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Cosa si intende per didattica?

Fornire una definizione e descrivere le sue


implicazioni/relazioni con la pedagogia?
Possiamo definire la didattica come un ambito conoscitivo che si occupa criticamente
dell'allestimento, consolidamento e valutazione di "ambienti di apprendimento". G. Proverbio,
nell’Enciclopedia Pedagogica definisce la didattica come “scienza e arte dell’insegnamento”
La didattica è una delle forme in cui si analiiza, si progetta, si attua, la vicenda dell'educazione.
Rientra nella pedagogia come scienza e arte dell'educazione. La didattica è pertanto un dominio
culturale che si propone di elaborare la trasmissione della cultura.
Da didassi = azione dell’insegnamento;
didattica = scienza dell’insegnamento
La didattica è “la parte della teoria e dell’attività educativa che concerne i metodi dell’insegnamento
". in un sistema complesso, interpretiamo la didattica come scienza contemporaneamente autonoma
e strettamente correlata rispetto alla pedagogia dotata di una forte marcatura progettuale,
metodologica, valutativa.

Quali sono gli elementi della didattica? Descriverli e analizzare un sistema didattico
Un sistema didattico comprende soggetti e oggetti; i soggetti sono gli uomini in formazione e quelli
che professionalmente aiutano gli altri a formarsi. Gli oggetti riassumono testi, contenuti
disciplinari, saperi, linguaggi, persino concettualizzazioni e nozioni.
Interpretiamo la didattica:
– come un complesso di saperi teorico-pratici;
– scienza contemporaneamente autonoma e strettamente correlata rispetto alla pedagogia;
– dotata di una forte marcatura progettuale, metodologica, valutativa

Cos'é il "metodo didattico" e quali sono i principali metodi che vengono utilizzati nell'ambito
della pedagogia e della didattica?
"Metodo didattico" viene considerato quello sul quale si costituisce l’attività dell’insegnante. Si
tratta di un insieme di regole, consciamente ordinate, che dirigono una attività didattica in classe.
Tra i numerosi metodi sono da rilevare, nel campo della scienza, il metodo deduttivo e induttivo. il
metodo deduttivo,quello classico legato al procedimento che passa dal generale al particolare, da
una premessa a una conclusione, anche chiamato a priori, e induttivo, anche chiamato a posteriori,
si cercano le leggi partendo dal particolare e ricostruendo il tragitto.con il metodo deduttivo si parte
da un assioma, che si dà per certo e assoluto, o da una ipotesi di lavoro, e si deducono le leggi
implicate

Descrivere il rapporto tra pedagogia e didattica, di cosa si tratta e cosa le lega?


È un rapporto in continua ri-costruzione, con scambi reciproci strettissimi. “La didattica indica
l’arte di insegnare e pedagogia designa piuttosto l’attività teoretica di riflessione dell'educazione.
Ciò non significa che, con semplicistica equazione, la pedagogia sta alla teoria come la didattica sta
alla pratica. Come in ogni scienza, anche nella didattica la processualità proattiva e retroattiva tra
azione e riflessione .la pedagogia riguarda i fini, i perché dell'educazione, mentre la didattica ha
come suo campo d’indagine lo studio dell'interpretazione e la progettazione dell'insegnamento per
ottimizzarne i processi, per ottenere risultati sempre migliori quantitativamente e qualitativamente.

Quali sono le tre componenti fondamentali della situazione scolare e come interagiscono? Lo
studente spieghi di cosa si tratta
le tre componenti fondamentali della situazione scolare sono: l’insegnante, l’alunno, la scuola
come istituzione ed organizzazione. Sul piano metodologico si possono elaborare delle categorie
generalizzabili, ma esse, appunto perché categorie hanno un valore formale. Dal punto di vista del
contenuto esse possono essere riempite solo nel momento in cui vengono messe in atto nella pratica
educativa. Si possono indicare delle linee direttive che poi devono essere “tradotte” in ordine allo
specifico, nell’atto concreto del far scuola.
L'insegnamento è autoapprendimento anche per l'insegnante: per quale motivo?
L’insegnamento è autoapprendimento anche per l’insegnante, sia perché richiede da parte di questo
un continuo aggiornamento teoretico, al fine di innovare i suoi metodi, sia perché egli apprende
dalla situazione scolare stessa. Pertanto, la capacità di insegnare non è soltanto questione di
formazione iniziale, ma anche di formazione continua, che si realizza anche attraverso l’esperienza
scolastica quotidiana. Posto infatti, in situazioni sempre nuove per il variare dei discenti, delle
situazioni scolastiche ed extrascolastiche, l’insegnante è sollecitato dalla situazione stessa a mettere
in atto procedimenti sempre diversi, a modificare il suo comportamento.

Quando in Italia, la didattica è diventata una disciplina pedagogica, e perchè? Lo studente


spieghi e argomenti questo concetto.
In Italia all’incirca fino a metà anni ’70 con “didattica” s’intendono le azioni che il docente compie
per tradurre il programma in conoscenze degli alunni nell’ambito scolastico. Da allora gli sviluppi
determinati dalle prospettive introdotte con l’epistemologia pedagogica e le scienze
dell’educazione, da un lato, e dalle conseguenze di fenomeni sociali come la scolarizzazione di
massa e la formazione permanente, dall’altro lato, hanno ampliato i confini della didattica
legittimandone una certa autonomia dalla pedagogia. Così la didattica ha esteso il suo campo ad
altri luoghi (l’educazione prescolastica, la formazione al e del lavoro o alle e delle culture del
dopolavoro, l’integrazione formativa delle categorie emarginate), ad altri percorsi (l’educazione, la
formazione, l’istruzione integrata e l’integrazione scolastica e lavorativa), ad altre categorie (alle
donne, agli emarginati, agli anziani) e ad altre età (a bambini piccoli, a giovani e adulti, anziani).
In tal modo la didattica si è posta all’attenzione anche delle politiche culturali come l’oggetto
peculiare e autentico dell’agire educativo.

Perchè la didattica è divenuta una disciplina autonoma? Qual'è la sua funzione?


La didattica può essere concretamente considerata una scienza autonoma che già esiste per
assolvere al compito di far interagire il soggetto che apprende con gli oggetti dell’apprendimento
realizzandosi in un primo tempo come osservazione, analisi e preparazione dei dati. Tale
modellizzazione dell’esperienza va, poi, strutturata in un sistema di ipotesi su cui si possano
esercitare due logiche simultaneamente: quella induttiva (dalla pratica alla teoria) che parte dai fatti
educativi (esperienze, prodotti, processi, azioni) per far sintesi a posteriori, e quella deduttiva (dalla
teoria alla pratica) che, attraverso l’argomentazione (analisi, concettualizzazione, interpretazione,
teorizzazione), riferisce criticamente con sintesi a priori sui medesimi fatti.

Cosa intende Schon con l’espressione “professionista riflessivo”? Lo studente spieghi di cosa si
tratta
Per Schon l’espressione “professionista riflessivo” richiama tale significato: la professionalità
dell’insegnante si gioca proprio nel passaggio da un sapere tacito a un sapere esplicito, ovvero
nell’acquistare consapevolezza del proprio sapere, in questa relazione continua tra esperienza e
riflessione, tra sapere pratico e sapere teorico Più in generale il ruolo della didattica consiste
nell’aiutare l’insegnante a rendere comunicabile il proprio sapere, nel dare le parole al sapere
pratico che sta dentro l’azione Ciò implica un ripensamento complessivo rispetto alla visione
tradizionale di didattica. La ricerca non è qualcosa di separato e distante dall’azione, ma si
intrinseca con essa,

Quali sono gli elementi fondanti della dimensione relazionale nella didattica? Indicare quali
sono e argomentare
La qualità della relazione allievo-docente sta nel grado di flessibilità con cui il docente gestisce il
rapporto asimmetrico con gli allievi. Il docente deve essere capace a esercitare l’arte
dell’incoraggiamento nei confronti dei propri allievi. il docente deve possedere una competenza di
base: l’ascolto attivo, che consiste nel mettersi a disposizione dell’allievo da parte del docente,
valorizzarlo come interlocutore, sforzandosi di capirne il punto di vista. Il concetto di ascolto attivo
può essere individuato nei seguenti punti: - Non avere fretta di arrivare alle conclusioni, sospendere
il giudizio. - Sforzarsi di cambiare il punto di vista con cui osservare una data realtà, come
condizione per riconoscere il proprio punto di vista e i suoi limiti. - Mettersi nei panni del proprio
interlocutore, riconoscendogli le sue ragioni ed esplorando la sua prospettiva. - Valorizzare il codice
delle emozioni, di tipo relazionale e analogico. - Andare oltre la superficie del mondo reale,
esplorare i mondi possibili. - Sfruttare i paradossi del pensiero e della comunicazione come
strumenti euristici utili a gestire in modo creativo i conflitti. - Adottare una modalità umoristica
nell’esercizio dell’arte di ascoltare. Il docente dovrebbe valorizzare la discussione tra gli allievi
come risorsa per l’apprendimento

David Ausubel ha classificato le diverse modalità di apprendimento in relazione a due


parametri centrati entrambi sul ruolo attivo del soggetto nell’esperienza apprenditiva:
indicare quali sono e descriverli
David Ausubel ha classificato le diverse modalità di apprendimento in relazione a due parametri
centrati entrambi sul ruolo attivo del soggetto nell’esperienza apprenditiva:
1. La relazione del contenuto di apprendimento con la matrice cognitiva del soggetto. In relazione a
questo primo parametro Ausubel ha distinto:
– L’apprendimento significativo (in cui la nuova acquisizione viene efficacemente collegata
con l’insieme delle strutture di conoscenza già in possesso dell’individuo, eventualmente
procedendo ad una loro più articolata riorganizzazione;
– L’apprendimento meccanico (nel quale la nuova acquisizione non trova alcun
collegamento con la struttura cognitiva, viene assimilata isolatamente, con l’inevitabile
conseguenza di dover ricorrere a procedimenti meramente ripetitivi per memorizzarla
2. Le modalità di approccio del soggetto che apprende al nuovo contenuto culturale, in base al
quale ha distinto:
- L’apprendimento per ricezione (in cui l’informazione già strutturata viene trasmessa
all’individuo direttamente da altri e quindi recepita in modo passivo);
- L’apprendimento per scoperta (nel quale il soggetto viene a diretto contatto con una
nuova informazione in modo attivo e totalmente autonomo).

Cosa si intende per progettazione didattica?


Per quanto riguarda la progettazione didattica, nell’ambito della Scuola tendono ad esserci due
visioni piuttosto contrapposte di essa: la visione amministrativa che toglie qualsiasi significato al
momento progettuale e questa è la visione che prevale nella pratica scolastica, e invece una visione
professionale che vede nella progettazione uno strumento a disposizione del docente. È possibile
indicare i diversi modelli di progettazione in cui si concretizzano le due logiche progettuali che
sono state richiamate, quella della razionalità tecnica e quella della progettazione:
– Programmazione per obiettivi: espressione fedele della logica della razionalità tecnica.
– Programmazione per concetti: modelli progettuali più attenti ai modi in cui il soggetto
apprende e ai caratteri distintivi dei diversi saperi.
– Programmazione per sfondo integratore: identificare uno sfondo che faccia da
contenitore ad un determinato percorso didattico orientato allo sviluppo di specifici
traguardi formativi.
L’itinerario didattico non è preordinato, ma evolve in corso d’opera secondo i traguardi formativi
ben identificati.

