percorsi multi-professionali che prevedano lo scambio di competenze

tra docenti, ma anche con figure educative esterne alla scuola che collaborano

con la scuola stessa per la realizzazione di percorsi formativi extrascolastici.

3.1. L’IMPORTANZA DEL CONSIGLIO DI CLASSE

Gli insegnanti, sulla base della loro esperienza, sottolineano l’importanza del dialogo e

dello scambio con i colleghi all’interno del consiglio di classe, come opportunità di

formazione e di crescita professionale ed occasione di acquisire e potenziare le proprie

competenze.

Il consiglio di classe è il gruppo di lavoro maggiormente significativo, ha quindi la

possibilità di sviluppare strategie comuni per alunne ed alunni che mostrano

disaffezione alla scuola e riconosce in questa condivisione di problemi e progettazione

la più utilizzata modalità per sviluppare le competenze professionali per il contrasto alla

povertà educativa.
4. L’EDUCAZIONE PER LE RELAZIONI IN CLASSE: TEORIE E TECNICHE

OLTRE LA CONCLUSIONE DEL PROGRAMMA

4.1. LA RELAZIONE EDUCATIVA

Il presupposto principale della relazione educativa è il “prendersi cura” da parte

dell’insegnante della formazione e della crescita degli studenti.

Un punto fermo della relazione di aiuto è la presenza di una relazione dove l’altro non è

visto come un oggetto di intervento ma riconosciuto come persona, con la quale

elaborare una progettualità per affrontare il problema, avvalendosi delle risorse di cui

dispone, cercando di fargli raggiungere dei risultati in tempi brevi.

Il ricevere però, rischia di mettere l’altro in condizione di inferiorità perché convinto di

essere inferiore al donatore. A riguardo, quindi, risulta doveroso avere fiducia nelle

capacità del ricevente e possedere una preparazione adeguata a livello comunicativo e

relazionale.

4.2. TEORIE E TECNICHE

Nella classe avviene il ciclo di vita di un gruppo particolare perché, seppur costituito

all’interno di un codice istituzionale normativo, può assumere aspetti e modalità di

relazione molto differenziate, per due motivi:

 la forma istituzionale della classe varia molto a secondo delle diverse politiche

educative nazionali: può essere rigida, stabile e vincolante oppure elettiva,

occasionale e mutevole a seconda delle ore e delle discipline;

 a seconda delle persone che la compongono e delle relazioni che si instaurano

tra di loro, la classe cambia personalità. In particolare, come si evince dalla


tabella possiamo avere diverse tipologie di classi, a cui corrispondono diverse

tipologie di relazioni

Le relazioni indicate sono quelle che, più probabilmente, intercorrono tra i membri

all’interno di una tipologia di gruppo e dipendono dal fatto che, se il baricentro di una

personalità collettiva è sbilanciato verso una delle tipologie descritte, al suo interno vi

sarà una prevalenza media di talune personalità. Tra le tecniche di relazione in classe

possiamo citare in particolare, il cooperative learning, un vasto movimento educativo

che si fonda su un metodo di insegnamento/apprendimento ed applica tecniche di

cooperazione nell'apprendimento in classe, utilizzando le risorse degli alunni per

condurli ad apprendere in gruppo valorizzando la relazione interpersonale e proponendo

diversi modi per condurre la classe.

Numerose e vaste ricerche di diversi ambiti (sociologia, psicologia, pedagogia, scienze

umane in generale) si sono concentrate sull’ analisi dei gruppi. Gli studi di Kurt Lewin

sulle tipologie di gruppo, sulle relazioni tra gruppo ed ambiente e sulle dinamiche

interne al gruppo hanno grande rilevanza in campo pedagogico e trovano una qualche

familiarità con le idee di Dewey, ponendo l’accento sulla necessità di arrivare ad


un’educazione democratica partendo da un ambiente educativo collaborativo e

democratico.

Le teorie di Lewin invece, fanno riflettere sull’essenza stessa di un gruppo, sui suoi

movimenti interni e sulla imprescindibile necessità per la scuola di riflettere sulle

relazioni tra i suoi protagonisti (tra insegnanti, tra insegnanti ed allievi, tra allievi, tra

insegnanti e genitori, tra personale scolastico ed extrascolastico, etc) poiché esse

influiscono sul clima sociale della classe e della scuola stessa e sul suo buon

funzionamento.

Altri studiosi suggeriscono che la socializzazione abbia luogo attraverso la relazione fra

pari con la peer education, in cui gli studenti diventano protagonisti attivi del loro

apprendimento. L’educazione tra pari è di tipo orizzontale, in cui grazie allo scambio di

idee, alla discussione attiva e alla condivisione delle loro prospettive, due studenti

raggiungono una soluzione a cui nessuno dei due sarebbe arrivato se avesse lavorato da

solo. Poiché l’apprendimento è un fatto sociale, gli individui apprendono insieme fin dai

primi stadi della vita.

