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METODOLOGIE

G. BENVENUTO, METTERE I VOTI A SCUOLA. INTRODUZIONE ALLA


DOCIMOLOGIA, CAROCCI, ROMA 2015

INTRODUZIONE
Finalità dei voti:
• Fornire agli studenti un feedback sui progressi;
• Misurare gli apprendimenti;
• Fornire indicatori di efficacia dell’apprendimento;
• Regolare e adeguare i processi didattici.
Quando parliamo di voti intendiamo almeno due sistemi di valutazione: il voto come
valore numerico al termine di una singola prova o rilevazione, e il voto come sintesi e
raccolta di più valutazioni. Entrambi richiamano il significato di voto come giudizio
relativo. E se un voto di profitto è una valutazione, per un giudizio di merito espresso
in relazione al grado di preparazione e di rendimento di uno studente (Battaglia1), si
tratta di intendersi sul tipo di scala da usare nella comparazione.

1. LA FORMAZIONE DI UNA COMPETENZA DOCIMOLOGICA

1.1 UN QUADRO D’INSIEME


La docimologia è una disciplina che è nata per poter studiare su basi scientifiche i criteri della
valutazione scolastica. Si parte da una critica degli esami. Poi si comincia a riflettere non
soltanto sull’esame e a ragionare in termini di sistemi educativi. L’accento si sposta dagli
alunni che apprendono agli insegnanti. “non si educa mai direttamente ma indirettamente
per mezzo dell’ambiente”.
1. Quali strumenti utilizzare per la verifica degli apprendimenti e negli esami?
2. Come attribuire i voti o i giudizi e come registrarli?
3. Come distribuire le prove di verifica nell’arco della didattica annuale?
4. In che modo comunicare i risultati delle prove agli studenti e all’esterno della classe?

Ogni docente tutte le volte che si trova a mettere voti e a valutare, dovrebbe controllare 4
dimensioni di riferimento: (tab. 1.1. p. 22 libro)
1. Funzioni della valutazione : Perche sto valutando Quali gli obiettivi?
2. Tempi didattici: Quando sviluppare le forme di verifica? Ingresso, itinere o finale?
3. Forme/strumenti: Quali stimoli e tipologie di prove adoperare? Strutturate, semi-
strutturate, aperte? Come raccogliere nel tempo le testimonianze di prove?
4. Livelli di misura: Quale precisione nella misurazione? Scale nominali, ordinali, a
intervallo?

Ogni qualvolta si utilizzano le diverse modalità di verifica (punto 3) esse si scelgono in


relazione allo scopo che si vuole raggiungere (punto 1) e del tempo della didattica nel quale ci
si trova (punto 2).

1.2 LA COMPETENZA DOCIMOLOGICA DEI DOCENTI


Il mettere i voti diventa decisamente il saper adoperare diversi sistemi di rilevazione e di
misurazione in funzione dei diversi livelli della valutazione scolastica. Un docente competente
dal punto di vista docimologico dovrà disporre di adeguati strumenti, teorici e pratici, per
affrontare e gestire le diverse questioni. La messa a punto di una competenza docimologica
per i docenti, da un punto di vista sia individuale sia collegiale, prevede un bagaglio
esperienziale legato a:
• Distinzione, ma stretta correlazione, tra l’uso di strumenti di verifica e le funzioni della
valutazione;
• Raccolta differenziata delle informazioni necessarie alla valutazione;
• Conoscenza e applicazione delle principali tecniche di costruzione di test;
• Diffusione e utilizzazione degli strumenti alternativi al testing;
• Individuazione e controllo della validità e affidabilità delle diverse misure degli
apprendimenti scolastici;
• Attribuzione dei punteggi (voti), formulazione di giudizi (valutazioni analitiche e
sintetiche) e loro restituzione e comunicazione;
• Riflessione sulla problematicità del mettere i voti a scuola e nei diversi contesti
formativi, in termini di equità.

Un voto, un giudizio, hanno senso e significato solo se contribuiscono a chiarire dal punto di
vista valutativo la situazione degli apprendimenti conseguiti e a indicare le modalità per
migliorarla.
Tra le condizioni necessarie per incrementare e diffondere la cultura della valutazione e la
sensibilità pedagogica vi sono:

a. Il miglioramento delle competenze dei docenti nell’allestire e gestire le forme di


verifica e di valutazione funzionali e coerenti con il sistema e contesto nel quale si
trovano ad operare;

b. Il sostegno da parte di centri di ricerca nella produzione di materiali utili alla


valutazione nelle sue diverse funzioni.

La competenza docimologica di un docente deve essere sapientemente dosata e calibrata a


seconda del contesto complessivo nel quale si trova a operare. Il saper adoperare le tecniche
misurative adattandole al contesto è frutto dell’esperienza che ognuno conduce
individualmente ma che va sottoposta a riflessione e confronto collegiale. Decidere se è
meglio procedere con una prova strutturata o con una interrogazione oppure adottare un
sistema di misura più semplificato di un altro sono esempi di situazioni problematiche da
risolvere coniugando la padronanza delle diverse tecniche con atteggiamenti e comportanti
che ne rafforzino l’intento. Spesso è proprio in assenza di tecniche comuni, e di metodologie
condivise, che la soggettività prevale a scapito dell’equità e della precisione nella valutazione
e le esperienze personali rischiano spesso di non essere valorizzate proprio in mancanza di
regole condivise e comuni.

2. NASCITA E SVILUPPI DELLA DOCIMOLOGIA

2.1 ETIMOLOGIA E DEFINIZIONI (pp. 29-30)


La parola docimologia deriva dai termini greci λογος (=ragionamento scientifico) e
δοκιμασια (=esame), quindi si configura, specie alle sue origini primonovecentesche, come
studio destinato alla critica e al miglioramento delle votazioni scolastiche (def. data da
Pieron). Dagli anni ’70 (deLandsheere), il vocabolo ha assunto un’accezione che rimarca
come oggetto di studio anche i comportamenti degli esaminatori e degli esaminati; ad oggi,
la branca di studio della docimologia sottolinea il fatto che la valutazione fa
costitutivamente parte della prassi scolastica.

2.2 DAI PRIMI STUDI AI RECENTI CAMPI D’INTERESSE (pp. 30-37)


L’urgenza di uno studio e, auspicabilmente, di un ripensamento dei sistemi valutativi invalsi
scaturì,nei primi decenni del XX secolo, dall’aumento della popolazione scolarizzata e dunque
dal maggiornumero di studenti che accedevano alle prove d’esame finali dei rispettivi corsi di
studio. Già Clparede mise in luce l’inadeguatezza dei tradizionali sistemi di testing per la
valutazione dell’effettivo grado di preparazione degli studenti, laddove le ricerche di Pieron
dimostrarono in particolare le discrepanze esistenti fra i sistemi di giudizio usati dai docenti e,
dunque, la necessità di impostare una metodologia valutativa normalizzata. Dopo questa
prima, critica fase dello studio docimologico, se ne aprì un’altra, grosso modo in
concomitanza con la metà del secolo e sino agli anni ’70: si trattò di un periodo ricco di
riflessioni e spunti volti, talora con successo, a rinnovare le metodologie didattiche, aspetto
valutativo compreso. A quel periodo risalgono gli importanti studi di De Landsheere, che
seppe meritoriamente individuare e definire la natura sia prognostica, sia diagnostica delle
funzioni della valutazione rispetto allo studente. Ad oggi, in un’epoca nella quale il termine
stesso docimologia è minato nell’uso dalla frequenza d’utilizzo di edumetria, gli studi si
concentrano soprattutto sull’integrazione, contemperamento se si vuole, pienamente intesa
fra valutazione e processo d’apprendimento nel suo complesso.

2.3 L’ATTENZIONE ALLA DOCIMOLOGIA IN ITALIA (pp. 37-46)


Nel Belpaese, la docimologia s’impone piuttosto tardi, non prima della metà degli anni ’50. I
suoi pionieri furono Visalberghi e Calonghi, mentre negli studi fra anni ’60 e ’70 s’impose
soprattutto ilnome di Gattullo. Visalberghi operò un’importante e basilare distinzione fra
misurazione e valutazione: si tratta di due momenti essenziali al processo valutativo, il primo
finalizzato alla statistica raccolta dei dati e dunque rimandante ad una quantificazione degli
stessi, il secondo - basandosi inderogabilmente sull’altro- alla formulazione di un giudizio sul
grado di apprendimentoraggiunto dal soggetto valutato; ben lungi dall’essere contrapposti
fra loro, quantificazione e valutazione sono quindi legati in modo molto stretto fra loro. A
Calonghi, invece, si deve la distinzione fra “prove di sussidio didattico” e “prove
diagnostiche”: le prime inseriscono alle diverse materie scolastiche, le seconde sono invece
volte a comprendere i motivi delle carenze e diffcioltà d’apprendimento da parte
studentesca. Quanto a Gattullo, egli seppe distinguere tra le diverse fasi del processo
valutativo:

ü individuazione degli obiettivi dell’accertamento che si vuole mettere in atto;


ü svolgimento del processo di accertamento;
ü giudizio dell’avvenuto accertamento.

2.4 DISTORSIONI VALUTATIVE CON LE PROVE TRADIZIONALI (pp. 46-50)


Alcune tra le principali distorsioni valutative in cui il corpo docenti, nella valutazione,
puòincappare sono:

ü alone: elementi non correalti con gli obiettivi della prova che si valuta, incidono
nellavalutazione della stessa (es. grafia disordinata, dizione scorretta);
ü contagio: la valutazione esplicitata da un personaggio (di norma collega disciplinare)
di cuil’insegnante si fida su un determinato studente, finisce per influenzare
l’insegnante nel valutare egli stesso lo studente medesimo;
ü contraccolpo: in prossimità di scadenze d’esami (per lo più esterni), l’insegnante
modificala propria didattica, investendo più tempo in determinate materie e
sottraendolo ad altre;
ü distribuzione forzata dei risultati: assimilazione degli studenti e dei rispettivi risultati
intermini omogeneizzanti;
ü Pigmalione: realizzazione di aspettative, di norma positive, nutrite nell’ambiente
scolare oin quello familiare, sul rendimento degli studenti;
ü stereotipia: tendenza ad “assolutizzare” giudizi formulati su uno studente,
applicandoli inmaniera sistematica e tipicamente acritica sulle performances da lui
fornite anche in provesuccessive;
ü successione/contrasto: comportamento per cui, a seguito di una performance
particolarmente positiva o negativa di uno studente, quella dello studente successivo
viene (inconsciamente) comparata con l’altra, così da essere rispettivamente sotto- e
sovrastimatasenza ragioni che lo implichino.

2.5 SOGGETTIVITA’, OGGETTIVITA’ E INTERSOGGETTIVITA’ (pp. 51-53)


Nel processo di valutazione, si intersecano tre dimensioni:

ü soggettività, legata al singolo individuo (esaminatore o docente),


ü oggettività, per cui si programmano prove basate su criteri valutativi fissati
(eventualmentenegoziati con gli studenti), cosicché chi esamina e chi viene esaminato,
può rispettivamenteoffrire e fornire prestazioni specifiche;
ü intersoggettività, dimensione della condivisione di opinioni metodologiche e/o
valutazioni
tout court con pari-ruolo (e spesso afferenti allo stesso settore “scientifico-disciplinare”).

3. FUNZIONI, FORME E TEMPI DELLE VERIFICHE


La valutazione è l’espressione di un giudizio sulla progressione d’apprendimento raggiunta da/i
soggetto/i sottoposto/i al meccanismo valutativo.

3.1 MODELLI CHE GUIDANO LA VALUTAZIONE (pp. 56-63)


Le questioni più problematiche, nel gestire e stilare valutazioni, ineriscono a quattro macroaree:
ü stabilire le funzioni della valutazione;
ü delineare il rapporto tra le diverse fasi della valutazioni (i. e., misurazione/valutazione);
ü rendere flessibili i sistemi di valutazione rispetto al contesto didattico complessivo;
ü definire la maggiore o minore centralità dei voti o meno, tenendo presente
che essiaumentano con il crescere (cronologico) della scolarità.

3.2.1 LA GIUNGLA TERMINOLOGICA: IL “COSA” VALUTARE (pp. 64-68)


Le opposizioni terminologiche tra le diverse valutazioni da tener presenti sono quattro:

ü profitto VS padronanza: per profitto s’intende l’apprendimento scolastico specifico


disciplinare, valutato tramite strumenti di pertinenza della scuola volti a misurare i
progressicompiuti dall’inizio dell’apprendimento specifico alla sua conclusione; per
padronanza, invece, s’intende una competenza appresa a scuola ma suscettibile di
svolgere un importante ruolo (anche) al di fuori del contesto scolare; la valutazione della
padronanza (o delle competenze) cerca di sottoporre la stessa ad applicazione concreta e
pratica;
ü conoscenza VS prestazione: l’insieme delle conoscenze è il bagaglio concettuale e
nozionistico che uno studente è chiamato ad acquisire entro il campo di una
determinatamateria, mentre la prestazione gli richiede di attivare le conoscenze
(e soprattutto i suoielementi costitutivi) in modo concreto e operazionale (i. e.,
regole grammaticali VS traduzione da un determinata lingua);

ü standard VS progresso: la valutazione di standard è quella che permette di


differenziarechi ha raggiunto un determinato livello e chi non lo ha fatto, invece la
valutazione di progresso misura il continuum degli apprendimenti necessari per
raggiungere e definire lostandard;

ü [valutazione] formativa VS selettiva: la prima dà forma, propriamente


all’insegnamento diuna certa qual materia, si svolge durante il corso di essa e
permette all’insegnante di (ri)programmare la didattica quando se ne evincano
problemi specifici; la seconda si svolge al termine di un ciclo di studi ed è chiamata ad
offrire una “fotografia”, una somma appunto,del grado di avanzamento raggiunto.

3.2.2 IL “QUANDO” VALUTARE (pp. 68-70)


ü continua VS discreta: la prima è quella che si svolge nell’intero corso dell’anno
scolastico,la seconda è finalizzata alla verifica di un unico elemento.

3.2.3 IL “COME” VALUTARE”


ü riferita alla norma VS criterio: per la prima, si opera confroto fra i risultati di chi si è
sottoposto alla prova e quelli ottenuti da un gruppo statisticamente rilevante della
popolazione esaminata; per la seconda, si paragonano i risultati ottenuti dai singoli
con unadeterminata prestazione-tipo (criterio);

ü diretta VS indiretta: la prima si attua in contemporanea alla prestazione


valutata (es.colloquio orale), la seconda valuta la verifica di una competenza
non esplicitamente manifestata (es. verifica comprensione lettoria);

ü soggettiva VS oggettiva: cfr. par 2.5;

ü liste di controllo VS scale di punteggio: le liste di controllo sono elenchi di indicatori


chesegnalano il raggiungimento o meno di prestabiliti livelli di apprendimento; le
scale di punteggio, invece, consentono di stilare graduatorie o fasce di livello;

ü in base all’impressione VS a criteri: la prima è compromessa con la dimensione


della soggettività, la seconda cerca di concordare elementi comuni sulla cui base
raggiungere ungiudizio individuale o collegiale della maggior validità possibile;

ü olistica VS analitica: la prima, di natura sintetica, abbraccia tutti gli elementi


sottoposti averifica, la seconda focalizza su singoli punti o aspetti della prestazione
valutata;

ü di categorie VS di serie: la prima fa riferimento a una prova singola, che si valuta


tramite ilricorso a griglie; la seconda inerisce a un determinato numero di prove,
valutate con un’unica scala e un semplice voto olistico.

3.2.4 IL “CHI” VALUTA


ü chi formativo: interna docente (eterovalutazione) o valutazione collegiale; interna
studente(autovalutazione) o valutazione tra pari;

ü chi sommativo: interna docente (eterovalutazione) o valutazione collegiale;


esternadocente; interna studente (autovalutazione).

3.3.1 LA VERIFICA PER OBIETTIVI


Gli obiettivi sono l’esplicitazione di ciò che dovrebbe essere raggiunto tramite le azioni didattiche
intenzionali e in considerazione dei livelli di partenza dei singoli alunni: definire gli obiettivi
significa quindi indicare il traguardo in vista di una didattica. A tale scopo, gli insegnanti
organizzano le sequenza didattiche (programmazione didattica) considerando la specificità della
singola disciplina d’insegnamento (programma disciplinare) e all’interno delle finalità di corso
generali (curricolo). Nell’organizzazione didattica, il docente indicherà livelli differenti di
obiettivi,da quelli più generali riguardanti la maturazione dello studente come persona (finalità
e obiettivi educativi), a quelli più strettamente connessi con la disciplina o area discplinare di
turno (obiettivi specifici).
In Italia, l’attenzione per queste tematiche è conseguita soprattutto all’introduzione della
programmazione come elemento fondante e qualificante dell’azione didattica nei primi anni ’70.
Glistudi fioriti in quel periodo si ricollegarono alla corrente statunitense del mastery learning,
correntedi pensiero secondo cui ogni studente, se inserito in condizioni didattiche adeguate, è
in grado di raggiungere un alto livello di padronanza, che deve essere qui intesa come
raggiungimento degli obiettivi (mastery learning = apprendimento per la maestria o
padronanza, appunto). Secondo Carroll, il grado di apprendimento raggiunto dallo studente
dipenderà dalla relazione tra i fattori seguenti:

ü perseveranza;
ü opportunità di apprendere (i. e., tempo destinato all’apprendimento in classe);
ü attitudine;
ü qualità dell’istruzione;
ü capacità di comprendere l’istruzione.

Per mettere gli studenti nelle condizioni di apprendere bene, il docente dovrà compiere una
serie dipassi:
ü formulare chiaramente ciò che intende per padronanza della sua materia, quindi
chiarire aglistudenti che cosa dovranno imparare;
ü determinare il livello di padronanza da raggiungere;
ü suddividere il corso in una serie di unità didattiche conclusa da momenti di feedback;
ü programmare test diagnostici del progresso in itinere.

Gli obiettivi educativi che devono essere acquisiti con l’insegnamento di una materia
sono statitassonomizzati da Bloom:

ü CONOSCENZA (capacità di ricordare o riconoscere un contenuto in forma


pressochéidentica a quella nella quale esso è stato presentato;
ü COMPRENSIONE, sottocategorizzata in 1. TRADUZIONE (capacità di trasporre il
contenuto presentato da una forma simbolica ad un’altra, es. passare da
un’espressione spagnola ad una tedescs), 2. INTERPRETAZIONE (capacità di spiegare
e riassumere un contenuto presentato, es. riassumere una vicenda), 3.
ESTRAPOLAZIONE (capacità dellostudente di trascendere il contenuto presentato,
determinandone le applicazioni o conseguenze, es. ricavare conclusioni da una
vicenda storica);
ü APPLICAZIONE (utilizzare il contenuto appreso in una situazione nuova, es.
applicareregola grammaticale a contesto sintattico);
ü ANALISI, sottocategorizzata in 1. ANALISI DEGLI ELEMENTI (capacità di scomporre
un aggregato di contenuto presentatogli nei suoi elementi, es. parti di un
documento), 2. ANALISI DELLE RELAZIONI (capacità di individuare la relazione fra un
parte di aggregato di contenuto e altre parti di esso, es. associazione colori
pittorici/emozioni);
ü SINTESI (capacità di organizzare e combinare il contenuto in modo da produrre
unascrittura, un modello o un’idea nuova; es. produzione di un elaborato
scritto);
ü VALUTAZIONE (capacità di esprimere giudizi sia qualitativi sia quantitativi sul modo
incui particolari elementi o aggregati di contenuti criteri interni e/o esterni).

Per formulare gli obiettivi, il docente dovrà rispondere ai seguenti tre quesiti:
1. Che cosa dovrebbe essere in grado di fare l’allievo?
2. In quali situazioni egli dovrebbe essere in grado di produrre il comportamento
desiderato?
3. Come dovrà essere tale comportamento?

3.3.2 LA CENTRALITA’ DELLE COMPETENZE


Le competenze indicano il saper utilizzare determinati livelli di
“conoscenze/apprendimenti”(teoriche ed operative) in specifici contesti.
Vertecchi distingue fra competenze generali, libere da determinazioni settoriali, e
competenze concorrenti, riferite agli apporti di conoscenza di specifiche branche
(pluri)disciplinari; stando a DiFrancesco, invece, dovremo differenziare fra competenze
generali, competenze tecnico- professionali e competenze trasversali (es. problem solving).
Dal punto di vista didattico, il punto di maggior importanza è la valutazione delle
competenze: è difficile verificare le stesse direttamente, risulta più facile ed attuabile farlo
rispetto a determinateprestazioni che fungano da indicatori per le competenze stesse. A
quel punto, è possibile definirediversi livelli di possesso di una competenza:

ü LIVELLO DEL PRINCIPIANTE;


ü LIVELLO DEL PRINCIPIANTE AVANZATO;
ü LIVELLO DELLA COMPETENZA;
ü LIVELLO DELLA COMPETENZA AVANZATA;
ü LIVELLO DELL’ESPERTO.

Il principale discrimine fra i diversi livelli è rappresentato dal diverso grado di capacità di
rapportare la competenza al contesto situazionale specifico, con crescente flessibilità.

3.3.3 APPRENDERE IN GRUPPO E LE VALUTAZIONI “AUTENTICHE”


La forma tipicamente dominante nell’apprendimento scolastico è quella del lavoro
individuale, ma le esperienze maturate in ambito anglosassone stanno cambiando le carte in
tavola. Presso le Communities of Learners studiate da Brown e Campione, si sta valorizzando
la co-costruzione dellaconoscenza, che si attua tramite i metodi di lavoro di gruppo. E’ attorno
a queste e ad altre forme dididattica, così distanti da quelle tradizionali, che si è sviluppata la
corrente di studi detta delle valutazioni autentiche, dove l’aggettivo indica, secondo Khatti e
Sweet, l’importanza data alla natura real life di compiti e contenuti della valutazione; per
alternative assessment e performance assessment, invece, s’intendono rispettivamente la
valutazione diversa rispetto a quella tradizionale e la valutazione che richiede allo studente di
fare, dimostrare, costruire o sviluppare realmente un prodotto sotto condizioni definite.
L’adattamento a metodologie siffatte comporta una modificazione della didattica e della
docimologia ad ampio spettro, in grazia delle differenze sostanziali che, soprattutto
ultimamente, sono state rimarcate in quanto esistenti fra prassi valutativadella scuola e
natura dell’attività cognitiva extrascolastica.

TAB. 3.7
CHE COSA VALUTARE COME VALUTARE CHI VALUTA
Obiettivo didattico: Osservazione: modalità di Eterovalutazione
descrizione di un modello di rilievo
comportamento che descrittiva/qualitativa
l’allievodeve saper esibire
per
manifestare il
raggiunto
apprendimento
Finalità: scopo da raggiungere Misurazione: modalità di Autovalutazione
nel processo formativo rilevazione quantitativa
Competenze: saper utilizzare Giudizio: espressione di Valutazione fra pari
determinati livelli di valutazione sintetica, di natura
conoscenze in contesti specifici qualitativa e che rimanda
anche
a misure
Prestazione: Valutazione di gruppo
comportamentoche
permette di descrivere un
obiettivo o una competenza
Valutazione di natura
collaborativa

3.4 LE FUNZIONI DELLA VALUTAZIONE


La tassonomia delle funzioni della valutazione è molto
controversa.

SCRIVEN propone la seguente classificazione:


ü FORMATIVA: dà forma all’insegnamento, può aiutare a riorganizzarlo
(istruzioneprogrammata) ed avere una funzione PROGNOSTICA oppure
DIAGNOSTICA;
ü SOMMATIVA: avviene in fase terminale di un processo didattico e serve per
controllare ilraggiungimento degli obiettivi. La valutazione sommativa può essere
formativa, ma non viceversa, in quanto quest’ultima è direttamente e strettamente
legata all’erogazione della didattica.

DE LANDSHEERE formula la seguente distinzione:


ü FORMATIVA;
ü SOMMATIVA;
ü MISURATIVA: serve a raggiungere alcune quantificazioni degli apprendimenti.

Lo schema di VERTECCHI, infine, è il seguente:


ü VALUTAZIONE INIZIALE, concretizzabile in VALUTAZIONE D’INGRESSO e
VALUTAZIONE DEI PREREQUISITI;
ü VALUTAZIONE INTERMEDIA, tipicamente equipollente alla VALUTAZIONE
FORMATIVA, di VALORE DIAGNOSTICO;
ü VALUTAZIONE FINALE, equivalente alla VALUTAZIONE SOMMATIVA;
ü VALUTAZIONE PREDITTIVA, per anticipare il risultato che un allievo potrà conseguire
seguendo un determinato itinerario di studi. Ha un VALORE PROGNOSTICO.

Lo studioso invita inoltre a non dicotomizzare per via artificiosa le categorie e classificazioni
che,come visto, la didattica presenta in elevata quantità.
Diremo che la funzione principale della valutazione è la regolazione del processo che può
svilupparsi in diversi momenti didattici (tempi), avere diverse finalità (scopi) ed essere condotta
con diversi gradi di precisione nella rilevazione (livello misurativo).

3.5 UN QUADRO DI SINTESI DEGLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE SCOLASTICA

I dati emersi dall’INDAGINE IARD DEL 1998-99, raccolti da CAVALLI, documentano la tendenza
della scuola italiana a privilegiare forme valutative tradizionali e al contempo, nel passaggio dal
ciclo elementare a quello superiore, una notevole varietà, suscettibili di essere distinte
soprattutto in base al loro diverso livello di strutturazione: esso è misurato in base a due
parametri:
ü STIMOLO APERTO O CHIUSO;
ü RISPOSTA DI TIPO APERTO O CHIUSO.

I principi che orientano nella scelta degli strumenti di valutazione e relativamente alla
lorofunzionalità docimologica sono due:
ü non esiste lo strumento di verifica migliore, ma solo quello più adatto allo scopo per il
qualeè pensato, tenendo presenti anche i limiti contingenti imposti dal contesto di
classe;
ü l’affidabilità dei diversi strumenti di rilevazione si ottiene controllandone le diverse
fasi dicostruzione.

Distinzione tra le diverse tipologie di prove:


ü PROVE STRUTTURATE (stimolo chiuso, risposta di tipo chiuso), affidabili ma spesso
superficiali;
ü PROVE SEMISTRUTTURATE (stimolo chiuso, risposta di tipo aperto);
ü PROVE LIBERE (stimolo aperto, risposta aperta), difficilmente attuabili in valutazioni
disede collegiale.
FUNZIONI PROVA PROVA PROVA TEMPI DELLA
DELLA STRUTTUR SEMISTRUTTU APERTA VALUTAZIONE
VALUTAZIONE ATA RATA

CONOSCITI VA OSSERVAZIO QUESITI A PROTOCOLLI INIZIALE


(ESPLORATI NE RISPOSTA DESCRITTIVI;
VA, SISTEMATICA APERTA; COLLOQUIO/
DIAGNOSTI ; QUESITI ELABORATI DISCUSSIONE
OGGETTIVI
CA, RI- SCRITTI
(V/F); CLOZE-
ORIENTATI (RIFLESSIONI,
TESTS; TEST
VA) NARRAZIONI,
SOCIO-
PSICOLOGICO DESCRIZIONI)
REGOLATIVA QUESITI INTERROGAZIONE INTERROGAZIONE INTERMEDIA
(FORMATIVA) OGGETTIVI; STRUTTURATA; DIALOGICA; TEMI
SOLUZOONE PROVA DI TRADIZIONALI;
DI PROBLEMI SCRITTURA RIFLESSIONI/COM
(SAGGI, MMENTI
RELAZIONI);
QUESITI A
RISPOSTA
APERTA;
ESERCITAZIONI
PRATICHE)
SOMMATIV A QUESITI COLLOQUIO INTERROGAZIONE; FINALE
(PROGNOST OGGETTIVI; STRUTTURATO; COLLOQUIO
ICA, SOLUZIONE PROVE PRATICHE; PLURIDISCIPLINAR
ORIENTATI DI QUESITI A E
VA, PROBLEMI; RISPOSTE APERTE
CERTIFICAT TEST SOCIO-
IVA) PSICOLOGICI
RACCOLTA PORTFOLIO PORTFOLIO PORTFOLIO CONTINUA/DIACR
DELLE ONICA
DIVERSE
RILEVAZIONI

4. LE MISURAZIONI IN CAMPO EDUCATIVO


Ogni qualvolta si attui una verifica a scopo valutativo, si è chiamati a compiere un certo
numero discelte:
ü decidiamo che cosa valutare;
ü selezioniamo elementi caratteristici del “che cosa valutare”;
ü costruiamo o individuiamo lo strumento di verifica da utilizzare;
ü decidiamo in che modo lo si propone;
ü ricorriamo a determinate scale di punteggio.

Tali scelte sono davvero un momento e un’occasione su cui riflettere, per i docenti, soltanto
quandoessi non abbiano ancora maturato una ventagliata esperienza, che induca in loro una
sorta di automatismo valutativo, oppure in concomitanza con specifici e sensibili cambiamenti di
contesto.

4.1 CARATTERISTICHE (REQUISITI) DEGLI STRUMENTI DI VALUTAZIONE


I principali requisiti degli strumenti valutativi sono quelli della validità e dell’affidabilità;
rifletteresu di essi ed eventualmente modificarli se necessario, può contribuire a migliorare
la qualità della didattica nel suo complesso.

4.1.1 LA VALIDITA’
La validità di una misura, secondo la definizione di GARRETT, si evince dalla capacità che essa
hadi misurare effettivamente ciò che si propone di misurare, dunque se tra la misura e il
misurato esiste una forma di corrispondenza. La validità di una misura e successivamente di
una valutazioneè strettamente correlata al tipo di strumento che si adopera: se adoperiamo o
costruiamo uno strumento poco adatto alla misurazione di un determinato apprendimento o se
utilizziamo una scalapoco sensibile alla misurazione di quell’apprendimento, le nostre misure
non saranno valide.
I livelli a cui la validità va individuata e attuata sono quattro:

ü VALIDITA’ DI CONTENUTO, che si raggiunge riscontrando la significatività degli


elementi da sottoporre a verifica e l’intenzionalità e programmazione della scelta
degli elementi stessi come rappresentativi del settore di contenuti o della
competenza da valutare;
ü VALIDITA’ DI CRITERIO, possibile -ad esempio- tramite confronti fra risultati a diversi
tipi di prove (verifica indiretta). Parliamo di VALIDITA’ CONCORRENTE se misurata
attraverso misure simultanee, VALIDITA’ PREDITTIVA se misurata a distanza di tempo;
ü VALIDITA’ DI COSTRUTTO, individuabile se esiste un modello teorico di riferimento;
ü VALIDITA’ DI PRESENTAZIONE, che si realizza grazie alla considerazione degli
elementi d’impatto con chi si sorropone alla prova: gli aspetti qualitativi e
intuitivi relativamente all’inadeguatezza degli stimoli rispetto ai destinatari
previsti viene così controllata.

4.1.2 L’AFFIDABILITA’
L’affidabilità indica il grado di precisione con cui una misura può essere effettuata. Essa
èsuscettibile di essere considerata a tre livelli distinti:

ü PRECISIONE DELLO STRUMENTO, se questo è in grado di offrire uno stimolo uguale


per tutti;
ü PRECISIONE DEL VALUTATORE, se riesce ad evitare il più possibile che la sua
soggettività interferisca con la misurazione in atto;
ü PRECISIONE DEL SOGGETTO ESAMINATO, se è privo di circostanze ecologiche in
grado eventualmente di influenzare lui e la sua prestazione.

Le verifiche empiriche dell’affidabilità riguardano principalmente i seguenti aspetti:


ü OMOGENEITA’ O COERENZA INTERNA;
ü OGGETTIVITA’ DELLE RILEVAZIONI;
ü ACCORDO FRA CHI INTERPRETA I RISULTATI DELLA PROVA;
ü CONCORDANZA FRA FORME PARALLELE;
ü STABILITA’ DELLE REAZIONI NELLA RIPROPOSIZIONE DELLA PROVA.
All’interno di una valutazione, il rilevamento dell’affidabilità è subordinato a quello della
validità:in assenza di quest’ultima, anche la prima necessariamente manca.
Quando affidabile, una prova dovrebbe essere resa oggetto di una valutazione similare, se
nonaddirittura identica, da parte dei soggetti che le giudicano. I test strutturati sono quelli
che vi siprestano meglio, ma anche altre tipologie di prova possono esservi adattate.

4.1.3 UN ESEMPIO DI CONTROLLO DELLA VALIDITA’ E AFFIDABILITA’ NELLA


VALUTAZIONE DELLA COMPETENZA DI SCRITTURA
L’INDAGINE IEA-IPS svolta nei primi anni ’90 ha cercato di saggiare le competenze di
scritturadei soggetti che vi si sono sottoposti tramite l’applicazione sistematica di parametri
validi e affidabili. Le fasi sono state molte e complesse:

ü DEFINIZIONE DEL “SAPER SCRIVERE”;


ü MESSA A PUNTO DI STIMOLI ADEGUATI alla misurazione di quella competenza;
ü SCELTA DI UN METODO DI VALUTAZIONE AFFIDABILE, il meno possibile legatialla
soggettività dei valutatori;
ü COSTRUZIONE DI CRITERI PER CORREGGERE GLI ELABORATI;
ü SOMMINISTRAZIONE DELLE PROVE (ad un campione statisticamente rilevante, sia
per livello scolastico, sia per tipologia di scrittura);
ü ELABORARE STATISTICAMENTE I RISULTATI sia degli studenti, sia dei valutatori.

4.2 LE SCALE DI MISURA


I tipi di scale di misura sono essenzialmente quattro, le prime tre delle quali sono tipicamente
utilizzate in ambito scolastico:
ü SCALA NOMINALE (qualitativa): classifica i soggetti (i. e. le variabili) in funzione della
loro appartenenza o meno a determinate categorie qualitative, cui vengono assegnati
dei nomi. Vi si fa ricorso, ad esempio, per determinare se un candidato ad una prova
d’idoneità è considerabile idoneo o meno. Alcuni studiosi reputano che non si tratti
propriamente di una scala, perché non permette di registrare gradazioni d’intensità;
tuttavia, considerando per scala anche solo qualcosa che semplicemente discrimina e
classificare, anche senza quantificare, allorza anche quella nominale è una scala;

ü SCALA ORDINALE (qualitativa): consente di stabilire delle graduatorie, cioè di


ordinarerispetto alla maggiore o minore presenza di una determinata caratteristica,
ottenendo così delle bande o fasce o livelli. Da sottolineare che le singole classi non
sono differenziate precisamente tra di loro, bensì soltanto in funzione del loro
rapporto. Molti docenti ricorronoai voti scolastici come se si trattasse di una scala a
intervalli, mentre in realtà essa è semplicemente ordinale. La scala ordinale può
essere di utilità specifica, ad esempio, se chiediamo agli studenti se e quanto spesso
fanno un determinato qualcosa, offrendo loro dei livelli della scala come possibili
risposte;

ü SCALA METRICA (quantitativa): la distanza fra i suoi punti è sempre uguale, quindi
costante. Dunque possiamo apprezzare in essa sia i diversi livelli che vengono
raggiunti, adesempio dai singoli studenti, sia la differenza che fra i diversi livelli
sussiste: avendo calcolato i punteggi, dunque i livelli che sono stati raggiunti,
potremo ricavare la differenzafra di essi e ottenere dunque una comparazione.
Secondo GATTULLO, è possibile -sia purmendacemente- ricorrere alle scale a
intervalli come se fossero metriche;

ü SCALA A INTERVALLI (quantitativa): come quella precedente ma, al suo interno, lo


zero significa assenza di quella misura.

4.3 SCALE E VOTI


La natura critica del “mettere voti” è dovuta al fatto che si verifica in quel momento un
passaggio dalla qualità dell’osservazione e del giudizio alla quantità della valutazione. A ciò
partecipa, fra l’altro, la disomogeneità dei sistemi impiegati per valutare. Il passaggio dalla
prima alla seconda è poi certamente più complesso in coincidenza con valutazioni che
scaturiscano da prove semistrutturate o aperte anziché strutturate, in cui gli indicatori consente
una valutazione in terminidi punteggi vere e proprie.

4.4 DESCRITTORI DELL’APPRENDIMENTO


Esiste una difficoltà obiettiva nel rapportare i comportamenti osservabili sul campo, le
performances, e le valutazioni. Un esempio è offerto dal QUADRO DI RIFERIMENTO EUROPEO
(QRE, 2002), elaborato per definire le misure della competenza di lingua straniera. Tuttavia, se
offre le misure, non fornisce il metro: ovverosia, non dice come le misure vadano traslate al
campo o settore della valutazione. Le misure sono date da un certo numero di descrittori, che
permettono l’identificazione di tre livelli di competenza ulteriormente bipartiti tutti quanti (da
A1 a C2); per trasformare la qualità dei descrittori in strumento di misura, possono essere messi
in atto approcci divario tipo, dalla scala nominale (risposte dicotomiche ‘sì’ o ‘no’) a quella
ordinaria (diversi livelli definiti in rapporto a un determinato descrittore). Evidentemente, si
tratta di un sistema pensato soprattutto in funzione dell’individuazione delle caratteristiche e
dei livelli d’apprendimento personali, non collettivi.

4.5 ESIGENZA DI INDICATORI E STANDARD

Gl’indicatori possono essere intesti in due diverse accezioni:

ü come variabili significative e centrali per l’analisi di un determinato fenomeno;


ü come elaborazione statistica ricavata sulla base di dati precedentemente elaborati.

