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INTRODUZIONE:
Il testo presenta i dati sul numero di alunni stranieri nelle scuole italiane, mostrando che sono
cresciuti del 20,9% tra il 2009 e il 2015. Tuttavia, uno studio dell'OCSE ha dimostrato che la
presenza di studenti stranieri non ha impatti negativi sui risultati di apprendimento. Il libro
discute il modello educativo ALC-C3I, che integra il Cooperative Learning, l'approccio
interculturale e l'educazione linguistica per promuovere l'inclusione e l'apprendimento
collaborativo a classe intera. ALC-C3I è un modello educativo che integra i principi e le tecniche
del Cooperative Learning con i principi e le tecniche di Facilitazione Linguistica. La prima parte
dell'acronimo sta per "Apprendimento Linguistico Cooperativo". La seconda parte richiama
quattro principi complementari di un'educazione inclusiva e interculturale: Clima di classe,
Interdipendenza sociale, Intercultura, Inclusione. Il modello è stato sviluppato per lavorare in
contesti scolastici plurilingui e multiculturali, con l'obiettivo di promuovere un'apprendimento
collaborativo e inclusivo a classe intera.
Il Cooperative Learning è uno dei metodi didattici che si basa sull'interdipendenza sociale e che
promuove la collaborazione tra gli studenti, che lavorano insieme per raggiungere obiettivi
comuni. In questo modo, il Cooperative Learning favorisce l'apprendimento attivo, la
partecipazione attiva degli studenti, la costruzione di relazioni positive tra gli studenti e
l'apprendimento tra pari.
1 Interdipendenza positiva: gli studenti lavorano insieme per raggiungere un obiettivo comune
e si aiutano reciprocamente per raggiungere questo obiettivo.
3 Interazione faccia a faccia: gli studenti comunicano tra loro per raggiungere l'obiettivo
comune, discutono le idee, collaborano e si scambiano feedback.
4 Abilità sociali: gli studenti imparano ad ascoltare gli altri, a comunicare in modo efficace e
rispettoso, a lavorare in gruppo e ad aiutarsi reciprocamente.
2: INTERDIPENDENZA SOCIALE
Il concetto di interdipendenza si può riassumere come il modo in cui gli obiettivi dei membri di
un gruppo influenzano le loro interazioni e la qualità di queste interazioni influenza sia i risultati
individuali che quelli di gruppo. Gli studi sull'interdipendenza sociale sono condotti sia in modo
teorico che empirico e si concentrano su tre aree principali: scuola, organizzazioni aziendali e
servizi sociali. Questi studi coinvolgono partecipanti di diverse età, background socio-economici,
livelli di abilità, appartenenza etnica, culture e aree geografiche. La maggior parte degli studi è
condotta sul campo in condizioni di alta validità interna, e più della metà di essi soddisfa i criteri
di validità sperimentale. Gli studi sull'interdipendenza sociale hanno dimostrato che il lavoro
collaborativo e cooperativo può avere effetti positivi sul rendimento scolastico, sulla
motivazione degli studenti e sulla qualità della vita sociale in generale. In particolare, il
Cooperative Learning, che si basa sull'interdipendenza positiva, è stato associato ad un
miglioramento delle competenze sociali, dell'autoefficacia e dell'apprendimento degli studenti.
Inoltre, l'interdipendenza può avere effetti positivi sulla salute mentale e sul benessere delle
persone, poiché la cooperazione e il supporto reciproco possono ridurre lo stress e aumentare il
senso di appartenenza e di soddisfazione nella vita. l'interdipendenza sociale abbia un ruolo
importante nella promozione di comportamenti prosociali, come la cooperazione, la
condivisione e l'aiuto reciproco.
La teoria dell'interdipendenza sociale ha origine dalla Psicologia della Gestalt, una teoria
sviluppata agli inizi del XX secolo. Questa teoria afferma che la percezione soggettiva
dell'esperienza è la fonte del comportamento. Le persone sviluppano visioni organizzate e
soggettive percependo gli eventi come un tutto piuttosto che come una somma di parti.
Koffka, uno dei fondatori della teoria della Gestalt, propose di considerare anche i gruppi
come un tutto. La dinamica di un gruppo cambia in relazione ai cambiamenti dei singoli membri
o sotto-gruppi, e le proprietà strutturali e funzionali di ogni individuo influenzano la forza e la
qualità del gruppo nel raggiungere scopi o compiti. L'unità gruppale è data da legami di
interdipendenza che si generano grazie alla partecipazione dei membri nella condivisione di
scopi comuni. L'interdipendenza positiva esiste quando ciascuna parte sperimenta che potrà
ottenere il suo obiettivo solamente se le altre parti, cui è cooperativamente collegata,
ottengono i loro scopi. L'interdipendenza negativa si ha quando le parti percepiscono che
otterranno i loro obiettivi solamente se le altre parti falliranno nel conseguire i loro.
L'interdipendenza positiva favorisce l'interazione promozionale e la disponibilità delle persone a
sostenere e incoraggiare l'impegno di ciascuno nel completare i diversi compiti, mentre
l'interdipendenza negativa stimola comportamenti competitivi e oppositivi. La teoria della
Gestalt, elaborata agli inizi del XX secolo, sostiene che le persone sviluppano una percezione
soggettiva dell'esperienza, percependo gli eventi come un tutto piuttosto che come una somma
di parti. Questo ha portato a considerare i fatti psicologici come forme unitarie organiche che si
collocano nello spazio e nel tempo. La teoria ha influenzato lo studio dell'interdipendenza
sociale, in cui si alternano ricerche teoriche ed empiriche che si concentrano su ambiti come la
scuola, le organizzazioni aziendali e i servizi sociali. Inoltre, l'unità gruppale è determinata dai
legami di interdipendenza, che si generano grazie alla partecipazione dei membri nella
condivisione di scopi comuni. L'interdipendenza può essere positiva o negativa, a seconda che le
azioni di una singola persona promuovano o ostacolino il raggiungimento di uno scopo comune
del gruppo.
L'interdipendenza positiva favorisce una maggiore centratura sul compito e una disponibilità
maggiore a offrire supporto personale ai membri di un gruppo, rispetto alle condizioni
competitive e individualistiche. Inoltre, promuove la memoria a lungo termine dei contenuti,
una maggiore motivazione intrinseca e degli atteggiamenti più positivi verso l'apprendimento.
Le amicizie tra gli studenti sono anche importanti per il successo scolastico. Uno studio ha
dimostrato che le relazioni positive tra gli adolescenti spiegano il 33% della varianza totale dei
risultati d'apprendimento. Inoltre, l'incremento di un punto nel grado di relazioni interpersonali
positive produceva un rendimento scolastico medio pari a 0,57. Apprendere in condizioni
cooperative promuove relazioni positive, sostenendo al contempo il successo scolastico degli
alunni.
