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Quali sono gli elementi della didattica? Descriverli e analizzare un sistema didattico
Un sistema didattico comprende soggetti e oggetti; i soggetti sono gli uomini in formazione e quelli
che professionalmente aiutano gli altri a formarsi. Gli oggetti riassumono testi, contenuti
disciplinari, saperi, linguaggi, persino concettualizzazioni e nozioni.
Interpretiamo la didattica:
– come un complesso di saperi teorico-pratici;
– scienza contemporaneamente autonoma e strettamente correlata rispetto alla pedagogia;
– dotata di una forte marcatura progettuale, metodologica, valutativa
Cos'é il "metodo didattico" e quali sono i principali metodi che vengono utilizzati nell'ambito
della pedagogia e della didattica?
"Metodo didattico" viene considerato quello sul quale si costituisce l’attività dell’insegnante. Si
tratta di un insieme di regole, consciamente ordinate, che dirigono una attività didattica in classe.
Tra i numerosi metodi sono da rilevare, nel campo della scienza, il metodo deduttivo e induttivo. il
metodo deduttivo,quello classico legato al procedimento che passa dal generale al particolare, da
una premessa a una conclusione, anche chiamato a priori, e induttivo, anche chiamato a posteriori,
si cercano le leggi partendo dal particolare e ricostruendo il tragitto.con il metodo deduttivo si parte
da un assioma, che si dà per certo e assoluto, o da una ipotesi di lavoro, e si deducono le leggi
implicate
Quali sono le tre componenti fondamentali della situazione scolare e come interagiscono? Lo
studente spieghi di cosa si tratta
le tre componenti fondamentali della situazione scolare sono: l’insegnante, l’alunno, la scuola
come istituzione ed organizzazione. Sul piano metodologico si possono elaborare delle categorie
generalizzabili, ma esse, appunto perché categorie hanno un valore formale. Dal punto di vista del
contenuto esse possono essere riempite solo nel momento in cui vengono messe in atto nella pratica
educativa. Si possono indicare delle linee direttive che poi devono essere “tradotte” in ordine allo
specifico, nell’atto concreto del far scuola.
L'insegnamento è autoapprendimento anche per l'insegnante: per quale motivo?
L’insegnamento è autoapprendimento anche per l’insegnante, sia perché richiede da parte di questo
un continuo aggiornamento teoretico, al fine di innovare i suoi metodi, sia perché egli apprende
dalla situazione scolare stessa. Pertanto, la capacità di insegnare non è soltanto questione di
formazione iniziale, ma anche di formazione continua, che si realizza anche attraverso l’esperienza
scolastica quotidiana. Posto infatti, in situazioni sempre nuove per il variare dei discenti, delle
situazioni scolastiche ed extrascolastiche, l’insegnante è sollecitato dalla situazione stessa a mettere
in atto procedimenti sempre diversi, a modificare il suo comportamento.
Cosa intende Schon con l’espressione “professionista riflessivo”? Lo studente spieghi di cosa si
tratta
Per Schon l’espressione “professionista riflessivo” richiama tale significato: la professionalità
dell’insegnante si gioca proprio nel passaggio da un sapere tacito a un sapere esplicito, ovvero
nell’acquistare consapevolezza del proprio sapere, in questa relazione continua tra esperienza e
riflessione, tra sapere pratico e sapere teorico Più in generale il ruolo della didattica consiste
nell’aiutare l’insegnante a rendere comunicabile il proprio sapere, nel dare le parole al sapere
pratico che sta dentro l’azione Ciò implica un ripensamento complessivo rispetto alla visione
tradizionale di didattica. La ricerca non è qualcosa di separato e distante dall’azione, ma si
intrinseca con essa,
Quali sono gli elementi fondanti della dimensione relazionale nella didattica? Indicare quali
sono e argomentare
La qualità della relazione allievo-docente sta nel grado di flessibilità con cui il docente gestisce il
rapporto asimmetrico con gli allievi. Il docente deve essere capace a esercitare l’arte
dell’incoraggiamento nei confronti dei propri allievi. il docente deve possedere una competenza di
base: l’ascolto attivo, che consiste nel mettersi a disposizione dell’allievo da parte del docente,
valorizzarlo come interlocutore, sforzandosi di capirne il punto di vista. Il concetto di ascolto attivo
può essere individuato nei seguenti punti: - Non avere fretta di arrivare alle conclusioni, sospendere
il giudizio. - Sforzarsi di cambiare il punto di vista con cui osservare una data realtà, come
condizione per riconoscere il proprio punto di vista e i suoi limiti. - Mettersi nei panni del proprio
interlocutore, riconoscendogli le sue ragioni ed esplorando la sua prospettiva. - Valorizzare il codice
delle emozioni, di tipo relazionale e analogico. - Andare oltre la superficie del mondo reale,
esplorare i mondi possibili. - Sfruttare i paradossi del pensiero e della comunicazione come
strumenti euristici utili a gestire in modo creativo i conflitti. - Adottare una modalità umoristica
nell’esercizio dell’arte di ascoltare. Il docente dovrebbe valorizzare la discussione tra gli allievi
come risorsa per l’apprendimento
L'attenzione e la memoria sono due importanti fattori che nella didattica occorre tener conto,
per quali ragioni? Come agiscono sull'apprendimento?
definiamo con il termine “attenzione” un insieme di processi di carattere neuropsichico.