La scuola diventa il luogo istituzionale in cui imparare collettivamente in modo

strutturato per diversi anni dell’infanzia e dell’adolescenza. Il ritrovarsi insieme però

non basta a far scaturire un tipo di apprendimento cooperativo; il primo passo è che la

scuola sia un luogo aperto e dinamico, una comunità in cui si respiri quello stile. I

docenti stessi prima di tutto devono sentirsi parte di un gruppo che lavora per la scuola e

il territorio, condividendo obiettivi, attività e linee educative comuni, pur mantenendo la

propria specificità. Infatti, docenti che non sanno collaborare ma che lavorano in modo

del tutto individuale, non saranno mai in grado di insegnare ad apprendere insieme.
Il ruolo dei docenti rimane però centrale, poiché spetta loro la definizione del setting

operativo: la fase organizzativa e preparatoria del lavoro, la distribuzione degli

incarichi, la definizione di tempi e metodologie da rispettare e di obiettivi da

raggiungere, così come un costante monitoraggio delle interazioni tra i membri dei

gruppi e dei risultati raggiunti.

5. LA RELAZIONE EDUCATIVA CON LA FAMIGLIA

5.1. L’IMPORTANZA DELLA RELAZIONE

Nella relazione famiglia-scuola spesso ci sono aspettative e richieste poco chiare quindi

è molto importante costruire sistemi ed abitudini che possano mettere in luce le aree di

responsabilità e dovere degli insegnanti e dei genitori.

E’ molto importante che i ragazzi si sentano circondati da adulti che hanno contatti
positivi tra loro. I risultati delle ricerche mostrano che i ragazzi che sperimentano buone

reti relazionali collaborative e che hanno relazioni positive con gli adulti sono meno a

rischio di incontrare problemi scolastici ed extrascolastici. Il 23% del successo

scolastico dei ragazzi può essere attribuito al sostegno dei genitori. Si riscontra una

notevole correlazione fra la qualità della relazione famiglia-scuola ed il successo e

l’adattamento scolastico degli studenti. I due fattori più importanti che influenzano il

successo scolastico dei ragazzi sono il grado d’istruzione e la qualità della

collaborazione fra scuola e famiglia. Allevare ed educare i figli sono responsabilità in

capo ai genitori, la scuola ha il ruolo di sostenere il lavoro da essi svolto. Una buona

relazione andrà ad influenzare la motivazione e gli obiettivi a lungo termine degli

studenti.

Avvertire il sostegno sociale e scolastico da parte dei genitori accrescerà nei ragazzi la

sensazione di essere competenti, di essere interessati in generale alle questioni della

scuola, di voler conseguire risultati positivi ed essere motivati a costruire relazioni.

5.2 IL COINVOLGIMENTO DEI GENITORI

I ragazzi che non sentono il sostegno dei genitori nelle questioni scolastiche vedono

triplicato il rischio di malattie dovute a stress. Esiste anche un forte legame tra il

sostegno dei genitori e il comportamento in classe dei figli, il successo scolastico e la

fiducia in sé.

In generale possiamo affermare che le relazioni scuola-famiglia non siano soddisfacenti.

Gran parte delle scuole non è interessata ai genitori che prendono troppo l’iniziativa e

che si danno troppo da fare. I genitori solitamente non capiscono bene cosa la scuola si

aspetti da loro in termini di collaborazione e relazioni. Non si sentono veramente


chiamati ad essere partecipi, anzi avvertono che gli unici detentori del potere siano gli

insegnanti. E’ anche emerso il problema dei genitori immigrati che in generale non

capiscono cosa ci si aspetti da loro, non hanno relazioni con gli altri genitori (che spesso

non conoscono) e partecipano meno alle riunioni a scuola.

Gli insegnanti hanno un potere istituzionale e molti genitori si sentono inferiori, dunque

è molto importante che i docenti sostengano la loro funzione affinché essi acquisiscano

una maggiore sicurezza. Il feedback verso i genitori dovrebbe essere accurato e preciso

onde evitare malintesi.

La madre pare essere la persona più coinvolta nelle questioni scuola-famiglia (circa 70-

80%). Sono loro che aiutano i figli a studiare a casa, che partecipano alle riunioni e alle

attività scolastiche. Incrementare l’aiuto da parte del padre avrebbe un forte impatto sul

rendimento scolastico dei ragazzi.

Siles sottolinea anche che c’è un legame fra la qualità generale della relazione scuola-

famiglia e la qualità generale della scuola, così come tra il fallimento scolastico e la

distanza sociale e culturale fra famiglia e scuola.

Gli insegnanti che sono interessati alla vita sociale e alla vita familiare dei ragazzi

avranno studenti più motivati perché con tutta probabilità useranno quelle informazioni

come base per un’istruzione significativa.