Le esperienze di lavoro cooperativo influenzano anche le relazioni tra le persone dopo il lavoro
di gruppo. I soggetti tendono a intrattenere rapporti di vicinanza e amicizia reciproca subito
dopo aver partecipato a sessioni di lavoro cooperativo. Ciò vale anche per gruppi eterogenei,
con differenze nel retroterra linguistico e culturale, livelli di abilità diversi, ecc. è stato
dimostrato che la cooperazione tra gli studenti può avere un effetto positivo sull'atteggiamento
degli studenti nei confronti della scuola e dell'apprendimento, aumentando il loro senso di
appartenenza e coinvolgimento nella classe (Slavin, 1990). Inoltre, la cooperazione può aiutare a
ridurre le disuguaglianze di apprendimento tra gli studenti, poiché gli studenti più abili possono
aiutare quelli meno abili a comprendere e padroneggiare i concetti (Vygotsky, 1978). Ci sono
anche molti approcci diversi alla cooperazione e al lavoro di gruppo, come il cooperative
learning strutturato, il lavoro di squadra e il problem-based learning, che possono essere
adattati alle esigenze specifiche della classe e degli studenti. Problem Based Learning (PBL) è un
approccio educativo in cui gli studenti vengono posti di fronte a problemi complessi e realistici,
con l'obiettivo di sviluppare le loro capacità di risolvere problemi, di collaborare e di apprendere
in modo autonomo. In un contesto di PBL, gli studenti lavorano in gruppi per identificare e
analizzare il problema, raccogliere informazioni rilevanti, sviluppare e testare ipotesi, e infine
presentare e difendere le loro soluzioni. L'insegnante funge da facilitatore, fornendo supporto e
feedback durante il processo di apprendimento. Il PBL è spesso utilizzato in corsi di studi di
medicina, ingegneria e scienze, ma può essere applicato a qualsiasi ambito disciplinare in cui è
importante sviluppare abilità di problem solving e pensiero critico.
Per educare gli studenti a superare i conflitti in modo costruttivo, Johnson e Johnson (2005;
2007) hanno progettato due percorsi didattici. Nel primo, chiamato "Educare gli studenti a
essere costruttori di pace", gli studenti apprendono come risolvere i conflitti attraverso la
negoziazione e l'applicazione di strategie e regole di mediazione tra pari. Nel secondo
programma, chiamato "Controversia Scolastica", gli studenti mettono in discussione fatti e
conclusioni comunicati all'interno di un gruppo, imparando a sviluppare argomentazioni e
cercare un accordo tramite la ricerca del consenso.
Entrambi i programmi mettono gli studenti in una situazione di controversia regolata da scopi,
ruoli, fasi e comportamenti, dando loro l'opportunità di gestire il conflitto in un clima di
cooperazione. Le valutazioni empiriche hanno dimostrato che la regolazione dei conflitti,
all'interno di una cornice di interdipendenza positiva, porta a un migliore rendimento scolastico,
una maggiore capacità di pensiero logico e di empatia, una maggior disponibilità a cercare punti
di unione e un atteggiamento più positivo nei confronti del conflitto (Johnson e Johnson, 2009).
3: COOPERATIVE LEARNING
Per favorire l'interdipendenza positiva all'interno dei gruppi cooperativi, è importante che gli
studenti siano posti su un piano di parità e abbiano la possibilità di esprimere le loro opinioni e
di condividere le loro conoscenze e competenze. Inoltre, l'insegnante deve promuovere l'utilizzo
di strategie di cooperazione e di comunicazione efficaci, e favorire la costruzione di relazioni
positive tra i membri del gruppo.
La metodologia del Cooperative Learning è stata applicata con successo in diversi ambiti
educativi, dalla scuola primaria all'università, e ha dimostrato di favorire l'apprendimento
scolastico, lo sviluppo socio-affettivo e la promozione di comportamenti prosociali. Inoltre, è
stata utilizzata con successo anche in contesti multietnici e multiculturali, contribuendo alla
valorizzazione delle diversità e alla creazione di un clima di rispetto reciproco.
Il Cooperative Learning è un approccio educativo con una lunga storia di applicazioni, riflessione
teorica e formazione dei docenti in tutto il mondo, dai Paesi del bacino del Pacifico all'Africa,
dall'Europa all'America del Nord, centrale e meridionale e al Medio Oriente. In Italia, il Professor
Mario Comoglio è stato uno dei pionieri dell'introduzione del Cooperative Learning nel sistema
educativo, e nel 1996 ha istituito il primo Centro di Ricerca sul Cooperative Learning presso
l'ISRE di Venezia. Nel corso degli anni, sono state istituite diverse iniziative per promuovere la
metodologia, tra cui la costituzione di gruppi di ricerca e la formazione di reti di scuole. Una
delle iniziative più recenti riguarda il Comune di Prato, dove il Cooperative Learning è stato
introdotto in tutte le scuole del primo ciclo attraverso un progetto di ricerca-intervento che ha
sviluppato un modello educativo integrando i principi del Cooperative Learning con quelli della
Facilitazione Linguistica. Tale integrazione ha permesso di creare una didattica interculturale e
inclusiva a classe intera, favorendo l'inclusione scolastica e la valorizzazione della diversità
culturale. Il Cooperative Learning è stato oggetto di numerose ricerche empiriche a livello
internazionale, che hanno dimostrato i suoi benefici in termini di miglioramento
dell'apprendimento degli studenti, della loro motivazione, dell'acquisizione di competenze
socio-affettive e del clima interpersonale nella classe.
In Italia, l'adozione del Cooperative Learning è stata incoraggiata anche dalle politiche educative
degli ultimi anni. Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) promuove infatti l'uso di metodologie
didattiche innovative, tra cui il Cooperative Learning, come strumento per migliorare la qualità
dell'offerta formativa delle scuole italiane.
Infine, è importante sottolineare che l'efficacia del Cooperative Learning dipende dalla sua
corretta applicazione. Ciò richiede un'adeguata formazione dei docenti, che devono essere in
grado di organizzare le attività in modo efficace, selezionare le tecniche più appropriate per gli
obiettivi didattici specifici, e valutare l'apprendimento degli studenti in modo equilibrato e
coerente con i principi del Cooperative Learning.
Con il Cooperative Learning, il docente riduce l'uso della lezione frontale a favore di attività che
mettono gli alunni al centro dell'apprendimento e della responsabilità (Ames, 1984b; Comoglio,
1996). Questa metodologia può essere definita come un insieme di strategie didattiche che
guidano i docenti nella strutturazione delle attività di piccolo gruppo.
