INTRODUZIONE
Finalità dei voti:
• Fornire agli studenti un feedback sui progressi;
• Misurare gli apprendimenti;
• Fornire indicatori di efficacia dell’apprendimento;
• Regolare e adeguare i processi didattici.
Quando parliamo di voti intendiamo almeno due sistemi di valutazione: il voto come
valore numerico al termine di una singola prova o rilevazione, e il voto come sintesi e
raccolta di più valutazioni. Entrambi richiamano il significato di voto come giudizio
relativo. E se un voto di profitto è una valutazione, per un giudizio di merito espresso
in relazione al grado di preparazione e di rendimento di uno studente (Battaglia1), si
tratta di intendersi sul tipo di scala da usare nella comparazione.
Ogni docente tutte le volte che si trova a mettere voti e a valutare, dovrebbe controllare 4
dimensioni di riferimento: (tab. 1.1. p. 22 libro)
1. Funzioni della valutazione : Perche sto valutando Quali gli obiettivi?
2. Tempi didattici: Quando sviluppare le forme di verifica? Ingresso, itinere o finale?
3. Forme/strumenti: Quali stimoli e tipologie di prove adoperare? Strutturate, semi-
strutturate, aperte? Come raccogliere nel tempo le testimonianze di prove?
4. Livelli di misura: Quale precisione nella misurazione? Scale nominali, ordinali, a
intervallo?
Un voto, un giudizio, hanno senso e significato solo se contribuiscono a chiarire dal punto di
vista valutativo la situazione degli apprendimenti conseguiti e a indicare le modalità per
migliorarla.
Tra le condizioni necessarie per incrementare e diffondere la cultura della valutazione e la
sensibilità pedagogica vi sono:
ü alone: elementi non correalti con gli obiettivi della prova che si valuta, incidono
nellavalutazione della stessa (es. grafia disordinata, dizione scorretta);
ü contagio: la valutazione esplicitata da un personaggio (di norma collega disciplinare)
di cuil’insegnante si fida su un determinato studente, finisce per influenzare
l’insegnante nel valutare egli stesso lo studente medesimo;
ü contraccolpo: in prossimità di scadenze d’esami (per lo più esterni), l’insegnante
modificala propria didattica, investendo più tempo in determinate materie e
sottraendolo ad altre;
ü distribuzione forzata dei risultati: assimilazione degli studenti e dei rispettivi risultati
intermini omogeneizzanti;
ü Pigmalione: realizzazione di aspettative, di norma positive, nutrite nell’ambiente
scolare oin quello familiare, sul rendimento degli studenti;
ü stereotipia: tendenza ad “assolutizzare” giudizi formulati su uno studente,
applicandoli inmaniera sistematica e tipicamente acritica sulle performances da lui
fornite anche in provesuccessive;
ü successione/contrasto: comportamento per cui, a seguito di una performance
particolarmente positiva o negativa di uno studente, quella dello studente successivo
viene (inconsciamente) comparata con l’altra, così da essere rispettivamente sotto- e
sovrastimatasenza ragioni che lo implichino.
ü perseveranza;
ü opportunità di apprendere (i. e., tempo destinato all’apprendimento in classe);
ü attitudine;
ü qualità dell’istruzione;
ü capacità di comprendere l’istruzione.
Per mettere gli studenti nelle condizioni di apprendere bene, il docente dovrà compiere una
serie dipassi:
ü formulare chiaramente ciò che intende per padronanza della sua materia, quindi
chiarire aglistudenti che cosa dovranno imparare;
ü determinare il livello di padronanza da raggiungere;
ü suddividere il corso in una serie di unità didattiche conclusa da momenti di feedback;
ü programmare test diagnostici del progresso in itinere.
Gli obiettivi educativi che devono essere acquisiti con l’insegnamento di una materia
sono statitassonomizzati da Bloom:
Per formulare gli obiettivi, il docente dovrà rispondere ai seguenti tre quesiti:
1. Che cosa dovrebbe essere in grado di fare l’allievo?
2. In quali situazioni egli dovrebbe essere in grado di produrre il comportamento
desiderato?
3. Come dovrà essere tale comportamento?
Il principale discrimine fra i diversi livelli è rappresentato dal diverso grado di capacità di
rapportare la competenza al contesto situazionale specifico, con crescente flessibilità.
TAB. 3.7
CHE COSA VALUTARE COME VALUTARE CHI VALUTA
Obiettivo didattico: Osservazione: modalità di Eterovalutazione
descrizione di un modello di rilievo
comportamento che descrittiva/qualitativa
l’allievodeve saper esibire
per
manifestare il
raggiunto
apprendimento
Finalità: scopo da raggiungere Misurazione: modalità di Autovalutazione
nel processo formativo rilevazione quantitativa
Competenze: saper utilizzare Giudizio: espressione di Valutazione fra pari
determinati livelli di valutazione sintetica, di natura
conoscenze in contesti specifici qualitativa e che rimanda
anche
a misure
Prestazione: Valutazione di gruppo
comportamentoche
permette di descrivere un
obiettivo o una competenza
Valutazione di natura
collaborativa
Lo studioso invita inoltre a non dicotomizzare per via artificiosa le categorie e classificazioni
che,come visto, la didattica presenta in elevata quantità.
Diremo che la funzione principale della valutazione è la regolazione del processo che può
svilupparsi in diversi momenti didattici (tempi), avere diverse finalità (scopi) ed essere condotta
con diversi gradi di precisione nella rilevazione (livello misurativo).
I dati emersi dall’INDAGINE IARD DEL 1998-99, raccolti da CAVALLI, documentano la tendenza
della scuola italiana a privilegiare forme valutative tradizionali e al contempo, nel passaggio dal
ciclo elementare a quello superiore, una notevole varietà, suscettibili di essere distinte
soprattutto in base al loro diverso livello di strutturazione: esso è misurato in base a due
parametri:
ü STIMOLO APERTO O CHIUSO;
ü RISPOSTA DI TIPO APERTO O CHIUSO.
I principi che orientano nella scelta degli strumenti di valutazione e relativamente alla
lorofunzionalità docimologica sono due:
ü non esiste lo strumento di verifica migliore, ma solo quello più adatto allo scopo per il
qualeè pensato, tenendo presenti anche i limiti contingenti imposti dal contesto di
classe;
ü l’affidabilità dei diversi strumenti di rilevazione si ottiene controllandone le diverse
fasi dicostruzione.
Tali scelte sono davvero un momento e un’occasione su cui riflettere, per i docenti, soltanto
quandoessi non abbiano ancora maturato una ventagliata esperienza, che induca in loro una
sorta di automatismo valutativo, oppure in concomitanza con specifici e sensibili cambiamenti di
contesto.
4.1.1 LA VALIDITA’
La validità di una misura, secondo la definizione di GARRETT, si evince dalla capacità che essa
hadi misurare effettivamente ciò che si propone di misurare, dunque se tra la misura e il
misurato esiste una forma di corrispondenza. La validità di una misura e successivamente di
una valutazioneè strettamente correlata al tipo di strumento che si adopera: se adoperiamo o
costruiamo uno strumento poco adatto alla misurazione di un determinato apprendimento o se
utilizziamo una scalapoco sensibile alla misurazione di quell’apprendimento, le nostre misure
non saranno valide.
I livelli a cui la validità va individuata e attuata sono quattro:
4.1.2 L’AFFIDABILITA’
L’affidabilità indica il grado di precisione con cui una misura può essere effettuata. Essa
èsuscettibile di essere considerata a tre livelli distinti:
ü SCALA METRICA (quantitativa): la distanza fra i suoi punti è sempre uguale, quindi
costante. Dunque possiamo apprezzare in essa sia i diversi livelli che vengono
raggiunti, adesempio dai singoli studenti, sia la differenza che fra i diversi livelli
sussiste: avendo calcolato i punteggi, dunque i livelli che sono stati raggiunti,
potremo ricavare la differenzafra di essi e ottenere dunque una comparazione.
Secondo GATTULLO, è possibile -sia purmendacemente- ricorrere alle scale a
intervalli come se fossero metriche;
Nella prima accezione, parliamo di indicatore tutte le volte che scegliamo un qualche
elemento come significativo per la comprensione di un determinato fenomeno; in contesto
educativo, ciò significa trascegliere certi aspetti connessi, ad esempio, a una competenza e
intendere quegli stessiaspetti come importanti, e propriamente esplicativi, intorno
all’acquisizione o meno di quella competenza.
La seconda accezione d’indicatore, d’altro canto, ci rimanda agli aspetti di quantificazione e di
misurazione. Molte volte gl’indicatori così considerati sono vere e proprie elaborazioni statistiche,
mentre in altre circostanze è più difficile una loro esplicitazione in termini numerici, per i quali è
necessaria una serie piuttosto rigorosa di criteri d’attribuzione.
In entrambi i casi, parleremo di indicatore come di uno strumento utile per la valitazione di
determinati fenomeni, in quanto permette -quando valido e affidabile- di effetturare
comparazioni. Malgrado sia manifesta la loro importanza, l’attività di valutazione deve utilizzare
gl’indicatori cosìcome utilizza altre tipologie d’analisi (ALLULLI). Individuare indicatori seri e
funzionali, d’altronde, è un’operazione difficile da portare a termine.
Il termine standard, dal canto suo, indica il livello di prestazione (punteggio o criterio)
prestabilitoda utilizzare come riferimento per la valutazione. Tale livello di prestazione,
dunque, coincide conla soglia d’accettabilità indispensabilmente raggiunta da una prova che si
possa definire (almeno) sufficiente. Qual è la differenza tra punteggio e criterio?
Dunque un giudizio è operazione più complessa del voto perché, anziché essere una sintesi
numerica, è una sintesi linguistica, la cui funzione è più esplicitamente comunicativa.
Nella recente INDAGINE IARD, sono stati indagati i criteri di valutazione impiegati con più
frequenza dagli insegnanti. Il criterio più impiegato, ad ognuno dei livelli gerarchici della scuola,
è quello utile a operare confronti tra il livello raggiunto e quello di partenza. Dal canto loro, le
scuolesecondarie superiori mostrano di prediligere il criterio normativo, dunque il confronto tra
il rendimento del singolo e quello dell’intero gruppo classe. Nel corso degli anni, come
l’indagine ha saputo mettere in luce, le scuole elementare e media hanno accresciuto anche il
loro ricorso a strumenti di valutazione normativa, palesando una maggior attenzione alle
questioni docimologichein genere; la scuola superiore ha mantenuto una predilizione per gli
strumenti normativi, ma ha valorizzato anche altri indicatori, per esempio riferiti al contesto
sociale di provenienza.
Nell’indagine svolta da CITTERIO-MAGNONI a Brescia nel ’99, gli elementi chiamati in causa
per la valutazione sono risultati i seguenti:
ü risultati centesimali delle verifiche;
ü progresso rispetto al livello di partenza;
ü standard delle prestazioni stabiliti in base alle caratteristiche delle discipline;
ü osservazione dei comportamenti cognitivi.
I test, nell’uso quotidiano, risultano molto frequenti, ad esempio per accertare competenze
funzionali (cfr. esame di guida, idoenità linguistiche, prove di alfabetizzazione informatica).
Nellascuola, il loro impiego è spesso accompagnato o da un impiego acritico (li si utilizza, cioè,
senza chiedersi né se né come essi permettono una determinata misurazione in termini rigorosi)
o da unasfiducia che porta a considerarli prove di verifica troppo poco rigorose. In generale, i
test hanno avuto nella scuola italiana un’accoglienza più fredda e ‘perplessa’ di quanto non sia
accaduto nel mondo anglosassone, dove il ricorso ad essi, invece, è stato ed è sistematico;
dunque, dalle differenze culturali deriva un’ampia variabilità nell’uso del testing.
ü il TIPO DI STIMOLO (i. e. definire la forma del quesito, es. risposta multipla,
vero/falsoecc.);
ü la STRUTTURAZIONE DELLO STIMOLO (circoscrivere cioè il campo delle possibili
risposte);
ü la SOLUZIONE PREDEFINITA.
ü D’INGRESSO;
ü DIAGNOSTICHE, per verificare specifiche difficoltà nell’apprendimento e
costruiremirate procedure di recupero;
ü REGOLATIVE DEL PROCESSO (formative), per fornire feedback allo studente e
possibiltà d’intervento al docente;
ü FINALI-CERTIFICATIVE (sommative).
5.3.5 LA SOMMINISTRAZIONE
Prima di utilizzare la prova di testing somministrandola a degli studenti, è opportuno verificarla.
Alcune questioni da considerare:
ü Gli studenti sono necessariamente motivati a svolgere la prova? E’ importante che lo
siano,in modo che possano dare il peso opportuno alla prova stessa e svolgerla
quindi con impegno;
ü Ci sono istruzioni predefinite, da leggere prima di sottoporsi alla prova? Esse
sononecessarie soprattutto se il gruppo classe non ha mai svolto prima
prove analoghe;
ü In che modo avviene la somministrazione? Ossia, essa è erogata nei confronti
dell’interaclasse o a singoli gruppi?
ü Il somministratore è l’insegnante di classe? Nella massima parte delle situazioni, la
rispostasarà affermativa;
ü Il test è svolto ‘carta e matita’ o a computer? La seconda opzione lascia meno
margine adeventuali tentativi di copiatura;
ü I tempi sono rispettati da tutti? Ciò è essenziale, affinché anche in tal senso
l’obiettività siagarantita.
Se i punti in oggetto sono stati rispettati, possiamo assumere che lo strumento permetta una
letturaaffidabile dei risultati. Una fra le potenzialità delle prove strutturate, in effetti, consiste
proprio nelpoter utilizzare standard di riferimento per arrivare alla valutazione.
Un secondo controllo da operare sui quesiti inerisce al criterio della selettività, dunque della loro
capacità di discriminare gli studenti che vanno bene da quelli che vanno male al totale della prova.
ü calcoliamo le risposte giuste senza omissioni (dunque non togliamo punti per
eventuali risposte non date, invitando preliminarmente a non rispondere a quesiti che
non si sappiano);
ü ‘pesiamo’ le risposte considerando la probabilità del caso.
Diversa, invece, la questione dei pesi da attribuire a diversi tipi di quesito. Da un lato abbiamo
le diverse forme, dall’altro il tipo di obiettivo cui le forme mirano. A tale scopo, o attribuiremo
pesi infunzione della tassonomia degli obiettivi, o assegneremo pesi in funzione del numero di
alternative possibili offerte dal quesito. Per la correzione dei quesiti a risposta preformulata
(chiusa) non si richiede l’intervento di correttori, invece per quella dei quesiti a risposta aperta
sono possibili diversi livelli di complessità. Il punteggio che ricaviamo dalla fase di correzione,
provvisto o privo di calcolo di penalizzazione, si chiama punteggio grezzo: esso sarà la base per
operare una qualsiasicomparazione, in chiave diacronica (riferita al singolo studente o al
rapporto fra gruppi di studenti) oppure sincronica (fra gli studenti o fra gruppi di studenti).