L’attenzione è una facoltà limitata e non assoluta; essa è relativa ai contesti, alla diversità dei
soggetti, al tipo di attività L’attenzione, dunque, è una facoltà non illimitata né univoca, ma
correlata a vari fattori quali l’età, il contesto, l’obiettivo dell’attività proposta e quindi la
motivazione più o meno eteronoma. Influenzano l’attenzione anche la stanchezza o lo stato di stress
psicofisico e un clima emotivo caratterizzato da tensione
La partecipazione attiva a un’attività alza la soglia e la durata dell’attenzione rispetto, per esempio,
al mero ascolto passivo La passività in un’esperienza di apprendimento è infatti direttamente
proporzionale al calo dell’attenzione. L’apprendimento risulta ostacolato se l’attenzione è scarsa o
labile e fluttuante, poiché il soggetto si disperde e disorganizza inseguendo stimoli diversi
Per quanto riguarda, invece, la memoria, l’altra grande funzione implicata nell’apprendimento e
che concorre a determinare il colore, cioè la qualità dell’intelligenza, è necessario ricordare che non
si può parlare di una memoria univocamente intesa, ma di tante tipologie che tutte insieme generano
il modo proprio di ciascun soggetto di archiviare le esperienze trasformandole in ricordi Si possono
innanzitutto considerare una memoria di carattere più intellettivo e una di carattere affettivo-
emozionale.Dal punto di vista didattico è importante, nello stimolare l’apprendimento, individuare
quali memorie risultino preferenziali per ciascun soggetto e dunque poter programmare
l’utilizzazione di una pluralità di canali percettivi e l’individualizzazione delle strategie di carattere
mnestico da suggerire a ciascuno. La memoria, si articola, in senso più generale, in due grandi
tipologie, da molti anni oggetto di studio in ambito neurologico: la memoria a breve termine o
immediata, detta anche “memoria di lavoro” e la memoria a lungo termine.
Nella didattica la dimensione relazione ha un valore significativo, per quale motivo? Spiegare
il concetto e le caratteristiche della dimensione relazionale
La qualità della relazione allievo-docente sta nel grado di flessibilità con cui il docente gestisce il
rapporto asimmetrico con gli allievi. Il docente deve essere capace a esercitare l’arte
dell’incoraggiamento nei confronti dei propri allievi, ovvero una dinamica promozionale alla
crescita e allo sviluppo nell’autonomia dello studente il docente deve possedere una competenza di
base: l’ascolto attivo
Marianella Sclavi elabora il concetto di ascolto attivo in senso interculturale:
1, Non avere fretta di arrivare alle conclusioni, sospendere il giudizio. 2. Sforzarsi di cambiare il
punto di vista con cui osservare una data realtà, come condizione per riconoscere il proprio punto di
vista e i suoi limiti. 3. Mettersi nei panni del proprio interlocutore, riconoscendogli le sue ragioni ed
esplorando la sua prospettiva. 4. Valorizzare il codice delle emozioni, di tipo relazionale e
analogico. 5. Andare oltre la superficie del mondo reale, esplorare i mondi possibili. 6. Sfruttare i
paradossi del pensiero e della comunicazione come strumenti euristici utili a gestire in modo
creativo i conflitti. 7. Adottare una modalità umoristica nell’esercizio dell’arte di ascoltare.
Il docente deve valorizzare la discussione tra gli allievi come risorsa per l’apprendimento
Cosa intende Damiano quando parla di “Mediazione didattica”? Damiano riporta il concetto di
Aristotele secondo cui nell’azione umana ci deve essere sia un fine etico che risiede nella praxis, sia
un fine pratico che risiede nella poihsis, e che dà origine ad un prodotto finito Ci deve essere una
MEDIAZIONE DIDATTICA, teorizzata da Damiano, cioè una regolazione della distanza tra i
contenuti culturali da trasmettere e i soggetti in apprendimento, tra la struttura logica dei contenuti e
la struttura psicologica dei soggetti in apprendimento. La MEDIAZIONE quindi è un processo di
trasformazione di determinati contenuti culturali in contenuti accessibili all’apprendimento per un
determinato gruppo di allievi in funzione di un determinato scopo.
Cosa sono i neuroni specchio? A chi si deve questa scoperta? I neuroni specchio sono una classe
di neuroni che si attivano selettivamente sia quando si compie un'azione (con la mano o con la
bocca) sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare da conspecifici). I neuroni
dell'osservatore "rispecchiano" quindi ciò che avviene nella mente del soggetto osservato, come se
fosse l'osservatore stesso a compiere l'azione
Negli anni '80 e '90 il gruppo diricercatori dell'Università di Parma si stava dedicando allo studio
della corteccia premotoria.Come molte altre notevoli scoperte, quella dei neuroni specchio fu
dovuta al caso: mentre uno sperimentatore prendeva una banana in un cesto di frutta preparato per
degli esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena avevano reagito.
Da allora questo lavoro è stato pubblicato, con l'aggiornamento sulla scoperta di neuroni specchio
localizzati in entrambe la regioni parietali frontali inferiori del cervello e confermato. Nel 1995,
Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti dimostrano per la prima
volta l'esistenza nell'uomo di un sistema simile a quello trovato nella scimmia Con i neuroni
specchio si sta scoprendo il complesso meccanismo biologico che sta alla base del comportamento
sociale degli uomini
Cosa sono le emozioni? Quali le loro funzioni? LE EMOZIONI Processo interiore suscitato da un
evento-stimolo rilevante per gli interessi dell’individuo. Le funzioni riconosciute alle emozioni
sono: a) la capacità di determinare i cambiamenti fisiologici necessari per sostenere le risposte
adattive dell’organismo; b) la preparazione all’azione (Scherer parla di tendenze all’azione
programmate filogeneticamente); c) la possibilità di regolare le relazioni interpersonali,
comunicando i propri piani e le proprie intenzioni attraverso l’espressione
per lungo tempo si è assistito ad un pregiudizio culturale nei riguardi dell'educazione speciale.