La didattica comprende diverse appartenenze identitarie, quali sono? Indicarne le principali e


spiegare di cosa si occupano
La riflessione nell’ambito della didattica implica il possesso di conoscenze e competenze relative ai
diversi contesti, micro e macrogruppali, comprese le agenzie o istituzioni educative, la loro storia e
la loro tradizione, le loro potenzialità e le trasformazioni alle quali sono soggette.
La didattica comprende in sé sia elementi trasversali alle diverse situazioni di apprendimento che
altri, specifici, in relazione ai differenti contesti e soggetti. La didattica generale si occupa di quanto
di comune tiene insieme i possibili e talvolta diversissimi percorsi di apprendimento La didattica in
classe, ad esempio, è diversa dalla didattica individualizzata o in piccolo gruppo che si realizza
rispetto a un percorso circoscritto e a un obiettivo limitato. In questo caso il gruppo di
apprendimento si struttura in maniera meno significativa in relazione alle dinamiche interpersonali,
poiché è destinato a vivere il tempo e lo spazio necessari per raggiungere un obiettivo specifico E’ il
caso di corsi di formazione La didattica si articola diversamente, in relazione ai soggetti coinvolti e
ai contesti (si parla infatti di “didattica interculturale”, di “didattica di genere”, di “didattica
speciale”, di “didattica multimediale” e così via), ma anche, in particolare nel caso di percorsi
formali di apprendimento all’interno delle istituzioni dedicate, in virtù della specificità di ogni
disciplina (si parla allora di “didattica disciplinare” rispetto un preciso ambito della conoscenza).

Descrivere il rapporto tra docente e allievo, le caratteristiche e le interazioni


Il rapporto tra docente e allievo è un processo di apprendimento che li coinvolge entrambi, in un
ambito di doppia valenza, cognitiva e affettivo-emozionale. Una corretta progettazione didattica
deve tenere presente sia le problematiche metacognitive che le funzioni dell’Io (attenzione,
memoria, linguaggio e intelligenza), cioè le facoltà cognitive.
Molto importante in questo rapporto è quella che viene definita da Goleman come “intelligenza
emotiva”, in relazione alla capacità di introspezione e conoscenza di sé, ma anche di riuscire a
mettersi dal punto di vista dell’altro e comprenderlo.
Essa riguarda, nella didattica, la capacità di relazionarci con gli interlocutori in maniera costruttiva
e positiva immedesimandoci con i loro sentimenti e stati d’animo. Perciò riguarda anche la capacità
di ascolto dell’altro, non solo espressione attiva ei propri contenuti.
Tra docente e allievo vi deve essere un rapporto positivo, l’insegnante deve essere visto come
equilibrato e affidabile, senza oltrepassare determinati limiti, come quello di proiettare nella figura
del docente i primi desideri affettivo-sentimentali-sessuali.
Inoltre, il docente deve esporre le proprie materie agli allievi, permettendo a questi di interagire
nel processo di apprendimento, per stimolare il ragionamento collettivo.
Deve supervisionare le attività di classe e sfruttare il consiglio di classe per discutere delle
problematiche dei vari allievi, non solo a livello di contenuti ma relazionale.

L'attenzione e la memoria sono due importanti fattori che nella didattica occorre tener conto,
per quali ragioni? Come agiscono sull'apprendimento?
definiamo con il termine “attenzione” un insieme di processi di carattere neuropsichico.
L’attenzione è una facoltà limitata e non assoluta; essa è relativa ai contesti, alla diversità dei
soggetti, al tipo di attività L’attenzione, dunque, è una facoltà non illimitata né univoca, ma
correlata a vari fattori quali l’età, il contesto, l’obiettivo dell’attività proposta e quindi la
motivazione più o meno eteronoma. Influenzano l’attenzione anche la stanchezza o lo stato di stress
psicofisico e un clima emotivo caratterizzato da tensione
La partecipazione attiva a un’attività alza la soglia e la durata dell’attenzione rispetto, per esempio,
al mero ascolto passivo La passività in un’esperienza di apprendimento è infatti direttamente
proporzionale al calo dell’attenzione. L’apprendimento risulta ostacolato se l’attenzione è scarsa o
labile e fluttuante, poiché il soggetto si disperde e disorganizza inseguendo stimoli diversi
Per quanto riguarda, invece, la memoria, l’altra grande funzione implicata nell’apprendimento e
che concorre a determinare il colore, cioè la qualità dell’intelligenza, è necessario ricordare che non
si può parlare di una memoria univocamente intesa, ma di tante tipologie che tutte insieme generano
il modo proprio di ciascun soggetto di archiviare le esperienze trasformandole in ricordi Si possono
innanzitutto considerare una memoria di carattere più intellettivo e una di carattere affettivo-
emozionale.Dal punto di vista didattico è importante, nello stimolare l’apprendimento, individuare
quali memorie risultino preferenziali per ciascun soggetto e dunque poter programmare
l’utilizzazione di una pluralità di canali percettivi e l’individualizzazione delle strategie di carattere
mnestico da suggerire a ciascuno. La memoria, si articola, in senso più generale, in due grandi
tipologie, da molti anni oggetto di studio in ambito neurologico: la memoria a breve termine o
immediata, detta anche “memoria di lavoro” e la memoria a lungo termine.

La capacità di osservare e valutare è parte intrinseca della progettazione didattica e del


processo di insegnamento: per qauli motivi? Lo studente argomenti l'asserzione
In generale possiamo affermare che le azioni dell’osservare e del valutare hanno acquisito un senso
(e sono state seguite da una serie di pratiche) innanzitutto in ambito scientifico e medico in
particolare, mentre sono entrate a far parte del bagaglio di competenze psicopedagogiche e
didattiche assai più tardi. La spiegazione di quanto appena affermato può essere ricercata nel fatto
che il bambino, l’adolescente, il ragazzo, sono caratterizzati dal non poter essere ancora del tutto
definiti, né rispetto al mondo interno né per il rapporto con l’esterno. All’inizio del rapporto
educativo l’insegnante deve optare tra l’attendere che la situazione si delinei gradualmente in modo
spontaneo o scegliere invece di procedere in base a una strategia conoscitiva e valutativa ben
definita il rischio è quello, da una parte di lasciarsi gestire dal soggetto osservato, che in un certo
senso può decidere, almeno in parte, che cosa vuole mostrare e che cosa vuole invece tenere celato,
dall’altra di avvicinarsi a lui non liberi da pregiudizi e quindi condizionarne involontariamente il
comportamento. Osservare e valutare il soggetto dell’apprendimento implica definire l’oggetto della
conoscenza, che in questo caso è complesso (perché le variabili connesse all’apprendimento sono
molteplici) e contemporaneamente il contesto nel quale questa conoscenza avviene. Nell’effettuare
la valutazione e l’osservazione gli insegnanti sono inoltre condizionati dal proprio bagaglio
personale di valori e atteggiamenti. Molte variabili confluiscono nelle modalità di osservare e
valutare, tra le quali, per esempio, la storia personale, la convinzione politica, ideologica o etica,
l’idea soggettiva che si ha della scuola in generale e della scuola specifica nella quale si lavora. Il
modo migliore per controllare la validità di un’osservazionevalutazione potrebbe essere, allora,
quello del confronto interdisciplinare;

Con l’espressione “competenze metacognitive” ci si può riferire, a che cosa?


Con l’espressione “competenze metacognitive” ci si può riferire, infatti, anche alla capacità di
discriminare criticamente le varie esperienze mentali e cognitive e di comprendere le diverse
modalità di attivazione del pensiero e di incremento o decremento della conoscenza. Esiste, infine,
una particolare coloritura delle competenze metacognitive legata all’attribuzione di valore a sé e
agli altri in relazione, anche in questo caso, alla conoscenza e all’apprendimento oltre che
all’intelligenza. Molte persone, sia in età evolutiva che da adulti, tendono a vivere l’aspetto
attribuzionale con modalità svalutanti e contemporanea idealizzazione dell’altro. All’opposto, vi è
anche chi tende a sopravvalutare il proprio valore e le proprie capacità svalutando quelle altrui.

Perchè si parla di una didattica costruttiva, dialogica e in divenire? Spiegare e argomentare


queste tre caratteristiche
Costruttiva, che abbia chiarito i propri obiettivi e come realizzarli, avendo come riferimento
l’ascolto attivo degli alunni inseriti in un dato contesto; dialogica, in cui avvenga un dialogo e un
confronto fra le parti; in divenire, capace di modificare le proprie azioni se non hanno riscontri
positivi a livello scolastico, familiare e sociale.
La riflessione che viene furi è dovuta al malcontento che vige nell’ambiente scolastico, in una
scuola che vuole definirsi autonoma, ma naviga ancora in un mare di confusione caotica.
Vi sono ancora insegnanti tradizionali legati alla vecchia didattica dei tempi passati legati alla
vecchia didattica, con studenti rispettosi dei docenti.
Pero era una scuola a visione di molti confusionaria e senza obiettivi chiari, non adeguata alla
crescita personale degli studenti.
Bisogna che le varie parti, scuola alunni e genitori dialoghino tra d loro per il benessere dei ragazzi
e del contesto scolastico generale.
all'interno della scuola vi sono diversi malesseri sentiti sia dai maestri e alunni tradizionali sia da
maestri e alunni alternativi/creativi. Per gli uni si rimpiange la vecchia ordinata e funzionale scuola
e la sua attuale dequalificazione, e per gli altri si lamentano di ruoli e obiettibi poco definiti. Anche
tra insegnanti e genitori ci sono scontri perchè i primi pretendobo più impegno nell'educazione dei
figli e i secondi una maggiore valorizzazione di potenzialità degli allievi. Ciò che si sta
svalorizzando è proprio la figura del maestro. La scuola dovrebbe essere un contesto capace di
favorire la crescita personale e in questo la didattica può essere definita costruttiva. Il dialogo è
l'unica forma di comunicazione che l'avvicinamento di due metodologie diverse.

Negli ultimi cinquant’anni il sapere didattico ha subito profonde trasformazioni, di cosa si


tratta?
Negli ultimi cinquant’anni il sapete didattico ha subito profonde trasformazioni, determinando un
ripensamento complessivo dei suoi significati: l’estensione del campo della didattica, inizialmente
circoscritta all’insegnamento proprio della scuola e via via ampliato anche ad alcuni ambiti
dell’educazione informale; la specificazione dell’oggetto della didattica in relazione ai diversi
saperi e alle diverse discipline di insegnamento: le peculiarità connesse al loro insegnamento ha
determinato la necessità di affiancare loro anche una didattica di tipo generale (cioè quella di questo
libro); la proliferazione di metodologie didattiche ha sollecitato un approccio meno dogmatico, più
flessibile. Non si punta più a predisporre un modello didattico universalmente valido, sussistono
invece tante proposte che richiedono di essere selezionate e calibrate in rapporto alle specifiche
situazioni in cui devono essere impiegate. Con un conseguente ripensamento del compito del sapere
didattico, non più orientato a fornire n modello predeterminato, quanto piuttosto volto a proporre un
repertorio di strategie, di metodologie, di strumenti tra cui scegliere le soluzioni più opportune e
pertinenti.

Quali sono i criteri regolativi che qualificano un’innovazione efficace?


I criteri regolativi che qualificano un’innovazione efficace:
1. Contrattualità: i soggetti coinvolti nel piano di miglioramento devono operare all’interno di
un mandato chiaro e articolato che definisca responsabilità, modi e tempi di lavoro.
2. Gradualità: un’azione di miglioramento può essere pensata solo in termini di progressiva
estensione e intensificazione, a partire dai livelli di maturazione acquisiti.
3. Condivisione: in coerenza con l’intero processo auto valutativo anche la definizione delle
azioni di miglioramento deve essere assunta consapevolmente dai soggetti che dovranno
metterla in pratica.
4. Negoziazione: occorre valorizzare e rispettare la pluralità delle posizioni e delle opinioni,
entro un processo dialogico di costruzione comune di significati e decisioni.
5. Supporto: un processo innovativo richiede sempre di essere guidato e sostenuto da chi se ne
fa promotore, attraverso azioni tangibili e intangibili.
6. Praticità: la declinazione operativa del piano di sviluppo deve consentire una chiara
7. identificazione delle azioni da compiere e delle attività da sviluppare, non limitarsi a
8. generici indirizzi strategici.
9. Rivedibilità: il processo migliorativo non può essere fissato una volta per tutte, bensì
richiede di essere precisato e riformulato in corso d’opera, prevedendo al suo interno spazi
di flessibilità e di rielaborazione in itinere.