ü VELOCITA’ D’ESECUZIONE;
ü PRECISIONE NELLA PERFORMANCE (es. restare al di sotto di un numero
prestabilito di passaggi per risolvere determinati problemi);
ü PERCENTUALE DI QUESITI RISOLTI CORRETTAMENTE (tipo di standard
impiegato con più frequenza).
B. Come misurare determinati aspetti del prodotto, cioè le forme che può assumere il
risultatodel processo attivato o di alcune sue fasi?
6.2 METODI OSSERVATIVI E INDICATORI
Come sappiamo, gl’indicatori sono elementi o variabili di significativa centralità per l’analisi o la
classificazione di un dato fenomeno. Tipicamente, nel campo scolastico, gl’indicatori fissano gli
elementi da considerare nella valutazione, ma non offrono esplicitazione alcuna intorno alla
loro ampiezza, dunque si prestano ad ampia interpetazione, soprattutto se non sono frutto di
un accordoe quindi individualmente maturati; sarà meno probabile, comunque, che essi diano
luogo troppo influenzate dalla soggettività, allorquando siano impiegati dopo una fase di
addestramento comune.Per utilizzarli correttamente in misurazioni valutative di tipo ‘aperto’,
ci porremo i seguenti problemi docimologici:
ü definizione dell’ampiezza/costrutto dell’abilità da valutare;
ü selezione o campionatura degli indicatori possibili;
ü scelta dell’ampiezza e della ripartizione della scala di punteggi o voti da considerare;
ü previsione dell’uso di aggettivi o espressione per marcare le singole fasce dei valori di
scala;
ü utilizzo collegiale dele schede per addestrarsi al loro uso misurativo.
Per la quantificazione e gradazione nella rilevazione, si possono usare scale nominali od
ordinali,per quanto talora insufficienti. In generale, l’attribuzione dei pesi dovrebbe
considerare il livello scolastico e la fase della didattica in cui ci si trova.
A prescindere dal metodo, per una valida e affidabile definizione di criteri è indispensabile che:
A. la descrizione delle abilità e competenze obiettivo sia collegialmente condivisa;
B. i descrittori dell’apprendimento siano campioni significativi delle abilità e
competenzeobiettivo;
C. la fase di rilevazione e misurazione guidata dai descrittori poggi su verifiche
coerenti esignificative;
D. l’espressione del giudizio sia coerente con l’uso dei descrittori.
ü scopo;
ü destinatario;
ü contenuto;
ü tipo di testo;
ü limiti spazio/temporali.
La chiarezza e la completezza delle istruzioni sono importanti sia per presentare le coordinate
generali entro cui la correzione dovrà avvenire, sia per mostrare agli studenti i criteri cui la
valutazione si atterrà di più (es. bisognerà centrare la richiesta su un’unica problematica da
affrontare, evitando dettagli secondari e ricorrendo a un linguaggio adatto al pubblico cui ci si
rivolge). La valutazione dovrà attenersi a due distinti livelli:
ü VALUTAZIONE ANALITICA (per tratti o dimensioni), che individua invece gli aspetti
specifici tramite indicatori e relativi descrittori di grande precisione.
Nondimeno, sarà sempre necessaria una fase preliminare di lavoro e discussione collegiali,
rispettoall’impiego delle griglie di valutazione, affinché le stesse possano essere maneggiate
con sicurezzaed ottemperino al compito più specificamente loro proprio, cioè quello di
restringere le differenze valutative che emergono fra esaminatori diversi.
Quando uno svolgimento così complesso non risulti possibile, sarà comunque necessario
almenoche si definiscano:
ü la scala di misura (a tre valori -insufficiente/sufficiente/buono), a cinque, a dieci);
ü gli indicatori, dunque il ‘che cosa’ si valuta, e i rispettivi descrittori.
In Italia, dove ha cominciato a diffondersi dagli anni ’90 circa, è noto anche coi nomi di
‘fascicolopersonale’, ‘portfolio studente’, ‘portafoglio formativo progressivo’. Alcune delle
forme che il portfolio di valutazione può assumere sono le seguenti tre:
ü portfolio di lavoro, che raccoglie i lavori fatti relativamente alle specifiche differenze;
ü portfolio di presentazione, che appunto presenta i lavori migliori,
modificandosi infunzione dei propri destinatari;
ü portfolio di valutazione, che documenta il percorso formativo, raccogliendo sia i
singolilavori degli studenti, sia eventuali spunti di riflessione da essi maturati.
L’utilità e l’importanza docimologiche del portfolio derivano, tra l’altro, dal suo essere una
valutazione autentica, dunque configurata sulla base di meccanismi e procedure
eventualmente spendibili anche al di fuori del mero ambiente scolastico. Un consiglio
importante, per costruire unportfolio di spessore, sarà quello di prevedere un certo numero di
prove ‘fisse’, per importanza e qualità, da inserire al suo interno, stabilendo che invece un’altra
determinata quantità possa essere di natura facoltativa, a discrezione cioè dello studente.
M. CASTOLDI - DIDATTICA GENERALE (NO PARTE IV)
PARTE PRIMA
1. DIDATTICA
La didattica, termine che trae origine dalla radice indoeuropea dak ‘mostrare’, è una disciplina
molto antica, che si è rinnovata parecchio durante gli ultimi decenni. La sua formalizzazione
comesapere autonomo risale al secolo XVII e va ascritta a Comenio, secondo cui tutto può
essere insegnato a tutte le età. In generale, le tendenze della didattica si modificano di pari
passo con l’ evolversi delle stagioni culturali: ad esempio, nell’ Italia dell’ idealismo
primonovecentesco, essa venne di fatto negata, costretta come fu a stemperarsi nella
pedagogia, nel senso che la formazione degli insegnanti fu identificata con la loro preparazione
culturale e umana, senza la necessità di tecnicismi né di formalizzazioni preventive.
I cambiamenti occorsi nei decenni scorsi sono stati, come accennato sopra, davvero imponenti.
Anzitutto, occorre sottolineare l’ estensione di campo della didattica, non più circoscritta alla
scuola ma estesasi anche ad altri campi dell’ educazione informale, dallo scoutismo allo sport.
Ne consegue che parlare oggi di ‘didattica’ è troppo generalista, nel senso che bisogna
specificare a quale campo si rapporta la disciplina. Nel campo propriamente scolastico, poi, si è
registrata una specificazione dell’ oggetto della didattica in relazione alle diverse materie; così,
accanto a una didattica scolastica generale, hanno proliferato le didattiche più particolari, da
quella dell’ italianoa quella della geografia. Sono emerse, ancora, nuove metodologie
didattiche, accomunate da un approccio meno dogmatico e più flessibile, senza più l’ illusione
che esista un modello di didatticauniversale e nella consapevolezza, piuttosto, che le singole
proposte devono essere calibrate nei vari contesti disciplinari. Alla luce di tutto ciò, è stata
investita di luce nuova la didattica stessa generalmente intesa, considerata cioè dal punto di
vista del suo statuto discplinare. Gli elementi caratterizzanti di una disciplina scientifica sono l’
oggetto di studio e il metodo d’ approccio trascelto. Nel caso della didattica, il primo compito
sarà quello di posizionarla entro le c.d. scienzedell’ educazione. LAENG classifica le discipline
afferenti al campo educativo in tre categorie:
Se il raggio d’ azione proprio della didattica generale è dunque quello del ‘come educare’, il
suo oggetto consiste nell’ azione d’ insegnamento, dunque nell’ azione formativa erogata a
scuola inmaniera sistematica e intenzionale. Quella impartita a scuola è dunque un’
educazione formale,proprio perché soddisfa sia il parametro della sistematicità, sia quello
dell’ intenzionalità; l’educazione familiare è informale perché, pur non essendo sistematica,
risulta intenzionale; l’educazione non formale, cioè l’ insieme di eventi della realtà sociale
aventi una valenza educativa(es. mass media), non possiede nessuno dei due criteri suddetti.
Concentrandoci ora sulla didattica formale erogata a scuola, diremo che l’ azione d’
insegnamentoè una relazione educativa finalizzata all’ apprendimento di un dato patrimonio
culturale, situata inun certo contesto istituzionale. L’ evento didattico può essere osservato da
più punti di vista:
A conti fatti, la didattica si configura come ricerca sull’ insegnamento, definizione utile a
contemperare il metodo utilizzato dalla disciplina (comprensione più che regolamentazione)
e ilsuo oggetto di studio. Oggi, in conseguenza di ciò, la didattica è vista più come un sapere
con gliinsegnanti anziché per gli insegnanti. A differenza della prospettiva tradizionale,
dunque, la didattica trova negli insegnanti una fonte essenziale del proprio sapere,
funzionalizzando il ricercatore non come attore unico del processo di produzione della
didattica bensì come co- attore, come partner, dell’ insegnante (ruolo paritetico).
2. RICERCA
Laddove la didattica tradizionale si basava su un rapporto gerarchico fra teoria e azione e il
compito dell’ insegnante era essenzialmente esecutivo, nella nuova didattica teoria e azione
intrattengono un rapporto circolare o esecutivo. La sfiducia verso i modelli universali, invece,
deriva soprattutto dalla constatazione che qualsiasi proposta deve essere calibrata e verificata
all’ interno di un contesto specifico. Tale visione della didattica deriva soprattutto dall’
epistemologia propugnata da SCHOEN e richiede di distinguere due paradigmi conoscitivi: la
razionalità tecnica ela riflessività. La prima, derivato dell’ epistemologia del Positivismo,
asserisce che la conoscenza può essere definita significativa solo se validata da un’
osservazione empirica, il che richiede agli operatori soltanto di applicare per via sistematica le
generalizzazioni partorite dalla ricerca. Poichéun approccio siffatto faticherà a imporsi e
soprattutto a funzionare in situazioni complesse, ambigue o conflittuali, SCHOEN propone il
concetto della riflessione in azione, processo di pensiero che si attua nel corso dell’ azione
stessa: occorre quindi attribuire significato in tempo reale a ciò che si fa, modificando mezzi e
fini in rapporto al contesto di turno. Ciò avvicina notevolmente, malgrado siano forieri di
logiche euristiche differenti, il ruolo dell’ insegnante e quello del ricercatore. Dalla riflessione
di Schoen emerge il carattere pratico del sapere didattico ela sua natura prevalentemente
tacita, ossia interna all’ azione del docente. In quanto ‘professionista riflessivo’, l’ insegnante si
gioca la sua professionalità nel passaggio da un sapere pratico a un sapere esplicito. Il
ricercatore, e astrattamente la didattica, avranno il compito di aiutare l’ insegnante a
realizzare ciò, soprattutto assistendolo nel rendere comunicabile il propriosapere. La ricerca si
collocherà perciò tra teoria e pratica, ponendo la didattica a servizio dell’ azione. CALIDONI
presenta tre visioni della ricerca didattica, esplorando il rapporto tra azione d’ insegnamento e
riflessione didattica:
Ne deriva una serie di stati tensionali fra poli di opposta collocazione logica:
• nomotetico (prospettiva di un modello teorico prescrittivo, dato dall’ accomunarsi
deiprocessi reali) vs idiografico (prospettiva del processo educativo come evento
unico eirripetibile);
• analitico (prospettiva delle singole componenti elementari) vs globale
(prospettivasistemica e complessiva);
• tecnico (prospettiva della costruzione di un modello come insieme di variabili con
cuileggere la realtà) vs relazionale (prospettiva del processo educativo all’ interno
di unadinamica relazionale fra oggetti);
• descrittivo (strumento funzionale a una rappresentazione sistematica dell’ oggetto
osservato) vs pragmatico (azioni didattiche da intendersi non in senso astratto,
bensì sempre orientate a scopi e intenzionalità che conferiscono significato alle
azioni stesse);
• statico (prospettiva di fotografare il reale) vs dinamico (processo educativo assunto
nellasua dimensione evolutiva e di sviluppo).
3. INNOVAZIONE
L’ innovazione è legata a doppio filo alla didattica in quanto ricerca sull’ insegnamento:
essendoessa svolta con gli insegnanti, necessariamente sfocia nell’ azione e diventa
strumento per la gestione del cambiamento, anche in ambito didattico. In particolare, dalla
metà degli anni Settanta, si è avviata una stagione di riflessione sul cambiamento come
processo di reciproco apprendimento fra individui e contesto d’ azione. Scurati definisce la
fase in oggetto come ‘momento antropologico’, a sottolineare la rilevanza assunta dal
soggetto e dai concetti di dialogo,comunicazione e apprendimento. La stessa tensione che
aveva caratterizzato la riflessione
precedente sull’ innovazione si stempera a favore di categorie descrittive e interpretative. Tale
ambito di riflessione si caratterizza per la ricorrenza di alcuni principi di fondo:
E’ in quest’ ultima prospettiva che si colloca il paradigma della ricerca/azione che, a partire dagli
anni Settanta, ha incontrato una fortuna crescente anche nel nostro Paese, sulla scorta dei
risultatiemergenti dalle scuole francofona e anglofona. La ricerca/azione (R/A), scrive
MASTROMARINO, è un tipo di ricerca sociale applicata, diversa dalle altre perché vi partecipano
attivamente tanto ricercatori quanto operatori sul campo. E’ dunque, aggiunge POURTOIS, un
tipo di ricerca che tende all’ azione, e che mira pertanto a cogliere l’ applicabilità dei dati in
contesti reali. Un secondo aspetto è legato al coinvolgimento paritetico di ricercatori e
operatori, essendo la lorocompresenza necessaria affinché si captino meglio i problemi
professionali. Un terzo aspetto inerisce alle metodologie d’ indagine, propense ad appoggiarsi a
un paradigma fenomenologico equalitativo, in base a cui il ricercatore non fa ricerca ma è in
ricerca.