Per favorire la responsabilità personale, è importante che ogni studente abbia chiari i compiti e i
ruoli da svolgere e che comprenda che le valutazioni che riceverà saranno influenzate dai voti
dei compagni e viceversa. La responsabilità personale può essere ottenuta impostando una
condizione di interdipendenza e verificando il risultato raggiunto dai singoli membri in termini di
completamento del compito assegnato o di risultati ottenuti. In quest'ottica, la responsabilità
personale è l'effetto di una struttura di interdipendenza positiva. In altre parole, tanto più
l'attività didattica è associata a scopi misurabili, a criteri di valutazione espliciti e a compiti che
richiedono il contributo di più persone per essere completati, tanto più si creerà una condizione
utile a favorire l'impegno e i risultati scolastici.
Esistono due forme di interdipendenza positiva che possono favorire l'impegno individuale
durante le attività didattiche: una basata sulla necessità di collaborazione per raggiungere un
obiettivo superiore alle capacità di un singolo individuo, e una basata sulla percezione di
avere un rapporto con gli altri membri del gruppo.
1 Interdipendenza positiva di base: gli studenti lavorano insieme per raggiungere un obiettivo
comune, ma il compito è suddiviso in parti individuali;
5 Interdipendenza di ruolo: gli studenti lavorano insieme per raggiungere un obiettivo comune
e ogni membro del gruppo ha un ruolo specifico da svolgere;
La responsabilità personale può essere promossa attraverso una chiara definizione dei compiti e
dei ruoli assegnati a ciascun membro del gruppo, nonché attraverso la valutazione dell'impegno
e dei risultati ottenuti da ogni singolo studente. Inoltre, la responsabilità personale può essere
aumentata attraverso l'uso di strumenti di autovalutazione e di peer evaluation, in cui gli
studenti valutano se stessi e i loro compagni sulla base dei criteri stabiliti dal docente.
Piergiuseppe Ellerani, sono state costituite iniziative come il Gruppo per l'Innovazione Scolastica
(GIS) presso il CESEDI di Torino e l'Associazione di Ricerca Italiana sull'Apprendimento
Cooperativo (ARIAC).
Il Cooperative Learning è stato introdotto in molte scuole in Italia e in tutto il mondo, e offre una
metodologia didattica efficace per promuovere l'apprendimento attivo e collaborativo degli
studenti.
Il Learning Together è un metodo che non prescrive percorsi didattici e curricolari rigidi, ma si
concentra sull'insegnamento diretto delle abilità sociali. Secondo i Johnson , ci sono quattro
principi fondamentali che rendono cooperativi i gruppi:
1 Interdipendenza positiva: ogni membro del gruppo deve conoscere il proprio compito e ruolo
e deve essere consapevole dello scopo da raggiungere. Inoltre, il voto finale deve essere il
risultato del contributo individuale e di tutti.
Le pari opportunità di status sociale implicano la cura di cinque condizioni di apprendimento, tra
cui l'inclusione delle minoranze, la creazione di gruppi eterogenei, la valutazione basata sul
miglioramento, la riduzione dei pregiudizi e delle aspettative negative e la socializzazione di
norme di convivenza prosociali.
Il concetto di compito complesso si riferisce a un compito che richiede soluzioni aperte, l'utilizzo
di molteplici abilità intellettive e promuove processi di pensiero di ordine superiore. Il compito
complesso è legato a una tematica, è aperto a molteplici esiti e richiede una pluralità di abilità.
In questo tipo di compiti, gli studenti possono scoprire le proprie nicchie di vitalità cognitiva,
cioè situazioni in cui possono dare il meglio di sé.
Il metodo di apprendimento in piccoli gruppi, chiamato Student Team Learning, può essere
applicato in qualsiasi materia, a patto che ci sia la possibilità di preparare prove settimanali per
valutare i risultati degli studenti e che siano disponibili materiali didattici adatti. Secondo Slavin
(1988, 2014), la cooperazione tra gli studenti promuove un migliore rendimento scolastico,
poiché aumenta la motivazione degli studenti a migliorare i propri risultati e quelli del gruppo. Il
metodo si basa su tre variabili: la ricompensa di gruppo, la ricompensa individuale e la
responsabilità individuale di successo. Il metodo è stato applicato con successo in scuole con
alunni demotivati o con difficoltà di apprendimento.
Per applicare il metodo, il docente deve scegliere i contenuti da presentare, decidere i criteri di
formazione dei gruppi, selezionare le attività e gli strumenti per lo svolgimento della lezione,
decidere come verificare l'apprendimento degli studenti e come comunicare i risultati. Il
metodo Student Team Learning ha avuto una prima evoluzione negli anni '80, quando sono
state ideate due nuove strategie: il Team Accelerated Instruction per la matematica e il
Cooperative Integrated Reading and Composition per la lettura e la scrittura. Successivamente, il
modello Success for All è stato sviluppato per aumentare le probabilità di successo degli alunni a
rischio che frequentano scuole in contesti sociali difficili. Il modello prevede l'uso di strategie
didattiche efficaci, l'organizzazione della scuola con una leadership distribuita, il supporto
continuo degli attori scolastici e l'aiuto alle famiglie. La didattica cooperativa è solo uno dei
fattori inclusi nel modello. Il modello Success for All è stato diffuso in molte scuole negli Stati
Uniti e nel Regno Unito.
Sebbene STL e SFA abbiano origini e obiettivi diversi, entrambi si basano sull'idea che la
cooperazione e l'interdipendenza positiva tra gli studenti possano migliorare il loro rendimento
scolastico e il loro benessere emotivo. Inoltre, SFA utilizza anche le strategie di apprendimento
cooperativo di STL come uno dei suoi elementi per promuovere il successo scolastico degli
studenti. Pertanto, potrebbe essere possibile vedere il metodo STL come una delle tattiche
utilizzate all'interno del modello educativo integrato di Success for All.
Le attività di apprendimento cooperativo del New Cooperative Learning sono brevi, associate a
obiettivi specifici e contenuti circoscritti, gestiti dal docente con strutture molto semplici. Il
metodo non si sostituisce ai contenuti e agli obiettivi curricolari, ma ne facilita l'apprendimento
per tutti gli alunni, valorizzando i loro differenti profili intellettivi.