Come mai? Lo studente analizzi l'argomento dal punto di vista storico e teorico Per lungo
tempo, nella cultura pedagogica del nostro Paese (ma il discorso può applicarsi anche alla più
generale cultura pedagogica europea) si è registrato una sorta di pregiudizio culturale nei riguardi
dell’educazione speciale ha portato ad una sorta di marginalizzazione della dimensione
propriamente educativa nelle ricostruzioni d’insieme della storia italiana ed europea tra Otto e
Novecento, dall’altro non ha consentito, fino a tempi recenti, alla ricerca storico-pedagogica ed
educativa di dotarsi di strumenti, metodologie, quadri concettuali adeguati a un’indagine che è in
primo luogo indagine storica. La storia dell’educazione speciale è una disciplina di recente
costituzione, che attinge a molteplici saperi (educazione, cura e assistenza, processi culturali,
legislazione e ordinamenti civili e sociali) e si avvale delle indagini e dei contributi di ricerca di
svariati ambiti disciplinari (storia, medicina, pedagogia, diritto, economia, statistica). La stessa
terminologia corrente con cui definiamo abitualmente i destinatari dell’educazione speciale
(handicappati, handicaped, handicapés; disabili, disabled; anormali, abnormal; devianti, irréguliers
ecc.) è molto recente: risale ai secoli XIX-XX. Tale terminologia riflette da un lato l’approdo ad una
precisa distinzione tra anormalità e malattia/follia; dall’altro, sia pure in modo graduale, ad una
classificazione e definizione delle molteplici forme e caratteristiche della
anormalità/disabilità/devianza (ad esempio: handicap fisici, sensoriali, mentali; soggetti instabili,
idioti, irrequieti, ritardati ecc.). Tale terminologia riflette anche l’affermarsi di una prospettiva
d’intervento di tipo medicopedagogico, che punta sulla educabilità del soggetto disabile.
Nel XVII iniziò il "grande internamento", cosa si intende e quali conseguenze sulla
popolazione ebbero? esclusione sociale, della separazione rigorosa dalla comunità civile e
religiosa: è il processo del Grande Internamento, che si dispiega in Francia e nel resto d’Europa,
soprattutto a partire dal XVII sec. Nel corso del secolo XVII sorgono tutta una serie di grandi istituti
d’internamento (reclusori), nei quali, per un secolo e mezzo, poveri e indigenti, vagabondi,
corrigendie delinquenti, folli – ma anche handicappati saranno sottoposti al regime di reclusione,
attraverso il ricorso, da parte dell’assolutismo monarchico, alle cosiddette lettre de cachet e ad un
complesso di misure arbitrarie di imprigionamento e di isolamento.
Nei primi decenni dell'Ottocento in Italia si iniziò un'educazione dei sordomuti, come era
organizzata? Lo studente descriva le teorie e l'approccio pedagogico del periodo storico /
Come era organizzata l'educazione dei sordomuti in Italia nel XVII secolo?
Nell’Europa a cavallo tra Sette e Ottocento, erano due i poli più progrediti nel campo
dell’educazione dei sordomuti Si trattava di vere e proprie «scuole» con metodi, indirizzi e
ordinamenti profondamente diversi
La scuola francese, che faceva capo all’abate Charles-Michel de l’Épée e all’Istituto per i sordomuti
di Parigi
La scuola tedesca, che aveva il suo promotore e principale animatore nell’insegnante laico Samuel
Heinicke
L’elemento principale – sebbene non unico – di differenziazione tra le due esperienze risiedeva nel
metodo d’insegnamento adottato con i sordomuti. Nell’Istituto dell’abate de l’Épée l’istruzione era
impartita prevalentemente attraverso il metodo mimico o gestuale Integravano la mimica altri due
metodi: la dattilologia, ossia l’alfabeto manuale e la scrittura.
Nella scuola dell’Heinicke, al contrario, era bandita la mimica e l’istruzione dei sordomuti si
fondava esclusivamente sul linguaggio orale
Le istituzioni per i sordomuti sorte in Italia nel primo cinquantennio del secolo XIX s’ispirarono
essenzialmente al sistema francese:
• i primi istitutori italiani avevano soggiornato a lungo a Parigi, presso il de l’Épée, per
apprendervi il metodo;
• diversi istitutori italiani si erano formati direttamente sugli scritti dell’abate francese
• la dominazione napoleonica in Italia contribuì infine a diffondere il metodo francese
Fondazioni religiose sorsero, tra il 1828 e il 1874, con lo specifico ed esclusivo fine di dedicarsi alla
cura e all’educazione e istruzione dei sordomuti d’ambo i sessi.
A cosa e a chi si riferisce il "metodo orale"? Delineare il contesto storico e gli aspetti
pedagogici.
