della didattica
Capitolo 1
Gli ambienti di apprendimento
e le metodologie didattiche
del sapere. La conseguenza di questa idea è stata la diffusione delle cosiddette tecniche atti-
ve ovvero quelle metodologie didattiche atte a favorire il coinvolgimento degli studenti du-
rante le lezioni.
Le moderne teorie pedagogiche e le ricerche in campo educativo costituiscono le basi
delle attuali metodologie d’insegnamento, sui ci soffermeremo nei prossimi paragrafi.
Un ulteriore elemento caratterizzante la didattica in anni più recenti è dato del confron-
to della scuola con le politiche dell’istruzione a livello comunitario. Questo confronto che ha
operato sia a livello di dibattito che attraverso la normativa comunitaria viene comunemen-
te indicato come la dimensione europea dell’insegnamento. Ed è questo un dato caratteriz-
zante la didattica moderna.
Attraverso le politiche comunitarie è emerso che il ruolo dell’istruzione non deve esse-
re esclusivamente indirizzato verso una conoscenza dei saperi ovvero disciplinare in senso
stretto ma verso lo sviluppo di competenze specifiche e trasversali. Concetti come il lifelong
learning (insegnamento per tutto l’arco della vita) e didattica orientativa, che hanno spesso
caratterizzato le discussioni sul ruolo della didattica in ambito europeo, richiamano quindi la
scuola a sviluppare competenze incentrate sulle abilità e capacità delle persone.
Le discipline assumono quindi un valore strumentale, perdendo in un certo senso il fine
ultimo dell’istruzione o della trasmissione di conoscenze, e pongono anche l’attenzione su
un sapere fortemente integrato e multidisciplinare.
Una serie di direttive e di normative, dal 1979, si sono susseguite per mettere l’accen-
to sulle finalità orientative e di crescita che la scuola assume nei confronti degli alunni. Ri-
cordiamo la direttiva n. 487/1997 sull’orientamento delle studentesse e degli studenti che
pone l’attenzione sulla potenzialità di conoscere se stessi, l’ambiente quotidiano, i muta-
menti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché essi possano essere prota-
gonisti di un personale progetto di vita, e partecipare allo studio e alla vita familiare e socia-
le in modo attivo, paritario e responsabile. A partire dalla direttiva, l’orientamento diviene
uno dei pilastri nella lotta all’insuccesso e all’abbandono scolastico.
Dopo il 2000 una serie di atti dell’Unione europea ribadisce il concetto relativo alla ne-
cessità di rivolgere l’attenzione allo sviluppo della persona, ricordiamo:
– risoluzione dell’Unione europea “Orientamento lungo tutto l’arco della vita”;
– raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle competenze
chiave;
– raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea sulla co-
stituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l’apprendimento permanente (EQF);
– risoluzione “Integrare maggiormente l’orientamento nelle strategie di apprendimento
permanente”;
– relazione della Commissione europea su “Istruzione e formazione 2010”.
Questi atti europei mirano a rendere l’orientamento una capacità dei cittadini di ogni età
di identificare le proprie capacità, le proprie competenze e i propri interessi, di prendere de-
cisioni in materia di istruzione, formazione e occupazione, nonché di gestire i propri percor-
si personali di vita nelle attività di formazione, nel mondo professionale e in qualsiasi altro
ambiente in cui si acquisiscono e/o si sfruttano tali capacità e competenze.
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Nello specifico italiano la didattica è stata influenzata dal modello di scuola orientativa
in quanto anche dal quadro normativo emerge la volontà di utilizzare metodi per favorire
l’iniziativa del soggetto verso il proprio sviluppo e porlo in condizione di conquistare la pro-
pria identità di fronte al contesto sociale, tramite un processo formativo continuo cui deb-
bono concorrere unitariamente le varie strutture scolastiche e i vari aspetti dell’educazio-
ne. Le linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR prot. n. 4232 del 19
febbraio 2014) hanno previsto un rafforzamento delle attività di orientamento nelle scuole
per sostenere gli studenti nell’elaborazione di progetti formativi e sviluppare le proprie ca-
pacità. Le linee guida per l’orientamento permanente hanno rilanciato il ruolo della didatti-
ca orientativa.
– capacità di progettazione;
– capacità di autovalutazione;
– capacità di collaborazione con gli altri.
Per quanto riguarda più strettamente l’insegnamento disciplinare la didattica orientati-
va spinge ad una metodologia particolarmente incentrata su:
– conoscenze, dati, informazioni, concetti fondamentali riferiti alla realtà sociale;
– abilità di ricerca, sviluppo di ragionamento, di comprensione, sviluppo della creatività e
del problem solving.
L’insegnamento attraverso questo approccio sollecita l’uso di tecniche per conoscere i
propri studenti e le loro aspettative e i bisogni formativi attraverso:
– un’autopresentazione scritta, oppure, con la narrazione dei successi/insuccessi scolasti-
ci nelle diverse discipline;
– un’intervista per approfondire eventuali aspetti problematici;
– la somministrazione di questionari per approfondire le modalità di apprendimento, co-
noscenze, preferenze, ecc. che possono a loro volta stimolare l’allievo a scoprire aspetti
prima d’ora non considerati.
Altri sistemi che possono essere utilizzati per acquisire una maggiore conoscenza dei bi-
sogni formativi e raccogliere elementi utili sullo studente sono delle esercitazioni molto dif-
fuse quali:
– uso di post-it per scrivere il feed-back da raccogliere o da “spedire” in una scatola predi-
sposta;
– schede di osservazione dell’insegnante (durante le attività di gruppo o l’esecuzione di
vari compiti);
– schede di autovalutazione (per esempio alla fine di un’attività);
– questionari su aspetti vari dell’attività scolastica (per avere informazioni su preferenze,
stili cognitivi o altro).
Esiste, inoltre, una consolidata metodologia didattica frequentemente usata allo scopo
di accrescere il livello di consapevolezza del soggetto da parte del docente. Questa metodo-
logia si chiama narrazione autobiografica e ne parleremo successivamente.
La didattica orientativa è caratterizzata da specifiche strategie:
– lavorare sulle aspettative degli studenti;
– offrire occasioni e strumenti per individuare le difficoltà che lo studente incontra ed aiu-
tarlo a superarle;
– coinvolgere lo studente nella valutazione in quanto ciò rappresenta la condizione di base
per coinvolgerlo ed impegnarlo in prima persona nelle attività future;
– non dimenticare che ogni studente dispone di un notevole bagaglio di esperienze e co-
noscenze;
– considerare che lo studente impara meglio se parte da quanto sa già;
– tenere conto che lo studente ha ritmi e stili di apprendimento propri;
– informare lo studente in maniera chiara sugli obiettivi e sul modo di valutare;
– incoraggiare la curiosità;
– conoscere la situazione di partenza, le preferenze, lo stile di apprendimento e i punti di
forza e di debolezza di ogni studente per intervenire in maniera mirata;
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– far leva e valorizzare i punti di forza di ognuno per diventare “facilitatore” nei processi di
apprendimento;
– praticare l’arte dell’incoraggiamento.
In conclusione possiamo affermare che la didattica deve essere progettata in modo da
poter realizzare un percorso educativo e non solo scolastico in senso stretto. Le strategie di-
dattiche debbono, anche in base alle sollecitazioni di carattere europeo, essere organizzate
in relazione ai bisogni formativi degli allievi e devono mirare principalmente allo sviluppo di
competenze trasversali.
te. Pertanto la conversazione autobiografica non solo si pone degli obiettivi ma ha un set-
ting ed una metodologia.
È bene che l’insegnante dedichi uno o più incontri specificatamente alla conversazione
autobiografica, così come è opportuno predisporre adeguatamente il luogo dove si svol-
gerà la conversazione. Una ulteriore metodologia è insita nella costruzione dell’ambien-
te. Per esempio nella didattica del circle time si suggerisce di sistemare le sedie secondo
una forma circolare per consentire una maggiore fluidità nel racconto. Il cerchio narrati-
vo è la forma geometrica capace di custodire lo spirito della narrazione orale; esso si op-
pone nettamente allo spazio-classe, rigido e con barriere che favoriscono l’esclusione. La
narrazione orale, nella forma del cerchio, offre all’insegnante la possibilità di instaurare
una relazione educativa basata sull’ascolto dell’educando. Il cerchio abbatte qualsiasi for-
ma geometrica che impone una gerarchia: all’interno del cerchio, seduto accanto agli stu-
denti, c’è l’insegnante.
Fare conversazione autobiografica a scuola non significa che l’insegnante debba di-
sporsi come la guida esterna del percorso, ma invece comporta un coinvolgimento dell’in-
segnante nelle varie storie di vita. L’insegnante ha la possibilità, all’interno del cerchio
narrativo, di comprendere e di accettare il suo studente, senza la pretesa di valutarlo o di
giudicarlo.
Operativamente la prima fase dell’incontro è dedicata a spiegare le “regole del gioco”,
poi si potrebbero adottare le domande proposte da Dan P. McAdams, che è il più accredita-
to tra gli autori che si sono occupati di conversazione autobiografica. Egli stesso ha afferma-
to, comunque, che il protocollo da lui indicato non deve essere considerato come uno sche-
ma da riempire, né come una check-list di argomenti che devono essere tutti affrontati nel-
la conversazione. Generalmente non è bene interrompere la narrazione con delle domande,
a meno che non siano sollecitate dalla stessa narrazione. In genere la narrazione della sto-
ria di vita, una volta iniziata, non ha bisogno di domande dirette; forse l’insegnante potreb-
be semplicemente incoraggiare lo studente.
McAdams propone il seguente protocollo di “spunti di riflessione” che potrebbero esse-
re usati, anche a scuola, all’interno del cerchio narrativo. Il gruppo classe è invitato dall’inse-
gnante a fare un resoconto “orale” della propria vita, un’autobiografia; pertanto a ciascuno
viene consegnato lo schema seguente come aiuto per osservare la propria vita da una nuo-
va prospettiva, per meglio comprendere alcuni eventi importanti, le figure decisive nella sua
vita e naturalmente se stessi.
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1. Pensa alla tua vita come a un libro e associa ogni parte della vita a un capitolo: dai un titolo a
ogni capitolo e descrivi a grandi linee quali saranno i contenuti.
2. Eventi chiave momenti particolari che sono accaduti in particolari tempi e luoghi:
– il momento più bello della tua vita;
– il momento più brutto della tua vita;
– episodi nei quali è avvenuto un profondo cambiamento nella tua comprensione di te stesso;
– primi ricordi anche se non particolarmente importanti;
– un importante ricordo dell’infanzia;
– un importante ricordo dell’adolescenza;
– un importante ricordo dell’età adulta.
3. Descrivi quattro delle persone più importanti della tua vita spiegando la relazione che hai avuto
con ciascuna di queste e il modo con il quale queste hanno avuto un impatto sulla tua vita.
4. Progetti, previsioni o sogni per il futuro.
5. Ansie e problemi.
Guardando alla tua vita come un libro, puoi identificare un tema centrale, un messaggio o una idea
che attraversa il testo?
Dopo che gli alunni hanno scritto il testo si può iniziare l’analisi del contenuto, ossia si
parte con la ricerca delle parole chiave e dei temi più significativi.
Una seconda fase prevede l’associazione di commenti a questi punti. Attraverso la con-
versazione autobiografica il soggetto:
– rievoca episodi che sembravano dimenticati;
– sperimenta una libera associazione di idee;
– può fruire della presenza di uno sconosciuto che, probabilmente, collega episodi e sco-
pre nessi;
– reagisce a stimoli inusuali in rapporto alle poche domande chiave che gli sono state rivolte.
Scrivere la propria autobiografia è cosa diversa dal raccontare oralmente. Infatti se nella
conversazione autobiografica è la dimensione orale ad essere in primo piano, nella scrittura
autobiografica il soggetto sollecita e stimola le proprie capacità cognitive ed emotive in una
maniera superiore rispetto all’oralità. Ciascuno cerca di offrire il meglio di se stesso attraver-
so la scrittura autobiografica, ecco perché è bene che lo studente venga guidato dall’inse-
gnante in questa attività attraverso una metodologia molto strutturata.
tervenienti”, cioè di processi interni all’organismo non rilevabili a livello del comportamento
manifesto, ma necessari per la spiegazione di quest’ultimo. Hull ipotizzò l’esistenza di pul-
sioni, D. Hebb di “assembramenti neuronali”, E.C. Tolman di “mappe cognitive”. Più in gene-
rale, vennero avanzate le cosiddette teorie della mediazione, le quali ipotizzano che tra la
recezione dello stimolo e l’emissione della risposta intervengano dei processi intermedi di
natura simbolica, non direttamente osservabili. Queste più recenti proposte teoriche ven-
gono in genere fatte rientrare nel cosiddetto neocomportamentismo, che media il passag-
gio tra il vero e proprio comportamentismo e il cognitivismo.
Il comportamentismo in chiave pedagogica quindi privilegia lo studio del comporta-
mento umano inteso come associazione tra uno stimolo e una risposta.
La nozione di comportamento è l’insieme delle reazioni adattative oggettivamente os-
servabili, che un organismo innesca in risposta a degli stimoli provenienti dall’ambiente nel
quale vive. Secondo quest’approccio l’apprendimento è un cambiamento di comportamen-
to: l’idea centrale è che non esista una realtà oggettiva esterna che noi apprendiamo attra-
verso i nostri sensi. Il processo di apprendimento si attiva nel momento in cui l’individuo dà
una risposta corretta ovvero manifesta un comportamento previsto a un dato stimolo. L’ap-
prendimento è quindi dato dalle reazioni individuali a tali stimoli. Un contributo importante
sulla teoria dell’apprendimento nell’ambito del comportamentismo è stato dato dallo stu-
dioso B.L. Skinner che ha elaborato la legge dell’acquisizione secondo la quale la forza del
comportamento operante viene accresciuta se seguita da uno stimolo di rinforzo. Attraver-
so quest’approccio le punizioni e i tradizionali sistemi di insegnamento e valutazione non
hanno effetti positivi sull’apprendimento.
La sua proposta, su cui si sono sviluppate molte metodologie, si è articolata su questi
principi base:
– il processo di apprendimento è migliorabile sulla base degli stimoli positivi e sulle rispo-
ste rinforzanti;
– l’apprendimento viene migliorato se lo studente viene corretto immediatamente;
– la scomposizione di una lezione in unità di apprendimento facilita la risposta dello stu-
dente in termini di apprendimento.
Quest’ultima affermazione è alla base della teoria dell’apprendimento come istruzione
programmata che ha avuto molta influenza sulla programmazione didattica. Nell’istruzione
programmata i contenuti disciplinari vanno organizzati in unità con funzione di stimolo per
l’apprendimento successivo.
tica alla scuola tradizionale e l’idea di un’educazione centrata sull’alunno sono i pilastri dell’at-
tivismo e del movimento delle scuole nuove. L’educazione è secondo Dewey ricostruzione e ri-
organizzazione continua dell’esperienza, allo stesso tempo personale e sociale.
In Il mio credo pedagogico (1987) Dewey sintetizza in cinque punti i fondamenti della sua
convinzione pedagogica:
– l’istruzione è frutto della partecipazione progressiva dell’individuo al patrimonio co-
mune del genere umano;
– l’istruzione è un processo sociale e la scuola il fulcro di questo processo, quindi è ineren-
te alla vita e non preparatoria ad essa;
– il centro dei programmi di insegnamento è l’insieme delle attività del bambino nel qua-
dro sociale;
– il concetto che deve guidare l’insegnamento è l’attività del fanciullo;
– l’istruzione è il fondamento del progresso sociale e politico.
La riflessione sulla didattica attraversa tutta l’opera di Dewey, a partire dall’esperienza di
Chicago per poi articolarsi attraverso vari scritti. Proprio la scuola di Chicago è uno dei pri-
mi esempi di scuola attiva. Dewey si preoccupa di articolare la scuola in livelli corrisponden-
ti agli stadi di sviluppo psicologico del bambino. Dopo la scuola dell’infanzia il bambino fre-
quenta la scuola primaria dove il laboratorio è il metodo di lavoro più usato: gli allievi sono
impegnati in una pluralità di attività, come falegnameria, cucina, tessitura, attorno alle qua-
li si costruiscono le conoscenze linguistiche, geografiche, scientifiche.
Nel testo Logica, teoria dell’indagine Dewey illustra il suo modo di vedere il processo che
sta alla base dell’esplorazione del mondo e dei problemi che esso ci mette di fronte.
Questo metodo assomiglia molto al metodo sperimentale usato nelle scienze. L’attività
rivolta alla conoscenza riguarda l’uomo durante tutta la sua vita. L’esistenza di indagini non
è cosa che si possa mettere in dubbio. Esse entrano in ogni ambito della vita e in ciascun
aspetto di ogni ambito. Gli uomini compiono delle disamine nella vita di ogni giorno; essi ri-
muginano le cose intellettualmente: essi inferiscono e giudicano altrettanto “naturalmente”
come essi mietono e seminano, producono e scambiano servizi.
Questo lavoro intellettuale non è tipico dell’uomo adulto ma dell’uomo in quanto tale.
Anche i bambini compiono indagini, sebbene queste possano risultare diverse da quelle de-
gli adulti o degli scienziati. Si parte con una situazione problematica; verrà fatto un lavoro di
analisi da tale problema e da qui si articoleranno le varie fasi:
– situazione problematica: è una situazione confusa, non chiara. Il bambino o l’adulto sen-
te l’esigenza, ha un bisogno, una curiosità per fare chiarezza;
– definizione del problema;
– prima assunzione di informazioni. È anche il semplice guardarsi intorno e recuperare
dati dalla propria memoria;
– suggestioni: sono le idee che saltano alla mente, che si affacciano spontaneamente;
– osservazione attenta e ricerca di informazioni: sono le osservazioni e ricerche più mira-
te che mettono alla prova le suggestioni;
– idea-anticipazione-previsione-ipotesi: è la formulazione di un’ipotesi che serva per ri-
solvere il problema;
– verifica: si controlla la veridicità dell’idea-guida elaborata.
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Indagare sul mondo e quindi incontrare problemi, entrare in rapporto con esso, per cer-
care di capirlo è un’attività che i bimbi fanno fino a quando possono. L’atteggiamento dei
bambini, secondo Dewey, è molto vicino all’atteggiamento dello spirito scientifico.
Dare rilievo al momento dell’esperienza diretta è significativo, non implica che l’indagine
debba rimanere al livello del fare, cioè a livelli pratici; può, anzi deve, secondo Dewey, svilup-
parsi in una ricerca teorica, cioè di ripensamento dell’attività pratica stessa, di ampliamen-
to e approfondimento delle conoscenze che ad essa sono connesse. Il rapporto fra teoria e
pratica è uno dei temi ricorrenti in Dewey ed è alla base di molte tecniche didattiche che uti-
lizzano le situazioni problematiche come motore per l’apprendimento.
La scuola di Dewey è chiamata anche progressiva in quanto l’attività che si svolge al suo
interno, presuppone uno sviluppo progressivo. La scuola deve rappresentare per il bambino
un luogo di vita: quella vita sociale che deve svilupparsi per gradi, partendo dall’esperienza
acquisita in famiglia e nell’ambiente sociale in cui egli vive.
Dewey, come la maggior parte dei pedagogisti moderni, divide l’età evolutiva in tre fasi:
– dai 4 agli 8 anni prevalgono nel bambino gli istinti e i bisogni in modo spontaneo che si
manifestano con il gioco e l’attività ludica;
– dai 9 ai 12 anni il bambino frequenta la scuola primaria che è basata sul lavoro per per-
mettere al soggetto di acquisire le abitudini culturali della società in cui vive;
– dai 12 ai 14 anni all’alunno viene data la possibilità di ampliare le sue conoscenze astrat-
te attraverso lo studio in biblioteca e laboratorio all’interno della scuola media.
L’attivismo pedagogico fondato da Dewey è una teoria pedagogica con forti interazioni
con il sistema sociale e dell’istruzione basata sull’applicazione pratica delle discipline di stu-
dio che viene sintetizzata con la definizione learning by doing (imparare facendo).
La “scuola attiva” teorizzata e realizzata da Dewey sviluppa il concetto di esperienza del-
le persone come forma massima di apprendimento. Le persone attraverso l’esperienza non
solo apprendono conoscenze ma contribuiscono al processo educativo. La scuola attiva
deve assicurare autonomia e libertà agli studenti che si impegnano nella produzione di ma-
nufatti, dipinti e oggetti. L’insegnamento secondo Dewey deve saper proporre anche situa-
zioni problematiche al fine di riproporre difficoltà e soluzioni affini alla vita reale. Il contribu-
to importante dell’attivismo è quello di aver posto le basi del modello di scuola-laboratorio
dal quale si è sviluppata l’attuale didattica dei laboratori.