5: RILIEVI CONCLUSIVI
La tipologia di interazione che si stabilisce tra i membri di un gruppo, determinata dallo schema
individuale, competitivo o cooperativo con cui si organizzano gli scopi, ha un impatto sia sui
risultati del gruppo che su quelli individuali. L'interdipendenza sociale è un legame di reciprocità
tra le persone, che può essere positiva (cooperazione) o negativa (competizione) o assente
(individualismo). La promozione della cooperazione nella didattica è stata incoraggiata dalle
evidenze che dimostrano che gli studenti possono beneficiare sia di relazioni positive sia
dell'apprendimento attraverso la collaborazione in piccoli gruppi.
Il modello educativo del Success for All e il metodo didattico del New Cooperative Learning
affrontano la questione dell'inclusione didattica partendo dalla radice comune della
cooperazione come condizione di apprendimento. Il Success for All mira a garantire pari
opportunità di successo per tutti gli alunni, indipendentemente dallo status socio-economico e
dal livello di sviluppo intellettivo, mentre il New Cooperative Learning valorizza le diverse
intelligenze mediante compiti multidimensionali svolti in gruppi cooperativi.
Gli alunni BES non sono solo quelli che hanno una certificazione diagnostica, ma coloro che
presentano difficoltà nell'apprendimento e nella crescita personale. Queste difficoltà possono
essere di varia natura: corporea, mentale, familiare, sociale o linguistica. Ci sono problemi gravi
come l'autismo o specifici come la dislessia e la discalculia, ma anche difficoltà settoriali come i
disturbi del linguaggio o psicologici come ansia, demotivazione e disturbi emotivi. Tutte queste
difficoltà agiscono come barriere per la vita scolastica e la realizzazione dei bisogni di
competenza, appartenenza e autonomia, che sono essenziali per la salute e il benessere delle
persone.
Oltre alle difficoltà degli alunni BES, ci sono altre barriere che possono avere un impatto
altrettanto rilevante. In primo luogo, la rappresentazione che ciascuno di noi ha degli alunni in
difficoltà, che spesso si concentra su ciò che l'alunno non ha o non fa, piuttosto che su ciò che
c'è e si può fare. In secondo luogo, l'impoverimento delle scuole, che porta a edifici scolastici
inadeguati, classi sovraffollate e reclutamento complesso. È necessario garantire l'inclusione
mediante un'istruzione di altissima qualità.
Per realizzare una scuola inclusiva, sono necessarie certezze organizzative e finanziarie, scuole
belle ed efficaci, modelli gestionali efficienti, docenti competenti dal punto di vista relazionale,
culturale e metodologico, docenti speciali selezionati su base motivazionale e con uno specifico
profilo professionale, personale ATA, assistenti ed educatori di altissima qualità.
Inoltre, la scuola di tutti e di ciascuno ha bisogno di persone che assumano obblighi rispetto ai
valori dell'Educazione Inclusiva, tra cui il riconoscimento della differenza come risorsa, la
coltivazione di aspettative di successo per ciascun alunno, l'importanza della cooperazione tra
docenti e la responsabilità del proprio apprendimento lungo l'arco di tutta la vita professionale.
Il concetto di inclusione è diventato sempre più centrale nel dibattito sull'educazione degli
alunni a livello internazionale (UNESCO, 1994). In molti paesi occidentali, l'Educazione Inclusiva
è stata riconosciuta come un importante paradigma di riferimento per le politiche educative, i
progetti di riforma e la governance dei sistemi scolastici.
Tuttavia, il concetto di inclusione può variare da paese a paese e dipendere da fattori storici,
culturali e politici. Ad esempio, in Italia, l'articolo 34 della Costituzione del 1948 stabilisce che
"la scuola è aperta a tutti", ma questo va interpretato come il diritto di ogni individuo a ricevere
un'adeguata educazione all'interno di un sistema che ha superato l'idea di una scuola selettiva
che non esercita discriminazioni di alcun tipo (Ottone, 2006).
Il percorso legislativo che ha portato all'integrazione degli alunni disabili nelle scuole italiane è
iniziato negli anni '70. Prima di allora, due leggi (n. 1859 del 1962 e n. 1518 del 1967)
prevedevano la possibilità di inserimento degli alunni disabili in percorsi scolastici diversi,
ovvero le scuole speciali o le classi differenziali. Tuttavia, questo tipo di percorsi non garantiva
l'effettivo apprendimento degli alunni disabili, in quanto gli insegnanti non erano specializzati
per affrontare le loro esigenze. Nel 1971, la Legge n. 118 ha offerto agli alunni disabili meno
gravi la possibilità di frequentare le classi comuni, garantendo loro il trasporto gratuito,
l'abbattimento delle barriere architettoniche e l'assistenza in classe. Si è così aperto un periodo
di dibattito per ampliare l'integrazione a tutte le disabilità. Nel 1977, la Legge n. 517 ha
permesso a quasi tutti gli alunni disabili di frequentare la scuola dell'obbligo fuori dalle classi
speciali, grazie alla presenza di insegnanti specializzati. Questo ha messo l'Italia al centro
dell'attenzione internazionale come nazione che promuove l'integrazione scolastica. Grazie a
questa legge, tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro disabilità, sono ammessi a un
percorso scolastico regolare. Negli anni successivi, sono stati promossi tentativi e buone prassi
d'integrazione scolastica e la ricerca educativa si è concentrata su quattro ambiti principali:
l'allocazione dei fondi, gli indicatori per la valutazione della qualità dell'integrazione, la diagnosi
funzionale e le strategie educative.Inoltre, la Legge 104 del 1992 ha rappresentato un altro
importante passo verso l'inclusione degli studenti con disabilità nel sistema scolastico italiano.
Questa legge ha introdotto la figura dell'assistente alla comunicazione, che supporta gli studenti
con disabilità nella comunicazione e nell'accesso ai materiali didattici, nonché l'obbligo per le
scuole di garantire un'adeguata assistenza sanitaria agli studenti con disabilità.
Negli anni successivi, sono state emanate altre leggi e circolari per favorire l'inclusione degli
studenti con disabilità, come la Legge 170 del 2010, che ha introdotto la figura del docente di
sostegno e ha previsto la formazione obbligatoria per gli insegnanti sulla didattica inclusiva, e la
Circolare Ministeriale n. 8 del 2011, che ha stabilito le modalità di attuazione dell'inclusione
scolastica per gli studenti con disabilità.
Nonostante i progressi degli ultimi decenni, rimangono ancora sfide importanti da affrontare
per garantire una vera inclusione degli studenti con disabilità nel sistema scolastico italiano,
come la formazione continua degli insegnanti, la valorizzazione delle competenze degli
assistenti alla comunicazione e dei docenti di sostegno, e la promozione di un ambiente
scolastico che favorisca l'inclusione e il rispetto della diversità.