Nella prima accezione, parliamo di indicatore tutte le volte che scegliamo un qualche
elemento come significativo per la comprensione di un determinato fenomeno; in contesto
educativo, ciò significa trascegliere certi aspetti connessi, ad esempio, a una competenza e
intendere quegli stessiaspetti come importanti, e propriamente esplicativi, intorno
all’acquisizione o meno di quella competenza.
La seconda accezione d’indicatore, d’altro canto, ci rimanda agli aspetti di quantificazione e di
misurazione. Molte volte gl’indicatori così considerati sono vere e proprie elaborazioni statistiche,
mentre in altre circostanze è più difficile una loro esplicitazione in termini numerici, per i quali è
necessaria una serie piuttosto rigorosa di criteri d’attribuzione.
In entrambi i casi, parleremo di indicatore come di uno strumento utile per la valitazione di
determinati fenomeni, in quanto permette -quando valido e affidabile- di effetturare
comparazioni. Malgrado sia manifesta la loro importanza, l’attività di valutazione deve utilizzare
gl’indicatori cosìcome utilizza altre tipologie d’analisi (ALLULLI). Individuare indicatori seri e
funzionali, d’altronde, è un’operazione difficile da portare a termine.
Il termine standard, dal canto suo, indica il livello di prestazione (punteggio o criterio)
prestabilitoda utilizzare come riferimento per la valutazione. Tale livello di prestazione,
dunque, coincide conla soglia d’accettabilità indispensabilmente raggiunta da una prova che si
possa definire (almeno) sufficiente. Qual è la differenza tra punteggio e criterio?

ü Nel primo caso, si fa riferimento al concetto di norma, ovvero si comparano i risultati


dei singoli studenti in rapporto a un gruppo di altri studenti assunto come norma
(standard normativo); in tal caso, si ricorre spesso al punteggio percentile, definendo
così la posizionedel singolo studente rispetto al gruppo adibito a norma;

ü nel secondo caso, si parla di criterio come di termine discriminante: ovverosia,


la definizione degli obiettivi da raggiungere è accompagnata
dall’individuazione di unostandard prestabilito rispetto alla prestazione
richiesta (standard criteriale).

Le prove standardizzate fungono quindi da autentici strumenti di misura, in quanto sono


stati sottoposti a controlli di natura statistica da parte di personale ‘specializzato’. Alcuni
esempi di prove standardizzate sono il PISA, che indaga le competenze di base dei
quindicenni, e l’IALS-SALS, che misura il tasso di competenza alfabetica funzionale nella
popolazione scolastica (competenza alfabetica funzionale = insieme delle capacità
necessarie per l’elaborazione e l’utilizzodi materiali stampati comunemente diffusi sul
lavoro, a casa e nella vita sociale).

4.6 IL GIUDIZIO E LE SCHEDE DI VALUTAZIONE


I voti e i giudizi sono due sistemi di valutazione differenti. I primi sono valutazioni di tipo
collegiale, mentre i giudizi sono sia individuali sia collegiali. In generale, la valutazione può
esseredisciplinare se riferita a un’unica materia o area di insegnamento, globale se si integrano
livelli disciplinari per le diverse aree disciplinari.

4.6.1 IL LIVELLO GLOBALE DI MATURAZIONE


Ogni dimensione (personale, sociale, scolastica in senso stretto) utilizzata per esprimere la
valutazione è un descrittore, ossia serve a descrivere ciò che si sottopone a valutazione. I
docenti,per esprimere una valutazione soddisfacente, devono mostrare di possedere capacità
diverse:

ü individuazione di una serie di indicatori comuni;


ü esplicitazione della misurabilità che quegli indicatori hanno nelle diverse discipline;
ü comunicazione a livello collegiale dei livelli per le discipline o aree disciplinari;
ü sintesi delle rilevazioni e dei giudizi in una formulazione globale, chiara e
comprensibile peri diversi destinatari.

Dunque un giudizio è operazione più complessa del voto perché, anziché essere una sintesi
numerica, è una sintesi linguistica, la cui funzione è più esplicitamente comunicativa.

4.6.2 LA STRUTTURA DI UN GIUDIZIO SINTETICO


Nella redazione di un giudizio sintetico, sono presenti tanto elementi costanti quanto altri
variabili,suscettibili cioè sia di essere presenti sia di non esserlo. Ricorrere ad alcuni elementi
costanti è di grande aiuto, perché basta riempire degli spazi predisposti e scegliere dei valori di
una scala.
4.6.3 I LIVELLI DI COMPARAZIONE
Tipicamente, all’interno delle valutazioni sono presenti anche elementi di comparazione, riferibili
a:

ü un CONFRONTO NEL TEMPO (profitto acquisito rispetto a una situazione di


partenza);un CONFRONTO CON LA PRESTAZIONE DI ALTRI ALLIEVI (giudizio
normativo);
ü un CONFRONTO CON GLI OBIETTIVI ATTESI (giudizio criteriale).

Nella recente INDAGINE IARD, sono stati indagati i criteri di valutazione impiegati con più
frequenza dagli insegnanti. Il criterio più impiegato, ad ognuno dei livelli gerarchici della scuola,
è quello utile a operare confronti tra il livello raggiunto e quello di partenza. Dal canto loro, le
scuolesecondarie superiori mostrano di prediligere il criterio normativo, dunque il confronto tra
il rendimento del singolo e quello dell’intero gruppo classe. Nel corso degli anni, come
l’indagine ha saputo mettere in luce, le scuole elementare e media hanno accresciuto anche il
loro ricorso a strumenti di valutazione normativa, palesando una maggior attenzione alle
questioni docimologichein genere; la scuola superiore ha mantenuto una predilizione per gli
strumenti normativi, ma ha valorizzato anche altri indicatori, per esempio riferiti al contesto
sociale di provenienza.

4.6.4 GIUDIZI ANALITICI PER DISCIPLINE


Nel formulare giudizi analitici, basilari e aprioristici rispetto a quelli globali o interdisciplinari,
dovranno essere seguite alcune prodedure e tendenze:

ü considerare i diversi elementi di misura utilizzati (prove strutturate, semistrutturate,


aperte;osservazioni di comportamenti cognitivi; analisi del progresso rispetto agli
standard d’ingresso);
ü pesare i singoli elementi rispetto alla loro specificità;
ü definire i livelli di scala che il giudizio prevede (es. ottimo, distinto, buono, sufficiente,
nonsufficiente).

Nell’indagine svolta da CITTERIO-MAGNONI a Brescia nel ’99, gli elementi chiamati in causa
per la valutazione sono risultati i seguenti:
ü risultati centesimali delle verifiche;
ü progresso rispetto al livello di partenza;
ü standard delle prestazioni stabiliti in base alle caratteristiche delle discipline;
ü osservazione dei comportamenti cognitivi.

4.6.5 LE SCHEDE DI VALUTAZIONE NELLA SCUOLA ELEMENTARE E MEDIA


Gli obiettivi che il Ministero si è prefisso di raggiungere, nel frenetico cambiamento dei modelli
valutativi durante gli ultimi vent’anni, sono stati principalmente l’osservazione dinamica dei
processi e la verifica continua degli apprendimenti, nella ricerca di validità e affidabilità. Rispetto
a tutto ciò, comunque, dev’essere preliminare la definizione dei parametri, cioè degli standard
di riferimento, nonostante molti, all’interno e all’esterno della scuola, siano semplicemente (e
spesso semplicisticamente) cultori del voto in sé. L’esigenza di esprimere il giudizio sintetico con
una formulazione tra le cinque disponibili (ottimo, distinto, buono, sufficiente, non sufficiente) è
stata determinata, fra l’altro, dall’esigenza di garantire una coerenza con quanto in vigore per gli
esami dilicenza della scuola secondaria di I grado. L’uniformità di scala fra i due ordini di scuola
e la coerenza con la scala utilizzata negli esami finali, in ogni caso, sono un presupposto per
facilitare i livelli di continuità fra i segmenti formativi. Resta da fare l’operazione più importante,
cioè procedere alla definizione e condivisione del sistema complessivo di verifica e valutazione
all’interno e fra le diverse istituzioni scolastiche.
Consigli utili:
ü abbandonare il mito dell’oggettività, e individuare indicatori e standard comuni;
ü declinare gl’indicatori con precisi descrittori, e stabilire prove comuni;
ü raccogliere tutte le altre informazioni (osservazioni sistematiche e non,
compiti,esercitazioni);
ü attivare momenti di informazione e confronto operativo coi destinatari delle schede,
in mododa diffondere una cultura della valutazione flessibile, ma con livelli di
trasparente condivisione.

5. LA RILEVAZIONE ATTRAVERSO TEST


Le prove strutturate, entrare piuttosto recentemente nell’uso ‘quotidiano’ della scuola italiana,
sonodefinite in vari modi, fra cui quello di test. Un test, diremo con l’ASSOCIATION
INTERNATIONAL PSYCHOTECHNIQUE, è una prova definita che implica l’esecuzione di un
compito, identico per tutti i soggetti esaminati, con una tecnica precisa per la valutazione della
riuscita. La pratica del testing garantisce quindi una valutazione di tipo quantitativo, è indicata
per gli accertamenti del profitto scolastico in genere e risulta enormemente utile per
l’attibuzione di votie punteggi. Le sue criticità sono essenzialmente ruotanti attorno a due punti:

ü che cosa i test effettivamente misurano;


ü il fatto che spesso la sua costruzione richieda elevate abilità e conoscenze
docimologiche.

I test, nell’uso quotidiano, risultano molto frequenti, ad esempio per accertare competenze
funzionali (cfr. esame di guida, idoenità linguistiche, prove di alfabetizzazione informatica).
Nellascuola, il loro impiego è spesso accompagnato o da un impiego acritico (li si utilizza, cioè,
senza chiedersi né se né come essi permettono una determinata misurazione in termini rigorosi)
o da unasfiducia che porta a considerarli prove di verifica troppo poco rigorose. In generale, i
test hanno avuto nella scuola italiana un’accoglienza più fredda e ‘perplessa’ di quanto non sia
accaduto nel mondo anglosassone, dove il ricorso ad essi, invece, è stato ed è sistematico;
dunque, dalle differenze culturali deriva un’ampia variabilità nell’uso del testing.

5.2 VANTAGGI, LIMITI E PREGIUDIZI


Le critiche tradizionali al sistema del testing sono di due diversi ordini: storico-culturale e
tecnico procedurale. Le prime derivano da una generalizzata diffidenza verso le forme di
accertamento ‘oggettivo’, in quando -si ritiene- impoveriscono la valutazione dello studente: le
categorie predefinite, infatti, ingabbierebbero il ragionamento dello studente, costringendolo a
riflettere sullabase di percorsi già definiti e impostati. Quanto al secondo tipo di contestazioni,
è indubbio l’alto tasso di conoscenze che è necessario possedere, anche trasversalmente
rispetto alla propria disciplina e, nello specifico, all’interno del settore edumetrico o
docimologico per la compilazione di prove strutturate. Proprio per questo, diremo che la
peculiarità e l’importanza delle prove oggettive, strutturate che dir si voglia, non risiedono nella
loro raffinata capacità di misurare determinati elementi dell’apprendimento, quanto piuttosto
nel significato che hanno come momentidi crescita docimologica, di sviluppo e valenza
formativi per i docenti. Passando in più sistematica rassegna limiti segnalati e vantaggi del
sistema di testing, inizieremo coi primi:
ü LIMITAZIONE DELLA LIBERTA’ D’ESPRESSIONE DEGLI STUDENTI e deldialogo fra
insegnanti;
ü NECESSITA’ DI TEMPO PER LA LORO PRODUZIONE;
ü SCARSA COLLABORAZIONE IN FASE PRODUTTIVA;
ü CASUALITA’ DELLE RISPOSTE;
ü MISURAZIONE SOLO DI ALCUNI ASPETTI DELL’APPRENDIMENTO;
ü MISURAZIONE DEL PRODOTTO E NON DEL PROCESSO (ma, come ricordano
GATTULLO e GIOVANNINI, anche con le forme tradizionali di verifica non si coglie se
non una parte del processo che antestà alla risposta, da intendere come conseguenza,
e unicorisultato tangibile, di quello).

Ricordiamo invece ora i vantaggi:


ü OGGETTIVITA’ DELLA VERIFICA, la cui correzione non lascia spazio all’equazione
personale del correttore, ossia all’influenza dei giudizi personali sul valutatore;
ü RAPIDITA’ E FACILITA’ D’USO;
ü RISPARMIO DI TEMPO PER LA VALUTAZIONE, con la possibilità di ‘devolvere’quel
tempo all’individuazione di eventuali percorsi di recupero;
ü SIMULTANEITA’ DELLE MISURAZIONI;
ü RIFERIMENTO A VASTE AREE DI CONTENUTI;
ü INDIVIDUALIZZABILITA’ DEL RECUPERO, se necessario;
ü STIMOLO A UNO STUDIO CONTINUO, se le prove strutturate sono intercalate
regolarmente durante il corso della disciplina di turno;
ü POSSIBILITA’ DI COLLABORAZIONE CON STUDENTI E FRA DOCENTI,
rispettivamente nella fase di revisione (più raramente di produzione) e, invece,
sia di revisione sia di produzione.

5.3 ALCUNE PRECISAZIONI TERMINOLOGICHE


Le prove strutturate:
ü forniscono uno stimolo e una modalità di risposte di tipo chiuso;
ü sono oggettive;
ü sono chiamate ‘test di profitto’ quando finalizzate all’accertamento di conoscenze e
competenze oggetto di studio scolastico; si parla di prove di classe quando costruite
all’interno della situazione scolastica, in classe, per determinare il raggiungimento o
meno da parte studentesca di determinati livelli d’abilità o di specifici temi; le prove
standardizzate, invece, sono quelle messe a punto così da permettere il confronto
con uno specifico universo di studenti (prova normativa; in certi casi, invece, la prova
standardizzataè criteriale, basata dunque su un livello di riferimento identificato
come prestazione-tipo.

5.4 CRITERI PER LA PROGETTAZIONE, COSTRUZIONE E UTILIZZAZIONE


Le prove oggettive risultano di utilità tanto maggiore quanto più si voglia giungere a valutare
determinare prestazioni per un alto numero di studenti e in breve tempo. Per capire come
costruirle,ci aiuta la definizione di prova data da DOMINICI (1993): la prova, secondo lo
studioso, è un artificio impiegato per sollecitare la manifestazione delle abilità, delle
competenze, e simili, possedute o raggiunte dagli alunni; il suo scopo è dunque quello di
cogliere modalità attraverso cui si vanno strutturando certi saperi o di registrarne gli esiti, allo
scopo di esprimere giudizi valutativi sull’efficacia delle attività svolte e di indirizzare
opportunamente le attività svolte. Per costruire unaprova oggettiva, avremo bisogno di mettere
a punto:

ü il TIPO DI STIMOLO (i. e. definire la forma del quesito, es. risposta multipla,
vero/falsoecc.);
ü la STRUTTURAZIONE DELLO STIMOLO (circoscrivere cioè il campo delle possibili
risposte);
ü la SOLUZIONE PREDEFINITA.

5.4.1 STABILIRE LA FINALITA’ DELLA PROVA


Le categorie di finalità della prova sono quattro:

ü D’INGRESSO;
ü DIAGNOSTICHE, per verificare specifiche difficoltà nell’apprendimento e
costruiremirate procedure di recupero;
ü REGOLATIVE DEL PROCESSO (formative), per fornire feedback allo studente e
possibiltà d’intervento al docente;
ü FINALI-CERTIFICATIVE (sommative).

5.4.2 DETERMINARE GLI OBIETTIVI DEI QUESITI


MAGER definisce operativamente un buon obiettivo ben formulato quello che esplicita i
seguentielementi:
ü CHE COSA l’allievo dev’essere in grado di fare per dimostrare di aver
raggiuntoquell’obiettivo;
ü IN QUALI CONDIZIONI l’allievo deve dimostrare di aver raggiunto quell’obiettivo;
ü QUALI INDICATORI/PARAMETRI dobbiamo adottare per correggere/valutare
ilraggiungimento di quell’obiettivo.

5.3.3. SPECIFICARE LA PROVA (SELEZIONE DELLA FORMA DEI QUESITI)


Analizzeremo qui le prove con risposta a scelta predefinita. Le tipologie di prova
sonoessenzialmente quattro:

ü QUESITI VERO/FALSO, che può richiedere l’applicazione di una notevole acribia


linguistico-preoposizionale e quindi logica;
ü QUESITI A SCELTA MULTIPLA, di norma basati su un corpo della domanda e circa
quattro risposte, tutte tranne una finalizzate ad essere distrattori; forme
alternative sono: scelte multiple con riconoscimento dell’esatezza; scelta multipla
con individuazione dellealternative migliori/peggiori; scelta multipla con
classificazione delle alternative;
ü QUESITI A COMPLETAMENTO, costituiti eliminando uno o più elementi da una o più
frasi, fino eventualmente a costituire un vero e proprio testo bucato (nel qual caso, si
parla dicloze-tests);
ü QUESITI A CORRISPONDENZA, che richiedono di stabilire collegamenti fra due o più
serie o elenchi di dati, evidentemente di tipologia diversa.

5.3.4 FORMULARE I QUESITI (ESEMPI E REGOLE PER LA COSTRUZIONE)


Le precauzioni da attuare, quando si costruisce una prova, pertengono al dominio
logico,linguistico-preposizionale e grafico. Alcune norme generali sono le seguenti:
ü evitare consegne complesse, che facciano perdere tempo allo studente rispetto alla
domanda;
ü utilizzare una formulazione linguistica chiara, possibilmente priva di negazione (che
andràcomnque debitamente marcata);
ü non optare per quesiti troppo facili né troppo difficili, essendo sia gli uni sia
gli altriscarsamente rappresentativi;
ü impostare una visualizzazione grafica analoga per ogni quesito.

5.3.5 LA SOMMINISTRAZIONE
Prima di utilizzare la prova di testing somministrandola a degli studenti, è opportuno verificarla.
Alcune questioni da considerare:
ü Gli studenti sono necessariamente motivati a svolgere la prova? E’ importante che lo
siano,in modo che possano dare il peso opportuno alla prova stessa e svolgerla
quindi con impegno;
ü Ci sono istruzioni predefinite, da leggere prima di sottoporsi alla prova? Esse
sononecessarie soprattutto se il gruppo classe non ha mai svolto prima
prove analoghe;
ü In che modo avviene la somministrazione? Ossia, essa è erogata nei confronti
dell’interaclasse o a singoli gruppi?
ü Il somministratore è l’insegnante di classe? Nella massima parte delle situazioni, la
rispostasarà affermativa;
ü Il test è svolto ‘carta e matita’ o a computer? La seconda opzione lascia meno
margine adeventuali tentativi di copiatura;
ü I tempi sono rispettati da tutti? Ciò è essenziale, affinché anche in tal senso
l’obiettività siagarantita.

5.5 DALLA MISURAZIONE ALLA VALUTAZIONE


Quando la verifica è compiuta utilizzando prove strutturate, possiamo utilizzare i punteggi -
cioè irisultati- per attribuire i voti, a patto che:

ü i dati siano raccolti nel rispetto dell’uniformità della somministrazione;


ü non siano intervenute variabili di disturbo nelle diverse fasi valutative;
ü lo strumento di misura, oltre che valido, sia affidabile, cioè permetta di rilevare i
punteggisenza che interferiscano elementi di soggettività;
ü i quesiti poco o mal funzionanti siano stati scartati.

Se i punti in oggetto sono stati rispettati, possiamo assumere che lo strumento permetta una
letturaaffidabile dei risultati. Una fra le potenzialità delle prove strutturate, in effetti, consiste
proprio nelpoter utilizzare standard di riferimento per arrivare alla valutazione.

5.5.1 ANALISI DEI QUESITI


Prima di correggere le risposte ad un test, dobbiamo verificarne l’idoneità complessiva come
strumento di misura (item analysis). Un primo controllo che si compie sui singoli quesiti è il
calcolodell’indice di facoltà/difficoltà: il suo presupposto è che domande (e realtive risposte)
troppo difficili o troppo semplici hanno una scarsa rappresentatività; il livello dei quesiti
dovrebbe essere di difficoltà media. Vediamo un po’ più nello specifico:

ü INDICE DI FACILITA’, proporzione fra numero di studenti che risponde


correttamente(Nc) e numero di studenti (N);
ü INDICE DI DIFFICOLTA’, proporzione fra numero di studenti che risponde
erratamente(Ns) e numero di studenti (N).

Un secondo controllo da operare sui quesiti inerisce al criterio della selettività, dunque della loro
capacità di discriminare gli studenti che vanno bene da quelli che vanno male al totale della prova.

5.5.2 PUNTEGGI E PESI NELLA CORREZIONE


Dopo che sia stato controllata la validità del test come strumento di misura, lo si può utilizzare per
ilcalcolo di punteggi e l’assegnazione di voti. Siamo chiamati a risolvere una delle problematicità
più
frequenti e contestate del testing, cioè la possibile casualità che si annida dietro le risposte. Le
possibilità sono due:

ü calcoliamo le risposte giuste senza omissioni (dunque non togliamo punti per
eventuali risposte non date, invitando preliminarmente a non rispondere a quesiti che
non si sappiano);
ü ‘pesiamo’ le risposte considerando la probabilità del caso.

Diversa, invece, la questione dei pesi da attribuire a diversi tipi di quesito. Da un lato abbiamo
le diverse forme, dall’altro il tipo di obiettivo cui le forme mirano. A tale scopo, o attribuiremo
pesi infunzione della tassonomia degli obiettivi, o assegneremo pesi in funzione del numero di
alternative possibili offerte dal quesito. Per la correzione dei quesiti a risposta preformulata
(chiusa) non si richiede l’intervento di correttori, invece per quella dei quesiti a risposta aperta
sono possibili diversi livelli di complessità. Il punteggio che ricaviamo dalla fase di correzione,
provvisto o privo di calcolo di penalizzazione, si chiama punteggio grezzo: esso sarà la base per
operare una qualsiasicomparazione, in chiave diacronica (riferita al singolo studente o al
rapporto fra gruppi di studenti) oppure sincronica (fra gli studenti o fra gruppi di studenti).

5.5.3 USO DI STANDARD IN UNA PROVA CRITERIALE


Lo standard, livello di accettabilità della performance offerta dallo studente all’interno di una
prova(cut-off score), potrà fare riferimento a:

ü VELOCITA’ D’ESECUZIONE;
ü PRECISIONE NELLA PERFORMANCE (es. restare al di sotto di un numero
prestabilito di passaggi per risolvere determinati problemi);
ü PERCENTUALE DI QUESITI RISOLTI CORRETTAMENTE (tipo di standard
impiegato con più frequenza).

Secondo GRONLUND (1988), una procedura semplice ed efficace è quella di decidere


arbitrariamente gli standard e di aggiustarli in alto o in basso a seconda del contesto.

5.5.4 DESCRIZIONE E UTILIZZAZIONE DEI PUNTEGGI AD UNA PROVA NORMATIVA


Un primo livello di lettura dei risultati a una prova strutturata consiste nella loro descrizione.
Dopo la raccolta dei risultati, è possibile visualizzarne la distribuzione attraverso un grafico a
istogrammi,con le colonnine indicanti quanti studenti abbiano raggiunto quel punteggio. Oltre
a ciò, è poi necessaria una lettura sintetica di quei risultati, che dia le informazioni necessarie a
capire non solocome gli studenti sono andati singolarmente, ma anche rispetto al gruppo e al
gruppo classe in generale: perderemo sì alcune informazioni specifiche sui singoli studenti ma
ne acquisiremo sul gruppo classe in genere.
La gamma è la differenza fra il punteggio minimo e quello massimo, valore di per sé non
particolarmente significativo (ad esempio, potrebbe trarre in inganno se ci fossero
risultatiabbastanza isolati nel gruppo).
Una prima lettura sintetica è la graduatoria, elenco dei punteggi degli studenti dal più basso al
più alto (o viceversa), con la frequenza dei singoli punteggi, cosicché ogni studente possa
visualizzare la propria posizione all’interno del gruppo. In tal senso, è d’uopo convertire i
punteggi grezzi e la graduatoria derivatane in ranghi percentili, indicando dunque la posizione di
ogni studente in un gruppo in termini di percentuale di studenti che abbiano ottenuto risultati
uguali od inferiori. Allo scopo di operare un’ulteriore sintesi, possiamo raggruppare le posizioni
della graduatoria in fasce più o meno ampie (es. in 4 gruppi, dunque in quartili). Per avere
indicazioni più precise sull’andamento complessivo dei punteggi, possiamo invece considerare
la media riportata dalla classe; confrontando la media aritmetica col massimo teorico, si ricava
la percentuale media di facilità. Esiste inoltre il punteggio della deviazione standard, che calcola
la distanza fra ogni valore ed il valore medio. Attraverso i due valori di media (tendenza
centrale) e di deviazione standard (dispersione), possiamo valutare l’andamento complessivo di
un gruppo, dunque l’omogeneità del gruppo e la sua variabilità. In generale, i punteggi di una
prova strutturata sono suscettibili di essereconsiderati omogenei quando la deviazione standard
è contenuta entro il 15/20% della media.

5.5.5 STANDARDIZZAZIONE DEI PUNTEGGI


I punteggi riportati da uno studente ad una prova, se presi individualmente, non hanno un gran
significato; ne assumono uno maggiore, invece, se possiamo confrontare la prestazione con
altre dello stesso studente oppure con quelle del gruppo (eventualmente gruppo-classe) cui lo
studente appartiene. Il confronto non può avvenire utilizzando i punteggi grezzi, giacché essi
risentono del tipo di prova o verifica utilizzata. In altri casi vorremmo invece rapportare il
punteggio degli studenti con una possibile norma, dunque coi risultati di un gruppo ritenuto
statisticamente significativo. Per quanto le competenze matematiche richieste siano spesso al di
fuori della portata delle capacità del docente di scuola, è pensabile comunque che le prove di
classe, dopo opportune messe a punto, possano configurarsi come precisi strumenti di misura.
Per procedere alla standardizzazione di un prova, è necessario seguire operazioni che
garantiscano -come si trattasse diun collaudo- della sua validazione:
ü somministrazione della prova a un gruppo di studenti (try-out, pilot study);
ü correzione e analisi delle domande per l’individuazione dei quesiti da
scartare e/omigliorare;
ü somministrazione a un campione di studenti (try-out, main study)
rappresentativo dellapopolazione cui la prova si rivolge;
ü analisi della distribuzione dei punteggi e individuazione del criterio;
ü messa a punto di un manuale d’uso per le successive somministrazioni e relative analisi.

5.5.6 DAI PUNTEGGI AI VOTI: ALCUNE TRASFORMAZIONI


Per ottenere una qualche forma di valutazione ‘canonica’, spesso abbiamo bisogno di
trasformare ipunteggi ottenuti in una prova strutturata: dobbiamo quindi tradurre su una scala
in decimi o di aggettivi.
In certi casi, quando è frequente l’uso congiunto di più test -anche di diverso tipo-, si ricorre a
forme di rappresentazioni grafiche dette profili. Un sistema per generalizzare i punteggi
ottenuti adun’unica prova è quello di riportarli a possibili fasce di livello, in modo da costruire
contenitori di punteggio che tengano conto dell’andamento medio e della variabilità dei
punteggi, tali da consentire anche una traduzione dei risultati in sistemi di valutazione
tradizionali. Il contenitore di punteggio più utilizzato è quello che deriva dalla distribuzione
pentenaria, dunque una strutturazione in cinque fasce di livello (quella centrale, normalmente
contrassegnata con la lettera C, è la più vicina alla media). All’inizio di una certa qual azione
didattica, è probabile che la disomogeneità dei risultati sia spiccata, laddove al suo termine
essa dovrebbe mancare o risultare comunque modesta; una distribuzione del genere,
decisamente auspicabile, avrebbe una forma a J. In generale, diremo che l’uso di risultati
derivati da prove strutturate è frequente soprattutto in certesituazioni, nelle quali il confronto
con uno standard cui parametrarsi sia possibilmente proficuo: esempi di contesti siffatti sono le
prove nazionali o internazionali. Quando invece, nella prassi didattica della quotidianità, sia
necessario operare una conversione di quei risultati in decimi, oltre che alle formule più
complesse, potremo utilizzarne di più semplici, assumendo -con GATTULLO (1968)- 6 come
media e 1 come valore di deviazione standard.

6. ALTRE FORME DI RILEVAZIONE


In questo capitolo, ci occuperemo delle forme di verifica definite critteriali, che cioè nelle
rilevazioni, misure, interpretazioni dei risultati rimandano a criteri; parleremo di criteri
assoluti serimandano a definiti modelli di adeguatezza delle prestazioni, criteri relativi nel
caso di test strutturati, nei quali il riferimento è a prestazioni di altri studenti o di altri gruppi.

6.1 VALUTAZIONE CONTESTUALIZZATA E ALTERNATIVA AI TEST


Dagli anni ’90 in Italia, e fin da quelli ’80 in molti altri Paesi, il dibattito docimologico ha mosso
una serie di critiche al sistema del testing. In particolare, esso è stato accusato di scarsa
rilevanza rispetto al contesto extrascolastico; rilevazioni più contestualizzate, che richiedono
compiti in situazioni realistiche, con prodotti analizzabili e la possibilità di indagare le forme di
esecuzione sono risultate più funzionali. Sul piano teorico ed epistemologico, GARDNER ha
fornito diversi spunti sulle prove ‘aperte’ e sull’esigenza di promuovere forme d’educazione e
modalità di valutazione più vicine all’apprendistato che non al contesto scolastico tradizionale:
l’idea è dunque quella di fare della scuola uno spazio dedicato alla co-costruzione delle
conoscenze, all’acquisizione delle competenze, allo sviluppo delle ‘diverse intelligenze’. In
effetti, il contesto scolastico e l’istruzione formale nei paesi dell’Occidente industrializzato
focalizzano gran parte degl’insegnamenti sull’intelligenza linguistica e su quella logico-
matematica, sviluppando e accentuando fortemente solo alcune delle intelligenze potenziali in
ogni individuo; anche i test partecipano del meccanismo pregiudicante la formazione delle
‘altre intelligenze’. La critica nei confronti del testing, dunque, non ne investe la validità come
strumento di misura, quanto piuttosto la valorizzazione (negata) rispetto a diverse forme
d’intelligenza. Il punteggio conseguito all’internodi un test – dice GARDNER – predice quale
sarà il livello d’abilità del soggetto nell’affrontare le materie scolastiche, ma non ci consente
affatto di prevederne i risultati rispetto all’esperienza della vita. I voti assegnati nelle prove
aperte, invece, misurano capacità d’integrazione delle conoscenze eprocesso di attivazione
(applicazione, per dirla con Bloom) delle competenze. Le questioni docimologiche dovranno
riguardare due dimensioni, l’esecuzione ed il prodotto:
A. Come descrivere e rilevare il processo, cioè le forme di svolgimento od
esecuzione delcompito richiesto?

B. Come misurare determinati aspetti del prodotto, cioè le forme che può assumere il
risultatodel processo attivato o di alcune sue fasi?
6.2 METODI OSSERVATIVI E INDICATORI
Come sappiamo, gl’indicatori sono elementi o variabili di significativa centralità per l’analisi o la
classificazione di un dato fenomeno. Tipicamente, nel campo scolastico, gl’indicatori fissano gli
elementi da considerare nella valutazione, ma non offrono esplicitazione alcuna intorno alla
loro ampiezza, dunque si prestano ad ampia interpetazione, soprattutto se non sono frutto di
un accordoe quindi individualmente maturati; sarà meno probabile, comunque, che essi diano
luogo troppo influenzate dalla soggettività, allorquando siano impiegati dopo una fase di
addestramento comune.Per utilizzarli correttamente in misurazioni valutative di tipo ‘aperto’,
ci porremo i seguenti problemi docimologici:
ü definizione dell’ampiezza/costrutto dell’abilità da valutare;
ü selezione o campionatura degli indicatori possibili;
ü scelta dell’ampiezza e della ripartizione della scala di punteggi o voti da considerare;
ü previsione dell’uso di aggettivi o espressione per marcare le singole fasce dei valori di
scala;
ü utilizzo collegiale dele schede per addestrarsi al loro uso misurativo.
Per la quantificazione e gradazione nella rilevazione, si possono usare scale nominali od
ordinali,per quanto talora insufficienti. In generale, l’attribuzione dei pesi dovrebbe
considerare il livello scolastico e la fase della didattica in cui ci si trova.

6.2.2 OSSERVAZIONI SISTEMATICHE


Gl’indicatori sono largamente usati nei metodi osservativi. Ad esempio, nelle schede di
valutazionedella scuola dell’obbligo, i docenti devono avvalersi -oltre che di misurazioni ‘carta e
matita’- proprio delle osservazioni sistematiche condotte nel contesto di svolgimento
dell’attività didattica. L’osservazione sistematica, tuttavia, può anche dar luogo ad alcune
distorsioni:

ü relativa agli studenti osservati (che, sapendo di esserlo, potrebbero comportasi in


maniera‘innaturale’ rispetto ai loro standard);
ü legata alla soggettività e alle convinzioni pregresse degli osservatori;
ü ascrivibili alla presa in diretta o in differita dell’osservazione (sia durante che
dopopotrebbero intervenire elementi di disturbo);
ü connesse più in generale al contesto entro cui l’osservazione si svolge.

6.2.3 DIMENSIONI DA TENERE SOTTO CONTROLLO


Le dimensioni che entrano in gioco nelle osservazioni strutturate sono numerose, e vanno
tenute sotto controllo; esse riguardano le eventuali istruzioni assegnate regolanti la prestazione
sottoposta arilievo, la chiarezza negl’indicatori che guidano l’osservazione, la forma di
registrazione, la figura el’interferenza dell’osservatore. Quanto più le istruzioni sono chiare,
tanto più in fase valutativa potremmo considerare alcuni comportamenti più efficaci; quanto più
le modalità d’esecuzione vengono lasciate libere, tanto più dovremo concentrare l’attenzione
sul solo prodotto finale. Un momento di grande importanza è poi l’individuazione
degl’indicatori, cioè del ‘che cosa’ mettere a fuoco tramite l’osservazione, in quanto essa
determina fortemente il grado di validità e affidabilità della rilevazione: quanto più l’indicatore
viene esplicitato in termini di descrittori da sottoporre a osservazione, tanto più il grado di
precisione e l’affidabilità della rilevazione sono garantiti.

6.2.4 ADDESTRARSI ALLA COSTRUZIONE DI STRUMENTI ‘OSSERVATIVI’


Affinché i risultati possano essere considerati affidabili, è necessaria una fase di addestramento o
formazione preliminare per gl’insegnanti. Tale momento deve articolarsi in una serie di fasi o stadi:

ü raggiungimento di un iniziale accordo circa le finalità dell’osservazione;


ü identificazione degl’indicatori da utilizzare e di un sistema di codifica (i. e. una
scala dimisura);
ü costituzione collegiale dello strumento finalizzato alla rilevazione;
ü verifica dell’accordo intersoggettivo nell’uso dello strumento ed eventuale
revisionedegl’indicatori e del sistema di codifica.

6.3 DESCRITTORI E RILEVAZIONE DELLE COMPETENZE


I descrittori offrono un’esplicitazione degli indicatori, e sono importanti affinché una data
competenza possa essere misurata. Ogni insegnante, o gruppo d’insegnanti, può costruirne le
liste eutilizzarle con i relativi indicatori allo scopo della valutazione; bisognerà prestare
attenzione alle modalità di definizione utilizzate e dunque alla loro individuazione, affinché
possano conferire un alto grado di affidabilità alla rilevazione svolta sulle sue basi.

6.3.1 L’ELABORAZIONE DEI DESCRITTORI


Per costruire i descrittori, si possono seguire essenzialmente due strade: o definire
teoricamente ledimensioni fondamentali, o esemplificare a partire da prestazioni
effettivamente rilevate. Per edificare i costruttori del QRE, sono stati utilizzati metodi diversi:

ü METODI INTUITIVI: approccio legato all’esperienza di diversi ‘esperti’ del settore


specifico o della competenza che dev’essere valutata; la costruzione avverrà
dunque sullabase dell’esperienza pregressa maturata dai soggetti coinvolti;

ü METODI QUALITATIVI: si procede prima ad una raccolta sistematica di dati per


definireche cosa si vuole valutare, poi si campionano i diversi descrittori rispetto alle
prestazioni e si procede a confronti di merito;

ü METODI QUANTITATIVI: si costruiscono i descrittori tramite analisi statistiche,


studiando in che modo gl’insegnanti li mettono in scala e li calibrano.

A prescindere dal metodo, per una valida e affidabile definizione di criteri è indispensabile che:
A. la descrizione delle abilità e competenze obiettivo sia collegialmente condivisa;
B. i descrittori dell’apprendimento siano campioni significativi delle abilità e
competenzeobiettivo;
C. la fase di rilevazione e misurazione guidata dai descrittori poggi su verifiche
coerenti esignificative;
D. l’espressione del giudizio sia coerente con l’uso dei descrittori.

6.3.2 LA VALUTAZIONE DELL’ORALE: MODALITA’ DI CONDUZIONE E GRIGLIE


Nel delicato momento di valutare le interrogazioni e in generale i momenti di contesti formali
implicanti le dimensioni dell’ascolto e del parlato, è d’uopo ricorrere a una metodologia che
utilizzidescrittori e criteri specifici. Il risultato, comunque, oltre che dalle modalità di conduzione
del colloquio e dalla relativa strumentazione adoperata, dipenderà fortemente anche dal tipo
d’interazione che verrà a stabilirsi fra esaminatore ed esaminato: il ruolo del primo, infatti,
dovrà essere regolato sin dall’inizio rispetto a limiti e modalità d’intervento. Di conseguenza,
assume particolare importanza la preparazione del contesto della prova e la sua gestione. I
docenti sono dunque chiamati a preparare un’autentica competenza interrogativa, instillando
pratiche di didatticadel parlato che risulteranno molto utili agli studenti, anche all’interno del
mondo del lavoro. Dal momento che la peculiarità delle prove orali è il fatto che, al loro
interno, le risposte vengono fornite in presa diretta -ciò che ne costituisce peraltro il vantaggio
rispetto alle prove scritte-, occorrerà prestare attenzione a formulare domande di qualità e a
impostare un’interazione comunicativa di livello. Come ricorda DOMINICI, dovremo tra l’altro:

ü chiarire preliminarmente tema e scopo del colloquio;


ü partire da una domanda di media genericità;
ü ascoltare con piglio vigile ma affabile;
ü evitare gesti o segni non linguistici di disapprovazione;
ü non lasciare pause troppo lunghe, se lo studente non riesce a completare la sua risposta;
ü non bloccare sul nascere eventuali divagazioni, attendendo che lo studente torni
da soloentro i binari corretti della conversazione;
ü evitare d’insistere eccessivamente su questioni consimili o addirittura uguali.