– reazioni circolari primarie: dal secondo al quarto mese. Per “reazione circolare” s’inten-
de la ripetizione di un’azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per
ritrovarne gli interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l’azione originaria si consolida e
diventa uno schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre circo-
stanze. In questo stadio il bambino, che pur ancora non riesce a distinguere tra un “sé” e
un “qualcosa al di fuori”, cerca di acquisire schemi nuovi: ad esempio, toccandogli il pal-
mo della mano, reagisce volontariamente chiudendo il pugno, come per afferrare l’og-
getto; oppure gira il capo per guardare nella direzione da cui proviene il suono. Partico-
lare importanza ha la coordinazione tra visione e prensione: ad esempio, prende un gio-
cattolo dopo averlo visto;
– reazioni circolari secondarie: dal quarto all’ottavo mese. Qui il bambino dirige la sua
attenzione al mondo esterno, oltre che al proprio corpo. Ora cerca di afferrare, tirare,
scuotere, muovere gli oggetti che stimolano la sua mano per vedere che rapporto c’è tra
queste azioni e i risultati che derivano sull’ambiente. Ad esempio, scopre il cordone del-
la campanella attaccata alla culla e la tira per sentire il suono. Ancora non sa perché le
sue azioni provocano determinati effetti, ma capisce che i suoi sforzi sono efficaci quan-
do cerca di ricreare taluni eventi piacevoli, visivi o sonori;
– coordinazione mezzi-fini: dall’ottavo al dodicesimo mese. Il bambino comincia a coordi-
nare in sequenza due schemi d’azione (ad esempio tirare via un cuscino per prendere un
giocattolo sottostante). In tal modo riesce a utilizzare mezzi idonei per il conseguimen-
to di uno scopo specifico. L’intenzionalità si manifesta anche nella comunicazione con gli
adulti (ad esempio punta il dito verso il biberon per farselo dare). Inizia inoltre a capire
che gli oggetti possono essere sottoposti a vari schemi d’azione, come scuotere, sposta-
re, dondolare, ecc. Gradualmente si rende conto che gli oggetti sono indipendenti dalla
sua attività percettiva o motoria;
– reazioni circolari terziarie (e scoperta di mezzi nuovi mediante sperimentazione attiva):
dai 12 ai 18 mesi. Il bambino, nel suo comportamento abituale, ricorre sempre più spes-
so a modalità diverse per ottenere effetti desiderati. Inizia il “ragionamento”. Mentre pri-
ma, per eseguire una sequenza di azioni, doveva partire dall’inizio, ora può interromper-
si e riprendere l’azione a qualsiasi stadio intermedio. Inoltre egli è in grado di scoprire la
soluzione dei suoi problemi, procedendo per “prove ed errori”. Quindi esiste per lui la
possibilità di modificare gli schemi che già possiede. Ad esempio, dopo aver tentato, in-
vano, di aprire una scatola di fiammiferi, esita per un attimo e poi riesce ad aprirla. Infi-
ne può richiamare alla memoria gli oggetti assenti, grazie alle relazioni che intercorrono
tra un oggetto e la sua possibilità di utilizzo;
– comparsa della funzione simbolica: dai 18 mesi in poi. Il bambino è in grado di agire sul-
la realtà col pensiero. Può cioè immaginare gli effetti di azioni che si appresta a compie-
re, senza doverle mettere in pratica concretamente per osservarne gli effetti. Egli inoltre
usa le parole non solo per accompagnare le azioni che sta compiendo (nominare o chie-
dere un oggetto presente), ma anche per descrivere cose non presenti oggetti anche se
ne vede solo una parte. È in grado di imitare i comportamenti e le azioni di un modello,
anche dopo che questo è uscito dal suo campo percettivo. Sa distinguere i vari modelli
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e sa imitare anche quelli che per lui hanno un’importanza di tipo affettivo. Vedi ad es. i
giochi simbolici che implicano “fingere di fare qualcosa” o “giocare un ruolo”.
vasetti è lo stesso. Se però gli facciamo togliere i fiori per farne un mazzetto, il bambino dirà
che i vasetti sono più dei fiori.
Nel primo caso l’errore è dovuto al fatto che egli ha tenuto conto solo del livello rag-
giunto dalle biglie e non anche della forma del vaso, mentre nel secondo caso il maggior
spazio occupato dalla fila dei vasetti ha dominato la sua valutazione. In sostanza ciò che non
ha compreso è stata l’invarianza (o conservazione) della quantità al mutare delle condizio-
ni percettive.
Ognuno di questi climi è presente nella scuola, ma occorre fare attenzione a quello pre-
valente.
L’ideale sarebbe che si spendessero più energie possibili nel lavorare in ottica cooperati-
va, nella disponibilità all’aiuto e al dare gratuito. Ciò non toglie che ciascuno di noi abbia an-
che la possibilità di sperimentare situazioni in cui sia necessario agire individualmente e al-
tre situazioni in cui si sia in competizione con altri. I problemi nascono e rischiano di diven-
tare ingestibili, quando si sviluppa unicamente uno dei tre climi.
Il secondo elemento della teoria vygotskijana è l’apprendimento socializzato nell’area
di sviluppo prossimale.
Un apprendimento significativo viene generato dall’elaborazione attiva delle informazio-
ni che giungono al soggetto, dalla comprensione, confronto, valutazione e interazione di più
fonti informative. È meglio che lo studente non si trovi da solo ad affrontare tale processo,
ma sia supportato da un gruppo al quale si sente di appartenere e sul quale può contare per
essere aiutato a raggiungere obiettivi apprenditivi comuni.
L’importanza dell’interazione sociale nell’apprendimento ha dato un forte impulso alla
didattica moderna, privilegiando forme di apprendimento cooperativo.
La zona di sviluppo prossimale definisce la distanza tra il livello di sviluppo effettivo e il
livello di sviluppo potenziale, consente cioè di valutare la differenza tra ciò che il soggetto è
in grado di fare da solo e ciò che è in grado di fare con l’aiuto e il supporto di un individuo
più competente.
Mirare bene la proposta didattica nell’area dello sviluppo prossimale e organizzare in
modo efficace gli aiuti e la riflessione metacognitiva diventa uno degli aspetti cruciali dell’ap-
prendimento.
Fondamentale per lo sviluppo apprenditivo diventa il contesto, che può essere di aiuto
o di freno.
Se gli insegnanti lanciassero le sfide cognitive a coppie di ragazzi o a piccoli gruppi di
alunni, si potrebbe concretizzare quello che Vygotskij chiama l’apprendimento socializzato
nella zona di sviluppo prossimale. I ragazzi, poi, riflettendo insieme o da soli sulle difficoltà
incontrate, su cosa hanno fatto per superarle, quali aiuti sono stati decisivi e quali fuorvian-
ti, svilupperebbero la consapevolezza metacognitiva che permette loro di assimilare nuove
abilità e conoscenze a quelle già possedute in memoria a lungo termine.
L’acquisizione delle abilità sociali condiziona pesantemente il successo formativo: più i ra-
gazzi riescono ad esprimere i propri pensieri in modo chiaro, a condividere risorse e spazi co-
muni, a gestire positivamente i conflitti, a incoraggiare gli altri, a rispettare i turni nella comu-
nicazione, a parlare a voce bassa e in modo pacato e più imparano e hanno successo a scuola.
L’apprendimento cooperativo non esclude un insegnamento diretto, frontale da parte
dell’insegnante, anzi è importante che prima di un lavoro cooperativo il docente mostri di-
rettamente alla classe come utilizzare le strategie più adatte ad affrontare e risolvere i vari
problemi.
Terzo elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo della metacognizione. Nel model-
lo di Vygotskij lo sviluppo delle abilità metacognitive permette l’interiorizzazione della co-
noscenza socializzata esterna al soggetto. La metacognizione è il livello superiore dell’intelli-
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genza, che controlla e guida i vari processi cognitivi sottostanti e che si sviluppa e guadagna
in efficienza attraverso l’interazione sociale. Questi meccanismi centrali di regolazione si svi-
luppano dall’esterno all’interno. Diventa perciò fondamentale la relazione giocata dallo stu-
dente con gli adulti e con i pari. Il bambino diventa autonomo acquisendo progressivamen-
te le varie funzioni metacognitive necessarie al proprio apprendimento.
Quarto elemento della teoria vygotskijana: lo sviluppo delle competenze individuali.
L’interazione graduale delle attività socializzate, che si formano ad esempio sotto la guida di
adulti esperti o nell’interazione tra ragazzi, porta, attraverso la consapevolezza metacogniti-
va, allo sviluppo delle competenze individuali. La qualità della mediazione dei compagni nei
gruppi di apprendimento ha un ruolo strategico nel permettere al soggetto di riflettere e ap-
propriarsi delle conoscenze.
Anche il ruolo della famiglia è determinante sia nell’acquisizione che nel mantenimen-
to delle competenze metacognitive. Il riconoscimento pubblico delle competenze acquisi-
te è di fondamentale importanza nella valorizzazione dell’alunno. Soprattutto in presenza di
alunni disabili, occorre comunicare alla classe quali sono le cose che essi sanno fare bene e
per le quali non hanno bisogno d’aiuto.
I complimenti e i riconoscimenti, però, non devono essere generici, ma basarsi su dati di
fatto precisi, che tutti possono controllare. Il rischio, altrimenti, è quello di ottenere un risul-
tato opposto; i troppi complimenti possono creare imbarazzo nello studente e una reazione
negativa da parte dei compagni. Occorre essere onesti e sinceri attribuendo meriti a situa-
zioni e comportamenti specifici, reali, verificabili e non inventando o sopravvalutando situa-
zioni che finiscono poi col danneggiare il ragazzo in difficoltà.
Più gli insegnanti programmano interventi di valorizzazione delle abilità degli alunni più
deboli e più aumentano la partecipazione di questi ultimi alle attività della classe e il loro ri-
conoscimento nel gruppo.
1.2.7 Il cognitivismo
La corrente cognitivista che si distingue nettamente dalla corrente behaviorista racco-
manda un nuovo approccio per spiegare l’apprendimento, quello dell’elaborazione delle in-
formazioni. I processi di apprendimento secondo i cognitivisti sono il risultato di un poten-
ziale evolutivo della mente capace di ricevere ed elaborare le informazioni provenienti dai
sensi.
Le informazioni che provengono dall’esterno arrivano agli individui attraverso i sensi nel-
la memoria sensoriale oppure vengono prima riconosciute e trattenute qualche secondo
prima di essere trasmesse alla memoria a breve termine nell’arco temporale di una ventina
di secondi, in seguito vengono immagazzinate nella memoria a lungo termine.
Nel momento in cui un individuo deve produrre un comportamento deve ricercare tra le
informazioni immagazzinate nella memoria a lungo termine quelle pertinenti e deve ripor-
tarle nella memoria a breve termine.
Ciò che è importante è la maniera in cui le informazioni vengono immagazzinate nel-
la memoria. Per essere riutilizzabili, esse devono essere organizzate nella memoria a lungo
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1.2.8 Il costruttivismo
Il costruttivismo vede l’apprendimento come un processo attivo di costruzione delle co-
noscenze piuttosto che un processo di acquisizione del sapere. Non esiste un apprendimen-
to oggettivo, solo delle interpretazioni personali della realtà: ognuno crea le proprie inter-
pretazioni che restano valide solo per un dato tempo; esse sono “percorribili” per un dato
tempo e possiedono questa proprietà poiché esse si realizzano all’interno di una comuni-
tà che accetta le stesse basi e gli stessi valori. L’insegnamento assume la forma di sostegno
a questo processo. L’insegnante e gli altri allievi guidano l’allievo verso la sua propria ricer-
ca di senso.
L’apporto delle nuove tecnologie sembra aver dato al costruttivismo un nuovo slancio
basato sul principio di auto-costruzione del sapere. Ognuno, grazie alle TIC, è in grado di co-
struire la propria rete di conoscenze attive. Questa tendenza all’autonomia sposta dunque
la responsabilità dell’apprendimento sulla tecnologia e sull’allievo, mentre l’insegnante gio-
ca piuttosto il ruolo di un tutore a distanza.
I costruttivisti rifiutano l’assunto programmatorio della didattica e la verticalità della re-
lazione insegnante-discente. Per i costruttivisti l’insegnamento è fondato sul valore propul-
sivo dell’azione per scoperta condivisa da studenti e docenti. L’insegnamento è visto come
una conversazione aperta e l’apprendimento un processo di costruzione di senso. L’approc-
cio costruttivista considera l’apprendimento come un processo in parte autonomo di “co-
struzione di senso” nel quale l’alunno costruisce contenuti avvalendosi dell’esperienza.
Come evidenziano alcuni studiosi (De Vecchi, Carmona), l’apprendimento è come la meta-
bolizzazione del cibo che spetta a chi lo ha mangiato non a chi lo ha cucinato.
Il costruttivismo rinnova la percezione dello studente che viene considerato come un sog-
getto con elevati gradi di autonomia nell’organizzare il proprio sapere e cambia l’atteggiamen-
to del docente. Affinché si faciliti l’apprendimento il docente non dovrà adempiere ad una si-
tuazione di trasmissione del sapere, ma all’opposto creare delle rotture, situazioni critiche che
chiamano in campo il contributo dello studente per la costruzione dell’apprendimento. Nume-
rose sono le metodologie e gli stili d’insegnamento che si richiamano a questa concezione. Per
esempio, l’uso delle domande aperte durante l’esposizione del docente, la richiesta dell’inse-
gnante di opinioni da parte degli studenti, l’uso frequente di esempi e metafore.
Il costruttivismo propende per un insegnamento modulare caratterizzato da:
– una didattica personalizzata;
– una programmazione didattica finalizzata alla realizzazione delle competenze;
– un uso degli strumenti di verifica utili ad accertare le competenze.
Alcuni contributi significativi di carattere neocostruttivista sono stati formulati dalla
scuola di Palo Alto e dallo studioso T. Gordon che ha contribuito allo sviluppo della didatti-
ca laboratoriale.
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La Scuola di Palo Alto corrisponde ad un movimento di idee nato negli anni ’50 nell’ambito del
Mental Research Institute dell’ospedale psichiatrico di Palo Alto (California), sotto gli auspici di
G. Bateson. La pratica terapeutica del Mental Research Institute intende prendere le distanze dal
behaviorismo e dalla teoria dello schema stimolo-risposta, ma anche da un certo umanesimo psico-
sociologico. Ha contribuito a promuovere lo studio di riti di interazione e di comunicazione nell’am-
bito dei gruppi (soprattutto la famiglia).
orie dello sviluppo sono descrittive anziché prescrittive, in quanto ci mostrano ciò che è av-
venuto, dopo che l’evento si è già verificato: per esempio, il fatto che la maggior parte dei
bambini di sei anni ancora non possieda la nozione di reversibilità. Una teoria dell’istruzio-
ne, viceversa, può cercare di stabilire i mezzi migliori per guidare il bambino al raggiungi-
mento di tale nozione. Una teoria dell’istruzione, in breve, riguarda il modo con cui si ap-
prende meglio ciò che si vuole insegnare, mira cioè a migliorare piuttosto che a descrive-
re l’apprendimento. Con ciò non si afferma che le teorie dell’apprendimento e dello svilup-
po non rivestano alcuna importanza per una teoria dell’istruzione. In effetti una tale teoria
deve riguardare sia l’apprendimento che lo sviluppo e deve essere coerente con quelle te-
orie dell’apprendimento e dello sviluppo alle quali essa aderisce;
– è una teoria normativa, in quanto fornisce dei criteri e stabilisce le condizioni per sod-
disfarli; questi criteri debbono essere di carattere altamente generale: per esempio, una
teoria dell’istruzione non dovrà specificare in maniera estremamente minuta ed esatta
le condizioni ottimali necessarie allo studio dell’aritmetica nella terza elementare; que-
ste condizioni dovranno derivare principalmente da una visione più ampia dell’apprendi-
mento della matematica;
– deve stabilire quali esperienze siano più idonee a generare nell’individuo una predispo-
sizione ad apprendere, si tratti di apprendimento in generale o di un suo tipo particolare.
Ad esempio: quale tipo di relazioni con persone e cose nell’ambiente prescolastico tende-
rà a rendere il bambino disposto e capace di apprendere, allorché inizierà la scuola?;
– deve specificare il modo in cui un insieme di cognizioni deve essere strutturato perché
sia prontamente compreso dal discente. L’efficacia di una struttura dipende dalla sua ca-
pacità di semplificare l’informazione, di generare nuove proposizioni e di rendere più
maneggevole un insieme di cognizioni. La struttura deve sempre riferirsi alla situazione
ed alle doti del discente. Sotto questo aspetto, la struttura ottimale di un insieme di co-
gnizioni non è assoluta ma relativa;
– deve specificare la progressione ottimale con cui va presentato il materiale che deve es-
sere appreso. Per esempio, per insegnare la struttura della fisica moderna dovremo va-
lutare se è più efficace cominciare col presentare esperienze concrete in maniera tale
da provocare domande sulla regolarità di certi fenomeni o piuttosto cominciare con dei
simboli matematici che rendano più facile la raffigurazione della regolarità dei fenomeni
che si incontreranno successivamente;
– dovrebbe specificare la natura e il ritmo delle ricompense e delle punizioni nel pro-
cesso dell’apprendimento e dell’insegnamento. Intuitivamente appare chiaro che, man
mano che l’apprendimento progredisce, esiste un momento in cui è senz’altro consiglia-
bile allontanare dalle ricompense estrinseche, quali ad esempio una lode dell’insegnan-
te, passando a ricompense intrinseche, come quelle inerenti alla soluzione di un com-
plesso problema per conto proprio. Esiste poi un momento in cui, a un immediato rico-
noscimento per quanto è stato conseguito, dovrà essere sostituito un premio procrasti-
nato. Secondo Bruner quale sia il momento del passaggio dalla ricompensa estrinseca a
quella intrinseca e da quella immediata a quella differita è ancora molto poco chiaro, ma
tuttavia molto importante.
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significativo implica l’assimilazione dei nuovi concetti nelle strutture cognitive esistenti”, nac-
que l’ipotesi della costruzione delle mappe concettuali per poter formalizzare la conoscen-
za strutturata, ovvero il modo in cui i vari concetti posseduti sono interconnessi tra di loro
all’interno di un determinato dominio conoscitivo. Le mappe sono un modello di come noi
organizziamo e applichiamo le conoscenze. Possono essere categorizzate, connettive, asso-
ciative, specificative o divise in categorie, ad esempio di tipo causale o temporale.
Una mappa evidenzia i saperi di una persona permettendole di guardarsi in profondità e
capire le proprie conoscenze. Rende cioè esplicito e conscio ciò che è spesso implicito. Pun-
to focale della costruzione delle mappe è la loro dinamicità intrinseca, per cui, in differenti
contesti e in tempi diversi, le rappresentazioni possono essere molto diverse. Le mappe toc-
cano alcuni degli elementi centrali delle tecnologie didattiche e dell’apprendimento. Assu-
mendo che le tecniche didattiche abbiano lo scopo di rendere più efficace il processo forma-
tivo, le mappe, in quanto strumenti di rappresentazione, innalzano da un lato la compren-
sione su come gli studenti organizzano ed usano le loro conoscenze, dall’altro aumentano gli
strumenti di autovalutazione dei processi di apprendimento. Per loro natura, infatti, le map-
pe fanno parte di quegli attrezzi cognitivi che supportano, guidano ed estendono il processo
di pensiero di chi li usa, in quanto è molto difficile costruire delle rappresentazioni significa-
tive senza riflettere profondamente sulle informazioni possedute.
Gli ulteriori contributi scientifici alla teoria di Novak hanno portato ad una sempre mag-
giore definizione delle mappe concettuali favorendone la fruibilità didattica.
Le mappe hanno una struttura gerarchico-associativa. Questo significa che sono solo
due le tipologie di connessioni che possono essere create:
– gerarchiche (che collegano ciascun elemento con quello che lo precede);
– associative (dette anche associazioni), che collegano elementi gerarchicamente disposti
in punti diversi della mappa.
La struttura portante di una mappa è sempre gerarchica; le relazioni associative aiutano
ad aumentarne l’espressività, evidenziando la presenza di legami trasversali mediante frec-
ce. Essendo gerarchica, la mappa mentale ha necessariamente anche una geometria radia-
le: all’elemento centrale troviamo collegati degli elementi di primo livello, ciascuno dei quali
può essere collegato con elementi di secondo livello e così via. In genere la disposizione gra-
fica degli elementi è a raggiera, ma è possibile estendere queste considerazioni anche ad al-
tre forme di connessione, come quella a spina di pesce oppure ad albero.
– per promuovere e/o consolidare l’interesse e la motivazione degli studenti (alla lunga
ogni metodo annoia, soprattutto un adolescente).