La Legge n. 517, nota come legge sull'integrazione scolastica, rappresentò un importante passo
avanti per l'Italia nel garantire a tutti gli studenti, indipendentemente dalla loro disabilità o
status socio-economico, un percorso scolastico regolare. Tuttavia, la cancellazione delle classi
differenziali nella scuola media senza l'attivazione di misure di supporto e la necessità di
riorganizzarsi attivando la ricerca di strategie d'intervento e chiedendo agli insegnanti uno
sviluppo professionale più avanzato, rappresentarono delle sfide. La figura dell'insegnante di
sostegno fu riconosciuta dalla Legge n. 270 del 1982, mentre la Circolare Ministeriale n. 250 del
1985 permise di andare oltre il concetto di integrazione, mettendo l'accento sull'analisi delle
potenzialità degli allievi e sulla definizione dei loro bisogni educativi, indipendentemente dalla
tipologia di disabilità. Questi principi sono stati ulteriormente rinforzati dalla Legge n. 59 del
1997, che ha chiesto alle scuole di finalizzare le metodologie, gli strumenti e i tempi
d'insegnamento tenendo conto delle esigenze formative di ciascun allievo. è importante
sottolineare che l'attuazione della Legge n. 517 e delle successive normative che hanno
enfatizzato l'importanza dell'inclusione scolastica non è stata un processo lineare e senza
ostacoli. Ci sono state sfide importanti da affrontare, tra cui la necessità di fornire ai docenti una
formazione adeguata per lavorare con gli studenti con disabilità e la necessità di sviluppare e
implementare strategie efficaci di inclusione.
La categoria dei Bisogni Educativi Speciali comprende tre sotto-categorie: la disabilità, i disturbi
evolutivi specifici e lo svantaggio socio-economico, linguistico e culturale. La disabilità viene
definita dalla Legge n. 104 del 1992 come una minorazione fisica, psichica o sensoriale, che
determina difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e sociale. I
Disturbi Evolutivi Specifici, come i DSA, sono disturbi che non consentono l'accesso al percorso
previsto dalla legge 104, ma presentano un livello intellettivo nella norma. Infine, lo svantaggio
socio-economico, linguistico e culturale riguarda gli alunni che sperimentano difficoltà a causa
della non conoscenza della lingua italiana o di un contesto socio-economico svantaggiato.
3: EDUCAZIONE INCLUSIVA
Il percorso legislativo analizzato ha impegnato la scuola italiana su tre fronti principali. In primo
luogo, è stata data importanza alla valutazione e al trattamento individualizzato del bisogno
educativo speciale. In secondo luogo, si è posta l'attenzione sul percorso scolastico unico per gli
alunni con e senza difficoltà. Infine, si è evidenziata la responsabilità delle scuole nell'integrare
gli alunni con difficoltà. Nonostante ciò, vi sono alcuni aspetti irrisolti, come la necessità di
distinguere meglio tra integrazione e inclusione, la formazione dei docenti e le questioni
operative e concettuali riguardanti la diagnosi funzionale.
La realtà della pratica educativa non sempre rispecchia gli obiettivi dell'Educazione Inclusiva,
nonostante le raccomandazioni internazionali e la ricerca educativa. In molte scuole, rimangono
ancora evidenti indicatori di discriminazione etnica, socio-economica e didattica. Inoltre,
inserire uno studente BES in una classe normale non costituisce un esempio di Educazione
Inclusiva, che richiede invece la rimozione delle barriere all'apprendimento e allo sviluppo
personale degli studenti. Per una discussione approfondita sull'Educazione Inclusiva, è
necessario spostare l'attenzione dalle pratiche di integrazione scolastica a quelle di inclusione,
selezionando approcci educativi che promuovano concrete opportunità di non esclusione per gli
alunni BES.
Infine, la diagnosi funzionale rappresenta un'altra questione aperta nel contesto dell'Educazione
Inclusiva. È necessario adottare una prospettiva basata sulla valutazione continua e sulla
flessibilità delle misure di supporto, invece di affidarsi a una diagnosi fissa e rigida. In questo
modo, si può evitare la stigmatizzazione degli studenti e promuovere un ambiente scolastico
inclusivo e rispettoso delle diversità.
La formazione dei docenti rappresenta uno degli interventi fondamentali per lo sviluppo
dell'Educazione Inclusiva. Tuttavia, secondo gli studi dedicati allo sviluppo professionale dei
docenti, insegnare è un'attività multidimensionale e complessa che richiede la capacità di
coordinare conoscenze disciplinari, pedagogiche e didattiche e applicarle in situazioni
scolastiche caratterizzate da una vasta variabilità culturale, cognitiva ed emotiva. Questo
richiede un approccio educativo globale piuttosto che specialistico.
Attualmente, l'insegnante speciale rappresenta la risorsa più importante a sostegno degli alunni
BES, tuttavia, si registra l'assenza di un adeguato training professionale e di una gestione
efficace del ruolo da parte delle autorità scolastiche e amministrative. Inoltre, manca una
discussione seria sulle caratteristiche di una didattica inclusiva.
Una didattica inclusiva implica l'adattamento dei materiali curricolari per gli alunni BES, il
rapporto tra curricolo e differenziazione didattica, la cooperazione tra pari e l'uso di metodi
inizialmente pensati per gli alunni BES. L'insegnante inclusivo deve avere la competenza per
promuovere l'equità, favorire la collaborazione e sviluppare le proprie competenze
professionali.
Infine, per diventare un insegnante inclusivo, si dovrebbe ottenere una certificazione basata su
una valutazione rigorosamente selettiva e motivazionale delle competenze acquisite. In questo
modo, si potrebbe garantire la qualità dell'educazione inclusiva fornita agli alunni. l'Educazione
Inclusiva richiede una profonda trasformazione culturale e organizzativa della scuola. Non si
tratta solo di accogliere gli studenti BES all'interno della classe, ma di rimuovere le barriere che
impediscono il loro apprendimento e lo sviluppo personale. Per realizzare questo obiettivo, è
fondamentale che gli insegnanti acquisiscano competenze specifiche, attraverso una formazione
continua e una certificazione selettiva e motivazionale.
Per realizzare tutto questo, è necessario che la scuola si organizzi in modo inclusivo,
promuovendo una cultura dell'equità e della valorizzazione delle diversità.