Alla vigilia dell’unificazione nazionale prende l’avvio il processo che, nell’arco di un ventennio,
avrebbe portato anche in Italia al definitivo abbandono della mimica e degli altri metodi tradizionali
ad essa collegati e all’adozione, come sistema d’insegnamento comune ed esclusivo, del metodo
orale. Il rinnovamento prese le mosse dalla Lombardia, l’area culturalmente più vicina al mondo
tedesco, dove ancora si conservava la memoria della solitaria ma significativa esperienza di
insegnamento con il metodo orale Il metodo orale, dunque, considerato come lo strumento più
idoneo per consentire al sordomuto di sviluppare appieno le sue doti intellettuali e di integrarsi
positivamente nella vita sociale. La loro opera incontrò il determinante appoggio Tommaso
Pendola. Protagonisti della riforma del metodo d’insegnamento: l’abate Giulio Tarra, nominato nel
1855 direttore del neonato Istituto dei sordomuti poveri di campagna di Milano, e don Serafino
Balestra, direttore dal 1865 dell’Istituto femminile di Como tenuto dalle Canossiane. Si deve in
special modo a Tommaso Pendola e alla rivista «Dell’educazione dei sordomuti in Italia», da lui
fondata nel 1872 con l’obiettivo di promuovere una coscienza unitaria tra gli educatori della
penisola e di potenziare gli studi nel settore dell’educazione speciale, se il problema dell’adozione
del metodo orale ha superato i confini un po’ angusti delle dispute tra istitutori e si è imposto come
questione d’importanza nazionale Nel settembre del 1873, convocato dallo stesso Pendola e dalla
rivista da lui diretta, si apriva a Siena il primo Congresso degli Insegnanti italiani dei sordomuti, il
quale, al termine di un ampio e serrato confronto tra i rappresentati dei diversi Istituti della penisola,
deliberò l’adozione del sistema orale
L'applicazione del metodo "orale puro", cosa era? Descrivere il contesto politico ed educativo
del periodo ed il metodo in oggetto
il metodo orale puro si caratterizzava per verbalità con esclusione dei segni. Al principio degli anni
Ottanta (nel momento in cui il Congresso internazionale di Milano deliberava l’adozione di tale
metodo in tutte le scuole speciali per i sordomuti), la situazione nei 35 Istituti esistenti nella
penisola era la seguente: solo in 8 di essi veniva applicato il metodo orale-puro, con la totale
esclusione dell’apporto di altre tecniche; in 21 Istituti era pure utilizzato il metodo orale, ma si
tollerava, soprattutto nella fase iniziale dell’istruzione, il ricorso alla mimica naturale (metodo
misto); negli altri 6 Istituti, infine, si faceva ricorso a una pluralità di metodi e di tecniche: dalla
mimica alla dattilologia, dalla parola articolata alla scrittura (come ausilio per l’apprendimento della
lingua parlata). Con il passare degli ani più nessuno praticava in modo esclusivo il metodo gestuale,
la dattilologia e la scrittura, era altrettanto vero che il metodo misto veniva ancora largamente
utilizzato, nell’insegnamento scolastico, in buona parte degli Istituti della penisola.
Quali sono i principi per una buona integrazione in un contesto di pedagogia speciale? E'
necessario partire dalla stima dello studio del bisogno: dal momento che esiste il bisogno, si dovrà
trovare una risposta. La prospettiva della integrazione parte da una forte spinta egualitaria, ma
questo non può portarci a dire che tutti hanno bisogno solo di una educazione generalizzata.
L'educazione deve rispondere alle differenze La pedagogia speciale va ricercata in modo diverso
tenendo però presente la prospettiva della integrazione, dovrà inoltre, affrontare le differenze che
derivano dalle disabilità e dai deficit, a cui è possibile aggiungere altre differenze (di genere, di
cultura, di provenienza,….) che non sono però da confondere tra loro e tanto meno da identificare.
La pedagogia non è una scienza stabilita una volta per tutte, ma come scienza di ricerca.Lo studio
non può essere ridotto all'esperienza di un unico paese, ma allargato a dimensioni più vaste, come è
ormai la dimensione di ogni scienza
Quando si parla di azione sociale ed educativa per le persone con handicap, si parla anche di
"un diritto per tutti". Cosa vuol dire? Lo studente spieghi il concetto
Tutti i bambini e tutte le bambine hanno diritto ad un'educazione. Tutti gli individui, uomini e
donne, hanno il diritto a una vita la più libera possibile. Tutti gli individui hanno dei diritti e dei
doveri. Un individuo con ridotte capacità, dovute a un deficit, non perde nessuno dei suoi diritti e
nessuno dei suoi doveri
La sensibilità di questi anni ha permesso di distinguere il deficit, come un danno irreversibile, e gli
svantaggi o handicap intesi come possibili barriere - ostacoli, che l'individuo incontra e che possono
essere ridotti ma anche aumentati. Possono essere annullati ma anche ingigantiti, diventare sempre
più numerosi. Chi nasce con una differenza dovuta a un deficit ha bisogno certamente di attenzioni
particolari. Si può ragionare secondo due logiche: una risponde all'esigenza di avere un luogo dove
accogliere e raccogliere tutti coloro che hanno un certo deficit. L'altra logica si muove invece per
raggiungere, con le risposte adeguate, ogni individuo laddove vive, nel suo contesto familiare,
scolastico, sociale, culturale,analizzando i suoi bisogni e cercare di rispondere a ciascuno di questi
bisogni nel modo più adeguato e personalizzato. La prima logica ha avuto una storia molto
importante e tuttora è praticata in molti paesi del mondo. Ma in molti paesi del mondo vi è anche un
desiderio di rivedere questa logica e di capirne i limiti, che sono emersi soprattutto con le critiche
fatte da studiosi di ogni parte del mondo che hanno messo soprattutto in luce un rischio, quello
dell'esclusione seconda logica è importante, è difficile, ma è possibile. E' possibile lavorando al
riconoscimento di competenze complementari, non più totali: la competenza di un genitore non è
sufficiente quando c'è un bambino o una bambina che ha dei bisogni particolari. Ma neanche la
competenza dello specialista è sufficiente. Le due competenze devono incontrarsi, devono lavorare
insieme, dialogare. Ed è questo il punto principale di una prima realizzazione del riconoscimento
dei diritti.