Sebbene la lezione sia stata oggetto di miglioramenti di cui tratteremo successivamen-
te, in questo paragrafo verranno esplorati i metodi e le tecniche didattiche ovvero le azio-
ni strategiche di insegnamento che hanno la caratteristica di coinvolgere attivamente lo stu-
dente nel processo di apprendimento e che risultano essere tra le più adottate e consolida-
te, con particolare riferimento alla scuola secondaria di secondo grado. Questi metodi sono
rappresentativi di intere famiglie metodologiche e ciascuno di essi attiva specifici processi
formativi (l’operatività, l’investigazione, la partecipazione nella ricerca, l’individualizzazio-
ne dei percorsi).
La varietà dei metodi di insegnamento viene spesso riportata a tentativi di classificazio-
ne, molti studiosi forniscono un repertorio più o meno organizzato al quale il docente può
riferirsi.
Prenderemo qui in considerazione:
– il metodo operativo;
– il metodo investigativo;
– il metodo euristico-partecipativo;
– i metodi individualizzati.
La presente suddivisione dei metodi didattici rappresenta, come anticipato, soltanto una
delle possibili tassonomie, poiché il tema e i possibili repertori rappresentano una materia
molto discussa, spesso frutto dei vari approcci utilizzati dallo studioso per inquadrare la ma-
teria.
Si sottolinea che per lo scopo del manuale non sono trattati i cosiddetti metodi nomina-
li che si riferiscono a specifici studiosi che li hanno proposti. I metodi nominali, così defini-
ti, fanno riferimento principalmente a metodi, e spesso anche a tecniche operative, riferiti
ad uno specifico studioso.
Ci riferiamo, a titolo esemplificativo, al metodo Montessori (da M. Montessori) per la
scuola di base; a quello steineriano (da R. Steiner) per i cicli del primario e del secondario e
al metodo Feuerstein (da R. Feuerstein) per il superamento delle difficoltà cognitive, la cui
teoria di riferimento è la modificabilità cognitiva strutturale. I metodi nominali, che richie-
dono all’insegnante e al formatore un lungo training per la formazione, si caratterizzano per
la loro compiutezza teorico-pratica. Essi quindi non si prestano alla possibilità di essere uti-
lizzati in modo alternato con altre tecniche e sono poco flessibili, pertanto non utilizzabili in
sede di simulazione di una lezione.
All’interno delle unità di apprendimento egli dichiara gli obiettivi formativi incrocian-
do gli obiettivi generali del processo formativo e gli obiettivi specifici di apprendimento con
la situazione attuale in cui opera, favorendo lo strutturarsi di competenze attraverso strate-
gie educative.
L’insegnante di laboratorio collabora ad un processo interpretativo, a cui partecipano
tutti i membri in quanto soggetti capaci di pensare, e come soggetto “esperto” in grado di
fornire consulenza in funzione della costruzione della conoscenza.
Con l’esercizio dell’autorevolezza il docente favorisce, mediante una continua negozia-
zione, la crescita individuale e lo sviluppo di tutte le potenzialità dell’allievo, sostenendolo
nelle difficoltà, indirizzandolo verso nuovi orizzonti, sollecitando la sua curiosità e il suo in-
teresse.
Come docente di attività di laboratorio è attento supervisore dell’applicazione rigorosa
delle procedure, pronto però a cogliere i cambiamenti del contesto in cui opera per ridefini-
re il processo in un’ottica di flessibilità. La raccolta della documentazione di tutte le fasi del
percorso (relazione di laboratorio) gli consente di attivare da solo o con il confronto nel team
dei docenti interessati (se il progetto è interdisciplinare) processi di riflessione e di adatta-
mento a nuove esigenze per offrire ad ogni alunno occasioni di apprendimento risponden-
ti ai bisogni individuali.
È compito del docente stabilire i criteri e le prove di valutazione sulla base dei risultati at-
tesi. In questo caso un metro di giudizio adeguato ad un “lavoro autentico” non può essere
rappresentato solo dalle prove tradizionali. Un tipo di valutazione che consideri sia il proces-
so che il prodotto finale di un percorso fornisce informazioni sui progressi conseguiti dallo
studente, su ciò che ha imparato e sui motivi che rendono rilevante l’apprendimento. È im-
portante che le valutazioni, basate sui risultati, si accordino con gli standard e i livelli quali-
tativi stabiliti all’interno di ciascuna unità di apprendimento.
La didattica per problemi indica quella metodologia che induce i soggetti a dare risposte
a situazioni problematiche. Con questa strategia si sviluppano le capacità logiche e di ana-
lisi e le capacità creative. La metodologia sviluppa nello studente quell’attitudine a ricerca-
re risposte e soluzioni.
È conveniente considerare due aspetti di questa metodologia: il problem setting (o po-
sing) e il problem solving, che rappresentano l’insieme di tutti i metodi e le tecniche di solu-
zione dei problemi e delle relative strategie da mettere in atto.
LA DIDATTICA LABORATORIALE
La ricerca-azione, quindi, permette di realizzare quello che le più recenti e significative ri-
forme scolastiche e le nuove indicazioni per il curricolo definiscono come un apprendimen-
to personalizzato: ovvero, un apprendimento corrispondente alle inclinazioni personali de-
gli studenti nella prospettiva di valorizzarne gli aspetti peculiari.
Questo tipo di apprendimento diventa possibile con la ricerca-azione sia perché il di-
scente è messo nelle condizioni di scoprire le proprie attitudini, sia perché il docente è chia-
mato ad analizzare in modo tempestivo le capacità dell’alunno. Il docente, infatti, ha il do-
vere di offrire a ciascuno studente itinerari, approcci, spazi e tempi differenziati che assicu-
rino un reale pluralismo di percorsi formativi e che quindi permettano al discente di trova-
re la strada che più gli si addice. Tale modo di procedere porterà l’alunno a distinguere pro-
gressivamente tra preferenze e attitudini vere e proprie, in modo da coniugare la consape-
volezza delle proprie attitudini con le scelte adeguate.
La ricerca-azione diviene, perciò, un insostituibile metodo di sperimentazione di nuovi
modelli educativi aventi lo scopo di attuare cambiamenti positivi nel contesto scolastico in
cui agiamo. Cosicché, in essa si può ravvisare una prospettiva “politica” dal momento che si
propone non solo di cambiare gli strumenti e la professionalità di coloro che scommettono
su tale metodo, ma anche di modificare la politica educativa e l’esito sociale dell’intero per-
corso formativo. Quest’ultima, mediante la ricerca-azione, si basa sull’assunto che sia neces-
sario vivere il tempo formativo abbandonando l’insegnamento prettamente disciplinare e
creando esperienze educative centrate sulla persona che apprende, che è impegnata a co-
niugare la conoscenza e la riflessione sulla realtà con il bisogno di imparare e il desiderio di
apprendere, con la qualità formativa nei contesti lavorativi e la valorizzazione dei propri in-
teressi, dei propri bisogni e dei propri progetti di vita.
grammi di recupero, oppure la possibilità di saltare alcuni frames e procedere più rapida-
mente per i soggetti più abili. Le prime macchine per insegnare (teaching machines) e le pri-
me applicazioni del computer nella didattica seguivano le impostazioni dell’istruzione pro-
grammata.
Per la metodologia didattica Block ha contribuito a definire i seguenti procedimenti:
– l’insegnante definisce le abilità concettuali e operative che gli studenti dovrebbero rag-
giungere al termine dell’intervento didattico;
– con l’analisi del compito stabilisce i livelli intermedi definendo gli obiettivi particolari in
una successione di unità didattiche in grado di promuovere progressivamente le abilità
finali;
– elabora le prove in grado di verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi delle uni-
tà didattiche individuate;
– predispone poi le unità didattiche tenendo conto il più possibile dello stato di prepara-
zione iniziale dei suoi allievi;
– struttura successivamente le attività integrative e di recupero da proporre a quegli allievi
che non avessero raggiunto ancora livelli intermedi di abilità nelle singole unità didattiche;
– controlla che gli allievi non affrontino l’unità successiva se non hanno conquistato il mi-
nimo indispensabile di dominio delle conoscenze e competenze previste dalle unità pre-
cedenti.
Nella scuola secondaria il mastery learning potrà essere proficuamente utilizzato come
metodo di insegnamento individualizzato per l’addestramento di specifiche abilità tecniche
e/o professionali, o con allievi in situazione di handicap, o in presenza di disagi nell’appren-
dimento più o meno gravi, anche temporanei.
(cestino della posta) per le prese di decisione in ambito di ufficio e l’action maze (azione
nel labirinto) per lo sviluppo delle competenze decisionali e procedurali;
– tecniche di analisi della situazione che si avvalgono di casi reali: nello studio di caso si
analizzano situazioni comuni e frequenti, nell’incident si affrontano situazioni di emer-
genza. Con lo studio di caso si sviluppano le capacità analitiche e le modalità di approc-
cio ad un problema; nell’incident, si aggiungono le abilità decisionali e quelle predittive;
– tecniche di riproduzione operativa come le dimostrazioni e le esercitazioni: esse punta-
no ad affinare le abilità tecniche e operative mediante la riproduzione di una procedu-
ra. Sono complementari e richiedono la scomposizione della procedura in operazioni e
in fasi da porre in successione e da verificare ad ogni passaggio;
– tecniche di produzione cooperativa, tra cui possiamo annoverare la tecnica del brain-
storming (cervelli in tempesta), per l’elaborazione di idee creative in gruppo, e il metodo
del cooperative learning, per lo sviluppo integrato di competenze cognitive, operative e
relazionali.
Le tecniche didattiche definiscono il rapporto tra il soggetto che apprende e la situazio-
ne d’apprendimento. Con le tecniche di simulazione il soggetto impara immerso nelle situa-
zioni; con quelle di analisi della situazione impara dalle situazioni (leggendole); con le tecni-
che di riproduzione operativa impara operando sulle situazioni, e con quelle di produzione
cooperativa impara a modificare (o a inventare) le situazioni.
Naturalmente è variabile anche il coinvolgimento emotivo degli studenti: è profondo
nelle tecniche simulative, con l’immersione nella realtà e con l’assunzione di ruoli specifici,
più distaccato nelle analisi delle situazioni e nelle riproduzioni operative.
citando, suggerendo, facilitando l’azione fino al momento in cui gli studenti protagonisti
non agiscono autonomamente;
– il docente può avvalersi di collaboratori incaricati di favorire la recita, anche con la loro
recitazione: potranno utilizzare tecniche come quella dello specchio (in cui rinviano
gli atteggiamenti del soggetto al soggetto stesso) o la tecnica del doppio (in cui coloro
che assistono possono dare la loro opinione sui comportamenti degli attori in forma di
feedback non giudicante).
Il role playing si avvale di altre tecniche:
– l’autopresentazione;
– il monologo (le riflessioni personali dell’attore);
– la presentazione di ruoli collettivi (uno stesso partecipante interpreta tutti i ruoli previsti);
– l’inversione dei ruoli (dopo aver sostenuto una posizione, provare a sostenere quella op-
posta).
Il gioco dei ruoli possiede una grande forza catalizzatrice che coinvolge emotivamente sia
i partecipanti sia gli osservatori. A volte si tratta di esperienze difficili da vivere. Il docente
è tenuto a rispettare questa presa di coscienza senza giudicare se ciò è giusto o pertinente.
Come ogni tecnica di sensibilizzazione utilizzata a scopi formativi, anche il role playing
dev’essere utilizzato come tale (a scopi formativi), deve avere delle sequenze strutturate e
deve concludersi con una verifica degli apprendimenti.
2. In basket
L’in basket (cestino della posta) inizialmente era riservato agli studenti dei corsi di indi-
rizzo tecnico o professionale per le decisioni nel lavoro d’ufficio. Oggi, con il diffondersi uni-
versale di procedure di posta elettronica e di comunicazioni in rete, la tecnica dell’in basket
si presenta particolarmente interessante per l’apprendimento di procedure di selezione e di
processi decisionali.
Nella sua forma classica, si consegnavano agli studenti alcuni tra i documenti (lettere, ap-
punti di impegni, avvisi di scadenza, ecc.) che normalmente si potevano trovare sul tavolo di
lavoro o tra la posta in arrivo in un qualsiasi ufficio. Con l’e-mail la gestione della posta non
è più appannaggio del solo personale d’ufficio, ma di tutte le persone che comunicano attra-
verso la rete. La gestione funzionale della comunicazione telematica non può che conside-
rarsi una competenza di base (che tutti devono possedere) altamente formativa che richie-
de l’attivazione di processi mentali (e non solo di sequenze tecniche) quali:
– l’analisi e la comprensione;
– la scelta delle priorità;
– la presa di decisione sui problemi affrontati.
Per queste sue caratteristiche l’in basket, inizialmente considerato come uno strumento
di formazione, si è sviluppato anche nei contesti scolastici.
3. L’action maze
L’action maze (azione nel labirinto) può essere considerato il filo d’Arianna che lo studen-
te dipana quando si inoltra in ambienti cognitivi sconosciuti. Anche questa tecnica è stata
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ampiamente rivisitata con l’avvento delle reti e delle tecniche di navigazione. In questo caso
la ricerca, benché in mondi virtuali di conoscenza, non è simulata; l’allievo fa ricerca e, ad
ogni nodo, deve valutare l’importanza e il senso della nuova informazione, prendendo con-
tinue decisioni sulle strade da intraprendere o da scartare (Internet è un vero e proprio labi-
rinto). La rapidità delle decisioni è tale che, dopo soli pochi nodi, può risultare complicato il
ritorno al punto di partenza. Accanto alle competenze decisionali, la tecnica del labirinto in
rete richiede anche approfondite competenze autovalutative e orientative.
Operativamente e nella sua versione semplificata la tecnica del labirinto inizia con la con-
segna allo studente della descrizione dettagliata e in forma scritta di una situazione proble-
matica; egli la analizza e sceglie una possibile soluzione tra una serie di alternative presen-
tate. Ogni scelta comporta la consegna di un’altra scheda. Alla conclusione ogni allievo per-
corre un proprio itinerario; la verifica riguarda il numero e la progressione dei nodi percor-
si, l’individuazione di percorsi essenziali o di percorsi originali (itinerari alternativi) che pos-
sono condurre a soluzioni creative. Tutto ciò con la speranza che, nel frattempo, lo studen-
te non si perda nel labirinto.
1.4.2 Le tecniche di analisi per capire le situazioni reali: lo studio di caso, incident
1. Lo studio di caso
Lo studio di caso consiste nella descrizione dettagliata di una situazione reale. Con esso
si intendono sviluppare negli studenti le capacità analitiche necessarie per affrontare siste-
maticamente una situazione complessa di cui sono fornite tutte le indicazioni fondamentali.
Con lo studio di caso si presenta agli studenti la descrizione di una situazione reale (e in
quanto tale complessa), frequente o esemplare. La descrizione di un caso è un brano scrit-
to al quale possono essere associati documenti, tabelle o schemi. Benché nella letteratura
si prospettino descrizioni molto lunghe, si ritiene didatticamente opportuno non superare
una o due pagine.
La situazione da esaminare può anche riguardare un caso problematico, ma bisogna non
dimenticare che l’obiettivo di questa tecnica non è quello di risolvere un problema, bensì
quello di imparare ad affrontare i problemi, ad individuarli e a posizionarli.
La descrizione viene consegnata agli studenti che, dapprima, studiano il caso individualmen-
te e poi lo discutono in gruppo, moltiplicando così le alternative di approccio al caso stesso.
Accanto allo sviluppo delle capacità analitiche, il metodo dei casi presenta anche altri im-
portanti aspetti formativi, se utilizzato come tecnica di gruppo. L’interazione tra gli studen-
ti, infatti:
– favorisce la conoscenza delle altre persone, scoraggiando dall’emettere semplicistici giu-
dizi nei loro confronti;
– permette di capire come uno stesso problema possa essere valutato in modo diverso da
persone diverse;
– consente di abbattere facili generalizzazioni, utili soltanto come difese individuali;
– sensibilizza e forma alla interazione e alla discussione creando condizioni che facilitano
una reciproca migliore comprensione;
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1. Dimostrazione
Il tipo più inutile di dimostrazione è quello in cui il docente non dimostra nient’altro che
la propria competenza. È dato per scontato che il docente sappia eseguire una procedura,
ma il fatto di limitarsi a svolgere un’attività non significa saperla dimostrare. Con la dimostra-
zione si insegna come fare qualcosa.
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Gli obiettivi di una dimostrazione sono quelli di far acquisire conoscenze procedurali di
tipo operativo, ed in particolare:
– le fasi di una procedura;
– la successione delle fasi;
– i criteri di verifica per ciascuna fase.
Le regole fondamentali per progettare una dimostrazione sono:
– individuare la procedura da dimostrare, significativa per la disciplina affrontata;
– analizzare la struttura operativa della procedura;
– suddividere la procedura in fasi e indicare l’ordine di esecuzione;
– individuare i punti critici;
– indicare la sequenza migliore capace di condurre al successo l’esecuzione;
– predisporre un elenco dei problemi possibili cui potrebbero andare incontro gli allievi;
– assicurarsi che tutti gli studenti possano vedere ed ascoltare adeguatamente le fasi del-
la dimostrazione;
– provare la dimostrazione prima di presentarla agli allievi, studiarne le pause opportune
fra le singole fasi.
Se la dimostrazione è stata progettata con cura ed eseguita in modo didatticamente cor-
retto, l’attività immediatamente successiva non può che essere l’esercitazione.
2. Esercitazione
L’obiettivo dell’esercitazione è quello di far sì che gli allievi siano capaci di eseguire cor-
rettamente e completamente operazioni e procedure uguali per difficoltà a quelle che in-
contreranno sul lavoro. Qualcuno equipara l’esercitazione all’addestramento. In realtà l’ad-
destramento comporta l’acquisizione meccanica di gesti e di comportamenti, mentre l’eser-
citazione si configura come un training on the job.
Una esercitazione adeguata è quella che viene formulata attraverso una serie di esercizi,
accuratamente programmati, con graduali difficoltà commisurate al livello di apprendimen-
to dell’allievo. È efficace l’esercizio che la maggior parte degli allievi eseguirà correttamente
al momento prestabilito. Un buon esercizio sarà, quindi, breve, semplice e chiaro. L’esercita-
zione deve essere preceduta o accompagnata dall’aiuto del docente.
Le regole significative per progettare una esercitazione sono:
– individuare gli esercizi più significativi;
– adeguarli alle caratteristiche degli studenti;
– dosarli per difficoltà e complessità crescenti;
– predisporne in numero sufficiente per un apprendimento duraturo;
– verificare la loro progressione in modo da sviluppare sistematicamente le diverse com-
petenze dello studente;
– fissare i criteri di correttezza e di completezza di ogni esercizio;
– predisporre una guida per lo studente.
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niche può essere più esteso o più ristretto in funzione dell’ordine e grado scolastico. Le me-
todologie sono infatti correlate alle finalità specifiche che l’ordine e grado scolastico perse-
guono.
lo scopo di far acquisire competenze specifiche quali: l’equilibrio ed il controllo degli sche-
mi dinamici e posturali, lo sviluppo delle capacità coordinative oculo-manuali e spazio-tem-
porali, lo sviluppo delle capacità senso-percettive e delle azioni motorie in relazione all’età.
L’educazione alla salute, anche nelle sue componenti alimentari, è una componente im-
portante della corporeità. Essa sarà avviata fornendo, in modo contestuale alle esperien-
ze di vita, le prime conoscenze utili per la corretta gestione del proprio corpo, in modo da
promuovere l’assunzione di positive abitudini igienico-sanitarie ed alimentari (lavaggio del-
le manine o di tutto il corpo, lavaggio dei cibi, come e cosa si mangia a casa, a scuola, al ri-
storante).
L’area di apprendimento “fruizione e produzione di messaggi” è tesa a favorire la capaci-
tà di saper produrre e comprendere messaggi, tradurli e rielaborarli utilizzando una pluralità
di linguaggi e di strumenti di comunicazione. A tal fine sono previste diverse attività ineren-
ti alla comunicazione: dall’espressione manipolativo-visiva a quella sonoromusicale, a quel-
la drammatico-teatrale.
Tale area si prefigge l’acquisizione di una competenza linguistica e comunicativa promuo-
vendo tutti gli aspetti del linguaggio:
– l’aspetto formale, che riguarda il riconoscimento e la corretta pronuncia;
– l’aspetto lessicale/semantico, che riguarda l’aumento quantitativo e qualitativo delle pa-
role;
– l’aspetto sintattico, che riguarda la corretta costruzione della frase.
Inoltre, tale area si caratterizza per gli interventi rivolti all’acquisizione della fiducia del-
le proprie capacità di espressione e comunicazione, per l’impegno a farsi un’idea personale
e manifestarla, per lo sforzo di ascoltare e comprendere e per la consapevolezza della possi-
bilità di esprimere le medesime esperienza in modi diversi.