La relazione scuola-famiglia è prima di tutto una questione di atteggiamenti.

L’insegnante gioca un ruolo molto importante nella costruzione di una buona relazione.

Erickson usa l’espressione “area incerta” in corrispondenza di tali relazioni, intendendo

per aree incerte quelle zone in cui il contatto non è chiaro.

Grazie all’instaurarsi di una buona relazione potrebbe essere più agevole per

l’insegnante comprendere la situazione del ragazzo e la sua quotidianità, avanzando


aspettative positive nei confronti dello studente e potrebbe far sorgere anche nei genitori

delle aspettative realistiche ed attendibili verso il proprio figlio.

6. UNA PROPOSTA DI RELAZIONE D'AIUTO IN CLASSE

Nell’ambito del contesto classe, solitamente, la relazione d’aiuto si configura come una

relazione asimmetrica. Tuttavia è importante modificare questo stereotipo: se da un lato

è vero che l’aiuto può “fluire” maggiormente da una posizione all’altra, l’ottica in cui va

letto ed interpretato a scuola è quella dell’apprendimento circolare e vicendevole, in un


processo che non deve essere unilaterale ma di crescita reciproca.

Gli aspetti fondamentali per instaurare una relazione d’aiuto efficace sono: empatia,

accettazione, reciprocità, fiducia e comunicazione.

Nello specifico la proposta di relazione d’aiuto che si intende avanzare è rivolta alla

classe in cui è iscritto il ragazzo con diagnosi di Disturbo della Condotta al fine di

sviluppare capacità individuali (predisposizione e interesse per l’altro) e tecniche per

facilitare l’incontro e rendere più efficace la relazione.

L’intervento serve a facilitare lo sviluppo di 3 fondamentali processi:

1. aiutare l’alunno ad esplorare il suo mondo interno

2. aumentare la conoscenza di sé

3. concordare un programma di azione

Nella relazione d’aiuto si cercherà di stimolare un cambiamento positivo fornendo al

ragazzo un aiuto per

- identificare i comportamenti inadeguati

- identificare i problemi che ostacolano i cambiamenti nelle relazioni (sia in

ambito scolastico che sociale)

- acquisire abilità e motivazione al cambiamento

- identificare e raggiungere obiettivi per lui importanti e realizzabili.

L’intervento si concretizzerà mettendo in atto il colloquio d’aiuto che vuole porre

attenzione sui sentimenti dell’alunno in relazione ai comportamenti-problema messi in

atto. Tale intervento si articolerà nel seguente modo:

1. obiettivo dello psicologo scolastico è quello di comprendere mentre l’obiettivo

dell’alunno è quello di chiarire e definire il problema;

2. attraverso lo stimolo e il confronto si tenderà a cambiare il modo di pensare


rispetto al problema (riuscire ad agevolare l’alunno affinché arrivi ad un

cambiamento di prospettiva che gli permetta di osservare il suo problema in

maniera diversa);

3. attraverso il problem solving sviluppare e valutare le opzioni a disposizione per

scegliere la soluzione più adeguata al raggiungimento dell’obiettivo;

4. riflessione sulle emozioni sperimentate e rielaborazione dei vissuti.

In conclusione, è possibile affermare che una buona relazione educativa ponga le

premesse per la realizzazione di un ambiente educativo sereno in cui ognuno si senta

parte di “un tutto” e realizzi se stesso anche attraverso il superamento delle difficoltà.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

Baldacci M., Trattato di pedagogia generale, Carocci Editore, 2012

Canevaro A. e Chieregatti A., “La relazione di aiuto. L’incontro con l’altro nelle

professioni educative”, Carocci Editore, 1999

Cardinali P. e Migliorini L., “Scuola e famiglia. Costruire alleanze”, Carocci Editore,


2013

Chiusaroli D., “Relazione scuola-famiglia ed emergenze educative”, Anicia, 2021

Contini M.G., (a cura di ), Il gruppo educativo, Carocci Editore, 2000

Laporta R., Avviamento alla pedagogia, Carocci Editore, 2000

Mari G., La relazione educativa., Scholè, 2019

Mariani A., “La relazione educativa. Prospettive contemporanee”, Carocci, 2021

Pati L., “ Scuola e famiglia. Relazione di corresponsabilità educativa ”, Schole, 2019

Triani, P., La relazione insegnante - alunno come forma del metodo. La relazione come

generazione dell'umano, in Rota, G. B. (ed.), Formazione degli insegnanti 2, Ancora,

2022

https://www.associazioneadida.org/cnt/uploads/2019/02/LA-RELAZIONE-

EDUCATIVA.pdf

http://www.counselingescuola.it/cosa-relazione-aiuto_d13.aspx

https://nonsolopedagogia.it/educazione-tra-pari-a-scuola/

https://www.simonadalloca.it/simonadalloca/wp-content/uploads/2017/01/Pedagogia-

delle-classi.pdf

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