6.4 LA ‘CORREZIONE’ DI ELABORATI SCRITTI ATTRAVERSO DIMENSIONE/TRATTI


La correzione di prove scritte semistrutturate richiede di ragionare su più livelli, laddove la loro
costruzione risulta più semplice rispetto alle prove strutturate. I problemi sono soprattutto
legati in particolare all’affidabilità della misura, come ben evidenziato dalle procedure messe in
atto nell’indagine IEA svolta a metà degli anni ’80 per valutare le competenze di scritttura degli
studentiitaliani a quattro diversi stadi del loro percorso didattico (quinta elementare, terza
media, seconda e quinta superiore). Il primo problema era connesso alla validità della
misurazione, dunque alla scelta delle prove rilevanti per saggiare le capacità scrittorie dei
valutati; una seconda, ben più impegnativa dimensione problematica è invece stata legata alla
necessità di raggiungere un’alta soglia di affidabilità rispetto alla correzione degli elaborati.

6.4.1 ISTRUZIONI, DIMENSIONI, CRITERI


Uno scoglio cui prestare attenzione è intanto la formulazione delle istruzioni o tracce, che,
rispettoalla prova, devono stabilire chiaramente:

ü scopo;
ü destinatario;
ü contenuto;
ü tipo di testo;
ü limiti spazio/temporali.

La chiarezza e la completezza delle istruzioni sono importanti sia per presentare le coordinate
generali entro cui la correzione dovrà avvenire, sia per mostrare agli studenti i criteri cui la
valutazione si atterrà di più (es. bisognerà centrare la richiesta su un’unica problematica da
affrontare, evitando dettagli secondari e ricorrendo a un linguaggio adatto al pubblico cui ci si
rivolge). La valutazione dovrà attenersi a due distinti livelli:

ü VALUTAZIONE GLOBALE (olistica), basata su una prima impressione di lettura


dell’eleaborato (in quanto il totale di una prova non coincide con la somma delle sue
singoleparti, che dunque per il momento potranno essere tralasciate);

ü VALUTAZIONE ANALITICA (per tratti o dimensioni), che individua invece gli aspetti
specifici tramite indicatori e relativi descrittori di grande precisione.
Nondimeno, sarà sempre necessaria una fase preliminare di lavoro e discussione collegiali,
rispettoall’impiego delle griglie di valutazione, affinché le stesse possano essere maneggiate
con sicurezzaed ottemperino al compito più specificamente loro proprio, cioè quello di
restringere le differenze valutative che emergono fra esaminatori diversi.

6.4.2 ADDESTRARSI ALLA VALUTAZIONE COLLEGIALE


Una chiara dimostrazione dell’importanza di una fase preliminare di lavoro e discussione collettivi
delle pratiche valutative in esame, fu offerta già da Pieron nell’ambito delle sue indagini
docimologiche sugli esami di baccalaureato nel sistema scolastico francese degli anni ’20.
Lucisano, in effetti, precisa che anche nell’attuale contesto italiano le differenze fra insegnanti
(anche esperti) possono condurre ad un alto grado di divergenza rispetto alle medesime prove
corrette; un esempio è offerto dalle valutazioni fornite ad una stessa prova di riassunto, in cui
solo il40% dei 40 insegnanti totali ha dimostrato accordo su un unico voto, mentre se
consideriamo un range di due voti, la percentuale sale al 70%. Ciò dimostra che, senza un
opportuno piano di addestramento e formazione dei correttori, si rischia fortemente di
mantenere invariate le distanze digiudizio ‘tradizionali’: per quanto sia impensabile che la
totalità dei correttori converga su un unico valore, si potrà comunque procedere a un
ridimensionamento degli scarti, tipicamente attorno a due soli valori. Come s’imposta una
sessione di formazione alla valutazione di prove scritte semistrutturate?
ü preparazione di un manuale di valutazione o schede di lavoro, con la
contestualeindividuazione di elaborati modello (benchmark composition);
ü momento iniziale per condividere le finalità e modalità di lavoro;
ü predisposizione di piccoli gruppi di lavoro con conduttore/moderatore, che riporterà
su di uncartellone i diversi giudizi numerici dati dai singoli componenti dei vari gruppi;
ü discussione dei valori riportati e trascritti;
ü ripetere le operazioni per almeno 6 set di elaborati modello;
ü far esercitare autonomamente i correttori fra una seduta e un’altra, chiedendo loro di
riferiredelle valutazioni fornite all’inizio della seduta successiva.

Quando uno svolgimento così complesso non risulti possibile, sarà comunque necessario
almenoche si definiscano:
ü la scala di misura (a tre valori -insufficiente/sufficiente/buono), a cinque, a dieci);
ü gli indicatori, dunque il ‘che cosa’ si valuta, e i rispettivi descrittori.

6.5 VERIFICA DELLE PRESTAZIONI E COSTRUZIONE DELLE CONOSCENZE


DAVIS (1998) ha recentemente formulato una serrata critica nei confronti del sistema
scolastico anglo-gallese e del suo spregiudicato ricorso ai sistemi di testing. Le sue accuse, dal
punto di vistadocimologico, ci permettono fra l’altro di differenziare tra loro i saperi
concettuali e i saperi applicati: questi ultimi, evidentemente, pongono l’accento sulla loro
spendibilità concreta nel mondo esterno.

6.5.1 LE MAPPE CONCETTUALI


I due massimi teorici di questo comunissimo strumento di studio sono NOWAK e GOWIN. Essi
ipotizziano che, nei diversi percorsi d’apprendimento, un momento centrale sia quello di
collegare le informazioni, costruendo reti di conoscenza (un esempio di rilievo, in tale
prospettiva, è quello della lettura, che ci costringe dapprima a considerare le singole stringhe di
caratteri, poi a valutarneil peso nell’economia globale del brano un cui esse sono inserite,
cogliendo il senso generale). Le mappe si configurano quindi come modalità di
rappresentazione che richiedono di schematizzare quanto è stato capito od imparato. Oltre a
costituire un formidabile strumento didattico per lo studioindividuale o di gruppo, le mappe
concettuali possono essere utilizzate anche per valutare i diversi livelli di sintesi e integrazione
delle conoscenze. Per valutare le mappe concettuali, è possibile ricorrere a diversi sistemi, che
hanno criteri diversi per definire il peso da assegnare alle singole fasie dimensioni considerate.
Una possibilità è quella di assegnare un punteggio a tutte le relazioni intessute, eventualmente
premiando quelle trasversali.

6.5.2 IL DIAGRAMMA A ‘V’ DI GOWIN


Quando, anziché consdierare il rapporto e collegamento fra concetti, vogliamo ponderare la
capacitàdegli studenti di comprendere una procedura, risolvere un problema o seguire una
procedura di laboratorio, necessitiamo di uno strumento che ci consenta di schematizzare la
produzione delle conoscenze in situazioni pratiche. GOWIN sperimentò negli anni ’70 il
diagramma cosiddetto a V, utile a riflettere sulla natura della conoscenza e sul processo della
sua costruzione. Al centro del diagramma a V riportiamo le domande focali, cioè i problemi
attorno a cui si svolge l’indagine; alla punta c’è il fenomeno in analisi; a sx. il versante teorico-
concettuale (principi e strutture concettuali del fenomeno analizzato); a dx. il versante
metodologico (asserzioni di conoscenza e interpretazioni alla luce delle registrazioni condotte).
E’ chiaro che la relazione fra i due versanti dev’essere interattiva e sistematica.

6.6 PORTFOLIO E VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE


ARTER e SPANDEL definiscono il portfolio come raccolta significativa dei lavori di uno studente,
volta a testimoniare la storia degli sforzi, dei progressi e dei risultati raggiunti in una o più aree.
A tale scopo è dunque indispensabile il contributo dello studente, che è chiamato a partecipare
alla scelta dei contenuti, ad adottare quindi criteri di giudizio e ad autoriflettere su determinati
aspetti della propria esperienza. La parola è stata ripresa dal campo delle discipline artistiche e
deriva dall’italiano ‘portafoglio’; nel campo scolastico, fa riferimento alla cartella contenente
una selezione delle diverse prove svolte dagli allievi nel corso di un certo itinerario formativo e
allestitasulla base di criteri specifici. Il portfolio è costruito nel mentre del processo formativo, e
può includere sia valutazioni sullo studente fornite dal docente, sia autovalutazioni effettuate
dallo studente stesso. In generale, esso:

ü si riferisce al programma d’istruzione condotto in classe;


ü ha a disposizione testimonianze provenienti da una molteplicità di attività e
prestazioni eda diversi punti di vista;
ü riflette gli standard della classe, non si riferisce ad una norma specifica.

In Italia, dove ha cominciato a diffondersi dagli anni ’90 circa, è noto anche coi nomi di
‘fascicolopersonale’, ‘portfolio studente’, ‘portafoglio formativo progressivo’. Alcune delle
forme che il portfolio di valutazione può assumere sono le seguenti tre:

ü portfolio di lavoro, che raccoglie i lavori fatti relativamente alle specifiche differenze;
ü portfolio di presentazione, che appunto presenta i lavori migliori,
modificandosi infunzione dei propri destinatari;
ü portfolio di valutazione, che documenta il percorso formativo, raccogliendo sia i
singolilavori degli studenti, sia eventuali spunti di riflessione da essi maturati.

L’utilità e l’importanza docimologiche del portfolio derivano, tra l’altro, dal suo essere una
valutazione autentica, dunque configurata sulla base di meccanismi e procedure
eventualmente spendibili anche al di fuori del mero ambiente scolastico. Un consiglio
importante, per costruire unportfolio di spessore, sarà quello di prevedere un certo numero di
prove ‘fisse’, per importanza e qualità, da inserire al suo interno, stabilendo che invece un’altra
determinata quantità possa essere di natura facoltativa, a discrezione cioè dello studente.
M. CASTOLDI - DIDATTICA GENERALE (NO PARTE IV)

PARTE PRIMA

1. DIDATTICA
La didattica, termine che trae origine dalla radice indoeuropea dak ‘mostrare’, è una disciplina
molto antica, che si è rinnovata parecchio durante gli ultimi decenni. La sua formalizzazione
comesapere autonomo risale al secolo XVII e va ascritta a Comenio, secondo cui tutto può
essere insegnato a tutte le età. In generale, le tendenze della didattica si modificano di pari
passo con l’ evolversi delle stagioni culturali: ad esempio, nell’ Italia dell’ idealismo
primonovecentesco, essa venne di fatto negata, costretta come fu a stemperarsi nella
pedagogia, nel senso che la formazione degli insegnanti fu identificata con la loro preparazione
culturale e umana, senza la necessità di tecnicismi né di formalizzazioni preventive.
I cambiamenti occorsi nei decenni scorsi sono stati, come accennato sopra, davvero imponenti.
Anzitutto, occorre sottolineare l’ estensione di campo della didattica, non più circoscritta alla
scuola ma estesasi anche ad altri campi dell’ educazione informale, dallo scoutismo allo sport.
Ne consegue che parlare oggi di ‘didattica’ è troppo generalista, nel senso che bisogna
specificare a quale campo si rapporta la disciplina. Nel campo propriamente scolastico, poi, si è
registrata una specificazione dell’ oggetto della didattica in relazione alle diverse materie; così,
accanto a una didattica scolastica generale, hanno proliferato le didattiche più particolari, da
quella dell’ italianoa quella della geografia. Sono emerse, ancora, nuove metodologie
didattiche, accomunate da un approccio meno dogmatico e più flessibile, senza più l’ illusione
che esista un modello di didatticauniversale e nella consapevolezza, piuttosto, che le singole
proposte devono essere calibrate nei vari contesti disciplinari. Alla luce di tutto ciò, è stata
investita di luce nuova la didattica stessa generalmente intesa, considerata cioè dal punto di
vista del suo statuto discplinare. Gli elementi caratterizzanti di una disciplina scientifica sono l’
oggetto di studio e il metodo d’ approccio trascelto. Nel caso della didattica, il primo compito
sarà quello di posizionarla entro le c.d. scienzedell’ educazione. LAENG classifica le discipline
afferenti al campo educativo in tre categorie:

1. discipline rilevative, cioè saperi che si occupano d’ indagare l’ evento educativo


nelle suedimensioni costitutive, così da migliorarne la comprensione; forniscono
quindi chiavi di lettura utili ad analizzare l’ evento educativo. Ne è un esempio l’
antropologia educativa;
2. discipline prescrittive, saperi orientati alla comprensione del sistema valoriale
entro cuiidentificare i traguardi formativi cui è mirato l’ evento educativo (es. di
traguardo
formativo: acquisizione dell’ idea di cittadino). Vi appartiene, tra le altre, la filosofia
educativa;
3. discipline operative, collocate fra l’ ‘essere’ e il ‘dover essere’ dei due precedenti
gruppi, perché cercano di rispondere alla domanda: come educare? Come la
docimologia, anche ladidattica generale pertiene a questo campo.

Se il raggio d’ azione proprio della didattica generale è dunque quello del ‘come educare’, il
suo oggetto consiste nell’ azione d’ insegnamento, dunque nell’ azione formativa erogata a
scuola inmaniera sistematica e intenzionale. Quella impartita a scuola è dunque un’
educazione formale,proprio perché soddisfa sia il parametro della sistematicità, sia quello
dell’ intenzionalità; l’educazione familiare è informale perché, pur non essendo sistematica,
risulta intenzionale; l’educazione non formale, cioè l’ insieme di eventi della realtà sociale
aventi una valenza educativa(es. mass media), non possiede nessuno dei due criteri suddetti.
Concentrandoci ora sulla didattica formale erogata a scuola, diremo che l’ azione d’
insegnamentoè una relazione educativa finalizzata all’ apprendimento di un dato patrimonio
culturale, situata inun certo contesto istituzionale. L’ evento didattico può essere osservato da
più punti di vista:

1. una dimensione relazionale-comunicativa, attenta alla dinamica relazionale attiva fra


insegnante e alunni e alla comunicazione che dunque avviene: quale stile di
conduzione hal’ insegnante? Quale clima relaziona egli instaura in classe?
2. una dimensione metodologico-didattica, incentrata sulle modalità con cui l’
insegnanteattua la trasmissione del patrimonio culturale: quali metodologie
utilizza l’ insegnante?
3. una dimensione organizzativa, preposta a organizzare l’ ambiente formativo
entro cuierogare l’ azione didattica: com’ è strutturata l’ aula? Come sono
organizzate le tempistiche?

A conti fatti, la didattica si configura come ricerca sull’ insegnamento, definizione utile a
contemperare il metodo utilizzato dalla disciplina (comprensione più che regolamentazione)
e ilsuo oggetto di studio. Oggi, in conseguenza di ciò, la didattica è vista più come un sapere
con gliinsegnanti anziché per gli insegnanti. A differenza della prospettiva tradizionale,
dunque, la didattica trova negli insegnanti una fonte essenziale del proprio sapere,
funzionalizzando il ricercatore non come attore unico del processo di produzione della
didattica bensì come co- attore, come partner, dell’ insegnante (ruolo paritetico).

2. RICERCA
Laddove la didattica tradizionale si basava su un rapporto gerarchico fra teoria e azione e il
compito dell’ insegnante era essenzialmente esecutivo, nella nuova didattica teoria e azione
intrattengono un rapporto circolare o esecutivo. La sfiducia verso i modelli universali, invece,
deriva soprattutto dalla constatazione che qualsiasi proposta deve essere calibrata e verificata
all’ interno di un contesto specifico. Tale visione della didattica deriva soprattutto dall’
epistemologia propugnata da SCHOEN e richiede di distinguere due paradigmi conoscitivi: la
razionalità tecnica ela riflessività. La prima, derivato dell’ epistemologia del Positivismo,
asserisce che la conoscenza può essere definita significativa solo se validata da un’
osservazione empirica, il che richiede agli operatori soltanto di applicare per via sistematica le
generalizzazioni partorite dalla ricerca. Poichéun approccio siffatto faticherà a imporsi e
soprattutto a funzionare in situazioni complesse, ambigue o conflittuali, SCHOEN propone il
concetto della riflessione in azione, processo di pensiero che si attua nel corso dell’ azione
stessa: occorre quindi attribuire significato in tempo reale a ciò che si fa, modificando mezzi e
fini in rapporto al contesto di turno. Ciò avvicina notevolmente, malgrado siano forieri di
logiche euristiche differenti, il ruolo dell’ insegnante e quello del ricercatore. Dalla riflessione
di Schoen emerge il carattere pratico del sapere didattico ela sua natura prevalentemente
tacita, ossia interna all’ azione del docente. In quanto ‘professionista riflessivo’, l’ insegnante si
gioca la sua professionalità nel passaggio da un sapere pratico a un sapere esplicito. Il
ricercatore, e astrattamente la didattica, avranno il compito di aiutare l’ insegnante a
realizzare ciò, soprattutto assistendolo nel rendere comunicabile il propriosapere. La ricerca si
collocherà perciò tra teoria e pratica, ponendo la didattica a servizio dell’ azione. CALIDONI
presenta tre visioni della ricerca didattica, esplorando il rapporto tra azione d’ insegnamento e
riflessione didattica:

1. la visione grammaticale sottolinea la funzione regolativa affidata alla didattica in


rapportoall’ azione d’ insegnamento, come la grammatica propone un modello d’
uso della lingua cui attenersi nelle situazioni concrete; ha come azione-chiave quella
di guidare e utilizza come proprio dispositivo soprattutto le guide;

2. la visione sintattica rimarca la funzione esplicativa affidata alla didattica in


rapporto all’azione d’ insegnamento, come la sintassi analizza i meccanismi di
funzionamento del codice linguistico; ha come azione-chiave quella di guidare e
utilizza come proprio dispositivo soprattutto i modelli;

3. la visione semantica evidenzia la funzione narrativa assegnata alla didattica in


rapporto all’ azione d’ insegnamento, come la semantica analizza la funzione
assegnata ai simboli componenti il codice linguistico; ha come azione-chiave quella di
raccontare e utilizza comeproprio dispositivo soprattutto le storie.

Ne deriva una serie di stati tensionali fra poli di opposta collocazione logica:
• nomotetico (prospettiva di un modello teorico prescrittivo, dato dall’ accomunarsi
deiprocessi reali) vs idiografico (prospettiva del processo educativo come evento
unico eirripetibile);
• analitico (prospettiva delle singole componenti elementari) vs globale
(prospettivasistemica e complessiva);
• tecnico (prospettiva della costruzione di un modello come insieme di variabili con
cuileggere la realtà) vs relazionale (prospettiva del processo educativo all’ interno
di unadinamica relazionale fra oggetti);
• descrittivo (strumento funzionale a una rappresentazione sistematica dell’ oggetto
osservato) vs pragmatico (azioni didattiche da intendersi non in senso astratto,
bensì sempre orientate a scopi e intenzionalità che conferiscono significato alle
azioni stesse);
• statico (prospettiva di fotografare il reale) vs dinamico (processo educativo assunto
nellasua dimensione evolutiva e di sviluppo).

3. INNOVAZIONE
L’ innovazione è legata a doppio filo alla didattica in quanto ricerca sull’ insegnamento:
essendoessa svolta con gli insegnanti, necessariamente sfocia nell’ azione e diventa
strumento per la gestione del cambiamento, anche in ambito didattico. In particolare, dalla
metà degli anni Settanta, si è avviata una stagione di riflessione sul cambiamento come
processo di reciproco apprendimento fra individui e contesto d’ azione. Scurati definisce la
fase in oggetto come ‘momento antropologico’, a sottolineare la rilevanza assunta dal
soggetto e dai concetti di dialogo,comunicazione e apprendimento. La stessa tensione che
aveva caratterizzato la riflessione
precedente sull’ innovazione si stempera a favore di categorie descrittive e interpretative. Tale
ambito di riflessione si caratterizza per la ricorrenza di alcuni principi di fondo:

1. intrinseca storicità del processo di cambiamento. Di esso, secondo QUAGLINO, sono


formediverse progetto e processo, differenziate fra loro dalla variabile ‘tempo’, che il
primo riduce a poche righe e condensa profondamente;
2. soggettività di colui che è responsabile dell’ azione, come punto di
connessione fraintenzione progettuale e processi reali;
3. contestualità, ossia comprensione del significato dell’ innovazione in rapporto allo
specificocontesto ambientale in cui è inserita;
4. globalità, ossia il coinvolgimento nell’ evento trasformativo del sistema organizzativo
nellasua complessità;
5. reciprocità come tratto essenziale della riflessione sull’ innovazione, ossia
bidirezionalitàdei suoi effetti fra scuola e ambiente esterno;
6. riflessività come condizione richiesta alle strutture di comunicazione componenti il
sistemaorganizzativo per apprendere della propria esperienza.

I criteri che regolano un’ innovazione efficace sono quindi i seguenti:


1. contrattualità: i soggetti coinvolti nel piano di miglioramento devono operare
in unmandato chiaro e articolato;
2. gradualità: l’ azione migliorativa può essere pensata solo in termini di
estensioneprogressiva;
3. condivisione;
4. negoziazione: occorre valorizzare e rispettare la pluralità delle posizioni e delle
opinioni,entro un processo dialogico di costruzione comune di significati e
decisioni;
5. supporto: un processo innovativo richiede sempre di essere guidato e sostenuto da
chi sene fa promotore;
6. praticità: non limitarsi a indirizzi strategici generici, ma identificare chiaramente le
azionida compiere;
7. rivedibilità: il processo migliorativo non può essere fissato una volta per tutte,
bensìrichiede di essere precisato e riformulato in corso d’ opera.

Nello sviluppo di un processo di cambiamento, il momento della ricerca costituisce


un’opportunitàd’ apprendimento. Possiamo concettualizzare i rapporti fra ricerca e
miglioramento in base a tre prospettive:
1. ricerca sul miglioramento: l’ attività di ricerca non determina o produce il
cambiamento,bensì fornisce un feed-back utile alla sua gestione;
2. ricerca per il miglioramento: l’ attività di ricerca innesca il processo di
cambiamento, in quanto passo preliminare utile a predisporre le condizioni di
realizzabilità e a guidare l’azione innovativa;
3. ricerca come miglioramento: l’ attività di ricerca s’ identifica col processo di
cambiamento,in quanto riflette e produce comportamenti professionali e modalità di
lavoro improntate all’ autorinnovamento.

E’ in quest’ ultima prospettiva che si colloca il paradigma della ricerca/azione che, a partire dagli
anni Settanta, ha incontrato una fortuna crescente anche nel nostro Paese, sulla scorta dei
risultatiemergenti dalle scuole francofona e anglofona. La ricerca/azione (R/A), scrive
MASTROMARINO, è un tipo di ricerca sociale applicata, diversa dalle altre perché vi partecipano
attivamente tanto ricercatori quanto operatori sul campo. E’ dunque, aggiunge POURTOIS, un
tipo di ricerca che tende all’ azione, e che mira pertanto a cogliere l’ applicabilità dei dati in
contesti reali. Un secondo aspetto è legato al coinvolgimento paritetico di ricercatori e
operatori, essendo la lorocompresenza necessaria affinché si captino meglio i problemi
professionali. Un terzo aspetto inerisce alle metodologie d’ indagine, propense ad appoggiarsi a
un paradigma fenomenologico equalitativo, in base a cui il ricercatore non fa ricerca ma è in
ricerca.

4. DOCUMENTAZIONE
La centralità della documentazione nel sapere didattico trae origine dall’ idea di ricerca
presentatasopra: se la ricerca didattica si qualifica come opportunità di rielaborazione dell’
esperienza dell’ insegnamento, allora diventa decisivo possedere un linguaggio per esprimere
tale esperienza. La documentazione serve proprio a dire l’ azione e, raffreddandola, a
trasformarla in documento, suscettibile di essere conservato e capitalizzato, dunque di fornire
materia prima alla costituzione di una memoria. Quanto è possibile tesaurizzare un’ esperienza
didattica? Come riuscire a renderne la ricchezza con parole o altri simboli? Tale sfida si presenta
per qualsiasi forma di saperepratico: l’ azione, infatti, si svolge in un contesto e instaura una
relazione complessa e articolata con tutti gli elementi che compongono quello stesso contesto;
com’ è possibile restituire questa complessità tramite una stringa di parole, un linguaggio che
inevitabile deve riportare tale
esperienza in forma lineare, sotto forma di sequenza verbale? Nel caso dell’ azione didattica,
svolgendosi essa nella forma di una relazione e dunque di un evento complesso e
pluridirezionale, questa problematica è ancora più grave e difficile a risolversi. Si tratta quindi di
trasformare il fare nel dire, di rendere dicibile l’ azione senza perdere la sua ricchezza e la sua
complessità. Nella storia della pedagogia, sono stati esperiti svariati tentativi di raccontare l’
azione, a partire per esempio dai c.d. romanzi pedagogici e al loro tentativo di restituire un
modello educativo tramite ilracconto di un’ esperienza singolare ed emblematica. Tuttavia,
dobbiamo anche registrare che la cultura scolastica non ha mai curato granché la
documentazione della propria esperienza didattica,o meglio lo ha fatto privilegiando un’ ottica
amministrativo-burocratica anziché professionale. Le prime immagini associate alla
‘documentazione’, da parte degli insegnanti, sono quelle del registro, della pagella, del fascicolo
personale. Quali sono le radici di questo generalizzato disinteresse? In primo luogo, dobbiamo
menzionare la tendenza alla devalorizzazione dell’esperienza e della sua ricchezza, pensando all’
azione come a qualcosa d’ imperfetto a confronto con la purezza del modello didattico.
Contribuisce anche la deformazione dell’ impiego burocraticodella documentazione, che viene
considerata alla stregua di un mero adempimento. Questi segnaliconfermano che, nella cultura
scolastica, è quasi del tutto assente una documentazione professionale, utile a comunicare le
esperienze didattiche fra insegnanti e a trasferirle in altri contesti. Il summenzionato e auspicato
connubio fra ricerca e azione, del resto, riconosce proprio alla documentazione un ruolo d’
intersezione e d’ interfaccia fra i due momenti del lavoro didattico.
Messi a fuoco i significati della documentazione, occorre spostare l’ attenzione sul come
documentare. Anzitutto, occorre menzionare alcuni criteri ordinatori con cui classificare le diverse
forme:

1. le funzioni della documentazione: regolativa, nel senso di puntare a indirizzare l’


azionedell’ insegnante; esplicativa, nel senso di mirare a fornire chiavi di lettura
per la comprensione dell’ esperienza didattica; narrativa, nel senso di tendere a
raccontare l’ esperienza e i suoi significati;

2. distinguere le fasi temporali presenti in qualsiasi azione, e dunque anche nell’


insegnamento: fase ex ante, preparatoria dell’ azione stessa, volta all’ anticipazione
dell’ azione; fase contestuale, parallela allo svolgimento dell’ azione; fase ex post,
successiva all’azione, tesa a riscostruirne il percorso e ad apprezzarne o meno i
risultati. Possiamo pensare a fasi di documentazione per ognuno di questi tre
momenti, a seconda che
precedano, accompagnino o seguano lo svolgimento dell’ azione didattica;

FASE REGOLATIVA ESPLICATIVA NARRATIVA


TEMPORALE/FUNZIONE
PRIMA PIANI TEORIE SIMULAZIONI
DURANTE CRITERI DI QUALITA’ CATEGORIE D’ ANALISI PROTOCOLLI
OSSERVATIVI
DOPO PROTOTIPI TIPOLOGIE DIARI DI BORDO
DIDATTICHE

I piani sono una forma di documentazione precedente all’ azione e con scopo regolativo;
possonoassumere forme molto varie, ma in generale si caratterizzano per il fatto che cercano di
anticiparelo sviluppo di un percorso didattico, allo scopo di poterne gestire più attentamente l’
azione.
Occorre individuare gli elementi di quest’ ultima e mettere quindi in relazioni mezzi e fini.
I cirteri di qualità, che accompagnano l’ azione con scopo regolativo, sono tentativi di criteriologia,
volti a formalizzare una certa idea d’ insegnamento e a orientare sulla sua base l’ azione didattica
(esplicitazione dei principi ispiratori).
I prototipi sono resoconti strutturati dell’ azione, seguono ad essa e si configurano come idealtipi
acui conformare l’ azione. Si tratta dunque di simulacri dell’ azione didattica, elaborati sulla base
di esperienze reali e miranti a proporre un modello su cui sviluppare tentativi di trasferimento e
adattamento.
Le teorie precedono l’ azione e hanno un ruolo esplicativo; precedono l’ azione perché sono
modelli mentali. Formalizzano l’ azione e generalizzano la prassi per fornire gli strumenti
perinterpretare le azioni che si producono.
Le categorie d’ analisi sono forme di documentazione che accompagnano l’ azione e cercano di
facilitarne la lettura. Dànno chiavi di lettura per lo svolgimento dell’ azione. A differenza dei
criteridi qualità, non hanno alcun aspetto di caratterizzazione valoriale, ma forniscono
strumenti per comprendere l’ esperienza.
Le tipologie didattiche seguono l’ esperienza e aiutano a riconoscerne i tratti salienti, a
classificarlae a confrontarla. Generalizzano l’ esperienza per cercare denominatori comuni e
tratti ricorrenti. Sidifferenziano dai prototipi per il più alto grado di generalizzabilità cui
ambiscono, svincolandosi di più dal carattere singolo dell’ esperienza.
Le simulazioni anticipano l’ azione con scopo narrativo. Non si tratta di un testo ma di una
ricostruzione esperienziale.
I protocolli osservativi, che accompagnano l’ azione e svolgono una funzione narrativa,
descrivonoa 360° l’ esperienza vissuta. E’ l’ osservazione carta e matita, ricca e autentica, volta a
restituire ciòche succede.
I diari di bordo, posteriori all’ azione e con funzione narrativa, sono forme di registrazione
appuntosuccessiva ma non troppo a freddo, finalizzata a conservare la ricchezza e la vitalità dell’
esperienza.

5. AZIONE D’ INSEGNAMENTO
Se è vero che la didattica ha come azione l’ insegnamento, e che l’ insegnamento si definisce
comerelazione comunicativa finalizzata all’ apprendimento di un patrimonio culturale, agita
entro un contesto istituzionale, bisogna adesso esaminare più in profondità i caratteri di tale
azione. Essa, come abbiamo già visto, è in possesso di due requisiti, l’ intenzionalità e la
sistematicità, che la fanno rientrare nel novero dell’ educazione c.d. formale, e può essere
analizzata, per comprenderne il significato più profondo, a partire dal concetto-chiave di
mediazione. Seguendo DAMIANO, diremo anzitutto che l’ insegnamento è un’ azione pratico-
poietica. Esso si configura perciò come un’ azione, il che sottolinea una volta di più la natura
eminentemente concreta del suo svolgersi: per questo, più che di validità in generale di un
modello didattico, dovremo parlare della sua maggiore o minore applicabilità entro determinati
contesti. Praxis e poiesis, come ricordaDamiano, sono concetti aristotelici: praxis è l’ azione
finalizzata a uno scopo etico, non concreto (es. azione dei missionari), ed è di qualità se
accompagnata dalla phronesis ovverosia dalla saggezza; poiesis è l’ azione volta al
conseguimento di un risultato concreto, un prodotto tangibile e determinato, tale da acquisire
valore in base appunto al risultato conseguito; la maestria nel compiere la poiesis si richiama
alla nozione di techne, o meglio implica il possesso di quella technecome insieme di abilità e
competenze necessarie a realizzare un prodotto a regola d’ arte. La differenza sta quindi nello
scopo: la praxis ha il suo scopo in sé medesima, perché è espressione dei valori etici a cui si rifà,
mentre la poiesis raggiunge il suo scopo tramite il prodotto che realizza.E’ invece comune il
rapporto fra soggetto e qualità dell’ azione; praxis sta a phronesis come poiesissta a techne.
Riprendendo MACINTYRE, Damiano esprime l’ auspicio che praxis e poiesis vivano un momento
di sintesi, nell’ insegnamento: la dimensione poietica, orientata al prodotto, richiama la valenza
didattica dell’ insegnamento e attiene alle qualità pratico-professionali dell’ insegnante nel
relazionare allievi e contenuti di conoscenza; la dimensione pratica, orientata al processo,
richiamala valenza educativa dell’ insegnamento e inerisce alle qualità umane e personali che l’
insegnante possiede nel veicolare e testimoniare un insieme di valori etici.
Nell’ insegnamento, pertanto, adeguatezza tecnica e legittimità etica sono requisiti
imprescindibili;s’ intersecano e la praxis, che detiene un’ estensione maggiore, abbraccia, oltre
che sé stessa, anche la poiesis.
Nella vita quotidiana del docente, l’ intersecazione fra praxis e poiesis si ripercuote su
determinate fasi della documentazione: la programmazione didattica, che è volta al
conseguimento di traguardi formativi specifici e circoscritti (azione poietica) da un lato, la
programmazione educativa, orientata invece al perseguimento di scopi formativi più ampi
(azione pratica) dall’ altro. Damiano, ad ogni modo, si concentra soprattutto sulla dimensione
poietica. Essendo il suo risultato o prodotto l’ apprendimento settoriale degli alunni, si potrebbe
credere che fra insegnamento e apprendimento esista una relazione causale; ma una conclusione
del genere sarebbe fallace, perché intervengono molti fattori, come motivazione dell’ allievo,
preconoscenze e impegno, sintetizzabili nella locuzione ‘disponibilità ad apprendere’. La
relazione insegnamento- apprendimento, dunque, non è causale, quanto piuttosto probabilistica,
e sussiste fra qualità dell’ insegnamento e qualità dell’ apprendimento. E’ così che s’ inserisce la
riconcettualizzazione del prodotto dell’ insegnamento come mediazione operata dall’ insegnante
per promuovere l’ apprendimento da parte degli alunni. Secondo Damiano, la mediazione
didattica va intesa come regolazione della distanza fra i contenuti culturali da trasmettere e i
soggetti in apprendimento, tra la struttura logica dei contenuti d’ apprendimento e la struttura
psicologica dei soggetti che apprendono. La mediazione richiede che i contenuti che si vogliono
veicolare siano metaforizzati ecosì semplificati, mediando così la distanza fra la realtà di cui si
parla e la forma con cui si rappresenta quella realtà. Al di là delle differenze situazionali specifiche,
ciò che caratterizza il processo di mediazione è la trasformazione di determinati contenuti
culturali in contenuti accessibili all’ apprendimento per un determinato gruppo in vista di un
determinato scopo didattico. L’ effetto è duplice: da un lato si fornisce protezione rispetto all’
impatto dell’ esperienza diretta, predisponendo un ambiente simulato che garantisce condizioni
di sicurezza e distanza; dall’ altro sostituisce il contenuto di realtà com segni appropriati,
semplificandoli e ristrutturandolida un punto di vista spazio-temporale, così da renderli funzionali
all’ apprendimento. Questi due meccanismi, quello di simulazione e quello di semplificazione,
agiscono in qualsiasi situazione didattica e costituiscono sia un punto di forza, sia un punto di
debolezza dell’ istituzione scolastica:di forza perché semplificano e agevolano l’ apprendimento,
rendendo quello scolastico un contesto protetto; di criticità perché tale distanziamento è un
rischio per la scuola, rendendo più probabile che si sviluppino forme di auto-referenzialità. La
mediazione didattica, in senso lato, si riferisce all’ azione didattica intesa nelle sue diverse
dimensioni (metodologica, organizzativa e relazionale-comunicativa). Tra di esse, secondo la
prospettiva di Damiano, è soprattutto la dimensione metodologica ad acquisire importanza,
donde la proposta di classificazione dei mediatori didattici:

1. mediatori attivi, che mirano a ricostruire l’ esperienza di realtà ma all’ interno di un


contesto scolastico (es. uscite didattiche); si caratterizzano per la consistenza fisico-
percettiva con cui vien trattato il contenuto culturale e per la motivazione che
favoriscononei soggetti partecipanti; i maggiori problemi sono quelli della fattibilità e
del particolarismo, essendo assai contestualizzati;

2. mediatori analogici, che trasformano la realtà in contesti simulati pur


mantenenti unrapporto d’ analogia con la realtà stessa (es. drammatizzazioni,
giochi di ruolo); permettono di considerare la complessitò del fenomeno di turno, ma
sono problematici nelsenso che non rendono sempre facile distinguere chiaramente
fra situazione reale e situazione simulata;

3. mediatori iconici, che privilegiano una rappresentazione della realtà per via d’
immaginivisive (es. disegni); permettono di condensare e organizzare, anche
spazialmente, l’ informazione, ma possono ingenerare problemi legati al carattere
astratto di taluni significati;

4. mediatori simbolici, che rappresentano la realtà tramite simboli (es.


verbalizzazioni o codificazioni); hanno grande capacità di sintesi e coprono
gamme pressoché infinite disignificati, ma possono avere problemi connessi all’
eccessiva distanza tra ciò che si rappresenta e come esso viene rappresentato.