L’area di apprendimento sintetizzata in “il sé e l’altro” mira a rafforzare lo sviluppo emoti-
vo sia attraverso la promozione dell’autonomia, la stima di sé e l’identità, sia tramite la con-
divisione e la discussione di sentimenti (paura, gioia, stupore, ammirazione) discutendo in-
sieme sul senso che hanno per ciascuno queste emozioni e su come esse vengono manife-
state. Vuole inoltre facilitare lo sviluppo sociale, inteso come capacità di comprendere i bi-
sogni e le intenzioni degli altri, il riconoscimento e la valorizzazione delle diversità che si pos-
sono riscontrare nella scuola e nell’ambiente sociale.
Infine a sensibilizzare lo sviluppo etico-morale per promuovere il senso di responsabili-
tà e il rispetto verso gli altri, cercando di capire i loro pensieri, azioni e sentimenti, rispettan-
do e valorizzando il mondo animato ed inanimato. In un ambiente educativo, ogni momen-
to della vita quotidiana può essere fonte di esperienza e di apprendimento.
I contenuti e le attività dell’area “esplorare, conoscere e progettare” vogliono stimolare
la capacità di esplorare l’ambiente circostante dando un nome ad ogni cosa, trasmettere il
concetto di raggruppamento e classificazione, parlare del tempo e dello spazio. In tal senso,
le attività si concentreranno sulla conoscenza ed esperienza di oggetti, materiali, eventi os-
servabili nell’ambiente che circonda il bambino, sulla percezione e collocazione degli eventi
nel tempo, sul sapersi orientare nello spazio.
Il laboratorio rappresenta la tecnica prevalente nella scuola dell’infanzia e primaria in
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quanto esso si propone come “una palestra per imparare ad imparare”, dove l’apprendi-
mento di abilità e conoscenze da parte del bambino è visto come il risultato di un proces-
so che si fonda sul fare, sull’esperienza diretta, sull’attività, sulla sperimentazione concreta.
I presupposti pedagogici del laboratorio sono: una teoria dell’apprendimento come costru-
zione e scoperta del sapere. Nelle attività di laboratorio il bambino, infatti, è coinvolto diret-
tamente nell’esecuzione, nella sperimentazione e nell’uso dei materiali.
Il laboratorio, inoltre, è concepito come luogo di realizzazione di progetti didattici di na-
tura interdisciplinare. Il ruolo dell’educatore/insegnante all’interno di un laboratorio è quel-
lo di favorire la partecipazione del bambino alle attività, promuovere le abilità e conoscen-
ze pregresse di ciascuno in modo che esse siano spese nel processo di costruzione e scoper-
ta in gioco, sollecitare motivazione, bisogni, interessi, curiosità, dubbi, mirando allo sviluppo
della capacità di un’elaborazione critica e creativa dei saperi.
Si evidenzia che l’uso del laboratorio nella scuola primaria si differenzia da quello usa-
to nella scuola secondaria dal fatto che nel primo caso il laboratorio ha una valenza espe-
rienziale, mentre nel secondo è più agevolmente un luogo di apprendimento e di esercita-
zione pratica.
Laboratorio ludico
In questo laboratorio sono racchiuse tutte le attività che hanno come oggetto principale il gioco.
Vi sono vari tipi di giochi: di fantasia, individuali, collettivi, di squadra, per piccoli o grandi spazi, da
praticarsi all’aperto o al chiuso.
Gli obiettivi che si prefigge il laboratorio sono:
– rispetto delle regole;
– coordinazione motoria;
– coordinazione spazio-temporale;
– collaborazione/cooperazione;
– socializzazione.
Laboratorio grafico/pittorico
Questo laboratorio rappresenta per il bambino la possibilità di scoprire il linguaggio dei colori, faci-
litando l’espressione dei propri stati d’animo e del mondo interiore fantastico. All’interno di questo
laboratorio il bambino sperimenta tecniche diverse (pastelli, digito-pittura, matite, pennarelli, ecc.)
avendo la possibilità di creare forme e contenuti ideativi nuovi.
Gli obiettivi che si prefigge il laboratorio sono:
– arricchire il potenziale creativo;
– favorire l’esplorazione interiore;
– creare una comunicazione attraverso canali non verbali.
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Laboratorio di manualità
In questo laboratorio il bambino impara attraverso l’uso di vari tipi di materiali (pasta di sale, carta
crespa, carta stoffa, plastilina, didò, ecc.) a manipolare e modellare la materia, consentendogli di
creare immagini concrete sentite come prodotto della propria immaginazione. Gli obiettivi prefis-
sati sono:
– contatto con la materia;
– coordinazione oculo-manuale;
– motricità fine (coordinazione delle braccia, mani e dita).
Laboratorio teatrale
Il laboratorio di drammatizzazione è caratterizzato da due aspetti fondamentali: da un lato, permet-
te al bambino di sperimentare se stesso in uno spazio strutturato, aiutandolo ad acquisire consape-
volezza del proprio corpo e ad utilizzarlo come ulteriore mezzo di espressione dei propri vissuti ed
emozioni; dall’altro, la possibilità di assumere vari ruoli, riuscendo a giocare, agire, impersonare e
rappresentare, calandosi nel mondo che lo circonda, prendendo conoscenza dei sentimenti e delle
fantasie proprie ed altrui.
Gli obiettivi prefissati sono:
– espressione dei vissuti interiori;
– sviluppo dell’immaginazione;
– comprensione di sé, del proprio corpo e dei ruoli sociali.
Laboratorio musicale
Il laboratorio musicale propone di giocare e divertirsi con l’universo sonoro. Partendo dall’ascolto
di suoni naturali del mondo circostante e del proprio corpo (pioggia, vento, voce, mani e piedini),
si passerà alla riproduzione ritmica di tali suoni (battito delle mani, percussione di oggetti di uso
quotidiano), sino a giungere alla produzione creativa e fantastica di strumenti musicali, realizzati
dagli stessi bambini che se ne serviranno per l’attuazione di un percorso sonoro.
Gli obiettivi prefissati sono:
– sviluppare capacità di ascolto e interazione di gruppo;
– conoscenza degli elementi ritmici;
– coordinazione motoria.
Un importante momento del laboratorio musicale verrà dedicato alla “musica linguistica” per im-
parare la diversità delle intonazioni, delle musiche e dei ritmi della propria lingua madre e della
lingua inglese.
Il termine inglese peer education – letteralmente educazione alla pari – è ben noto a livello inter-
nazionale ma è tuttavia di difficile traduzione in altre lingue soprattutto a causa della presenza del
termine peer (pari, coetaneo). Questo termine fu coniato in Gran Bretagna per designare l’apparte-
nenza ad uno dei cinque gradi di nobiltà. Nel suo moderno utilizzo, indica persona della medesima
estrazione sociale, in particolare coetanei, dello stesso grado o status.
Pertanto il termine peer education indica una forma di educazione tra pari o tra persone che ap-
partengono al medesimo gruppo o che abbiano la stessa estrazione sociale, i quali instaurano un
rapporto di educazione reciproca.
Volendo utilizzare la più semplice delle definizioni, la peer education è la “comunicazione mirata fra co-
etaneo e coetaneo”. È un metodo in base al quale un piccolo gruppo di “pari”, numericamente inferiore
nell’ambito del gruppo d’appartenenza e che fa parte di un determinato contesto ambientale, opera
attivamente per informare ed influenzare il resto, numericamente maggioritario, di quel gruppo.
Questa tecnica, che si è molto evoluta negli anni e ha assunto oggi un diverso valore educativo,
risale ai primi anni del 1800 grazie al monitor system inglese: gli alunni delle scuole imparavano a
tenere lezioni al cospetto di altre scolaresche su argomenti che avevano già appreso. Tale metodo
veniva utilizzato principalmente per ragioni di ordine economico perché il ricorso agli alunni era
indubbiamente meno oneroso dell’utilizzo di docenti professionisti. Venendo ai nostri tempi negli
anni ’60 il “tutoraggio” e l’insegnamento tra coetanei ha vissuto una vera e propria fase di rinascita.
L’obiettivo era di aiutare gli allievi d’età leggermente inferiore, sostenendoli negli argomenti ogget-
to d’insegnamento, con notevoli vantaggi psicologici sia per i tutor che per gli allievi.
Gli psicologi esperti dell’educazione e della crescita, applicando le teorie di Piaget, ritenevano che
le interazioni tra pari che avvenivano durante l’apprendimento fossero un utile strumento per dare
l’avvio ai processi di ricostruzione intellettiva nel bambino. Si basavano sul concetto secondo cui i
giovani, che ricorrono al medesimo linguaggio, attuano modalità relazionali molto dirette tra loro e
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sono inoltre motivati a ricomporre le differenze tra se stessi e gli altri giovani. I giovani inoltre sono
molto più intimiditi dalla comunicazione adulto-adolescente che non da uno scambio comunicativo
informale fra loro, il quale peraltro sembra avere una maggiore capacità d’influenza reciproca.
Secondo Vygotskij, i giovani apprendono interiorizzando i processi di pensiero (cognitivi) che sono
impliciti nelle loro interazioni; queste, dunque, vanno ad agire sul pensiero individuale introdu-
cendo nuovi pattern cognitivi, che contribuiscono alla strutturazione delle possibili risposte alle
sollecitazioni esterne.
Sullivan riteneva che il peer tutoring (attività tutoriali tra pari) fosse un metodo per consentire ai
soggetti di acquisire informazioni e sviluppare strategie cognitive efficaci tramite un processo di
condivisione di pensieri, assunzione d’impegni reciproci e negoziazione di compromessi che nel
contempo consentiva di mantenere un atteggiamento d’apertura nei confronti di nuove idee. In
particolare, attraverso il processo di tutoraggio tra coetanei, i giovani possono apprendere le stra-
tegie necessarie per assolvere a compiti particolari.
Sono stati condotti numerosi studi scientifici che confermano i benefici insiti nel peer tutoring, ma
le indagini condotte di recente hanno concluso che tale approccio è maggiormente proficuo quan-
do vi sia il sostegno di tutor.
Si è inoltre riscontrato che il peer tutoring è utile quale:
– contributo all’apprendimento creativo;
– aiuto al superamento di problemi motivazionali negli allievi che hanno problemi di rendimento;
– sostegno nella costruzione dell’autostima e come esperienza sociale costruttiva;
– metodo per acquisire e sviluppare le life skills.
Capitolo 2
Come organizzare e gestire
una lezione efficace
Un esempio di tali modelli è quello messo a punto da J.G. Umstadtt, autore del famoso
Secondary school teaching.
Egli divide l’insegnamento in quattro momenti fondamentali:
– introduzione, durante la quale il docente presenta l’argomento che costituirà l’oggetto
dell’insegnamento;
– esecuzione (study work period), che occupa più della metà del tempo totale e che con-
siste in un lavoro di ricerca individuale e/o di gruppo, o in una discussione, o comunque
in un’attività che permetta al discente di acquisire padronanza con la materia in esame;
– integrazione, durante la quale i lavori dei singoli individui o gruppi vengono presentati
all’intera classe al fine di poterne sintetizzare i passi più significativi rispetto all’oggetto
di studio;
– valutazione complessiva dell’attività svolta e pianificazione dei successivi passi da com-
piere.
Varianti più recenti sono rappresentate da metodologie in larghissima misura basate sul-
la ricerca e sul lavoro svolto dagli allievi stessi, mediante una ulteriore enfatizzazione della
seconda fase del modello precedente (esecuzione).
Ma anche questi metodi, peraltro ormai spesso utilizzati nelle scuole dell’obbligo, non
possono esaurire tutta la didattica; troppe cose verrebbero lasciate al caso e l’apprendimen-
to della materia in esame risulterebbe troppo frammentario.
Occorre perciò trovare una modalità adeguata, un modo efficace per realizzare la lezio-
ne classica, minimizzandone gli inconvenienti e sfruttandone i lati positivi, tenendo nel con-
tempo presenti le esigenze economiche ed organizzative delle aziende. Inoltre, a seguito
sia delle sperimentazioni avviate nella scuola sia del processo normativo che ha caratteriz-
zato le recenti riforme è opportuno – come vedremo – che la lezione venga organizzata an-
che in base alle necessità sottolineate dalla programmazione didattica di tipo modulare e
alla corrispondenza con gli obiettivi formativi. La programmazione didattica ha infatti spin-
to la progettazione di una lezione a sviluppare i temi della multidisciplinarietà e delle attivi-
tà di rinforzo.
Per obiettivi didattici è più utile una scomposizione e classificazione di obiettivi specifici
di apprendimento che il discente si impegna a raggiungere con l’attività didattica.
Più sono definiti gli obiettivi, più sono formulati in modo chiaro, esplicito, concreto, mag-
giore è la probabilità di riuscire a progettare con tranquillità la lezione, scegliere i metodi di-
dattici, il materiale di supporto. La definizione chiara degli obiettivi conduce anche ad ave-
re un rapporto chiaro con gli studenti: in sede di contratto formativo è possibile esplicitare
gli scopi precisi della lezione con grandi vantaggi sul clima d’aula complessivo, sulla disponi-
bilità dei discenti e quindi sull’apprendimento finale, nonché valutare i risultati, giacché più
gli obiettivi sono formulati in modo preciso, più sarà agevole valutarne il raggiungimento.
Molte sono le teorie che hanno cercato di catalogare gli obiettivi dell’apprendimento,
ma è forse possibile limitarsi alle seguenti cinque categorie:
– acquisizione di conoscenze teoriche;
– acquisizione di capacità operative;
– acquisizione di capacità intellettuali di fare e risolvere;
– acquisizione di capacità intellettuali di comprensione di fenomeni complessi;
– acquisizione (o modifica) di comportamenti interpersonali.
Il maggior vantaggio di questa classificazione degli obiettivi risiede nella relativa facilità con
cui ciascun obiettivo può dar luogo alla successiva progettazione della lezione. Si possono in-
fatti stabilire alcune coerenze tra obiettivi e metodi didattici quali, ad esempio, le seguenti:
– acquisizione di conoscenze teoriche: questo tipo di obiettivi può essere raggiunto strut-
turando unità didattiche articolate in lezioni a cui far seguire esercitazioni nozionistiche
di rinforzo e consolidamento delle conoscenze acquisite;
– acquisizione di capacità operative; in questo caso la strutturazione della didattica dovrà
prevedere esercitazioni pratiche, precedute e/o seguite da brevi lezioni introduttive o di
approfondimento;
– acquisizione di capacità intellettuali di fare e risolvere: in questo caso sarà importante
prevedere soprattutto esercitazioni di tipo problem-solving, precedute da lezioni teoriche;
– acquisizione di capacità intellettuali di comprensione di fenomeni complessi: per obiet-
tivi di natura così ampia la strumentazione d’aula più indicata è costituita dal metodo dei
casi, preceduto o seguito da lezioni integrative;
– acquisizione o modifica dei comportamenti: in questo caso occorrerà prevedere unità
didattiche basate sostanzialmente su role-playing preceduti e seguiti da lezioni teoriche.
COMPETENZA
Ad ogni disciplina scolastica si attribuisce lo scopo di favorire, negli alunni, l’acquisizione di cono-
scenze e competenze specifiche; competenza è ciò che una persona sa fare grazie alle conoscenze
acquisite in un particolare ambito disciplinare, e sa utilizzare in contesti nuovi e diversi.
La lezione, sia nella forma classica, sia nelle forme più recenti ed attive, può essere le-
gittimamente impiegata solo per il raggiungimento degli obiettivi del primo tipo, e cioè solo
per migliorare le conoscenze teoriche. In tutti gli altri casi essa rappresenta un supporto od
un completamento di altri metodi didattici più adeguati.
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La lezione come strumento didattico rimane uno dei più diffusi perché evidentemente vi
sono anche dei vantaggi che possono essere sintetizzati:
a) la lezione è il metodo didattico in assoluto più efficiente: consente cioè di trattare un ele-
vato numero di argomenti in un tempo molto più contenuto rispetto a tutti gli altri stru-
menti didattici;
b) qualche volta la lezione è l’unico strumento didattico utilizzabile a causa della eccessiva
numerosità delle classi. Dal momento che la condizione di insegnamento ottimale con
l’alternanza di varie tecniche dovrebbe essere svolta in un gruppo di massimo 15 – che
non è quella che si registra nelle nostre scuole – è necessario gestire gruppi numerosi at-
traverso la classica lezione. La maggioranza dei metodi attivi rischia spesso di non essere
facilmente applicabile data la numerosità delle classi;
c) vi è anche un importante elemento di aspettativa degli studenti di cui tener conto.
Infatti le consuetudini scolastiche hanno stabilizzato un modello didattico in base al qua-
le coloro che entrano in un’aula si aspettano, e spesso richiedono fermamente, che il do-
cente faccia loro una lezione sugli argomenti in programma. Ogni comportamento del
docente in direzione contraria a tali aspettative può ingenerare, almeno inizialmente, re-
azioni negative e resistenze psicologiche qualche volta molto forti.
Può perciò, in queste situazioni, essere necessario iniziare il corso proprio con una o più
lezioni in modo da facilitare l’inizio del rapporto, e passare a strumenti didattici più atti-
vi solo successivamente;
d) vi è inoltre un fattore molto importante da tener presente quando si esaminano inconve-
nienti e vantaggi della lezione: essa non può essere sostituita da nessun altro strumento
didattico in tutti i casi in cui si ha per obiettivo la trasmissione delle nozioni di base di una
certa disciplina. Si tratterà perciò di non valutare se la lezione è da utilizzarsi o meno, ma
solo come realizzarla al meglio, visto che, in questi casi, non vi sono alternative praticabili;
e) vi è infine un ultimo vantaggio, questa volta a beneficio del docente: la lezione, soprat-
tutto quella classica, è lo strumento didattico che richiede meno fatica in fase prelimina-
re e che risulta più comodo, più sicuro da gestire in aula.
2. Domanda-stimolo all’aula
Si tratta di sollecitare l’aula ad entrare immediatamente in rapporto dialettico col docen-
te in modo da rendere, da subito, minime le probabilità di un ascolto passivo, e perciò poco
proficuo.
L’esatta natura dello stimolo – che può essere rappresentato dalla richiesta di racconta-
re le proprie esperienze su quel tema, o da domande provocatorie, o da richiesta di pareri
soggettivi – va naturalmente calibrata a seconda dell’argomento, del livello dei discenti e del
tipo di tesi che poi, nello sviluppo successivo della lezione, si intende sostenere.
Inoltre, la domanda deve essere tale da consentire a tutti di rispondere, deve cioè far
leva su conoscenze od esperienze sicuramente possedute dai partecipanti.
La domanda-stimolo serve a coinvolgere e stimolare il gruppo e allo stesso tempo forni-
sce preziose informazioni al docente circa il livello di conoscenza iniziale, competenza, cu-
riosità verso l’argomento trattato.
Ed infine consente ai partecipanti ed al docente di collegare le successive nozioni teori-
che alle conoscenze pregresse dei partecipanti stessi, con una indubbia facilitazione dell’ap-
prendimento.
3. Discussione
A volte il tipo di domanda-stimolo proposto al gruppo richiede non solo una semplice
raccolta delle risposte, ma una vera e propria breve discussione, magari solo per chiarire i
termini impiegati da vari partecipanti, o forse anche proprio per esplicitare e confrontare le
tesi proposte. In questa fase è bene che il docente utilizzi i consueti metodi della gestione
delle riunioni di discussione evitando di formulare tesi personali che invece emergeranno
dalla successiva esposizione.
ma volta che si realizza quella certa lezione il problema del corretto bilanciamento tempo/
contenuti è pressoché irrisolvibile. Comunque la prima volta che si tiene una lezione agisco-
no sul docente due spinte psicologiche che, spessissimo, lo portano ad eccedere notevol-
mente nei contenuti, e cioè:
– il docente vive le sue prime lezioni su un nuovo argomento con maggiore insicurezza dell’u-
suale e tende a rassicurarsi preparando molto materiale da inserire nella sua trattazione;
– in secondo luogo, chi conosce una certa materia cade sovente nella tentazione, un po’
perversa, del “questo non si può non dire: è troppo importante!”.
Per dimensionare correttamente i contenuti rispetto al tempo disponibile sfortunata-
mente non esistono parametri quantitativi che ci aiutino, per cui l’unica strada possibile
sembra quella empirica consistente nel fare una prova preliminare, tenendo però in consi-
derazione che nella situazione d’aula necessiterà un 30-60% in più del tempo a causa delle
domande e degli interventi dei partecipanti.
– l’utilizzo delle teorizzazioni per risolvere nuovi problemi concreti in parte differenti da
quelli che hanno dato luogo alla teorizzazione ma abbastanza simili da suggerirne la spe-
rimentazione (il che dà luogo a nuove esperienze, ed il ciclo riprende dall’inizio).