La valutazione degli alunni BES tramite il processo di diagnosi funzionale presenta alcune
criticità da considerare . In particolare, la visione delle diverse prospettive tra il personale della
scuola e quello del Servizio Sanitario Nazionale può creare confusione e mancanza di
complementarità nelle informazioni raccolte. Inoltre, la diagnosi viene talvolta vista come una
soluzione miracolosa che risolve immediatamente i problemi del docente, mentre in realtà
fornisce solo una descrizione delle difficoltà specifiche dell'alunno, nonché una base per la
pianificazione di un piano educativo. Alcuni docenti, invece, possono utilizzare la diagnosi come
scusa per evitare un impegno personale nei confronti dell'alunno. In alcuni casi, la diagnosi può
persino diventare una pre-condizione che riduce l'impegno educativo e le aspettative di
successo per gli alunni.
Inoltre, la valutazione degli alunni BES può essere ostacolata da diverse difficoltà, come il
modello antropologico-interpretativo utilizzato, la disponibilità di strumenti aggiornati, il setting
valutativo e la competenza dei valutatori. In aggiunta, c'è una carenza di personale dedicato alla
valutazione degli alunni BES, mentre le famiglie sono coinvolte solo come terminali di diagnosi
piuttosto che come contribuenti informativi.
Un'alternativa alla diagnosi funzionale potrebbe essere l'utilizzo del modello classificatorio ICF,
che propone un approccio biopsicosociale alla disabilità. In questo modo, si enfatizza il ruolo
della relazione tra le condizioni di salute dell'alunno e l'ambiente sociale e fisico in cui si
svolgono le sue attività (Emilio e Griffo, 2009). La diagnosi basata sull'ICF può quindi essere
integrata maggiormente nei processi educativi, assumendo un carattere complementare
rispetto alla diagnosi tradizionale. La Tabella 2 illustra i limiti e le possibili alternative alla
diagnosi funzionale, con l'obiettivo di superare le criticità del processo di valutazione
tradizionale. In generale, la valutazione degli alunni BES costituisce una sfida per la scuola
italiana, che si trova di fronte a molteplici criticità di ordine metodologico, professionale e
organizzativo. Tuttavia, è possibile individuare alcune alternative per superare i limiti dei modelli
di assessment tradizionali. In primo luogo, è fondamentale integrare l'ICF nei processi educativi,
in modo da adottare un approccio biopsicosociale alla disabilità. Ciò consentirà di sottolineare il
ruolo delle condizioni di salute e dell'ambiente sociale nell'influenzare le attività degli alunni
BES, fornendo un quadro più completo della situazione. Inoltre, è necessario coinvolgere le
famiglie nei processi di valutazione, in modo da arricchire il quadro diagnostico con informazioni
utili e migliorare la qualità dell'intervento educativo. Infine, occorre prestare maggiore
attenzione alla formazione dei docenti e alla creazione di un ambiente scolastico inclusivo, in cui
tutti gli studenti si sentano accolti e valorizzati. Solo attraverso un impegno collettivo sarà
possibile garantire a tutti gli alunni BES un'educazione di qualità e rispettosa delle loro
specifiche esigenze.
CHE COSA è L'ICF? ICF sta per "International Classification of Functioning, Disability and
Health", ovvero la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della
Salute. Si tratta di un modello classificatorio proposto dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità (OMS) che definisce il funzionamento e la disabilità come il risultato dell'interazione tra
la salute dell'individuo e i fattori ambientali e personali. L'ICF viene utilizzato per descrivere la
salute e la disabilità in modo più ampio, considerando non solo gli aspetti fisici, ma anche
quelli psicologici e sociali che possono influire sul benessere delle persone.
4: RILIEVI CONCLUSIVI
Ogni insegnante sa bene che gli alunni che necessitano di attenzioni più specifiche sono ben
oltre il 2-3% dei ragazzi in possesso di una diagnosi funzionale. Sotto questo primo livello,
possiamo individuare almeno il 10-15% degli alunni in situazione di difficoltà. Ma a chi spetta
l'Educazione Inclusiva? La prima categoria, la seconda, entrambe? E chi non rientra, non ha
diritto a cure educative che tengono conto dell'unicità di ciascuno? La nostra posizione è che
tutti avrebbero diritto a risposte adeguate ai loro bisogni. In questo caso, si parla di "speciale
normalità" (Ianes, 2006) e di una scuola inclusiva, arricchita da misure che rispondono ai bisogni
di tutti e di ciascuno.
Tuttavia, l'Educazione Inclusiva comporta alcuni dilemmi. Dare di più a chi ha già di più? Di
meno a chi ha meno, forse perché merita meno? Come creare punti e momenti di interazione e
reciprocità tra studenti normali, eccellenti e BES, coinvolgendo tutti in un progetto educativo
comune? I più bisognosi sono molti, troppi per le risorse umane ed economiche di cui le scuole
dispongono mediamente. Ma se tutti gli alunni esprimono una loro unicità e se la disabilità e il
bisogno speciale sono interpretati come variazioni umane dalla norma (Harry e Klinger, 2007),
allora tutti gli alunni avrebbero bisogno di una scuola inclusiva, ricca di opportunità educative.
Questo è l'educare al tempo delle differenze in un ambiente inclusivo di apprendimento
(Gentile, 2008). Una scuola inclusiva è pensata attorno agli alunni che pongono sfide educative
e metodologiche maggiori degli altri. Pertanto, le scuole non dovrebbero limitarsi alla pratica di
integrazione fredda e burocratica, delegata spesso solo all'insegnante di sostegno.
Una scuola inclusiva implica un cambiamento culturale e metodologico radicale. Non si tratta
solamente di accogliere e integrare gli alunni BES, ma di progettare un ambiente educativo
capace di rispondere alle esigenze e alle potenzialità di ogni singolo individuo. Ciò richiede un
investimento costante nella formazione degli insegnanti e nella creazione di spazi e occasioni di
interazione tra gli alunni, in cui le differenze siano valorizzate come risorse per l'apprendimento
e la crescita personale.
Inoltre, la scuola inclusiva non dovrebbe limitarsi a rispondere alle esigenze dei singoli alunni,
ma anche a promuovere una cultura dell'inclusione e della diversità all'interno della comunità
educativa e della società nel suo insieme. Solo così sarà possibile costruire una società più equa
e giusta, in cui tutti gli individui abbiano le stesse opportunità di realizzazione personale e di
partecipazione attiva alla vita sociale e politica.
In sintesi, l'educazione inclusiva non è soltanto una questione di diritto all'istruzione per tutti,
ma rappresenta una prospettiva educativa e sociale che mira a costruire un mondo migliore, più
giusto e rispettoso delle differenze.
L'inclusione, invece, va oltre la mera dimensione fisica dell'inserimento e mira a garantire che
tutti gli alunni, inclusi quelli con disabilità o bisogni educativi speciali, abbiano accesso ad
un'istruzione di qualità che risponda alle loro esigenze. L'inclusione scolastica implica
l'adozione di una serie di strategie pedagogiche e di supporto, che tengano conto delle
diversità e dei bisogni educativi degli alunni.