4. DOCUMENTAZIONE
La centralità della documentazione nel sapere didattico trae origine dall’ idea di ricerca
presentatasopra: se la ricerca didattica si qualifica come opportunità di rielaborazione dell’
esperienza dell’ insegnamento, allora diventa decisivo possedere un linguaggio per esprimere
tale esperienza. La documentazione serve proprio a dire l’ azione e, raffreddandola, a
trasformarla in documento, suscettibile di essere conservato e capitalizzato, dunque di fornire
materia prima alla costituzione di una memoria. Quanto è possibile tesaurizzare un’ esperienza
didattica? Come riuscire a renderne la ricchezza con parole o altri simboli? Tale sfida si presenta
per qualsiasi forma di saperepratico: l’ azione, infatti, si svolge in un contesto e instaura una
relazione complessa e articolata con tutti gli elementi che compongono quello stesso contesto;
com’ è possibile restituire questa complessità tramite una stringa di parole, un linguaggio che
inevitabile deve riportare tale
esperienza in forma lineare, sotto forma di sequenza verbale? Nel caso dell’ azione didattica,
svolgendosi essa nella forma di una relazione e dunque di un evento complesso e
pluridirezionale, questa problematica è ancora più grave e difficile a risolversi. Si tratta quindi di
trasformare il fare nel dire, di rendere dicibile l’ azione senza perdere la sua ricchezza e la sua
complessità. Nella storia della pedagogia, sono stati esperiti svariati tentativi di raccontare l’
azione, a partire per esempio dai c.d. romanzi pedagogici e al loro tentativo di restituire un
modello educativo tramite ilracconto di un’ esperienza singolare ed emblematica. Tuttavia,
dobbiamo anche registrare che la cultura scolastica non ha mai curato granché la
documentazione della propria esperienza didattica,o meglio lo ha fatto privilegiando un’ ottica
amministrativo-burocratica anziché professionale. Le prime immagini associate alla
‘documentazione’, da parte degli insegnanti, sono quelle del registro, della pagella, del fascicolo
personale. Quali sono le radici di questo generalizzato disinteresse? In primo luogo, dobbiamo
menzionare la tendenza alla devalorizzazione dell’esperienza e della sua ricchezza, pensando all’
azione come a qualcosa d’ imperfetto a confronto con la purezza del modello didattico.
Contribuisce anche la deformazione dell’ impiego burocraticodella documentazione, che viene
considerata alla stregua di un mero adempimento. Questi segnaliconfermano che, nella cultura
scolastica, è quasi del tutto assente una documentazione professionale, utile a comunicare le
esperienze didattiche fra insegnanti e a trasferirle in altri contesti. Il summenzionato e auspicato
connubio fra ricerca e azione, del resto, riconosce proprio alla documentazione un ruolo d’
intersezione e d’ interfaccia fra i due momenti del lavoro didattico.
Messi a fuoco i significati della documentazione, occorre spostare l’ attenzione sul come
documentare. Anzitutto, occorre menzionare alcuni criteri ordinatori con cui classificare le diverse
forme:
I piani sono una forma di documentazione precedente all’ azione e con scopo regolativo;
possonoassumere forme molto varie, ma in generale si caratterizzano per il fatto che cercano di
anticiparelo sviluppo di un percorso didattico, allo scopo di poterne gestire più attentamente l’
azione.
Occorre individuare gli elementi di quest’ ultima e mettere quindi in relazioni mezzi e fini.
I cirteri di qualità, che accompagnano l’ azione con scopo regolativo, sono tentativi di criteriologia,
volti a formalizzare una certa idea d’ insegnamento e a orientare sulla sua base l’ azione didattica
(esplicitazione dei principi ispiratori).
I prototipi sono resoconti strutturati dell’ azione, seguono ad essa e si configurano come idealtipi
acui conformare l’ azione. Si tratta dunque di simulacri dell’ azione didattica, elaborati sulla base
di esperienze reali e miranti a proporre un modello su cui sviluppare tentativi di trasferimento e
adattamento.
Le teorie precedono l’ azione e hanno un ruolo esplicativo; precedono l’ azione perché sono
modelli mentali. Formalizzano l’ azione e generalizzano la prassi per fornire gli strumenti
perinterpretare le azioni che si producono.
Le categorie d’ analisi sono forme di documentazione che accompagnano l’ azione e cercano di
facilitarne la lettura. Dànno chiavi di lettura per lo svolgimento dell’ azione. A differenza dei
criteridi qualità, non hanno alcun aspetto di caratterizzazione valoriale, ma forniscono
strumenti per comprendere l’ esperienza.
Le tipologie didattiche seguono l’ esperienza e aiutano a riconoscerne i tratti salienti, a
classificarlae a confrontarla. Generalizzano l’ esperienza per cercare denominatori comuni e
tratti ricorrenti. Sidifferenziano dai prototipi per il più alto grado di generalizzabilità cui
ambiscono, svincolandosi di più dal carattere singolo dell’ esperienza.
Le simulazioni anticipano l’ azione con scopo narrativo. Non si tratta di un testo ma di una
ricostruzione esperienziale.
I protocolli osservativi, che accompagnano l’ azione e svolgono una funzione narrativa,
descrivonoa 360° l’ esperienza vissuta. E’ l’ osservazione carta e matita, ricca e autentica, volta a
restituire ciòche succede.
I diari di bordo, posteriori all’ azione e con funzione narrativa, sono forme di registrazione
appuntosuccessiva ma non troppo a freddo, finalizzata a conservare la ricchezza e la vitalità dell’
esperienza.
5. AZIONE D’ INSEGNAMENTO
Se è vero che la didattica ha come azione l’ insegnamento, e che l’ insegnamento si definisce
comerelazione comunicativa finalizzata all’ apprendimento di un patrimonio culturale, agita
entro un contesto istituzionale, bisogna adesso esaminare più in profondità i caratteri di tale
azione. Essa, come abbiamo già visto, è in possesso di due requisiti, l’ intenzionalità e la
sistematicità, che la fanno rientrare nel novero dell’ educazione c.d. formale, e può essere
analizzata, per comprenderne il significato più profondo, a partire dal concetto-chiave di
mediazione. Seguendo DAMIANO, diremo anzitutto che l’ insegnamento è un’ azione pratico-
poietica. Esso si configura perciò come un’ azione, il che sottolinea una volta di più la natura
eminentemente concreta del suo svolgersi: per questo, più che di validità in generale di un
modello didattico, dovremo parlare della sua maggiore o minore applicabilità entro determinati
contesti. Praxis e poiesis, come ricordaDamiano, sono concetti aristotelici: praxis è l’ azione
finalizzata a uno scopo etico, non concreto (es. azione dei missionari), ed è di qualità se
accompagnata dalla phronesis ovverosia dalla saggezza; poiesis è l’ azione volta al
conseguimento di un risultato concreto, un prodotto tangibile e determinato, tale da acquisire
valore in base appunto al risultato conseguito; la maestria nel compiere la poiesis si richiama
alla nozione di techne, o meglio implica il possesso di quella technecome insieme di abilità e
competenze necessarie a realizzare un prodotto a regola d’ arte. La differenza sta quindi nello
scopo: la praxis ha il suo scopo in sé medesima, perché è espressione dei valori etici a cui si rifà,
mentre la poiesis raggiunge il suo scopo tramite il prodotto che realizza.E’ invece comune il
rapporto fra soggetto e qualità dell’ azione; praxis sta a phronesis come poiesissta a techne.
Riprendendo MACINTYRE, Damiano esprime l’ auspicio che praxis e poiesis vivano un momento
di sintesi, nell’ insegnamento: la dimensione poietica, orientata al prodotto, richiama la valenza
didattica dell’ insegnamento e attiene alle qualità pratico-professionali dell’ insegnante nel
relazionare allievi e contenuti di conoscenza; la dimensione pratica, orientata al processo,
richiamala valenza educativa dell’ insegnamento e inerisce alle qualità umane e personali che l’
insegnante possiede nel veicolare e testimoniare un insieme di valori etici.
Nell’ insegnamento, pertanto, adeguatezza tecnica e legittimità etica sono requisiti
imprescindibili;s’ intersecano e la praxis, che detiene un’ estensione maggiore, abbraccia, oltre
che sé stessa, anche la poiesis.
Nella vita quotidiana del docente, l’ intersecazione fra praxis e poiesis si ripercuote su
determinate fasi della documentazione: la programmazione didattica, che è volta al
conseguimento di traguardi formativi specifici e circoscritti (azione poietica) da un lato, la
programmazione educativa, orientata invece al perseguimento di scopi formativi più ampi
(azione pratica) dall’ altro. Damiano, ad ogni modo, si concentra soprattutto sulla dimensione
poietica. Essendo il suo risultato o prodotto l’ apprendimento settoriale degli alunni, si potrebbe
credere che fra insegnamento e apprendimento esista una relazione causale; ma una conclusione
del genere sarebbe fallace, perché intervengono molti fattori, come motivazione dell’ allievo,
preconoscenze e impegno, sintetizzabili nella locuzione ‘disponibilità ad apprendere’. La
relazione insegnamento- apprendimento, dunque, non è causale, quanto piuttosto probabilistica,
e sussiste fra qualità dell’ insegnamento e qualità dell’ apprendimento. E’ così che s’ inserisce la
riconcettualizzazione del prodotto dell’ insegnamento come mediazione operata dall’ insegnante
per promuovere l’ apprendimento da parte degli alunni. Secondo Damiano, la mediazione
didattica va intesa come regolazione della distanza fra i contenuti culturali da trasmettere e i
soggetti in apprendimento, tra la struttura logica dei contenuti d’ apprendimento e la struttura
psicologica dei soggetti che apprendono. La mediazione richiede che i contenuti che si vogliono
veicolare siano metaforizzati ecosì semplificati, mediando così la distanza fra la realtà di cui si
parla e la forma con cui si rappresenta quella realtà. Al di là delle differenze situazionali specifiche,
ciò che caratterizza il processo di mediazione è la trasformazione di determinati contenuti
culturali in contenuti accessibili all’ apprendimento per un determinato gruppo in vista di un
determinato scopo didattico. L’ effetto è duplice: da un lato si fornisce protezione rispetto all’
impatto dell’ esperienza diretta, predisponendo un ambiente simulato che garantisce condizioni
di sicurezza e distanza; dall’ altro sostituisce il contenuto di realtà com segni appropriati,
semplificandoli e ristrutturandolida un punto di vista spazio-temporale, così da renderli funzionali
all’ apprendimento. Questi due meccanismi, quello di simulazione e quello di semplificazione,
agiscono in qualsiasi situazione didattica e costituiscono sia un punto di forza, sia un punto di
debolezza dell’ istituzione scolastica:di forza perché semplificano e agevolano l’ apprendimento,
rendendo quello scolastico un contesto protetto; di criticità perché tale distanziamento è un
rischio per la scuola, rendendo più probabile che si sviluppino forme di auto-referenzialità. La
mediazione didattica, in senso lato, si riferisce all’ azione didattica intesa nelle sue diverse
dimensioni (metodologica, organizzativa e relazionale-comunicativa). Tra di esse, secondo la
prospettiva di Damiano, è soprattutto la dimensione metodologica ad acquisire importanza,
donde la proposta di classificazione dei mediatori didattici:
3. mediatori iconici, che privilegiano una rappresentazione della realtà per via d’
immaginivisive (es. disegni); permettono di condensare e organizzare, anche
spazialmente, l’ informazione, ma possono ingenerare problemi legati al carattere
astratto di taluni significati;
Sulla base della maggiore o minore vicinanza alla realtà che rappresentano, i mediatori
possonoessere classificati in vari modi, fra cui quello legato al parametro del ‘calore’: saranno
più caldi imediatori attivi, più freddi quelli simbolici; eppure, da un altro punto di vista, i primi
necessiteranno di un tempo più lungo per essere messi in atto, i secondo saranno in tal senso
molto più funzionali.
Alla luce di ciò, riconosceremo che un insegnamento erogato con qualità è un insegnamento in
grado di usare plurimi linguaggi comunicativi e dunque plurime tipologie di mediatori, per
quanto tale pluralità, soprattutto nelle scuole secondarie, non trovi l’ adeguato spazio. In effetti,
proprio latrasferibilità linguistica è di norma riconosciuta come parametro garante della qualità
dell’ insegnamento.
6. DIMENSIONE METODOLOGICA
Da un punto di vista iconico, la dimensione metodologica si colloca lungo l’ asse di collegamento
fra lo studente e il contenuto culturale. Secondo l’ approccio cognitivista, la metodologia
didattica è un dispostitivo di adeguazione del contenuto culturale al soggetto in apprendimento,
associandone la matrice cognitiva alla struttura del contenuto culturale oggetto d’
apprendimento.Uno dei maggiori autori cognitivisti ad essersi impegnato in tale direzione è
AUSUBEL, che ha classificato le varie modalità d’ apprendimento in base a due parametri
inerenti al ruolo del soggetto che apprende:
7. DIMENSIONE RELAZIONALE
Nella schematizzazione grafica dell’ azione d’ insegnamento, la dimensione relazionale si
collocalungo l’ asse di collegamento fra insegnante e studente, perché essa si riferisce alla
dinamica relazionale che intercorre fra i diversi attori coinvolti nell’ evento didattico.
E’ possibile riconoscere due tipi di relazioni comunicative, rispetto alla dinamica che si attiva fra
gliattori: da un lato le relazioni simmetriche, dove le relazioni fra gli attori sono equilibrate; dall’
altrole relazioni asimmetriche, in cui la distribuzione del potere fra gli attori dell’ interazione è
diseguale, e tende a caricare di un ruolo maggiore colui che, da un punto di vista relazionale, si
trova collocato più in alto. Le relazioni simmetriche possono essere oggetto di contesa e
competizione per stabilire chi, fra gli attori interessati, debba prevalere nell’ interazione; il
problema delle relazioni asimmetriche, invece, consiste nel fatto che esse sono suscettibili di
produrre un irrigidimento dei ruoli fra chi gestisce l’ interazione e chi la subisce. Utilizzando tali
categorie, diremo che quella didattica è una relazione fortemente asimmetrica, strutturata com’
essa è su ruoli ascritti (insegnante e allievo), che differiscono tra loro per età, status sociale,
livellod’ esperienza, patrimonio culturale ecc.; la distribuzione del potere premia l’ insegnante,
relega invece lo studente. La qualità dell’ azione didattica, tuttavia, non si esercita nel tentativo
di renderne simmetrica la natura, quanto piuttosto in quello di gestirne la flessibilità e la
complementarità. Secondo COMPAGNONI, è simile a una didattica fortemente asimmetrica una
visita guidata, nella quale il percorso è imposto dalla guida (i. e. l’ insegnante), mentre è meno
somigliante a tale relazione una visita d’ esplorazione, priva di schema predeterminato e
definita in fieri. Pertanto, riconosceremo una relazione didattica di qualità in una relazione che,
pur restando asimmetrica, si caratterizza per un certo tasso di complementarità con cui l’
insegnante gestisce la dinamica d’ interazione con gli studenti. Secondo FRANTA e COLASANTI,
per esercitare una proficua ‘arte dell’ incoraggiamento’ con gli alunni, l’ insegnante deve
possedere la capacità:
In entrambi i casi, è richiesto un ‘andare oltre’ la relazione basata sul solo contenuto culturale,
dando spazio anche alle dimensioni affettiva, emotiva e relazionale presente in qualsiasi
dinamicacomunicativa; non si può negare, comunque, che fattori congiunturali legati all’
istituzione scolastica di per sé e al ruolo che essa conferisce all’ insegnante rendono difficile
espletare un compito del genere.