Documentare l’azione didattica da origine a diverse combinazioni differenti. Indicare quante


sono e argomentarne almeno tre a scelta dello studente
Sono stati individuati due criteri: un primo criterio è relativo alle funzioni affidate alla
documentazione: regolativa. Un secondo criterio distingue varie fasi temporali
L’incrocio dei due criteri dà origine a nove combinazioni differenti:
1. Piani: precede l’azione. Funzione regolativa, di guida all’azione stessa.
2. Criteri di qualità: documenta l’azione didattica nei suoi principi ispiratori. Svolgono una
funzione di indirizzo.
3. Prototipi: seguono l’azione. Resoconto strutturato. Funzione regolativa.
4. Teorie: documentazione che precede l’azione. Strumento di formalizzazione dell’azione, di
generalizzazione della prassi.
5. Categorie di analisi: documentazione che accompagna l’azione. Ha lo scopo di fornire
strumenti di comprensione dell’esperienza.
6. Tipologie didattiche: documentazione che segue l’azione. Intende riconoscerne i tratti
salienti.
7. Simulazioni: ricostruzione dell’esperienza, reso particolare dalla modalità della simulazione.
8. Protocolli osservativi: documentazione che accompagna l’azione. In corso di svolgimento.
Ha lo scopo di restituire la ricchezza di ciò che accade.
9. Diari di bordo: segue l’azione. Documentazione a caldo.

Nella didattica la dimensione relazione ha un valore significativo, per quale motivo? Spiegare
il concetto e le caratteristiche della dimensione relazionale
La qualità della relazione allievo-docente sta nel grado di flessibilità con cui il docente gestisce il
rapporto asimmetrico con gli allievi. Il docente deve essere capace a esercitare l’arte
dell’incoraggiamento nei confronti dei propri allievi, ovvero una dinamica promozionale alla
crescita e allo sviluppo nell’autonomia dello studente il docente deve possedere una competenza di
base: l’ascolto attivo
Marianella Sclavi elabora il concetto di ascolto attivo in senso interculturale:
1, Non avere fretta di arrivare alle conclusioni, sospendere il giudizio. 2. Sforzarsi di cambiare il
punto di vista con cui osservare una data realtà, come condizione per riconoscere il proprio punto di
vista e i suoi limiti. 3. Mettersi nei panni del proprio interlocutore, riconoscendogli le sue ragioni ed
esplorando la sua prospettiva. 4. Valorizzare il codice delle emozioni, di tipo relazionale e
analogico. 5. Andare oltre la superficie del mondo reale, esplorare i mondi possibili. 6. Sfruttare i
paradossi del pensiero e della comunicazione come strumenti euristici utili a gestire in modo
creativo i conflitti. 7. Adottare una modalità umoristica nell’esercizio dell’arte di ascoltare.
Il docente deve valorizzare la discussione tra gli allievi come risorsa per l’apprendimento

Cosa intende Damiano quando parla di “Mediazione didattica”? Damiano riporta il concetto di
Aristotele secondo cui nell’azione umana ci deve essere sia un fine etico che risiede nella praxis, sia
un fine pratico che risiede nella poihsis, e che dà origine ad un prodotto finito Ci deve essere una
MEDIAZIONE DIDATTICA, teorizzata da Damiano, cioè una regolazione della distanza tra i
contenuti culturali da trasmettere e i soggetti in apprendimento, tra la struttura logica dei contenuti e
la struttura psicologica dei soggetti in apprendimento. La MEDIAZIONE quindi è un processo di
trasformazione di determinati contenuti culturali in contenuti accessibili all’apprendimento per un
determinato gruppo di allievi in funzione di un determinato scopo.

Quali sono i fattori che definiscono il contesto formativo?


È necessario fare una distinzione tra Il macro-contesto richiama l’ambiente socio-culturale e
istituzionale. Il meso-contesto è riconducibile all’istituto scolastico in cui si esercita l’azione
dell’insegnamento, portatore – in modo più o meno consapevole – di una propria cultura educative e
organizzativa entro cui si inserisce l’azione del singolo insegnante. Il micro-contesto riguarda
l’aula ed è identificabile, in senso più specifico, con il setting formativo entro cui avviene l’evento
didattico.
i più significativi fattori che definiscono il contesto formativo, in relazione allo svolgimento
dell’azione didattica:
– lo spazio, come contenitore fisico e materiale entro cui si realizza l’insegnamento.
– Il tempo, la suddivisione della giornata, la distribuzione del lavoro didattico, l’alternanza
delle diverse attività, l’organizzazione dell’orario settimanale.
– Le regole, come insieme di norme implicite ed esplicite che regolamentano la vita della
classe e lo svolgimento dell’azione didattica.
– Gli attori, come insieme dei soggetti coinvolti nella relazione didattica. -
– I canali comunicativi, come medium attraverso cui avviene la relazione didattica.

Descrivere il rapporto tra l'empatia e il comportamento pro-sociale


La distinzione tra empatia e simpatia è fondamentale per comprendere il legame con la motivazione
all’aiuto. Secondo Eisenberg e collaboratori, l’empatia è «uno stato affettivo che nasce dal timore di
un altro stato emotivo o condizione, e questo è congruente con esso». La simpatia è definita come
«una risposta emotiva derivante da un altro stato emotivo o condizione che non sia identico a quello
dell’altro, ma è costituita da sentimenti di dolore o preoccupazione per il benessere altrui».
L’empatia nella sua forma pura non è orientato verso l’altro. Con un’ulteriore elaborazione
cognitiva può trasformarsi in simpatia, disagio personale, o una combinazione di entrambi. Il
comportamento prosociale è correlato negativamente con il disagio personale, e positivamente con
la simpatia.Il termine preoccupazione empatica fu introdotto da Batson, ed è simile alla definizione
di simpatia della Eisenberg La preoccupazione empatica è definita come una risposta orientata
verso l’altro congruente con il disagio vissuto dall’altra persona In linea con i risultati di Eisenberg
e collaboratori su bambini e giovani adulti, i risultati di Batson e colleghi supportano l’ipotesi che
provare empatia per una persona in stato di bisogno porta a un aumento del comportamento
prosociale

Fornire una definizione dell'empatia e descrivere il suo valore in campo educativo


Con il termine di empatia si intende «la percezione del sistema interiore di un altro individuo con
l’accuratezza e le componenti emotive e di significato che gli appartengono come se uno fosse la
persona in oggetto, ma tuttavia senza mai perdere la condizione del “come se”». Il concetto di
“empatia” esprime un senso di somiglianza, condivisione tra i sentimenti propri e quelli espressi da
un’altra persona e, nello stesso tempo, implica meccanismi cognitivi che tengano traccia della
sorgente dello stato affettivo, e che permettano di differenziare il sé dall’altro.
L’empatia matura è, quindi, quella che prevede – anche nell’educatore – un percorso di crescita
interiore continuo, un interesse al proprio essere e alle motivazioni profonde che lo guidano nelle
relazioni con gli altri e nella scelta di una professione basata sulla relazione. In educazione questo è
da considerarsi imprescindibile.

Come agisce l'empatia con i bambini? Quali meccanismo cognitivi implicano?


SVILUPPO DELL’EMPATIA: FASI EVOLUTIVE
 Nei primi mesi di vita l’esperienza empatica si concretizza in una reazione emotiva che non
dipende dalla volontà del bambino perché è pressoché automatica.
Intorno al primo anno di vita, i bambini diventano attenti osservatori del mondo emotivo degli altri
 Tra il primo e il secondo anno lo sviluppo dell’empatia procede perché i bambini diventano più
consapevoli del fatto che ciò che provano gli altri è distinto da ciò che provano loro.
 E’ intorno ai 2 anni però che si realizza una vera esperienza empatica, intesa come la capacità di
cogliere emozioni e pensieri dell’altro.
 Dai 6 a 13 anni l’esperienza empatica si fa via via più complessa grazie allo sviluppo della
competenza linguistica e verso i 9 anni dello sviluppo di un senso di sé stabile

Cosa sono i neuroni specchio? A chi si deve questa scoperta? I neuroni specchio sono una classe
di neuroni che si attivano selettivamente sia quando si compie un'azione (con la mano o con la
bocca) sia quando la si osserva mentre è compiuta da altri (in particolare da conspecifici). I neuroni
dell'osservatore "rispecchiano" quindi ciò che avviene nella mente del soggetto osservato, come se
fosse l'osservatore stesso a compiere l'azione
Negli anni '80 e '90 il gruppo diricercatori dell'Università di Parma si stava dedicando allo studio
della corteccia premotoria.Come molte altre notevoli scoperte, quella dei neuroni specchio fu
dovuta al caso: mentre uno sperimentatore prendeva una banana in un cesto di frutta preparato per
degli esperimenti, alcuni neuroni della scimmia che osservava la scena avevano reagito.
Da allora questo lavoro è stato pubblicato, con l'aggiornamento sulla scoperta di neuroni specchio
localizzati in entrambe la regioni parietali frontali inferiori del cervello e confermato. Nel 1995,
Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Giovanni Pavesi e Giacomo Rizzolatti dimostrano per la prima
volta l'esistenza nell'uomo di un sistema simile a quello trovato nella scimmia Con i neuroni
specchio si sta scoprendo il complesso meccanismo biologico che sta alla base del comportamento
sociale degli uomini

Cosa sono le emozioni? Quali le loro funzioni? LE EMOZIONI Processo interiore suscitato da un
evento-stimolo rilevante per gli interessi dell’individuo. Le funzioni riconosciute alle emozioni
sono: a) la capacità di determinare i cambiamenti fisiologici necessari per sostenere le risposte
adattive dell’organismo; b) la preparazione all’azione (Scherer parla di tendenze all’azione
programmate filogeneticamente); c) la possibilità di regolare le relazioni interpersonali,
comunicando i propri piani e le proprie intenzioni attraverso l’espressione

Quali sono le diverse teorie strutturali dell'intelligenza? E come avviene lo sviluppo


dell'intelligenza?
TEORIE STRUTTURALI DELL'INTELLIGENZA: diverse impostazioni di studio
dell’intelligenza: a) a) quella che non fa appello né a operazioni né a strutture (l’associazionismo);
b) quella che fa riferimento a strutture improntate alla logica, ma non di natura operatoria
(psicologia del pensiero della scuola di Würzburg); c) quella che fa appello a processi operatori
senza considerare le strutture d’insieme (Claparède,C.E. Spearman); d) quella che si richiama a
strutture, ma senza passare per i meccanismi operatori (Gestalttheorie, analisi fattoriale, alcune
teorie sull’apprendimento); e) quella ‘operatoria’, secondo l’indirizzo della scuola di J. Piaget
SVILUPPO DELL'INTELLIGENZA: L’intelligenza, come sintesi delle funzioni cognitive, è un
processo di graduale equilibrio che si risolve in determinate strutture; l’equilibrio, in quanto
condizione mobile, dinamica, in qualche modo equivalente a uno stato di ‘adattamento’, si realizza
per mezzo di due processi fondamentali: dell’assimilazione e dell’accomodamento. Si parla di
assimilazione quando un nuovo dato di esperienza viene assimilato in ‘schemi’ preesistenti (i primi
schemi di cui il bambino dispone sono d’azione: succhiare, afferrare, osservare) presenti alla nascita
in quanto costituiti da riflessi congeniti (solo successivamente si potrà parlare di ‘schemi mentali’).
L’accomodamento indica la modificazione e l’arricchimento operati dalla nuova esperienza sugli
schemi cui il bambino l’ha assimilata. Lo sviluppo mentale si realizza entro un arco di tempo che
comprende i primi 15-16 anni dell’età evolutiva attraverso fasi che vanno da un livello di
intelligenza ‘senso-motoria’ a uno operativo di tipo ‘formale’, ‘astratto’, che costituisce il pensiero
logico e il ragionamento ipotetico-deduttivo.