Lo studente spieghi cosa si intende per "diversità" e per "integrazione", dal punto di vista
educativo L’attenzione alla diversità ed alle persone diverse quali persone con diritti e doveri, che
esigono rispetto si è andata sempre più affermando negli ultimi cinquant’anni Parlare di diversità
oggi, specialmente all’interno del contesti socio-educativi, implica la necessità di prendere in
considerazione almeno due dimensioni che spesso sono intrecciate tra loro: la dimensione
intersoggettiva e la dimensione culturale. La dimensione intersoggettiva si riferisce all’ambito della
rete formale e informale di relazioni, dove entrano in comunicazione differenti corpi, sensibilità e
bisogni, differenti intelligenze, deficit, handicap e talenti. D’altro canto la dimensione culturale si
riferisce all’intreccio più ampio e anche invisibile di rapporti, sistemi di segni, gestualità, lingua,
riti, cerimoniali, usi, costumi, valori che permeano i contesti di appartenenza, condizionando azioni
e comportamenti. In questa prospettiva l’istruzione e la formazione sono i luoghi principali per
l’inserimento e l’integrazione del diverso nella società. Il processo di integrazione è intrinsecamente
intersoggettivo e presuppone che l'essere umano non sia completo in sé, non sia autosufficiente,
ovvero non sia un sistema chiuso, ma si realizzi nel rapporto con gli altri. La buona integrazione è
quella che permette di capire che non stiamo vivendo in presenza di una diversità ma come una
realtà, e pertanto implica l’attivazione di una comunità nella direzione di una modifica del proprio
status in favore del diverso. la buona prassi integrativa nel gruppo classe e nella società si realizza
alla luce di un equilibrio tra il principio didattico con quello della dell’individualizzazione
L’istruzione individualizzata non è un’istruzione individuale, realizzata semplicemente in un
rapporto uno a uno. Essa consiste nell’adeguare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli
alunni (ai loro ritmi di apprendimento, alle loro capacità linguistiche, alle loro modalità di
apprendimento ed ai loro prerequisiti cognitivi), cercando di conseguire individualmente obiettivi di
apprendimento comuni al resto della classe L’integrazione dunque nasce e si sviluppa a partire dalla
relazione dialettica tra personalizzazione ed individuazione; la persona adattivamente integrata
conserva una propria identità diversa dalle altre, pur mantenendo un ruolo nel gruppo.
Lo studente descriva cos'è una diagnosi funzionale, come viene organizzata e compilata "Per
diagnosi funzionale si intende la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato
psico-fisico dell’alunno in situazione di handicap, È il documento nel quale si descrivono
dettagliatamente il progetto operativo interistituzionale tra operatori della scuola, dei servizi sanitari
e sociali, in collaborazione con i familiari ed il progetto educativo e didattico personalizzato
riguardante la dimensione dell'apprendimento correlata agli aspetti riabilitativi e sociali. La stesura
del Profilo Dinamico Funzionale è finalizzata alla stesura del Piano Educativo Individualizzato .A
redigere il PEI, provvedono congiuntamente: gli operatori delle ASL, gli insegnanti curriculari, il
docente di sostegno, l’operatore psico– pedagogico in collaborazione con i genitori. Il PEI tiene
presenti i progetti didattico educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché le
forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche
Per realizzare una buona integrazione è necessario lavorare sulla didattica, come? Analizzare
metodi e tecniche.
il processo di integrazione fondamentalmente un processo dialogico che implica la
compartecipazione dell’alunno disabile e del contesto classe. La realizzazione del processo di
integrazione infatti si realizza richiedendo, sia al gruppo accogliente sia all’allievo inserito, una
serie di cambiamenti capaci di consentire loro occasioni di collaborazione e aiuto reciproco. Ciò
implica per la classe un generale adeguamento degli obiettivi perseguiti alle esigenze del disabile
Ad esempio il ripasso frequente degli argoment attività pratiche (costruire cartelloni, fare
esperimenti, utilizzare il mezzo informatico ai fini didattici, etc La realizzazione dell’integrazione si
attua non solo sul piano della relazione tra individuo disabile e classe ma anche, e soprattutto
attraverso la relazione didattica che assume il ruolo di mediatore del processo integrativo. Infatti, la
programmazione educativa individualizzata deve prevedere, a livello massimo possibile, tutte le
materie della programmazione di classe, differenziandole solo nel livello di complessità. Tale
operazione di semplificazione ed organizzazione dei materiali della classe si realizza attraverso
l’uso di materiali didattici strutturati e non strutturati. Il materiale strutturato è rappresentato da testi
specializzati, schede, giochi didattici, etc. che hanno il vantaggio di essere costruiti nel rispetto dei
principi psico-pedagogic I materiali non strutturati sono, invece, quei materiali che i docenti e a
volte gli allievi più capaci, costruiscono per mettere l’alunno disabile nelle condizioni di poter
seguire gli stessi lavori della classe.
Damiano identifica quattro tipi di "mediatori didattici", quali sono e quali caratteristiche
hanno?