Operativamente, sempre per parlare dell’ ‘ascolto attivo’, è di estremo interesse lo strumento
consigliato da SCHULZ, ovverosia una scomposizione del messaggio ricevuto in quattro sezioni:
PONTECORVO, dal canto suo, propone una visione dell’ ascolto maggiormente incentrata sul
pianocognitivo: occorre prestare attenzione, dunque, non soltanto alla dimensione socio-
emotiva, bensìanche alla possibilità di valorizzare le potenzialità suscettibili di derivarne sul
piano dell’ apprendimento. PONTECORVO si riferisce, più che alla relazione dualistica fra
insegnante e alunno,all’ interazione sociale che avviene in classe, considerata un fattore
essenziale, insieme alla costruzione attiva da parte del soggetto, per l’ apprendimento (‘zona di
sviluppo prossimale’ comeprincipio a partire da cui valorizzare l’ interazione fra pari come
occasione di scambio simmetrico eparitario). PONTERCORVO parla della co-costruzione della
conoscenza come esito della ‘sindrome di Qui, Quo, Qua’; i nipoti di Paperino, infatti, elaborano
il proprio pensiero come somma dei contributi individuali, dove ciascuno formula un pezzo di
frase che assume significato solo a frase stessa completata. Quali sono le condizioni che
favoriscono una co-costruzione della conoscenza? Quali i criteri di qualità di un’ interazione
sociale produttiva? Quanto al primo punto, è importanteesperire una comune situazione
problematica (es. osservazione di un fenomeno), tale da fungere da base referenziale comune
su cui sviluppare il confronto collettivo e la costruzione di significati condivisi. Quanto al
secondo punto, i parametri sono:
• lo sviluppo, inteso come evoluzione del ragionamento collettivo sull’ oggetto del
discorso;
• la pertinenza, intesa come aderenza del ragionamento all’ oggetto del discorso.
Gli indicatori che dimostrano uno sviluppo argomentativo della discussione sono:
• dare elementi;
• relazionare;
• delimitare;
• contrapporsi;
• generalizzare;
• problematizzare;
• ristrutturare.
8. DIMENSIONE ORGANIZZATIVA
Il cosiddetto setting formativo va inteso come l’ insieme delle variabili contestuali influenzanti l’
azione didattica, sul piano dei valori culturali, delle condizioni strutturali, delle regole
organizzative e dei significati istituzionali. Nella schematizzazione grafica, la dimensione
organizzativa è un cerchio che inscrive il triangolo didattico, a testimonianza dell’ influsso
profondo che esercita su diesso. Di tale cerchio, esistono più livelli, corrispondenti ad altrettanti
stadi di condizionamento; il cerchio più esterno è il macro-contesto, che richiama l’ ambiente
socio-culturale e istituzionale entro cui si colloca la scuola e dunque l’ aula; esso si riflette sulla
relazione didattica in termini d’ aspettative, di dinamiche sociali e di valori condivisi. Il cerchio
intermedio è il mesocontesto, riconducibile all’ istituto scolastico in cui s’ esercita l’ azione d’
insegnamento, portatore di una propria cultura formativa e organizzativa, in cui s’ inserisce l’
azione del singolo insegnante. Infine c’è il microcontesto, che riguarda l’ aula e concerne
specificamente il setting formativo entro cui avviene l’ evento didattico. Occupandoci di quest’
ultimo livello, diremo che i fattori condizionantiil contesto formativo sono molti, per esempio:
La giornata pare quindi essere tripartita: momento scolastico, che tende a ricalcare stilemi
tipici dei grandi istituti scolastici; gioco libero; attività di routine, che paiono essere le più
propizie per la formazione, essendo svolte a piccoli gruppi e con un grado intermedio di
controllo da parte
insegnante (ma c’è il rischio che, proprio in quanto routinarie, queste attività siano svolte
senza intenzioni precise). Il modello educativo perseguito è, tutto sommato, alquanto
tradizionale, contraddistinto com’ esso è da una separazione netta fra attività scolastiche e
attività ludiche, inogni momento senza intenzionalità specifiche da parte dell’ insegnante.
Il secondo esempio è tratto da uno studio, coordinato da Marco ORSI, effettuato dall’ IREE
Toscana su alcune scuole primarie del Lucchese e basato sull’ assunto per cui lo spazio aula è
una componente fondamentale dell’ azione didattica, tale da richiedere di essere
attentamente progettata e controllata. I banchi, nella figura riportata, sono disposti in
gruppi, e in alto a dx. c’è uno spazio utile per riunire il gruppo (la c.d. agorà); la cattedra è
relegata a lato. Emerge un modello educativo caratterizzato dalla varietà del setting, dalla
compresenza di modalità di lavorodiverse, dalla valorizzazione della socialità e da un ruolo
abbastanza rifilato dell’ insegnante. Lo spazio scolastico appare così pervaso da connessioni,
flessibilità, appartenenza e visibilità, e non dalle abituali separazioni, rigidità e anonimati.
Rispetto allo spazio, i vari attori dell’ evento
scolastico agiscono politiche differenti: gli enti locali perseguono una logica economica per
rispondere alle proprie competenze in materia d’ edilizia scolastica, così da razionalizzare le
spese;i dirigenti scolastici adottano strategie di sicurezza che soddisfino i vincoli normativi; il
personale ausiliario attua una logica di controllo, in funzione dei suoi compiti di sorveglianza;
lo studente esprime, più o meno consapevolmente, una logica di appartenenza, desideroso di
uno spazio in cuiriconoscersi e poter soddisfare i suoi bisogni d’ identificazione. L’ insegnante,
che pure dovrebbe essere consapevole del valore pedagogico della dimensione organizzativa
e del setting formativo, rimane spesso prigioniero di logiche propugnate dai suoi superiori e
finisce addirittura per rafforzarne le attuazioni, trasformando lo spazio in un contenitore
tipicamente immutabile dell’ evento scolastico.
9. PROGETTAZIONE
In ambito scolastico, quando si parla di argomenti legati alla progettazione, si ha sempre un’
ambiguità di fondo, tra un piano amministrativo-burocratico da un lato, e un piano
professionaledall’ altro. La prevalenza del primo aspetto toglie di fatto qualsiasi significato al
momento progettuale, ridotto a uno spazio di compilazione dei documenti e di formati
progettuali fini a séstessi, distante perciò dalla prassi didattica. In realtà, almeno di partenza,
la progettazione costituisce uno strumento che l’ insegnante ha a diposizione per agire la sua
professionalità.
Dietro ai diversi modelli di progettazione, è possibile riconoscere in filigrana due logiche
progettuali profondamente diverse, denominate da CRISTANINI ‘logica della razionalità tecnica’ e
‘logica della complessità’. La logica della razionalità tecnica presuppone un rapporto lineare tra i
momenti del progettare, dell’ agire e del valutare, pensati come fasi in successione di un processo
unico, cosicché la progettazione si configurerebbe come un momento ex ante dell’ azione
didattica, avente lo scopo di anticipare appunto il processo che si desidera poi realizzare. Un
approccio del genere, eminentemente analitico e mirante a scomporre il processo nelle sue
componenti elementari, è stato ricavato dal mondo produttivo e applicato all’ universo scolastico,e
richiede (SIMON) una razionalità olimpica al soggetto progettante, il quale dovrebbe
padroneggiare tutte le fasi del processo da implementare e le relative variabili. La valutazione, in
questa prospettiva, si configura come momento finale, che misura lo scarto fra quanto era stato
preventivato e quanto è stato raggiunto. Un chiaro prodotto di ciò, nella scuola di oggi, è la
cosiddetta programmazione per obiettivi.
La logica della complessità, dal canto suo, postula un rapporto di circolarità fra i momenti del
progettare, dell’ agire e del valutare, pensati non in successione nettamente compartimentata ma
in dialogo e interazione continui. La progettazione, allora, non sarà una predeterminazione dei
singoli passi processuali, bensì un orientamento strategico rispetto a una direzione di marcia verso
cui dirigere l’ azione. Ciò deriva da un paradigma di tipo relativo, secondo cui non è possibile
tenere in considerazione a priori tutte le variabili di un processo come quello formativo
(complessità di quest’ approccio). Quanto alla valutazione, essa sarà un momento di ridefinizione
dell’ ipotesi progettuale di partenza; il progetto si adegua al processo, o meglio allecaratteristiche
contestuali in cui si organizza l’ esperienza didattica.
A prescindere dalla tipologia d’ approccio che si trasceglie, un progetto didattico è sempre
caratterizzato da alcune features chiave, ben concettualizzate nella mappa di Kerr:
La programmazione per obiettivi, che si è diffusa nel nostro Paese durante gli anni Settanta,
costituisce l’ espressione più fedele della c.d. logica della razionalità tecnica, perché tende a
tradurre il momento progettuale in un algoritmo di passaggi avente come punto di partenza
la definizione degli obiettivi formativi. Contenuti, strategie e modalità della valutazione
vengono definiti in funzione degli obiettivi identificati, secondo una stretta gerarchia fini-
mezzi applicativi(dalla definizione dei fini, devono discendere i mezzi necessari per
perseguirli). Tale modello, cheha come conclamato ‘padre’ TYLER, è basato su un modello
ingegneristico e, stanti le sue
caratteristiche, è spesso pervaso da un ‘delirio di onnipotenza’ circa le sue possibilità d’
esattezza.L’ elaborazione degli obiettivi assume per questo un’ importanza centrale,
testimoniata anche dalprofluvio di nomi con cui essa è nota (cfr. soprattutto
‘operazionalizzazione’). Tali obiettivi attengono a:
• traguardi formativi molto ampi e generici, riferiti a singole discipline oppure a più
larghiorizzonti educativi (es., per la scuola primaria, orientarsi nello spazio e nel
tempo);
10. VALUTAZIONE
Esattamente come per ciò che accade oggi alla progettazione, anche la valutazione tende a
essere‘reintegrata’ entro il ciclo vitale della didattica, così da esserne considerata parte
integrante.
La valutazione, seguendo BARBIER, è un atto profondamente soggettivo, perché si configura
comeun duplice processo di rappresentazione, il cui punto di partenza è costituito dalla
rappresentazione fattuale di un oggetto, e il cui punto d’ arrivo è formato da una
rappresentazionecodificata di quell’ oggetto. I dati di riferimento costituiscono la
rappresentazione fattuale dell’ oggetto che il valutatore si è costituito. Il giudizio di valore è la
rappresentazione codificata dell’ oggetto, e deriva dall’ incrocio fra i dati di riferimento e i
referenti concettuali con cui s’ interpretano quei dati (referenti concettuali = quadro valoriale
del valutatore circa l’ oggetto da valutare). Perciò il giudizio di valore rappresenta l’ incrocio fra
l’ idea che ci si è fatti dell’ oggetto da valutare e l’ idea di qualità veicolata dai criteri che si
usano per valutare; anch’ esso, dunque, è fortemente compromesso con la dimensione
soggettiva.
La ‘duplice rappresentazione’ di cui parla Barbier, ancora, è utile per distinguere i due
diversimomenti che presiedono alla valutazione: il momento rilevativo, in cui si
raccolgono i dati di riferimento giudicati utili, e il momento d’ espressione del giudizio, più
propriamente interpretativo, in cui, supportati dai criteri trascelti, si cerca di dare
significati ai dati collezionati.
Ampliando la rappresentazione fornita da Barbier, diremo che le questioni presenti
quando sivaluta, e i rispettivi momenti, sono:
Occorre domandarsi anche perché si operi la valutazione, dunque che scopo essa abbia.
Possiamodistinguere varie tipologie, in tal senso:
2. valutazione diagnostica: si colloca nella fase iniziale del processo formativo e serve
ad analizzare le caratteristiche d’ ingresso possedute da un allievo in riferimento al
percorsoche dovrà essere svolto;
Al di là delle differenze fra le varie forme di valutazione, riconosciamo due logiche di fondo con
cuiconsiderare la valutazione scolastica:
• prove strutturate, aventi uno stimolo che riduce (o elimina) i gradi di libertà e da
unarisposta predeterminabile da parte dell’ insegnante (es. test a risposta
chiusa);
La validità è legata alle caratteristiche dello stimolo proposto, mentre l’ attendibilità dipende
dallalettura della prestazione da parte dell’ insegnante. In generale, le prove non strutturate
tendono amostrare elementi critici per quanto attiene all’ attendibilità, mentre le prove
strutturate hanno problemi circa la validità; le prove semistrutturate, dal canto loro, mostrano
un certo equilibrio frale prime, le seconde e le rispettive qualità.
La definizione dei criteri richiama la stretta relazione fra il momento progettuale e quello
valutativo, perché i criteri di giudizio che si usano nel valutare rinviano ai traguardi
formativiidentificati in fase progettuale. A tale proposito, ricorderemo che ci sono tre
differenti moditramite cui formulare un giudizio scolastico:
• misura del progresso dell’ allievo: il giudizio apprezza l’ entità del progresso
maturatorispetto al livello ritenuto iniziale dello stesso allievo.
Il requisito essenziale che la valutazione deve soddisfare è quello della trasparenza, dunque
dell’ esplicitazione delle scelte fatte dall’ insegnante in rapporto alla formulazione di giudizi
valutativi: solo così si garantirà che la propria è una valutazione ufficiale, non arbitraria né
‘oscurantista’.
Il momento di espressione del giudizio pone la problematica dei codici con cui formulare l’ esito
della valutazione: il giudizio può essere espresso con variabili nominali che identifichino una
situazione dicotomica di presenza/assenza di una certa condizione (es. superamento o meno di
una prova), variabili di tipo ordinale indicanti un certo numero di livelli su cui stabilire una
graduatoria dei risultati, variabili di tipo metrico che quantificano una prestazione sulla base di
un’unità di misura predefinita (es. numero di prove superate). Il giudizio scolastico tende a
privilegiare variabili di tipo ordinale, che permette di graduare i soggetti ma non di misurare
con esattezza le differenza fra di loro. Non fanno differenza, se non per il codice, strumenti
come la scala numerica, quella dei giudizi, quella delle lettere o quella dei colori.
La fase di regolazione dell’ insegnamento evidenzia la circolarità fra momento valutativo, momento
dell’azione didattica e momento progettuale e serve a capire che la valutazione, oltre che per l’
alunno, è di profonda incidenza anche per il docente. Il giudizio sul singolo, infatti, rappresenta
anche un feed-back per l’ insegnante, affinché egli possa ripercorrere sulla sua scortail processo
formativo svolto e giudicarne la qualità. L’ importanza in tal senso della valutazione, comunque, è
utile soprattutto per le valutazioni predittiva, diagnostica e formativa.