In sintesi, l'integrazione è centrata sulla dimensione fisica dell'inserimento degli alunni con
bisogni educativi speciali all'interno di un contesto scolastico "normale", mentre l'inclusione
implica un'attenzione maggiore alle esigenze degli alunni e alla promozione di una cultura
scolastica che rispetti la diversità degli individui.
Un presupposto fondamentale per questo cambiamento deriva dalla tradizione degli studi di
antropologia comparata, che evidenziano come gli standard di normalità siano definiti dalla
cultura maggioritaria, che segna le differenze e crea etichette per definire ciò che è considerato
accettabile e ciò che è considerato deviante rispetto ai parametri di riferimento adottati da una
determinata società.
Questo principio è alla base del pensiero interculturale, che mette in guardia dall'adottare in
maniera acritica il punto di vista occidentale rispetto ai processi di socializzazione, in particolare
all'interno dei sistemi educativi. Queste considerazioni e l'apporto delle discipline interculturali
diventano fondamentali per rivedere le pratiche educative in chiave inclusiva in un'epoca in cui i
processi di globalizzazione e interconnessione hanno portato alla ribalta istanze provenienti da
molte parti del mondo.
Per poter operare questo cambiamento, è necessario che la scuola adotti una prospettiva
inclusiva che vada oltre il semplice concetto di integrazione. Mentre l'integrazione si concentra
sull'adattamento dell'individuo al sistema preesistente, l'inclusione, invece, si focalizza
sull'adattamento del sistema educativo alle esigenze dei singoli individui, senza creare divisioni
o discriminazioni.
Ciò significa che, in una scuola inclusiva, ogni studente è considerato unico e viene valorizzato
per le proprie specificità e differenze, senza alcuna forma di giudizio o pregiudizio. La scuola
inclusiva, inoltre, si basa su un'organizzazione flessibile e dinamica, che permette di adeguarsi
alle esigenze e ai ritmi di apprendimento di ciascun studente, offrendo un'ampia gamma di
risorse e di supporti didattici.
Il contesto educativo che emerge dall'arrivo di studenti immigrati presenta alcune sfide
immediate per i sistemi scolastici. In primo luogo, è necessario predisporre dispositivi di
accoglienza adeguati per gli studenti neo-arrivati, sia in termini di creazione di un ambiente
scolastico adatto che di pronto soccorso linguistico per gli alunni non italofoni. Questi studenti si
trovano infatti in una situazione completamente nuova, con nuovi insegnanti, compagni di
classe e una lingua che spesso non conoscono affatto o solo in parte.
Attualmente non esiste un'omogeneità di politiche a livello nazionale per soddisfare le esigenze
immediate degli alunni neo-arrivati, ovvero trovare una classe adeguata per accoglierli in un
ambiente positivo tra pari e docenti, e un percorso specifico per l'apprendimento dell'italiano
come seconda lingua, adattato alle loro competenze pregresse e ai loro bisogni formativi.
Tuttavia, molte scuole si sono attrezzate per rispondere a queste esigenze attraverso progetti e
interventi specifici, spesso in collaborazione con enti locali e privati, dando vita a una pluralità di
buone pratiche. Nell'ambito delle sperimentazioni condotte dalle scuole di Prato, questi punti
critici sono stati affrontati sviluppando competenze e strategie che combinano tre ingredienti
principali: la creazione di ambienti educativi accoglienti dal punto di vista delle relazioni umane,
l'apprendimento di abilità e conoscenze linguistiche per la sopravvivenza nel contesto
migratorio e l'apprendimento di strumenti concettuali e linguistici per il successo scolastico.
In particolare, si è rivelato molto efficace utilizzare il Cooperative Learning come strumento per
migliorare sia le dinamiche interpersonali che l'acquisizione di contenuti disciplinari e le
competenze per lo studio, combinando le competenze tipiche della facilitazione linguistica con
quelle dei bisogni educativi speciali in un'ottica di didattica inclusiva. In questo modo, si è riusciti
a lavorare simultaneamente sui processi di inclusione, sull'intercultura e sulla dimensione
linguistica per tutti gli alunni.
3: IL MODELLO ALC-C3I
L'Apprendimento Linguistico Cooperativo (ALC) è stato sperimentato per la prima volta nelle
scuole del Comune di Prato e consolidato grazie al progetto "Linguaggi Inclusivi e Nuova
Cittadinanza". Si tratta di un modello che integra Cooperative Learning, facilitazione linguistica e
i principi di clima di classe, interdipendenza positiva, intercultura e inclusione. Il modello ALC-
C3I mira a implementare e potenziare prassi didattiche inclusive per alunni di madrelingua
italiana e non, prevedendo attività a classe intera che stimolino competenze, abilità e
conoscenze socio-relazionali, disciplinari e trasversali. Il modello si basa su evidenze empiriche e
soluzioni sperimentate nelle classi plurilingui. Il modello ALC-C3I è stato sperimentato nelle
scuole del Comune di Prato e successivamente rielaborato attraverso quattro principi generali
sintetizzati nell'acronimo C3I: clima di classe, interdipendenza positiva, intercultura e inclusione.
Il modello nasce con l'obiettivo di implementare e potenziare prassi didattiche inclusive per
alunni di madrelingua italiana e non, prevedendo attività a classe intera come sfida per la
formazione, in tutti e in ciascuno, di competenze, abilità e conoscenze al contempo socio-
relazionali, disciplinari e trasversali. Il modello è un insieme ben organizzato e coerente di
principi educativi e rappresenta un modo di pensare ai percorsi di
insegnamento/apprendimento nelle classi plurilingui. La validazione del modello si basa su
evidenze empiriche e soluzioni sperimentate nelle classi.
L'approccio cooperativo alla facilitazione linguistica offre numerosi vantaggi, tra cui l'aumento
del carico di input comprensibile e della quantità di parlato degli apprendenti, la varietà di
funzioni comunicative coinvolte, lo sviluppo di abilità linguistiche più vicine a quelle richieste
nella vita quotidiana, l'incremento dell'autonomia negli apprendimenti, la riduzione del filtro
affettivo e la facilitazione dello sviluppo delle competenze linguistico-comunicative. Inoltre, i
gruppi cooperativi permettono a ciascun apprendente di partecipare secondo le proprie
possibilità e caratteristiche individuali, favorendo l'interdipendenza positiva, la responsabilità
personale e l'equa partecipazione. il Cooperative Learning offre una serie di vantaggi anche dal
punto di vista dell'insegnamento delle discipline. Ad esempio, aiuta a sviluppare la capacità di
problem solving e di pensiero critico, stimolando la creatività e la capacità di elaborare soluzioni
innovative attraverso il confronto e la collaborazione tra i membri del gruppo. Inoltre, le attività
cooperative consentono di integrare le conoscenze e le competenze di diverse discipline,
promuovendo una visione olistica dell'apprendimento e della conoscenza.