“mediatori didattici”, ovvero azioni messe in atto dagli insegnanti per favorire l’apprendimento
degli alunni. Damiano (1993) identifica quattro tipi di mediatori:
– I mediatori attivi che fanno ricorso alla esperienza diretta. Un esempio di mediatore attivo
è rappresentato dall’esperimento che si realizza in laboratorio
– I mediatori iconici che si basano sulla rappresentazione del linguaggio grafico e spaziale
(immagini, schematizzazione di concetti, fotografie, filmati, carte geografiche etc.).
– I mediatori analogici cercano di rifarsi alle possibilità di apprendimento insite nel gioco e
nella simulazione. Si tratta di attività ludiche di gruppo in cui i partecipanti ricreano
particolari situazioni e interpretano personaggi.
– I mediatori simbolici sono quelli che si allontanano di più dalla realtà di riferimento e sono
considerati i meno validi soprattutto dai sostenitori del principio dell’apprendimento diretto.
La lezione frontale costituisce un esempio di mediatore simbolico
Quali sono le fasi principali di una ricerca. Fornire una descrizione delle diverse fasi.
Le fasi essenziali:
DEFINIRE - L’ambito di ricerca, in maniera puntuale, sulla base di un’ipotesi formulata - Le
finalità e gli obiettivi in maniera articolata -Il rispetto dei tempi - Le metodologie e le procedure
SELEZIONARE - Il materiale inerente all’ambito di indagine
CONFRONTARE - L’ipotesi di partenza con le conclusioni raggiunte
VERIFICARE - I risultati conseguiti -La capacità di comunicare in linguaggi diversi i risultati, le
tappe del percorso effettuato - La capacità di trasferire in ambiti diversi le conoscenze e le abilità
acquisite
Esistono due metodi di fare ricerca: quali sono e come sono organizzati?
Esistono due metodi di fare ricerca: 1) Ricerca in senso tradizionale, cioé fatta a livello
universitario all’interno delle scienze matematiche, biologiche o altre e che non ha come obiettivo
un intervento sulla realtà. In questo tipo di ricerca la neutralità è il requisito più importante, cioè lo
studioso si accosta e studia il fenomeno dall’esterno senza influire in alcun modo, possiamo dire,
quindi, che la ricerca nella sua origine nasce neutrale. 2) Al metodo tradizionale si contrappone la
ricerca sociale, che il sociologo Gilli definisce come: “un’attività conoscitiva di analisi e di
riflessione, che si svolge nella pratica su un problema pratico e reale e precede un determinato
intervento nella realtà”. Le differenze tra i due metodi sono: il principio di neutralità e la possibilità
di applicazione concreta nella realtà sociale
Lo studente descriva cosa sono i Bisogni Educativi Speciali I bisogni educativi speciali
(BES) sono definiti dalla classificazione internazionale del funzionamento (ICF-International
Classification of Functioning) come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o
transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che
necessita di educazione speciale individualizzata Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali vivono
una situazione particolare, che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo: questa situazione
negativa può essere a livello organico, biologico, oppure familiare, sociale, ambientale, contestuale
o in combinazioni di queste. Un alunno con Bisogni Educativi Speciali può avere una lesione
cerebrale grave, o la sindrome di Down, o una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva, o gravi
conflitti familiari, o background sociale e culturale diverso Queste (e altre) situazioni causano
difficoltà, ostacoli o rallentamenti nei processi di apprendimento che dovrebbero svolgersi nei vari
contesti. Queste difficoltà possono essere globali e pervasive (si pensi all’autismo) oppure più
specifiche (ad esempio nella dislessia), settoriali (disturbi del linguaggio, disturbi psicologici
d’ansia, ad esempio); gravi o leggere, permanenti o (speriamo) transitorie. I Bisogni Educativi
Speciali sono dunque molti e diversi; una scuola davvero inclusiva dovrebbe essere in grado di
leggerli tutti (individuando così il reale «fabbisogno» di risorse aggiuntive) e su questa base
generare la dotazione di risorse adeguata a dare le risposte necessarie.
Lo studente descriva le analogie e le differenze del PEI e del PDP - Piano Educativo
Individualizzato - Piano Didattico Personalizzato
IL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO Il P.E.I. (Piano Educativo Individualizzato) è
il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra loro, predisposti
per l'alunno in situazione di handicap, per un determinato periodo di tempo, ai fini della
realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione, di cui ai primi quattro commi dell'art.12 della
Legge 104/92
QUANDO SI FA Dopo un periodo iniziale di osservazione sistematica dell'alunno in situazione di
handicap, - di norma non superiore a due mesi - durante il quale si definisce e si attua il progetto di
accoglienza, viene costruito il P.E.I. con scadenza annuale. Deve essere puntualmente verificato,
con frequenza trimestrale o quadrimestrale
CHI LO FA Il P.E.I. è redatto "congiuntamente dagli operatori dell' U.L.S.S., compresi gli operatori
addetti all’assistenza, dagli insegnanti curricolari e di sostegno e, qualora presente, dall'operatore
psicopedagogico, con la collaborazione della famiglia"
COSA CONTIENE Il P.E.I., partendo dalla sintesi dei dati conosciuti e dalla previsione degli
interventi prospettati, specifica gli interventi che i diversi operatori mettono in atto relativamente
alle potenzialità già rilevate nella Diagnosi Funzionale e nel Profilo Dinamico Funzionale. gli
obiettivi educativi/riabilitativi e di apprendimento riferiti alle aree e alle funzioni, • perseguibili in
uno o più anni • le attività proposte • i metodi ritenuti più idonei • i tempi di scansione degli
interventi previsti e gli spazi da utilizzare • i materiali, i sussidi con cui organizzare le proposte di
intervento • l’indicazione delle risorse disponibili, nella scuola e nell’extra-scuola, in termini di
strutture, servizi, persone, attività, mezzi • le forme ed i modi di verifica e di valutazione del P.E.I.