La comunicazione del giudizio richiama la necessità di collocare il momento della valutazione
inuna logica formativa: essa, infatti, non è una sentenza, non si esaurisce nel momento in cui
è notificata, ma ricade sulla relazione formativa. Per questo, occorre considerare anche le
utenzeesterne che avranno accesso alla valutazione (in particolare i genitori) e fornire a esse
chiavi di lettura adeguate.
Quanto ai ruoli dei soggetti, vi sono diversi piani di lettura delle dinamiche valutative in ambito
scolastico: anzitutto il rapporto fra la valutazione individuale affidata al singolo docente e la
valutazione collegiale elaborata dal Consiglio di Classe, che dovrebbe svolgersi in forme di
collaborazione. Un’ altra questione di relazioni e ruoli dei soggetti è quella legata alle famiglie
e alla loro presenza nella valutazione, soprattutto nei gradi di scuola primari. Esse non vanno
considerate solo come destinatarie del giudizio, ma anche come fonte d’ informazione circa la
capacità, da parte del singolo studente, di usare le competenze apprese a scuola anche al di
fuoridi essa. Per questo, diciamo che le famiglie sono corresponsabili dell’ intervento che deve
promuovere la crescita dell’ allievo di turno. Qual è, infine, il ruolo del singolo allievo nella
valutazione? Esso, purtroppo, è generalmente trascurato nella scuola di oggi, ma si
tratterebbe,come nel caso della famiglia, di un’ importante cartina di tornasole per il docente,
che tende invece ad avvertire la ‘cittadinanza’ del giovane nel processo valutativo come una
minaccia e unpericolo da cui difendersi.
PARTE TERZA
1. L’ APPROCCIO INDUTTIVO
3. L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO
Quest’ultimo punto è alla base dei vari modelli proposti dalla letteratura, perché insegna a
lavorare in gruppo. Esso si differenzia da un qualsiasi aggregato di persone, tenute insieme da
uncompito condiviso, per i seguenti requisiti:
5. IL GIOCO DI RUOLO
6. L’INSEGNAMENTO RECIPROCO
Nel caso specifico qui analizzato, la metodologia in oggetto è applicata allo scopo di
promuoverel’apprendimento di alcune capacità strategiche connesse alla comprensione del
testo; tali abilitàsono ‘di secondo livello’, utili per approcciarsi alla lettura come utenti esperti
e non ingenui.
L’expertise (=perizia) richiama il concetto di competenza, perché di natura strategica e perché
implica anche risorse extracognitive. L’insegnante, allora, si configura come modello esterno,
ingrado di attivare, grazie alla sua esperienza, un insieme di strategie di secondo livello che
migliorano la prestazione. L’insegnamento, nel suo complesso, si qualifica come ‘reciproco’
perché, se in una prima fase è l’insegnante a offrire un modello esperto della competenza
richiesta, verbalizzando ad alta voce i processi che compie per avvicinarsi al testo e captarne il
significato, successivamente il ruolo di docente è assunto a turno dagli alunni, chiamati a
riprodurre il ruolo e la prestazione dell’insegnante, personalizzandolo progressivamente;
l’insegnante fornisce a sua volta un feedback e sollecita l’uso delle modalità esperte.
In generale, dunque, l’apprendistato cognitivo è un’esperienza vicaria basata su una progressiva
autonomia del soggetto nello svolgere una determinata operazione, a partire dal confronto con
unmodello di competenza esperta. Si tratta di un’esperienza di sostituzione del modello
esperto, passando dall’imitare quest’ultimo al rielaborarlo in maniera personalizzata. Il principio
di fondo è che, rappresentando la competenza esterna una forma di sapere pratico, essa non
può che essere insegnata se non tramite il suo esercizio, anziché parlandone in generale. Il
compito dell’insegnante, allora, sarà quello di fornire il modello esperto di una determinata
prestazione (modelling), mostrando come essa si svolge nel concreto; in secondo luogo, egli
deve fornire un’impalcatura allo studente, affinché egli eserciti autonomamente quella
competenza (scaffolding), definendo passaggi chiave, uno schema di base e un diagramma di
flusso; in terzo luogo, deve assistere lo studente nella sua prestazione, fungendo da tutor; poi,
deve attenuare ilsuo supporto, monitorare ancora e dare un feedback, chiamandolo infine a una
riflessione personale rispetto all’esperienza compiuta. Il ruolo del docente, nel complesso,
risulta quindi amplificato. I problemi, dal canto loro, possono essere la tentazione studentesca
dell’imitazione passiva, la distanza coi modelli di lavoro tipicamente scolastici (donde una
difficoltà organizzativa generale) e, infine, il carattere eminentemente situato del risultato
raggiunto, che sarà quindidifficile trasferire in altri contesti. I passaggi chiave della metodologia
saranno:
7. L’APPROCCIO METAFORICO
8. L’APPROCCIO METACOGNITIVO
OBIETTIVO
non ‘dettare’ all’educatore come si debba comportare, ma aiutarlo a gestire più consapevolmentele
pratiche compiendo scelte “informate da evidenza” attraverso il confronto con modelli ed
esperienze giàeffettuate ed adeguatamente sperimentate. Il ‘fare’ dell’insegnante è
strutturalmente pervaso da elementiideali e valoriali che ne definiscono ampiamente i criteri di
giudizio. La conseguenza è che ogni azione e ognirisultato possono essere interpretati secondo
traiettorie e visioni del tutto opposte. La stessa idea di insegnamento può, in questa prospettiva,
essere messa in discussione, sia per il fatto che l’apprendimento è sempre ed esclusivamente un
processo che nasce dalla volontà di chi apprende finendo così per rappresentare una sorta di
‘paradosso pedagogico’ (Visalbenghi, 1988), sia perché l’azione educativa può dissimulare anche
azioni manipolatorie e passivizzanti (rf. ’68). Il dibattito sulle finalità ultime dell’educazione
contribuisce a rendere problematico il riconoscimento delle ‘buone pratiche’. Per evitare di
legittimare un certo relativismo per cui tutto è ‘buona pratica’, risulta importante individuare le
buone pratiche a partire dalle evidenze. La Evidence Based Education (EBE) è un approccio che si
basa sul saper utilizzare, comparare e sintetizzare i risultati esistenti della ricerca e della
letteratura scientifica al fine di indicare quali interventi educativi possono risultare efficaci nelle
diverse situazioni, in modo da rendere i docenti consapevoli delle loro scelte. Gli strumenti
utilizzati sono principalmente:
- systematic reviews, cioè compendi ragionati della letteratura disponibile a partire dalla
selezione dei lavori più significativi;
- meta-analisi, cioè una tecnica statistica che permette di aggregare e combinare i dati
provenienti da ricerchedi carattere sperimentale, generando un indicatore standardizzato, l’
effect size (ES), che misura la forza di un fenomeno, tipicamente la variazione di un risultato
dopo un intervento sperimentale. In campo educativo, indica la forza della variabile
dipendente, tipicamente il livello di apprendimento, attraverso il confronto di un gruppo
sperimentale e quelli di un gruppo di controllo o, se in uno stesso gruppo, fra una condizione
iniziale e una finale. I più diffusi test statistici per il calcolo dell’effect size in campo
psicologico ed educativo sono ‘r’ di Pearson e ‘d’ di Cohen. Uno dei metodi più semplici per il
calcolo dell’ES è il calcolo della differenza fra le medie dei due gruppi divisa per la media delle
deviazioni standard. Se ES <0, l’effetto è negativo, se 0 <ES<0,1 effetto ridotto, se 0,1<ES<0,3,
effetto medio, se ES>0,5 effetto ampio. In genere si considera degno di nota se almeno
ES=0,3, anche se gli effetti sono visibili da ES=0,4.
Strategia: scelta dei modi e dei mezzi (ritenuti) più opportuni al raggiungimento di un risultato,
mosse efficaci
scelte da un repertorio di attività collaudate dall’esperienza.
- avere una denominazione e una fisionomia tali da renderla riconoscibile tra altre;
- offrire elementi di trasferibilità e adattabilità a contesti diversi;
- mostrare un’evidente utilità pratica;
- avere avuto un numero ragionevole di riconoscimenti postivi e indagini sperimentali capaci di
confermarneefficacia e consistenza.
Una s.d. , infatti, non ha solo l’obiettivo di raggiungere lo scopo, ma anche di farlo bene. In questo
senso nonpuò ignorare la ricchezza e la significatività dei percorsi offerti, la qualità dei risultati
intermedi, la premura verso il buon utilizzo dei tempi e delle risorse. Si tratta di modelli operativi,
riconoscibili, formalizzati e trasferibili su cui la ricerca ha raccolto una serie di evidenze
sufficientemente ampia da far ritenere che l’efficacia riscontrata non sia riconducibile né a
circostanze peculiari né alla mera casualità. Prima di selezionare un approccio occorre soffermarsi
sulla tipologia del contesto situazionale all’interno del quale diopera, verificare che ci sia coerenza
tra le modalità operative suggerite dalla strategia e il tipo di conoscenzee competenze al centro
degli obiettivi formativi, che vi siano i tempi, le condizioni e le capacità per poterla applicare.
Una volta scelta la strategia, questa va adattata al contesto e, spesso, integrata o alternata a
strategie diverse.
ARCHITETTURE DELL’ISTRUZIONE
(Clark, 2000): macrostrutture che si differenziano tra loro per:
• la modalità di gestione del processo formativo;
• la strutturazione e autoconsistenza del materiale didattico;
• i livelli di autonomia assegnati agli studenti;
• la quantità e direzione delle interazioni alunno-docente.
ARCHITETTURE DELL’ISTRUZIONE E STRATEGIE DIDATTICHE
Ognuna di queste architetture contiene una o più strategie didattiche che ne interpretano e ne
attualizzano in maniera peculiare le idee di fondo. Ogni strategia presenta vantaggi, limiti e ambiti
di applicazione privilegiati. La possibilità di ottenere un risultato efficace dipende sia dalla scelta
del dispositivo metodologico adeguato allo scopo e alle caratteristiche del contesto all’interno del
quale ci si trova ad operare, sia dalla capacità di applicarlo al meglio. Nell’insegnamento esistono
dei principi di fondo resi disponibili dalla ricerca Evidence Base (Calvani, 2014). In generale, infatti,
l’apprendimento è facilitato quando:
Questo significa che l’insegnamento non può esimersi da una funzione di accompagnamento e
supporto, soprattutto all’inizio di ogni nuovo percorso conoscitivo: non a caso il feedback (ES=0,7)
e la valutazione formativa (ES= 0,9) sono gli elementi che più di altri dimostrano livelli importanti di
efficacia. Per valutazioneformativa si intende una forma di verifica dinamica, svolta in itinere (ad
es. nel corso di una spiegazione), con l’intento di fare il punto o di riorientare l’allievo in vista
dell’obiettivo finale. Lo scopo è ottenere una comprensione del livello di acquisizione degli
studenti onde apportare modifiche e correzioni. L’elemento che più di altri assicura la buona
riuscita di una valutazione che sia di sostegno all’apprendere è il feedback (= info di ritorno in
conseguenza di un’azione. La gestione del feedback è fondamentale nelle due direzioni:sia quando
l’insegnante comunica all’allievo precise indicazioni su come migliorare un comportamento o una
prestazione, sia quando egli recepisce le difficoltà espresse dallo studente (questo consente
l’adattamento del linguaggio e quindi il miglioramento della didattica).
ESPOSIZIONE CLASSICA
(show and tell, Clark (2010))
Idea di base: comunicare agli studenti quello che devono apprendere usando le modalità
espressive migliorial fine di favorire la comprensione. I vantaggi di questa strategia sono relativi
alla possibilità di raggiungere un vasto pubblico e di prevedere e governare i tempi. Per contro, il
trattare i contenuti non significa avere garanzie del fatto che questi vengano compresi,
metabolizzati e poi impiegati. Inoltre, il rischio è che gli studenti possano perdere il filo del
discorso, stancarsi e non capire se l’esposizione presenta carattere retorico, eccessiva prolissità
verbale, noncuranza dei tempi di attenzione e coinvolgimento degli allievi, se l’esposizione orale è
poco comprensibile e richiede conoscenze linguistiche o capacità di astrazione eccessive. Può
risultare un valido veicolo per l’insegnamento, a condizione che vengano rispettati i principi
dell’istruzione e, in particolare, della teoria del carico cognitivo (rispetto dei limiti cognitivi
presenti nei processi di elaborazione dei contenuti, per illustrare fatti e concetti, delineare aspetti
teorici e formali. In generale, comunque, dovrebbero essere affiancate ulteriori strategie, per
consentire agli studenti di applicare e verificare quanto appreso. L’efficacia di questa strategia
richiede di spostare l’attenzione ai processi cognitivi e alle dinamiche affettive e relazionali del
discente, partendo dalle preconoscenze possedute dal pubblico e considerando le loro modalità
di elaborazione delle informazioni.
• I contenuti più importanti devono essere messi a fuoco, riproposti da angolature diverse e,
alla fine, passati nuovamente in rassegna e sintetizzati;
• Il contenuto dell’esposizione deve suscitare costante interesse , sfidare gli allievi (deve essere
challenging), ad esempio ponendo quesiti e interrogativi capaci di stimolare la curiosità e la
riflessione;
• la conclusione deve non solo ricapitolare, ma fornire indicazioni per l’interiorizzazione dei
concetti, suggerirestrategie per l’applicazione di quanto appreso, favorire la maturazione di
capacità di autocontrollo eautoregolazione.
• esplicitare gli obiettivi, gli scopo e le mete da raggiungere per aiutare gli studenti a indirizzare
le loro energie(ES=0.56);
• usare gli anticipatori (advance organizers), cioè quei dispositivi concettuali capaci di raccordare
le nuove infoalle preesistenti (ES=0.41; ES=0.59);
• impiegare mappe concettuali e altri organizzatori grafici per mostrare, anche visivamente, il
rapporto tra i concetti esposti e aiutare gli allievi a sintetizzare , identificare e organizzare i
principali temi, idee einterrelazioni (ES=0.57);
• fare uso di esempi guidati (worked examples) (ES = 0.53), cioè risoluzione dei problemi passo
dopo passo con commenti e spiegazioni (più efficace della scoperta diretta nel caso in cui gli
studenti non siano ancora sufficientemente esperti della materia)
In estrema sintesi:
§ attivazione delle preconoscenze
§ attenzione ai processi cognitivi (teoria del carico cognitivo)
§ strutturazione organizzata dell’informazione (anche grafica)
§ ripetizione concetti fondamentali
§ utilizzo di worked examples
§ favorire metacognizione
Flipped classrooms è un approccio che prevede il rovesciamento dei tempi e dei modi di lavoro:
prima gli studenti studiano (autonomamente a casa) attraverso materiali multimediali (es., video
didattici realizzati dal docente o altro materiale in rete, libri o altre risorse), poi in classe
l’insegnante aiuta ad approfondire gliargomenti, rispondere a quesiti, eliminare dubbi,… Vantaggi:
se accuratamente progettata e realizzata, puòrisultare più utile della lezione frontale perché (i) dà
agli studenti la possibilità di assecondare il proprio ritmopersonale (es. è possibile interrompere,
riprendere e vedere più volte un video); (ii) l’insegnante non deve perdere tempo a ripetere più
volte le stesse cose con il rischio di diventare noioso per alcuni e complicato per altri.