Si tratta di un processo circolare che tutti noi percorriamo nel nostro personale processo
di apprendimento e che potrebbe essere anche descritto con la particolare attitudine all’ap-
prendimento che, in ciascuna fase, viene impiegata:
– nella prima fase viene impiegata soprattutto l’attitudine alla concretezza;
– nella seconda, all’osservazione riflessiva;
– nella terza, alla concettualizzazione astratta;
– nella quarta, all’azione.
Kolb sottolinea che ciascuno ha una sua personale predilezione per l’una o l’altra del-
le quattro citate attitudini e che quindi essa diventa, per così dire, la “porta d’ingresso” che
contraddistingue lo stile personale di apprendimento.
In chiave didattica, ciò comporterebbe la necessità di impostare lezioni secondo una suc-
cessione pedagogica congruente con lo stile d’apprendimento dei discenti. Ma dato che non
è possibile conoscere a priori lo stile d’apprendimento personale di ciascun partecipante,
è necessario formulare delle ipotesi, tenendo conto di quei fattori che più probabilmente
condizionano lo stile d’apprendimento stesso. Per esempio iI livello presunto di conoscen-
za della materia è un fattore influenzante: a parità d’altre condizioni, più le persone cono-
scono una materia, più si aspettano e desiderano un approccio teorico di buon livello, che
dia già per scontata una larga massa di informazioni di base e che sottintenda quindi espe-
rienze e riflessioni precedenti. Sarà opportuno iniziare dalle concettualizzazioni o addirittu-
ra dai problemi ancora aperti (rispettivamente 3a e 4a fase secondo la teorizzazione di Kolb).
Viceversa chi non conosce quasi nulla della materia necessita di un approccio più progressi-
vo che cerchi di compensare la mancanza di esperienze precedenti e di riflessioni su quell’ar-
gomento: sarà quindi opportuno iniziare proprio dalla 1a fase (esperienza concreta) facen-
do esempi semplici, mostrando alcune relazioni di base, per poi passare a concettualizzare.
Un fattore altrettanto importante è dato dalla percezione di concreto vantaggio che gli stu-
denti hanno nell’apprendere quei determinati contenuti. Per esempio, scoprire che la cono-
scenza di determinati meccanismi di tutela del diritto ha riscontro nella loro vita quotidiana.
(come nel metodo precedente), ma solo per far sì che ogni partecipante focalizzi l’attenzio-
ne su quella questione. Infatti la domanda crea una sorta di tensione mentale, attiva il pen-
siero di chi ascolta: di fronte ad una domanda, tutti, automaticamente, reagiamo con una
serie di silenziose risposte ipotetiche o con una serie di altre domande (sempre silenziose).
Anche l’ascoltatore più disattento, più sprofondato nei propri pensieri, viene vitalizzato da
una domanda posta in forma chiara e concisa.
La terza modalità utilizzabile per favorire il coinvolgimento e la partecipazione del grup-
po è rappresentata dai cosiddetti rilanci; dal chiedere, cioè, espressamente al gruppo nel
suo insieme di esprimere dei pareri, delle opinioni (anche di disaccordo), delle impressioni
su quanto si va dicendo. Le forme verbali impiegabili sono varie e dipendono dallo stile del
docente, dalla materia trattata e dal tipo di partecipanti: si va dal quasi banale, ma sempre
utile “Vi sembra tutto chiaro fin qui?” al “Qualcuno ha degli esempi personali su quest’ar-
gomento?”, ecc. Perché il rilancio abbia buone probabilità di sortire i risultati auspicati, oc-
corre che:
– il clima generale d’aula sia positivo, e cioè non vi siano fra i partecipanti più o meno la-
tenti paure di valutazione; il docente effettui il rilancio in modo reale e non solo formale,
vale a dire che lasci uno spazio di tempo sufficiente perché i partecipanti formulino men-
talmente la frase, superino quell’attimo di incertezza e di inibizione in molti presente in
situazioni pubbliche e, infine, parlino;
– inoltre, il docente deve dare precisi segnali di disponibilità al dialogo, sia sul piano non
verbale (spegnere la lavagna interattiva, guardare il gruppo, sorridere, manifestare aper-
tamente aspettativa) sia su quello verbale, e cioè ripetendo in termini diversi il rilancio.
Naturalmente la necessità di rilanci è maggiore all’inizio della lezione, giacché più avanti,
se l’inizio è stato adeguato, gli interventi dei discenti diverranno più frequenti e spontanei.
Tuttavia, in special modo durante le lezioni su argomenti un po’ aridi, resta sempre la neces-
sità di spezzare la docenza complessiva in sottoinsiemi.
L’impiego delle tecniche sopra descritte presenta però alcuni inconvenienti che val la
pena di segnalare:
– se il gruppo viene coinvolto, poi occorre in qualche modo soddisfare anche le esigenze
che manifesta, rispondere ai dubbi, permettere la discussione, il che comporta un rapido
aumento dei tempi totali: se la lezione “ad una via” richiede poniamo 30 minuti, i mede-
simi contenuti giocati a “due vie” ne portano la durata ad almeno un’ora e mezza;
– questa modalità didattica espone molto di più il docente ai rischi derivanti da eventuali
contestazioni dei contenuti che tratta e quindi occorre che egli abbia un po’ d’esperienza
d’aula, sia per poter avere la tranquillità e la sicurezza necessarie a mettersi in gioco con
il gruppo, sia per poter gestire la discussione in termini positivi, senza bloccare il gruppo
con interventi autoritari o, peggio ancora, punitivi;
– infine esiste un vincolo già ricordato: il numero massimo di partecipanti dovrebbe esse-
re intorno ai 15 soggetti.
D’altro canto, però, il coinvolgimento del gruppo consente alcuni ineguagliabili vantaggi
in merito all’efficacia complessiva della didattica, e cioè:
– mediante l’analisi del tenore del dibattito che si sviluppa dopo ogni sottoparte il docente
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è in grado di verificare il reale livello di comprensione da parte del gruppo (o, se si pre-
ferisce, il grado di chiarezza da lui impiegato nell’esporre) e quindi di tarare le parti suc-
cessive della lezione in base a quanto emerso; il dibattito e/o le domande costituiscono
perciò un feedback prezioso;
– le discussioni tra ogni sottoparte e le successive sono anche il mezzo mediante il quale il
gruppo può riesaminare, anche criticamente, quanto detto dal docente, adottando otti-
che esperienziali differenti: ciò costituisce, oltre che una verifica dei contenuti, anche il
necessario “rimasticamento” di quanto ascoltato per poterlo realmente far proprio;
– nessun docente è immune dal rischio di essere noioso o prolisso o monotono: l’interru-
zione tra ogni sottoparte e la successiva spezza la monotonia e contribuisce a tener de-
sta l’attenzione;
– ascoltare il docente è più faticoso che ascoltare le osservazioni degli altri studenti parte-
cipanti, in quanto il docente generalmente “comprime” molto di più i concetti. Le pause
servono perciò anche come momento di rilassamento.
Per gestire efficacemente le domande è forse utile premettere che la domanda è un pre-
zioso alleato del docente; sempre, anche quando sembra polemica, la domanda comunica
importanti informazioni al docente circa il livello motivazionale dell’aula, le paure che ser-
peggiano inespresse, la dinamica interpersonale, le aree di interesse personale.
Inoltre un gruppo che non pone domande spesso denuncia una situazione negativa: for-
se l’esposizione è stata oscura ad un livello tale che nessuno è in grado di far domande, for-
se esiste un forte disturbo tra docente e gruppo, forse esistono altri problemi, ma comun-
que il silenzio del gruppo rappresenta un segnale di pericolo per il docente.
Vi sono tuttavia due situazioni in cui il silenzio del gruppo non deve allarmare: all’inizio
della lezione quando il gruppo è ancora “freddo” e quindi ancora molto resistente ad espor-
si, e in presenza di un argomento assolutamente sconosciuto.
È anche importante ricordare che, a parità di altre condizioni, più domande nascono e
meglio è per l’apprendimento: è infatti dimostrato che la motivazione positiva ad ottenere
una informazione innalza grandemente il livello di memorizzazione di quell’informazione.
Ed infine, ogni conflitto con le persone, o con il gruppo nel suo insieme, tra gli altri incon-
venienti, comporta uno spostamento dell’attenzione dai contenuti della materia che si desi-
dera insegnare ai processi che stanno avvenendo in aula, con evidente perdita di apprendi-
mento sulla materia. Per quanto riguarda la gestione pratica delle domande, possiamo dire
che in linea generale essa andrebbe condotta nell’ottica di ottenere il massimo numero pos-
sibile di domande, appunto in base alle considerazioni fin qui svolte. Si potrebbe obietta-
re che in tal modo la trattazione della materia può risultare spezzettata, disordinata, senza
capo né coda, insomma, poco efficace; ma non è così per almeno due ragioni.
Innanzitutto perché raramente i gruppi pongono un numero tale di domande da rende-
re davvero caotica la trattazione della lezione (spesso il gruppo tende a rimanere passivo e
ad attendere la fine della lezione e quindi l’obiezione è più teorica che reale); possono an-
che verificarsi lezioni in cui il gruppo è davvero molto attivo e pone parecchie domande an-
che polemiche: salvo rarissimi casi estremi, queste lezioni sono più interessanti ed istruttive
rispetto a lezioni forse più ordinate, ma spesso noiose e poco memorizzabili.
In secondo luogo, quando anche il volume complessivo delle domande fosse eccessivo,
il docente può sempre intervenire in modo cortese ma fermo e riportare il discorso su quei
binari che considera più adatti e proficui. Dal principio generale “cercare di ottenere il mas-
simo numero di domande” derivano le seguenti raccomandazioni pratiche per la gestione
delle domande:
– se la domanda è pertinente rispondere subito, senza rimandi a momenti successivi;
– se la domanda anticipa argomenti in programma per momenti d’aula successivi dare
una breve risposta di contenuto segnalando che, dato che se ne parlerà ancora più avan-
ti, si potranno avere risposte più esaurienti; è necessario però dare comunque una bre-
ve risposta di contenuto sia per soddisfare l’esigenza del partecipante e migliorarne per-
ciò l’apprendimento, sia per dare un generale segnale positivo di disponibilità. Vi è co-
munque da chiedersi: “Se alle persone viene in mente ora, in questo punto della lezio-
ne, di sapere quelle certe cose che io ho collocato più avanti nel programma, non ho for-
se sbagliato la successione didattica?”; se la domanda è in tutto od in parte fuori tema
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dare una breve risposta di contenuto e segnalare che però, dato che l’argomento è fuori
tema, sfortunatamente non lo si può approfondire ulteriormente;
– se la domanda è polemica, oppure è una obiezione che denuncia in toni accesi opinioni
differenti da quelle esposte dal docente, dare una risposta di contenuto cercando di evi-
tare di “entrare in dinamica”, evitando cioè di dar seguito alla parte polemica della do-
manda. È questo forse uno dei momenti più difficili, perché presuppone nel docente una
grande tranquillità e pacatezza, tale da non reagire alle provocazioni di questo o quel
partecipante; quindi, dato che ogni domanda, anche quella più polemica, ha una parte
di contenuto, attenersi a quello.
– i riepiloghi a fine lezione vanno sempre fatti, perché consentono di rimettere, per così
dire, in ordine le informazioni trattate durante la lezione stessa, ma devono essere con-
tenuti in pochissimi minuti;
– i riepiloghi a fine lezione andrebbero fatti con cautela e, se possibile, dovrebbero essere
sostituiti da riepiloghi posti in apertura della giornata successiva.
Vediamo ora brevemente come fare un riepilogo, premettendo però che, pur essendoci
alcuni metodi aventi più vantaggio di altri, non è detto che essi vadano sempre preferiti. An-
che per il metodo, come per il momento in cui farli, il docente dovrà valutare di volta in vol-
ta la specifica situazione ed optare per la soluzione che ritiene più adeguata.
2. Riepilogo guidato
Il riepilogo guidato consiste nella ripetizione dei passaggi principali della lezione, fat-
ta però non dal docente, ma dal gruppo attivato e guidato da opportune domande-stimolo
poste dal docente e scelte in modo tale da richiamare l’attenzione sui concetti fondamen-
tali della sua esposizione. Se gli obiettivi didattici della lezione sono stati chiariti adeguata-
mente, se quindi sono stati identificati gli argomenti-chiave, l’individuazione delle doman-
de-stimolo più appropriate da porre in questa fase sarà molto agevole. Il riepilogo guidato
può essere utilizzato per tutte le materie che costituiscono oggetto di lezione e permette al
docente di ritornare su argomenti che ritiene essere di elevata importanza o che siano sta-
ti poco compresi dal gruppo. Il grande vantaggio di questo metodo, rispetto al normale ri-
epilogo fatto direttamente dal docente, è rappresentato dallo sforzo che i partecipanti de-
vono compiere per ricordare le cose ascoltate, sforzo innescato ed attivato dalle domande-
stimolo. Tale sforzo costituisce un metodo per consolidare il ricordo ed è molto più effica-
ce del semplice riascolto. Il limite principale del riepilogo guidato sta nella scarsa garanzia
che esso dà circa il fatto che tutti i partecipanti compiano lo stesso sforzo e raggiungano lo
stesso grado di apprendimento; è quasi certo che alcuni di essi risponderanno alle domande
molto più rapidamente della maggior parte dei colleghi, bruciando in tal modo l’efficacia del
riepilogo nei confronti degli altri (più lenti o solo meno competitivi). Un possibile modo per
ovviare a questo inconveniente consiste nel pregare gli studenti di non rispondere subito a
voce, ma di annotarsi su di un foglio di carta la risposta e poi, dopo un breve lasso di tempo,
chiedere al gruppo la risposta. In questo modo vi è qualche garanzia in più che tutti abbiano
quanto meno pensato alla risposta.
Un secondo limite del riepilogo guidato è rappresentato dal fatto che esso consolida i
concetti nella stessa forma in cui sono stati esposti: non vi è nessuna garanzia che in situa-
zioni analoghe, ma lievemente differenti, gli studenti applichino il medesimo concetto (è il li-
mite di tutto l’apprendimento nozionistico: quale sarà il reale livello di trasferimento dell’ap-
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prendimento?). Il terzo limite è infine costituito dalla sua non applicabilità in alcune situa-
zioni, quali ad esempio: nei gruppi ancora in fase di “riscaldamento”, e cioè all’inizio della
lezione, in quanto il basso livello di fiducia reciproca e di socializzazione presente nei gruppi
in questa fase rende poco consigliabile una modalità didattica che invece richiede ai parte-
cipanti di esporsi anche al rischio dell’errore.
3. Riepilogo libero
Il riepilogo libero consiste nel chiedere alle persone di indicare i due o tre aspetti del-
la lezione che ritengono più utili e/o interessanti e l’aspetto che è risultato più oscuro o di-
scutibile. Ciascuno annota su un foglio di carta le sue risposte personali, anche rivedendo i
vari appunti, e poi il docente fa un rapido giro per raccogliere il parere di tutti, possibilmen-
te utilizzando la lavagna a fogli mobili o la classica lavagna. Questo metodo, impiegabile solo
per i riepiloghi “del giorno dopo” e comunque non per quelli di fine lezione, ha due grandi
vantaggi. Innanzitutto costringe indirettamente le persone a ripassare l’intera materia trat-
tata ed a valutarla in termini di utilità e di interesse, il che rappresenta un valido ed effica-
ce esercizio per la memoria. In secondo luogo permette al docente di raccogliere importanti
feedback sia sugli aspetti positivi della lezione, sia e soprattutto sulle aree di non compren-
sione o di dubbio o di disaccordo esistenti in aula.
Il che gli consentirà di riprendere ed approfondire, subito o più avanti a seconda delle
esigenze di programma, i contenuti indicati come critici, con indubitabili vantaggi per l’ap-
prendimento.
I limiti del riepilogo libero sono sostanzialmente dati da:
– il tempo;
– l’impossibilità ad impiegarlo ripetutamente: non si può infatti ogni mattina entrare in aula ed
aprire la giornata con un riepilogo, giacché interviene una sorta di stanchezza sul metodo;
– l’impossibilità di impiegarlo, nel caso di materie molto nozionistiche, a valle delle primis-
sime lezioni di base, giacché le persone non sono di solito in grado di rispondere alla pri-
ma parte del quesito, e cioè non sono ancora in grado di valutare criticamente le nozio-
ni ascoltate (sono invece in grado di indicare le aree dubbiose o non chiare).
proposito degli schemi vi è un certo dibattito circa l’opportunità di consegnarli all’inizio del-
la lezione o alla fine della stessa. Si ritiene didatticamente più efficace all’inizio, perché in
tal modo i partecipanti non devono impiegare tutto il loro tempo prendendo appunti con
evidente guadagno di attenzione. Alla seconda classe (materiale d’appoggio) appartengono
tutte le letture, gli articoli, le dispense, che vengono dati affinché i partecipanti possano suc-
cessivamente rileggere i contenuti trattati durante la lezione o approfondirne alcuni aspet-
ti particolarmente significativi. È opportuno che questo materiale venga distribuito alla fine
della lezione, con qualche breve commento delucidativo.
cune scuole si trova il sostituto moderno della vecchia lavagna scolastica: una grande lava-
gna fissata alla parete e realizzata in materiale plastico bianco, su cui scrivere con gli appo-
siti pennarelli “a secco”.
Potremmo concludere dicendo che questa lavagna, a parte l’aspetto estetico e di como-
dità, presenta solo marginali miglioramenti nella gestione didattica rispetto alla lavagna tra-
dizionale. Un ulteriore tipo di supporto visivo “povero”, avente cioè un costo ridotto ed uno
scarso utilizzo di tecnologia, è la lavagna a fogli mobili (la flip-chart degli anglosassoni).
In conclusione, nella maggior parte delle situazioni, la lavagna a fogli mobili è, tra gli stru-
menti fin qui esaminati, quello più adatto per supportare visivamente l’animazione di una
lezione.
L’insieme degli inconvenienti, accanto ai grandi vantaggi dello strumento, spinge ad ap-
profondire l’argomento individuando le modalità migliori sia per la preparazione dei lucidi o
delle diapositive in Power Point sia per la gestione in aula.
Gli inconvenienti visti a proposito della lavagna luminosa suggeriscono le seguenti av-
vertenze da adottare in sede di preparazione dei lucidi o delle diapositive in Power Point:
– ogni lucido/diapositiva deve contenere poche parole, in pratica solo il messaggio fon-
damentale che si vuoi trasmettere, e dovrebbe contenere uno o comunque pochissimi
messaggi;
– i numeri sono da evitare, se possibile, o comunque da limitare al minimo indispensabi-
le; meglio sarebbe sostituirli con istogrammi e rappresentazioni grafiche di vario tipo che
sono meno noiosi e più facili da ricordare;
– è molto consigliabile utilizzare scritte colorate, dato che il colore colpisce maggiormente
e facilita la memorizzazione; i colori più efficaci sono: nero, blu, rosso, verde, viola;
– l’uso di disegni è da limitare a quei casi in cui effettivamente il disegno dà un grande va-
lore aggiunto in vista della comprensibilità generale del discorso.
– il compito è stato spiegato in modo non sufficiente per cui i sottogruppi hanno dovuto fa-
ticare per chiarirselo al loro interno;
– è il primo lavoro in sottogruppi e quindi le persone devono imparare il metodo, il che ri-
chiede tempo.
Indipendentemente dalla causa, che suggerirà al docente modifiche progettuali per le
future attività didattiche, è quasi sempre opportuno concedere del tempo supplementare
in modo da completare l’esercitazione, con l’avvertenza però di dare una quantità definita
non troppo elevata ed uguale per i vari sottogruppi.
E se un sottogruppo dovesse avere grosse difficoltà nello svolgimento del compito?
In questi casi il tipo di aiuto che il docente può legittimamente dare è non tanto di sosti-
tuirsi ai partecipanti dando loro la soluzione del problema, quanto di suggerire la strada da
imboccare per migliorare il risultato.
Durante l’attività dei sottogruppi gli errori in cui il docente può incorrere sono:
– non effettuare alcun tipo di verifica, con il rischio che i gruppi si blocchino sul tentativo
di capire il compito o di scoprire solo alla fine che un sottogruppo non è riuscito a com-
pletare il lavoro;
– dare aiuti sostanziali ad uno solo dei sottogruppi perché magari è stato più esplicito de-
gli altri a chiedere aiuto.