Sulla base della maggiore o minore vicinanza alla realtà che rappresentano, i mediatori
possonoessere classificati in vari modi, fra cui quello legato al parametro del ‘calore’: saranno
più caldi imediatori attivi, più freddi quelli simbolici; eppure, da un altro punto di vista, i primi
necessiteranno di un tempo più lungo per essere messi in atto, i secondo saranno in tal senso
molto più funzionali.
Alla luce di ciò, riconosceremo che un insegnamento erogato con qualità è un insegnamento in
grado di usare plurimi linguaggi comunicativi e dunque plurime tipologie di mediatori, per
quanto tale pluralità, soprattutto nelle scuole secondarie, non trovi l’ adeguato spazio. In effetti,
proprio latrasferibilità linguistica è di norma riconosciuta come parametro garante della qualità
dell’ insegnamento.

6. DIMENSIONE METODOLOGICA
Da un punto di vista iconico, la dimensione metodologica si colloca lungo l’ asse di collegamento
fra lo studente e il contenuto culturale. Secondo l’ approccio cognitivista, la metodologia
didattica è un dispostitivo di adeguazione del contenuto culturale al soggetto in apprendimento,
associandone la matrice cognitiva alla struttura del contenuto culturale oggetto d’
apprendimento.Uno dei maggiori autori cognitivisti ad essersi impegnato in tale direzione è
AUSUBEL, che ha classificato le varie modalità d’ apprendimento in base a due parametri
inerenti al ruolo del soggetto che apprende:

1. la relazione del contenuto d’ apprendimento con la matrice cognitiva del soggetto


(apprendimento significativo, se i due poli hanno un processo d’ integrazione;
apprendimento meccanico, se il nuovo apprendimento è soltanto giustapposto a
quelliprecedenti);

2. la modalità d’ approccio del soggetto apprendente al nuovo contenuto culturale


(apprendimento per ricezione, che vede il soggetto in posizione passiva rispetto al
nuovocontenuto reale; apprendimento per scoperta, se il soggetto è in posizione
attiva ed esplorativa).

Una lezione è un tipico esempio di apprendimento per ricezione (secondo parametro), ma


puòrisultare significativa (primo parametro) se sa relazionarsi alle preconoscenze del
soggetto; viceversa, un apprendimento per scoperta è meccanico se non si sa mettere in
relazione con lepreconoscenze del soggetto. Com’ è chiaro, un apprendimento significativo
richiederà che le conoscenze pregresse del soggetto siano richiamate, problematizzate alla
luce del nuovo contenuto culturale e infine riadattate a esso. Muovendo dalla teorizzazione
di AUSUBEL, PELLEREY propone un insieme di principi qualificanti una metodologia didattica
efficace:

1. significatività, intesa come capacità d’ integrazione del nuovo contenuto culturale


con lepreconoscenze;
2. motivazione, intesa come sollecitazione della disponibilità ad apprendere da parte
del soggetto, agendo tramite esperienze di dissonanza cognitiva, dunque di
percezione di unoscarto fra le preconoscenze e i nuovi dati informativi;
3. direzione, intesa come esplicitazione e condivisione dei traguardi d’ apprendimento
versocui orientare l’ azione didattica;
4. continuità/ricorsività, intesa come ripresa progressiva di alcuni concetti chiave dell’
ambitodi conoscenza;
5. integrazione fra i diversi saperi disciplinari, ricercando punti di
connessione e ditrasversalità;
6. trasferibilità linguistica, intesa come impiego dei diversi codici comunicativi per
rappresentare i contenuti di conoscenza, così da intercettare i diversi stili
cognitivi deidiscenti.

L’ approccio cognitivista, ben rappresentato e attuato entro il nostro sistema scolastico, si è


evoluto soprattutto grazie all’ apporto del costruttivismo, propenso a sottolineare il valore dell’
interazione sociale nella costruzione della conoscenza e il carattere situato dell’ apprendimento in
rapporto al contesto in cui avviene; dal canto loro, gli studi metacognitivi hanno evidenziato l’
importanza della consapevolezza del soggetto affinché si sviluppi un apprendimento profondo e
duraturo. Un altro filone di studi che ha allargato la prospettiva con cui osservare l’apprendimento
e quindi l’ insegnamento è quello della metacognizione, capace di spostare l’attenzione non solo ai
processi cognitivi ma anche al livello ‘meta’ di consapevolezza e controllo ditali processi; donde l’
importanza assegnata alla capacità, da parte del soggetto, di apprendere, dunque ai meccanismi
tramite cui riflettere sul proprio sapere e sui processi di sviluppo della propria conoscenza.
In sintesi, riprendendo i principi di qualità di un metodo didattico proposti da Pellerey,
potremmointegrare la sua proposta con altri principi frutto della sensibilità maturata negli
ultimi trent’ anni:

1. negoziazione sociale, intesa come valorizzazione della dimensione sociale


dell’apprendimento nella co-costruzione della conoscenza;
2. contestualità, intesa come ancoraggio dell’ apprendimento a contesti di realtà
autentici esignificativi per il soggetto;
3. riflessività, intesa come sollecitazione a processi metacognitivi da parte del soggetto,
tesi asvilupparne l’ autoconsapevolezza dell’ esperienza apprenditiva;
4. pluralità culturale, intesa come molteplicità delle prospettive culturali
tramite cuiapprocciarsi alla conoscenza in chiave antidogmatica e aperta.

Vediamo ora un repertorio di metodologie didattiche, le quali prospettano modalità diverse


circa ilrapporto fra soggetto e contenuto culturale; sarà d’ uopo considerare, in tale relazione,
anche il ruolo dell’ insegnante.
La lezione è la metodologia didattica per eccellenza; si qualifica per un’ esposizione sistematica
dicontenuti che enfatizza il lato del triangolo didattico relazionante insegnante e contenuto
culturale. Poiché il rapporto fra insegnante e sapere, appunto, risulta attivo e produttivo, la
lezione attua il paradosso per cui, rielaborando il sapere cui è sollecitato, proprio l’ insegnante è
ilsoggetto che dalla lezione apprende di più. Lo studente è relegato a una posizione passiva,
cosicché le frecce da parte dell’ insegnante e da parte del contenuto culturale nei suoi
confronti sono esclusivamente unidirezionali; l’ insegnante funge da esperto, ossia di detentore
di un settore specifico di sapere. I punti di forza della lezione sono: l’ efficienza del rapporto
informazioni trasmesse/tempo impiegato; possibilità di erogare un contenuto simile anche a un
alto numero di alunni; sistematicità dell’ approccio alla conoscenza. D’ altro canto, i punti di
debolezza sono: lo scarso coinvolgimento dello studente; l’ eccessivo spazio accordato al codice
verbale (mediatore simbolico); limitato feedback a disposizione dell’ insegnante.
L’ apprendistato, che pure è simile alla lezione sotto molti punti di vista, se ne distacca per i
contenuti culturali che eroga, più orientati ad abilità operative, e per la tendenziale autonomia
cheaccorda al soggetto discente. Pertanto, la freccia fra studente e contenuto culturale è
bidirezionale, mentre quella fra insegnante e studente rimane unidirezionale. I punti di forza di
questa metodologia, ampiamente rivalutata anche nel campo scolastico, sono: la concretezza;
la progressiva autonomia accordata allo studente; la sollecitazione veros un approccio riflessivo
all’ apprendimento. I punti critici sono: la limitatezza della sua impiegabilità a taluni ambiti di
sapere; irischi di una limitazione a un’ imitazione esclusivamente passiva; i problemi di
trasferibilità.
L’ approccio tutoriale, come forma di supporto personalizzato all’ apprendimento, valorizza tutti
i poli del triangolo didattico, che intrattengono ognuno rapporti bidirezionali con gli altri due. Il
ruolo del docente tende a essere indiretto, limitato al compito di supportare lo studente nell’
interazione col contenuto culturale. I punti di forza sono: la forte interazione; il feedback
continuo; l’ approccio personalizzato all’ apprendimento. I punti di debolezza sono: la tendenza
a privilegiareuna relazione a due insegnante-studente; gli alti costi connessi alla presenza stessa
del tutor; il rischio d’ incrementare le differenze fra studenti, assecondandone i ritmi individuali.
Con la discussione cambia la rappresentazione della relazione didattica: l’ insegnante fa parte
delgruppo, assumendone il ruolo di conduttore e moderatore. I punti di forza sono: l’
interazione sociale, che stimola la discussione e la problematizzazione del proprio punto di
vista, oltre che lo sviluppo di un’ argomentazione condivisa. I punti di debolezza sono: la
difficoltà a garantire una partecipazione attiva a tutti i membri del gruppo; le dinamiche di
ruolo che possono produrre effetti paralizzanti; il rischio di tralignare dal tema.
Il problem solving è una variabile della discussione e rinforza la natura di gruppo centrato su un
compito e sul tentativo di arrivare a un prodotto (il problema, P, entra perciò a far parte della
schematizzazione grafica). L’ insegnante funge da catalizzatore, ossia deve convogliare le energie
ele risorse del gruppo verso la risoluzione del problema. I punti di forza sono: l’ interazione
sociale interna al gruppo; l’ approccio euristico centrato su un problema condiviso; la
concretezza del compito assegnato. I punti di criticità sono: i prerequisiti necessari al gruppo per
operare in modo produttivo; i tempi lunghi legati alla risoluzione del problema; i problemi di
trasferibilità di quanto appreso ad altri contesti.
L’ apprendimento cooperativo è una variante del problem solving, da cui si differenzia perché l’
insegnante è esterno al gruppo e quest’ ultimo rafforza quindi la propria autonomia. Il docente
fungerà da supporto in fase preliminare, contestuale o conclusiva, ovviamente con ricadute
diverse a seconda di quale di questi momenti egli trascelga. I punti di forza sono: l’ integrazione
delle risorse interne al gruppo; il sostegno reciproco fra i componenti; la diversità dei contributi
e delle prospettive come fonti d’ arricchimento del lavoro del gruppo; lo scambio fra i diversi
gruppi.I punti di criticità sono: i rischi connessi all’ autonomia dei vari gruppi; i pericoli che si
attivino dinamiche disfunzionali, d’ irrigidimento dei ruoli e di difficoltà a restare concentrati sul
compito. L’ espressione libera o brain storming è una metodologia orientata a sollecitare il
contributo attivo da parte dei componenti del gruppo e le risorse di creatività ed energia
presenti in esso. Il rapporto fra studente e insegnante si ribalta, con il secondo che sviluppa un
ruolo defilato e il compito di stimolare contributi, animare il gruppo, recepire e valorizzare le
proposte, creare le condizioni per un confronto libero e partecipato. I punti di forza sono: il
coinvolgimento dei diversicomponenti; lo stimolo ad aprirsi a punti di vista numerosi; la
valorizzazione delle risorse del gruppo. I punti di criticità sono: l’ allentamento dei confini
tematici e il rischio, quindi, di mantenere la pertinenza al tema; la difficoltà a rileggere i
contributi del gruppo, passando dallaregistrazione delle risposte a una rielaborazione condivisa.

7. DIMENSIONE RELAZIONALE
Nella schematizzazione grafica dell’ azione d’ insegnamento, la dimensione relazionale si
collocalungo l’ asse di collegamento fra insegnante e studente, perché essa si riferisce alla
dinamica relazionale che intercorre fra i diversi attori coinvolti nell’ evento didattico.
E’ possibile riconoscere due tipi di relazioni comunicative, rispetto alla dinamica che si attiva fra
gliattori: da un lato le relazioni simmetriche, dove le relazioni fra gli attori sono equilibrate; dall’
altrole relazioni asimmetriche, in cui la distribuzione del potere fra gli attori dell’ interazione è
diseguale, e tende a caricare di un ruolo maggiore colui che, da un punto di vista relazionale, si
trova collocato più in alto. Le relazioni simmetriche possono essere oggetto di contesa e
competizione per stabilire chi, fra gli attori interessati, debba prevalere nell’ interazione; il
problema delle relazioni asimmetriche, invece, consiste nel fatto che esse sono suscettibili di
produrre un irrigidimento dei ruoli fra chi gestisce l’ interazione e chi la subisce. Utilizzando tali
categorie, diremo che quella didattica è una relazione fortemente asimmetrica, strutturata com’
essa è su ruoli ascritti (insegnante e allievo), che differiscono tra loro per età, status sociale,
livellod’ esperienza, patrimonio culturale ecc.; la distribuzione del potere premia l’ insegnante,
relega invece lo studente. La qualità dell’ azione didattica, tuttavia, non si esercita nel tentativo
di renderne simmetrica la natura, quanto piuttosto in quello di gestirne la flessibilità e la
complementarità. Secondo COMPAGNONI, è simile a una didattica fortemente asimmetrica una
visita guidata, nella quale il percorso è imposto dalla guida (i. e. l’ insegnante), mentre è meno
somigliante a tale relazione una visita d’ esplorazione, priva di schema predeterminato e
definita in fieri. Pertanto, riconosceremo una relazione didattica di qualità in una relazione che,
pur restando asimmetrica, si caratterizza per un certo tasso di complementarità con cui l’
insegnante gestisce la dinamica d’ interazione con gli studenti. Secondo FRANTA e COLASANTI,
per esercitare una proficua ‘arte dell’ incoraggiamento’ con gli alunni, l’ insegnante deve
possedere la capacità:

• di garantire un ‘ascolto attivo’, inteso come capacità di comprendere il vissuto


esperienziale del proprio interlocutore, anche al di là del contenuto
comunicativo (comportamento emotivo, che aiuta a sviluppare l’ abilità di
esternare i propri vissutiemotivi). Si esercita in tre fasi, a) ricezione del
messaggio, durante la quale occorre ascoltare veramente e sospendere
pregiudizi di sorta b) lettura del significato del messaggio c) reazione
comunicativa;

• di trasmettere ‘messaggi’, intesi come capacità di comunicare agli allievi il proprio


vissutocirca l’ esperienza relazionale.

In entrambi i casi, è richiesto un ‘andare oltre’ la relazione basata sul solo contenuto culturale,
dando spazio anche alle dimensioni affettiva, emotiva e relazionale presente in qualsiasi
dinamicacomunicativa; non si può negare, comunque, che fattori congiunturali legati all’
istituzione scolastica di per sé e al ruolo che essa conferisce all’ insegnante rendono difficile
espletare un compito del genere.
Operativamente, sempre per parlare dell’ ‘ascolto attivo’, è di estremo interesse lo strumento
consigliato da SCHULZ, ovverosia una scomposizione del messaggio ricevuto in quattro sezioni:

• piano del contenuto: che cosa dice l’ interlocutore?


• piano relazionale: come la dice? Attenzione alla dinamica verbale e a quella non-verbale;
• piano dell’ auto-rappresentazione: come si presenta il soggetto? Quale immagine
di séintende veicolare tramite il messaggio che trasmette?
• piano dell’ appello: qual è l’ intenzione con cui il messaggio viene trasmesso?

Ad esempio, se un bambino si rifiuta di lavorare coi compagni, dovremo riconoscere i


seguentiquattro significati:
• piano del contenuto: silenzio o gesto di rifiuto;
• piano relazionale: disconoscimento del ruolo di docenza dell’ adulto e delle regole
da luiimposte;
• piano dell’ auto-rappresentazione: situazione emotiva d’ agitazione, che
impedisce albambino di lavorare serenamente;
• piano dell’ appello: speranza di ottenere aiuto dall’ adulto.

Seguendo ancora FRANTA e COLASANTI, le reazioni dell’ insegnante potranno essere:


• direttive, se chiudono e bloccano la comunicazione (es. valutazione,
moralizzazione,generalizzazione);
• proattive, se aprono e alimentano la comunicazione (es. verbalizzazione,
parafrasi,esplorazione delle conclusioni, personalizzazione).
Alcuni consigli pratici sono offerti anche da Marianella SCLAVI, secondo cui i seguenti fattori
concorrono a definire i ‘segreti’ dell’ arte di ascoltare:
1. non avere fretta di giungere a conclusioni, dunque sospendere il giudizio;
2. sforrzarsi di modificare il punto di vista con cui si osserva una data realtà;
3. mettersi nei panni del proprio interlocutore, esplorandone la prospettiva e
riconoscendonele ragioni;
4. valorizzare il codice delle emozioni;
5. andare oltre la superficie del mondo reale ed esplorare i mondi possibili;
6. sfruttare i paradossi del pensiero e della comunicazione come strumenti euristici;
7. adottare una modalità umoristica mentre si ascolta.

PONTECORVO, dal canto suo, propone una visione dell’ ascolto maggiormente incentrata sul
pianocognitivo: occorre prestare attenzione, dunque, non soltanto alla dimensione socio-
emotiva, bensìanche alla possibilità di valorizzare le potenzialità suscettibili di derivarne sul
piano dell’ apprendimento. PONTECORVO si riferisce, più che alla relazione dualistica fra
insegnante e alunno,all’ interazione sociale che avviene in classe, considerata un fattore
essenziale, insieme alla costruzione attiva da parte del soggetto, per l’ apprendimento (‘zona di
sviluppo prossimale’ comeprincipio a partire da cui valorizzare l’ interazione fra pari come
occasione di scambio simmetrico eparitario). PONTERCORVO parla della co-costruzione della
conoscenza come esito della ‘sindrome di Qui, Quo, Qua’; i nipoti di Paperino, infatti, elaborano
il proprio pensiero come somma dei contributi individuali, dove ciascuno formula un pezzo di
frase che assume significato solo a frase stessa completata. Quali sono le condizioni che
favoriscono una co-costruzione della conoscenza? Quali i criteri di qualità di un’ interazione
sociale produttiva? Quanto al primo punto, è importanteesperire una comune situazione
problematica (es. osservazione di un fenomeno), tale da fungere da base referenziale comune
su cui sviluppare il confronto collettivo e la costruzione di significati condivisi. Quanto al
secondo punto, i parametri sono:

• lo sviluppo, inteso come evoluzione del ragionamento collettivo sull’ oggetto del
discorso;
• la pertinenza, intesa come aderenza del ragionamento all’ oggetto del discorso.

Gli indicatori che dimostrano uno sviluppo argomentativo della discussione sono:
• dare elementi;
• relazionare;
• delimitare;
• contrapporsi;
• generalizzare;
• problematizzare;
• ristrutturare.

Gli indicatori che dimostrano un non-sviluppo argomentativo della discussione sono:


• confermare;
• ripetere;
• riferirsi in modo idiosincratico, dunque strettamente personale e poco propenso a
lasciarespazio agli altri.
Per procedere a dinamiche di discussione siffatte, l’ insegnante non può agire in modo
casuale,bensì possedere competenze specifiche. Sarà suo compito, fra l’ altro, stimolare un’
interazionesociale nel gruppo dalle caratteristiche adeguate. Oltre alle capacità di
moderazione di una discussione collettiva, egli dovrà acquisire dimestichezza con lo
scaffolding, dunque con l’ abilità difornire una struttura concettuale e procedurale su cui
sviluppare l’ argomentazione socioale, e conil fading, ossia la progressiva riduzione del
proprio intervento personale a vantaggio dell’ autonomia del gruppo nella gestione del
lavoro.
In definitiva, la relazione comunicativa che concorre a definire l’ insegnamento è
fortementecaratterizzata dalle suddette pratiche di ascolto attivo e co-costruzione della
conoscenza. La relazione che così si costituisce è pensata come un percorso esplorativo,
della cui meta l’insegnante è consapevole, ma il cui itinerario l’ insegnante stesso è ben
lieto di modellare insiemeagli allievi.

8. DIMENSIONE ORGANIZZATIVA
Il cosiddetto setting formativo va inteso come l’ insieme delle variabili contestuali influenzanti l’
azione didattica, sul piano dei valori culturali, delle condizioni strutturali, delle regole
organizzative e dei significati istituzionali. Nella schematizzazione grafica, la dimensione
organizzativa è un cerchio che inscrive il triangolo didattico, a testimonianza dell’ influsso
profondo che esercita su diesso. Di tale cerchio, esistono più livelli, corrispondenti ad altrettanti
stadi di condizionamento; il cerchio più esterno è il macro-contesto, che richiama l’ ambiente
socio-culturale e istituzionale entro cui si colloca la scuola e dunque l’ aula; esso si riflette sulla
relazione didattica in termini d’ aspettative, di dinamiche sociali e di valori condivisi. Il cerchio
intermedio è il mesocontesto, riconducibile all’ istituto scolastico in cui s’ esercita l’ azione d’
insegnamento, portatore di una propria cultura formativa e organizzativa, in cui s’ inserisce l’
azione del singolo insegnante. Infine c’è il microcontesto, che riguarda l’ aula e concerne
specificamente il setting formativo entro cui avviene l’ evento didattico. Occupandoci di quest’
ultimo livello, diremo che i fattori condizionantiil contesto formativo sono molti, per esempio:

• lo spazio, come contenitore fisico e materiale entro cui si esercita l’ insegnamento. I


suoi elementi caratteristici, per esempio il posizionamento dei banchi, veicola una
certa idea dididattica e ne condiziona perciò forme ed esiti;
• il tempo, come struttura temporale entro cui viene attuata l’ azione d’
insegnamento (es.organizzazione del lavoro settimanale);
• le regole, come insieme di norme implicite ed esplicite regolamentanti la vita della
classe elo svolgimento dell’ azione didattica, alcune determinate dal mesocontesto,
altre più specificamente legate alla vita in aula;
• gli attori, come insieme dei soggetti coinvolti nella relazione didattica;
• i canali comunicativi, intesi come medium tramite cui si svolge la relazione
didattica (es.codici e mediatori).

Considerato da un punto di vista complessivo, il setting formativo veicola di certo un


determinatomodello pedagogico che, essendo agito e non soltanto espresso per via verbale,
incide profondamente sul processo educativo e sui suoi significati; d’ altronde, già MCLUHAN
sosteneva,il medium è messaggio, dunque lo strumento con cui trasmettiamo un messaggio
è parte integrante di quello stesso messaggio. Non a caso, nel linguaggio didattico si è
recentemente diffusa l’ espressione ‘curriculum implicito’, utile per identificare quella
dimensione dell’ offerta formativa che, di solito, non viene resa esplicita dall’ insegnante e
che riguarda la gestione della dimensione relazionale e organizzativa dell’ evento didattico; il
curriculm esplicito, dal canto suo, inerisce al contenuto della didattica, al ‘che cosa’ s’
insegna.
Vediamo ora due esempi che ci aiuteranno a visualizzare meglio la questione. Il primo è
legato auna ricerca che, nel 1993, fu condotta dall’ Università di Pavia sull’ organizzazione
della giornataeducativa nella scuola dell’ infanzia. Si è provato a riconoscere alcune variabili
che ne
caratterizzano l’ organizzazione: gli spazi d’ azione (aula, atrio, cortile, laboratori), tipologia
deipartecipanti (insegnanti, bambini, genitori), modalità di gestione da parte adulta (più o
meno diretta), raggruppamenti degli allievi (individuali, a gruppi ecc.). Alcuni dei dati emersi
sono:

• l’ ampio spazio accordato ad attività di routine (pranzo, pulizia personale,


riposino), aevidenziare l’ importanza di un impiego intenzionale di tali attività;
• scarsa attenzione progettuale dedicata ad attività di piccolo gruppo, che sono
meno del18% del totale;
• rarità dei momenti di autonomia, limitati alle attività di gioco libero o alle fasi ricreative.

Le tre tipologie di attività più ricorrenti sono:


• le attività didattiche maggiormente strutturate, svolte individualmente o in gruppo,
sottola gestione diretta da parte dell’ insegnante;
• le poliattività, durante le quali sono svolte attività di vario genere, per aggregazione
liberae tendenzialmente con uno scarso controllo da parte dell’ insegnante;
• le attività di routine, svolte per aggregazioni libere o in piccoli gruppi con una
modalità dicontrollo intermedio.

La giornata pare quindi essere tripartita: momento scolastico, che tende a ricalcare stilemi
tipici dei grandi istituti scolastici; gioco libero; attività di routine, che paiono essere le più
propizie per la formazione, essendo svolte a piccoli gruppi e con un grado intermedio di
controllo da parte
insegnante (ma c’è il rischio che, proprio in quanto routinarie, queste attività siano svolte
senza intenzioni precise). Il modello educativo perseguito è, tutto sommato, alquanto
tradizionale, contraddistinto com’ esso è da una separazione netta fra attività scolastiche e
attività ludiche, inogni momento senza intenzionalità specifiche da parte dell’ insegnante.
Il secondo esempio è tratto da uno studio, coordinato da Marco ORSI, effettuato dall’ IREE
Toscana su alcune scuole primarie del Lucchese e basato sull’ assunto per cui lo spazio aula è
una componente fondamentale dell’ azione didattica, tale da richiedere di essere
attentamente progettata e controllata. I banchi, nella figura riportata, sono disposti in
gruppi, e in alto a dx. c’è uno spazio utile per riunire il gruppo (la c.d. agorà); la cattedra è
relegata a lato. Emerge un modello educativo caratterizzato dalla varietà del setting, dalla
compresenza di modalità di lavorodiverse, dalla valorizzazione della socialità e da un ruolo
abbastanza rifilato dell’ insegnante. Lo spazio scolastico appare così pervaso da connessioni,
flessibilità, appartenenza e visibilità, e non dalle abituali separazioni, rigidità e anonimati.
Rispetto allo spazio, i vari attori dell’ evento
scolastico agiscono politiche differenti: gli enti locali perseguono una logica economica per
rispondere alle proprie competenze in materia d’ edilizia scolastica, così da razionalizzare le
spese;i dirigenti scolastici adottano strategie di sicurezza che soddisfino i vincoli normativi; il
personale ausiliario attua una logica di controllo, in funzione dei suoi compiti di sorveglianza;
lo studente esprime, più o meno consapevolmente, una logica di appartenenza, desideroso di
uno spazio in cuiriconoscersi e poter soddisfare i suoi bisogni d’ identificazione. L’ insegnante,
che pure dovrebbe essere consapevole del valore pedagogico della dimensione organizzativa
e del setting formativo, rimane spesso prigioniero di logiche propugnate dai suoi superiori e
finisce addirittura per rafforzarne le attuazioni, trasformando lo spazio in un contenitore
tipicamente immutabile dell’ evento scolastico.

9. PROGETTAZIONE
In ambito scolastico, quando si parla di argomenti legati alla progettazione, si ha sempre un’
ambiguità di fondo, tra un piano amministrativo-burocratico da un lato, e un piano
professionaledall’ altro. La prevalenza del primo aspetto toglie di fatto qualsiasi significato al
momento progettuale, ridotto a uno spazio di compilazione dei documenti e di formati
progettuali fini a séstessi, distante perciò dalla prassi didattica. In realtà, almeno di partenza,
la progettazione costituisce uno strumento che l’ insegnante ha a diposizione per agire la sua
professionalità.
Dietro ai diversi modelli di progettazione, è possibile riconoscere in filigrana due logiche
progettuali profondamente diverse, denominate da CRISTANINI ‘logica della razionalità tecnica’ e
‘logica della complessità’. La logica della razionalità tecnica presuppone un rapporto lineare tra i
momenti del progettare, dell’ agire e del valutare, pensati come fasi in successione di un processo
unico, cosicché la progettazione si configurerebbe come un momento ex ante dell’ azione
didattica, avente lo scopo di anticipare appunto il processo che si desidera poi realizzare. Un
approccio del genere, eminentemente analitico e mirante a scomporre il processo nelle sue
componenti elementari, è stato ricavato dal mondo produttivo e applicato all’ universo scolastico,e
richiede (SIMON) una razionalità olimpica al soggetto progettante, il quale dovrebbe
padroneggiare tutte le fasi del processo da implementare e le relative variabili. La valutazione, in
questa prospettiva, si configura come momento finale, che misura lo scarto fra quanto era stato
preventivato e quanto è stato raggiunto. Un chiaro prodotto di ciò, nella scuola di oggi, è la
cosiddetta programmazione per obiettivi.
La logica della complessità, dal canto suo, postula un rapporto di circolarità fra i momenti del
progettare, dell’ agire e del valutare, pensati non in successione nettamente compartimentata ma
in dialogo e interazione continui. La progettazione, allora, non sarà una predeterminazione dei
singoli passi processuali, bensì un orientamento strategico rispetto a una direzione di marcia verso
cui dirigere l’ azione. Ciò deriva da un paradigma di tipo relativo, secondo cui non è possibile
tenere in considerazione a priori tutte le variabili di un processo come quello formativo
(complessità di quest’ approccio). Quanto alla valutazione, essa sarà un momento di ridefinizione
dell’ ipotesi progettuale di partenza; il progetto si adegua al processo, o meglio allecaratteristiche
contestuali in cui si organizza l’ esperienza didattica.
A prescindere dalla tipologia d’ approccio che si trasceglie, un progetto didattico è sempre
caratterizzato da alcune features chiave, ben concettualizzate nella mappa di Kerr:

• un primo ingrediente concerne i traguardi formativi a cui è finalizzato il progetto


didattico,dunque i risultati attesi verso cui si tende. La domanda a cui rispondere è:
perché insegnare?
• un secondo ingrediente riguarda i contenuti culturali destinati a essere affrontati
durante l’insegnamento, una questione che, soprattutto per alcune discipline
umanistiche, è di fatto impossibile separare dalla definizione dei traguardi formativi; la
domanda a cui rispondereè: che cosa insegnare?

• un terzo ingrediente attiene ai processi formativi tramite cui sviluppare i traguardi


formativi e i contenuti culturali che in precedenza si sono identificati. La domanda
a cuirispondere è: come insegnare?

• un quarto ingrediente si riferisce al momento della valutazione, di cui bisogna


individuare forme e strumenti già in fase precedente all’ azione. La domanda a cui
rispondere è: comevalutare il processo formativo?

Un progetto didattico adeguatamente elaborato dovrà fornire risposte a tutti e quattro i


quesiti,laddove è tipico che le scuole rispondano oggi in maniera appropriata solo ai primi due,
non curando particolarmente il terzo e omettendo spesso del tutto il quarto.
Nella selva dei modelli progettuali proposti dall’ editoria scolastica, i principali sono tre:
• programmazione per obiettivi;
• programmazione per concetti;
• programmazione per sfondo integratore.

La programmazione per obiettivi, che si è diffusa nel nostro Paese durante gli anni Settanta,
costituisce l’ espressione più fedele della c.d. logica della razionalità tecnica, perché tende a
tradurre il momento progettuale in un algoritmo di passaggi avente come punto di partenza
la definizione degli obiettivi formativi. Contenuti, strategie e modalità della valutazione
vengono definiti in funzione degli obiettivi identificati, secondo una stretta gerarchia fini-
mezzi applicativi(dalla definizione dei fini, devono discendere i mezzi necessari per
perseguirli). Tale modello, cheha come conclamato ‘padre’ TYLER, è basato su un modello
ingegneristico e, stanti le sue
caratteristiche, è spesso pervaso da un ‘delirio di onnipotenza’ circa le sue possibilità d’
esattezza.L’ elaborazione degli obiettivi assume per questo un’ importanza centrale,
testimoniata anche dalprofluvio di nomi con cui essa è nota (cfr. soprattutto
‘operazionalizzazione’). Tali obiettivi attengono a:

• traguardi formativi molto ampi e generici, riferiti a singole discipline oppure a più
larghiorizzonti educativi (es., per la scuola primaria, orientarsi nello spazio e nel
tempo);

• obiettivi propriamente detti, spesso distinti in obiettivi generali o specifici a seconda


dell’ampiezza (per restare sulla falsariga del precedente esempio, distinguere i vari
tipi di paesaggio e le loro caratteristiche);

• prestazioni, ossia le declinazioni degli obiettivi in termini di comportamenti


osservabili (es.capire i fattori favorevoli od ostili presenti in un territorio in rapporto
alle attività produttive);

• standard, intesi come soglia di accessibilità delle prestazioni individuate e, quindi,


punti diriferimento per la valutazione dei risultati formativi (es. almeno 3 fattori
favorevoli all’ implementazione di attività produttive in un certo territorio).
Come è chiaro, i rischi del modello della programmazione per obiettivi sono legati soprattutto
al riduzionismo e all’ eccessiva rigidità delle sue forme. Esso rischia di basarsi su una realtà
luminosa e ordinata che, nei fatti, è molto distante dalla situazione concreta in cui si andrà poi
ad agire.
La programmazione per concetti risente dell’ influsso delle scienze cognitive sulle scienze dell’
educazione, perciò si concentra sui modi in cui il soggetto apprende e sui caratteri distintivi
dei diversi saperi. Occorre quindi una preliminare analisi delle discipline da un punto di vista
epistemologico e delle modalità di sviluppo delle conoscenze da parte dei singoli soggetti. Da
unpunto di vista didattico, è fondamentale che il docente identifichi gli elementi chiave del
proprio ambito disciplinare e che precisi i significati essenziali da far apprendere agli studenti
tramite una mappa concettuale ‘esperta’, che andrà considerata punto di riferimento. Si
andrà poi a rilevare lamatrice cognitiva pregressa degli allievi, così da costruire una mappa
concettuale ‘ingenua’. Il confronto tra le due mappe darà modo al docente di strutturare un
percorso didattico in grado di far evolvere le mappe ‘ingenue’ degli studenti verso quella
‘esperta’, così come la valutazione dovrà rilevare i progressi maturati dagli studenti ed
evidenziati dal passaggio dalle forme della mappa ingenua a quelle della mappa esperta. Il
problema della programmazione per concetti consiste nell’ ampia concettualizzazione che
essa presuppone, malgrado, soprattutto per l’ enfasi che pone sulla relazione fra soggetto in
apprendimento e contenuto culturale, rappresenti un paradigma meritorio.
La programmazione per sfondo integratore, infine, diffusa soprattutto nella scuola per l’
infanzia, èun modello più leggero e attento alla processualità degli eventi. In fase di
progettazione, occorre individuare una cornice progettuale, che funga da sfondo e da
contenitore per il percorso e il raggiungimento, tramite di esso, di obiettivi specifici. Tale sfondo
può consistere in un luogo (es. un bosco), un personaggio fantastico che faccia da conduttore al
percorso, un problema da affrontare in plurimi passaggi o un progetto da realizzare (es.
spettacolo teatrale). Non preordina, quindi l’ itinerario scolastico, ma sicuramente ne influenza,
in vista degli obiettivi finali, le modalitàd’ attuazione. I suoi elementi caratteristici sono: la
leggerezza dell’ impianto progettuale; l’orientamento strategico, da declinare in corso d’ opera
sulla base di come gli studenti reagiscono; l’ attenzione alla gradualità degli eventi, il che ribalta
il rapporto fini-mezzi caratteristico della programmazione per obiettivi. I rischi del modello,
invece, chiari soprattutto se si tende a proporloanche dopo la scuola dell’ infanzia, consistono
nell’ indeterminatezza degli obiettivi e nella scarsa attenzione che può derivare verso i
contenuti educativi più specifici, legati alle singole discipline. Ilsuo merito maggiore, in ogni
caso, è quello per cui aiuta a pensare alla fase di progettazione comea un momento
profondamente integrato nella prassi didattica.
Se relazionati alla mappa di Kerr, i tre modelli esaminati si rivelano poco propensi a definire
conchiarezza il piano della valutazione; invece, la programmazione per obiettivi è incentrata
soprattutto sull’ aspetto dei traguardi, la programmazione per concetti sulla dimensione dei
contenuti e la programmazione per sfondo integratore sul piano dei processi.

10. VALUTAZIONE
Esattamente come per ciò che accade oggi alla progettazione, anche la valutazione tende a
essere‘reintegrata’ entro il ciclo vitale della didattica, così da esserne considerata parte
integrante.
La valutazione, seguendo BARBIER, è un atto profondamente soggettivo, perché si configura
comeun duplice processo di rappresentazione, il cui punto di partenza è costituito dalla
rappresentazione fattuale di un oggetto, e il cui punto d’ arrivo è formato da una
rappresentazionecodificata di quell’ oggetto. I dati di riferimento costituiscono la
rappresentazione fattuale dell’ oggetto che il valutatore si è costituito. Il giudizio di valore è la
rappresentazione codificata dell’ oggetto, e deriva dall’ incrocio fra i dati di riferimento e i
referenti concettuali con cui s’ interpretano quei dati (referenti concettuali = quadro valoriale
del valutatore circa l’ oggetto da valutare). Perciò il giudizio di valore rappresenta l’ incrocio fra
l’ idea che ci si è fatti dell’ oggetto da valutare e l’ idea di qualità veicolata dai criteri che si
usano per valutare; anch’ esso, dunque, è fortemente compromesso con la dimensione
soggettiva.
La ‘duplice rappresentazione’ di cui parla Barbier, ancora, è utile per distinguere i due
diversimomenti che presiedono alla valutazione: il momento rilevativo, in cui si
raccolgono i dati di riferimento giudicati utili, e il momento d’ espressione del giudizio, più
propriamente interpretativo, in cui, supportati dai criteri trascelti, si cerca di dare
significati ai dati collezionati.
Ampliando la rappresentazione fornita da Barbier, diremo che le questioni presenti
quando sivaluta, e i rispettivi momenti, sono:

1. che cosa significa valutare l’ apprendimento dell’ allievo?


2. Quali aspetti della sua esperienza scolastica devo valutare?
3. Che cosa (non) ha funzionato nel giudizio? (ovviamente dopo che il giudizio sia
statosvolto);
4. Quale uso fare, sia internamente sia esternamente, del giudizio ricavato?

Occorre domandarsi anche perché si operi la valutazione, dunque che scopo essa abbia.
Possiamodistinguere varie tipologie, in tal senso:

1. valutazione predittiva od orientativa: precede il processo formativo e serve a


prevedere lecaratteristiche del percorso più adatte alle caratteristiche di un certo
soggetto (es.: test d’orientamento);

2. valutazione diagnostica: si colloca nella fase iniziale del processo formativo e serve
ad analizzare le caratteristiche d’ ingresso possedute da un allievo in riferimento al
percorsoche dovrà essere svolto;

3. valutazione formativa: accompagna le diverse fasi del processo formativo, con lo


scopo dioffrire un continuo feed-back sia all’ allievo, sia all’ insegnante nel mentre
del percorso;

4. valutazione sommativa: si colloca alla fine di un processo (UD, modulo di lavoro,


annoscolastico) e aiuta a tirare le somme sui risultati conseguiti;

5. valutazione certificativa: segue il processo formativo e serve ad attestare


socialmente ilconseguimento di determinati risultati da parte del soggetto, in vista
delle sue scelte scolastiche posteriori o dell’ inserimento nel mondo del lavoro.