Cosa si intende per apprendimento? Fornire una definizione e analizzare le teorie


dell'apprendimento Processo psichico che produce una modificazione durevole nel comportamento,
nelle competenze, nel patrimonio di conoscenze, nelle strutture concettuali di un soggetto dovuta
alla relazione con l’ambiente e quindi all’esperienza.
TEORIE SULL'APPRENDIMENTO Il comportamentismo Le prime teorie sull’apprendimento
furono elaborate all’interno della psicologia comportamentista, nata nella prima metà del XX secolo
e fondata sull’assunto di base che la psicologia deve limitarsi a studiare i comportamenti
osservabili, in quanto ciò che avviene all’interno della mente è inconoscibile L'apprendimento
sociale Un approccio diverso al problema è rappresentato dalle teorie dell’apprendimento sociale.
Attorno al 1970 Albert Bandura introdusse il concetto di “apprendimento osservativo”: il soggetto
apprende per imitazione comportamenti che ha modo di osservare in altre persone. L'epistemologia
genetica Una prospettiva diversa viene proposta da Jean Piaget, che sostiene che sarebbe lo
sviluppo biologicamente determinato delle strutture intellettive a consentire un rapporto sempre più
adeguato con la realtà, e quindi l’apprendimento. Il cognitivismo A partire dal 1980 circa, la teoria
cognitivista propone un ulteriore punto di vista sull’apprendimento. A differenza del
comportamentismo, il cognitivismo è fortemente interessato ai processi mentali, tanto da affermare
che un cambiamento a livello comportamentale è sempre connesso e spiegabile in base a un
cambiamento a livello cognitivo. In quest’ottica, l’apprendimento sarebbe il risultato della
complessa interazione tra fattori interni ed esterni, e in particolare dei processi mentali attraverso
cui vengono elaborati gli input esterni.

per lungo tempo si è assistito ad un pregiudizio culturale nei riguardi dell'educazione speciale.
Come mai? Lo studente analizzi l'argomento dal punto di vista storico e teorico Per lungo
tempo, nella cultura pedagogica del nostro Paese (ma il discorso può applicarsi anche alla più
generale cultura pedagogica europea) si è registrato una sorta di pregiudizio culturale nei riguardi
dell’educazione speciale ha portato ad una sorta di marginalizzazione della dimensione
propriamente educativa nelle ricostruzioni d’insieme della storia italiana ed europea tra Otto e
Novecento, dall’altro non ha consentito, fino a tempi recenti, alla ricerca storico-pedagogica ed
educativa di dotarsi di strumenti, metodologie, quadri concettuali adeguati a un’indagine che è in
primo luogo indagine storica. La storia dell’educazione speciale è una disciplina di recente
costituzione, che attinge a molteplici saperi (educazione, cura e assistenza, processi culturali,
legislazione e ordinamenti civili e sociali) e si avvale delle indagini e dei contributi di ricerca di
svariati ambiti disciplinari (storia, medicina, pedagogia, diritto, economia, statistica). La stessa
terminologia corrente con cui definiamo abitualmente i destinatari dell’educazione speciale
(handicappati, handicaped, handicapés; disabili, disabled; anormali, abnormal; devianti, irréguliers
ecc.) è molto recente: risale ai secoli XIX-XX. Tale terminologia riflette da un lato l’approdo ad una
precisa distinzione tra anormalità e malattia/follia; dall’altro, sia pure in modo graduale, ad una
classificazione e definizione delle molteplici forme e caratteristiche della
anormalità/disabilità/devianza (ad esempio: handicap fisici, sensoriali, mentali; soggetti instabili,
idioti, irrequieti, ritardati ecc.). Tale terminologia riflette anche l’affermarsi di una prospettiva
d’intervento di tipo medicopedagogico, che punta sulla educabilità del soggetto disabile.

Nel XVII iniziò il "grande internamento", cosa si intende e quali conseguenze sulla
popolazione ebbero? esclusione sociale, della separazione rigorosa dalla comunità civile e
religiosa: è il processo del Grande Internamento, che si dispiega in Francia e nel resto d’Europa,
soprattutto a partire dal XVII sec. Nel corso del secolo XVII sorgono tutta una serie di grandi istituti
d’internamento (reclusori), nei quali, per un secolo e mezzo, poveri e indigenti, vagabondi,
corrigendie delinquenti, folli – ma anche handicappati saranno sottoposti al regime di reclusione,
attraverso il ricorso, da parte dell’assolutismo monarchico, alle cosiddette lettre de cachet e ad un
complesso di misure arbitrarie di imprigionamento e di isolamento.

il contributo più significativo al rinnovamento della psichiatria e del trattamento delle


malattie mentali, nonchè al superamento definitivo della logica dell’internamento e della
segregazione, venne portato da Philippe Pinel e da Jean-Etienne Esquirol. Di cosa si tratta? La
curabilità della follia A cavallo tra Sette e Ottocento, il contributo più significativo al rinnovamento
della psichiatria e del trattamento delle malattie mentali, nonché al superamento definitivo della
logica dell’internamento e della segregazione, venne portato da Philippe Pinel e da JeanEtienne
Esquirol.
– Pinel, che aveva lavorato come medico per due anni a Bicêtre e per quattro anni alla
Salpêtrière, fu protagonista di una profonda riorganizzazione delle istituzioni psichiatriche
di Parigi.
– - Esquirol, allievo di Pinel, aprì una clinica psichiatrica in rue de Buffon, sempre a Parigi, e
lavorò anche alla Salpêtrière
Un nuovo approccio alla follia e alle malattie mentali: l’osservazione come metodo per penetrare
nello svolgersi dei pensieri e nel vissuto mentale dei pazienti; la nozione della follia come incidente,
destinato ad avere una durata temporale limitata e a sfociare pertanto nella guarigione; le passioni
come fattore genetico e, al tempo stesso, terreno di cura e di normalizzazione della malattia mentale
e della follia, intesa essenzialmente come alterazione delle passioni. E’ in questo contesto che
sorgono le Maison de traitement (come quella istituita nel 1802 da Esquirol a Parigi) – una sorta di
anticipazione dei futuri manicomi – il cui scopo fondamentale è appunto quello di curare le malattie
mentali In queste istituzioni (Maison de traitement), così come nei futuri Manicomi, sono previsti
reparti diversi, corrispondenti ai tre stadi della malattia mentale: uno stato acuto, uno di declino e
uno di convalescenza Pinel e Esquirol segnano l’inizio di un approccio scientifico al problema della
follia.

Nei primi decenni dell'Ottocento in Italia si iniziò un'educazione dei sordomuti, come era
organizzata? Lo studente descriva le teorie e l'approccio pedagogico del periodo storico /
Come era organizzata l'educazione dei sordomuti in Italia nel XVII secolo?
Nell’Europa a cavallo tra Sette e Ottocento, erano due i poli più progrediti nel campo
dell’educazione dei sordomuti Si trattava di vere e proprie «scuole» con metodi, indirizzi e
ordinamenti profondamente diversi
La scuola francese, che faceva capo all’abate Charles-Michel de l’Épée e all’Istituto per i sordomuti
di Parigi
La scuola tedesca, che aveva il suo promotore e principale animatore nell’insegnante laico Samuel
Heinicke
L’elemento principale – sebbene non unico – di differenziazione tra le due esperienze risiedeva nel
metodo d’insegnamento adottato con i sordomuti. Nell’Istituto dell’abate de l’Épée l’istruzione era
impartita prevalentemente attraverso il metodo mimico o gestuale Integravano la mimica altri due
metodi: la dattilologia, ossia l’alfabeto manuale e la scrittura.
Nella scuola dell’Heinicke, al contrario, era bandita la mimica e l’istruzione dei sordomuti si
fondava esclusivamente sul linguaggio orale
Le istituzioni per i sordomuti sorte in Italia nel primo cinquantennio del secolo XIX s’ispirarono
essenzialmente al sistema francese:
• i primi istitutori italiani avevano soggiornato a lungo a Parigi, presso il de l’Épée, per
apprendervi il metodo;
• diversi istitutori italiani si erano formati direttamente sugli scritti dell’abate francese
• la dominazione napoleonica in Italia contribuì infine a diffondere il metodo francese
Fondazioni religiose sorsero, tra il 1828 e il 1874, con lo specifico ed esclusivo fine di dedicarsi alla
cura e all’educazione e istruzione dei sordomuti d’ambo i sessi.

A cosa e a chi si riferisce il "metodo orale"? Delineare il contesto storico e gli aspetti
pedagogici.
Alla vigilia dell’unificazione nazionale prende l’avvio il processo che, nell’arco di un ventennio,
avrebbe portato anche in Italia al definitivo abbandono della mimica e degli altri metodi tradizionali
ad essa collegati e all’adozione, come sistema d’insegnamento comune ed esclusivo, del metodo
orale. Il rinnovamento prese le mosse dalla Lombardia, l’area culturalmente più vicina al mondo
tedesco, dove ancora si conservava la memoria della solitaria ma significativa esperienza di
insegnamento con il metodo orale Il metodo orale, dunque, considerato come lo strumento più
idoneo per consentire al sordomuto di sviluppare appieno le sue doti intellettuali e di integrarsi
positivamente nella vita sociale. La loro opera incontrò il determinante appoggio Tommaso
Pendola. Protagonisti della riforma del metodo d’insegnamento: l’abate Giulio Tarra, nominato nel
1855 direttore del neonato Istituto dei sordomuti poveri di campagna di Milano, e don Serafino
Balestra, direttore dal 1865 dell’Istituto femminile di Como tenuto dalle Canossiane. Si deve in
special modo a Tommaso Pendola e alla rivista «Dell’educazione dei sordomuti in Italia», da lui
fondata nel 1872 con l’obiettivo di promuovere una coscienza unitaria tra gli educatori della
penisola e di potenziare gli studi nel settore dell’educazione speciale, se il problema dell’adozione
del metodo orale ha superato i confini un po’ angusti delle dispute tra istitutori e si è imposto come
questione d’importanza nazionale Nel settembre del 1873, convocato dallo stesso Pendola e dalla
rivista da lui diretta, si apriva a Siena il primo Congresso degli Insegnanti italiani dei sordomuti, il
quale, al termine di un ampio e serrato confronto tra i rappresentati dei diversi Istituti della penisola,
deliberò l’adozione del sistema orale

L'applicazione del metodo "orale puro", cosa era? Descrivere il contesto politico ed educativo
del periodo ed il metodo in oggetto
il metodo orale puro si caratterizzava per verbalità con esclusione dei segni. Al principio degli anni
Ottanta (nel momento in cui il Congresso internazionale di Milano deliberava l’adozione di tale
metodo in tutte le scuole speciali per i sordomuti), la situazione nei 35 Istituti esistenti nella
penisola era la seguente: solo in 8 di essi veniva applicato il metodo orale-puro, con la totale
esclusione dell’apporto di altre tecniche; in 21 Istituti era pure utilizzato il metodo orale, ma si
tollerava, soprattutto nella fase iniziale dell’istruzione, il ricorso alla mimica naturale (metodo
misto); negli altri 6 Istituti, infine, si faceva ricorso a una pluralità di metodi e di tecniche: dalla
mimica alla dattilologia, dalla parola articolata alla scrittura (come ausilio per l’apprendimento della
lingua parlata). Con il passare degli ani più nessuno praticava in modo esclusivo il metodo gestuale,
la dattilologia e la scrittura, era altrettanto vero che il metodo misto veniva ancora largamente
utilizzato, nell’insegnamento scolastico, in buona parte degli Istituti della penisola.