Per quanto riguarda infine la gestione della plenaria, le avvertenze da adottare sono del
tutto simili a quelle già viste a proposito delle esercitazioni individuali, e cioè innanzitutto far
esporre a ciascun sottogruppo il risultato del suo lavoro; al termine, favorire la discussione
collettiva; alla fine, se necessario, dare analitiche spiegazioni sulla soluzione corretta. L’uni-
ca variante a questo processo può verificarsi allorché si discutano esercitazioni “aperte”: in
tal caso è necessario esaminare i lavori dei sottogruppi dopo ogni relazione, giacché, per de-
finizione, i risultati dell’esercitazione possono essere molto diversi, e quindi poco confronta-
bili, anche se ugualmente corretti.
Durante la plenaria gli errori da evitare sono soprattutto inerenti allo stile che il docente
adotta nella gestione della discussione, e cioè:
– esprimere valutazioni e confronti tra i valori dei sottogruppi in modo personalizzato;
– consentire che in plenaria ci si rimetta a discutere dei conflitti interni dei singoli sotto-
gruppi;
– “bruciare” la discussione collettiva esprimendo subito i propri pareri.
ti scopi ed effetti differenti, anche se poi in ultima istanza sono tutte indirizzate ad una meta
pedagogica.
Prendendo lo spunto da alcune ricerche sperimentali effettuate nella scuola elementa-
re, in questo capitolo esamineremo le funzioni che il docente svolge durante la sua attivi-
tà d’aula, e cioè:
– funzione organizzativa;
– funzione informativa;
– funzione di sviluppo;
– funzione di feedback cognitivo;
– funzione affettiva.
Per ciascuna di queste funzioni si cercherà da un lato di indicare l’insieme dei comportamen-
ti in cui si esplicita, dall’altro di esaminarne le ripercussioni sull’efficacia didattica complessiva.
La prima funzione esaminata è quella organizzativa ed in essa rientrano tutte quelle azio-
ni del docente che regolano la vita d’aula, che creano e mantengono le condizioni necessa-
rie per l’insegnamento. Non riguarda perciò il contenuto o la materia da insegnare, quanto
proprio l’aspetto organizzativo d’insieme. Si tratta perciò di:
– determinare l’ordine delle attività da svolgere, organizzarle, definire i tempi e le modali-
tà operative;
– regolare la partecipazione e gli interventi dei partecipanti (il docente indica l’allievo o gli
allievi che vuole che intervengano, svolgano un compito, compone i sottogruppi, regola
le discussioni, ecc.);
– gestire le situazioni di conflitto o di competizione (il docente risolve il conflitto, oppure
invita le persone a regolare da sé i propri disaccordi in altri momenti, ecc.).
Come si può notare, si tratta di attività tipiche non solo della situazione didattica, ma an-
che di altri momenti sociali, quali ad esempio la gestione e la conduzione delle riunioni. È
perciò una funzione che deve essere sempre presente, in continuo, durante tutto il tempo
d’aula, in special modo:
– all’inizio, in modo da impostare correttamente il lavoro nel suo complesso, specificando-
ne i termini organizzativi;
– in presenza di ogni nuovo modo di strutturare il tempo d’aula, per esempio, nella fase di
lancio di un’esercitazione, di un role-play, di analisi di caso;
– durante le discussioni in plenaria, in modo da coordinare la riunione e l’apporto di tutti.
Un uso insufficiente da parte del docente di questa funzione, e cioè uno scarso presidio
degli aspetti organizzativi, comporta generalmente una diminuzione dell’efficienza, giacché
si impiega più tempo del necessario proprio per far fronte a difetti organizzativi, e quindi le
discussioni si protraggono inutilmente perché manca chi le coordina, i lavori di sottogruppo
sono più lunghi e faticosi perché non sono chiare le istruzioni, le persone arrivano in ritar-
do o se ne vanno prima, ecc.
Un uso eccessivo di questa funzione, viceversa, comporta una gestione autoritaria e sof-
focante dell’attività didattica, con conseguente caduta del livello di partecipazione da par-
te dei singoli e con una scarsa formazione di quello spirito di gruppo che invece rappresen-
ta uno dei principali promotori dell’apprendimento.
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Vi è un particolare momento in cui il docente può definire con il gruppo l’insieme delle
norme organizzative che regoleranno il lavoro comune: ed è l’inizio del corso stesso, allor-
ché il docente stipula con i partecipanti il cosiddetto contratto formativo.
È un momento molto delicato perché il livello di attenzione è massimo e si concentra non
solo sui contenuti della comunicazione che il docente effettua, ma anche e soprattutto su
tutti gli aspetti non verbali e sui segnali anche deboli che egli emette. Gli studenti cercano in
pratica di capire, di inquadrare, di cogliere l’essenza, il nocciolo sia del docente, sia della si-
tuazione nel suo complesso.
È quindi necessario che la trattazione dei vari temi sia esplicita ed aperta, e che nulla
venga lasciato nel regno del “non detto”, per evitare rischi di pericolose e disturbanti inter-
pretazioni da parte dei convenuti.
In generale gli argomenti da trattare in fase iniziale sono:
– gli obiettivi didattici;
– gli obiettivi generali in termini di competenze da sviluppare;
– il programma da svolgere con l’indicazione dei metodi didattici e degli argomenti.
Le attività del docente che rientrano nella categoria del “dare informazioni” sono quel-
le tipiche dell’insegnamento e riguardano il contenuto della materia oggetto della lezione,
quali, ad esempio:
– esporre, chiarire, spiegare, interpretare, generalizzare, sintetizzare i concetti oggetto
d’insegnamento;
– rispondere alle domande degli studenti;
– porre domande, formulare problemi, assegnare compiti, esercizi da svolgere;
– dare indizi suggerendo risposte;
– fornire un aiuto non richiesto.
In generale le attività di questo tipo tendono ad essere sempre presenti in modo massic-
cio nelle lezioni, giacché ne costituiscono per così dire l’ossatura. Tuttavia, anche limitando-
si alla lezione, senza cioè pensare ad altri metodi didattici, si può dire che la proporzione del
tempo delle attività prettamente informative del docente rispetto al tempo totale è piutto-
sto variabile in base a:
– materia da insegnare, dato che alcune materie sono, per loro natura, più nozionistiche
di altre e quindi richiedono maggiori attività informative;
– destinatari dell’insegnamento: meno conoscono la materia che si spiega in aula, meno
si sentono sicuri di se stessi, meno sono abituati ad una partecipazione attiva, più il do-
cente sarà costretto a svolgere, in proporzione, attività informativa;
– fase di sviluppo del gruppo: infatti più il gruppo è in una fase iniziale della sua vita socia-
le e psicologica, maggiore sarà l’attività informativa del docente.
Le attività di questo tipo devono invece essere meno presenti durante l’utilizzo di altri
metodi didattici (esercitazioni, role-playing, ecc.), in modo da favorire la possibilità che cia-
scun allievo trovi da sé le risposte corrette ai problemi posti, uscendo dal rapporto stellare
docente-allievo.
Caratteristica essenziale dell’insegnamento è di favorire, suscitare, ampliare il contribu-
to degli allievi. Mentre nel dare i contenuti l’insegnante è al primo posto, qui predomina l’al-
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lievo a cui si chiede di essere creativo e di scoprire soluzioni. Appartengono a questa funzio-
ne le azioni del docente che mirano a:
– far fare esercitazioni pratiche;
– far scoprire personalmente agli allievi la risposta ad un particolare quesito tramite ricer-
ca, osservazione, consultazione;
– stimolare la partecipazione diretta, il coinvolgimento delle persone nelle discussioni;
– creare in generale una situazione stimolante.
L’utilizzo di questa funzione facilita l’apprendimento in quanto la scoperta autonoma e
personale dell’allievo e la sua verifica successiva lo rinforzano nell’apprendimento acquisi-
to. Inoltre, la discussione aperta dei temi trattati permette alle persone di trasporre i con-
cetti nella realtà esterna e, viceversa, di portare in aula e di mettere in comune le esperien-
ze maturate in altre situazioni.
I comportamenti dei docenti atti a favorire lo sviluppo dei partecipanti rappresentano il
naturale seguito e complemento dell’attività di trasmissione dei contenuti, in quanto con-
sentono di alleggerire la teoria e, soprattutto, di “far crescere” la conoscenza disciplinare.
Un uso troppo scarso di questi comportamenti ingenera nel gruppo un forte senso di “peso”
da eccesso di teorizzazioni. Viceversa un loro uso eccessivo comporta un senso di stanchez-
za, di dispersione e di perdita di tempo.
Nella categoria del “dare il feedback cognitivo” rientrano le informazioni date dal do-
cente all’allievo sulla qualità delle sue prestazioni, atte cioè ad approvare o disapprovare in
modo specifico l’operato degli studenti: ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che il feedback
è condizione necessaria per qualsiasi processo di apprendimento.
Naturalmente il feedback è spesso intrinseco, è cioè ottenibile dal discente in modo au-
tonomo verificando il successo ottenuto nel compiere una certa esercitazione o nel risolve-
re determinati problemi.
In particolare, il feedback positivo si è rivelato un potente acceleratore sia dell’apprendi-
mento in sé, sia del livello generale di partecipazione, di motivazione o di disponibilità. Sfor-
tunatamente, l’impiego di questa modalità è nella nostra cultura poco diffuso, con conse-
guenze che possono essere negative: la mancanza di rinforzi positivi, infatti, può sviluppare
un clima di incertezza, di difesa, di paura di sbagliare, di rinuncia.
Se non si utilizza questa funzione, e non si mostra alcuna reazione dopo che un allievo
ha svolto un’attività, all’inizio ci sarà forse più impegno da parte sua nella speranza maga-
ri di ottenere un’approvazione, ma prima o poi è possibile che insorga l’incertezza (“avrò
fatto bene?”), con il rischio di avere una perdita di iniziativa e di entusiasmo. L’utilizzo del
feedback positivo permette invece di cogliere e far partecipe l’allievo dei suoi comporta-
menti migliori.
Anche il feedback negativo è importante ai fini dell’apprendimento perché consente allo
studente di misurare la distanza tra la sua prestazione e quella ottimale. Ma esso può essere
dato solo all’interno di un clima generale di affettività positiva e solo a patto che sia seguito
da un reale incoraggiamento verso la soluzione giusta.
In generale, perché i feedback, sia positivi sia negativi, possano realmente svolgere la
loro funzione di orientamento comportamentale, occorre che siano:
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– relativi al fatto e non alla persona, altrimenti si rischia di scatenare moti di invidia da par-
te degli altri allievi e la nascita di situazioni competitive (nel caso di feedback positivi) o
di deprimere e squalificare il partecipante (nel caso di quelli negativi);
– immediati, giacché se troppo dilazionati perdono la propria efficacia in quanto risultano
psicologicamente scollegati e distanti dalle azioni cui si riferiscono;
– sinceri: ogni venatura di falsità percepita dai partecipanti suona come squalifica del grup-
po e mina la credibilità del docente.
A seconda dello stile adottato dal docente nell’emissione di feedback positivi e negativi,
è possibile ipotizzare quattro diverse situazioni d’aula:
– situazione di smarrimento, dovuta all’eccessiva carenza di segnali da parte dei docente,
sia positivi sia negativi: i partecipanti non capiscono quanto di giusto e di sbagliato vi sia
nel loro comportamento e non riescono perciò ad orientarsi;
– situazione di incoraggiamento, dovuta ad una forte prevalenza di feedback positivi su
quelli negativi: il gruppo allora si sente molto gratificato dei risultati raggiunti e quindi
tende a galvanizzarsi sempre di più; il rischio è che un eccesso in questa direzione da par-
te del docente può far sorgere il sospetto di falsità;
– situazione punitiva, dovuta ad un eccesso di feedback negativi: il gruppo si sente costan-
temente punito e tende quindi a deprimere il proprio livello di attività;
– situazione ideale, caratterizzata da molti feedback sia negativi sia positivi; in questo caso
vi è solo il rischio di una percezione di eccessiva direttività del docente che, invece di
dare al gruppo gli strumenti per autovalutarsi, distribuisce personalmente dosi massicce
di premi e punizioni verbali.
Nella categoria “creare un clima di affettività” rientrano le attività che hanno lo scopo
preciso di creare un clima di fiducia e di serenità, a prescindere dalle capacità dimostrate da-
gli allievi; il docente esprime la sua stima e la sua convinzione nel fatto che ognuno possie-
de delle qualità e che facendo leva su queste si possono ottenere interesse ed impegno ver-
so la materia di insegnamento.
Si tratta di azioni atte a:
– lodare, riconoscere il merito indipendentemente dall’apprezzamento del contenuto spe-
cifico delle risposte;
– mostrare sollecitudine ed interesse;
– incoraggiare;
– divertire;
– mostrare entusiasmo verso l’attività che si sta svolgendo.
Utilizzando questa funzione, si raggiunge l’obiettivo di esprimere l’accettazione globale
della persona e del gruppo lasciandosi poi la libertà di riconoscere come positive o negati-
ve le singole azioni espresse dagli allievi. È questa una stima di base, che potremmo definire
“incondizionata”, che permette allo studente di accettare con disponibilità le critiche o le os-
servazioni su quello che fa, senza per questo temere di perdere la fiducia nel suo insegnan-
te (e, indirettamente, di tutti gli altri partecipanti).
Salvo rarissime eccezioni, anche elevate quantità di comportamenti di affettività positi-
va sono sempre molto utili nell’apprendimento. Ma, accanto ai comportamenti che evocano
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affettività positiva, ne esistono molti altri che, viceversa, ingenerano nel gruppo sentimen-
ti di affettività negativa. Anche in questo caso, come in quello precedente, ci si occupa del-
la relazione che si instaura, dal punto di vista emotivo, fra docente ed allievi indipendente-
mente dall’argomento di formazione o dalle attività di apprendimento.
Si tratta di azioni atte a:
– criticare, accusare, ironizzare;
– minacciare;
– squalificare in via preventiva;
– tenere un atteggiamento cinico e di sfiducia sulle possibilità del gruppo;
– mostrare noia e fastidio verso la situazione nel suo complesso;
le iniziative delle persone, inoltre, non vengono prese in considerazione nemmeno come
prove o tentativi, ma scoraggiate od umiliate; si tende a passivizzare gli allievi ed a negarne
il valore contribuendo a cristallizzare una sensazione di incapacità ed inadeguatezza spesso
paralizzante l’apprendimento.
I comportamenti descritti possono essere considerati dei veri e propri attacchi al clima in
cui si svolge il processo formativo e come tali sono sempre negativi: alcuni suscitano paura,
altri atteggiamenti stereotipati o compiacenti, altri ancora aperta ribellione.
La reazione da parte degli allievi è comunque difensiva e l’energia finisce per essere distol-
ta dall’oggetto dell’apprendimento per essere convogliata in una contesa dove i poli sono pro-
babilmente il bisogno di dimostrare il proprio potere (di giudizio, di azione, di valutazione) e
l’esigenza di non farsi cogliere in situazioni tali da suscitare la reazione dell’insegnante.
rire elementi esterni di sostegno alla propria tesi, ma limitarsi agli aspetti oggettivi di conte-
nuto, coinvolgere anche il resto del gruppo nel dibattito, non però per mettere in minoran-
za il dissenziente, ma per trovare una soluzione condivisibile dai più.
– tentare di dir tutto quanto era stato in precedenza pensato in sede di preparazione della
docenza anche se il tempo ormai sta finendo a causa del prolungarsi delle attività prece-
denti; il docente perciò tenta di accelerare “per finire il programma”. Appartiene a que-
sta tipologia anche il comportamento del docente che ignora la stanchezza del gruppo e
prosegue la sua docenza, con ritmo adatto ma implacabile;
– dare poco tempo per le esercitazioni, in modo da “poter svolgere il programma”.
L’alternativa positiva è rappresentata da una maggior efficacia dell’attività d’aula, intesa
come rapporto tra quantità di cose apprese rispetto alle previsioni.
Dato che svolgere il programma non è certo garanzia di apprendimento, occorre che il
docente ascolti i feedback che il gruppo gli dà, e moduli di conseguenza il ritmo e l’alternan-
za tra teoria e momenti applicativi, accontentandosi di insegnare alcune cose (e sarebbe già
molto) invece di voler (solo) dire tutto.
nendo nell’esempio, tutte queste unità didattiche potrebbero essere considerate come co-
stitutive di un modulo didattico finalizzato all’acquisizione della capacità di calcolare le aree
delle figure piane.
Il modulo didattico assume così una grande portata innovativa sul piano educativo e di-
dattico, in quanto consente di uscire dal frammentarismo didattico, che non di rado caratte-
rizza le attività educative e didattiche svolte quotidianamente nelle classi, nelle quali le at-
tività spesso si susseguono senza una coerenza logica. Il modulo didattico, invece, mirato al
perseguimento di un obiettivo di medio termine, assicura l’unitarietà dei singoli interventi
didattici (unità didattiche per l’appunto) dei docenti delle singole discipline ovvero, auspica-
bilmente, dei docenti di discipline diverse, impegnati nel perseguimento di obiettivi interdi-
sciplinari. In tale prospettiva, infatti, si può pensare a una organizzazione modulare della di-
dattica che assicuri l’unitarietà educativa e didattica all’interno delle stesse discipline e tra
le diverse discipline. Nel passato, quando l’attenzione era rivolta ai saperi disciplinari così
come risultavano sistemati nei manuali scolastici, le singole lezioni si susseguivano secondo
una logica analitica che molto spesso risultava priva di senso per gli alunni. Le diverse disci-
pline si svolgevano separatamente, anche quando i collegamenti erano estremamente for-
ti. Si pensi, ad esempio, alla nascita di Gesù presentata dal docente di Religione come even-
to religioso, dal docente di Storia come evento storico, dal docente di Lingua italiana attra-
verso le poesie.
In una scuola che si pone in una preminente prospettiva formativa, nel rispetto della con-
cezione integrata della personalità, non si può non cercare in tutti i modi di far convergere
i diversi interventi educativi e didattici al perseguimento di obiettivi formativi unitari, ricer-
cando tutti i possibili collegamenti fra le discipline e le singole unità didattiche. In tale pro-
spettiva, si pongono gli obiettivi formativi trasversali, che sono comuni a diverse discipline
(interdisciplinarità), come ad esempio il concetto di misura che viene trattato in Matemati-
ca e nelle Scienze, dall’altra l’esigenza di collegare i diversi obiettivi formativi in quanto mira-
ti alla comprensione di uno stesso fenomeno da diverse angolazioni disciplinari (multidisci-
plinarità). Pertanto, la Programmazione didattica annuale può risultare articolata in modu-
li didattici relativi alle singole discipline (moduli didattici disciplinari) e in moduli didattici re-
lativi alle diverse discipline (moduli didattici interdisciplinari). Al riguardo, è opportuno evi-
denziare che la interdisciplinarità può essere intesa sia nel senso della multipluridisciplinari-
tà, che si riferisce al perseguimento di obiettivi formativi che richiedono il concorso di diver-
se discipline, sia nel senso della transdisciplinarità, che si riferisce al perseguimento di obiet-
tivi formativi trasversali, comuni a più discipline.
INTERDISCIPLINARITÀ
Tra i primi studi in tema di interdisciplinarità citiamo quello condotto da J. Piaget che ha avanzato la
distinzione tra multidisciplinarità come confronto di contenuti appartenenti a discipline distanti (ad
esempio, per uno studio multidisciplinare, si potrebbero porre a confronto musica e filosofia) e inter-
disciplinarietà come interazione in una specifica problematica di contenuti appartenenti a discipline
affini, ciascuna delle quali conserva il proprio statuto epistemologico, mentre a un livello più comples-
so la transdisciplinarità modifica la specificità epistemologica e lessicale delle discipline coinvolte, re-
alizzando tra esse non semplice interazione ma “transazione” (nell’accezione deweyana del termine).
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LE UNITÀ DIDATTICHE
– ogni alunno persegue obiettivi formativi integrativi (ed eventuali obiettivi formativi ag-
giuntivi), nel rispetto della sua identità personale, sociale, culturale e professionale.
Pertanto, le unità didattiche possono riguardare sia obiettivi generali o standard che
obiettivi formativi integrativi e gli eventuali obiettivi formativi aggiuntivi.
APPENDICE
ESEMPIO DEL MODULO DIDATTICO/UNITÀ
TITOLO IMPRENDITORE ED IMPRESA
CONTESTO Classe IV di un Istituto Tecnico Commerciale
Il modulo avente ad oggetto lo studio e l’analisi della figura giuridica dell’im-
prenditore e dell’impresa.
Il modulo si compone di cinque unità didattiche (U.D.).
U.D.1: L’Imprenditore
La prima UD è dedicata all’imprenditore ed in particolare alla definizione
di imprenditore secondo l’art. 2082 del c.c., passando poi ad analizzare le
varie categorie di imprenditori (imprenditore agricolo, commerciale con il
relativo statuto). In questa prima fase verrà analizzata anche l’impresa ed in
particolare l’impresa familiare.
U.D.2: L’Azienda
La seconda UD è dedicata all’Azienda, partendo appunto dalla nozione di
PERCORSO DIDATTICO azienda al trasferimento della stessa.