Al di là delle differenze fra le varie forme di valutazione, riconosciamo due logiche di fondo con
cuiconsiderare la valutazione scolastica:

• una logica di controllo, sintetizzabile nella formula ‘valutazione nell’ apprendimento,


tesa acaratterizzare la valutazione come dispositivo d’ accertamento della
produttività dell’ azione scolastica e occasione di rendicontazione sociale della stessa;
si basa su una separazione più netta fra momento formativo e momento valutativo;
inoltre, proprio perché mira ad avere un significato sociale, di norma è svolta da
personale esterno alla scuola di turno;

• una logica di sviluppo, sintetizzabile nella formula ‘valutazione per l’


apprendimento’, propensa a giudicare la valutazione come dispositivo di retro-
azione, utile a coinvolgere ilsoggetto nel momento valutativo e ad accrescerne la
consapevolezza circa il percorso svolto. Integra i momenti formativo e valutativo; in
funzione del suo scopo educativo, privilegia personale interno alla scuola.

Cerchiamo ora di analizzare più attentamente le varie dimensioni (e le relative domande)


contenute, come visto sopra, nel momento della valutazione.
La fase d’ individuazione dell’ oggetto mette in gioco il significato che si attribuisce all’
esperienzad’ apprendimento (che cosa significa valutare l’ apprendimento degli alunni?). Negli
ultimi anni, per cercare di superare le tradizionali polarità registrate in questo campo
(prodotto vs processo dell’ apprendimento, dimensione cognitiva vs dimensione
extracognitiva dell’ apprendimento, apprendimenti disciplinari vs apprendimenti trasversali).
La rilevazione dei dati avviene sia tramite l’ interazione quotidiana fra insegnante e alunni, sia
attraverso momenti più formalizzati, sia per attraverso momenti più formalizzati, volti ad
accertare gli apprendimenti conseguiti, ossia le prove di verifica, il cui obiettivo sarà quello di
fornire all’ insegnante le dimensioni su cui intende avere delucidazioni. Le principali tipologie
sono:
• prove non strutturate, contraddistinte da un ampio margine di libertà e da una
rispostaperciò non predeterminabile (es. tema libero);

• prove strutturate, aventi uno stimolo che riduce (o elimina) i gradi di libertà e da
unarisposta predeterminabile da parte dell’ insegnante (es. test a risposta
chiusa);

• prove semistrutturate, situazione intermedia tra le prime due tipologie,


caratterizzate dauno stimolo che lascia un certo margine di libertà e da risposte non
predeterminabili da parte dell’ insegnante (es. saggio breve).

I parametri che consentono di misurare la qualità di una valutazione sono:


• la validità, cioè la corrispondenza fra prestazione rilevata e apprendimento che si
vuoleaccertare;

• l’ attendibilità, cioè la costanza nella lettura della prestazione fornita,


indipendentementedal momento o dal valutatore.

La validità è legata alle caratteristiche dello stimolo proposto, mentre l’ attendibilità dipende
dallalettura della prestazione da parte dell’ insegnante. In generale, le prove non strutturate
tendono amostrare elementi critici per quanto attiene all’ attendibilità, mentre le prove
strutturate hanno problemi circa la validità; le prove semistrutturate, dal canto loro, mostrano
un certo equilibrio frale prime, le seconde e le rispettive qualità.
La definizione dei criteri richiama la stretta relazione fra il momento progettuale e quello
valutativo, perché i criteri di giudizio che si usano nel valutare rinviano ai traguardi
formativiidentificati in fase progettuale. A tale proposito, ricorderemo che ci sono tre
differenti moditramite cui formulare un giudizio scolastico:

• standard assoluto, ossia una prestazione considerata ottimale (o accettabile) in base


a cuiconfrontare la prestazione fatta dall’ allievo di turno, misurando quindi lo
scarto;
• insieme delle prestazioni ottenute da uno specifico gruppo di studenti, cosicché il
giudiziotende a posizionare il singolo allievo in rapporto alla distribuzione delle
prestazioni della classe;

• misura del progresso dell’ allievo: il giudizio apprezza l’ entità del progresso
maturatorispetto al livello ritenuto iniziale dello stesso allievo.

Il requisito essenziale che la valutazione deve soddisfare è quello della trasparenza, dunque
dell’ esplicitazione delle scelte fatte dall’ insegnante in rapporto alla formulazione di giudizi
valutativi: solo così si garantirà che la propria è una valutazione ufficiale, non arbitraria né
‘oscurantista’.
Il momento di espressione del giudizio pone la problematica dei codici con cui formulare l’ esito
della valutazione: il giudizio può essere espresso con variabili nominali che identifichino una
situazione dicotomica di presenza/assenza di una certa condizione (es. superamento o meno di
una prova), variabili di tipo ordinale indicanti un certo numero di livelli su cui stabilire una
graduatoria dei risultati, variabili di tipo metrico che quantificano una prestazione sulla base di
un’unità di misura predefinita (es. numero di prove superate). Il giudizio scolastico tende a
privilegiare variabili di tipo ordinale, che permette di graduare i soggetti ma non di misurare
con esattezza le differenza fra di loro. Non fanno differenza, se non per il codice, strumenti
come la scala numerica, quella dei giudizi, quella delle lettere o quella dei colori.
La fase di regolazione dell’ insegnamento evidenzia la circolarità fra momento valutativo, momento
dell’azione didattica e momento progettuale e serve a capire che la valutazione, oltre che per l’
alunno, è di profonda incidenza anche per il docente. Il giudizio sul singolo, infatti, rappresenta
anche un feed-back per l’ insegnante, affinché egli possa ripercorrere sulla sua scortail processo
formativo svolto e giudicarne la qualità. L’ importanza in tal senso della valutazione, comunque, è
utile soprattutto per le valutazioni predittiva, diagnostica e formativa.
La comunicazione del giudizio richiama la necessità di collocare il momento della valutazione
inuna logica formativa: essa, infatti, non è una sentenza, non si esaurisce nel momento in cui
è notificata, ma ricade sulla relazione formativa. Per questo, occorre considerare anche le
utenzeesterne che avranno accesso alla valutazione (in particolare i genitori) e fornire a esse
chiavi di lettura adeguate.
Quanto ai ruoli dei soggetti, vi sono diversi piani di lettura delle dinamiche valutative in ambito
scolastico: anzitutto il rapporto fra la valutazione individuale affidata al singolo docente e la
valutazione collegiale elaborata dal Consiglio di Classe, che dovrebbe svolgersi in forme di
collaborazione. Un’ altra questione di relazioni e ruoli dei soggetti è quella legata alle famiglie
e alla loro presenza nella valutazione, soprattutto nei gradi di scuola primari. Esse non vanno
considerate solo come destinatarie del giudizio, ma anche come fonte d’ informazione circa la
capacità, da parte del singolo studente, di usare le competenze apprese a scuola anche al di
fuoridi essa. Per questo, diciamo che le famiglie sono corresponsabili dell’ intervento che deve
promuovere la crescita dell’ allievo di turno. Qual è, infine, il ruolo del singolo allievo nella
valutazione? Esso, purtroppo, è generalmente trascurato nella scuola di oggi, ma si
tratterebbe,come nel caso della famiglia, di un’ importante cartina di tornasole per il docente,
che tende invece ad avvertire la ‘cittadinanza’ del giovane nel processo valutativo come una
minaccia e unpericolo da cui difendersi.

PARTE TERZA

1. L’ APPROCCIO INDUTTIVO

1.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Luigi, insegnante di quarta elementare, lavora sull’apprendimento della lettura con bambini
che progrediscono abbastanza bene, ma che hanno difficoltà a capire il significato delle parole,
se queste vengono astruse dal contesto in cui si trovano: essi, infatti, non hanno un pieno
controllo delle regole morfologiche disciplinanti la formazione delle parole stesse. Per ovviare
a ciò, Luigi prepara un mazzo di carte che hanno ognuna una parola scritta sopra; tra le parole,
ce ne sono almeno due che hanno rapporti di parentela morfologica tra loro, per effetto di
prefissi e suffissi.Dopo aver discusso le proprietà strutturali delle diverse parole, i bambini
cercano di raggrupparlein base alle similarità che presentano, arrivando infine a riunire quelle
morfologicamente imparentate. In tal modo, essi acquisiscono la consapevolezza di quale
significato sia veicolato daprefissi e suffissi, anche quando non impiegati all’interno delle
parole analizzate, così da poterli riutilizzare anche per altri vocaboli.

1.2 ANALISI CRITICA


L’approccio induttivo parte da dati empirici e mira a permettere di ricavare da quei dati degli
assiomi generali, delle concettualizzazioni. Così facendo, si accompagna lo studente
nell’acquisizione di una metodologia esperienziale , che insegna a esplorare la realtà per
impararea leggerla. Il focus è sui processi cognitivi di elaborazione delle informazioni e si basa
su una sequenza di passaggi molto prossimi al metodo scientifico classico, quello galileiano:
definizione del problema, osservazione della realtà, elaborazione d’ipotesi, verifica delle
ipotesi, formulazionedi una regola generale. Va fatto di rilevare che, nell’approccio induttivo, il
processo cognitivo (esperienza - concettualizzazione) non è lineare, bensì circolare e sviluppa
intrecci fra i due momenti formativi. Tipicamente, poi, l’approccio induttivo richiede di attivare
una dimensione sociale anziché solipsistica, e ciò ne accresce il valore. Il docente ha allora il
compito di guidare il processo di elaborazione concettuale, in una posizione di fatto indiretta
(tipo problem solving). Il problema maggiore dell’approccio induttivo, del resto comune a
qualsiasi metodologia indiretta, ècostituito dal molto tempo che richiede per essere
implementato e attuato, cosicché inibisce la sua applicazione su larga scala concettuale.

Sintetizzando, i punti chiave della metodologia sono:

1. identificazione del dominio di contenuto;


2. raccolta, presentazione ed enumerazione dei dati di realtà;
3. esame dei dati;
4. formazione dei concetti per la classificazione;
5. formulazione e verifica delle ipotesi;
6. consolidamento e trasferimento.
2. L’APPROCCIO NON DIRETTIVO

2.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Fabio Verdoni è un giovane insegnante di una scuola secondaria, e da qualche tempo ha
focalizzato la sua attenzione su una ragazza, Susanna, che scrive poesie e racconti brevi, ma che
èriluttante a pubblicarli o anche solo a farli leggere in pubblico, addirittura in classe. Il
professore propone a Susanna di leggere uno dei suoi pezzi ai suoi compagni di classe, ma
senza rivelare cheesso sia stato scritto da lei.

2.2. ANALISI CRITICA


Più che di metodologia, per l’approccio usato nell’esperienza in oggetto si dovrebbe parlare di
unamodalità relazionale, molto simile a quella usata da C. ROGERS, propenso ad approcciarsi
non direttamente ai suoi clienti in psicoterapia. Alla luce del triangolo didattico discusso sopra,
è evidente che il focus venga spostato sulla dimensione comunicativo - relazionale, anziché su
quellametodologica o su quella organizzativa. La relazione fra insegnante e alunno è
necessariamente asimmetrica; tuttavia, il docente dell’esperienza qui discussa è in grado di
giocare sulla qualità del rapporto, operando una comunicazione non autoritaria, trasmettendo
calore e confidenza, cercando di comprendere empaticamente l’altro, stimolando questi a un
atto di autoresponsabilità e promuovendo un atteggiamento introspettivo in lui. L’enfasi è
dunque posta sulla garanzia di un supporto, soprattutto sul piano socio - relazionale; seguendo
SCHEIN, diremo che il ruolo dell’insegnante è simile a quello del consulente di processo, che
funge da supporto a un processo di autodiagnosi e, anziché offrire soluzioni, cerca di attivare le
risorse a disposizione del cliente, offrendogli una metodologia per gestire la propria situazione
problematica. Le criticità legate all’uso di tale metodologia sono legate alla sua praticabilità nel
contesto scolastico, dove le scarse occasioni di relazione diretta da un lato, la rigidità del ruolo
docente dall’altro complicano una procedura siffatta.
I passaggi chiave dell’approccio non direttivo sono:

1. identificazione della situazione problematica: incoraggiare la libera


espressione deisentimenti, favorire la chiarificazione del problema da parte
dello studente;
2. esplorazione del problema: accettare e chiarire i sentimenti dello studente,
incoraggiare adapprofondire il problema;
3. assunzione di consapevolezza del problema: supportare lo studente, sostenerne il
processod’analisi;
4. identificazione di percorsi risolutivi: chiarire le possibili alternative, ipotizzare
possibilistrategie d’apprendimento;
5. integrazione e assunzione di decisioni: fornire un feedback allo studente,
prefigurareulteriori sviluppi, facilitare lo sviluppo di azioni positive e integrate.

3. L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO

3.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Nella classe 2^ B di scuola superiore, gli alunni stanno studiando le origini del cristianesimo e i
suoisviluppi all’interno dell’Impero romano. L’insegnante di religione, Angela, intende far
esplorare agli allievi la nozione di tolleranza religiosa e iniziare a comprendere alcuni dei fattori
politico- culturali che determinano le relazioni fra religioni differenti. La classe è divisa in otto
gruppi da tre persone, che anzitutto devono ricostruire individualmente che cosa ricordano
sulla diffusione del cristianesimo nel Mediterraneo orientale. Dopo una breve spiegazione da
parte della docente, quattro gruppi si concentrano sui cristiani, quattro sugli ebrei. Scaduto il
tempo di 20 minuti, la classe è ricompattata, in modo da formare tre gruppi formati da quattro
membri provenienti dai diversi gruppi tematici. Ogni gruppo assembla i diversi contributi e
prepara una presentazione, i criteri della cui valutazione vengono stabiliti comunemente dalla
docente e dai ragazzi.

3.2 ANALISI CRITICA


La letteratura più recente ha speso molte risorse sull’apprendimento cooperativo; i principi
basepiù o meno generali sono:

• il valore motivazionale dell’integrazione sociale nel gruppo e del lavoro collaborativo;


• la maggior efficacia dell’apprendimento fra pari, in un contesto d’interazione,
dove ledistanze d’età, di status e di esperienze culturali sono minori;
• l’incremento di complessità sociale e cognitiva, favorito dall’interazione e dalla
costruzionesociale della conoscenza;
• le ricadute positive sulle esperienze cooperative sull’autostima personale,
l’assunzione diresponsabilità, l’accettazione dell’altro e la tolleranza della diversità;
• l’esigenza di apprendere a cooperare tramite l’esperienza e un percorso
graduale estrutturato.

Quest’ultimo punto è alla base dei vari modelli proposti dalla letteratura, perché insegna a
lavorare in gruppo. Esso si differenzia da un qualsiasi aggregato di persone, tenute insieme da
uncompito condiviso, per i seguenti requisiti:

• interdipendenza positiva fra i membri del gruppo;


• responsabilità condivisa dei risultati;
• possibilità di operare ‘gomito a gomito’;
• possesso di abilità sociali basilari per l’interazione in un gruppo;
• opportunità di autoverifica del proprio lavoro.

Il docente ha un ruolo essenzialmente esterno, utile a garantire il funzionamento e l’autonomia


del gruppo. I momenti strategici, allo scopo che egli espleti la propria funzione, sono
soprattutto quelli dell’assunzione di decisioni preliminari, attinenti per esempio al numero dei
gruppi, alla lorocomposizione e ai compiti assegnati. I limiti sono legati soprattutto alla
necessità, imposta dalla metodologia in esame, del possesso di competenze sociali per il lavoro
in gruppo da parte dei membri, all’onere a carico dei ragazzi migliori, che devono ‘trainare’ a
ruota quelli meno volenterosi, e all’importanza estrema assunta dalla metodologia, il che può
talora rendere minorel’attenzione verso i contenuti effettivi del lavoro svolto.

I passaggi chiave della metodologia proposta sono:

1. messa a fuoco di situazioni problematiche: riconoscere il problema, esplorare


ipotesi disoluzione, strutturare un percorso di lavoro;
2. organizzazione del compito e dei gruppi: definire i ruoli, analizzare i materiali e le
risorse adisposizione, allestire il lavoro dei nuclei;
3. studio autonomo e di gruppo: svolgere le attività previste, monitorare e
supportare illavoro dei gruppi;
4. analisi del progresso e del processo: presentare il lavoro dei gruppi, valutare i
risultati e ilprocesso;
5. ripetizione del ciclo di attività: definire indicazioni correttive e migliorative, ripetere il
ciclodi fasi precedenti.

4. LA DIDATTICA PER PROGETTI

4.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Discutendo con allievi, genitori e colleghi, la maestra Anna (classe quinta) capta la necessità di
rendere più fruibili gli spazi esterni della sua scuola. Il progetto dovrà essere steso entro tre mesi
eprevedere un esborso comunale non superiore ai 10.000 euro. Per raccogliere le esperienze
necessarie, viene realizzata un’indagine tra gli alunni e le famiglie della scuola, alla ricerca di
esperienze analoghe presso plessi vicini. Si elaborano alcuni bozzetti e il progetto vero e proprio
da presentare in Comune. Nel valutare quanto fatto, Anna cerca di rispondere ai seguenti
quesiti,insieme alla sua classe: il progetto risponde ai bisogni iniziali? Tiene conto dei vincoli
emersi?
Valorizza le risorse in campo? Tiene conto dei criteri fissati per la riuscita?

4.2 ANALISI CRITICA


La didattica per progetti ha attraversato l’intero pensiero pedagogico dello scorso secolo, in
particolare grazie agli studi di DEWEY e di KIRKPATRICK. La didattica per progetti si configura
comeun processo sistematico di acquisizione e di transfert di conoscenze, nel corso del quale lo
studente anticipa, pianifica e realizza, in un tempo determinato, solo o insieme a pari e sotto
l’osservazione dell’insegnante, un’attività osservabile che risulta, in un contesto pedagogico, un
prodotto finito valutabile. L’enfasi posta dalla definizione sul transfert di conoscenze è, insieme
all’acquisizione delle stesse, lo scopo essenziale della didattica per progetti; d’altro canto,
l’importanza riconosciuta alla trasferibilità del sapere ci riallaccia alla didattica mirante
all’acquisizione delle competenze. Com’è evidente, dunque, la potenzialità più interessante
dell’approccio in oggetto consiste nel fatto di essere reazione all’astrattezza e alla
demotivazione asfittiche che sogliono caratterizzare la didattica tradizionale. Si tratta,
piuttosto, di gettare un ponte fra scuola e vita, fra esperienza di realtà e i saperi formalizzati. Il
ruolo dell’insegnante vienecosì sottoposto a un ripensamento, delineandone una funzione
indiretta, chiamata a catalizzare lerisorse del gruppo affinché il progetto si realizzi. Anche il
ruolo dello studente ne esce modificato: egli è chiamato a farsi carico della realizzazione del
progetto, fornendo un proprio contributo entro un disegno collettivo e assumendosi
responsabilità rispetto agli impegni presi. Quanto ai problemi, essi vanno ricondotti soprattutto
alla scarsa compatibilità con le attività curricolari, rispetto alle quali la didattica per progetti
sembra qualificarsi come un ‘extra’ che ruba tempo e risorse. C’è il pericolo, poi, che nella
didattica per progetti la logica progettuale, appunto, assuma un ruolo troppo superiore rispetto
alla logica formativa, soprattutto quando il progetto deve finire nelle mani d’interlocutori
esterni. I passaggi chiave della metodologia proposta sono:

1. individuazione di un bisogno condiviso o problema da affrontare: analizzare i


bisogni,identificare il problema, argomentarne significato e valore;
2. prefigurazione del traguardo atteso: identificare gli interlocutori, prospettare i
risultatiaspettati;
3. stesura di un disciplinare d’incarico: analizzare vincoli e risorse, precisare fasi e
tempi,definire condizioni di fattibilità;
4. definizione delle strategie e degli strumenti: analizzare i diversi passaggi,
precisare glisviluppi operativi;
5. gestione delle fasi di lavoro: coordinare le azioni e i soggetti, organizzare
l’attivitàoperativa;
6. controllo e valutazione del lavoro: definire i criteri di valutazione, gestire la raccolta dei
datie la loro interpretazione, promuovere il confronto e la discussione.

5. IL GIOCO DI RUOLO

5.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Si tratta di un periodo di tempo nel corso del quale Lucia, insegnante di una scuola media dei
sobborghi milanesi, s’impegna a risolvere i conflitti che rendono impossibile agli alunni di giocare a
pallavolo durante l’intervallo; le diatribe, tipicamente, riguardano i criteri per l’assegnazione del
punto in situazioni contestabili e quelli utilizzati per formare le squadre. Tramite un gioco di ruolo,
svolto per mezzo di discussioni e simulazioni situazionali concrete, Lucia riesce a far capire agli
studenti l’importanza di discutere i valori base che governano il comportamento degli individui e li
esorta ad allargare lo sguardo ai problemi della vita comune, in cui parimenti servono regole per
disciplinare il comportamento dei singoli e dei gruppi.

5.2 ANALISI CRITICA


La caratteristica essenziale del gioco di ruolo è l’impiego di mediatori analogici, dunque di
modalità che simulano il contenuto di realtà oggetto del lavoro didattico. Il suo scopo è quello
diaiutare a comprendere attitudini, valori e percezioni messi in gioco dal soggetto all’interno di
determinate situazioni, approfondire l’esplorazione dei propri e altrui sentimenti e agevolare
lo sviluppo di abilità di problem solving, soprattutto per contesti d’azione in cui siano presenti
risorsenon cognitive, bensì sociali ed emotive. Tipicamente, dunque, si simula un evento
relazionale, cosìda consentire un’analisi dei ruoli agiti durante quell’evento da una prospettiva
di distanziamento. Tramite l’azione simulata, è possibile esplorare a 360° l’esperienza; si
promuove, inoltre, una comprensione empatica tramite le possibilità di osservare i panni altrui
e molteplici punti di vista, operando una lettura che è anche nota col nome tecnico di de-
briefing.
Il docente svolge una funzione essenzialmente esterna e indiretta, volta a garantire regia e
accompagnamento del percorso nelle differenti fasi. E’ suo compito creare un clima sociale
favorevole, che sappia stimolare i soggetti a mettersi in gioco. Deve inoltre definire le regole
del gioco, assegnando i ruoli, conducendo la simulazione e facilitando il de-briefing. Quanto
alle criticità, da un lato può sussistere il problema del non dover appiattire sui singoli individui
i risultati colti a partire dal de-briefing, dall’altro non è sempre facile indurre gli attori a
mettersi in gioco; ancora, la simulazione ha un carattere fortemente situato, il che ne rende
spesso difficile, senon impossibile, il trasferimento su di un piano più complessivo e generale.
I passaggi chiave della metodologia proposta sono:

1. fase di riscaldamento, necessaria a creare le condizioni per attivare il gioco di


ruolo:identificare ed esplicitare i problemi, esplorarne la natura, spiegare il
gioco di ruolo;
2. scelta dei partecipanti;
3. definizione della scena e specificazione dei ruoli;
4. preparazione degli osservatori;
5. recitazione, cioè inizio del gioco vero e proprio;
6. riflessione critica;
7. condivisione della ricerca e generalizzazione dei risultati ottenuti dalla riflessione.

6. L’INSEGNAMENTO RECIPROCO

6.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Luisa è una maestra che, all’interno di una quinta elementare, sta lavorando sulla comprensione
dei testi letti, sulla capacità di formulare domande inerenti a esso e di riassumerlo, di anticiparne
ilcontenuto e di chiarire le eventuali difficoltà contenute al suo interno.

6.2 ANALISI CRITICA


L’insegnamento reciproco è una modalità con cui COLLINS e NEWMAN presentano la metodologia
didattica dell’apprendistato cognitivo. Trattandosi di un apprendistato, le sue caratteristiche
essenziali sono:
• l’imparare facendo;
• la possibilità di disporre di un modello esperto;
• la scomposizione di un compito complesso nelle sue parti elementari;
• la progressiva autonomia del soggetto;
• il ruolo di feedback conferito al modello esperto.

Nel caso specifico qui analizzato, la metodologia in oggetto è applicata allo scopo di
promuoverel’apprendimento di alcune capacità strategiche connesse alla comprensione del
testo; tali abilitàsono ‘di secondo livello’, utili per approcciarsi alla lettura come utenti esperti
e non ingenui.
L’expertise (=perizia) richiama il concetto di competenza, perché di natura strategica e perché
implica anche risorse extracognitive. L’insegnante, allora, si configura come modello esterno,
ingrado di attivare, grazie alla sua esperienza, un insieme di strategie di secondo livello che
migliorano la prestazione. L’insegnamento, nel suo complesso, si qualifica come ‘reciproco’
perché, se in una prima fase è l’insegnante a offrire un modello esperto della competenza
richiesta, verbalizzando ad alta voce i processi che compie per avvicinarsi al testo e captarne il
significato, successivamente il ruolo di docente è assunto a turno dagli alunni, chiamati a
riprodurre il ruolo e la prestazione dell’insegnante, personalizzandolo progressivamente;
l’insegnante fornisce a sua volta un feedback e sollecita l’uso delle modalità esperte.
In generale, dunque, l’apprendistato cognitivo è un’esperienza vicaria basata su una progressiva
autonomia del soggetto nello svolgere una determinata operazione, a partire dal confronto con
unmodello di competenza esperta. Si tratta di un’esperienza di sostituzione del modello
esperto, passando dall’imitare quest’ultimo al rielaborarlo in maniera personalizzata. Il principio
di fondo è che, rappresentando la competenza esterna una forma di sapere pratico, essa non
può che essere insegnata se non tramite il suo esercizio, anziché parlandone in generale. Il
compito dell’insegnante, allora, sarà quello di fornire il modello esperto di una determinata
prestazione (modelling), mostrando come essa si svolge nel concreto; in secondo luogo, egli
deve fornire un’impalcatura allo studente, affinché egli eserciti autonomamente quella
competenza (scaffolding), definendo passaggi chiave, uno schema di base e un diagramma di
flusso; in terzo luogo, deve assistere lo studente nella sua prestazione, fungendo da tutor; poi,
deve attenuare ilsuo supporto, monitorare ancora e dare un feedback, chiamandolo infine a una
riflessione personale rispetto all’esperienza compiuta. Il ruolo del docente, nel complesso,
risulta quindi amplificato. I problemi, dal canto loro, possono essere la tentazione studentesca
dell’imitazione passiva, la distanza coi modelli di lavoro tipicamente scolastici (donde una
difficoltà organizzativa generale) e, infine, il carattere eminentemente situato del risultato
raggiunto, che sarà quindidifficile trasferire in altri contesti. I passaggi chiave della metodologia
saranno:

1. indicazione del compito da svolgere e dei relativi traguardi formativi;


2. esecuzione del compito da parte del soggetto esperto;
3. esplicitazione ad alta voce dei processi logico-cognitivi e operativi sottesi al compito;
4. richiesta all’allievo di svolgere il compito richiesto (nel caso specifico, anche
conferendoall’allievo l’incarico di essere a loro volta insegnanti);
5. assistenza e sostegno allo svolgimento del compito da parte dell’allievo, anche da
parte dimembri del gruppo dei pari;
6. riflessione sulla prestazione svolta, stimolando gli allievi a riflettere sul proprio operato;
7. prosecuzione del lavoro con gli altri componenti del gruppo;
8. consolidamento della competenza agita e, se possibile, suo trasferimento ad
altresituazioni.

7. L’APPROCCIO METAFORICO

7.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Luca, insegnante di scuola media, lavora coi suoi studenti alla realizzazione di una raccolta di
poesie e di brevi storie. Il carattere tipicamente monotono degli scritti, però, lo convince della
necessità di cercare un approccio originale agli alunni, così propone loro una serie di idee e
concetti ‘paradossali’ da cui osservare la poesia e la scrittura con piglio diverso dal solito.

7.2 ANALISI CRITICA


L’aspetto caratteristico della metafora è che essa va oltre il significato letterale dei termini. Sul
piano didattico, la sua valenza è quella di uno stimolo a rompere gli schemi abitudinari, l’uso
stereotipato di codici o concetti comunicativi e un approccio lineare alla conoscenza; la
direzione èquella di una maggior personalizzazione dell’apprendimento, di un contributo a
un’espressione piùautentica di sé stessi e di un approccio alla conoscenza più creativo. Pertanto,
si tratta di una metodologia contraddistinta da qualità specifiche: valorizza la creatività come
risorsa cruciale, sostenendo che essa possa essere insegnata; conferisce importanza alla
dimensione del gruppo nello stimolare la creatività, perché aiuta a raggiungere una maggiore
apertura mentale. La divergenza, il pensiero laterale, la pluralità delle prospettive, l’incertezza
della conoscenzadiventano valori da promuovere per il pensiero complesso e la convivenza
sociale; la loro importanza è tanto maggiore se si pensa che, tramite l’approccio metaforico, tali
valori sono instillati all’interno di un contesto conformista quale quello scolastico. L’insegnante
ha una funzione animativa, perché da un lato è suo compito stimolare i processi creativi, spesso
malvisti nella scuola, dall’altro deve ricondurli allo scopo didattico di riferimento. Il problema
essenziale, diconseguenza, sarà quello legato al cambiamento di ruolo che l’insegnante deve
attuare; inoltre, non è sempre facile che i fili dei processi creativi vengano ricondotti
effettivamente ai binari della didattica, così come talora è complesso instaurare quel clima di
collaborazione e rispetto che il lavoro in gruppo qui proposto implica. I passaggi chiave di questa
metodologia sono:

1. analisi e problematizzazione della situazione esistente;


2. uso di analogie dirette e personali;
3. ricorso al conflitto semantico, che nell’esperienza riferita sopra si evince dal
tentativo, esperito dal docente, di far osservare la produzione scrittoria da un punto
di vista diverso;
4. riesame del compito originale alla luce di quanto acquisito e sviluppato.

8. L’APPROCCIO METACOGNITIVO

8.1 RESOCONTO DELL’ESPERIENZA


Nicole insegna Storia e Geografia in una secondaria di primo grado e intraprende una
metodologiabasata sull’uso di schede, dette ‘Istruzioni per l’apprendimento’, che fungono da
organizzatori anticipati delineanti gli obiettivi e i risultati attesi all’inizio della lezione. Alla fine
dell’ora, gli studenti sono invitati ad auto valutarsi; essi apprezzano tale approccio, perché così
sanno che cosastanno facendo e di farsi un’idea su che cosa dovranno fare poi.

8.2 ANALISI CRITICA


L’obiettivo dell’approccio metacognitivo è, come il nome stesso evidenzia, favorire negli
alunni una consapevolezza maggiore dell’esperienza di apprendimento, in rapporto a due
quesiti: ‘checosa’ è stato acquisito e ‘come’ ciò è stato ‘acquisito’. Le parole chiave sono:

1. consapevolezza: andare oltre la mera esperienza concreta e promuovere una


riflessione sudi essa, cosicché lo studente ne acquisisca coscienza effettiva. Il
raggiungimento della consapevolezza richiede non solo una fase di lavoro a
posteriori, ma anche una a priori, in cui si devono esplicitare il senso e i traguardi di
un determinato itinerario. E’ importante anche la fase contestuale, che dev’essere
accompagnata da una documentazione del processo;
2. memoria: è la condizione per permettere una comprensione più profonda del
sapere, perché garantisce la possibilità di ritornare sul percorso fatto e lo stimolo a
tenere tracciadei propri pensieri;
3. responsabilità: serve un atteggiamento attivo, da parte del soggetto, nel riflettere
sul proprio percorso d’apprendimento, facendosi carico di essi sia per i successi
che per gliinsuccessi;
4. autonomia: direttamente legata al senso di responsabilità;
5. condivisione: il fine ultimo del lavoro metacognitivo è istituire un’alleanza fra alunno
e insegnante, accomunandone la responsabilità nel processo d’apprendimento (ma
tenendomemoria della diversità dei ruoli). Serve dunque un ‘contratto formativo’
come patto che concretizzi l’asse così formato.

Il maggior punto a favore dell’apprendimento metacognitivo consiste nella valorizzazione da


esso operata tra insegnamento e valutazione, con il secondo momento a fungere (anche tramite
l’autovalutazione) un momento importante per il primo. Il docente, amplificato nel suo ruolo,
develavorare sul senso dell’apprendimento per l’alunno. Le problematiche sono la variabile del
tempo e la tentazione di ridurre tutto a mera tecnica, con l’uso di griglie, tabelle, questionari
ecc.
I momenti chiave di questa metodologia sono:
1. fare chiarezza sul significato e sui traguardi formativi del percorso;
2. sviluppare le modalità di documentazione del lavoro fatto, così da facilitarne il
riesame aposteriori;
3. sollecitazione di processi autovalutativi;
4. confronto e condivisione in classe delle riflessioni svolte;
5. impulso a sfruttare proattivamente l’esperienza fatta e soprattutto le riflessioni
maturatesul suo conto;
6. utilizzo, da parte del docente, del processo riflessivo per rivedere la propria
azione eriprogettare il lavoro successivo.
LE STRATEGIE DIDATTICHE – G. Bonaiuti

OBIETTIVO
non ‘dettare’ all’educatore come si debba comportare, ma aiutarlo a gestire più consapevolmentele
pratiche compiendo scelte “informate da evidenza” attraverso il confronto con modelli ed
esperienze giàeffettuate ed adeguatamente sperimentate. Il ‘fare’ dell’insegnante è
strutturalmente pervaso da elementiideali e valoriali che ne definiscono ampiamente i criteri di
giudizio. La conseguenza è che ogni azione e ognirisultato possono essere interpretati secondo
traiettorie e visioni del tutto opposte. La stessa idea di insegnamento può, in questa prospettiva,
essere messa in discussione, sia per il fatto che l’apprendimento è sempre ed esclusivamente un
processo che nasce dalla volontà di chi apprende finendo così per rappresentare una sorta di
‘paradosso pedagogico’ (Visalbenghi, 1988), sia perché l’azione educativa può dissimulare anche
azioni manipolatorie e passivizzanti (rf. ’68). Il dibattito sulle finalità ultime dell’educazione
contribuisce a rendere problematico il riconoscimento delle ‘buone pratiche’. Per evitare di
legittimare un certo relativismo per cui tutto è ‘buona pratica’, risulta importante individuare le
buone pratiche a partire dalle evidenze. La Evidence Based Education (EBE) è un approccio che si
basa sul saper utilizzare, comparare e sintetizzare i risultati esistenti della ricerca e della
letteratura scientifica al fine di indicare quali interventi educativi possono risultare efficaci nelle
diverse situazioni, in modo da rendere i docenti consapevoli delle loro scelte. Gli strumenti
utilizzati sono principalmente:

- systematic reviews, cioè compendi ragionati della letteratura disponibile a partire dalla
selezione dei lavori più significativi;

- meta-analisi, cioè una tecnica statistica che permette di aggregare e combinare i dati
provenienti da ricerchedi carattere sperimentale, generando un indicatore standardizzato, l’
effect size (ES), che misura la forza di un fenomeno, tipicamente la variazione di un risultato
dopo un intervento sperimentale. In campo educativo, indica la forza della variabile
dipendente, tipicamente il livello di apprendimento, attraverso il confronto di un gruppo
sperimentale e quelli di un gruppo di controllo o, se in uno stesso gruppo, fra una condizione
iniziale e una finale. I più diffusi test statistici per il calcolo dell’effect size in campo
psicologico ed educativo sono ‘r’ di Pearson e ‘d’ di Cohen. Uno dei metodi più semplici per il
calcolo dell’ES è il calcolo della differenza fra le medie dei due gruppi divisa per la media delle
deviazioni standard. Se ES <0, l’effetto è negativo, se 0 <ES<0,1 effetto ridotto, se 0,1<ES<0,3,
effetto medio, se ES>0,5 effetto ampio. In genere si considera degno di nota se almeno
ES=0,3, anche se gli effetti sono visibili da ES=0,4.

Strategia: scelta dei modi e dei mezzi (ritenuti) più opportuni al raggiungimento di un risultato,
mosse efficaci
scelte da un repertorio di attività collaudate dall’esperienza.

Strategia didattica: applicazione di un insieme di azioni intenzionali, coerenti e coordinate, volte al


raggiungimento di un obiettivo educativo (= risultati attesi in termini di cambiamento cognitivo,
affettivo o comportamentale); si basa su alcuni riferimenti regolativi applicati in maniera flessibile,
con una forte attenzione allo svolgimento dell’azione e continui adattamenti sul campo. La s.d.
dovrebbe possedere alcuniattributi:

- avere una denominazione e una fisionomia tali da renderla riconoscibile tra altre;
- offrire elementi di trasferibilità e adattabilità a contesti diversi;
- mostrare un’evidente utilità pratica;
- avere avuto un numero ragionevole di riconoscimenti postivi e indagini sperimentali capaci di
confermarneefficacia e consistenza.

Una s.d. , infatti, non ha solo l’obiettivo di raggiungere lo scopo, ma anche di farlo bene. In questo
senso nonpuò ignorare la ricchezza e la significatività dei percorsi offerti, la qualità dei risultati
intermedi, la premura verso il buon utilizzo dei tempi e delle risorse. Si tratta di modelli operativi,
riconoscibili, formalizzati e trasferibili su cui la ricerca ha raccolto una serie di evidenze
sufficientemente ampia da far ritenere che l’efficacia riscontrata non sia riconducibile né a
circostanze peculiari né alla mera casualità. Prima di selezionare un approccio occorre soffermarsi
sulla tipologia del contesto situazionale all’interno del quale diopera, verificare che ci sia coerenza
tra le modalità operative suggerite dalla strategia e il tipo di conoscenzee competenze al centro
degli obiettivi formativi, che vi siano i tempi, le condizioni e le capacità per poterla applicare.
Una volta scelta la strategia, questa va adattata al contesto e, spesso, integrata o alternata a
strategie diverse.