Gli strumenti impiegati per l'applicazione della metodologia ALC-C3I per l'organizzazione delle
attività sono:
3.4.2.1: SCHEDA UD
La scheda dell'unità didattica è uno strumento utile per presentare in modo sintetico il modulo
di lavoro, con le 4 UdLA previste per svolgere l'argomento. La scheda è composta da otto parti,
tra cui il titolo dell'UD, l'ordine di scuola, la classe, la disciplina didattica di provenienza,
l'argomento disciplinare, gli obiettivi disciplinari e trasversali, il target degli alunni e la
descrizione delle unità di lavoro e apprendimento. È importante specificare se l'attività
coinvolge tutti gli alunni e se può coinvolgere senza problemi gli studenti con BES, DSA, italiani
L2 e disabilità 104/99, in modo da strutturare attività che rispondano ai bisogni di tutti gli allievi.
La descrizione delle unità di lavoro e apprendimento è suddivisa in quattro parti: un primo
incontro per la creazione del clima di classe, due incontri centrali basati sull'argomento didattico
e uno finale di feedback sugli apprendimenti e di riflessione sull'andamento dell'incontro.
Per essere adatte a una classe intera, le attività devono essere graduale e accessibili,
interessanti per i parlanti nativi, ricche di elementi interculturali, plurilingue e relazionali. Nel
2013-14, il modello ALC-C3I è stato sottoposto a una ricerca-intervento in 31 scuole di primo
ciclo del Comune di Prato.
4.1: METODO
Gli autori di una ricerca-intervento descrivono i problemi che sottostanno alla ricerca,
formulano gli obiettivi e le domande di ricerca, elaborano modelli operativi per massimizzare i
risultati dell'intervento, mostrano i risultati ottenuti, studiano il miglioramento continuo della
metodologia utilizzata, e promuovono la formazione e lo sviluppo professionale in linea con
quanto scoperto.
In sostanza, l'intervento effettuato nelle scuole del territorio pratese richiama una strategia di
ricerca-intervento poiché coinvolge le scuole in un processo di cambiamento delle pratiche
pedagogiche e didattiche nella classe plurilingue. La sperimentazione ha riguardato 808 alunni
della scuola primaria e secondaria di primo grado, distribuiti in 31 scuole, suddivise a loro volta
in tre raggruppamenti o reti territoriali. Il totale delle classi partecipanti alla sperimentazione è
stato di 35.
L'intervento si è articolato in 10 incontri per ogni classe, durante i quali sono state realizzate 10
attività, una per ogni incontro, organizzate attorno alle tre fasi del modello operativo: fase
relazionale, curricolare e valutativa.
4.1.1.: OBIETTIVI E DOMANDE DI RICERCA
La prima serie di dati è stata ottenuta tramite un protocollo di osservazioni ripetute, con 10
rilevazioni svolte durante ogni incontro dell'intervento. Il focus di questa raccolta di dati è stato
l'interazione collaborativa tra gli alunni italiani e stranieri durante le 10 attività dell'intervento. Il
secondo focus ha riguardato la struttura dei legami interpersonali. In questo caso, la raccolta dei
dati è stata svolta in due momenti distinti, utilizzando il metodo del pre-test e del post-test. La
struttura dei legami interpersonali è stata analizzata in base a due elementi: la rete di rapporti
all'interno della classe e l'indice di densità dei legami interpersonali.
Il primo obiettivo della ricerca è stato analizzare il comportamento collaborativo tra alunni
italofoni e non-italofoni durante i dieci incontri del percorso. La collaborazione è stata definita
come una condotta prosociale finalizzata ad aiutare una o più persone, in accordo con la
categorizzazione proposta da Salfi e Barbara (1990) e Gentile (2003). Sono stati considerati
comportamenti collaborativi quelli finalizzati al raggiungimento di un obiettivo o alla
svolgimento di un compito in classe o in piccoli gruppi composti da almeno due persone, come
descritto da Mussen e Eisenberg-Berg (1985) e Salfi e Barbara (1990-1991). Il numero totale di
alunni osservati è stato di 100, selezionati dai docenti in base a criteri minimi di presenza in
Italia da almeno 2 anni e di padronanza linguistica di livello A2-B1. Questi alunni hanno
partecipato alle attività progettate per rafforzare la loro lingua dello studio. Ai docenti è stato
chiesto di registrare il numero totale di comportamenti collaborativi offerti e ricevuti da ciascun
alunno durante due ore di lavoro in classe, suddivise in 10 osservazioni effettuate da un docente
di classe in corrispondenza dei dieci incontri del progetto. Inoltre, è stata analizzata la struttura
dei legami interpersonali prima e dopo l'intervento attraverso un pre-test e un post-test,
considerando la rete di rapporti all'interno della classe e l'indice di densità dei legami
interpersonali.
a) durante la ricreazione,
c) quando si parlava di ciò che piace fare. La raccolta dati è stata effettuata attraverso due
rilevazioni, prima e dopo l'intervento, con il pre-test eseguito prima dell'inizio del primo
incontro e il post-test dopo la conclusione del decimo incontro, che ha segnato la fine del
percorso. Il sondaggio ha coinvolto il 98% degli alunni coinvolti nella ricerca, ovvero 795 su 808.
4.2: RISULTATI
La ricerca descrive i risultati di una ricerca che ha indagato sull'interazione collaborativa tra
studenti italiani e non-italiani in una classe plurilingue. La raccolta dati ha previsto 10
osservazioni durante le attività del progetto e ha registrato il numero di comportamenti
collaborativi offerti e ricevuti dagli studenti. La struttura dei dati ha presentato percentuali
molto elevate di valori mancanti, ma i valori medi hanno superato la media totale a partire dal
quinto incontro. L'analisi statistica ha dato esito negativo per la collaborazione offerta, ma
positivo per quella ricevuta. In particolare, l'incremento più significativo si è verificato dopo
metà percorso. Inoltre, è stata svolta un'analisi statistica circoscritta alle tre osservazioni più
significative che ha dato esito positivo per entrambe le variabili. In generale, i risultati
suggeriscono che l'interazione collaborativa tra studenti italiani e non-italiani è migliorata lungo
tutto il percorso.
DEFINIZIONI:
Deviazione standard o deviazione standard campionaria:è una misura della dispersione dei
dati rispetto alla media campionaria.