Quali sono i principi per una buona integrazione in un contesto di pedagogia speciale? E'
necessario partire dalla stima dello studio del bisogno: dal momento che esiste il bisogno, si dovrà
trovare una risposta. La prospettiva della integrazione parte da una forte spinta egualitaria, ma
questo non può portarci a dire che tutti hanno bisogno solo di una educazione generalizzata.
L'educazione deve rispondere alle differenze La pedagogia speciale va ricercata in modo diverso
tenendo però presente la prospettiva della integrazione, dovrà inoltre, affrontare le differenze che
derivano dalle disabilità e dai deficit, a cui è possibile aggiungere altre differenze (di genere, di
cultura, di provenienza,….) che non sono però da confondere tra loro e tanto meno da identificare.
La pedagogia non è una scienza stabilita una volta per tutte, ma come scienza di ricerca.Lo studio
non può essere ridotto all'esperienza di un unico paese, ma allargato a dimensioni più vaste, come è
ormai la dimensione di ogni scienza

Quando si parla di azione sociale ed educativa per le persone con handicap, si parla anche di
"un diritto per tutti". Cosa vuol dire? Lo studente spieghi il concetto
Tutti i bambini e tutte le bambine hanno diritto ad un'educazione. Tutti gli individui, uomini e
donne, hanno il diritto a una vita la più libera possibile. Tutti gli individui hanno dei diritti e dei
doveri. Un individuo con ridotte capacità, dovute a un deficit, non perde nessuno dei suoi diritti e
nessuno dei suoi doveri
La sensibilità di questi anni ha permesso di distinguere il deficit, come un danno irreversibile, e gli
svantaggi o handicap intesi come possibili barriere - ostacoli, che l'individuo incontra e che possono
essere ridotti ma anche aumentati. Possono essere annullati ma anche ingigantiti, diventare sempre
più numerosi. Chi nasce con una differenza dovuta a un deficit ha bisogno certamente di attenzioni
particolari. Si può ragionare secondo due logiche: una risponde all'esigenza di avere un luogo dove
accogliere e raccogliere tutti coloro che hanno un certo deficit. L'altra logica si muove invece per
raggiungere, con le risposte adeguate, ogni individuo laddove vive, nel suo contesto familiare,
scolastico, sociale, culturale,analizzando i suoi bisogni e cercare di rispondere a ciascuno di questi
bisogni nel modo più adeguato e personalizzato. La prima logica ha avuto una storia molto
importante e tuttora è praticata in molti paesi del mondo. Ma in molti paesi del mondo vi è anche un
desiderio di rivedere questa logica e di capirne i limiti, che sono emersi soprattutto con le critiche
fatte da studiosi di ogni parte del mondo che hanno messo soprattutto in luce un rischio, quello
dell'esclusione seconda logica è importante, è difficile, ma è possibile. E' possibile lavorando al
riconoscimento di competenze complementari, non più totali: la competenza di un genitore non è
sufficiente quando c'è un bambino o una bambina che ha dei bisogni particolari. Ma neanche la
competenza dello specialista è sufficiente. Le due competenze devono incontrarsi, devono lavorare
insieme, dialogare. Ed è questo il punto principale di una prima realizzazione del riconoscimento
dei diritti.
Lo studente spieghi cosa si intende per "diversità" e per "integrazione", dal punto di vista
educativo L’attenzione alla diversità ed alle persone diverse quali persone con diritti e doveri, che
esigono rispetto si è andata sempre più affermando negli ultimi cinquant’anni Parlare di diversità
oggi, specialmente all’interno del contesti socio-educativi, implica la necessità di prendere in
considerazione almeno due dimensioni che spesso sono intrecciate tra loro: la dimensione
intersoggettiva e la dimensione culturale. La dimensione intersoggettiva si riferisce all’ambito della
rete formale e informale di relazioni, dove entrano in comunicazione differenti corpi, sensibilità e
bisogni, differenti intelligenze, deficit, handicap e talenti. D’altro canto la dimensione culturale si
riferisce all’intreccio più ampio e anche invisibile di rapporti, sistemi di segni, gestualità, lingua,
riti, cerimoniali, usi, costumi, valori che permeano i contesti di appartenenza, condizionando azioni
e comportamenti. In questa prospettiva l’istruzione e la formazione sono i luoghi principali per
l’inserimento e l’integrazione del diverso nella società. Il processo di integrazione è intrinsecamente
intersoggettivo e presuppone che l'essere umano non sia completo in sé, non sia autosufficiente,
ovvero non sia un sistema chiuso, ma si realizzi nel rapporto con gli altri. La buona integrazione è
quella che permette di capire che non stiamo vivendo in presenza di una diversità ma come una
realtà, e pertanto implica l’attivazione di una comunità nella direzione di una modifica del proprio
status in favore del diverso. la buona prassi integrativa nel gruppo classe e nella società si realizza
alla luce di un equilibrio tra il principio didattico con quello della dell’individualizzazione
L’istruzione individualizzata non è un’istruzione individuale, realizzata semplicemente in un
rapporto uno a uno. Essa consiste nell’adeguare l’insegnamento alle caratteristiche individuali degli
alunni (ai loro ritmi di apprendimento, alle loro capacità linguistiche, alle loro modalità di
apprendimento ed ai loro prerequisiti cognitivi), cercando di conseguire individualmente obiettivi di
apprendimento comuni al resto della classe L’integrazione dunque nasce e si sviluppa a partire dalla
relazione dialettica tra personalizzazione ed individuazione; la persona adattivamente integrata
conserva una propria identità diversa dalle altre, pur mantenendo un ruolo nel gruppo.

Lo studente descriva cos'è una diagnosi funzionale, come viene organizzata e compilata "Per
diagnosi funzionale si intende la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato
psico-fisico dell’alunno in situazione di handicap, È il documento nel quale si descrivono
dettagliatamente il progetto operativo interistituzionale tra operatori della scuola, dei servizi sanitari
e sociali, in collaborazione con i familiari ed il progetto educativo e didattico personalizzato
riguardante la dimensione dell'apprendimento correlata agli aspetti riabilitativi e sociali. La stesura
del Profilo Dinamico Funzionale è finalizzata alla stesura del Piano Educativo Individualizzato .A
redigere il PEI, provvedono congiuntamente: gli operatori delle ASL, gli insegnanti curriculari, il
docente di sostegno, l’operatore psico– pedagogico in collaborazione con i genitori. Il PEI tiene
presenti i progetti didattico educativi, riabilitativi e di socializzazione individualizzati, nonché le
forme di integrazione tra attività scolastiche ed extrascolastiche

Per realizzare una buona integrazione è necessario lavorare sulla didattica, come? Analizzare
metodi e tecniche.
il processo di integrazione fondamentalmente un processo dialogico che implica la
compartecipazione dell’alunno disabile e del contesto classe. La realizzazione del processo di
integrazione infatti si realizza richiedendo, sia al gruppo accogliente sia all’allievo inserito, una
serie di cambiamenti capaci di consentire loro occasioni di collaborazione e aiuto reciproco. Ciò
implica per la classe un generale adeguamento degli obiettivi perseguiti alle esigenze del disabile
Ad esempio il ripasso frequente degli argoment attività pratiche (costruire cartelloni, fare
esperimenti, utilizzare il mezzo informatico ai fini didattici, etc La realizzazione dell’integrazione si
attua non solo sul piano della relazione tra individuo disabile e classe ma anche, e soprattutto
attraverso la relazione didattica che assume il ruolo di mediatore del processo integrativo. Infatti, la
programmazione educativa individualizzata deve prevedere, a livello massimo possibile, tutte le
materie della programmazione di classe, differenziandole solo nel livello di complessità. Tale
operazione di semplificazione ed organizzazione dei materiali della classe si realizza attraverso
l’uso di materiali didattici strutturati e non strutturati. Il materiale strutturato è rappresentato da testi
specializzati, schede, giochi didattici, etc. che hanno il vantaggio di essere costruiti nel rispetto dei
principi psico-pedagogic I materiali non strutturati sono, invece, quei materiali che i docenti e a
volte gli allievi più capaci, costruiscono per mettere l’alunno disabile nelle condizioni di poter
seguire gli stessi lavori della classe.

Damiano identifica quattro tipi di "mediatori didattici", quali sono e quali caratteristiche
hanno?
“mediatori didattici”, ovvero azioni messe in atto dagli insegnanti per favorire l’apprendimento
degli alunni. Damiano (1993) identifica quattro tipi di mediatori:
– I mediatori attivi che fanno ricorso alla esperienza diretta. Un esempio di mediatore attivo
è rappresentato dall’esperimento che si realizza in laboratorio
– I mediatori iconici che si basano sulla rappresentazione del linguaggio grafico e spaziale
(immagini, schematizzazione di concetti, fotografie, filmati, carte geografiche etc.).
– I mediatori analogici cercano di rifarsi alle possibilità di apprendimento insite nel gioco e
nella simulazione. Si tratta di attività ludiche di gruppo in cui i partecipanti ricreano
particolari situazioni e interpretano personaggi.
– I mediatori simbolici sono quelli che si allontanano di più dalla realtà di riferimento e sono
considerati i meno validi soprattutto dai sostenitori del principio dell’apprendimento diretto.
La lezione frontale costituisce un esempio di mediatore simbolico

Quali sono le tipologie dei disturbi dell'apprendimento


DISLESSIA : È un disturbo specifico dell’apprendimento che interessa il 3% della popolazione
infantile Italiana. Un soggetto è definito in DLS quando nonostante possegga normali qualità
organicointellettive, risulta possedere carenti capacità d’apprendimento e comportamento in
relazione alla sua età. e un soggetto in DLS possiede normali capacità intellettive, ma non è in
grado di utilizzarle in modo appropriato La dislessia colpisce bambini dotati di intelligenza normale
che, pur non presentando problemi affettivi, psicologici e sensoriali, mostrano difficoltà a
comprendere il significato di ciò che è scritto. I primi segnali compaiono già in prima elementare Si
interviene attraverso attività di gioco, strutturando laboratori pensati per favorire nei bambini la
scoperta di alcuni dei principi della struttura del linguaggio scritto, e in genere le attività ritenute
importanti per l’apprendimento della lettoscrittura.
DISGRAFIA Disgrafia è la difficoltà di realizzare il gesto grafico. Ciò può essere dovuto a varie
cause come un difetto di percezione del movimento del braccio, della mano e della matita, da
disturbi visivi ed a difficoltà motorie o visuo-motorie legate alla programmazione dell’atto grafico. I
bambini hanno problemi nel dosare la pressione per tracciare un segno sul foglio e la scrittura
appare molto leggera o calcata. Hanno difficoltà a controllare le dimensioni e la grandezza delle
lettere, ad orientare la scrittura sul foglio Tali soggetti hanno, inoltre, grande difficoltà nel rileggere
ciò che essi stessi hanno scritto.
DISFASIA Deficit che tendenzialmente migliora con il tempo, soprattutto se segnalato
precocemente. Si tratta della difficoltà di articolare il linguaggio verbale ed il terapista deve
lavorare sull’articolazione dei suoni, sull’espansione della frase e sul rapporto tra contenuto e
forma.
DISCALCULIA La discalculia implica una specifica compromissione delle abilità aritmetiche, la
difficoltà riguarda la padronanza delle capacità di calcolo fondamentali, come addizione,
sottrazione, moltiplicazione e divisione. Si pensa che si tratti di una difficoltà a rappresentarsi
mentalmente i vari passaggi delle operazioni in uno spazio bidimensionale (il foglio) che è spesso
associata ad un problema di coordinazione motoria. Così, ad esempio, questi bambini sono spesso
distratti, possono essere goffi nel saltare gli ostacoli, non vanno bene in bicicletta e non sanno fare i
nodi
IPERLESSIA Se un bambino impara a leggere perfettamente tra i 2 ed i 5 anni, può essere un
bambino normale che padroneggia in anticipo uno strumento di apprendimento. Ma se questa è
l’unica attività che sa fare bene, allora si potrebbe essere in presenza di un primo segno di
iperlessia. In tal caso il bambino è bravissimo nel leggere e nello scrivere, mentre ha forti difficoltà
a capire ciò che legge o scrive Spesso ciò dipende da una forzatura fatta sul bambino affinchè
impari argomenti a cui non è ancora pronto;
DISPRASSIA Si tratta di un disturbo dello sviluppo che impedisce al bambino di compiere attività
manuali complesse. Non è un problema motorio in senso stretto, ma una difficoltà a programmare e
controllare la sequenza dei movimenti. Il segnale di questo deficit è una goffaggine generale
DISATTENZIONE E’ lo scarso sviluppo delle capacità di mantenere la concentrazione. Un
disturbo dell’attenzione, che alcuni studiosi imputano ad un’alterazione della biochimica cerebrale,
si rivela in genere in età scolare. In pratica i bambini hanno difficoltà a rimanere attenti a lungo o a
concentrarsi su obiettivi precisi, faticano a rimanere seduti a seguire le istruzioni.