ARCHITETTURE DELL’ISTRUZIONE
(Clark, 2000): macrostrutture che si differenziano tra loro per:
• la modalità di gestione del processo formativo;
• la strutturazione e autoconsistenza del materiale didattico;
• i livelli di autonomia assegnati agli studenti;
• la quantità e direzione delle interazioni alunno-docente.
ARCHITETTURE DELL’ISTRUZIONE E STRATEGIE DIDATTICHE

Ognuna di queste architetture contiene una o più strategie didattiche che ne interpretano e ne
attualizzano in maniera peculiare le idee di fondo. Ogni strategia presenta vantaggi, limiti e ambiti
di applicazione privilegiati. La possibilità di ottenere un risultato efficace dipende sia dalla scelta
del dispositivo metodologico adeguato allo scopo e alle caratteristiche del contesto all’interno del
quale ci si trova ad operare, sia dalla capacità di applicarlo al meglio. Nell’insegnamento esistono
dei principi di fondo resi disponibili dalla ricerca Evidence Base (Calvani, 2014). In generale, infatti,
l’apprendimento è facilitato quando:

• l’insegnante definisce in maniera chiara gli obiettivi


• quando gli studenti comprendono bene che cosa devono fare e vengono messi nelle
condizioni di usare le strategie per costruire nuovi significati

Questo significa che l’insegnamento non può esimersi da una funzione di accompagnamento e
supporto, soprattutto all’inizio di ogni nuovo percorso conoscitivo: non a caso il feedback (ES=0,7)
e la valutazione formativa (ES= 0,9) sono gli elementi che più di altri dimostrano livelli importanti di
efficacia. Per valutazioneformativa si intende una forma di verifica dinamica, svolta in itinere (ad
es. nel corso di una spiegazione), con l’intento di fare il punto o di riorientare l’allievo in vista
dell’obiettivo finale. Lo scopo è ottenere una comprensione del livello di acquisizione degli
studenti onde apportare modifiche e correzioni. L’elemento che più di altri assicura la buona
riuscita di una valutazione che sia di sostegno all’apprendere è il feedback (= info di ritorno in
conseguenza di un’azione. La gestione del feedback è fondamentale nelle due direzioni:sia quando
l’insegnante comunica all’allievo precise indicazioni su come migliorare un comportamento o una
prestazione, sia quando egli recepisce le difficoltà espresse dallo studente (questo consente
l’adattamento del linguaggio e quindi il miglioramento della didattica).

1. ARCHITETTURA RECETTIVA (TRASMISSIVA)

Questa architettura esprime il modello classico di insegnamento, tipicamente asimmetrico. In


questaprospettiva il raggiungimento di un buon risultato dipende dalla capacità del docente di
organizzare, gestiree presentare i contenuti. La conoscenza è intesa come relativamente stabile e
suddivisibile in segmenti argomentativi, l’interazione docente-allievo scarsa o assente, la
valutazione degli apprendimenti tipicamente sommativa e posta alla fine dell’intervento (per
valutazione sommativa si intende la valutazionefinale di un programma di intervento giunto alla
sua fase conclusiva. Ha la funzione di certificare l’apprendimento e attribuire un giudizio di merito
(voto)). Nella pratica questa modalità può assumere la forma della lezione, del seminario o della
conferenza, essere in presenza o in forma mediata (ad es. online),in tempo reale o in differita (es.
registrazione video).

ESPOSIZIONE CLASSICA
(show and tell, Clark (2010))

Idea di base: comunicare agli studenti quello che devono apprendere usando le modalità
espressive migliorial fine di favorire la comprensione. I vantaggi di questa strategia sono relativi
alla possibilità di raggiungere un vasto pubblico e di prevedere e governare i tempi. Per contro, il
trattare i contenuti non significa avere garanzie del fatto che questi vengano compresi,
metabolizzati e poi impiegati. Inoltre, il rischio è che gli studenti possano perdere il filo del
discorso, stancarsi e non capire se l’esposizione presenta carattere retorico, eccessiva prolissità
verbale, noncuranza dei tempi di attenzione e coinvolgimento degli allievi, se l’esposizione orale è
poco comprensibile e richiede conoscenze linguistiche o capacità di astrazione eccessive. Può
risultare un valido veicolo per l’insegnamento, a condizione che vengano rispettati i principi
dell’istruzione e, in particolare, della teoria del carico cognitivo (rispetto dei limiti cognitivi
presenti nei processi di elaborazione dei contenuti, per illustrare fatti e concetti, delineare aspetti
teorici e formali. In generale, comunque, dovrebbero essere affiancate ulteriori strategie, per
consentire agli studenti di applicare e verificare quanto appreso. L’efficacia di questa strategia
richiede di spostare l’attenzione ai processi cognitivi e alle dinamiche affettive e relazionali del
discente, partendo dalle preconoscenze possedute dal pubblico e considerando le loro modalità
di elaborazione delle informazioni.

Una buona esposizione richiede:

• attenta pianificazione (individuazione degli elementi fondamentali, dei passaggi logici e


narrativi da seguire,della scelta del linguaggio e degli esempi da mostrare, messa apunto dei
materiali da utilizzare);
• l’avvio dell’esposizione deve prevedere una fase di attivazione finalizzata a richiamare
l’interesse sull’obiettivo e sul percorso che verrà seguito per raggiungerlo. Un passo
fondamentale è quello dell’ attivazione delle preconoscenze;

• le info essenziali saranno esposte in modo da evidenziare i nuclei tematici principali ed


eliminare fattori di disturbo (cfr. teoria del carico cognitivo) (evitare, ad es., frasi troppo
lunghe, incisi, digressioni, doppie e triple negazioni, uso eccessivo e improprio di slide, …). I
concetti principali devono essere costantemente evidenziati e richiamati. Le conoscenze non
si conservano in memoria se non sono inserite in strutture organizzate (es. di tecniche
efficaci: domande di verifica, uso di organizzatori grafici, mappe concettuali e schemi in grado
di visualizzare il progressivo processo di strutturazione degli argomenti trattati);

• I contenuti più importanti devono essere messi a fuoco, riproposti da angolature diverse e,
alla fine, passati nuovamente in rassegna e sintetizzati;

• Per attivare la dimensione emozionale e mantenere viva l’attenzione è importante un uso


appropriato della voce e un corretto utilizzo del corpo;

• Il contenuto dell’esposizione deve suscitare costante interesse , sfidare gli allievi (deve essere
challenging), ad esempio ponendo quesiti e interrogativi capaci di stimolare la curiosità e la
riflessione;

• la conclusione deve non solo ricapitolare, ma fornire indicazioni per l’interiorizzazione dei
concetti, suggerirestrategie per l’applicazione di quanto appreso, favorire la maturazione di
capacità di autocontrollo eautoregolazione.

AZIONI CHE RISULTANO ESSERE PARTICOLARMENTE EFFICACI:

• esplicitare gli obiettivi, gli scopo e le mete da raggiungere per aiutare gli studenti a indirizzare
le loro energie(ES=0.56);

• usare gli anticipatori (advance organizers), cioè quei dispositivi concettuali capaci di raccordare
le nuove infoalle preesistenti (ES=0.41; ES=0.59);

• impiegare mappe concettuali e altri organizzatori grafici per mostrare, anche visivamente, il
rapporto tra i concetti esposti e aiutare gli allievi a sintetizzare , identificare e organizzare i
principali temi, idee einterrelazioni (ES=0.57);

• fare uso di esempi guidati (worked examples) (ES = 0.53), cioè risoluzione dei problemi passo
dopo passo con commenti e spiegazioni (più efficace della scoperta diretta nel caso in cui gli
studenti non siano ancora sufficientemente esperti della materia)
In estrema sintesi:
§ attivazione delle preconoscenze
§ attenzione ai processi cognitivi (teoria del carico cognitivo)
§ strutturazione organizzata dell’informazione (anche grafica)
§ ripetizione concetti fondamentali
§ utilizzo di worked examples
§ favorire metacognizione

Flipped classrooms è un approccio che prevede il rovesciamento dei tempi e dei modi di lavoro:
prima gli studenti studiano (autonomamente a casa) attraverso materiali multimediali (es., video
didattici realizzati dal docente o altro materiale in rete, libri o altre risorse), poi in classe
l’insegnante aiuta ad approfondire gliargomenti, rispondere a quesiti, eliminare dubbi,… Vantaggi:
se accuratamente progettata e realizzata, puòrisultare più utile della lezione frontale perché (i) dà
agli studenti la possibilità di assecondare il proprio ritmopersonale (es. è possibile interrompere,
riprendere e vedere più volte un video); (ii) l’insegnante non deve perdere tempo a ripetere più
volte le stesse cose con il rischio di diventare noioso per alcuni e complicato per altri.
Problematiche: (i) richiede un cambiamento culturale nelle aspettative e nell’atteggiamento; (ii)
non è detto che gli studenti effettivamente si preparino in anticipi, compromettendo lo
svolgimento della seconda parte del lavoro in classe.

ESPOSIZIONE MULTIMODALE
Rispetto alla 1.1., pone maggiore attenzione all’esigenza di adattività agli specifici bisogni
comunicativi degli allievi.

Idea di base: fornire agli studenti il contenuto da apprendere cambiando e adattando il canale
comunicativoe le modalità di lavoro a partire dalle loro caratteristiche sensoriali e attitudinali. La
scuola di oggi è più che mai caratterizzata dalla differenze. Non si tratta di pensare tanto allo
studente medio e poi effettuare adattamenti verso soggetti eccezionali, quanto di concepire fin
dall’inizio interventi capaci di rispondere alleesigenze di tutti, pur nelle varie eccezionalità (special
needs, studenti dotati, differenze culturali e linguistiche). L’intervento è proposto utilizzando più
codici linguistici e secondo schemi espostivi diversificatiper caratteristiche cognitive e conoscitive,
linguistiche, sensoriali e motorie. Nella pratica è spesso privilegiato il ricorso a interventi selettivi,
cioè riguardanti i BES, ma l’idea è che forme di comunicazione alternative (modalità espositive
variegate) possano essere attuate a beneficio di tutti, in quanto permette agli studenti di arrivare
prima e meglio a comprendere e, al contempo, stimola l’interesse e le possibilità di attivare
strategie personali di apprendimento e memorizzazione.

La differenziazione deve avvenire su più piani, alla luce delle differenze nei modi di apprendimento
e di espressione degli studenti che vanno sempre tenute in considerazione:

• nei mezzi di rappresentazione delle info;


• nelle modalità di azione e di espressione;
• nelle forme e nei modi del coinvolgimento e della motivazione (sostenendo l’interesse,
lo sforzo, la perseveranza e l’autoregolazione).
• Modalità espositive diverse aiutano l’apprendimento in quanto la loro efficacia dipende dal
dominio da apprendere (es. i diagrammi evidenziano bene le info qualitative, i grafici fanno
capire le relazioni tra le variabili e la natura di tali relazioni). Inoltre, ogni rappresentazione
può costringere a comprendere meglio le altre, obbligando gli studenti a ragionare.

Possibili rischi:
• maggiore impegno da parte dell’insegnante e quindi aumento dei tempi sia in fase
progettuale sia in quella esecutiva;
• problema dell’attenzione divisa (split attention): rappresentazioni diverse richiede di
relazionare più fonti diinfo e questo può dare luogo a un carico cognitivo estraneo, riducendo
le risorse mentali necessarie per l’apprendimento (sono gli allievi più esperti a giovare di
rappresentazioni complesse e diversificate);
• modalità sovrapposte possono creare intralcio alla comprensione (es. sovrapposizione di voce
e testo scrittodiverso da quello pronunciato). A questo rischio si può ovviarefacendo leva sul
fattore tempo, ossia collocarel’offerta di modalità espositive diverse in periodi di lavoro
appropriati.

In estrema sintesi, offrire modalità espositive variegate, di cui possono beneficiare tutti in quanto
• consentono di andare incontro alle differenze degli studenti negli stili di apprendimento e di
espressione
• offrono la possibilità di attivare strategie personali di apprendimento e memorizzazione
(autoregolazione)

TEORIA DEL CARICO COGNITIVO


suggerisce di considerare le caratteristiche e i limiti della memoria di lavoro perampliare le
modalità di comprensione e apprendimento. La mente umana è composta da memoria sensoriale,
memoria di lavoro e memoria a lungo termine e le maggiori criticità (capacità limitata) risiedono
nella memoria di lavoro, che ha un ruolo cruciale nella ricezione, elaborazione e trasformazione
delle nuoveinfo in elementi da indirizzare alla memoria a lungo termine. Il carico cognitivo è la
quantità di lavoro o sforzomentale cui la memoria di lavoro può far fronte. La teoria ipotizza che il
carico cognitivo sia distinto in tre diverse tipologie:
• carico cognitivo estraneo (info superflue e divergenti rispetto all’obiettivodi
apprendimento);
• carico cognitivo intrinseco: dipende dalla complessità del contenuto da apprendere;
• carico cognitivo rilevante: è connesso ai processi di comprensione, ovvero alle attività di
recupero, integrazione e strutturazione di schemi mentali (= insieme strutturato e
organizzato di conoscenze di cui disponiamo e che consentono di rappresentare le
informazioni possedute e di accoglierne di nuove) attivitàche prevede un intensoscambio di
info con la memoria a lungo termine.
Dal momento che le tre componenti concorrono nell’uso delle stesse risorse mentali, è
necessario che un buon intervento istruttivo:

• minimizzi il c.c. estraneo (evitando rumori, divagazioni, distrazioni,…);

• che riduca il c.c. instrinseco (attraverso tecniche come la scomposizione del compito in
attività più semplici(chunking), la sequenzializzazione in fasi (sequencing) e l’adattamento dei
tempi di lavoro ai ritmi individuali(pacing)). Poiché il c.c. intrinseco dipende anche all’expertise,
attenzione all’ expertise reversal effect, per cuila semplificazione può portare tedio e
distrazione nei più esperti. Una buona tecnica dovrebbe pertanto passare da interventi
inizialmente didascalici e istruttivi per arrivare a compiti di apprendimento aperti in cuigli
studenti si cimentano in modo autonomo;

• aumenti il c.c. rilevante, facilitando la costruzioni di schemi mentali flessibili e capaci di


adattarsi alle diversesituazioni, proponendo esemplificazioni pertinenti di una varietà di
problemi in cui si ritrovano i concetti indicati e formulando domande capaci di favorire le
riflessioni personali.

2. ARCHITETTURA COMPORTAMENTALE (DIRETTIVO-INTERATTIVA)

TRATTI CARATTERIZZANTI:
• accurata analisi e predisposizione dei materiali didattici (o situazioni stimolo), ma soprattutto
• il ruolo giocato dall’interazione tra insegnante e allievo, finalizzata a mostrare il livello
raggiunto da quest’ultimo in relazione al traguardo di apprendimento atteso.Sono rilevanti i
concetti di:
- rinforzo: azione che il docente svolge allo scopo di promuovere la risposta
comportamentale desiderata (si parla di rinforzo positivo quando si prevede
l’aggiunta di un elemento positivo, gratificante (ricompensa, premio, complimento)
e di rinforzo negativo quando si prevede la riduzione (o eliminazione) di una
situazione sgradevole come togliere l’obbligo di fare un compito precedentemente
assegnato) – da non confondere con la punizione);

- feedback, pensando a una funzione di accompagnamento che l’insegnante esercita


in maniera continua e che è attenta ad orientare l’allievo al passo successivo. La
gestione del feedback è fondamentale nelle due direzioni: sia quando l’insegnante
comunica all’allievo precise indicazioni su come migliorare un comportamento o
una prestazione, sia quando egli recepisce le difficoltà espresse dallo studente
(questo consente l’adattamento del linguaggio e, quindi, il miglioramento della
didattica).

ISTRUZIONE SEQUENZIALE INTERATTIVA


Idea di base: presentare i contenuti gradualmente sostenendo continuamente l’apprendimento
con prove diverifica al fine di facilitare l’avvicinamento alla meta e sostenere la padronanza del
compito.

Gli elementi caratterizzanti sono due:


• organizzazione gerarchica dei contenuti (stair steps);

• presenza di continue azioni di esercitazione e verifica.

Data la crescente importanza dell’aspetto informativo, il feedback diventa un concetto cruciale,


inteso comeaccompagnamento all’azione corretta mediante spiegazioni e chiarimenti. Il concetto
di feedback è strettamente connesso a quello di valutazione formativa, cioè di una valutazione
della prestazione finalizzata al supporto e alla crescita dello studente.
L’implementazione di questo approccio è coadiuvato da strumenti della cultura informatica, quali
la task analysis (analisi dei compiti e della loro esecuzione) e gli strumenti per la formalizzazione
dei processi comei flow chart, le checklist o le work breakdown structures.
L’idea è quella di pensare all’insegnamento come a una continua interazione – domande e risposte
– con gli allievi.

Principi di base:
a) prima dell’azione formativa, l’insegnante deve determinare chiaramente gli obiettivi
dell’apprendimento, lemodalità e l’ordine di presentazione dei contenuti, gli esercizi da
svolgere e i sistemi di verifica dei risultati;

b) gli allievi devono essere informati sia degli obiettivi sia degli standard di performance
attesi, in modo da coinvolgerli e motivarli al compito di apprendimento catturandone
l’attenzione, ovvero attivando una cornice ricettiva idonea a sostenerne l’attenzione sugli
argomenti;

c) la gestione dell’intervento richiede azioni di guida, di accompagnamento e di continuo


monitoraggio della comprensione (se il lavoro si svolge in una classe, l’insegnante si
muoverà per la stanza per determinare il livello di padronanza di ognuno e fornire il
necessario feedback individuale);

d) l’avanzamento lungo il percorso implica la pratica, quindi è necessaria l’individualizzazione


dell’insegnamento (l’individualizzazione si riferisce a un insieme di metodi di insegnamento
che intendono garantire agli studenti il raggiungimento degli stessi obiettivi di
apprendimento, operando su ritmi, tempi emodalità di lavoro diversi sulla base delle loro
necessità. Può essere effettuata semplificando il materiale didattico, inserendo percorsi di
recupero, modificando il canale comunicativo, intensificando il feedback o variando le
condizioni dell’apprendimento (ad es. introducendo l’apprendimento di coppia. Non va
confusocon il termine ‘personalizzazione’ che, invece, differenzia gli obiettivi da
perseguire).
Conferme sull’importanza della gradualizzazione dell’istruzione vengono dalla teoria del carico
cognitivo, che suggerisce l’importanza dell’ottimale adattamento dell’impegno richiesto
all’expertise del dell’allievo (se troppo complesso, sovraccarico della memoria di lavoro e
frustrazione, se troppo semplice rischio dell’expertise reversal effect).

Attenzione che un’eccessiva granularità dei passi alla lunga può affaticare lo studente.

Possibili rischi:
la principale critica risiede nel rischio di riduzionismo insito nella pretesa di circoscrivere e
oggettivare i saperi, nella possibile assuefazione e inibizione della responsabilizzazione degli
studenti a un impegno autonomo e creativo. I detrattori rimarcano il fatto che apprendere è un
processo attivo e dinamicoche necessita di occasioni di confronto autonomo con i contesti reali. I
sostenitori rispondono, dati alla mano, che portare nella scuola il disordine della realtà senza il
supporto del docente non contribuisce a migliorarei risultati ma impedisce, specialmente agli
studenti meno brillanti, la comprensione e preclude la possibilitàdi affrontare con competenza
situazioni inedite più complesse.

In estrema sintesi:
• organizzazione gerarchica dei contenuti (stair steps) gradualizzazione
• presenza di continue azioni di esercitazione e verifica formativa (feedback), come
percorso diaccompagnamento
• importanza della condivisione degli obiettivi e degli standard di performance attesi
motivazione e attenzione
• importanza dell’individualizzazione

MODELLAMENTO (APPRENDISTATO)
Idea di base: mostrare agli allievi come fare e come ragionare mentre si svolge il lavoro, avendo
cura di scegliere con attenzione gli argomenti o le azioni sulla base delle loro capacità. Uno dei
metodi più spontaneidi apprendimento è quello dell’imitazione. Il modellamento prevede tempi
commisurati alla complessità dell’attività, la gradualizzazione dei compiti, numerose prove da
parte dell’allievo e continue correzioni dell’espero per arrivare a una progressiva conquista
dell’autonomia del discente all’aumentare della sua esperienza pratica guidata. L’esperto può
accompagnare le proprie azioni con la spiegazione ad alta voce delsignificato dei diversi passaggi,
del perché di determinate scelte o delle attenzioni e precauzioni da prendere.Il modellamento è
oggi rivalutato anche nell’insegnamento scolastico, e non solo nelle didattiche laboratoriali. Dal
punto di vista neuronale, un elemento che rende possibile l’apprendimento attraverso l’imitazione
è la presenza dei neuroni specchio, aree del cervello in grado di attivarsi irriflessivamente alla vista
dei comportamenti altrui. Tale apprendimento è influenzato da una serie di fattori, come la
somiglianzadelle caratteristiche personali tra osservatore e modello o la competenza del modello
nello svolgimento delle prestazioni. Il modellamento, nella formazione scolastica, può essere
utilizzato in numerose circostanze e, in particolare, per far acquisire abilità, atteggiamenti e pensieri
connessi alle pratiche. L’attuazione praticadeve risultare di complessità proporzionata ai diversi
periodi della crescita professionale del discente. Ha importanza il concetto di gradualità, ma non
c’è un’accurata e analitica pianificazione a priori del percorso, poiché è dall’interazione tra
l’esperienza dell’esperto e le capacità dimostrate dall’allievo che si determinanoi singoli percorsi di
formazione.

Vi sono una serie di azioni che accompagnano il modellamento:


• Il modelling (l’esperto mostra come fare e l’apprendista osserva e imita)
• il coaching (assistenza continua e feedback)
• lo scaffolding (fornire strumenti, aiuti e supporto diversificati)
• il fading (riduzione graduale del sostegno, favorendo progressivamente l’autonomia)

Nell’istruzione scolastica assume importanza il concetto di apprendistato cognitivo, che richiede


una maggiore attenzione agli aspetti della riflessività. Su questa base risulta importante
accompagnare la pratica con la verbalizzazione ad alta voce (think aloud). L’insegnante, nel
mostrare come svolge un certo compito o risolve un determinato problema, dovrebbe cioè
esplicitare i motivi della proprie scelte e insegnare gli studenti a fare altrettanto. Incoraggiare la
riflessione attraverso la verbalizzazione dell’esperienza e, in particolare, la capacità di porsi
autonomamente delle domande (self-questioning) contribuisce a svilupparecapacità
autoregolative e ad acquisire competenze esperte. Nell’apprendistato cognitivo viene posta
attenzione anche ad altri aspetti connessi alla dimensione metacognitiva e alla capacità di
astrazione e trasferimento in contesti diversi. Assumono qui importanza l’articolazione (intesa come
incoraggiare l’allievoa verbalizzare l’esperienza), la riflessione (che spinge a confrontare i problemi
incontrati con l’espero e gli altri) e l’esplorazione (che suggerisce di provare ad applicare i
problemi in forma nuova o ad applicarli in contesti diversi).

Evidenze:
direct instruction efficace soprattutto con soggetti inesperti o deboli (ES=0.59). Il modellamento
rappresenta una delle funzioni principali dell’insegnamento esplicito, a cui sono connessi
miglioramenti in numerosi campi, come l’apprendimento delle lingue, l’acquisizione di capacità
pratiche e competenze socio-relazionali. Calvani (2012) sostiene che il modellamento,
accompagnato dal supporto metacognitivo, rappresenti la combinazione più efficace tra tutti gli
approcci istruttivi auto-verbalizzazione e autoverifica (ES
=0.64).

Possibili rischi:
per un esperto non è sempre facile tradurre la sua expertise in un percorso gradualizzato,
articolato in passaggi sequenziali. Questo è particolarmente vero quando la distanza tra i due è
molto marcata. Un fattore determinante, ai fini della riuscita, è la capacità dell’esperto di osservare
come reagiscela persona a cui si rivolge, ovvero la sua capacità di gestire il feedback.

In estrema sintesi:
• mostrare come fare
• gradualizzazione dei compiti
• processo di accompagnamento con graduale riduzione del sostegno
• incoraggiare la metacognizione verbalizzazione, riflessione, self-questioning, esplorazione

SUPPORTO AL COMPORTAMENTO POSITIVO


Idea di base: organizzare un sistema condiviso di regole e ricompense per prevenire e minimizzare i
problemicomportamentali a scuola. Investire nella prevenzione dei comportamenti problematici
migliora complessivamente le opportunità di apprendimento e riduce ansia e stress negli
insegnanti. In questo approccio gli interventi comprendono la modifica delle variabili ambientali,
quali l’organizzazione fisica deglispazi, il tipo di attività proposte e dei compiti assegnati, il ritmo
didattico e il sistema di incentivi. L’approcciofunziona se c’è un’ampia condivisione delle regole da
rispettare e dei comportamenti desiderati. Per produrre il cambiamento è necessario che vengano
definite e chiaramente comunicate le aspettative comportamentali di base, che siano riconosciuti e
premiati i comportamenti appropriati e che venga stabilito un continuum di provvedimenti
connessi a quelli inappropriati. Ogni scuola deve provvedere attraverso un lavoro di squadra a
definire il proprio codice etico e comportamentale, con regole e pratiche ispirate alla prevenzione
piuttosto che alla repressione.

Il PBS (Positive Behavior Support) prevede 3 diversi livelli di intervento:


1. il primo riguarda tutti gli studenti della scuola;
2. il secondo riguarda gli studenti che non sembrano rispondere alle strategie primarie, ma
che non hannonecessità di un supporto individuale;
3. il terzo prevede assistenza intensiva individuale e di un piano educativo individualizzato.

Ci sono 4 principali procedure per insegnare competenze comportamentali:

1. indicare chiaramente quali sono le aspettative, ovvero i comportamenti non accettabili e le


loroconseguenze;
2. rinforzare gli atteggiamenti appropriati;
3. applicare i correttivi adeguati nel caso di comportamenti sbagliati;
4. svolgere una regolare supervisione in ogni locale della scuola (aula, corridoi, giardini,
palestra).

L’applicazione del PBS è particolarmente efficace in termini di prestazioni, ma anche effetti a lungo
terminesugli stili di vita, … (ES > 1).

Possibili rischi:
l’efficacia prevede un coinvolgimento convinto di almeno l’80% dello staff. La difficoltà sta nel
portare gli educatori ad abbandonare atteggiamenti punitivi estemporanei a favore di piani
preventivi emodelli premiali (è necessaria una guida competente e convinta da parte della
dirigenza scolastica).
In estrema sintesi:
• identificare un sistema preventivo, proattivo e multilivello di regole
• definire chiaramente premialità e correttivi
• importanza della condivisione con gli studenti e con tutto lo staff

Circle time: nelle scuole dell’infanzia e primaria è tra gli strumenti più diffusi per promuovere un
clima di classe favorevole e favorire l’assunzione di responsabilità da parte di alunni e insegnanti.
Si tratta di una riunione di 15-20 min del gruppo classe, con i partecipanti seduti in cerchio,
finalizzata ad affrontare un temao un problema proposto dall’insegnante o da uno o più alunni.
Finalità: rafforzamento della coesione del gruppo mediante la discussione e il confronto,
educazione al rispetto dei turni,…)
Regole: silenzio, ascolto della persona che sta parlando, rispetto dei tempi (staffetta della
parola),…
Richiede da parte dell’insegnante una competenza notevole di gestione del gruppo (sostenere e
facilitare ladiscussione, monitorare le dinamiche, coinvolgimenti attivo di tutti, identificare e
risolvere criticità, valutaree gestire i tempo,…).

3. ARCHITETTURA SIMULATIVA

Include tutte quelle esperienze che portano a riprodurre, in una situazione protetta, problemi ed
eventi similia quelli del mondo reale, consentendo allo studente di agire in un ambiente
semplificato e controllabile. Taliattività possono essere declinate secondo due modalità principali:

• le simulazioni basate su modelli (o simboliche): basate su modelli teorici, solitamente


matematici, sono finalizzati a riproporre il funzionamento di un sistema o di un processo per
consentirne l’esplorazione 3.1 Studio del caso; 3.2 Simulazione simbolica;

• le simulazioni esperienziali: prevedono la riproduzione di un’attività o di un evento al fine di


consentirne l’esperienza diretta (esercizio comportamentale e obiettivi esperienziali) 3.3
Game Based Learning; 3.4 Role playing.

STUDIO DEL CASO


Idea di base: proporre dei casi (attraverso la narrazione di fatti, la presentazione di documenti e
rapporti o la visione di video) connessi agli argomenti di studio in maniera da stimolare
osservazione, comprensione ecapacità di valutazione. Lo studio del caso prevede il racconto di una
particolare situazione reale o verosimile, tipicamente problematica, la cui comprensione e
risoluzione richieda l’applicazione di concetti eteorie studiati o, viceversa, capaci di stimolare
congetture e ipotesi in grado di spiegare le dinamiche presential suo interno. Promuovono sia il
ragionamento induttivo che quello deduttivo, consentono il raccordo tra teoria e pratica, lo
sviluppo di processi di generalizzazione e astrazione, come pure la concretizzazione e applicazione
delle conoscenze.
3 principali tipologie:

• casi relativi a dilemmi da risolvere e a decisioni da prendere (decision o dilemma cases) –


“che cosa faresti al suo posto?”;

• casi relativi all’analisi e alla valutazione di problemi (appraisal o issue cases) – es. articolo di
giornale o grafico – “che cosa è successo o che cosa sta succedendo?”;

• casi come modelli esemplificativi da studiare (case histories) – capaci di illustrare i percorsi che
hanno condotto a una scoperta, una decisione.

I casi, nel richiedere l’analisi e la comprensione di fenomeni spesso complessi, promuovono la


riflessività, il pensiero critico e l’attitudine al problem solving, avvicinando gli studenti a situazioni
simili a quelle della vitareale. La narrazione di vicende e il resoconto di storie di vita sono il modo
più naturale e precoce di organizzare l’esperienza e la conoscenza umana (Bruner, 1988). Il Case
Based Reasoning si basa sull’idea chele esperienze sono codificate nella memoria in forma di
storie e, come tali, vengono recuperate e riusate quando necessario.
Nonostante si possa immaginare anche un lavoro individuale, lo studio del caso è tipicamente
un’attività dasvolgere in gruppo. I casi presentati agli studenti possono avere lo scopo di
promuovere l’esplorazione dei fatti, l’analisi delle variabili, l’identificazione degli aspetti
problematici, la valutazione degli eventi, la formulazione di ipotesi, l’assunzione di decisioni e la
loro valutazione, il calcolo delle possibilità di successo,l’individuazione di relazioni e dinamiche
causali, di alternative, ecc… è importante una attività di pianificazione dell’insegnante (obiettivi,
organizzazione del lavoro, tipo di supporto fornito, valutazione degliesiti.).
Gli output possono essere variegati: business plan, diagrammi di flusso, gannt charts, diagnosi
mediche, petizioni, sentenze, relazioni tecniche.
Per essere efficace, i casi dovrebbero:

a) privilegiare storie brevi, coinvolgenti e vicine alle esperienze e agli interessi degli allievi;

b) essere reali e non una situazione ipotetica;

c) essere capace di mostrare una questione aperta, complessa o controversa (non-soluzioni


ovvie, al fine di stimolare l’indagine, il pensiero critico, creativo e divergente);

d) riuscire a indirizzare questioni e problemi di ordine generale, risultando così trasferibile. È


utile anche nell’esposizione classica e multimodale, in quanto permette di fare leva su
alcuni dei principi generai dell’apprendimento esperienziale: l’ancoraggio della teoria alla
pratica, il coinvolgimento attivo degli studenti, il modellamento del pensiero e dell’azione
professionale, il fornire guida e feedback, la creazione di un ambiente di apprendimento
collaborativo.
L’efficacia dipende in modo cruciale dal livello di esperienza pregressa e dalla capacità di
autoregolazione posseduta dagli studenti. Da qui i possibili rischi: casi troppo complessi e inadatti
alle capacità di affrontarli si traducono in un’esperienza improduttiva e frustrante. Quindi,
particolare attenzione con studenti inesperti e prevedere strumenti di accompagnamento e
supporto. Inoltre, sfida per l’insegnante in termini di tempo necessario alla elaborazione,
predisposizione dei materiali e risorse supplementari.

In estrema sintesi:
• promuovono capacità di analisi, interpretazione, riflessione e problem solving;
• importanza della congruenza con il livello di preconoscenze possedute.

SIMULAZIONE SIMBOLICA
(sperimentazione in cotesti controllati)

Idea di base:
proporre, in un contesto artificiale, situazioni operative simili a quelle reali, mettendo gli studenti
nelle condizioni di riconoscere le variabili e gli elementi utili a prendere decisioni.
Consiste nel riprodurre, in un contesto protetto e controllabile, esperienze simili a quelle del
mondo reale per fornire agli studenti la possibilità di agire e apprendere dalle conseguenze delle
proprie azioni. Si tratta di dispositivi che consentono agli studenti di interagire con un numero di
elementi ridotto rispetto a quelli del contesto reale, al fine di facilitare l’osservazione,
l’identificazione e il controllo delle variabili, la formulazione di ipotesi e la ricerca di soluzioni.
Ampiamente utilizzate sono le simulazioni assistite dai computer.

Le simulazioni consentono:
• la comprensione di fenomeni (es. nella scienza)
• la previsione di eventi futuri (es. meteo o modelli demografici ed elettorali)
• di sostenere le decisioni da prendere in scenari e situazioni sociali (es. economia e politica)
• in generale, di facilitare l’apprendimento di nuove conoscenze e capacità attraverso il
coinvolgimento intellettuale ed emotivo.

Grazie alla simulazione simbolica è possibile consentire agli studenti di apprendere in maniera
attiva attraverso l’esperienza diretta, ma all’interno di un sistema artificiale che rende
indipendenti dalle dimensioni spaziali e temporali e che offre sicurezza, economicità e flessibilità
nei livelli di complessità.

Le simulazioni possono:
• essere sviluppate dall’insegnante o dagli studenti (complessità maggiore). In entrambi i
casi, diventano l’occasione di mettere in relazione la teoria con la pratica;

• essere utilizzate ex-ante (come ambiente da esplorare prima dello studio formale della
teoria) o ex-post(come occasione per verificare quanto studiato);
• prevedere differenti livelli di supporto da parte dell’insegnante;

• prevedere diversi livelli di trasparenza della modello sottostante (la qualità dell’interfaccia e
le modalità di presentazione delle info sono cruciali ai fini dell’efficacia).

Le evidenze mostrano risultati buoni ma non eccelsi, comunque non dissimili da altri metodi di
istruzione, ma c’è molta varianza, ad es. in base ai contesti (meglio nelle secondarie II grado).
Inoltre, l’efficacia è maggiore quando utilizzate ex-post. E’ quindi necessario che gli studenti
dispongano già di un adeguato bagaglio concettuale prima di sperimentare direttamente.

Possibili rischi:
come tutti i modelli che prevedono forme di apprendimento per scoperta, le simulazioni possono
risultare problematiche per gli studenti meno esperti criticità sia a livello di carico cognitivo sia a
livello di capacità di formulazione di ipotesi, pianificazione, interpretazione dei risultati,… Quindi,
se non guidati o senza un’opportuna preparazione, l’esperienza diventa inconcludente e inefficace.
Al fine di ridurreo eliminare questi rischi, l’impiego delle simulazioni nella didattica deve avvenire
al momento opportuno e con un processo di graduale accompagnamento dello studente.
L’aspetto più importante nell’attuazione pratica è l’attenzione del docente ai processi di
riflessione e comprensione approfondita di quando ottenuto dalla simulazione.

In estrema sintesi
• apprendere in maniera attiva attraverso l’esperienza diretta
• mettere in relazione la teoria con la pratica
• per essere efficaci, sono necessari adeguata preconoscenza e guida

GAME BASED LEARNING


Idea di base: impostare le attività di insegnamento con la struttura, lo spirito e le regole di un
gioco per rendere divertente e motivante l’apprendimento. In questo approccio i contenuti da
apprendere sono incorporati all’interno di giochi, tipicamente elettronici, per fornire uno scenario
capace di aumentare l’interesse e la motivazione, favorendo al contempo l’apprendimento
attraverso interazioni e feedback continui.

§ Educational games: software didattici dall’impianto ludico, finalizzati all’insegnamento


disciplinare;

§ Serious games: giochi di simulazione volti all’apprendimento di competenze


professionali in ambito lavorativo;

§ Gamification: applicazione dello spirito dei giochi agli ambienti e ai contesto di


apprendimento tradizionali (sfide + meccanismo premiale). Il gioco è inteso come una palestra
per sviluppare il pensiero astratto oltre che per prendere confidenza convincoli e norme.
§ Edutainment: le proposte (software, film, libri, spettacoli) finalizzati a sostenere
l’apprendimento in maniera ludica. E’ importante che vi sia il coinvolgimento diretto e attivo
del giocatore in un’esperienza intensa, a volte competitiva e sfidante, ma sempre alla sua
portata; che il gioco sia progressivo, ovvero capace di rinnovarsie variare continuamente per
non diventare automatico e noioso.

§ Token economy: prevede che le attività vengano costantemente accompagnate da un sistema


di premi.