U.D.3: Segni distintivi dell’azienda
La terza UD ha per oggetto i segni distintivi dell’azienda: ditta – insegna –
marchio.
U.D.4: Opere dell’ingegno ed invenzioni industriali
La quarta UD riguarda le opere d’ingegno e le invenzioni industriali e quindi
diritto d’autore e brevetto per invenzioni industriali.
U.D.5: Concorrenza
La quinta UD ha per oggetto la concorrenza e quindi la libertà di iniziativa
economica, il regime di monopolio, le limitazioni alla libertà di concorrenza
con le varie normative antitrust.
Il diritto commerciale è il settore del diritto privato avente ad oggetto la
disciplina giuridica dell’impresa.
Il fatto che il diritto commerciale sia in sostanza il diritto dell’impresa fa sì
che esso si occupi, in primo luogo, di individuare e definire il soggetto che
esercita l’attività d’impresa, cioè l’imprenditore, e di classificarlo secondo il
tipo e le dimensioni dell’attività economica svolta.
Finalità primaria è quella di far comprendere agli alunni:
OBIETTIVI FORMATIVI – il ruolo delle norme giuridiche nel contesto del sistema informativo
aziendale: in particolare, analizzando i vari istituti del diritto commer-
ciale e gli adempimenti da essi previsti, diretti non solo ad assicurare la
legalità dell’attività aziendale;
– il modo ottimale per individuare, analizzare, giustificare le tipologie di
imprese commerciali individuali e collettive disciplinate nel nostro or-
dinamento giuridico, coglierne analogie e differenze in ordine a natura,
struttura, funzione;
– soggetti del diritto;
– capacità giuridica e capacità di agire;
– fonti del diritto commerciale;
PREREQUISITI
– persone fisiche e persone giuridiche.
Verifica iniziale: per rilevare il possesso di tali prerequisiti verranno effettuati
test in forma di prove strutturate (del tipo V/F; a risposta multipla)
(segue)
89
LA CODOCENZA
laptop, lettori MP3), schermi touch? Quali sono le tecniche per utilizzare il web tra i banchi?
Come usare le app ed il blog di classe?
Gli stimoli che offrono il pc e la rete sono svariati e inoltre coinvolgono più canali sen-
soriali che certamente favoriscono l’apprendimento. Le opportunità offerte dalla tecno-
logia sono da considerarsi non soltanto in relazione allo sviluppo di specifiche conoscen-
ze o abilità, ma a supporto dell’intero processo di insegnamento/apprendimento per l’ac-
quisizione di competenze complesse come la risoluzione dei problemi, lo sviluppo di con-
getture e dimostrazioni. L’uso delle TIC ed il loro utilizzo applicato alla didattica offrono
la possibilità ai nativi digitali di confrontarsi con i contenuti curriculari delle varie discipli-
ne in maniera innovativa e coinvolgente, utilizzando un linguaggio condiviso, comune. Il
web diventa il presidio di un apprendimento in rete: un ambiente in cui si trovano sti-
moli e potenzialità molto forti; un ambiente in cui il docente ha la possibilità di imposta-
re l’azione didattica nello stile di un linguaggio usato dai digital natives; un ambiente che
diventa luogo di insegnamento e di apprendimento; un ambiente libero da confini nozio-
nistici. In un contesto scolastico in continuo cambiamento, l’introduzione delle tecnolo-
gie nella didattica non può più essere negata o ignorata, in quanto l’utilizzo di tali risor-
se offre agli alunni nuove opportunità di partecipare attivamente al processo educativo
all’interno di comunità virtuali che apprendono collaborativamente. In questo ambien-
te si impara in molti modi diversi contemporaneamente: osservando cosa fanno gli altri
e come lo fanno, facendo da soli o sperimentando, chiedendo aiuto o consigli. L’alunno
partecipa al processo dell’organizzazione delle informazioni, della costruzione, della im-
mensa rete che costituisce la conoscenza, incrementando e favorendo il dialogo con gli
altri. Oggi, utilizzare i nuovi media per un apprendimento proficuo significa servirsi di In-
ternet e dei nuovi scenari che esso ci offre per rendere possibile una didattica collabo-
rativa di stampo costruttivista. In questo modo insegnare ed apprendere online signifi-
ca riprodurre, anche se in un ambiente virtuale, gli obiettivi prefissati da un approccio
metodologico di tipo comunicativo. E, visto che la navigazione e la comunicazione onli-
ne diventano sempre più frequenti tra gli studenti, perché non veicolare l’insegnamento
in ambienti di apprendimento dove il confronto e la condivisione permetteranno di met-
tere insieme abilità e competenze maturate durante il percorso lavorativo? Fare didatti-
ca in un ambiente virtuale significa, anche, coniugare l’aspetto ludico con quello forma-
tivo attraverso la simulazione intesa, genericamente, come rappresentazione interattiva
della realtà basata sulla costruzione di un modello di un sistema del quale si vuole com-
prendere il funzionamento. Questo approccio didattico migliora la capacità degli studen-
ti di applicare conoscenza astratta collocando l’educazione in contesti virtuali autentici,
consentendo loro di svolgere compiti che potrebbero essere difficili o impossibili da vive-
re nel mondo reale. Gli studenti pensano e apprendono in ambienti che sono veloci, mul-
timediali, multimodali, interattivi, digitali. Sperimentare quanto il virtuale può rappre-
sentare il reale in contesti didattici significa anche favorire le diverse intelligenze degli
alunni. L’importanza della tecnologia come fattore abilitante per un cambio di metodo di
lavoro e di impostazione complessiva del processo di apprendimento è stata conferma-
ta da numerose ricerche.
94
3.2 E-learning
L’e-learning, pur essendo una modalità di insegnamento prevalentemente adoperata
nell’insegnamento agli adulti piuttosto che agli studenti curricolari, ha offerto degli ottimi
spunti sul ruolo, sulle competenze e sulle nuove professionalità nell’ambito educativopeda-
gogico che vale la pena di analizzare. Inoltre, le tipologie didattiche di e-learning evidenzia-
no criteri e scelte pedagogiche differenziate che spesso emergono nella funzione e nel peso
del tutor.
La più diffusa tipologia di e-learning è quella ricettiva, sequenziale e a “scoperta guida-
ta”, finalizzata all’acquisizione di contenuti i quali, secondo il modello comportamentista,
sono unità predisposte in sequenze. In questa tipologia di FAD, l’ambiente virtuale di ap-
prendimento viene strutturato in:
– moduli che hanno come obiettivo le conoscenze di base;
– esercizi di feedback correttivo;
– prescrizioni procedurali.
La funzione educativa è svolta prevalentemente da un tutor che interagisce con i parte-
cipanti in maniera sincrona (interazione mittente-ricevente) o asincrona.
L’altra tipologia di e-learning è quella a “scoperta in collaborazione” finalizzata all’acqui-
sizione di competenze e abilità piuttosto che all’acquisizione di conoscenze. È la tipologia
wrap around, ovvero “avvolgente”, una definizione che comprende l’idea della collaborazio-
ne. Nella fase iniziale il tutor presenta le prescrizioni procedurali e condivide le varie piste di
lavoro; poi, progressivamente, il suo ruolo diventa sempre meno centrale pur aggiungendo
periodicamente qualcosa per incentivare la motivazione o per reindirizzare il processo nella
classe virtuale. I discenti possono confrontarsi tra pari e con il “facilitatore”, il quale è il “me-
diatore dei saperi”, in grado di fornire agli alunni il massimo numero di elementi e strumen-
ti utili per costruire i concetti, per orientarli nelle domande, definire le priorità, autovalutar-
si, riconoscere le difficoltà e gli errori.
A parte l’esperto disciplinare, l’e-tutor è il protagonista dell’e-learning: un professionista
della comunicazione telematica animatore delle video-conferenze, chat, web forum, mai-
ling list. Questa figura non si occupa di preparare i materiali didattici, ma di gestirli intera-
gendo con la comunità virtuale. Il compito del tutor è quello di facilitare la comunicazione e
l’apprendimento, animando e moderando la classe virtuale. Nel suo profilo professionale vi
sono competenze in campo psico-sociale e dell’apprendimento.
La figura dell’esperto dei contenuti e quella del tutor rimandano agli studi pedagogici fe-
nomenologico-umanistici di impostazione gardneriana.
95
stante queste legittime preoccupazioni resta il fatto che la questione non è di stabilire quale
sia la forma migliore della concettualizzazione e della comunicazione, bensì quale sia quella
più conforme al tipo d’intelligenza prevalente in questa generazione. Gli studenti mostrano,
in genere, un’accresciuta attitudine a percepire le correlazioni in modo non sequenziale ma
simultaneo, ad apprendere le correlazioni e le intersezioni logico-spaziali attraverso concet-
ti rappresentati prevalentemente mediante forme iconiche ed elaborati in forma analogico-
sistemica ed espressi con una pluralità di codici. Dagli anni Settanta in poi gli studiosi della
cognitive science e della memoria semantica hanno indagato la natura sistemica delle fun-
zioni e dei processi mentali e le caratteristiche dell’intelligenza simultanea valorizzando l’as-
sunto della teoria delle intelligenze multiple secondo la quale l’insegnante deve asseconda-
re la modalità apprenditiva specifica dello studente.
Questi studi hanno contribuito ad approfondire la fisionomia cognitiva degli alunni e
possono essere utilizzati per migliorare la didattica. Questi studi hanno evidenziato che di-
versamente dal passato è auspicabile che la didattica non sia concentrata sull’intelligenza
linguistica e su quella logico-matematica. Emerge infatti lo sviluppo del linguaggio iconico
tra gli studenti. La teoria del Human information processing mette in connessione le funzio-
ni dell’apprendimento umano e le procedure tecniche proprie dell’elaboratore elettronico,
e conclude nell’osservazione che solo il cervello umano è capace di operazioni “intenziona-
li”. Questo sarebbe il discrimine importante tra il pensiero umano, che interpreta i simboli,
e quello artificiale, che si limita a manipolarli.
Un altro contributo importante nella comprensione del funzionamento delle TIC nella di-
dattica è data dagli studi sulle proprietà associative del pensiero, posti alla base delle map-
pe concettuali sviluppate da D.P. Ausubel. Le funzioni logiche implicate nella produzione e
fruizione delle mappe concettuali (di cui Joseph Novak può reputarsi il padre) sono certa-
mente una risorsa ottimizzata da quest’ultima generazione di studenti per correlare i con-
cetti e le conoscenze.
I concetti generali nell’ambito delle mappe sono rappresentati graficamente e collegati
gerarchicamente, in ottica sistemica, mediante relazioni e segni specifici.
La mappa concettuale è uno strumento per rappresentare in un grafico le proprie cono-
scenze intorno ad un argomento secondo un principio cognitivo di tipo costruttivista: cia-
scuno è autore del proprio percorso conoscitivo all’interno di un contesto. Con l’ausilio del-
le mappe gli allievi mirano a contribuire alla realizzazione di apprendimenti significativi, in
quanto si distanziano dalle logiche dell’apprendimento meccanico che si fonda unicamen-
te sull’acquisizione mnemonica. Le mappe non esauriscono i passaggi logici evidenziati dalle
frecce di collegamento agli argomenti e possono essere ulteriormente integrate in uno qua-
lunque dei loro molteplici nodi. Questa sintesi sulle caratteristiche delle mappe concettua-
li è chiaramente il modello che sta alla base degli ipertesti e della modalità di apprendimen-
to che si sviluppano con alcune TIC (per esempio Internet). Quindi l’approccio teorico più
adeguato all’inserimento delle TIC risiede nella intelligenze multiple e nello sviluppo del lin-
guaggio iconico con particolare riferimento alle mappe concettuali. I docenti devono inol-
tre rafforzare l’insegnamento nella direzione dello sviluppo e valorizzazione di obiettivi tra-
sversali, come per esempio:
97
– insegnare ad apprendere;
– insegnare a costruire;
– sollecitare verso lo sviluppo di comportamenti sociali attivi e collaborativi, nonché all’au-
tonomia e al senso di responsabilità.
Gli strumenti multimediali realizzano la sinergia tra gli audiovisivi e gli elettronici, utilizzando più
canali di comunicazione e più codici (elementi linguistici, immagini e suoni). Gli ipertesti sono testi
sia linguistici che iconici, a struttura reticolare e contestualizzante, per di più “non lineare” (dun-
que, a più direzioni di lettura).
parte degli editori estremamente varia e composita. Valutare un software didattico è deci-
samente più complesso che valutare un libro di testo o un eserciziario sfogliando le pagine.
I software vengono generalmente valutati in base a una serie di criteri oggettivi come la fa-
cilità di accesso alla risorsa, i requisiti minimi hardware e software richiesti per l’utilizzo, la
facilità di utilizzo anche per particolari gruppi di studenti (disabili), prerequisiti necessari per
l’uso, presenza o meno di un programma dimostrativo, collegamento a un sito web di sup-
porto al prodotto, disponibilità di approfondimenti e sulla base del punteggio ottenuto pos-
sono ottenere la certificazione di qualità. Non si deve comunque dimenticare che la quali-
tà di un software, al di là di alcune caratteristiche oggettive, dipende in modo imprescindibi-
le dall’uso fatto dal fruitore finale e deve tener conto di aspetti prettamente educativi come
ad esempio la coerenza rispetto allo specifico progetto didattico e la rispondenza agli obiet-
tivi formativi individuati, la complementarietà rispetto agli altri strumenti didattici in uso, il
livello di competenze richieste ad insegnanti e alunni. In rete sono disponibili alcune ban-
che dati di centri di valutazione software, come quella del CNR o dell’Indire realizzata in col-
laborazione con il MIUR.
Rispetto a un libro di testo tradizionale che può essere adottato per diversi anni senza es-
sere cambiato, le peculiarità dei software didattici è che si dovrebbero adattare il più possi-
bile alle esigenze della classe specifica in modo da sfruttare al massimo le potenzialità del-
lo strumento informatico.
Estremamente utili e versatili nella nuova pratica didattica sono gli ipertesti che consen-
tono di utilizzare in modo non lineare le conoscenze che, diversamente da un libro cartaceo,
vengono divise in unità informative collegate tra loro attraverso legami. Il vantaggio princi-
pale dell’ipertesto è rappresentato dal fatto che non possiede un unico ordine di lettura e di
apprendimento ma consente molteplici itinerari: ogni lettore può scegliere il percorso che
più gli si adatta e lo stesso lettore, in momenti diversi, può scegliere percorsi diversi. Il van-
taggio degli ipertesti nella pratica didattica è rappresentato dal fatto che il lettore ha un ruo-
lo attivo: non esiste un testo uguale per tutti ma ogni studente lo crea in base ai propri gusti
e alle proprie esigenze. L’ipertesto richiedendo la partecipazione attiva e avendo una strut-
tura di tipo radiale, in linea con la teoria costruttivista, risulta uno strumento effettivamen-
te in grado di costruire competenze. I vantaggi derivanti dall’uso di un ipertesto nella didat-
tica sono collegati alla capacità di suscitare motivazione degli alunni, alla scoperta del pro-
prio ruolo e al rinforzo continuo dell’autostima.
Non mancano ovviamente gli aspetti critici nell’utilizzo degli ipertesti. Gli studenti, so-
prattutto nelle fasi iniziali, potrebbero perdere di vista l’obiettivo dell’apprendimento, per-
dersi in approfondimenti non essenziali, dimenticare il punto di partenza o il link preceden-
te o trascurare dei nodi concettuali essenziali per l’apprendimento. Non bisogna mai dimen-
ticare che gli ipertesti, come tutte le TIC, sono strumenti didattici che possono migliorare
la didattica ma non sostituirla. L’insegnante deve quindi rimanere la guida anche in questo
processo di navigazione tra testi. È importante inoltre che lo studente sia guidato a utilizza-
re l’ipertesto sia da solo sia in gruppo con i compagni e che la lettura/navigazione sia accom-
pagnata da vere e proprie discussioni in modo da evitare il rischio di riduzione dei rapporti
interpersonali. Rispetto ad altre TIC l’ipertesto è, in generale, un prodotto finito difficilmen-
99
te modificabile per il quale non sono disponibili molti aggiornamenti. Questo aspetto può
diventare problematico per alcune discipline in cui i cambiamenti sono veloci e le scoperte
sono talmente innovative da rendere obsoleto il materiale in poco tempo. A questo si deve
aggiungere che, anche in settori disciplinari molto consolidati, un ipertesto può diventare
obsoleto molto velocemente (molto prima di quanto accada a un libro stampato) per effet-
to del velocissimo cambiamento che caratterizza oggi i sistemi di comunicazione: la grafica
e le modalità di presentazione dei materiali perdono di attualità in tempi molto brevi e que-
sto può tradursi in maggiori costi anche a parità di contenuti.
Le nuove tecnologie, grazie ai word processor (Word, Wordpad solo per citarne alcuni),
possono essere funzionali anche allo sviluppo di una delle abilità cruciali per l’apprendimen-
to: la letto-scrittura. L’utilizzo di questi applicativi può essere adattato alle esigenze delle di-
verse fasce d’età ma è fondamentale che l’insegnante sia completamente consapevole del-
le possibilità offerte dallo strumento in modo da evitare di replicare le proposte didattiche
tradizionali e sfruttare appieno le potenzialità della videoscrittura. Se integrata alla didattica
tradizionale, la videoscrittura è utile per l’acquisizione in modo naturale e intuitivo dei con-
cetti base del codice linguistico, ovvero la direzione e la linearità dello scrivere, soprattutto
nelle prime fasi dell’apprendimento, grazie al fatto che viene meno il problema della grafia
che richiede ai bambini uno sforzo di concentrazione e coordinazione visivo-manuale signifi-
cativo. I risultati in termini di apprendimento sono ancora più evidenti quando il programma
di videoscrittura viene associato a un sintetizzatore vocale che permette di avere una verifi-
ca immediata di quanto scritto. I correttori ortografici, evidenziando gli errori e correggen-
doli immediatamente, rendendo molto più veloce il processo di apprendimento. In aggiun-
ta, gli studi mostrano che il poter cancellare, modificare e riscrivere evita nei bambini l’an-
sia della pagina bianca nel momento in cui devono iniziare a scrivere un testo. Si sottolinea
inoltre che la videoscrittura è particolarmente efficace per migliorare le abilità di apprendi-
mento negli studenti che presentano disturbi specifici di apprendimento ed è quindi larga-
mente adottata nella didattica speciale.
Infine, le TIC rendono più facile e naturale anche lo scrivere con altri compagni in
modo da sviluppare lo spirito cooperativo. Parlando di TIC nella scuola si deve menziona-
re Internet.
Se utilizzato in modo sapiente, l’accesso alla rete può diventare anche uno strumento
per promuovere l’eccellenza in ambito didattico. La rete rappresenta un spazio multidimen-
sionale, cioè è contemporaneamente una banca dati, un luogo di interazioni, un ambiente
per attività di costruzione cooperativa, un luogo di lavoro condiviso. Internet ha molte po-
tenzialità come strumento didattico proprio per il fatto che in un’unica risorsa si trovano, in
modo integrato, tutte quelle dimensioni che nella didattica tradizionale sono separate. In-
cludendo diverse dimensioni anche le tipologie di attività didattica che si possono fare con
Internet sono estremamente variegate e adattabili alle esigenze specifiche dello studente.
Utilizzando Internet come semplice motore di ricerca per cercare informazioni, documenti,
dati possono assolvere importanti funzioni educative. Anche per quanto riguarda l’uso di In-
ternet la funzione dell’insegnante come educatore rimane centrale perché deve fornire gli
strumenti necessari per valutare in modo critico le risorse disponibili così che lo studente
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impari a sviluppare capacità critica, analitica e selettiva. Nelle fasi più avanzate del processo
formativo può risultare utile che gli studenti oltre a semplici navigatori diventino autori del-
la rete, ad esempio costruendo siti, aggiornando il sito della scuola o sviluppando attività di
collaborazione a distanza con altri studenti. Da un punto di vista pedagogico il rendere visi-
bile agli altri il frutto del proprio lavoro richiede lo sviluppo di abilità espressivo-creative, ca-
pacità metacognitive, capacità comunicative e progettuali. Sfruttando invece Internet come
mezzo di comunicazione sincrono (chat e videoconferenze) e asincrono (posta elettronica,
newsletter, forum), sono rintracciabili enormi potenzialità in ambito formativo soprattutto
per lo sviluppo di attività di sostegno, assistenza e tutoring in orari diversi da quello scolasti-
co. Infine, essendo una rete, per definizione, Internet rappresenta l’ambiente naturale per
organizzare forme di attività collaborative.