Nel trattamento dei disturbi dell'apprendimento, l'autostima e la motivazione scolastica, sono


due aspetti fondamentali per la buona riuscita del trattamento, per quali ragioni? Quando si
prospetta la necessità di strutturare un percorso abilitativo ogni intervento va commisurato al
bambino prendendo in considerazione sia l’età di sviluppo sia la tipologia della difficoltà presentata.
L’intervento più utile e diffuso è l’abilitazione delle competenze meta-fonologiche, meta-
linguistiche, lessicali, grafiche ed ortografiche sia in lettura che in scrittura, mentre, riguardo al
calcolo l’intervento sarà mirato al rinforzo delle abilità di calcolo con l’utilizzo di idonee strategie
che aiutino il bambino a compensare la difficoltà. Trasversalmente alle varie disabilità rilevate si
accompagneranno interventi orientati al rinforzo metacognitivo, dell’autostima e della motivazione
scolastica
Perché quando si sente apprezzato riesce a superare le difficoltà che ha e a compensarle, non solo
per una ricompensa vera e propria, quanto per il fatto che si sente accettato e in grado di realizzare
qualcosa

Quali sono le fasi principali di una ricerca. Fornire una descrizione delle diverse fasi.
Le fasi essenziali:
DEFINIRE • - L’ambito di ricerca, in maniera puntuale, sulla base di un’ipotesi formulata -• Le
finalità e gli obiettivi in maniera articolata -•Il rispetto dei tempi - • Le metodologie e le procedure
SELEZIONARE -• Il materiale inerente all’ambito di indagine
CONFRONTARE -• L’ipotesi di partenza con le conclusioni raggiunte
VERIFICARE -• I risultati conseguiti -La capacità di comunicare in linguaggi diversi i risultati, le
tappe del percorso effettuato -• La capacità di trasferire in ambiti diversi le conoscenze e le abilità
acquisite

Esistono due metodi di fare ricerca: quali sono e come sono organizzati?
Esistono due metodi di fare ricerca: 1) Ricerca in senso tradizionale, cioé fatta a livello
universitario all’interno delle scienze matematiche, biologiche o altre e che non ha come obiettivo
un intervento sulla realtà. In questo tipo di ricerca la neutralità è il requisito più importante, cioè lo
studioso si accosta e studia il fenomeno dall’esterno senza influire in alcun modo, possiamo dire,
quindi, che la ricerca nella sua origine nasce neutrale. 2) Al metodo tradizionale si contrappone la
ricerca sociale, che il sociologo Gilli definisce come: “un’attività conoscitiva di analisi e di
riflessione, che si svolge nella pratica su un problema pratico e reale e precede un determinato
intervento nella realtà”. Le differenze tra i due metodi sono: il principio di neutralità e la possibilità
di applicazione concreta nella realtà sociale

Descrivere le caratteristiche della "Rilevazione" nel disegno della ricerca


Nella ricerca quantitativa il disegno della ricerca (decisioni operative che sovrintendono
all’organizzazione pratica della ricerca) è costruito a tavolino prima dell’inizio della rilevazione ed
è rigidamente strutturato e chiuso. Nella ricerca qualitativa invece è destrutturato, aperto, idoneo a
captare l’imprevisto, modellato nel corso della rilevazione. Da queste diverse impostazioni deriva la
diversa concezione della rappresentatività dei soggetti studiati. Nella ricerca quantitativa il
ricercatore è più preoccupato della rappresentatività del pezzo di società che sta studiando piuttosto
che della sua capacità di comprendere, mentre l’opposto vale per la ricerca qualitativa, alla quale
non interessa la rilevanza statistica bensì l’importanza che il singolo caso sembra esprimere. Anche
lo strumento di rilevazione è differente per i due tipi di ricerche. Nella ricerca quantitativa esso è
uniforme o uniformante per garantire la validità statistica, mentre nella ricerca qualitativa le
informazioni sono approfondite a livelli diversi a seconda della convenienza del momento. Allo
stesso modo, anche la natura dei dati è diversa. Nella ricerca quantitativa essi sono oggettivi e
standardizzati (hard), mentre la ricerca qualitativa si preoccupa della loro ricchezza e profondità
soggettive (soft).

Quali sono le differenze tra una ricerca qualitativa ed una quantitativa


Nei due approcci è fondamentalmente diverso il rapporto instaurato tra teoria e ricerca. Nel caso
della ricerca quantitativa neopositivista, il rapporto è strutturato in fasi logicamente sequenziali,
secondo un’impostazione sostanzialmente deduttiva (la teoria precede l’osservazione), che si muove
nel contesto della giustificazione, cioè di sostegno, tramite i dati empirici, della teoria
precedentemente formulata sulla base della letteratura. Nel caso della ricerca qualitativa
interpretativista, elaborazione teorica e ricerca empirica procedono intrecciate, in quanto il
ricercatore vede nella formulazione iniziale di una teoria un possibile condizionamento che
potrebbe inibirgli la capacità di comprendere il soggetto studiato. In questo modo la letteratura ha
una minore importanza
Anche i concetti sono usati in modo diverso dai due approcci. Nell’approccio neopositivista la
chiarificazione dei concetti e la loro operativizzazione in variabili avvengono prima ancora di
iniziare la ricerca Un ricercatore qualitativo avrebbe invece utilizzato il concetto come orientativo
(sensitizing concept), che predispone alla percezione, ancora da definire non solo in termini
operativi, ma anche teorici, nel corso della ricerca stessa
Per quanto riguarda il rapporto generale con l’ambiente studiato, l’approccio neopositivista non
ritiene che la reattività del soggetto possa rappresentare un ostacolo di base, e crede che un certo
grado di manipolazione controllata sia ammissibile. Viceversa la ricerca qualitativa si basa
sull’approccio naturalistico, vale a dire che il ricercatore non manipola in alcun modo la realtà in
esame. il ricercatore quantitativo assume un punto di vista esterno al soggetto studiato, in modo
neutro e distaccato; inoltre studia solo ciò che egli ritiene importante. Il ricercatore qualitativo
invece si immerge il più completamente possibile nella realtà del soggetto e quindi tende a
sviluppare con i soggetti una relazione di immedesimazione empatica

Come vengono classificate le diverse disabilità? A cosa serve questa classificazione?


La classificazione dei vari handicap da un punto di vista teorico è utile in quanto permette un primo
inquadramento del problema, e la conoscenza delle diversità degli handicaps che ostacolano il
soggetto minorato. Tuttavia Bellomo e Ribolzi invitano a non attenersi esclusivamente ad essa
nell’attività educativa, poiché le sue schematizzazioni potrebbero far dimenticare che ci si trova di
fronte a situazioni umane molto più complesse.
Filippini e Pangrazio danno una distinzione delle minorazioni dividendole in tre gruppi:
1) minorazioni da cause prevalentemente fisiche: minorazioni dell’udito (sordità, sordastria,
ipoacusia); minorazioni della vista (cecità, ambliopia, grave astigmatismo, ecc.); disturbi o
disarmonie gravi dello sviluppo fisico (grave iposomia, gigantismo, endocrinopatie varie,
ecc.); minorazioni motorie (mutilazioni, esiti di poliomielite, spasticità, miopatie, ecc.) e
disturbi psicomotori (disturbi prottognosici, immaturità motorie, ecc.) disturbi delle funzioni
locutorie (afasie, gravi balbuzie, ecc.); infermità somatiche di altro tipo (cardioreumatismi,
vizi cardiaci congeniti gravi, tubercolosi, malattie debilitanti, ecc.).
2) Minorazioni da cause prevalentemente psichiche: insufficienza mentale vera (frenastenie
cerebropatiche, frenastenie bioptiche, frenastenia su base disendocrinia, mongolismo, ecc.);
pseudo insufficienza mentale; disturbi o immaturità della personalità (immaturità affettiva,
regressioni reattive, instabilità, disturbi nevrotici, strutture caratteropatiche, ecc.); malattie
mentali vere e proprie (schizofrenia infantile, epilessia con manifestazioni psicopatologiche,
ecc.).
3) Minorazioni da cause prevalentemente sociali: situazioni conseguenti a gravi carenze
educative familiari; o ad ambiente sociale deviante; o ad assenza di un nucleo familiare o di
una struttura sostitutiva adeguata.
Molto più analitico è il raggruppamento degli handicaps fatto da M. Agerholm, che l’autore
distingue in nove categorie, come segue: 1) handicap locomotorio: riduzione della capacità di
spostarsi; riduzione della mobilità posturale (relazione delle diverse parti del corpo tra loro);
riduzione dell’abilità manuale; riduzione della resistenza allo sforzo. 2) handicap visivo: perdita
totale della vista; diminuzione (non correggibile) della capacità visiva; riduzione del campo visivo;
disturbi della percezione. 3) handicap dei mezzi di comunicazione: disturbi dell’udito; disturbi del
linguaggio; disturbi della lettura; disturbi della scrittura. 4) handicap organico: disturbi
dell’ingestione; disturbi dell’escrezione; orifizi artificiali; dipendenza vitale da macchine o
apparecchi. 5) handicap intellettivo: ritardo mentale (congenito); ritardo mentale (acquisito);
perdita di capacità acquisite; alterazione delle facoltà di apprendimento; disturbi della memoria;
disturbi dell’orientamento nel tempo e nello spazio; disturbi della coscienza. 6) handicap emotivo:
psicosi; nevrosi; disturbi del comportamento sociale; immaturità emotiva. 7) handicap invisibile:
disturbi del metabolismo che richiedono un trattamento permanente (diabete, fibrosi cistica, ecc.);
epilessia e altre perdite improvvise di coscienza; vulnerabilità particolare ad alcuni incidenti o
traumi (disturbi dell’emostasi, fragilità ossea, propensione a ulcerazioni da compressione, ecc.);
disturbi intermittenti e incapacità (emicranie, asma, vertigini, ecc.). 8) handicap di carattere
repulsivo: deformità o difetto sgradevole alla vista di una parte del corpo; anomalie o affezioni
dermatologiche e cicatrici antiestetiche; movimenti del corpo anomali (atetosi, tics, smorfie, ecc.);
anomalie sgradevoli alla vista, all’udito, all’odorato degli altri. 9) handicap collegato alla
senescenza: riduzione della plasticità; rallentamento delle funzioni fisiche e mentali; diminuzione
delle capacità di recupero.