Problematiche: (i) richiede un cambiamento culturale nelle aspettative e nell’atteggiamento; (ii)
non è detto che gli studenti effettivamente si preparino in anticipi, compromettendo lo
svolgimento della seconda parte del lavoro in classe.
ESPOSIZIONE MULTIMODALE
Rispetto alla 1.1., pone maggiore attenzione all’esigenza di adattività agli specifici bisogni
comunicativi degli allievi.
Idea di base: fornire agli studenti il contenuto da apprendere cambiando e adattando il canale
comunicativoe le modalità di lavoro a partire dalle loro caratteristiche sensoriali e attitudinali. La
scuola di oggi è più che mai caratterizzata dalla differenze. Non si tratta di pensare tanto allo
studente medio e poi effettuare adattamenti verso soggetti eccezionali, quanto di concepire fin
dall’inizio interventi capaci di rispondere alleesigenze di tutti, pur nelle varie eccezionalità (special
needs, studenti dotati, differenze culturali e linguistiche). L’intervento è proposto utilizzando più
codici linguistici e secondo schemi espostivi diversificatiper caratteristiche cognitive e conoscitive,
linguistiche, sensoriali e motorie. Nella pratica è spesso privilegiato il ricorso a interventi selettivi,
cioè riguardanti i BES, ma l’idea è che forme di comunicazione alternative (modalità espositive
variegate) possano essere attuate a beneficio di tutti, in quanto permette agli studenti di arrivare
prima e meglio a comprendere e, al contempo, stimola l’interesse e le possibilità di attivare
strategie personali di apprendimento e memorizzazione.
La differenziazione deve avvenire su più piani, alla luce delle differenze nei modi di apprendimento
e di espressione degli studenti che vanno sempre tenute in considerazione:
Possibili rischi:
• maggiore impegno da parte dell’insegnante e quindi aumento dei tempi sia in fase
progettuale sia in quella esecutiva;
• problema dell’attenzione divisa (split attention): rappresentazioni diverse richiede di
relazionare più fonti diinfo e questo può dare luogo a un carico cognitivo estraneo, riducendo
le risorse mentali necessarie per l’apprendimento (sono gli allievi più esperti a giovare di
rappresentazioni complesse e diversificate);
• modalità sovrapposte possono creare intralcio alla comprensione (es. sovrapposizione di voce
e testo scrittodiverso da quello pronunciato). A questo rischio si può ovviarefacendo leva sul
fattore tempo, ossia collocarel’offerta di modalità espositive diverse in periodi di lavoro
appropriati.
In estrema sintesi, offrire modalità espositive variegate, di cui possono beneficiare tutti in quanto
• consentono di andare incontro alle differenze degli studenti negli stili di apprendimento e di
espressione
• offrono la possibilità di attivare strategie personali di apprendimento e memorizzazione
(autoregolazione)
• che riduca il c.c. instrinseco (attraverso tecniche come la scomposizione del compito in
attività più semplici(chunking), la sequenzializzazione in fasi (sequencing) e l’adattamento dei
tempi di lavoro ai ritmi individuali(pacing)). Poiché il c.c. intrinseco dipende anche all’expertise,
attenzione all’ expertise reversal effect, per cuila semplificazione può portare tedio e
distrazione nei più esperti. Una buona tecnica dovrebbe pertanto passare da interventi
inizialmente didascalici e istruttivi per arrivare a compiti di apprendimento aperti in cuigli
studenti si cimentano in modo autonomo;
TRATTI CARATTERIZZANTI:
• accurata analisi e predisposizione dei materiali didattici (o situazioni stimolo), ma soprattutto
• il ruolo giocato dall’interazione tra insegnante e allievo, finalizzata a mostrare il livello
raggiunto da quest’ultimo in relazione al traguardo di apprendimento atteso.Sono rilevanti i
concetti di:
- rinforzo: azione che il docente svolge allo scopo di promuovere la risposta
comportamentale desiderata (si parla di rinforzo positivo quando si prevede
l’aggiunta di un elemento positivo, gratificante (ricompensa, premio, complimento)
e di rinforzo negativo quando si prevede la riduzione (o eliminazione) di una
situazione sgradevole come togliere l’obbligo di fare un compito precedentemente
assegnato) – da non confondere con la punizione);
Principi di base:
a) prima dell’azione formativa, l’insegnante deve determinare chiaramente gli obiettivi
dell’apprendimento, lemodalità e l’ordine di presentazione dei contenuti, gli esercizi da
svolgere e i sistemi di verifica dei risultati;
b) gli allievi devono essere informati sia degli obiettivi sia degli standard di performance
attesi, in modo da coinvolgerli e motivarli al compito di apprendimento catturandone
l’attenzione, ovvero attivando una cornice ricettiva idonea a sostenerne l’attenzione sugli
argomenti;
Attenzione che un’eccessiva granularità dei passi alla lunga può affaticare lo studente.
Possibili rischi:
la principale critica risiede nel rischio di riduzionismo insito nella pretesa di circoscrivere e
oggettivare i saperi, nella possibile assuefazione e inibizione della responsabilizzazione degli
studenti a un impegno autonomo e creativo. I detrattori rimarcano il fatto che apprendere è un
processo attivo e dinamicoche necessita di occasioni di confronto autonomo con i contesti reali. I
sostenitori rispondono, dati alla mano, che portare nella scuola il disordine della realtà senza il
supporto del docente non contribuisce a migliorarei risultati ma impedisce, specialmente agli
studenti meno brillanti, la comprensione e preclude la possibilitàdi affrontare con competenza
situazioni inedite più complesse.
In estrema sintesi:
• organizzazione gerarchica dei contenuti (stair steps) gradualizzazione
• presenza di continue azioni di esercitazione e verifica formativa (feedback), come
percorso diaccompagnamento
• importanza della condivisione degli obiettivi e degli standard di performance attesi
motivazione e attenzione
• importanza dell’individualizzazione
MODELLAMENTO (APPRENDISTATO)
Idea di base: mostrare agli allievi come fare e come ragionare mentre si svolge il lavoro, avendo
cura di scegliere con attenzione gli argomenti o le azioni sulla base delle loro capacità. Uno dei
metodi più spontaneidi apprendimento è quello dell’imitazione. Il modellamento prevede tempi
commisurati alla complessità dell’attività, la gradualizzazione dei compiti, numerose prove da
parte dell’allievo e continue correzioni dell’espero per arrivare a una progressiva conquista
dell’autonomia del discente all’aumentare della sua esperienza pratica guidata. L’esperto può
accompagnare le proprie azioni con la spiegazione ad alta voce delsignificato dei diversi passaggi,
del perché di determinate scelte o delle attenzioni e precauzioni da prendere.Il modellamento è
oggi rivalutato anche nell’insegnamento scolastico, e non solo nelle didattiche laboratoriali. Dal
punto di vista neuronale, un elemento che rende possibile l’apprendimento attraverso l’imitazione
è la presenza dei neuroni specchio, aree del cervello in grado di attivarsi irriflessivamente alla vista
dei comportamenti altrui. Tale apprendimento è influenzato da una serie di fattori, come la
somiglianzadelle caratteristiche personali tra osservatore e modello o la competenza del modello
nello svolgimento delle prestazioni. Il modellamento, nella formazione scolastica, può essere
utilizzato in numerose circostanze e, in particolare, per far acquisire abilità, atteggiamenti e pensieri
connessi alle pratiche. L’attuazione praticadeve risultare di complessità proporzionata ai diversi
periodi della crescita professionale del discente. Ha importanza il concetto di gradualità, ma non
c’è un’accurata e analitica pianificazione a priori del percorso, poiché è dall’interazione tra
l’esperienza dell’esperto e le capacità dimostrate dall’allievo che si determinanoi singoli percorsi di
formazione.
Evidenze:
direct instruction efficace soprattutto con soggetti inesperti o deboli (ES=0.59). Il modellamento
rappresenta una delle funzioni principali dell’insegnamento esplicito, a cui sono connessi
miglioramenti in numerosi campi, come l’apprendimento delle lingue, l’acquisizione di capacità
pratiche e competenze socio-relazionali. Calvani (2012) sostiene che il modellamento,
accompagnato dal supporto metacognitivo, rappresenti la combinazione più efficace tra tutti gli
approcci istruttivi auto-verbalizzazione e autoverifica (ES
=0.64).
Possibili rischi:
per un esperto non è sempre facile tradurre la sua expertise in un percorso gradualizzato,
articolato in passaggi sequenziali. Questo è particolarmente vero quando la distanza tra i due è
molto marcata. Un fattore determinante, ai fini della riuscita, è la capacità dell’esperto di osservare
come reagiscela persona a cui si rivolge, ovvero la sua capacità di gestire il feedback.
In estrema sintesi:
• mostrare come fare
• gradualizzazione dei compiti
• processo di accompagnamento con graduale riduzione del sostegno
• incoraggiare la metacognizione verbalizzazione, riflessione, self-questioning, esplorazione
L’applicazione del PBS è particolarmente efficace in termini di prestazioni, ma anche effetti a lungo
terminesugli stili di vita, … (ES > 1).
Possibili rischi:
l’efficacia prevede un coinvolgimento convinto di almeno l’80% dello staff. La difficoltà sta nel
portare gli educatori ad abbandonare atteggiamenti punitivi estemporanei a favore di piani
preventivi emodelli premiali (è necessaria una guida competente e convinta da parte della
dirigenza scolastica).
In estrema sintesi:
• identificare un sistema preventivo, proattivo e multilivello di regole
• definire chiaramente premialità e correttivi
• importanza della condivisione con gli studenti e con tutto lo staff
Circle time: nelle scuole dell’infanzia e primaria è tra gli strumenti più diffusi per promuovere un
clima di classe favorevole e favorire l’assunzione di responsabilità da parte di alunni e insegnanti.
Si tratta di una riunione di 15-20 min del gruppo classe, con i partecipanti seduti in cerchio,
finalizzata ad affrontare un temao un problema proposto dall’insegnante o da uno o più alunni.
Finalità: rafforzamento della coesione del gruppo mediante la discussione e il confronto,
educazione al rispetto dei turni,…)
Regole: silenzio, ascolto della persona che sta parlando, rispetto dei tempi (staffetta della
parola),…
Richiede da parte dell’insegnante una competenza notevole di gestione del gruppo (sostenere e
facilitare ladiscussione, monitorare le dinamiche, coinvolgimenti attivo di tutti, identificare e
risolvere criticità, valutaree gestire i tempo,…).
3. ARCHITETTURA SIMULATIVA
Include tutte quelle esperienze che portano a riprodurre, in una situazione protetta, problemi ed
eventi similia quelli del mondo reale, consentendo allo studente di agire in un ambiente
semplificato e controllabile. Taliattività possono essere declinate secondo due modalità principali:
• casi relativi all’analisi e alla valutazione di problemi (appraisal o issue cases) – es. articolo di
giornale o grafico – “che cosa è successo o che cosa sta succedendo?”;
• casi come modelli esemplificativi da studiare (case histories) – capaci di illustrare i percorsi che
hanno condotto a una scoperta, una decisione.
a) privilegiare storie brevi, coinvolgenti e vicine alle esperienze e agli interessi degli allievi;
In estrema sintesi:
• promuovono capacità di analisi, interpretazione, riflessione e problem solving;
• importanza della congruenza con il livello di preconoscenze possedute.
SIMULAZIONE SIMBOLICA
(sperimentazione in cotesti controllati)
Idea di base:
proporre, in un contesto artificiale, situazioni operative simili a quelle reali, mettendo gli studenti
nelle condizioni di riconoscere le variabili e gli elementi utili a prendere decisioni.
Consiste nel riprodurre, in un contesto protetto e controllabile, esperienze simili a quelle del
mondo reale per fornire agli studenti la possibilità di agire e apprendere dalle conseguenze delle
proprie azioni. Si tratta di dispositivi che consentono agli studenti di interagire con un numero di
elementi ridotto rispetto a quelli del contesto reale, al fine di facilitare l’osservazione,
l’identificazione e il controllo delle variabili, la formulazione di ipotesi e la ricerca di soluzioni.
Ampiamente utilizzate sono le simulazioni assistite dai computer.
Le simulazioni consentono:
• la comprensione di fenomeni (es. nella scienza)
• la previsione di eventi futuri (es. meteo o modelli demografici ed elettorali)
• di sostenere le decisioni da prendere in scenari e situazioni sociali (es. economia e politica)
• in generale, di facilitare l’apprendimento di nuove conoscenze e capacità attraverso il
coinvolgimento intellettuale ed emotivo.
Grazie alla simulazione simbolica è possibile consentire agli studenti di apprendere in maniera
attiva attraverso l’esperienza diretta, ma all’interno di un sistema artificiale che rende
indipendenti dalle dimensioni spaziali e temporali e che offre sicurezza, economicità e flessibilità
nei livelli di complessità.
Le simulazioni possono:
• essere sviluppate dall’insegnante o dagli studenti (complessità maggiore). In entrambi i
casi, diventano l’occasione di mettere in relazione la teoria con la pratica;
• essere utilizzate ex-ante (come ambiente da esplorare prima dello studio formale della
teoria) o ex-post(come occasione per verificare quanto studiato);
• prevedere differenti livelli di supporto da parte dell’insegnante;
• prevedere diversi livelli di trasparenza della modello sottostante (la qualità dell’interfaccia e
le modalità di presentazione delle info sono cruciali ai fini dell’efficacia).
Le evidenze mostrano risultati buoni ma non eccelsi, comunque non dissimili da altri metodi di
istruzione, ma c’è molta varianza, ad es. in base ai contesti (meglio nelle secondarie II grado).
Inoltre, l’efficacia è maggiore quando utilizzate ex-post. E’ quindi necessario che gli studenti
dispongano già di un adeguato bagaglio concettuale prima di sperimentare direttamente.