A COSA SERVE Tale programma personalizzato dovrà essere finalizzato a far raggiungere a
ciascun alunno in situazione di handicap, in rapporto alle sue potenzialità, ed attraverso una
progressione di traguardi intermedi, obiettivi di autonomia, di acquisizione di competenze e di
abilità motorie, cognitive, comunicative ed espressive
VERIFICHE Alle verifiche periodiche partecipano gli operatori scolastici (insegnanti di classe,
insegnante di sostegno, insegnante psicopedagogista), gli operatori dei servizi dell' U.L.S.S. ed i
genitori dell'alunno
IL PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO Il Piano Didattico personalizzato non è un
documento formale e burocratico ma, come appunto dice il termine “Piano” è uno strumento di
programmazione del lavoro didattico, un punto di riferimento per le scelte dei docenti durante
l’attività in classe. Non è un documento isolato: è un’articolazione del Piano di lavoro per la classe
concordato nell’équipe dei docenti al quale si richiamano anche i Piani di lavoro di ciascun docente
Il PDP deve essere costruito entro un tempo ragionevole, il primo trimestre, proposto alla famiglia e
con essa condiviso, dopo eventuali confronti. Deve poi essere rivisto e aggiornato periodicamente,
di solito in occasione delle valutazioni intermedie e di quelle quadrimestrali. Nella valutazione
finale dell’anno scolastico si opererà un bilancio conclusivo, utile alla redazione del PDP dell’anno
successivo.
il PDP deve avere una parte generale introduttiva, comune a tutti gli allievi con DSA e BES,
contenente le informazioni di base: • Dati anagrafici dell’allievo • La tipologia del disturbo con
riferimenti a:
– diagnosi clinica e funzionale con citazione dei soggetti che l’hanno effettuata e al Codice
ICD10 di riferimento
– - aggiornamenti diagnostici effettuati e previsti - interventi riabilitativi (logopedista,
psicologo ecc.) -
– relazioni di altri servizi , come assistenti sociali (soprattutto per i BES di carattere
socioeconomico, linguistico e culturale) -
– delibera del C. di C. se si tratta di BES derivante dalle osservazioni dei docenti e raccolte in
apposita relazione.
Una seconda sezione del PDP deve invece essere differenziata per gli allievi con DSA, con BES
certificati e con BES riconosciuti dai docenti. In questa seconda parte si annoteranno i livelli di
prestazione specifici da osservare in relazione al disturbo
Illustrare la sindrome autistica Termine con cui viene descritto un sintomo della schizofrenia o
con cui si designa un particolare tipo di psicosi dell’infanzia (“disturbo autistico” o “autismo
infantile precoce” o “autismo di Kanner”), caratterizzato da un grave disturbo psicopatologico della
comunicazione e del comportamento. Coniato da Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo
della schizofrenia, il termine autismo è stato in seguito applicato, in modo indipendente, dagli
psichiatri austriaci Leo Kanner (nel 1943) e Hans Asperger (nel 1944) per descrivere una sindrome
che si sviluppa in età infantile, in genere al di sotto dei tre anni.
SINTOMI DELL'AUTISMO INFANTILE PRECOCE Il bambino autistico è incapace di usare il
linguaggio in modo comprensibile o di elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente. Circa
metà dei bambini autistici è priva della parola; quelli che parlano spesso si limitano a ripetere
meccanicamente ciò che sentono. Il termine “autismo” descrive, in particolare, l’atteggiamento,
comune a questi soggetti, di totale isolamento dall’ambiente esterno e di chiusura in un mondo
interiore.
POSSIBILE ORIGINE GENETICA Lo studio condotto all’Università di Toronto dal genetista
Stephen Scherer, i cui risultati sono stati pubblicati nell’aprile 2003, ha evidenziato una forte
correlazione tra l’autismo e mutazioni genetiche localizzate sul cromosoma 7
TERAPIA Causa, prognosi e terapia dell’autismo infantile precoce sono tuttora oggetto di studio.
L’educazione e la formazione scolastica dei bambini autistici devono essere seguite attentamente e,
in genere, prevedono un apprendimento a piccoli passi, uno stretto controllo comportamentale e
terapie psicoterapeutiche
ORGANIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO Trattamento in singolo: proposto
in genere a paziente con bilancio comportamentale più compromesso, per tempi limitati e numero di
sedute ridotto Trattamento in gruppo: ogni gruppo è costituito da 3/5 pazienti il più possibile
omogenei per quadro funzionale. L’attività si svolge con cadenza bisettimanale con sedute di 2hr30
min. per ogni gruppo.