Elementi centrali sul piano individuale:


• La sfida
• La curiosità
• Il controllo
• La fantasia
• La cooperazione
• La competizione
• Il riconoscimento (possibilità di mostrare i risultati e i prodotti realizzati)
• Meccanismo premiale

Come sempre, importanza di una chiara formulazione degli obiettivi, dell’adeguatezza dei compiti
e dei tempi, la gradualità della gestione dei contenuti, la gestione accurata del feedback,
l’allestimento di strutturedi ricompensa e di un clima favorevole allo sviluppo di emozioni e vissuti
positivi. Le evidenze mostrano i maggiori vantaggi sul piano emotivo e motivazionale; meglio se
giocato singolarmente piuttosto che in gruppo; le prestazioni tendono a diminuire all’aumentare
delle sessioni di gioco.

Possibili rischi: molte attività dell’apprendimento non sono azioni che possono essere sempre
svolte come fossero piacevoli passatempi. Non è possibile trasformare in gioco ciò che non lo è. Se
il gioco è solo un sotterfugio, l’inganno è destinato a durare poco (broccoli coperti di cioccolata);
se viceversa il gioco prendeil sopravvento, c’è il rischio che vengano travisati gli obiettivi
dell’apprendimento e che ci si impegni solo permotivi esteriori (le ricompense, la competizione, il
risultato).

In brevissimo,
• Il gioco fa presa su leve psicologiche potenti
• L’insegnante deve tenere dritta la sbarra sugli obiettivi attesi, monitorando e valutando con
attenzione che questi vengano adeguatamente raggiunti.

ROLE PLAYING / DRAMMATIZZAZIONE


Idea di base: mettere gli studenti nelle condizioni di “fare finta di essere” per dare loro la
possibilità di provare a sperimentare, anche emotivamente, situazioni inconsuete.
Attraverso al drammatizzazione e il gioco di ruolo è possibile promuovere dinamiche volte alla
promozione di esperienze attive, capaci di coinvolgere i soggetti a livelli diversi: cognitivo, emotivo,
sensoriale e corporeo.

In questo tipo di esperienza si simula una situazione, reale o fittizia, in cui i partecipanti si
identificano con specifici personaggi, assumendone il ruolo e comportandosi di conseguenza. I
partecipanti hanno l’occasionedi vivere emotivamente la vicenda; l’apprendimento avviene in
maniera esperienziale, partecipando attivamente e direttamente alle azioni. Il contesto può
essere reale o virtuale (con avatar). Può avere gli scopi più diversi nell’ambito dello sviluppo di
comportamenti e azioni, verbali e non verbali, dell’acquisizionedell’autoconsapevolezza attraverso
attività a esso connesse quali l’osservazione, il confronto, la riflessione e la discussione di gruppo o
con un tutor. La finzione ha costituito in ogni epoca storica un espediente per lariflessione sulla
condizione umana.

Attuazione pratica:

§ modalità esperienziale: finalità pratica, esercizio comportamentale. Può essere il pretesto


per conoscersi econoscere (formazione interiore);

§ modalità simbolica: finalità cognitiva, studio di elementi quali storie, personaggi, canoni
estetici e regole,mettere in scena un testo.

Fare esperienza: in questo caso è più “saper essere” piuttosto che “saper fare”.

Il role playing è largamente utilizzato in tutte quelle circostanze che richiedono una preparazione
ad affrontare situazioni nuove o nelle quali si desidera che il soggetto sperimenti attivamente un
diverso mododi porsi nei confronti degli altri o del contesto situazionale. Data l’eterogeneità delle
finalità, degli ambiti e delle modalità attuative non sono disponibili sintesi capaci di comparare il
role playing con altre modalità. Le ricerche mostrano comunque effetti positivi ad ampio spettro
(ad es. comportamentali – dipendenze, bullismo, sviluppo della resilienza,…; in campo sanitario,
sviluppo dell’empatia, atteggiamenti comunicativi adeguati verso il paziente).

Possibili rischi:
come tutte le attività che richiedono tempi di progettazione e attuazione ampi, anche questa
strategia rischia di risultare onerosa e poco efficiente in determinate situazioni. Ha il limite di non
essere applicabile a gruppi numerosi, di richiedere spazi e tempi di lavoro adeguati e, aspetto non
secondario, esigere dal docente la capacità di comprendere le sottili dinamiche psicologiche che
possono portare alcunisoggetti a vivere con ansia e difficoltà il mettersi in scena. Si tratta quindi di
una strategia didattica che richiede di essere gestita con molta cura e grande competenza.
4. ARCHITETTURA COLLABORATIVA

Numerosi autori sostengono che la conoscenza stessa non esiste astrattamente, ma è sempre il
frutto di unprocesso sociale e dunque lo stesso apprendimento è sostanzialmente un processo di
partecipazione attivaalla costruzione sociale della conoscenza. Quest’architettura è pertanto, in un
certo senso, trasversale a tuttele altre, dal momento che non è possibile immaginare nessuna di
esse che possa fare a meno di una qualcheinterazione con gli altri.

MUTUO INSEGNAMENTO
Idea di base: mettere gli studenti nelle condizioni di insegnare l’uno all’altro per sostenersi e
imparare assieme.

Si riferisce a situazioni di reciproco insegnamento tra studenti, sotto la supervisione di un docente.


Rappresenta un valido modo per aumentare l’efficacia complessiva dell’insegnamento nelle
situazioni più complesse (es. presenza di stranieri o di BES). Può essere utilizzata agevolmente in
tutte le aree tematiche per favorire la comprensione e il consolidamento attraverso la pratica.
Mitchell (2008) suggerirle di utilizzarla ex-post, per consolidare e potenziare l’apprendimento di
conoscenzee competenze. Attraverso questa strategia è infatti possibile consentire il recupero e il
riallineamento a quanti fossero rimasti indietro e, allo stesso tempo, far acquisire agli altri
scioltezza, fluidità e confidenza congli argomenti trattati.

• Le modalità attuative sono molteplici, ognuna delle quali richiede di essere attentamente
pianificata e monitorata.
• E’ importante che gli allievi conoscano quali sono le finalità generali, gli obiettivi specifici, i
tempi e le procedure da seguire.
• Particolarmente importante risulta la definizione di routine che prevedano all’interno della
giornata o della settimana momenti destinati a questo tipo di attività.

TECNICHE PER IL MUTUO INSEGNAMENTO:


• Peer tutoring: uno studente assume il ruolo di tutor e l’altro di tutee. E’ importante che ai tutor
vengano mostrate le strategie di presentazione dei materiali, i modi di porre le domande, di
incoraggiare e di gestirecostruttivamente i feedback con rispetto edempatia. Es. utilizzo di flash
cards, poi cambio ruolo;

• Think-aloud-pair-problem solving: uno studente assume il ruolo di problem solver che risolve a
voce alta, mentre l’altro è l’ascoltatore, che incoraggia, sostiene e ponedomande al primo per
aiutarlo nella soluzioni;poi inversione ruoli. Alla fine del lavoro viene selezionato un gruppo che
presenta la soluzione all’intera classe;

• Paired reading/paired summarizing: finalizzata ad attività di lettura, sintesi e comprensione di


testi, ogni studente della coppia legge autonomamente un testo producendone una sintesi, se la
scambia con l’altro eognuno scrive un abstract del lavoro dell’altro. Al termine la coppia discute.
• Reciprocal teaching: gli studenti, a turno, assume il ruolo di insegnante nel condurre il dialogo,
controllanola comprensione ponendo domande e riassumendo. L’insegnante deve fornire
esempio, supporto e guida.

Le evidenze mostrano un’elevata efficacia (ES = 0.75)

Possibili rischi:
questa modalità deve essere attentamente monitorata dal docente, verificando in particolareche i
rapporti tra gli studenti non accentuino eventuali squilibri presenti in classe
– che i più deboli dipendano dai più capaci e che i più capaci siano caricati di eccessive
responsabilità. Per ovviare a questi rischi, è consigliabile cambiare spesso i ruoli, ruotando le
coppie, cercando di adottare modelli capaci di rendere progressivamente autonomi tutti i ragazzi.

In breve:
• è una strategia efficace, a condizione che sia attentamente pianificata e accuratamente
monitorata;
• evidenze mostrano che è una strategia efficace per aumentare il rendimento scolastico e le
interazioni socialidegli studenti;
• è molto appropriata ex-post, come metodo alternativo di studio e revisione dei materiali, ma
non comemetodo per introdurre nuovi contenuti.

APPRENDIMENTO cooperativo (cooperative learning, CL)


Idea di base: predisporre e organizzare occasioni affinché gli studenti acquisiscano conoscenze,
abilità o atteggiamenti come risultato di un lavoro di piccoli gruppi bene organizzati. Per CL si
intendono quelle situazioni di apprendimento individuale che si determinano come conseguenza
di attività svolte in piccoli gruppi.

Gli elementi caratterizzanti sono:


• interdipendenza positiva (dipendenza di ciascuno studente dal lavoro degli altri, attraverso
l’applicazione divincoli funzionali e organizzativi – es. ruoli stabili o a rotazione. Ogni membro
del gruppo è importante per ilraggiungimento del risultato finale. È importante che esistano le
condizioni per un idoneo e non casuale coinvolgimento di tutti)
• responsabilità individuale
• parità di partecipazione
• interazione simultanea Inoltre
• obiettivi di apprendimento ben definiti
• eterogeneità nella composizione del gruppo
• ridotto numero di partecipanti per ogni gruppo
• cura dell’organizzazione del lavoro
• presenza di modalità di revisione, controllo e valutazione dell’attività svolta.
Il CL non può essere improvvisato: per realizzare esperienze efficaci è necessaria una preventiva e
adeguataformazione degli allievi a questo tipo di approccio. Gli allievi devono percepire il gruppo
come un contesto favorevole per la soddisfazione dei loro bisogni – importanti in questo senso
sono le attività di group building,, es. giochi cooperativi in grado di favorire la conoscenza
reciproca, il rispetto, la fiducia, sentirsi uniti, lavorare insieme, prendere decisioni,…
L’insegnante non insegna in maniera diretta, ma crea le occasioni affinché gli studenti arrivino ad
apprendere: progetta il compito, attiva i gruppi, fornisce le regole, facilita il clima relazionale e
gestisce i contesti comunicativi, propone metodologie individuali e di gruppo, assiste allo
svolgimento dei lavori fornendo feedback e occasioni di riflessione. Una volta create le occasioni
favorevoli alla realizzazione di esperienze di CL, l’insegnante deve scegliere il modello più
appropriato ai suoi obiettivi, all’argomento, ai tempi e alle risorse disponibili.

Tecniche per il CL:

• Jigsaw: modello che si basa sulla differenziazione dei ruoli e delle fasi di lavoro. Prima fase:
divisione dei gruppi per competenza (uno per ogni competenza) e formazione degli esperti;
seconda fase: composizione dei gruppi veri e propri (in ogni gruppo un membro per expertise);
terza fase: ritorno ai gruppi originari di competenza;

• Structured Learning Team Group Roles: si basa sull’assegnazione di responsabilità specifiche ai


singoli studenti mediante la definizione di ruoli come quello del coordinatore (responsabile
gestione dei tempi), documentalista (incaricato di prendere appunti, raccogliere e gestire i
documenti), portavoce (addetto all’esposizione alla classe e alla preparazione dei materiali di
presentazione), revisore (incaricato del monitoraggio e del controllo dei prodotti);

• Student Team Achievement Division (STAD): tecnica basata su gruppi eterogenei relativamente
stabili, delladurata di un semestre o più. Cicli di 5 fasi: 1) insegnamento;
2) team di studio (ogni membro studia insieme agli altri – verifica preparazione dei colleghi –
questa fase non è finita finché il gruppo non è sicuro che ogni membro sia in grado di superare il
test); 3) test (verifica individuale); 4) valutazione individuale; 5) riconoscimento di gruppo (i
punteggi singoli vengono sommati e vengono stilate le graduatorie dei diversi team);

• Teams-Games-Tournaments (TGT): gli studenti vengono assegnati a squadre di apprendimento


composte da 4-5 membri- Alla fine di ogni settimana i membri competono individualmente in
tornei con membri di altre squadre di pari livello (con prestazioni scolastiche paragonabili) per
ottenere punti per il proprio team.Il docente decreta il team migliore e i membri che hanno
apportato più punti.

• Learning Together: gruppi di 4-5 membri condividono un foglio dov’è indicato il contributo
richiesto al gruppo rispetto al tema generale. Quando i vari gruppi hanno terminato il lavoro,
leggono il contenuto del proprio lavoro agli altri. L’enfasi di questo approccio è sulle attività di
coordinamento e organizzazione (teambuilding) e prevede momenti regolari di discussione
all’interno di gruppi sull’andamento del lavoro.

Evidenze:
generalmente risultati positivi nelle diverse dimensioni: apprendimento, coesione sociale,
inclusione. Non esistono differenze significative tra metodi di CL che prevedono ricompense
individuali e quelli che valutano solo l’intero gruppo. Elevata efficacia anche con BES, soprattutto
quando viene privilegiato l’inserimento in gruppi misti. Molto indicato nelle situazioni in cui siano
da privilegiare l’integrazione e l’inclusione.

Possibili rischi:
il CL richiede l’accettazione, da parte dell’insegnante, di un modello educativo e organizzativo
particolare. L’allestimento delle attività richiede impegno e una particolare perizia. I gruppi
devono essere costituiti con attenzione, il lavoro va attentamente organizzato e monitorato, il
tempo deve essere sufficiente. I detrattori sottolineano che è proprio il fattore tempo uno degli
aspetti critici. Il CL infatti richiede non solo l’impegno cognitivo, ma anche quello relazionale,
organizzativo e prassico, con il rischio diun parziale spostamento del focus dell’attenzione e una
dilatazione dei tempi di lavoro. L’ideale è sicuramente un’introduzione graduale finalizzata a
particolari obiettivi e un utilizzo integrato a quello di altrestrategie.

DISCUSSIONE
Idea di base: organizzare situazioni in cui siano possibili il confronto e lo scambio di idee per
liberare ilpotenziale espressivo degli studenti e favorire esperienze di apprendimento produttive e
inedite.

Il confronto tra idee diverse è una delle occasioni di apprendimento più rilevanti. La discussione si
caratterizza come momento di espansione e di approfondimento delle tematiche trattate, oltre
che di confronto e scambio di idee tra insegnante e studenti o di socializzazione tra questi ultimi. Il
ruolo del docente può slittare da quello di istruttore a quello di tutor-facilitatore che non
trasmette conoscenza, ma supporta lo studente in attività cognitive quali pensare, ragionare,
argomentare. La discussione in classe è fondamentale sia sul piano cognitivo (confronto critico di
punti di vista diversi) sia sul piano relazionale (imparare a interagire e rispettare le regole comuni).
Discutere insieme fornisce l’occasione per sviluppare capacità argomentative, imparare a
ragionare, sviluppare nuove idee, organizzare e riorganizzare le conoscenze.

Attuazione pratica:
per rendere produttiva la discussione è opportuno un attento controllo da parte del docente su
quantità,qualità e pertinenza dei singoli apporti, come pure su toni, relazioni e atteggiamenti
all’interno del gruppo. L’avvio dovrebbe essere caratterizzato da brevi domande-stimolo
accompagnate dall’invito agli studenti aesprimere quello che pensano, conoscono o ritengono di
poter dire sull’argomento. Chi coordina deve quindioperare affinché tutti abbiano la possibilità di
intervenire rispettando il proprio turno e le idee degli altri. Ilconfronto tra le posizioni è
importante, ma lo sono altrettanto la capacità di ascolto delle opinioni altrui,l’attesa del proprio
turno, l’astensione da giudizi perentori, la rinuncia all’uso di toni ironici e distruttivi.

Tecniche per la discussione:


• Giro di tavolo: sono previste poche regole ma fondamentali: tutti devono prendere la parola,
compresi quelliche pensano di non aver niente da dire o coloro che si sentono meno sicuri o
temono di essere giudicati; sono assegnati dei tempi per ciascun intervento; vanno evitate le
interruzioni. Uso di chips per parlare; variante round-robin: domande e risposte a quello prima e a
quello dopo;

• Brainstorming: nasce per provocare l’elaborazione di concetti attorno a un tema. Uno dei
presupposti fondamentali per la riuscita è evitare qualsiasi forma di giudizio o osservazione critica
nei confronti si di se stessi sia degli altri. Per favorire la produzione di idee è necessario mettere i
soggetti in condizione di esprimere nel modo più sciolto possibile le proprie opinioni. Unico
vincolo: aderenza al tema o all’oggetto del lavoro. In classe l’attività può essere svolta in piccoli
gruppi e si può attribuire ad un redattore il compitodi raccogliere i punti di vista e successivamente,
dopo un lavoro di sintesi da svolgersi all’interno del gruppo,chiamare il referente di ogni team a
riferire alla classe.

• Focus group: nel mondo della scuola, questa tecnica può essere utilizzata per discutere e
approfondire un argomento dopo che questo sia già stato studiato. A questo scopo si possono
fornire documenti, ritagli di giornale, audio e video interviste a testimoni o esperti. Un focus
group, infatti, può essere svolto solo con persone capaci di dare un contributo informato. E’
necessaria la presenza di un coordinatore; variante “duellanti”; variante “dell’acquario” (un
gruppo ne osserva un altro mentre discute e poi riflette e discute sul risultato dell’osservazione).

• Metaplan: l’obiettivo è quello di facilitare il lavoro di gruppo grazie all’utilizzo di strumenti di


visualizzazionedelle opinioni prodotte dal team di lavoro. La tecnica prevede che i partecipanti
possano muoversi liberamente e operare in un locale piuttosto ampio. Alle pareti della stanza
vengono appresi dei grandi foglifinalizzati a raccogliere i diversi contributi; utilizzo di pennarelli
colorati e post-it. Il metaplan si apre con il contributo di un animatore che è chiamato a illustrare i
temi o i problemi d discutere delineando con chiarezza l’obiettivo atteso; contributi individuali; i
contributi sono letti, discussi, spostati e riorganizzati pertipologie, tematiche, affinità. La tecnica
prevede che si alternino momenti di discussione a momenti di rielaborazione e risistemazione dei
materiali sulle pareti fino a raggiungere blocchi logici di contributi differenti. Il metaplan può
consentire di gestire con efficacia, anche in ambito scolastico, discussioni attornoa problemi aperti
e questioni controverse.

La discussione deve essere finalizzata, organizzata e gestita per risultare fruttuosa.


Se opportunamente regolata, la discussione consente il coinvolgimento degli studenti,
rende attiva l’esperienza educativa e facilita i processi di riflessione e confronto.

Possibili rischi:
la discussione può risultare dispersiva, inconcludente o può comunque finire per sottrarre molto
tempo. Inoltre, rischio di dinamiche di litigi o prevaricazioni, marginalizzazioni, esclusioni,…
Necessitàdi monitoraggio, coinvolgimento e valorizzazione dell’apporto di tutti.

5. ARCHITETTURA ESPLORATIVA

Questa architettura poggia le basi sull’idea che l’apprendimento sia eminentemente un processo
individualeche si attiva e si sviluppa in maniera efficace davanti a situazioni da risolvere. Lo
stimolo derivantedall’esigenza di dare risposta ad un problema aperto – specie quando questo sia
percepito come importante – rappresenta in effetti un potente attivatore della motivazione
all’azione. In questa prospettiva il ruolo dell’insegnante è soprattutto quello del catalizzatore
dell’interesse a conoscere, ad esempio ideandooccasioni capaci di incitare l’impegno diretto.

PROBLEM BASED LEARNING (PBL)


Idea di base: scomporre quesiti e problemi conoscitivi di complessità adeguata agi studenti
al fine di stimolare l’interesse e promuovere significativi percorsi di apprendimento.

L’obiettivo primario di questa strategia, centrata sull’idea di un ruolo attivo dell’allievo, è quello di
stimolarel’apprendimento attraverso processi di investigazione e riflessione attivati dall’esigenza
di risolvere problemi. I problemi possono essere di vario tipo (complessi e strutturati, aperti,
dinamici, parzialmente indefiniti,…) e varie forme (storie, problemi logici, dilemmi, decisioni da
prendere, diagnosi, progettazioni,…).Gli studenti lavorano individualmente, o più comunemente in
piccoli gruppi, a casa, in classe, in lab, in musei,in spazi aperti,… con un certo grado di autonomia.
Le attività di apprendimento si presentano nella forma di problemi reali tratti dall’esperienza
concreta, la cui risoluzione consente agli studenti di:

• apprendere i concetti e le modalità di applicazione della teoria alla pratica;

• sviluppare capacità di problem solving (individuare e risolvere problemi conoscitivi, gestire


efficacemente il proprio tempo, riflettere in modo critico sugli obiettivi di studio.

In questa prospettiva il docente è chiamato a rendere possibile l’apprendimento strutturando


l’esperienza
e facilitando il lavoro attraverso il sostegno, la guida e il monitoraggio del processo di
apprendimento stesso.

Il PBL si basa su idee costruttiviste quali, ad es., quella che la conoscenza non possa essere
trasmessa, ma siacostruita individualmente e socialmente. Conseguentemente, per il
costruttivismo, l’apprendimento si promuove attraverso l’impegno diretto in compiti autentici
inserito all’interno di contesti reali (o realistici).L’idea è che, lavorando su problemi reali, sia
possibile favorire negli studenti lo sviluppo di competenze qualila capacità di analisi e riflessione,
l’abilità di ideare e applicare strategie, la flessibilità cognitiva, l’attitudine a collaborare con gli altri
come pure ad autoapprendere e a migliorarsi.

Attuazione pratica:
La forma più semplice e comune sono gli esempi guidati (worked examples). Si tratta di problemi a
cui seguel’illustrazione dettagliata della procedura per la loro risoluzione. Il loro scopo è quello di
aiutare gli studentia costruire schemi mentali generali al fine di poterli trasferire e applicare in
situazioni simili. Anche l’uso delle domande rappresenta un modo per promuovere pratiche di
riflessione sui problemi.
Una delle più accreditate procedure attuative di PBL è il seven step model, che richiama modalità
di lavoro già viste (studio del caso, apprendimento cooperativo, discussione). Prevede la presenza
dell’insegnante come tutor (quindi con funzioni di supporto e incoraggiamento), attività in piccoli
gruppi (5-8 persone) e unastrutturazione in sette fasi successive alla presentazione di un caso
problematico:

§ chiarimento e identificazione dei termini sconosciuti agli studenti;


§ definizione del problema sulla base di una discussione e di un confronto delle diverse
posizioni;
§ brainstorming o discussione aperta sul problema con generazione delle prime possibili
spiegazioni;
§ revisione e categorizzazione delle idee e soluzioni proposte al fine di cercare una soluzione;
§ identificazione degli obiettivi di apprendimento e ricerca;
§ studio individuale con consultazione della letteratura e raccolta di info da condividere con
gli altri;
§ sintesi dei lavori, discussione e produzione di un report finale.

Vi è comunque un’ampia gamma di modalità, data la varietà dei problemi che si possono
affrontare. In generale è necessario che l’insegnante consideri sia le caratteristiche e la natura dei
problemi sia le modalitàdi presentazione opportune sulla base degli obiettivi formativi da
perseguire e del grado di expertise del soggetto, in coerenza con le sue conoscenze, capacità e
interessi.
Altra possibilità è la scoperta guidata.

Evidenze:
i risultati sono controversi – dipendenza cruciale dalle capacità e preparazione degli studenti. Il
PBL risulta efficace per l’acquisizione di conoscenze approfondite, non quelle di base.

Possibili rischi:
quando non adeguatamente guidati, determinano negli studenti problemi connessi a un eccessivo
carico cognitivo: non efficaci quando gli studenti sono ancora poco competenti. La chiave è la
graduale riduzione della guida e aumento progressivo dell’autonomia.

L’apprendimento è facilitato quando gli studenti sono impegnati nella soluzione di problemi di
significato reale e quando viene mostrato loro concretamente quello che saranno in grado di
svolgere al termine del corso, piuttosto che fissare obiettivi astratti e generici di apprendimento.

WebQuest:
è una delle attività più diffuse di utilizzo della Rete per lo sviluppo di capacità di ricerca e di analisi
critica dei dati con finalità educative. Si distingue da altre esperienze di ricerca basate su Internet
per il fattodi previlegiare l’analisi critica delle info e lo sviluppo di capacità di riflessione e di
raccordo tra concetti, piuttosto che il mero e passivo utilizzo di un motore di ricerca.
(http://webquest.org/)

METODO DEI PROGETTI


Idea di base: inventare occasioni affinché gli studenti possano apprendere mentre sviluppano ed
elaboranoin. Autonomia dei progetti.

Si tratta di dare agli studenti l’occasione di elaborare in relativa autonomia una risposta a una
richiesta conoscitiva, permettendo di muoversi con vari margini di libertà. Il progetto prevede che
si arrivi, operandoda soli o in gruppo, a produrre qualcosa passando attraverso varie fasi di lavoro,
giungere cioè a un prodotto finito. In ambito scolastico, la didattica per progetti ha tipicamente
uno scopo conoscitivo (progetto di ricerca) e richiede lo sviluppo di un lavoro articolato in fasi e la
presenza di verifiche intermedie. Il metodo dei progetti è connesso ad altre strategie e modelli
(lavoro di gruppo, studio di caso, PBL) ponendosi però come percorso di formazione unitario,
finalizzato a interconnettere organicamente in un prodotto originalele esperienze maturate e le
conoscenze acquisite. Lavorare a un progetto salvaguarda da un lato ledimensioni dell’azione,
dell’interazione e della relazione, e dall’altro le categorie del dialogo, della riflessionee dell’analisi
critica. La ricerca viene intesa come ‘antipedagogica’, ovvero come unico metodo veramente
alternativo alla posizione dominante dell’insegnante.

Attuazione pratica:
La strategia dei progetti, come modalità per stimolare in maniera indiretta la motivazione
all’apprendimento, sfrutta l’attrattiva esercitata dal poter lavorare creativamente e in autonomia
allaproduzione di un artefatto.
Per risultare efficace, il lavoro da proporre agli studenti deve essere pianificato accuratamente. Il
progetto deve essere:

• autentico (collegabile in qualche modo alla realtà);

• connettersi a interessi, curiosità, aspettative degli studenti;

• commisurato alle capacità degli studenti (non solo conoscitive, ma anche abilità e conoscenze
necessarie alla conduzione di un lavoro progettuale – ricerche bibliografiche, gestione del
tempo, riflessione critica dellaqualità dei risultati, organizzazione e utilizzo di strumenti,…). È
necessario individuare tutte le competenzee conoscenze, specifiche o meno, che gli studenti
dovranno mobilitare nel corso dell’attività (metodologiche,artistiche, pragmatiche,
comunicative,…) e in caso di carenze, prevederne la formazione ex- ante.

Definizione precisa di:


• orizzonte temporale;
• criteri di valutazione del processo e dei prodotti.

Gli studenti potranno essere guidati nell’organizzazione del lavoro dall’indicazione di fasi, dal
rilascio di strumenti di lavoro (schede, schemi, piani di sviluppo, work breakdown structures,…),
dall’impostazione di regole di base e suggerimenti pratici. Nel caso il progetto venga realizzato in
gruppo – vedi accorgimenti dell’apprendimento cooperativo.

Evidenze:
migliori capacità di rispondere a problemi applicativi e concettuali. I dati sono comunque
insufficienti, ma rappresenta sicuramente una strategia innovativa in grado di permettere agli
studenti di sviluppare la capacità di agire con competenza.

Possibili rischi:
come tutte le metodologie attive, anche in questo caso i rischi sono connessi al grado di
autonomia che viene lasciato agli studenti e alla presenza di regole chiare e di momenti di supporto
da partedel docente. Tali elementi devono essere opportunamente calibrati sulla base delle
capacità degli allievi. I criteri di valutazione vanno esplicitati e articolati (con i relativi pesi). E’
necessario che il docente preveda occasioni di supporto (ad es. momenti di revisione) nel corso del
quale fornire un feedback adeguato.

Lavorare per progetti consente agli studenti di impegnarsi attivamente sugli argomenti proposti
affrontandone i diversi aspetti e mobilitando, nell’ambito di un piano d’azione complessivo,
capacitàorganizzative, decisionali, relazionali, operative e di analisi.

6. ARCHITETTURA METACOGNITIVO-AUTOREGOLATIVA

Questa architettura sposta l’attenzione dall’insegnamento di contenuti all’insegnamento di


metodi per apprendere i contenuti stessi e, in particolare, per irrobustire e potenziare le
competenze dello studente nelregolare autonomamente i propri processi attentivi, di studio e di
apprendimento.

6.1 SUPPORTO ALLA METACOGNIZIONE E ALL’AUTOREGOLAZIONE


Idea di base: favorire occasioni affinché gli studenti possano imparare a usare le strategie per
apprendere.

Si tratta di operare affinché gli studenti acquisiscano la capacità di autoregolarsi in maniera


efficace nello studio e nei compiti di apprendimento. Ciò si ottiene fornendo loro l’opportunità di
conoscere un repertoriodi strategie operative e, nel contempo, favorendo lo sviluppo della
consapevolezza circa le proprie singolariattitudini. In altre parole occorre lavorare sia sul piano
delle strategie cognitive (il repertorio generale) sia su quello più elevato delle strategie
metacognitive, ovvero della consapevolezza individuale sulle proprie modalità di apprendimento,
la capacità di autoregolare il proprio apprendimento (modalità migliori di impiego delle strategie
cognitive in base alle proprie caratteristiche).
Le strategie cognitive possono essere generali (applicabili trasversalmente in tutte le situazioni di
apprendimento, es. fissare obiettivi da raggiungere, riepilogare, classificare, schematizzare, porre
domande,…) o specifiche (utilizzabili solo in alcuni ambiti, es. diagramma a blocchi prima di fare un
software,…).
Per favorire nello studente lo sviluppo di queste competenze, è possibile attivare interventi
specifici, cioè insegnare esplicitamente che cosa sono e come si usano le strategie, oppure
prestare attenzione a quest’esigenza quando si insegna altro. L’idea sottostante a questa strategia
è quella di raccomandare ai docenti di esplicitare le modalità di organizzazione e gestione delle
conoscenze al fine di semplificarne l’acquisizione e renderne più robusta la padronanza,
l’integrazione e l’applicazione. L’intervento aumenta sia l’efficacia degli allievi sia la loro fiducia
nelle proprie capacità, con il risultato di un miglioramento complessivo altresì sui piani della
motivazione e dell’autostima.

Attuazione pratica:
Prima ancora di parlare di cosa sono e come si usano le strategie cognitive, gli insegantidevono
comprenderne in prima persona potenzialità e limiti, perché il problema è riuscire a promuoverne
un utilizzo attivo e creativo. Il rischio è che gli studenti facciano un uso monotono e rituale di
espedienti, anziché diventare riflessivi e strategici. Il semplice possesso di un repertorio di
strategie non è sufficiente a garantire un apprendimento autoregolato, in cui è la flessibilità,
piuttosto che il meccanico uso di tecniche, a caratterizzarne le azioni cognitive. Tale uso deve cioè
accompagnarsi a una continua riflessione sull’uso stesso e a un’attenzione all’aiutare gli studenti a
sviluppare positive ‘abitudini mentali’. È possibile farlo frenando l’impulsività, incoraggiando la
riflessione, accompagnando l’organizzazione e l’attivazione di conoscenze pregresse, imparando
ad avvicinarsi ai compiti in maniera efficace ed efficiente, rendendo concreti i passaggi chiave delle
strategie cognitive e aiutando gli studenti a essere progressivamente più consapevoli di questi
processi fino all’autonomia nell’autoregolazione. Accanto all’insegnamento delle specifiche
strategie è cioè necessaria una graduale guida al loro uso, avendo cura che gli studenti imparinoi
motivi e le circostanze in cui queste funzionano, in maniera da portare a un loro flessibile e
consapevole utilizzo.

Alcuni suggerimenti operativi:


• dare priorità a insegnare le strategie, ovvero impiegare del tempo sui processi, oltre
che sui prodotti dell’apprendimento;
• modellare strategie efficaci pensando ad alta voce mentre si lavora sui problemi;
• dare agli studenti la possibilità di fare pratica utilizzando le strategie immediatamente dopo
averlepresentate;
• effettuare analisi dei compiti nei termini delle strategie cognitive necessarie al loro
svolgimento;
• generalizzare le strategie utilizzate, ovvero presentare come siano applicabili in più diun
contesto o ambitodi apprendimento.

STRATEGIE COGNITIVE PER LO STUDIO DEI TESTI:


SQ3R (survey, questions, read, recall, review); PQ4R (preview, questions, read, reflect, recite,
review).

Evidenze:
buona efficacia (ES = 0.6) Come strategie cognitive, l’addestramento alle strategie di memoria ha
ottenuto ES = 1.62.

Possibili rischi:
è un approccio finalizzato a favorire l’apprendimento, non una vera e propria modalità di
insegnamento. In questo senso l’attenzione primaria deve essere rivolta alla scelta della strategia
didattica di volta in volta più opportuna per il raggiungimento degli obiettivi e solo sulla base di
questa provvedere aisupporti per la metacognizione e l’autoregolazione. Tra lecriticità ci sono
quelle di sopravvalutare o sottovalutare la capacità degli alunni, specialmente i BES, di acquisire e
usare tali opportunità. L’intervento del docente va attentamente calibrato e gestito a partire dalle
esigenze individuali, aspetto questo che puòrenderne faticoso e impegnativo l’impiego. Il supporto
alla metacognizione e all’autoregolazione rappresenta una componente preziosa per migliorare
l’apprendimento e l’autonomia degli studenti e, di conseguenza, facilitare l’insegnamento.

CONCLUSIONI
L’insegnamento è un’attività complessa e problematica, dovuta anche all’incertezza degli esiti. La
criticità deriva, in larga misura, dall’irriducibile scarto di prospettive esistente tra chi insegna e chi
apprende, dove èsoprattutto chi apprende a definire le traiettorie di sviluppo dell’intero processo.
Apprendere, infatti, significa anche dare senso ai contenuti proposti e collocarli in una prospettiva
nuova. La ricerca sulla didattica, però ha mostrato come il delicato processo di insegnamento-
apprendimento possa essere in qualche modo orientato e come, accanto alla libertà di chi
apprende, ci sia il compito di chi insegna di favorirele condizioni migliori per accedere alle
conoscenze. Le strategie didattiche non sono tutte equivalenti e nonsono sempre efficaci. Non si
possono applicare rigidi protocolli o procedure standardizzate. La diversità dei contesti in cui si
svolgono le attività, le differenze nella composizione dei gruppi di allievi, l’indole dell’insegnante,
le quotidiane variabilità del clima complessivo derivanti dalle multiformi sollecitazioni esterne
richiedono al docente continui aggiustamenti, un instancabile riesame delle azioni intraprese e
unagrande capacità di autoregolazione. L’istruzione ha una natura essenzialmente adattiva.
Nonostante implichiintenzionalità e progettualità, essa richiede costantemente di modificare e
riadattare quanto progettato in funzione del contesto e della situazione, ferma restando
l’esigenza di un continuo monitoraggio dei risultati (è dalla valutazione del lavoro svolto che si
deve partire). Le strategie didattiche possono subire variazioni e contaminazioni creative.

Ci sono però elementi imprescindibili di ogni intervento educativo:


• centralità della guida istruttiva offerta dal docente;
• valore della valutazione formativa;
• capacità dell’insegnante di gestire il feedback;
• valutazione formativa dagli studenti.

I docenti efficaci:
• gestiscono adeguatamente la classe;
• intervengono per tenere gli allievi orientati al compito, attenti, motivati, produttivi;
• forniscono una struttura al contesto, arricchendolo con numerose risorse e con modalità;
diverse di insegnamento, ma usando anche attività e lavori di gruppo quando opportuno
esigenza di una guida istruttiva in grado di illustrare, chiarire, mostrare e sostenere
l’apprendimento (sostegno e accompagnamento), che solo gradualmente può essere ridotta.
Hanno importanza l’esplicitazione iniziale degli obiettivi con una presentazione introduttiva
delle tematiche, finalizzata a fornire visioni di insieme, attivare le preconoscenze e sollecitare
la motivazione, come pure un accorto utilizzo degli strumenti e dei codici di comunicazione
nel corso dell’intero processo istruttivo.