Possibili rischi:
come tutti i modelli che prevedono forme di apprendimento per scoperta, le simulazioni possono
risultare problematiche per gli studenti meno esperti criticità sia a livello di carico cognitivo sia a
livello di capacità di formulazione di ipotesi, pianificazione, interpretazione dei risultati,… Quindi,
se non guidati o senza un’opportuna preparazione, l’esperienza diventa inconcludente e inefficace.
Al fine di ridurreo eliminare questi rischi, l’impiego delle simulazioni nella didattica deve avvenire
al momento opportuno e con un processo di graduale accompagnamento dello studente.
L’aspetto più importante nell’attuazione pratica è l’attenzione del docente ai processi di
riflessione e comprensione approfondita di quando ottenuto dalla simulazione.
In estrema sintesi
• apprendere in maniera attiva attraverso l’esperienza diretta
• mettere in relazione la teoria con la pratica
• per essere efficaci, sono necessari adeguata preconoscenza e guida
Come sempre, importanza di una chiara formulazione degli obiettivi, dell’adeguatezza dei compiti
e dei tempi, la gradualità della gestione dei contenuti, la gestione accurata del feedback,
l’allestimento di strutturedi ricompensa e di un clima favorevole allo sviluppo di emozioni e vissuti
positivi. Le evidenze mostrano i maggiori vantaggi sul piano emotivo e motivazionale; meglio se
giocato singolarmente piuttosto che in gruppo; le prestazioni tendono a diminuire all’aumentare
delle sessioni di gioco.
Possibili rischi: molte attività dell’apprendimento non sono azioni che possono essere sempre
svolte come fossero piacevoli passatempi. Non è possibile trasformare in gioco ciò che non lo è. Se
il gioco è solo un sotterfugio, l’inganno è destinato a durare poco (broccoli coperti di cioccolata);
se viceversa il gioco prendeil sopravvento, c’è il rischio che vengano travisati gli obiettivi
dell’apprendimento e che ci si impegni solo permotivi esteriori (le ricompense, la competizione, il
risultato).
In brevissimo,
• Il gioco fa presa su leve psicologiche potenti
• L’insegnante deve tenere dritta la sbarra sugli obiettivi attesi, monitorando e valutando con
attenzione che questi vengano adeguatamente raggiunti.
In questo tipo di esperienza si simula una situazione, reale o fittizia, in cui i partecipanti si
identificano con specifici personaggi, assumendone il ruolo e comportandosi di conseguenza. I
partecipanti hanno l’occasionedi vivere emotivamente la vicenda; l’apprendimento avviene in
maniera esperienziale, partecipando attivamente e direttamente alle azioni. Il contesto può
essere reale o virtuale (con avatar). Può avere gli scopi più diversi nell’ambito dello sviluppo di
comportamenti e azioni, verbali e non verbali, dell’acquisizionedell’autoconsapevolezza attraverso
attività a esso connesse quali l’osservazione, il confronto, la riflessione e la discussione di gruppo o
con un tutor. La finzione ha costituito in ogni epoca storica un espediente per lariflessione sulla
condizione umana.
Attuazione pratica:
§ modalità simbolica: finalità cognitiva, studio di elementi quali storie, personaggi, canoni
estetici e regole,mettere in scena un testo.
Fare esperienza: in questo caso è più “saper essere” piuttosto che “saper fare”.
Il role playing è largamente utilizzato in tutte quelle circostanze che richiedono una preparazione
ad affrontare situazioni nuove o nelle quali si desidera che il soggetto sperimenti attivamente un
diverso mododi porsi nei confronti degli altri o del contesto situazionale. Data l’eterogeneità delle
finalità, degli ambiti e delle modalità attuative non sono disponibili sintesi capaci di comparare il
role playing con altre modalità. Le ricerche mostrano comunque effetti positivi ad ampio spettro
(ad es. comportamentali – dipendenze, bullismo, sviluppo della resilienza,…; in campo sanitario,
sviluppo dell’empatia, atteggiamenti comunicativi adeguati verso il paziente).
Possibili rischi:
come tutte le attività che richiedono tempi di progettazione e attuazione ampi, anche questa
strategia rischia di risultare onerosa e poco efficiente in determinate situazioni. Ha il limite di non
essere applicabile a gruppi numerosi, di richiedere spazi e tempi di lavoro adeguati e, aspetto non
secondario, esigere dal docente la capacità di comprendere le sottili dinamiche psicologiche che
possono portare alcunisoggetti a vivere con ansia e difficoltà il mettersi in scena. Si tratta quindi di
una strategia didattica che richiede di essere gestita con molta cura e grande competenza.
4. ARCHITETTURA COLLABORATIVA
Numerosi autori sostengono che la conoscenza stessa non esiste astrattamente, ma è sempre il
frutto di unprocesso sociale e dunque lo stesso apprendimento è sostanzialmente un processo di
partecipazione attivaalla costruzione sociale della conoscenza. Quest’architettura è pertanto, in un
certo senso, trasversale a tuttele altre, dal momento che non è possibile immaginare nessuna di
esse che possa fare a meno di una qualcheinterazione con gli altri.
MUTUO INSEGNAMENTO
Idea di base: mettere gli studenti nelle condizioni di insegnare l’uno all’altro per sostenersi e
imparare assieme.
• Le modalità attuative sono molteplici, ognuna delle quali richiede di essere attentamente
pianificata e monitorata.
• E’ importante che gli allievi conoscano quali sono le finalità generali, gli obiettivi specifici, i
tempi e le procedure da seguire.
• Particolarmente importante risulta la definizione di routine che prevedano all’interno della
giornata o della settimana momenti destinati a questo tipo di attività.
• Think-aloud-pair-problem solving: uno studente assume il ruolo di problem solver che risolve a
voce alta, mentre l’altro è l’ascoltatore, che incoraggia, sostiene e ponedomande al primo per
aiutarlo nella soluzioni;poi inversione ruoli. Alla fine del lavoro viene selezionato un gruppo che
presenta la soluzione all’intera classe;
Possibili rischi:
questa modalità deve essere attentamente monitorata dal docente, verificando in particolareche i
rapporti tra gli studenti non accentuino eventuali squilibri presenti in classe
– che i più deboli dipendano dai più capaci e che i più capaci siano caricati di eccessive
responsabilità. Per ovviare a questi rischi, è consigliabile cambiare spesso i ruoli, ruotando le
coppie, cercando di adottare modelli capaci di rendere progressivamente autonomi tutti i ragazzi.
In breve:
• è una strategia efficace, a condizione che sia attentamente pianificata e accuratamente
monitorata;
• evidenze mostrano che è una strategia efficace per aumentare il rendimento scolastico e le
interazioni socialidegli studenti;
• è molto appropriata ex-post, come metodo alternativo di studio e revisione dei materiali, ma
non comemetodo per introdurre nuovi contenuti.
• Jigsaw: modello che si basa sulla differenziazione dei ruoli e delle fasi di lavoro. Prima fase:
divisione dei gruppi per competenza (uno per ogni competenza) e formazione degli esperti;
seconda fase: composizione dei gruppi veri e propri (in ogni gruppo un membro per expertise);
terza fase: ritorno ai gruppi originari di competenza;
• Student Team Achievement Division (STAD): tecnica basata su gruppi eterogenei relativamente
stabili, delladurata di un semestre o più. Cicli di 5 fasi: 1) insegnamento;
2) team di studio (ogni membro studia insieme agli altri – verifica preparazione dei colleghi –
questa fase non è finita finché il gruppo non è sicuro che ogni membro sia in grado di superare il
test); 3) test (verifica individuale); 4) valutazione individuale; 5) riconoscimento di gruppo (i
punteggi singoli vengono sommati e vengono stilate le graduatorie dei diversi team);
• Learning Together: gruppi di 4-5 membri condividono un foglio dov’è indicato il contributo
richiesto al gruppo rispetto al tema generale. Quando i vari gruppi hanno terminato il lavoro,
leggono il contenuto del proprio lavoro agli altri. L’enfasi di questo approccio è sulle attività di
coordinamento e organizzazione (teambuilding) e prevede momenti regolari di discussione
all’interno di gruppi sull’andamento del lavoro.
Evidenze:
generalmente risultati positivi nelle diverse dimensioni: apprendimento, coesione sociale,
inclusione. Non esistono differenze significative tra metodi di CL che prevedono ricompense
individuali e quelli che valutano solo l’intero gruppo. Elevata efficacia anche con BES, soprattutto
quando viene privilegiato l’inserimento in gruppi misti. Molto indicato nelle situazioni in cui siano
da privilegiare l’integrazione e l’inclusione.
Possibili rischi:
il CL richiede l’accettazione, da parte dell’insegnante, di un modello educativo e organizzativo
particolare. L’allestimento delle attività richiede impegno e una particolare perizia. I gruppi
devono essere costituiti con attenzione, il lavoro va attentamente organizzato e monitorato, il
tempo deve essere sufficiente. I detrattori sottolineano che è proprio il fattore tempo uno degli
aspetti critici. Il CL infatti richiede non solo l’impegno cognitivo, ma anche quello relazionale,
organizzativo e prassico, con il rischio diun parziale spostamento del focus dell’attenzione e una
dilatazione dei tempi di lavoro. L’ideale è sicuramente un’introduzione graduale finalizzata a
particolari obiettivi e un utilizzo integrato a quello di altrestrategie.
DISCUSSIONE
Idea di base: organizzare situazioni in cui siano possibili il confronto e lo scambio di idee per
liberare ilpotenziale espressivo degli studenti e favorire esperienze di apprendimento produttive e
inedite.
Il confronto tra idee diverse è una delle occasioni di apprendimento più rilevanti. La discussione si
caratterizza come momento di espansione e di approfondimento delle tematiche trattate, oltre
che di confronto e scambio di idee tra insegnante e studenti o di socializzazione tra questi ultimi. Il
ruolo del docente può slittare da quello di istruttore a quello di tutor-facilitatore che non
trasmette conoscenza, ma supporta lo studente in attività cognitive quali pensare, ragionare,
argomentare. La discussione in classe è fondamentale sia sul piano cognitivo (confronto critico di
punti di vista diversi) sia sul piano relazionale (imparare a interagire e rispettare le regole comuni).
Discutere insieme fornisce l’occasione per sviluppare capacità argomentative, imparare a
ragionare, sviluppare nuove idee, organizzare e riorganizzare le conoscenze.
Attuazione pratica:
per rendere produttiva la discussione è opportuno un attento controllo da parte del docente su
quantità,qualità e pertinenza dei singoli apporti, come pure su toni, relazioni e atteggiamenti
all’interno del gruppo. L’avvio dovrebbe essere caratterizzato da brevi domande-stimolo
accompagnate dall’invito agli studenti aesprimere quello che pensano, conoscono o ritengono di
poter dire sull’argomento. Chi coordina deve quindioperare affinché tutti abbiano la possibilità di
intervenire rispettando il proprio turno e le idee degli altri. Ilconfronto tra le posizioni è
importante, ma lo sono altrettanto la capacità di ascolto delle opinioni altrui,l’attesa del proprio
turno, l’astensione da giudizi perentori, la rinuncia all’uso di toni ironici e distruttivi.
• Brainstorming: nasce per provocare l’elaborazione di concetti attorno a un tema. Uno dei
presupposti fondamentali per la riuscita è evitare qualsiasi forma di giudizio o osservazione critica
nei confronti si di se stessi sia degli altri. Per favorire la produzione di idee è necessario mettere i
soggetti in condizione di esprimere nel modo più sciolto possibile le proprie opinioni. Unico
vincolo: aderenza al tema o all’oggetto del lavoro. In classe l’attività può essere svolta in piccoli
gruppi e si può attribuire ad un redattore il compitodi raccogliere i punti di vista e successivamente,
dopo un lavoro di sintesi da svolgersi all’interno del gruppo,chiamare il referente di ogni team a
riferire alla classe.
• Focus group: nel mondo della scuola, questa tecnica può essere utilizzata per discutere e
approfondire un argomento dopo che questo sia già stato studiato. A questo scopo si possono
fornire documenti, ritagli di giornale, audio e video interviste a testimoni o esperti. Un focus
group, infatti, può essere svolto solo con persone capaci di dare un contributo informato. E’
necessaria la presenza di un coordinatore; variante “duellanti”; variante “dell’acquario” (un
gruppo ne osserva un altro mentre discute e poi riflette e discute sul risultato dell’osservazione).
Possibili rischi:
la discussione può risultare dispersiva, inconcludente o può comunque finire per sottrarre molto
tempo. Inoltre, rischio di dinamiche di litigi o prevaricazioni, marginalizzazioni, esclusioni,…
Necessitàdi monitoraggio, coinvolgimento e valorizzazione dell’apporto di tutti.
5. ARCHITETTURA ESPLORATIVA
Questa architettura poggia le basi sull’idea che l’apprendimento sia eminentemente un processo
individualeche si attiva e si sviluppa in maniera efficace davanti a situazioni da risolvere. Lo
stimolo derivantedall’esigenza di dare risposta ad un problema aperto – specie quando questo sia
percepito come importante – rappresenta in effetti un potente attivatore della motivazione
all’azione. In questa prospettiva il ruolo dell’insegnante è soprattutto quello del catalizzatore
dell’interesse a conoscere, ad esempio ideandooccasioni capaci di incitare l’impegno diretto.
L’obiettivo primario di questa strategia, centrata sull’idea di un ruolo attivo dell’allievo, è quello di
stimolarel’apprendimento attraverso processi di investigazione e riflessione attivati dall’esigenza
di risolvere problemi. I problemi possono essere di vario tipo (complessi e strutturati, aperti,
dinamici, parzialmente indefiniti,…) e varie forme (storie, problemi logici, dilemmi, decisioni da
prendere, diagnosi, progettazioni,…).Gli studenti lavorano individualmente, o più comunemente in
piccoli gruppi, a casa, in classe, in lab, in musei,in spazi aperti,… con un certo grado di autonomia.
Le attività di apprendimento si presentano nella forma di problemi reali tratti dall’esperienza
concreta, la cui risoluzione consente agli studenti di:
Il PBL si basa su idee costruttiviste quali, ad es., quella che la conoscenza non possa essere
trasmessa, ma siacostruita individualmente e socialmente. Conseguentemente, per il
costruttivismo, l’apprendimento si promuove attraverso l’impegno diretto in compiti autentici
inserito all’interno di contesti reali (o realistici).L’idea è che, lavorando su problemi reali, sia
possibile favorire negli studenti lo sviluppo di competenze qualila capacità di analisi e riflessione,
l’abilità di ideare e applicare strategie, la flessibilità cognitiva, l’attitudine a collaborare con gli altri
come pure ad autoapprendere e a migliorarsi.