Quali sono i metodi diagnostici utilizzati nella pedagogia speciale


La diagnosi viene operata da un’équipe di specialisti, di cui fanno parte: il medico, lo psicologo, il
fisioterapista, l’assistente sociale, il pedagogista
L’informazione Sono strumenti di informazione l’anamnesi, il questionario, il colloquio ed altri.
L’anamnesi consiste nella raccolta di dati informativi sulla famiglia, sull’habitat, sulle condizioni di
vita, sulla situazione ambientale dell’alunno (anamnesi familiare); e di dati sulla sua maturazione
organica ed intellettivo-affettiva (anamnesi personale). Il questionario può essere inteso come
un’intervista fatta agli interessati per iscritto, esso è rivolto a quanti conoscono per lunga frequenza
il soggetto minorato. Il colloquio ha una parte basilare nell’ottenere dati informativi validi, richiede
sensibilità, tatto, spirito di osservazione e spiccate capacità di intuizione.
L’osservazione I metodi di osservazione di cui possono facilmente servirsi gli insegnanti si
distinguono in empirici e sistematici. L’osservazione empirica è la descrizione dei fenomeni
condotta senza rigore scientifico, servendosi di annotazioni psicologiche e didattiche, autobiografie,
cronache, registri, diari concernenti il caso allo studio. Essa richiede sensibilità e preparazione.
L’osservazione sistematica è condotta secondo criteri prestabiliti e si estende a tutti i fattori che
incidono sul fenomeno osservato, per darne una descrizione completa ed esatta. L’alunno viene
osservato in modo minuzioso, sistematico ed obiettivo per lungo tempo, in tutti i suoi
comportamenti.
La sperimentazione Il procedimento della sperimentazione richiede l’azione concomitante di più
specialisti. Essa si avvale di metodi e strumenti che consentono una valutazione accurata della
personalità dell’handicappato. Tra gli strumenti, i reattivi mentali possono giungere ad una
valutazione dei vari aspetti del soggetto: l’intelligenza, le attitudini, la volontà, le motivazioni, ecc.
tuttavia va evidenziato che i test mentali, preziosi strumenti di indagine in campo psicopatologico,
non hanno mai valore assoluto; né il loro uso è indicato per gli insegnanti, “poiché sono difficili da
interpretare e richiedono una conoscenza approfondita della psicologia del comportamento umano”.
I test si suddividono in due gruppi: di intelligenza e della personalità

Lo studente descriva cosa sono i Bisogni Educativi Speciali I bisogni educativi speciali
(BES) sono definiti dalla classificazione internazionale del funzionamento (ICF-International
Classification of Functioning) come “qualsiasi difficoltà evolutiva di funzionamento permanente o
transitoria in ambito educativo o di apprendimento, dovuta all’interazione tra vari fattori di salute e che
necessita di educazione speciale individualizzata Gli alunni con Bisogni Educativi Speciali vivono
una situazione particolare, che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo: questa situazione
negativa può essere a livello organico, biologico, oppure familiare, sociale, ambientale, contestuale
o in combinazioni di queste. Un alunno con Bisogni Educativi Speciali può avere una lesione
cerebrale grave, o la sindrome di Down, o una lieve disfunzionalità cerebrale e percettiva, o gravi
conflitti familiari, o background sociale e culturale diverso Queste (e altre) situazioni causano
difficoltà, ostacoli o rallentamenti nei processi di apprendimento che dovrebbero svolgersi nei vari
contesti. Queste difficoltà possono essere globali e pervasive (si pensi all’autismo) oppure più
specifiche (ad esempio nella dislessia), settoriali (disturbi del linguaggio, disturbi psicologici
d’ansia, ad esempio); gravi o leggere, permanenti o (speriamo) transitorie. I Bisogni Educativi
Speciali sono dunque molti e diversi; una scuola davvero inclusiva dovrebbe essere in grado di
leggerli tutti (individuando così il reale «fabbisogno» di risorse aggiuntive) e su questa base
generare la dotazione di risorse adeguata a dare le risposte necessarie.

Lo studente descriva le analogie e le differenze del PEI e del PDP - Piano Educativo
Individualizzato - Piano Didattico Personalizzato
IL PIANO EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO Il P.E.I. (Piano Educativo Individualizzato) è
il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra loro, predisposti
per l'alunno in situazione di handicap, per un determinato periodo di tempo, ai fini della
realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione, di cui ai primi quattro commi dell'art.12 della
Legge 104/92
QUANDO SI FA Dopo un periodo iniziale di osservazione sistematica dell'alunno in situazione di
handicap, - di norma non superiore a due mesi - durante il quale si definisce e si attua il progetto di
accoglienza, viene costruito il P.E.I. con scadenza annuale. Deve essere puntualmente verificato,
con frequenza trimestrale o quadrimestrale
CHI LO FA Il P.E.I. è redatto "congiuntamente dagli operatori dell' U.L.S.S., compresi gli operatori
addetti all’assistenza, dagli insegnanti curricolari e di sostegno e, qualora presente, dall'operatore
psicopedagogico, con la collaborazione della famiglia"
COSA CONTIENE Il P.E.I., partendo dalla sintesi dei dati conosciuti e dalla previsione degli
interventi prospettati, specifica gli interventi che i diversi operatori mettono in atto relativamente
alle potenzialità già rilevate nella Diagnosi Funzionale e nel Profilo Dinamico Funzionale. gli
obiettivi educativi/riabilitativi e di apprendimento riferiti alle aree e alle funzioni, • perseguibili in
uno o più anni • le attività proposte • i metodi ritenuti più idonei • i tempi di scansione degli
interventi previsti e gli spazi da utilizzare • i materiali, i sussidi con cui organizzare le proposte di
intervento • l’indicazione delle risorse disponibili, nella scuola e nell’extra-scuola, in termini di
strutture, servizi, persone, attività, mezzi • le forme ed i modi di verifica e di valutazione del P.E.I.
A COSA SERVE Tale programma personalizzato dovrà essere finalizzato a far raggiungere a
ciascun alunno in situazione di handicap, in rapporto alle sue potenzialità, ed attraverso una
progressione di traguardi intermedi, obiettivi di autonomia, di acquisizione di competenze e di
abilità motorie, cognitive, comunicative ed espressive
VERIFICHE Alle verifiche periodiche partecipano gli operatori scolastici (insegnanti di classe,
insegnante di sostegno, insegnante psicopedagogista), gli operatori dei servizi dell' U.L.S.S. ed i
genitori dell'alunno
IL PIANO DIDATTICO PERSONALIZZATO Il Piano Didattico personalizzato non è un
documento formale e burocratico ma, come appunto dice il termine “Piano” è uno strumento di
programmazione del lavoro didattico, un punto di riferimento per le scelte dei docenti durante
l’attività in classe. Non è un documento isolato: è un’articolazione del Piano di lavoro per la classe
concordato nell’équipe dei docenti al quale si richiamano anche i Piani di lavoro di ciascun docente
Il PDP deve essere costruito entro un tempo ragionevole, il primo trimestre, proposto alla famiglia e
con essa condiviso, dopo eventuali confronti. Deve poi essere rivisto e aggiornato periodicamente,
di solito in occasione delle valutazioni intermedie e di quelle quadrimestrali. Nella valutazione
finale dell’anno scolastico si opererà un bilancio conclusivo, utile alla redazione del PDP dell’anno
successivo.
il PDP deve avere una parte generale introduttiva, comune a tutti gli allievi con DSA e BES,
contenente le informazioni di base: • Dati anagrafici dell’allievo • La tipologia del disturbo con
riferimenti a:
– diagnosi clinica e funzionale con citazione dei soggetti che l’hanno effettuata e al Codice
ICD10 di riferimento
– - aggiornamenti diagnostici effettuati e previsti - interventi riabilitativi (logopedista,
psicologo ecc.) -
– relazioni di altri servizi , come assistenti sociali (soprattutto per i BES di carattere
socioeconomico, linguistico e culturale) -
– delibera del C. di C. se si tratta di BES derivante dalle osservazioni dei docenti e raccolte in
apposita relazione.
Una seconda sezione del PDP deve invece essere differenziata per gli allievi con DSA, con BES
certificati e con BES riconosciuti dai docenti. In questa seconda parte si annoteranno i livelli di
prestazione specifici da osservare in relazione al disturbo

Cosa sono i Disturbo da ADHD? Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività, o ADHD, è un


disturbo evolutivo dell’autocontrollo. Esso include difficoltà di attenzione e concentrazione, di
controllo degli impulsi e del livello di attività. Il deficit ADHD – Deficit dell’Attenzione e
dell’Iperattività rientra tra i Bisogni Educativi Speciali. le problematiche dell'attenzione nei bambini
affetti da ADHD diventano evident durante attività ripetitive o noiose Questi problemi derivano
sostanzialmente dall’incapacità del bambino di regolare il proprio comportamento in funzione del
trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente.
L’ADHD è un vero problema, per l’individuo stesso, per la famiglia e per la scuola, e spesso
rappresenta un ostacolo nel conseguimento degli obiettivi personali. E’ un problema che genera
sconforto e stress nei genitori e negli insegnanti i quali si trovano impreparati nella gestione del
comportamento del bambino.

Descrivere la Sindrome di Down e i possibili interventi educativi Sindrome causata da


un’anomalia cromosomica, che si manifesta con caratteristiche somatiche tipiche, accompagnate da
ritardo mentale più o meno grave.
CARIOTIPO NORMALE Nella specie umana il patrimonio genetico comprende 23 coppie di
cromosomi; la coppia 23 è formata dai due cromosomi sessuali, entrambi di tipo X nelle femmine e
di tipo X e Y nei maschi. L'analisi delle caratteristiche dei cromosomi è possibile mediante la
preparazione di un cariotipo, in cui le diverse coppie vengono ordinate secondo una specifica
sequenza. In questo caso la coppia 21 è composta da due cromosomi; nel cariotipo di un soggetto
portatore di sindrome di Down i cromosomi corrispondenti al numero 21 risulterebbero tre. Per tale
motivo, questa condizione è anche detta "trisomia 21" L’anomalia cromosomica responsabile della
sindrome è la trisomia 21, cioè la presenza di tre copie del cromosoma numero 21 anziché due;
pertanto, nelle cellule dell’organismo di un soggetto Down si trovano 47 cromosomi invece dei
normali 46. Questo fenomeno fu individuato nel 1958 dal medico e genetista francese Jérôme
Lejeune, impegnato in studi sulle cause del ritardo mentale L’anomalia sembra avere origine al
momento della fecondazione, quando uno spermatozoo normale fonde il suo nucleo con quello di
una cellula uovo anomala, dotata di un cromosoma in più.
PREVENZIONE, EDUCAZIONE, TRATTAMENTO Ogni buon intervento è anche preventivo in
quanto può evitare un inadeguato sviluppo fisico e della personalità
Attività fisico-motoria, Attività ludica. Attività cognitive intrinsecamente motivate Attività
lavorative Attività sociali Trattamenti.

Descrivere cosa sono i disturbi mentali Sindromi o condizioni psicologiche e comportamentali


che deviano significativamente da quelle caratteristiche delle persone che godono di buona salute
mentale. Nei tempi passati, i disturbi mentali erano considerati perlopiù derivanti da cause
soprannaturali o non naturali, opera di spiriti diabolici o della depravazione umana. nel 1790 il
medico parigino Philippe Pinel abolì il contenimento fisico per i malati mentali, istituì il trattamento
morale (psicologico) e diede avvio agli studi clinici oggettivi. In seguito, attraverso il lavoro clinico
con ampi campioni di pazienti, si definirono i principali tipi di disturbi mentali e si svilupparono
tecniche di trattamento differenziate. Due sono i modelli di classificazione internazionale, formulati
su base statistica: quello dell’Organizzazione mondiale della sanità e quello dell’American
Psychiatric Association. I due modelli, pur differenti per certi aspetti, sono tra loro integrabili e
confrontabili. Il primo è utilizzato soprattutto per motivi di ricerca, mentre il secondo è ampiamente
adottato anche in ambito clinico. La maggior parte dei sistemi di classificazione distingue i disturbi
caratteristici dell’infanzia (incluso il ritardo mentale) da quelli dell’adulto, e i disturbi organici
(riferibili ad alterazioni cerebrali o somatiche) da quelli non organici (riferibili a cause
psicologiche). Un’altra distinzione importante nell’ambito dei disturbi mentali è quella tra disturbi
psicotici e nevrotici.