Inizialmente è indispensabile guidare l’attenzione sugli aspetti rilevanti e quindi scomporre e


sequenzializzare i concetti accompagnando il processo di apprendimento con dimostrazioni e la
pratica guidata; al crescere dell’esperienza si può amplifica2re7 la complessità dei compiti e ridurre
il supporto del docente. E’ importante infine il supporto alla rielaborazione interiore delle
conoscenze e lo sviluppo del senso di autoefficacia attraverso l’impiego di strategie metacognitive.
E’ evidente come le strategie didattiche discusse siano un continuum da una maggiore rilevanza
del ruolo istruttivo dell’insegnante (architetture recettiva/trasmissiva e comportamentale) a una
massima responsabilizzazione dell’allievo (architettura collaborativa, esplorativa e metacognitivo-
autoregolativa) passaggio verso l’allentamento delsupporto istruttivo e del controllo e
l’apprendimento autonomo dell’allievo. La ricerca sperimentale, contrariamente ai principi del
costruttivismo, suggerisce che le strategie di partecipazione attiva dello studente sono efficaci solo
quando vi è un’adeguata preparazione. Non tutte le strategie didattiche favoriscono lo sviluppo
delle stesse capacità cognitive, per questo è auspicabile una loro diffusa applicazione
(comprensione e memorizzazione ≠analisi, valutazione e sintesi). Competenze cognitive di ordine
superioreimplicano la maturazione di abilità quali il pensiero critico, la capacità di giudizio o il
problem solving, più difficili da insegnare e apprendere ma molto preziose. Le caratteristiche e le
peculiarità delle varie strategiedidattiche devono essere accuratamente ponderate dall’insegnante
prima del loro impiego nella pratica. Il ruolo del docente si pone allora come quello di un
mediatore cui spetta il compito di rendere possibile l’azione a partire dall’adattamento continuo e
riflessivo dei modelli nella prassi quotidiana. A lui è infatti demandata la responsabilità di
selezionare, adattare e rivedere, anche in corso d’opera, l’utilizzo delle strategie didattiche.
L’insegnamento è un’attività eminentemente pratica che richiede una pianificazione iniziale e un
controllo finale degli esiti, ma che si concretizza soprattutto nell’adattamento dei processi in
situazione, ovvero momento per momento, sulla base della capacità dell’insegnante di osservare,
intuire, riflettere.
CAPITOLO 4 – METODOLOGIE PER PROGETTARE
Didattica e programmazione
Il termine che meglio esprime l’intenzionalità nella didattica è quello di programmazione. La
sua operatività è finalizzata a definire obiettivi, contenuti e attività, metodi, strumenti, tempi e
spazi, verifiche iniziali, intermedie e finali.
La programmazione didattica si concretizza in un periodico e sistematico lavoro collegiale
(svolto nei consigli di interclasse/intersezione, nei consigli di classe e in piccoli gruppi
suddivisi per area disciplinare o per progetti interdisciplinari), volto a definire traguardi e
percorsi che specifici gruppi di alunni e docenti dovranno effettivamente compiere e che
potranno essere rivisti e modificati sia a partire dai bisogni formativi degli alunni e dalle loro
risposte di apprendimento, sia dalle finalità che la scuola si è proposta di aggiungere.
Ciclicità e dinamicità sono due elementi distintivi ed essenziali della programmazione
scolastica. Il movimento ciclico e dinamico della programmazione potrebbe essere
rappresentato da una “spirale aperta” che procede in direzione di uno sfondo delineato dalle
finalità educative della scuola. La spirale si allarga ad obiettivi intermedi di apprendimento,
ritornando ricorsivamente su se stessa per ripartire continuamente dai bisogni formativi dei
bambini.
E’ necessario eliminare quegli aloni ambigui che in passato hanno reso la didattica un’arte
solo fondata sull’intuizione o una tecnica senza reale dignità conoscitiva.
Il termine progettazione esprime invece un’operatività più ampia, orientata a delineare
“direzioni d’azione” riguardo alle finalità educative, alle scelte metodologiche, e agli
orientamenti per la valutazione complessiva delle azioni realizzate.

Le vie dell’individualizzazione
Le finalità esplicitate nel POF costituiscono lo sfondo e l’orientamento delle programmazioni
didattiche, mentre la direzione generale verso cui procedere è determinata dai “traguardi per
lo sviluppo delle competenze” definiti dalle indicazioni nazionali per il curricolo.
Le competenze-chiave enunciate nel documento degli Assi culturali (Miur, 2007b), relativi al
decreto d’innalzamento dell’obbligo di istruzione, orientano la didattica nell’ottica della
continuità verticale, per consolidare progressivamente quelle competenze di base considerate
indispensabili per la vita.
Le competenze-chiave sono indispensabili per due ragioni principali:
1. Sono la base su cui costruire competenze più elevate, connesse al pensiero intuitivo,
divergente, critico
2. Garantiscono al soggetto l’utilizzo di abilità strettamente funzionali al vivere sociale.
La didattica dovrà essere organizzata prima di tutto ad assicurare una solida formazione nella
direzione di queste competenze, e in seconda istanza (ma garantendo un contemporaneo
cammino in entrambe le direzioni) fornire l’opportunità di esplorare ambiti di competenza
diversificati, in cui possano essere esercitati maggiormente l’intuizione e il pensiero creativo, e
dove possano essere sollecitate le attitudini individuali e le eccellenze cognitive.
La principale direzione della programmazione didattica è l’individualizzazione, cioè
l’.assunzione di responsabilità da parte della scuola, nell’offrire ad ogni alunno i contesti e le
metodologie di apprendimento più adeguati a garantire a tutti il raggiungimento di
competenze di base di buona qualità (filo conduttore e principio pedagogico per tutta l’attività
didattica), coerentemente con i traguardi definiti nelle Indicazioni per il curricolo del 2007, e
con gli standard delineati negli Assi Culturali (Miur, 2007b) dell’obbligo dell’istruzione.
La seconda direzione della programmazione, la personalizzazione, è volta al raggiungimento di
obiettivi differenziati per ciascun alunno, prestando attenzione alle diverse caratteristiche ed
esigenze cognitive degli allievi, promuovendo i talenti personali di ciascuno con l’opportunità di
percorsi didattici opzionali; è considerata un’ulteriore modalità di individualizzazione, definita
individualizzazione “divergente”.
La richiesta di una solida formazione delle competenze di base degli studenti è un’urgenza
imprescindibile, in quanto recenti rilevazioni emerge un quadro problematico e preoccupante
relativo alla competenze dei quindicenni. I risultati della literacy in matematica e lettura
evidenziano medie al di sotto di quelle dei maggiori Paesi OCSE, e una disomogeneità sul
territorio nazionale.

PER UNA PROGRAMMAZIONE DIDATTICA DELL’INDIVIDUALIZZAZIONE


L’approccio dell’individualizzazione sposta sulla scuola la principale responsabilità del
successo dello studente, adeguando l’insegnamento alle differenti caratteristiche di ciascun
alunno, rendendosi dinamica, flessibile, auto-modificabile, per far raggiungere all’alunno le
competenze ritenute indispensabili per tutti. Si intende così spostare la curva gaussiana di
distribuzione dei risultati, verso risultati elevati per la stragrande maggioranza della
popolazione.
Si tratta dell’ipotesi bloomiana del mastery learning, l’apprendimento per la padronanza, che
si basa sul credo che tutti siano in grado di acquisire le competenze fondamentali del
curriculo, a patto che vengano loro offerti tempi e metodi didattici adeguati. Questo comporta
una cura didattica particolare per coloro che evidenziano maggiori difficoltà durante il
percorso di insegnamento-apprendimento, e il rifiuto dell’idea che la scuola sia capace solo di
promuovere coloro che già posseggono le competenze, indipendentemente dalla sua stessa
azione.
L’INDIVIDUALIZZAZIONE POSSIBILE
Con l’individualizzazione si cerca di garantire agli alunni sia il diritto all’uguaglianza (dei
traguardi formativi), sia il diritto alla diversità (dei bisogni e delle caratteristiche di ciascun
alunno).
La scuola ha tutta la responsabilità nella mediazione tra le due istanze
(uguaglianza/diversità), cercando un costante equilibrio fra i bisogni formativi che si
manifestano nei contesti locali e fra gli allievi, e la necessità di far raggiungere a tutti obiettivi
importanti in termini di saperi e abilità.
La personalizzazione è fortemente spostata sul solo diritto alla diversità. L’azione didattica
deve analizzare interessi e attitudini e sostenerli predisponendo contesti di apprendimento
favorevoli.
L’individualizzazione comporta il dubbio costante sulla qualità delle azioni didattiche
intraprese, e l’incessante disponibilità a modificarle in funzione di allievi diversi e in continua
evoluzione.
La professionalità (in termini di competenze) che i docenti devono possedere per progettare
l’individualizzazione nella scuola:
1. Osservazione e valutazione diagnostica delle competenze e meta-competenze degli
allievi
2. Definizione di obiettivi specifici di apprendimento a partire dalle Indicazioni
3. Organizzazione di contesti didattici ricchi e stimolanti
4. Didattica specifica nei vari campi e ambiti disciplinari
5. Gestione delle dinamiche sociocognitive degli alunni in grandi e piccoli gruppi
6. Predisposizione e uso di diverse metodologie e strumenti didattici
7. Pianificazione e organizzazione dei tempi di insegnamento-apprendimento
8. Uso di strumenti di verifica periodica dell’apprendimento e organizzazione di adeguate
strategie di recupero e consolidamento
9. Costruzione e uso di strumenti di verifica sommativa, in funzione anche di standard di
apprendimento definiti in ambito nazionale e internazionale.

ELEMENTI STRATEGICI PER REALIZZARE L’INDIVIDUALIZZAZIONE


Benjamin Bloom (1968), elabora una proposta metodologica fondata sull’ipotesi che tutti gli
studenti possano raggiungere la padronanza cognitiva di apprendimenti considerati
fondamentali, a partire da una proposta didattica adeguata alle caratteristiche individuali e ai
tempi di apprendimento di ciascuno (superando il rischio di ricadere in risultati disposti
secondo una distribuzione “normale” e differenziata – curva di Gauss).
Sono da considerare come variabili indipendenti le caratteristiche in ingresso degli studenti,
sia quelle cognitive che quelle affettive.
Si agisce efficacemente sui risultati dell’ apprendimento, ottenendo esiti più omogenei e
spostati verso l’alto (curva a “J”), solo differenziando la proposta didattica in termini di attività,
di correttivi e di tempo concesso in risposta alle caratteristiche personali di ciascun alunno.
Le caratteristiche individuali degli alunni sono variabili su cui un’istruzione di qualità può agire
in modo determinante.
Principali fasi per progettare il mastery learning:
1. Definire quali padronanze concettuali e operative gli studenti dovrebbero raggiungere
2. Stabilire livelli intermedi o componenti particolari della padronanza desiderata
3. Elaborare le prove in grado di verificare via via il raggiungimento degli obiettivi, e gli
eventuali correttivi da apportare al percorso didattico individuale
4. Predisporre le attività didattiche delle sequenze tenendo in considerazione lo stato di
preparazione iniziale degli allievi
5. Strutturare successivamente possibili correttivi da apportare al percorso didattico,
preparando attività integrative e di recupero da proporre agli allievi che non hanno
raggiunto livelli intermedi di padronanza nelle singole sequenze didattiche
6. Realizzare il percorso formativo garantendo che gli allievi che non hanno conquistato la
minima indispensabile padronanza delle conoscenze e competenze previste dalle
sequenze precedenti, non affrontino la sequenza successiva finché non l’hanno
raggiunta.
L’insegnante svolge una funzione di guida, supporto e controllo durante tutto il processo di
insegnamento-apprendimento. Flessibilità e dinamicità significa essere disposti a modificare
continuamente tempi, strategie, e materiali in funzione dei feedback degli allievi.
Il feedback serve a regolare il processo didattico grazie ai momenti di valutazione formativa. Si
raccolgono informazioni sugli apprendimenti dell’alunno per operare scelte didattiche
opportune (correttivi), in risposta ai bisogni formativi evidenziati dall’alunno stesso. L’azione è
retroattiva.
Lo stesso Gagné (1973), sottolinea l’importanza del feedback nella progettazione della
didattica, evidenziando i momenti fondamentali dello sviluppo di una lezione:
1. Attirare l’attenzione
2. Informare gli allievi dei risultati attesi
3. Stimolare il ricordo dei prerequisiti pertinenti
4. Presentare gli stimoli inerenti al compito di apprendimento
5. Guidare l’apprendimento
6. Sollecitare la manifestazione della conoscenza o della capacità acquisita
7. Fornire il feedback
8. Valutare la performance
9. Assicurare la ritenzione del transfer
Il feedback dell’insegnante circa la correttezza della prestazione, è direttamente conseguente
alla possibilità di verificare in itinere l’apprendimento dell’alunno. Lo scopo dell’insegnante è
quello di assumere informazioni sul processo cognitivo che lo studente sta mettendo in atto
per potergli fornire delle informazioni di ritorno utili e valide per migliorare l’apprendimento
stesso.
Questo, secondo Gagné, condurrebbe ad avviare e sostenere una disposizione motivazionale
positiva dello studente rispetto al compito cognitivo.
Procedure e strategie di costante monitoraggio e regolazione dei processi di insegnamento-
apprendimento sono fondamentali per perseguire buoni risultati. Tale elemento diventa ancor
più evidente all’interno della strategia del mastery learning:

 Processo didattico del mastery learning


↗Attività di arricchimento → → → ↘
Sequenza didattica 1→Valutazione formativa A
Sequenza did. 2
↘Correttivi → Valutazione formativa B ↗

I risultati delle sperimentazioni didattiche sul mastery learning hanno evidenziato che in
condizioni ottimali la strategia riesce a portare l’80% circa degli studenti a raggiungere buoni
risultati, mentre vengono quasi totalmente azzerate le insufficienze gravi.
Le ricerche evidenziano che migliora anche il senso di fiducia degli studenti nelle loro capacità
di apprendimento, migliora la loro frequenza a scuola e il livello di partecipazione attiva alla
lezione.
Studi più recenti dimostrano che le strategie di mastery learning sono adeguate anche a
favorire le abilità di problem solving, di ragionamento deduttivo e di espressione creativa.
Thomas Guskey, in un suo recente lavoro presentato al meeting annuale dell’AERA (American
Educational Research Association, mette in luce due idee di Bloom, che costituiscono linee
guida irrinunciabili per chi voglia realizzare l’individualizzazione:
1. L’utilizzo frequente e sistematico della valutazione formativa, del feedback, dei correttivi
(attività alternative che guidino e orientino lo studente a superare le difficoltà di
apprendimento) dell’arricchimento didattico (per coloro che hanno già raggiunto le
competenze richieste, che necessitano solo di ampliarle o consolidarle);
2. La chiarezza e la coerenza tra tutti gli elementi del processo d’insegnamento ( instructional
alignment).
Questa sistematicità e questo rigore risultano indispensabili laddove gli insegnanti concordino
su alcuni specifici obiettivi o contenuti irrinunciabili da garantire a tutti gli alunni.

LA STRATEGIA DELL’UNITA’ DIDATTICA PER L’INDIVIDUALIZZAZIONE DEI PERCORSI


: ASPETTI IRRINUNCIABILI
L’unità didattica costituisce la strategia didattica più adeguata per impostare una
programmazione volta all’individualizzazione dei percorsi. Essa possiede tre qualità
pedagogiche:
1. Chiarezza cognitiva, che significa che i fini e i contenuti dell’UD devono essere espliciti
all’allievo
2. Autosufficienza cognitiva, che significa che gli argomenti devono costituire un punto di
conoscenza/padronanza nevralgico di una materia
3. Interconnessione cognitiva, che significa che gli obiettivi di conoscenza/padronanza
dell’UD devono essere legati tra loro da una relazione disciplinare, cioè devono
appartenere alla struttura di una materia.
L’UD è una strategia che punta al raggiungimento di obiettivi basilari in termini di conoscenze
e abilità, e riferibili principalmente alle indicazioni nazionali fornite per ogni area disciplinare.
Tali conoscenze e abilità sono da garantire a tutti, anche in vista del raggiungimento delle
competenze chiave per il diritto a una cittadinanza attiva.
Ogni UD deve richiedere un impegno progettuale e creativo affinché il percorso per
raggiungere le competenze di base sia coerente e adeguato rispetto al gruppo di bambini a
cui l’UD è rivolta.

LA DIAGNOSI IN INGRESSO COME PUNTO DI PARTENZA


Molti sono i fattori che possono influire sull’apprendimento dell’alunno:
 Il contesto socio-culturale in cui è cresciuto
 Gli stimoli cognitivi che ha ricevuto e riceve quotidianamente
 Il valore e l’importanza che egli attribuisce al sapere e all’apprendimento
 La rappresentazione che ha di sé come soggetto che apprende
 Il suo stile cognitivo, i tempi di concentrazione ed elaborazione delle info, la
consapevolezza delle strategie di apprendimento più adeguate, la capacità di auto-
disciplinarsi ecc.
A partire dalla conoscenza analitica delle caratteristiche d’ingresso dell’alunno, è possibile una
progettazione consapevole e calibrata rispetto alle esigenze del singolo. Si tratta di una
valutazione iniziale che ha funzioni specificamente diagnostiche, cioè orientate a identificare le
caratteristiche e cause di un fenomeno attraverso procedure empiriche di osservazione. Per
farla, occorre disporre di strumenti idonei a rilevare informazioni relative alle conoscenze
preliminari.
La valutazione intermedia invece, rileva il grado di avanzamento degli apprendimenti di
ciascun allievo e della classe nel suo complesso.
La diagnosi forniscono informazioni utili a realizzare tempestivi interventi a carattere
compensativo per avere risultati finali più omogenei tra loro. Lo scopo della diagnosi è dunque
quello di acquisire dati validi e affidabili per assumere decisioni ponderate in riferimento
all’organizzazione didattica del percorso di ciascuno studente.
E’ importante, all’inizio del percorso didattico, conoscere l’atteggiamento psicoaffettivo e
motivazionale dell’alunno nei confronti dell’apprendimento, acquisendo informazioni
dall’analisi della documentazione relativa ai percorsi precedenti e dall’osservazione
sistematica del comportamento in classe.
E’ anche importante osservare e rilevare i comportamenti sociali degli alunni e le dinamiche
socio-relazionali in classe.
La valutazione diagnostica delle competenze metacognitive e degli stili di apprendimento degli
alunni fa frequentemente uso di questionari strutturati o di griglie di autovalutazione. Tra
questi c’è il QPA (Questionario sui Processi Cognitivi), che si struttura su cinque scale,
ognuna delle quali analizza una dimensione dei processi metacognitivi, soprattutto al riguardo
delle strategie di apprendimento. Il QPA non tocca costrutti di personalità, quali la percezione
di autoefficacia e l’ansia da esami.
Le cinque scale rilevate con il QPA sono le seguenti:
 Motivazione intrinseca all’apprendimento, il soggetto considera i contenuti importanti di
per sé e non per motivi esterni, ed è coinvolto razionalmente e affettivamente nel
processo di apprendimento, perché considera quanto appreso arricchente per la
propria personalità e presupposto per la propria autonomia generale
 Meta-cognizione e apprendimento autoregolato, è la consapevolezza da parte del
soggetto dei processi di apprendimento, tale da fargli gestire nel modo migliore detti
processi determinando un apprendimento autoregolato, che significa gestione
autonoma dei compiti e doveri scolastici
 Strategie di apprendimento, che servono allo studente per guadagnare la
consapevolezza del proprio studio produttivo/improduttivo
 Consolidamento dell’apprendimento, processi di studio che mirano a consolidare
quanto appreso
 Apprendimento superficiale, ovvero basato su motivi estrinseci e con scarso
coinvolgimento personale.
Esistono tre differenti versioni del questionario, in funzione dell’età e della classe scolastica
dei soggetti; ogni studente risponde ad un certo numero di domande. Le possibilità di risposta
rientrano in una scala da 1 a 5.
In seguito alla valutazione iniziale, occorrerà svolgere alcune operazioni:
- Identificare collegialmente quali aspetti accertare nelle verifiche o osservazioni
diagnostiche e quali strumenti utilizzare
- Definire i tempi in cui svolgere le verifiche o osservazioni diagnostiche, in modo che
siano vissute come momenti funzionali alla qualità dei percorsi svolti e non come
perdite di tempo
- Modalità di lettura dei risultati e definizione di uno specifico momento collegiale nel
quale saranno discussi tra gli insegnanti, e saranno prese decisioni comuni per
mettere subito in atto strategie di sostegno per gli alunni in difficoltà
- Messa a punto di programmazioni didattiche specifiche in funzione dei risultati
diagnostici e delle decisioni prese collegialmente.
La valutazione analogica, è una valutazione iniziale mirata a fornire informazioni sia
diagnostiche che prognostiche sul percorso formativo che l’alunno sta per intraprendere e
sulle sue effettive possibilità di successo.
Essa non ha la funzione di verificare il possesso di prerequisiti di conoscenza indispensabili
per affrontare un argomento nuovo, ma il livello di “predisposizione” del soggetto ad affrontare
positivamente quell’argomento. La verifica mira a mettere in moto nel soggetto processi di
pensiero analoghi a quelli che gli saranno utili per affrontare i nuovi contenuti di
apprendimento.
Sono prove strutturate con domande a risposta chiusa.

LA FORMULAZIONE DEGLI OBIETTIVI DIDATTICI


Una didattica orientata all’individualizzazione si caratterizza come fortemente intenzionale
(cioè orientata al raggiungimento di obiettivi di apprendimento fondamentali perché lo
studente raggiunga la competenza nelle varie aree disciplinari).
Un’attività didattica individualizzata deve essere progettata e orientata al raggiungimento di
obiettivi (mete da conseguire) e monitorarne il conseguimento.
In base agli obiettivi si scelgono i contenuti, poi si andranno a definire materiali, strumenti,
tempi e spazi, e individuare prove di verifica iniziali, intermedie e finali.
 Gli obiettivi didattici definiti per ogni UD costituiscono le tappe intermedie
fondamentali lungo un itinerario curricolare più complesso, volto al perseguimento di
traguardi indicati nelle indicazioni nazionali, che contribuiscono a mantenere la
convergenza delle iniziative educative e didattiche rispetto agli standard richiesti dalle
competenze-chiave.
Pellerey mette in luce altri due aspetti di rilevanza degli obiettivi didattici in un processo
didattico:
 Offrono opportunità in termini di comunicazione tra scuola e famiglia, scuola e territorio
e tra insegnanti e alunni. La comunicazione agli studenti degli obiettivi da perseguire
serve ad aumentare la loro consapevolezza rispetto al percorso da compiere e li motiva
a perseverare
 Hanno un ruolo nei processi di autovalutazione della scuola (riflessione su ciò che è
stato realizzato e su ciò che ha evidenziato criticità).
Per formulare correttamente un obiettivo didattico occorre esprimerlo attraverso una forma
sintattica che lo renda verificabile (nel senso di controllarne il raggiungimento in itinere, e
accertarne la padronanza al termine del processo didattico).
L’obiettivo si esprime in termini comportamentali, utilizzando verbi che indichino azioni del
soggetto che siano percepibili all’esterno. Verbi come comprendere, capire, riflettere, credere
ecc. NON potranno essere utilizzati, perché non corrispondono a comportamenti osservabili.
Mentre invece saranno appropriati i verbi scrivere, recitare, costruire, selezionare, risolvere,
paragonare ecc., in quanto rimandano a comportamenti osservabili.
L’obiettivo ha sempre per soggetto l’alunno che compie una performance.
Il processo di definizione degli obiettivi in termini comportamentali è detto operalizzazione e,
secondo Mager, dovrebbe prevedere anche le condizioni entro cui la performance si ritiene
realizzata e l’individuazione del criterio che la definisce accettabile.
Esistono strumenti concettuali, tassonomie, che agevolano il lavoro di organizzazione
gerarchica e sequenziale di obiettivi, in funzione dei bisogni formativi degli allievi, e delle mete
educative delineate dai programmi.
Le tassonomie degli obiettivi identificano differenti livelli di abilità cognitive, ordinati dal più
semplice al più complesso, che il soggetto può mettere in campo in un processo di
insegnamento-apprendimento
A ciascun livello, corrisponde un elenco di prestazioni comportamentali (cioè un elenco di
indicatori) che rimandano a tale abilità.
La tassonomia di Bloom (’50-’60), la più conosciuta e utilizzata, oltre a fornire una breve
definizione operativa di ogni livello cognitivo indica le principali prestazioni comportamentali
del livello in questione e i contenuti generali di apprendimento cui la prestazione si riferisce.
Le tassonomie non sono da considerarsi una vera e propria guida per definire gli obiettivi di
apprendimento, ma propongono un’idea di apprendimento che procede univocamente dal
semplice al complesso.
I livelli che esse distinguono non sono rigidi, a volte tendono a sovrapporsi e pretendono di
essere neutre, e dunque trasversali a diversi campi disciplinari. Non possono costituire l’unico
riferimento di un’insegnante per individuare i traguardi della propria attività didattica, tuttavia
possono essere un’utile bussola da usare con senso critico per precisare la formulazione degli
obiettivi didattici.
Nel concetto di competenza entrano in gioco diverse componenti: cognitive, motivazionali,
sociali. Le conoscenze (saperi) e le abilità (saper applicare le conoscenze in diversi cotesti)
costituiscono validi indicatori di competenza, mentre la competenza nella sua globalità non
può essere rilevata.
Ogni obiettivo didattico potrà essere formulato:
 Declinando in termini operativi i “traguardi per lo sviluppo delle competenze”
 Identificando conoscenze e abilità richieste.

LA SCELTA DEI CONTENUTI


I saperi possono appartenere a tre ambiti:
- Discipline
- Literacy
- Cultura professionale.
Gli Assi culturali e le Indicazioni per il curricolo indicano ambiti disciplinari e traguardi
formativi che tengono validamente conto di istanze socio-culturali relative alle competenze-
chiave per la cittadinanza attiva. I “traguardi” citati dalle indicazioni nazionali pur non essendo
rigidamente prescrittivi, indicano ambiti di saperi irrinunciabili per tutti i cittadini. Essi pongono
agli insegnanti la questione di come questi saperi possano essere garantiti a tutti gli studenti
lungo tutto il percorso curricolare.
I coniugi Nicholls, Audrey e Howard, nel 1976, evidenziano quattro caratteristiche
imprescindibili relative ai contenuti:
1. Validità, cioè i contenuti devono essere autentici, attuali e concreti rispetto alla realtà di
riferimento degli alunni
2. Significatività, cioè i contenuti devono essere significativi e rilevanti rispetto all’obiettivo
che ci si propone di raggiungere
3. Interesse, cioè i contenuti devono essere interessanti e attraenti per suscitare la
motivazione delll’alunno
4. Possibilità di apprendimento, cioè i contenuti devono essere accessibili alle possibilità
di apprendimento dei ragazzi.
David Ausubel (1978), riguardo alla significatività, un apprendimento è logicamente
significativo quando ha una struttura ricca e articolata sia all’interno (in termini di coerenza tra
i vari elementi del contenuto) che all’esterno (in termini di utilizzabilità da parte dell’allievo –
cioè capacità di ancorare il nuovo contenuto alle conoscenze che già possiede).
La funzione dell’insegnante nella promozione di apprendimenti significativi per gli allievi è
fondamentale: sia che egli proponga un apprendimento per ricezione (ossia trasmissione
diretta del contenuto), che per scoperta, dovrebbe riuscire a soddisfare tre condizioni:
1. Preparare materiali potenzialmente significativi, in quanto internamente coerenti e
contestualizzabili dall’allievo
2. Verificare che l’allievo sia in possesso di conoscenze rilevanti per ancorare il nuovo
contenuto all’interno degli schemi cognitivi esistenti
3. Mettere in grado l’alunno di effettuare autonomamente una scelta per stabilire
connessioni tra un nuovo contenuto e la struttura cognitiva preesistente.

STILI DI INSEGNAMENTO E METODOLOGIA DIDATTICA


Per poter utilizzare consapevolmente le metodologie didattiche è fondamentale che
l’insegnante faccia riferimento agli stili di apprendimento degli alunni; la fase di valutazione
diagnostica iniziale deve avere una ricaduta importante sulla scelta delle metodologie.
L’insegnante deve conoscere la gamma di stili cognitivi (modalità di elaborazione delle
informazioni) con cui gli studenti si approcciano allo studio:
 Analitico (dal particolare al generale) o globale (dal generale al particolare)
 Dipendente o indipendente dal campo (argomento connesso o meno al contesto)
 Verbali o visuali (preferenza per i codici verbali o iconici)
 Convergenti o divergenti (in relazione all’uso del pensiero creativo nella ricerca di
soluzioni)
 Impulsivi o riflessivi
 Sistematici o intuitivi.
Risulta rilevante anche la conoscenza dei codici linguistici degli alunni per avere maggiore
consapevolezza sulle modalità con cui essi strutturano, tramite il linguaggio, le proprie
conoscenze, attivando diversi processi mentali a seconda del codice linguistico utilizzato, e
producendo di conseguenza diverse rappresentazioni del sapere e della realtà.
Un ulteriore aspetto da cui il docente può trarre utili indicazioni per la didattica, è la
conoscenza degli stili attributivi (cioè i processi attraverso i quali interpretano le cause di
eventi, azioni e fatti) degli alunni. In base allo stile attributivo prevalente, il bambino tende
anche ad interpretare i fenomeni relativi all’apprendimento. Se lo studente attribuisce il
successo o l’insuccesso a cause controllabili, sarà più disponibile ad impegnarsi nello studio e
ad utilizzare le strategie che hanno dato migliori risultati, a modificare alcuni comportamenti
non produttivi.
La consapevolezza dell’insegnante di fronte a tutti questi fattori riveste grande importanza per
quanto riguarda l’adozione di uno stile educativo il più possibile adeguato. L’intervento
didattico dell’insegnante deve essere calibrato rispetto alle diverse esigenze cognitive di
ciascuno studente; l’insegnante si pone nella sua “zona di sviluppo prossimale” e l’allievo
coglie ed elabora efficacemente la comunicazione, partecipando attivamente al suo processo
di apprendimento.
L’alternare lezioni, lavori in grande gruppo, in piccolo gruppo, e anche individuali degli studenti
può costituire un’ottima modalità per stimolare le abilità differenti e proporre loro uno stile
docente capace di variazioni, cambiamenti, reinvenzioni, con conseguente utilizzo di linguaggi
e codici comunicativi differenti.
Anche se l’individualizzazione risponde ad una logica connessa al paradigma sperimentale e a
una teoria dell’apprendimento tipicamente comportamentista (cioè 1. definizione degli
obiettivi; 2. identificazione di contenuti, metodi e strumenti; 3. verifica del raggiungimento degli
obiettivi, 4. feedback all’allievo), le opportunità metodologiche per condurre le attività con gli
alunni possono essere le più svariate (attività trasmissive, ma anche didattica della ricerca,
problem solving, cooperative learning).
La didattica del mastery learning ha ottenuto migliori risultati quando gli obiettivi di riferimento
erano di livello tassonomico elementare o intermedio; con essa si possono perseguire anche
le capacità di analisi e di sintesi, ma servono indicatori di comportamento chiari e verificabili
per poterne verificare il raggiungimento (sia in itinere che alla fine del percorso).
Recenti ricerche hanno evidenziato il rilievo importantissimo e i vantaggi della lezione frontale,
e dell’insegnamento di tipo trasmissivo ai fini di un apprendimento significativo. Occorre però
mantenere un equilibrio tra apprendimento personalizzato e assimilazione di contenuti
attraverso lezioni ben costruite (belle lezioni).

STRUMENTI, MATERIALI, SPAZI E TEMPI


Saranno utili materiali capaci di sollecitare di volta in volta, i diversi codici di apprendimento
dell’alunno (verbale/simbolico/iconico/analogico/attivo).
Spazio e tempo sono le due categorie fondamentali all’interno delle quali si sviluppano il
pensiero e l’apprendimento e per questo motivo anch’esse devono essere progettate con cura
e attenzione. Uno spazio ben organizzato è per l’insegnante un validissimo aiuto per garantire
il controllo delle attività e un buon clima relazionale.
Lo spazio deve poter garantire situazioni sia stabili sia variabili, che consentano all’alunno di
ritrovare spazi riconoscibili come propri e abituali, sia di immaginare e realizzare variazioni
nello spazio.
Tempi e fasi di lavoro esplicitamente definiti e condivisi tra insegnanti e alunni danno la
possibilità di stabilire patti formativi chiari e garantiscono la verifica dell’adeguatezza dei tempi
e la possibilità di chiedere espliciti e motivati cambiamenti dove emergano criticità.
LA VALUTAZIONE IN ITINERE: DEFINIRE CORRETTIVI DEL PROCESSO DIDATTICO
La principale funzione svolta dalla valutazione formativa (in itinere) è quella di strumento
regolatore dell’attività didattica nel suo svolgersi. Essa ha lo scopo di accertare analiticamente
quali abilità l’allievo stia acquisendo e rispetto a quali si trovi in difficoltà.
Caratteristiche essenziali della valutazione formativa:
 Si svolge durante un percorso didattico di cui sono stati esplicitati gli obiettivi da far
raggiungere a tutti gli alunni
 È mirata a rilevare informazioni analitiche su specifici apprendimenti, osservabili in
base a specifici indicatori e validi per conseguire specifiche competenze
 Ne scaturiscono info private da esplicitarsi soprattutto all’interno della relazione
insegnante-alunno (per evitare etichettamenti). Tali valutazioni non devono concludersi
con un voto, ma semplicemente con l’individuazione di eventuali “errori” dell’alunno,
che si considerano risorsa fondamentale per l’intervento didattico. L’insegnante ha il
compito di individuare i punti di difficoltà e sostenere l’allievo nella correzione degli
errori, creando un’impalcatura di sostegno atta di aiuti nel ragionamento, che sarà tolta
a mano a mano che l’alunno diventa più autonomo.
Come costruire prova di verifica per la valutazione formativa:
- Scegliere prove (strutturate, ma anche comprensive di domande aperte che prevedano
la messa in atto di processi di pensiero diversi sullo stesso argomento, in modo tale da
avere una visione più completa di come procede l’apprendimento dell’alunno) capaci di
rilevare in modo analitico le possibili difficoltà dell’alunno, per evidenziare la
prestazione dell’alunno all’interno di tali passaggi critici
- Che possano essere svolte in tempi brevi, corrette in base a criteri di correzione chiari
e precisi, negoziati in anticipo
- Che possano essere corrette in tempi brevi, per rendere efficace il feedback in itinere.
La fase di recupero individualizzato:
 Lavorare nel piccolo gruppo
 Predisporre anticipatamente materiali e percorsi ad hoc per ciascun gruppo
 Non far mancare a nessun gruppo il sostegno dell’insegnante, ma organizzare anche il
peer tutoring (allievo più esperto che spiega al compagno in difficoltà)
 Consentire tempi distesi di lavoro, predisponendo eventuali attività aggiuntive di
consolidamento per gli altri gruppi.
LA VALUTAZIONE SOMMATIVA: UN BILANCIO SUGLI APPRENDIMENTI CONSEGUITI E
SULLA QUALITA’ DELLA DIDATTICA
La valutazione sommativa è quel momento di verifica che si pone al termine dell’UD ed è
finalizzato a fare un bilancio conclusivo sugli obiettivi conseguiti dagli alunni.
Dopo aver analizzato e discusso con gli studenti i risultati di una prova formativa, e dopo aver
proposto un momento di recupero specifico a un gruppo di allievi in difficoltà rispetto
all’argomento proposto, si può proporre allo stesso gruppo una prova sommativa orientata a
verificare le conoscenze e abilità su cui si è concentrato il recupero. Si tratta di un modo per
tenere sotto controllo il rendimento degli alunni e, allo stesso tempo, dimostrare loro che
hanno l’opportunità di conseguire buoni risultati dopo una fase di recupero, motivandoli ad
avere fiducia nelle proprie possibilità e affrontare con motivazione l’attività didattica
successiva.
Valutazione formativa e sommativa contribuiscono a promuovere l’apprendimento degli alunni
in un’ottica che mira a far loro raggiungere la padronanza delle competenze in modo
democratico.
Principali caratteristiche della valutazione sommativa:
 Si attua al termine di un percorso di insegnamento-apprendimento per fare un bilancio
dei risultati raggiunti in rapporto agli obiettivi preventivati
 Ha carattere pubblico, in quanto le informazioni sono sintetizzate in un voto o giudizio
che viene comunicato anche al di fuori della relazione insegnante-alunno
 È tesa a verificare nuclei complessi di conoscenze e abilità (si focalizza su ampie aree
di apprendimento) per cogliere il livello di competenza (saper utilizzare conoscenze e
abilità in contesti di vita reale) dell’allievo
 È l’indicatore principale per valutare la qualità della didattica e della scuola.

LA STRATEGIA DEL PROGETTO DIDATTICO PER UNA DIDATTICA PERSONALIZZATA


La personalizzazione è un altro tipo di individualizzazione volta a valorizzare i talenti naturali
dell’alunno, suggerendo direzioni di apprendimento possibili senza alcuna previsione precisa
in merito a obiettivi specifici da raggiungere, tesa a far emergere le naturali potenzialità ed
eccellenze individuali nelle varie forme di intelligenza.
Howard Gardner: lo sviluppo cognitivo avviene in modo differenziato, ogni bambino possiede
alcuni punti di forza.
La scuola ha il compito di far scoprire all’alunno le proprie potenzialità individuali, mettendosi
in ascolto dei suoi interessi e vissuti personali.
Il ruolo della scuola nella prospettiva della personalizzazione è dunque soprattutto quello
dell’apertura di possibilità, e della promozione di una cultura del rispetto e valorizzazione delle
differenze individuali.
La scuola promuove negli alunni l’opportunità di scoprire proprie attitudini personali,
favorendole poi tramite la creazione di spazi e occasioni di apprendimento, stimolando
l’autonomia dei bambini, e infine facendo leva su una buona gestione delle relazioni sociali di
gruppo.
La didattica personalizzata necessita di una strategia didattica diversa da quella dell’UD: il
progetto didattico (PD) si rivela la strategia più adeguata e valida.

Caratteristiche del progetto:


 Si avvia a partire da un’osservazione attenta degli interessi degli alunni, in quanto
l’interesse è un indicatore di un bisogno fondamentale del bambino
 Si delineano gli obiettivi generali basandosi sui bisogni e gli interessi individuati (le
diversità sono importanti perché creano complementarietà e occasioni di
cooperazione)
 Si definisce a grandi linee l’attività didattica o la situazione in cui porre i bambini per
promuovere i loro apprendimenti
 Si predispongono contesti ricchi e stimolanti per far attivare agli alunni processi di
esplorazione cognitiva (si utilizzano soprattutto le modalità di apprendimento per
costruzione o per scoperta)
 Si cura il clima sociale, per favorire il riconoscimento delle abilità individuali, la
cooperazione e il rispetto reciproco
 Lo stile didattico dell’insegnante è non direttivo, sollecitando l’autonomia di gestione
del proprio percorso di scoperta del sapere (scaffolding)
 La valutazione conclusiva deve consistere nella valorizzazione del percorso compiuto
da ciascun bambino (impegno, partecipazione), non del risultato raggiunto. Serve
anche a mettere in luce il funzionamento dei gruppi (capacità di lavorare insieme).
La valutazione conclusiva rappresenta un momento collegiale fra docenti per riordinare i dati,
documentare l’esperienza e riflettere. Si può progettare per concetti, per sfondo integratore, e
per situazioni.

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