Attuazione pratica:
La forma più semplice e comune sono gli esempi guidati (worked examples). Si tratta di problemi a
cui seguel’illustrazione dettagliata della procedura per la loro risoluzione. Il loro scopo è quello di
aiutare gli studentia costruire schemi mentali generali al fine di poterli trasferire e applicare in
situazioni simili. Anche l’uso delle domande rappresenta un modo per promuovere pratiche di
riflessione sui problemi.
Una delle più accreditate procedure attuative di PBL è il seven step model, che richiama modalità
di lavoro già viste (studio del caso, apprendimento cooperativo, discussione). Prevede la presenza
dell’insegnante come tutor (quindi con funzioni di supporto e incoraggiamento), attività in piccoli
gruppi (5-8 persone) e unastrutturazione in sette fasi successive alla presentazione di un caso
problematico:
Vi è comunque un’ampia gamma di modalità, data la varietà dei problemi che si possono
affrontare. In generale è necessario che l’insegnante consideri sia le caratteristiche e la natura dei
problemi sia le modalitàdi presentazione opportune sulla base degli obiettivi formativi da
perseguire e del grado di expertise del soggetto, in coerenza con le sue conoscenze, capacità e
interessi.
Altra possibilità è la scoperta guidata.
Evidenze:
i risultati sono controversi – dipendenza cruciale dalle capacità e preparazione degli studenti. Il
PBL risulta efficace per l’acquisizione di conoscenze approfondite, non quelle di base.
Possibili rischi:
quando non adeguatamente guidati, determinano negli studenti problemi connessi a un eccessivo
carico cognitivo: non efficaci quando gli studenti sono ancora poco competenti. La chiave è la
graduale riduzione della guida e aumento progressivo dell’autonomia.
L’apprendimento è facilitato quando gli studenti sono impegnati nella soluzione di problemi di
significato reale e quando viene mostrato loro concretamente quello che saranno in grado di
svolgere al termine del corso, piuttosto che fissare obiettivi astratti e generici di apprendimento.
WebQuest:
è una delle attività più diffuse di utilizzo della Rete per lo sviluppo di capacità di ricerca e di analisi
critica dei dati con finalità educative. Si distingue da altre esperienze di ricerca basate su Internet
per il fattodi previlegiare l’analisi critica delle info e lo sviluppo di capacità di riflessione e di
raccordo tra concetti, piuttosto che il mero e passivo utilizzo di un motore di ricerca.
(http://webquest.org/)
Si tratta di dare agli studenti l’occasione di elaborare in relativa autonomia una risposta a una
richiesta conoscitiva, permettendo di muoversi con vari margini di libertà. Il progetto prevede che
si arrivi, operandoda soli o in gruppo, a produrre qualcosa passando attraverso varie fasi di lavoro,
giungere cioè a un prodotto finito. In ambito scolastico, la didattica per progetti ha tipicamente
uno scopo conoscitivo (progetto di ricerca) e richiede lo sviluppo di un lavoro articolato in fasi e la
presenza di verifiche intermedie. Il metodo dei progetti è connesso ad altre strategie e modelli
(lavoro di gruppo, studio di caso, PBL) ponendosi però come percorso di formazione unitario,
finalizzato a interconnettere organicamente in un prodotto originalele esperienze maturate e le
conoscenze acquisite. Lavorare a un progetto salvaguarda da un lato ledimensioni dell’azione,
dell’interazione e della relazione, e dall’altro le categorie del dialogo, della riflessionee dell’analisi
critica. La ricerca viene intesa come ‘antipedagogica’, ovvero come unico metodo veramente
alternativo alla posizione dominante dell’insegnante.
Attuazione pratica:
La strategia dei progetti, come modalità per stimolare in maniera indiretta la motivazione
all’apprendimento, sfrutta l’attrattiva esercitata dal poter lavorare creativamente e in autonomia
allaproduzione di un artefatto.
Per risultare efficace, il lavoro da proporre agli studenti deve essere pianificato accuratamente. Il
progetto deve essere:
• commisurato alle capacità degli studenti (non solo conoscitive, ma anche abilità e conoscenze
necessarie alla conduzione di un lavoro progettuale – ricerche bibliografiche, gestione del
tempo, riflessione critica dellaqualità dei risultati, organizzazione e utilizzo di strumenti,…). È
necessario individuare tutte le competenzee conoscenze, specifiche o meno, che gli studenti
dovranno mobilitare nel corso dell’attività (metodologiche,artistiche, pragmatiche,
comunicative,…) e in caso di carenze, prevederne la formazione ex- ante.
Gli studenti potranno essere guidati nell’organizzazione del lavoro dall’indicazione di fasi, dal
rilascio di strumenti di lavoro (schede, schemi, piani di sviluppo, work breakdown structures,…),
dall’impostazione di regole di base e suggerimenti pratici. Nel caso il progetto venga realizzato in
gruppo – vedi accorgimenti dell’apprendimento cooperativo.
Evidenze:
migliori capacità di rispondere a problemi applicativi e concettuali. I dati sono comunque
insufficienti, ma rappresenta sicuramente una strategia innovativa in grado di permettere agli
studenti di sviluppare la capacità di agire con competenza.
Possibili rischi:
come tutte le metodologie attive, anche in questo caso i rischi sono connessi al grado di
autonomia che viene lasciato agli studenti e alla presenza di regole chiare e di momenti di supporto
da partedel docente. Tali elementi devono essere opportunamente calibrati sulla base delle
capacità degli allievi. I criteri di valutazione vanno esplicitati e articolati (con i relativi pesi). E’
necessario che il docente preveda occasioni di supporto (ad es. momenti di revisione) nel corso del
quale fornire un feedback adeguato.
Lavorare per progetti consente agli studenti di impegnarsi attivamente sugli argomenti proposti
affrontandone i diversi aspetti e mobilitando, nell’ambito di un piano d’azione complessivo,
capacitàorganizzative, decisionali, relazionali, operative e di analisi.
6. ARCHITETTURA METACOGNITIVO-AUTOREGOLATIVA
Attuazione pratica:
Prima ancora di parlare di cosa sono e come si usano le strategie cognitive, gli insegantidevono
comprenderne in prima persona potenzialità e limiti, perché il problema è riuscire a promuoverne
un utilizzo attivo e creativo. Il rischio è che gli studenti facciano un uso monotono e rituale di
espedienti, anziché diventare riflessivi e strategici. Il semplice possesso di un repertorio di
strategie non è sufficiente a garantire un apprendimento autoregolato, in cui è la flessibilità,
piuttosto che il meccanico uso di tecniche, a caratterizzarne le azioni cognitive. Tale uso deve cioè
accompagnarsi a una continua riflessione sull’uso stesso e a un’attenzione all’aiutare gli studenti a
sviluppare positive ‘abitudini mentali’. È possibile farlo frenando l’impulsività, incoraggiando la
riflessione, accompagnando l’organizzazione e l’attivazione di conoscenze pregresse, imparando
ad avvicinarsi ai compiti in maniera efficace ed efficiente, rendendo concreti i passaggi chiave delle
strategie cognitive e aiutando gli studenti a essere progressivamente più consapevoli di questi
processi fino all’autonomia nell’autoregolazione. Accanto all’insegnamento delle specifiche
strategie è cioè necessaria una graduale guida al loro uso, avendo cura che gli studenti imparinoi
motivi e le circostanze in cui queste funzionano, in maniera da portare a un loro flessibile e
consapevole utilizzo.
Evidenze:
buona efficacia (ES = 0.6) Come strategie cognitive, l’addestramento alle strategie di memoria ha
ottenuto ES = 1.62.
Possibili rischi:
è un approccio finalizzato a favorire l’apprendimento, non una vera e propria modalità di
insegnamento. In questo senso l’attenzione primaria deve essere rivolta alla scelta della strategia
didattica di volta in volta più opportuna per il raggiungimento degli obiettivi e solo sulla base di
questa provvedere aisupporti per la metacognizione e l’autoregolazione. Tra lecriticità ci sono
quelle di sopravvalutare o sottovalutare la capacità degli alunni, specialmente i BES, di acquisire e
usare tali opportunità. L’intervento del docente va attentamente calibrato e gestito a partire dalle
esigenze individuali, aspetto questo che puòrenderne faticoso e impegnativo l’impiego. Il supporto
alla metacognizione e all’autoregolazione rappresenta una componente preziosa per migliorare
l’apprendimento e l’autonomia degli studenti e, di conseguenza, facilitare l’insegnamento.
CONCLUSIONI
L’insegnamento è un’attività complessa e problematica, dovuta anche all’incertezza degli esiti. La
criticità deriva, in larga misura, dall’irriducibile scarto di prospettive esistente tra chi insegna e chi
apprende, dove èsoprattutto chi apprende a definire le traiettorie di sviluppo dell’intero processo.
Apprendere, infatti, significa anche dare senso ai contenuti proposti e collocarli in una prospettiva
nuova. La ricerca sulla didattica, però ha mostrato come il delicato processo di insegnamento-
apprendimento possa essere in qualche modo orientato e come, accanto alla libertà di chi
apprende, ci sia il compito di chi insegna di favorirele condizioni migliori per accedere alle
conoscenze. Le strategie didattiche non sono tutte equivalenti e nonsono sempre efficaci. Non si
possono applicare rigidi protocolli o procedure standardizzate. La diversità dei contesti in cui si
svolgono le attività, le differenze nella composizione dei gruppi di allievi, l’indole dell’insegnante,
le quotidiane variabilità del clima complessivo derivanti dalle multiformi sollecitazioni esterne
richiedono al docente continui aggiustamenti, un instancabile riesame delle azioni intraprese e
unagrande capacità di autoregolazione. L’istruzione ha una natura essenzialmente adattiva.
Nonostante implichiintenzionalità e progettualità, essa richiede costantemente di modificare e
riadattare quanto progettato in funzione del contesto e della situazione, ferma restando
l’esigenza di un continuo monitoraggio dei risultati (è dalla valutazione del lavoro svolto che si
deve partire). Le strategie didattiche possono subire variazioni e contaminazioni creative.
I docenti efficaci:
• gestiscono adeguatamente la classe;
• intervengono per tenere gli allievi orientati al compito, attenti, motivati, produttivi;
• forniscono una struttura al contesto, arricchendolo con numerose risorse e con modalità;
diverse di insegnamento, ma usando anche attività e lavori di gruppo quando opportuno
esigenza di una guida istruttiva in grado di illustrare, chiarire, mostrare e sostenere
l’apprendimento (sostegno e accompagnamento), che solo gradualmente può essere ridotta.
Hanno importanza l’esplicitazione iniziale degli obiettivi con una presentazione introduttiva
delle tematiche, finalizzata a fornire visioni di insieme, attivare le preconoscenze e sollecitare
la motivazione, come pure un accorto utilizzo degli strumenti e dei codici di comunicazione
nel corso dell’intero processo istruttivo.
Le vie dell’individualizzazione
Le finalità esplicitate nel POF costituiscono lo sfondo e l’orientamento delle programmazioni
didattiche, mentre la direzione generale verso cui procedere è determinata dai “traguardi per
lo sviluppo delle competenze” definiti dalle indicazioni nazionali per il curricolo.
Le competenze-chiave enunciate nel documento degli Assi culturali (Miur, 2007b), relativi al
decreto d’innalzamento dell’obbligo di istruzione, orientano la didattica nell’ottica della
continuità verticale, per consolidare progressivamente quelle competenze di base considerate
indispensabili per la vita.
Le competenze-chiave sono indispensabili per due ragioni principali:
1. Sono la base su cui costruire competenze più elevate, connesse al pensiero intuitivo,
divergente, critico
2. Garantiscono al soggetto l’utilizzo di abilità strettamente funzionali al vivere sociale.
La didattica dovrà essere organizzata prima di tutto ad assicurare una solida formazione nella
direzione di queste competenze, e in seconda istanza (ma garantendo un contemporaneo
cammino in entrambe le direzioni) fornire l’opportunità di esplorare ambiti di competenza
diversificati, in cui possano essere esercitati maggiormente l’intuizione e il pensiero creativo, e
dove possano essere sollecitate le attitudini individuali e le eccellenze cognitive.
La principale direzione della programmazione didattica è l’individualizzazione, cioè
l’.assunzione di responsabilità da parte della scuola, nell’offrire ad ogni alunno i contesti e le
metodologie di apprendimento più adeguati a garantire a tutti il raggiungimento di
competenze di base di buona qualità (filo conduttore e principio pedagogico per tutta l’attività
didattica), coerentemente con i traguardi definiti nelle Indicazioni per il curricolo del 2007, e
con gli standard delineati negli Assi Culturali (Miur, 2007b) dell’obbligo dell’istruzione.
La seconda direzione della programmazione, la personalizzazione, è volta al raggiungimento di
obiettivi differenziati per ciascun alunno, prestando attenzione alle diverse caratteristiche ed
esigenze cognitive degli allievi, promuovendo i talenti personali di ciascuno con l’opportunità di
percorsi didattici opzionali; è considerata un’ulteriore modalità di individualizzazione, definita
individualizzazione “divergente”.
La richiesta di una solida formazione delle competenze di base degli studenti è un’urgenza
imprescindibile, in quanto recenti rilevazioni emerge un quadro problematico e preoccupante
relativo alla competenze dei quindicenni. I risultati della literacy in matematica e lettura
evidenziano medie al di sotto di quelle dei maggiori Paesi OCSE, e una disomogeneità sul
territorio nazionale.
I risultati delle sperimentazioni didattiche sul mastery learning hanno evidenziato che in
condizioni ottimali la strategia riesce a portare l’80% circa degli studenti a raggiungere buoni
risultati, mentre vengono quasi totalmente azzerate le insufficienze gravi.
Le ricerche evidenziano che migliora anche il senso di fiducia degli studenti nelle loro capacità
di apprendimento, migliora la loro frequenza a scuola e il livello di partecipazione attiva alla
lezione.
Studi più recenti dimostrano che le strategie di mastery learning sono adeguate anche a
favorire le abilità di problem solving, di ragionamento deduttivo e di espressione creativa.
Thomas Guskey, in un suo recente lavoro presentato al meeting annuale dell’AERA (American
Educational Research Association, mette in luce due idee di Bloom, che costituiscono linee
guida irrinunciabili per chi voglia realizzare l’individualizzazione:
1. L’utilizzo frequente e sistematico della valutazione formativa, del feedback, dei correttivi
(attività alternative che guidino e orientino lo studente a superare le difficoltà di
apprendimento) dell’arricchimento didattico (per coloro che hanno già raggiunto le
competenze richieste, che necessitano solo di ampliarle o consolidarle);
2. La chiarezza e la coerenza tra tutti gli elementi del processo d’insegnamento ( instructional
alignment).
Questa sistematicità e questo rigore risultano indispensabili laddove gli insegnanti concordino
su alcuni specifici obiettivi o contenuti irrinunciabili da garantire a tutti gli alunni.