Illustrare la sindrome autistica Termine con cui viene descritto un sintomo della schizofrenia o
con cui si designa un particolare tipo di psicosi dell’infanzia (“disturbo autistico” o “autismo
infantile precoce” o “autismo di Kanner”), caratterizzato da un grave disturbo psicopatologico della
comunicazione e del comportamento. Coniato da Eugen Bleuler nel 1911 per indicare un sintomo
della schizofrenia, il termine autismo è stato in seguito applicato, in modo indipendente, dagli
psichiatri austriaci Leo Kanner (nel 1943) e Hans Asperger (nel 1944) per descrivere una sindrome
che si sviluppa in età infantile, in genere al di sotto dei tre anni.
SINTOMI DELL'AUTISMO INFANTILE PRECOCE Il bambino autistico è incapace di usare il
linguaggio in modo comprensibile o di elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente. Circa
metà dei bambini autistici è priva della parola; quelli che parlano spesso si limitano a ripetere
meccanicamente ciò che sentono. Il termine “autismo” descrive, in particolare, l’atteggiamento,
comune a questi soggetti, di totale isolamento dall’ambiente esterno e di chiusura in un mondo
interiore.
POSSIBILE ORIGINE GENETICA Lo studio condotto all’Università di Toronto dal genetista
Stephen Scherer, i cui risultati sono stati pubblicati nell’aprile 2003, ha evidenziato una forte
correlazione tra l’autismo e mutazioni genetiche localizzate sul cromosoma 7
TERAPIA Causa, prognosi e terapia dell’autismo infantile precoce sono tuttora oggetto di studio.
L’educazione e la formazione scolastica dei bambini autistici devono essere seguite attentamente e,
in genere, prevedono un apprendimento a piccoli passi, uno stretto controllo comportamentale e
terapie psicoterapeutiche
ORGANIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO RIABILITATIVO Trattamento in singolo: proposto
in genere a paziente con bilancio comportamentale più compromesso, per tempi limitati e numero di
sedute ridotto Trattamento in gruppo: ogni gruppo è costituito da 3/5 pazienti il più possibile
omogenei per quadro funzionale. L’attività si svolge con cadenza bisettimanale con sedute di 2hr30
min. per ogni gruppo.

Quali sono le qualità che deve possedere un buon docente per un'effettiva scuola inclusiva? La
realizzazione di una buona prassi didattica inclusiva si sviluppa a partire da una concezione dei
docenti in termini di “gruppo docente” in grado di porsi come una risorsa finalizzata al sostegno ed
allo sviluppo di competenze di ciascun alunno. La realizzazione della professione docente per lo
sviluppo di una didattica inclusiva necessita il superamento della lezione frontale e collettiva come
unica modalità didattica prendere atto delle diversità significa sostenere i singoli nello sviluppo dei
loro potenziali di apprendimento superando la frustrante situazione di impossibilità e limitatezza È
dunque l’insegnante che si configura quale primo mediatore del rapporto didattico, e pertanto la
competenza della professione docente deve svilupparsi anche nella direzione di riconoscere il
mediatore didattico più idoneo alle diverse situazioni classe in cui è inserito L’insegnante mediatore
offre agli allievi la possibilità di imparare a interpretare, organizzare e strutturare le informazioni
provenienti dall’ambiente. Il docente si pone in un ascolto continuo delle esigenze dell’allievo Un
buon mediatore crea un ambiente favorevole, pertanto nelle situazioni scolastiche, il docente deve
essere in grado di affiancare alla parola altre modalità, capaci di stimolare le diverse forme di
intelligenze ed attivare diversi canali di comunicazione, in modo da coinvolgere tutti gli alunni e da
stimolarne la partecipazione al processo di apprendimento. A tale scopo la metodologia didattica
deve comprendere il maggior numero possibile di tecniche, al fine di rendere vario, flessibile, ricco
ed efficace l’insegnamento.

Cosa si intende per Apprendimento cooperativo? Quali sono le sue caratteristiche? Il


Cooperative Learning o Apprendimento cooperativo, e definito come una metodologia didattica che
sviluppa l’apprendimento del singolo attraverso una cooperazione attiva tra i compagni di classe.
Il Cooperative Learning, tuttavia non coincide con la pratica di lavoro di gruppo, già adottata da
molto tempo nella scuola italiana. Nel lavoro di gruppo, infatti, al di la della situazione gruppale,
ciascun allievo si preoccupa di imparare per se stesso senza sentirsi responsabile
dell’apprendimento altrui, vi e un solo leader che di solito guida il gruppo
le caratteristiche fondamentali proprie del Cooperative Learning quali l’interdipendenza positiva fra
i membri del gruppo, la responsabilità della leadership condivisa fra tutti i suoi membri,
l’instaurarsi di un’interrelazione positiva (o interazione costruttiva diretta), l’insegnamento diretto
delle abilita sociali (in particolare quelle relazionali) necessarie a instaurare dei rapporti di
collaborazione all’interno del gruppo e la valutazione non solo individuale ma anche di gruppo.
Accanto a tali caratteristiche i gruppi di Cooperative Learning differiscono dai gruppi di lavoro
tradizionali anche per altri aspetti: la formazione del gruppo secondo criteri di eterogeneità anziché
in maniera omogenea o causale come avviene invece nel gruppo tradizionale; la possibilità per
l’insegnante di intervenire, dando dei feedback rispetto al modo di relazionarsi dei membri del
gruppo vs interventi di mero recupero o pacificazione delle tensioni; l’autonomia del gruppo vs i
continui interventi dell’insegnante
Il Cooperative Learning grazie alla sua peculiarità rappresenta un metodo ed un modello didattico
fondamentale per gli studenti con bisogni educativi speciali

Come si costruisce un gruppo-classe per favorire l'integrazione?


L’aspetto socio-affettivo all’interno delle relazioni tra scolari e tra scolari ed insegnanti riveste un
ruolo fondamentale nei processi. Questo aspetto, gestito spesso inconsapevolmente dai docenti
all’interno della classe, può contribuire non poco, alla qualità dell’apprendimento e può permettere
positive interazioni tra docenti e discenti creando le basi per l’attuazione della programmazione
didattica, rendendone più autentici i contenuti didattici ed educativi La dinamica di gruppo è
fondamentale al fine di un buon insegnamento e, soprattutto, di un buon apprendimento. Senza la
creazione di una relazione di classe positiva, si rivela inutile ogni riflessione su come insegnare, su
come costruire situazioni che consentano apprendimento e su come procedere in maniera efficace Il
gruppo-classe, inoltre, rappresenta la struttura di base attraverso cui l’organizzazione scolastica
persegue gli obiettivi istituzionali dell’acquisizione sistematica e programmata di conoscenze ma
costituisce anche l’ambito entro il quale si manifestano bisogni di natura individuale, differenti da
quelli istituzionali

Come avviene il riconoscimento del DSA. Descrivere le diverse fasi e l'intervento nel sistema
classe.
La scuola è il primo luogo in cui è possibile individuare il manifestarsi di Disturbi Specifici
dell'Apprendimento nei bambini, ovvero disturbi nei quali le normali modalità di acquisizione delle
abilità scolastiche Il docente è tenuto a conoscere la normativa e a identificare gli alunni nel gruppo
classe; deve intervenire in modo corretto, suggerendo – per ogni studente provvisto di diagnosi – le
misure dispensative e gli strumenti compensativi più adatti. Ai primi livelli scolastici spetta un
lavoro di prevenzione. La scuola dell'infanzia studierà i disturbi del linguaggio, la scuola primaria,
oltre a questo, potrà attuare il riconoscimento, segnalare il caso, indirizzare al diagnosta il bambino
con sospetto DSA, accompagnandolo durante il suo cammino formativo, mentre, la scuola
secondaria di primo e secondo grado prenderà atto di quanto svolto precedentemente e a sua volta si
adopererà per l'invio ai Servizi Sanitari dei casi sospetti di dislessia, per l'eventuale ottenimento di
una diagnosi. l'insegnante a formulare una prima ipotesi sulla presenza di DSA, indirizzando la
famiglia verso le necessarie verifiche in sede specialistica.

Quali sono gli strumenti dispensativi e compensativi che vengono utilizzati nella prassi
didattica con i mìbambini con disturbi di DSA?
una volta verificata l‟effettiva presenza di un DSA in maniera commisurata alle necessità
individuali, stabilite dagli specialisti che seguono il bambino, e all'entità del disturbo di
apprendimento, è importante che gli insegnanti permettano l'uso di alcuni strumenti dispensativi e
compensativi nella prassi didattica, quali:
– dispensa dalla lettura a voce alta e dalla scrittura veloce sotto dettatura;
– - garantire l'uso del vocabolario digitale di italiano, inglese, greco, latino, ecc.; -
– dispensa dallo studio mnemonico delle tabelline;
– - dispensa dallo studio delle lingue straniere in forma scritta; -
– garantire tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio; -
– organizzazione di interrogazioni programmate; -
– assegnazione di compiti a casa in misura ridotta; -
– possibilità d'uso di testi ridotti non per contenuto, ma per quantità di pagine.
Per la realizzazione di queste forme di intervento compensativo l'autonomia scolastica si prefigura
come possibilità per agevolare e sperimentare questi percorsi individualizzati, che si configurano
quali opportunità per il riconoscimento dei bisogni specifici dell'alunno. Al di là degli strumenti
compensativi tesi a permettere il recuperodell'alunno con DSA è assolutamente di primaria
importanza sviluppare un processo di integrazione dell'alunno all'interno del gruppo classe

Nei nuovi approcci didattici inclusivi, che ruolo svolge la dimensione emozionale?
La ricerca didattica si sposta perciò dal focalizzare il solo atto dell'insegnamento all'allargare la sua
attenzione all'intero processo d‟insegnamento/apprendimento ponendo la centratura sull'alunno non
solo in termini di individuali sue modalità e strategie di apprendimento ma anche in termini di
dimensioni emozionali attivate nella pratica didattica. Se l'obiettivo ultimo della formazione è di
produrre dei cambiamenti nei comportamenti organizzativi delle persone e il ruolo del docente
diventa quello di un mediatore tra saperi, valori, emozioni, di qualità e di tipi diversi, come regista
di scenari cognitivi, come creatore di contesti, allora la pratica formativa dal punto di vista del
docente deve evolversi. deleterio non considerare le emozioni nella progettualità didattica, che
vorrebbe dire non considerare quella dimensione umana che ci mette in relazione con gli altri e con
il mondo, e quindi anche con i contenuti, le attività, gli interventi, le persone della formazione. Nel
concepire un utilizzo delle emozioni nella formazione l'equilibrio è la cosa più importante, ovvero
mettere insieme da una parte il fatto che occorre logica, occorre struttura, e anche finalizzazione
dell'apprendimento, ma dall'altra parte bisogna fare in modo di operare con le competenze
metodologiche che lavorano sull'esperienzialità; L'alfabetizzazione emotiva contribuisce a
potenziare negli allievi processi metacognitivi e di problem solving interpersonale che facilitano la
costruzione di interazioni sociali positive anche nel contatto con la “diversità”, spesso, purtroppo,
percepita e vissuta come elemento di rifiuto, esclusione ed emarginazione sociale prospettiva
educazione in grado di farsi carico della componente emotiva favorisce una crescita affettiva
armonica nel bambino, mettendolo in grado di realizzare in pieno le proprie potenzialità e il proprio
benessere.

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