Quali sono le qualità che deve possedere un buon docente per un'effettiva scuola inclusiva? La
realizzazione di una buona prassi didattica inclusiva si sviluppa a partire da una concezione dei
docenti in termini di “gruppo docente” in grado di porsi come una risorsa finalizzata al sostegno ed
allo sviluppo di competenze di ciascun alunno. La realizzazione della professione docente per lo
sviluppo di una didattica inclusiva necessita il superamento della lezione frontale e collettiva come
unica modalità didattica prendere atto delle diversità significa sostenere i singoli nello sviluppo dei
loro potenziali di apprendimento superando la frustrante situazione di impossibilità e limitatezza È
dunque l’insegnante che si configura quale primo mediatore del rapporto didattico, e pertanto la
competenza della professione docente deve svilupparsi anche nella direzione di riconoscere il
mediatore didattico più idoneo alle diverse situazioni classe in cui è inserito L’insegnante mediatore
offre agli allievi la possibilità di imparare a interpretare, organizzare e strutturare le informazioni
provenienti dall’ambiente. Il docente si pone in un ascolto continuo delle esigenze dell’allievo Un
buon mediatore crea un ambiente favorevole, pertanto nelle situazioni scolastiche, il docente deve
essere in grado di affiancare alla parola altre modalità, capaci di stimolare le diverse forme di
intelligenze ed attivare diversi canali di comunicazione, in modo da coinvolgere tutti gli alunni e da
stimolarne la partecipazione al processo di apprendimento. A tale scopo la metodologia didattica
deve comprendere il maggior numero possibile di tecniche, al fine di rendere vario, flessibile, ricco
ed efficace l’insegnamento.
Come avviene il riconoscimento del DSA. Descrivere le diverse fasi e l'intervento nel sistema
classe.
La scuola è il primo luogo in cui è possibile individuare il manifestarsi di Disturbi Specifici
dell'Apprendimento nei bambini, ovvero disturbi nei quali le normali modalità di acquisizione delle
abilità scolastiche Il docente è tenuto a conoscere la normativa e a identificare gli alunni nel gruppo
classe; deve intervenire in modo corretto, suggerendo – per ogni studente provvisto di diagnosi – le
misure dispensative e gli strumenti compensativi più adatti. Ai primi livelli scolastici spetta un
lavoro di prevenzione. La scuola dell'infanzia studierà i disturbi del linguaggio, la scuola primaria,
oltre a questo, potrà attuare il riconoscimento, segnalare il caso, indirizzare al diagnosta il bambino
con sospetto DSA, accompagnandolo durante il suo cammino formativo, mentre, la scuola
secondaria di primo e secondo grado prenderà atto di quanto svolto precedentemente e a sua volta si
adopererà per l'invio ai Servizi Sanitari dei casi sospetti di dislessia, per l'eventuale ottenimento di
una diagnosi. l'insegnante a formulare una prima ipotesi sulla presenza di DSA, indirizzando la
famiglia verso le necessarie verifiche in sede specialistica.
Quali sono gli strumenti dispensativi e compensativi che vengono utilizzati nella prassi
didattica con i mìbambini con disturbi di DSA?
una volta verificata l‟effettiva presenza di un DSA in maniera commisurata alle necessità
individuali, stabilite dagli specialisti che seguono il bambino, e all'entità del disturbo di
apprendimento, è importante che gli insegnanti permettano l'uso di alcuni strumenti dispensativi e
compensativi nella prassi didattica, quali:
– dispensa dalla lettura a voce alta e dalla scrittura veloce sotto dettatura;
– - garantire l'uso del vocabolario digitale di italiano, inglese, greco, latino, ecc.; -
– dispensa dallo studio mnemonico delle tabelline;
– - dispensa dallo studio delle lingue straniere in forma scritta; -
– garantire tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio; -
– organizzazione di interrogazioni programmate; -
– assegnazione di compiti a casa in misura ridotta; -
– possibilità d'uso di testi ridotti non per contenuto, ma per quantità di pagine.
Per la realizzazione di queste forme di intervento compensativo l'autonomia scolastica si prefigura
come possibilità per agevolare e sperimentare questi percorsi individualizzati, che si configurano
quali opportunità per il riconoscimento dei bisogni specifici dell'alunno. Al di là degli strumenti
compensativi tesi a permettere il recuperodell'alunno con DSA è assolutamente di primaria
importanza sviluppare un processo di integrazione dell'alunno all'interno del gruppo classe
Nei nuovi approcci didattici inclusivi, che ruolo svolge la dimensione emozionale?
La ricerca didattica si sposta perciò dal focalizzare il solo atto dell'insegnamento all'allargare la sua
attenzione all'intero processo d‟insegnamento/apprendimento ponendo la centratura sull'alunno non
solo in termini di individuali sue modalità e strategie di apprendimento ma anche in termini di
dimensioni emozionali attivate nella pratica didattica. Se l'obiettivo ultimo della formazione è di
produrre dei cambiamenti nei comportamenti organizzativi delle persone e il ruolo del docente
diventa quello di un mediatore tra saperi, valori, emozioni, di qualità e di tipi diversi, come regista
di scenari cognitivi, come creatore di contesti, allora la pratica formativa dal punto di vista del
docente deve evolversi. deleterio non considerare le emozioni nella progettualità didattica, che
vorrebbe dire non considerare quella dimensione umana che ci mette in relazione con gli altri e con
il mondo, e quindi anche con i contenuti, le attività, gli interventi, le persone della formazione. Nel
concepire un utilizzo delle emozioni nella formazione l'equilibrio è la cosa più importante, ovvero
mettere insieme da una parte il fatto che occorre logica, occorre struttura, e anche finalizzazione
dell'apprendimento, ma dall'altra parte bisogna fare in modo di operare con le competenze
metodologiche che lavorano sull'esperienzialità; L'alfabetizzazione emotiva contribuisce a
potenziare negli allievi processi metacognitivi e di problem solving interpersonale che facilitano la
costruzione di interazioni sociali positive anche nel contatto con la “diversità”, spesso, purtroppo,
percepita e vissuta come elemento di rifiuto, esclusione ed emarginazione sociale prospettiva
educazione in grado di farsi carico della componente emotiva favorisce una crescita affettiva
armonica nel bambino, mettendolo in grado di realizzare in pieno le proprie potenzialità e il proprio
benessere.