La navigazione nel web richiede quindi lo sviluppo di nuove abilità cognitive quali la ca-
pacità di individuare in tempi rapidi un elemento significativo, l’abilità di cogliere il senso
complessivo della pagina e la capacità di prefigurarsi l’esito di un link. Se utilizzato nel si-
stema scolastico Internet deve rappresentare in ogni caso uno strumento finalizzato ai soli
scopi formativi e, come tale, non po’ prescindere da una regolamentazione nelle condizio-
ni di accesso al fine di garantire la sicurezza. Sebbene esistano delle forme per garantire la
sicurezza (certificazioni, siti sicuri, sistemi di filtraggio, blocco dei pop-up), anche utilizzan-
do questa tecnologia è cruciale e imprescindibile il ruolo dell’insegnante. Le ricerche biblio-
grafiche e la selezione delle fonti devono altrettanto impegnare l’insegnante nella sua fun-
zione disciplinare.
Anche il gioco tecnologico (videogioco) potrebbe essere utilizzato come strumento di-
dattico nella forma di giochi di azione, di strategia, role playing, simulazioni. Molti sono an-
cora però gli aspetti dibattuti e sembrano emergere più criticità rispetto agli aspetti positivi
sia sul piano cognitivo (non vi è consenso circa l’effettiva utilità nello sviluppo di particolari
abilità o strategie cognitive) sia sul piano etico (la spettacolarizzazione della violenza o l’al-
to coinvolgimento emotivo del giocatore). Sicuramente vero è che spesso risulta molto dif-
ficile in ambito scolastico motivare e suscitare un livello di interesse paragonabile a quello
che viene messo in moto da un videogioco e questo lascia aperto il dibattito circa la possi-
bilità del loro utilizzo.
reale attraverso tutti i sensi è possibile sfruttare gli effetti positivi della tecnologia per l’ap-
prendimento. L’esposizione precoce alle tecnologie sarebbe quindi uno stimolo inutile che
produrrebbe l’effetto opposto in quanto il bambino rischierebbe di non concentrarsi su nul-
la e passare da un’attività all’altra in modo non produttivo.
Al contrario, diversi studi e sperimentazioni sul campo hanno mostrato che l’utilizzo del-
le nuove tecnologie può favorire alcune modifiche generali del contesto educativo ed esse-
re quindi positivo per l’apprendimento. In particolare, l’uso delle nuove tecnologie nella di-
dattica da un lato accresce la motivazione degli alunni, dall’altro accresce l’autostima e quin-
di genera una maggiore capacità di sopportare le difficoltà e lo stress. In aggiunta, spostan-
do il focus dall’insegnante allo studente e dall’apprendimento al fare, si ha un aumento del-
la cooperazione tra alunni e si favorisce l’interazione. Uno dei maggiori vantaggi delle TIC è
la possibilità di realizzare e testare materiale didattico innovativo che, se utilizzato in modo
integrato con le tradizionali lezioni frontali, riesce a stimolare la partecipazione attiva. Quel-
lo che cambia sostanzialmente è il concetto di classe. Mentre le modalità didattiche tradizio-
nali prevedono il ciclo classico di trasmissione unidirezionale della conoscenza del tipo inse-
gnante/mediatore oppure studente/lettore, le TIC presuppongono invece un processo di ap-
prendimento di tipo multidirezionale.
Infine, stimolando in modo nuovo la riflessione e il ragionamento si ha un miglioramen-
to dei risultati grazie anche al lavoro cooperativo e all’uso di peer tutoring, ovvero il tutorag-
gio che viene fatto tra gli stessi allievi.
Nel complesso, i migliori livelli di comprensione e assimilazione che si riescono a produr-
re con l’ausilio delle TIC sono imputabili prevalentemente alla personalizzazione dell’appren-
dimento. I software didattici consentono di scegliere dei percorsi diversi in base alle partico-
lari esigenze dello studente in modo da focalizzare maggiormente l’attività didattica su alcu-
ni aspetti. Esistono infatti i cosiddetti programmi-autore che consentono di lavorare con l’in-
tera classe, con piccoli gruppi o addirittura con singoli studenti predisponendo attività co-
muni e diversificate. La personalizzazione permette agli studenti di apprendere secondo i
propri ritmi ripetendo l’attività fino a quando il risultato è stato raggiunto anche oltre l’ora-
rio scolastico, esercitandosi per esempio a casa o in un’aula informatica. Una tale procedura
didattica da un lato incoraggia lo studente all’apprendimento autonomo, dall’altro facilita la
memorizzazione e la comprensione dei concetti e consente di rispondere alle esigenze spe-
cifiche degli studenti con difficoltà di apprendimento. Questi nuovi materiali didattici, se in-
tegrati con opportuni ambienti tecnologici, possono consentire di seguire costantemente i
percorsi di ogni singolo studente e di quantificare i progressi di apprendimento.
In questo contesto cambia sicuramente il ruolo dell’insegnante che diventa colui il qua-
le organizza occasioni di apprendimento permettendo all’alunno di partecipare alla costru-
zione del proprio sapere (costruzione del sapere). Anche agli insegnanti viene richiesto un
nuovo tipo di lavoro.
Il materiale didattico di partenza assume forme nuove: semilavorati, tracce di lavoro, fra-
mes di riferimento progettate e realizzate da team di esperti, e richiede che gli insegnanti
lo modifichino, completino e adattino in base alle esigenze che emergono quotidianamen-
te nelle classi.
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La conclusione è che le TIC sono utili qualora vengano messe al servizio di buoni model-
li educativi. Le TIC si dovrebbero andare cioè ad aggiungere a un sistema formativo costitu-
ito in gran parte da componenti extratecnologiche, integrandolo in modo complementare e
non sostitutivo. La formazione tramite strumenti multimediali potenzia così gli effetti delle
forme didattiche tradizionali perché consente di sfruttare in modo integrato i diversi cana-
li di comunicazione (testo, audio, video) e di agevolare l’apprendimento che nei bambini è
prevalentemente di tipo senso-motorio.
IL MODELLAMENTO O MODELING
Modeling significa osservare un modello competente che svolge un’azione. Tale attività può essere
un aiuto molto efficace per l’apprendimento di quell’azione. L’insegnante deve fungere da modello
da imitare: cioè bisogna far vedere il modo giusto di comportarsi di fronte a determinate situazioni
e richieste.
Il Modeling può essere usato: in programmi molto semplici (apprendimento di forme e colori o di
autonomia personale); in programmi più difficili che mirano all’acquisizione di abilità e comporta-
menti complessi (es. autonomia sociale) i quali non possono essere insegnati solo con le parole,
ma devono essere mostrati all’alunno nella loro complessità. L’importante è rinforzare i tentativi di
imitazione sufficientemente conformi al modello.
Gli aiuti forniti dal modello (insegnante) sono utili nell’ambito degli apprendimenti scolastici utiliz-
zando la modalità dell’autoistruzione verbale.
per lo meno, si può dire che al metodo tradizionale del libro “sequenziale” da sfogliare pagi-
na dopo pagina si stia affiancando la possibilità del libro digitale di essere sfogliato all’infini-
to, con link trasversali che combinano possibilità illimitate di accesso ai dati.
Dunque, non resta che adeguarsi al cambiamento che l’innovazione inevitabilmente ed
irreversibilmente comporta; le TIC coinvolgeranno indifferentemente tutti gli ordini e gradi
di scuola, dalle elementari alle superiori, e rivoluzioneranno con assoluta naturalezza, con-
dizionando progressivamente nel tempo con la loro pervasività, la pratica didattica quoti-
diana in classe.
Un profilo formativo integrato è la condizione complessiva di un allievo che, al termine della scuo-
la, dimostri non tanto di sapere, quanto di “sapere essere”, in relazione a qualunque linguaggio
o campo di esperienza da lui indagato durante il ciclo di formazione. In questo senso un profilo
formativo integrato è una rete di sistemi di padronanza dal carattere eminentemente autoriflessivo
che consenta a ciascun allievo non solo di incorporare conoscenze, ma di riuscire a riprodurle per-
sonalizzandole, ovvero di poterle espandere e/o sviluppare nelle direzioni che il suo carattere, il suo
gusto o le sue necessità lo sollecitano a fare.
per questi gruppi è importante che le politiche scolastiche siano anche di istruzione ai me-
dia e che l’istituzione scolastica agisca per ridurre il divario derivante dal mancato accesso
alle tecnologie.
Le nuove tecnologie possono essere un utile strumento per l’eguaglianza delle opportu-
nità. Si devono quindi cercare delle modalità didattiche che consentano non solo a pochi di
aver accesso a un livello di istruzione elevato, ma che permettano alla gran parte della po-
polazione di sfruttare grazie alla tecnologia le risorse didattiche che prima non aveva. Alla
luce delle considerazioni fatte, la didattica digitale, nelle sue diverse forme, deve essere vi-
sta come un’opportunità per modificare nel profondo le modalità di apprendimento, per svi-
luppare nuove capacità cognitive e per ampliare la quota di popolazione che ha accesso all’i-
struzione. Da un punto di vista economico, l’introduzione delle TIC può essere estremamen-
te utile sia in termini di miglioramento dei risultati sia di equità per consentire a un maggior
numero di persone di aver accesso all’istruzione grazie alla riduzione dei costi.
Capitolo 4
Lavagna interattiva multimediale
e sussidi didattici multimediali
LEARNING OBJECT
Contenuti digitali utilizzabili unicamente per l’insegnamento. Essi rappresentano risorse digitali
non personalizzabili come le lezioni create ad hoc, ma sono utili per l’introduzione di concetti di
base con una comunicazione di qualità.
Il progetto “DiGi Scuola” ha dato luogo ad una sperimentazione che ha coinvolto una
molteplicità di soggetti. Gli insegnanti delle scuole superiori di secondo grado hanno parte-
cipato sia alla fase di formazione che di elaborazione di un prodotto digitale da mostrare agli
studenti con l’ausilio della lavagna digitale per poter illustrare concretamente le nuove mo-
dalità di fruizione dei contenuti digitali ed evidenziare la nascita di metodologie innovative
nella didattica. Infatti, la sperimentazione del progetto è stata molto significativa per la co-
struzione di modelli didattici integrati all’uso della LIM.
I punti di forza riscontrati sono stati sinteticamente i seguenti:
– l’incremento dell’interesse degli studenti per le attività didattiche (66,67%);
– l’incremento della partecipazione (54,93%) e dell’efficacia didattica della lezione
(42,83%);
– la facilitazione nei processi di comprensione dei contenuti proposti (39,29%);
– l’elevata possibilità di personalizzare il percorso didattico (16,20%);
– la sperimentazione di nuove e variegate modalità didattiche in linea con la cultura tecno-
logica giovanile (59,78%).
I punti di debolezza evidenziati attraverso la sperimentazione sono stati:
– il 46,77% dei docenti ha lamentato problemi relativi all’aspetto tecnico e alla carenza di
una effettiva necessaria formazione;
– l’aspetto disfunzionale del posizionamento della lavagna digitale, spesso non collocata in
107
classe ma in laboratorio, con conseguente perdita di tempo nel trasferimento degli stu-
denti da un’aula all’altra (42,70%);
– la parte più cospicua dei docenti partecipanti (69,97%) ha evidenziato un altro aspetto
fortemente negativo: il tempo da dedicare per la preparazione delle lezioni da creare con
l’ausilio della LIM. A tal proposito occorre rilevare che in Italia attualmente non esistono
curricoli per discipline che declinino le attività previste con risorse digitali.
A conclusione del progetto, la piattaforma “DiGi Scuola” è confluita nel portale “Innova-
Scuola” ricco di contenuti didattici digitali (CDD) per il docente, ripartiti per tipologie di scuo-
la e per discipline individuabili con un pratico motore di ricerca. Il nuovo progetto “Innova-
Scuola” è stato inaugurato nel 2008 e ha rappresentato la seconda fase delle sperimentazio-
ni nazionali ministeriali con la LIM ma si è rivolto soprattutto alla sperimentazione della LIM
nelle scuole secondarie di primo grado e nelle scuole primarie.
Il progetto ministeriale avviato nel 2010, “Cl@ssi 2.0”, sviluppato negli istituti compren-
sivi e nelle secondarie di primo grado, ha consentito di individuare una metodologia didat-
tica di apprezzabile interesse.
Il progetto ha previsto una sequenza di azioni:
a) l’organizzazione del gruppo di lavoro con un forte coinvolgimento dei Consigli di classe;
b) la progettazione tecnica dei contenti digitali;
c) la sperimentazione della documentazione prodotta;
d) lo sviluppo di una comunità virtuale sia a livello regionale che nazionale per la discussio-
ne e il confronto sulle esperienze realizzate dal progetto.
Anche in questo caso l’ambiente virtuale – come per tutti i progetti di cui si è fatta men-
zione in precedenza – ha garantito leggibilità, pubblicizzazione e confronto di prassi didat-
tiche paradigmatiche, nell’ottica di condividere e partecipare idee, archiviare materiali pro-
dotti, fornire visibilità per spunti futuri e, soprattutto, dare continuità agli interventi realiz-
zati nelle scuole. Attraverso questi progetti che rappresentano azioni di sistema il MIUR sta
cercando di velocizzare l’introduzione e la diffusione della LIM e rivitalizzare le metodolo-
gie d’insegnamento.
le per l’insegnante perché permette di convogliare l’attenzione dei ragazzi sulla lezione gra-
zie a metodi innovativi che favoriscono la spiegazione dei concetti più complessi e di utiliz-
zare al meglio il tempo.
La LIM è uno strumento destinato alla didattica d’aula poiché coniuga la forza della vi-
sualizzazione e della presentazione tipiche della lavagna tradizionale con le opportunità del
digitale e della multimedialità. Tecnicamente la LIM è un dispositivo che comprende una su-
perficie interattiva, un proiettore ed un computer. Oggi l’evoluzione tecnologica offre dispo-
sitivi che permettono di sfruttare le potenzialità di uno schermo interattivo e multimediale
utilizzando qualsiasi tipo di superficie e pennarello, oppure attraverso schermi “touch scre-
en”, anche della grandezza di un normale desktop, che non necessitano di PC e proiettore.
La lavagna interattiva multimediale è composta in prima battuta dalla superficie interat-
tiva, un dispositivo elettronico avente le dimensioni di una tradizionale lavagna didattica, sul
quale è possibile interagire usando le mani o degli appositi pennarelli.
Gli accessori della LIM sono:
– i pennarelli: l’accessorio principale della LIM è il pennarello, che permette di scrivere o
utilizzare i comandi sullo schermo. Esistono diversi tipi di pennarello. In alcuni modelli è
possibile anche usare i normali pennarelli colorati e cancellabili perché la lavagna e il sof-
tware riconoscono quanto scritto su qualsiasi superficie;
– telecomandi, minischermi e connessioni: alcuni modelli offrono anche dei telecoman-
di utili per la risposta a distanza sulla LIM. È possibile anche utilizzare dei minischermi da
tenere in mano o sulla cattedra. La connessione alla rete è assicurata dal PC; alcuni mo-
delli di lavagne sono dotati di autonoma connessione wireless e di bluetooth per l’intera-
zione con il web, con altre lavagne a distanza, con altri dispositivi presenti in classe a bre-
ve raggio.
La LIM è generalmente collegata ad un computer, di cui riproduce lo schermo grazie alla
proiezione attraverso un videoproiettore. Pertanto, l’utilizzo della LIM in classe richiede:
– la lavagna interattiva multimediale;
– un computer;
– un videoproiettore;
– software e materiali per la didattica.
L’installazione prevede il collegamento del computer al videoproiettore, tramite l’appo-
sito cavo, e della lavagna al computer, attraverso un altro cavo, generalmente USB. Il vide-
oproiettore riceve le immagini del computer e le proietta sulla LIM. Le operazioni effettua-
te sulla LIM con le dita o con le penne digitali, a seconda del modello, sono percepite da si-
stemi di rivelazione che possono essere diversi: magnetici, ottici, sonori, resistivi, e trasmes-
se quindi al computer. Sono possibili tutte le operazioni normalmente effettuate con il mou-
se quando si lavora al computer, ma anche interventi diretti sulla lavagna con le mani e le
penne digitali.
La LIM è generalmente dotata di software per creare presentazioni e lezioni multimedia-
li che hanno in comune alcuni elementi caratteristici:
1. uno stage bianco in cui scrivere con la penna e trascinare immagini e altri oggetti multi-
mediali tratti dalla libreria informatica;
109
2. una libreria di immagini, filmati e animazioni che possono essere trascinati nello stage;
3. alcuni strumenti per scrivere e disegnare forme geometriche.
Inoltre, la LIM permette di utilizzare tutti i software presenti sul computer, come elabora-
tori di testo, software per presentazioni, browser per la navigazione in Internet, software di
disegno e proiettori di filmati, ma invece di usare il mouse per selezionare e spostare ogget-
ti, si utilizzano le mani e le penne digitali agendo direttamente sulla superficie della lavagna.
Infine, è possibile utilizzare specifici software didattici che contengono percorsi didattici da
esplorare e attività interattive mirate al raggiungimento di obiettivi didattici.
La visualizzazione è la più riconosciuta tra le potenzialità della LIM. Essa permette di pre-
sentare una molteplicità di contenuti utilizzando non più solo l’ascolto o la lettura individua-
le, ma anche la forza comunicativa dell’immagine.
Un’altra potenzialità è l’interattività, la quale è data da molteplici livelli; riguarda sia la
possibilità di intervenire personalizzandoli su tutti i file presenti sullo schermo, sia la possibi-
lità anche fisica di agire sulla lavagna, sia, infine, in presenza di collegamento al web, la pos-
sibilità di accedere dalla classe alle risorse di Internet.
Ricerche empiriche hanno dimostrato che gli studenti avvertono la LIM vicina al loro
modo di comunicare e di accedere alle informazioni. L’estrema semplicità di utilizzo è all’ori-
gine della diffusione delle LIM. Le competenze necessarie per il suo impiego sono quelle di
base: scrittura, apertura ed inserimento file, upload, download, uso del web. La costruzio-
ne collaborativa dei percorsi di studio fa della LIM uno strumento particolarmente efficace
per la realizzazione di attività di gruppo in classe. Non ultime le potenzialità dimostrate dal-
la LIM nel campo dell’integrazione.
sta agire con le dita e/o con il pennarello sulla superficie della LIM per raggiungere lo sco-
po voluto. Sarà poi facoltà del docente decidere se salvare quanto illustrato o meno, ovvero
ignorare il tutto e passare a una nuova pagina, o cancellare la precedente come se si aves-
sero più lavagne a disposizione.
L’uso della LIM può essere potenziato attraverso gli strumenti messi a disposizione dai
software; per esempio, è possibile:
– disegnare oppure evidenziare con pennarelli di vari colori;
– cancellare con la “gomma” virtuale e definire lo spessore del tratto;
– tracciare forme geometriche e definire il colore di riempimento e di bordo;
– inserire note di testo con caratteri digitali;
– ruotare, ridimensionare, clonare, unire, separare tra loro gli oggetti presenti sul foglio di
lavoro;
– evidenziare una specifica area di lavoro;
– importare un file da Word o da altro programma e usare gli strumenti “pennarello” o
“evidenziatore” per dare risalto ad alcune sezioni del documento;
– creare box da usare allo scopo di ottenere, ad esempio, un esercizio in cui mettere in evi-
denza una frase o una formula;
– coprire la traduzione di un esercizio in lingua o in latino e realizzare quindi una lezione in
cui lo studente può procedere autonomamente all’autocorrezione;
– realizzare una lezione con lo strumento “linea” per correlare contestualmente disegni,
formule, immagini.
Una padronanza più approfondita del software della LIM e degli strumenti offerti dal
web consente di realizzare lezioni di sicura efficacia comunicazionale. I software per la LIM
permettono infatti di importare contenuti multimediali come per esempio brani audio, file
video che una volta inseriti nella programmazione della lezione possono arricchirne forte-
mente il contenuto. Per esempio in una lezione di storia dell’arte si possono proiettare gra-
zie ai file video opere d’arte e contestualizzarle.
Gli strumenti avanzati per la LIM permettono di inserire nel foglio di lavoro ritagli di pagi-
ne web contenenti lavori di artisti e immagini da poter poi analizzare con gli alunni.
Sono disponibili anche le librerie per la LIM rappresentate da software che contengono
oggetti interattivi, per esempio il goniometro, la calcolatrice, righelli. Da segnalare anche la
possibilità di registrazione della lezione che permette quindi di conservare o di spedire via
e-mail ad un allievo assente quanto spiegato in classe.
Sono quindi molte le funzionalità offerte dalla LIM, che aumentano la progettualità me-
todologica del docente nella realizzazione della lezione più adatta alle proprie esigenze e
personalizzata sul livello di apprendimento e di curiosità dei discenti, cosi come sono altret-
tanto numerosi i metodi per rendere collaborativo l’apporto degli allievi, coinvolgendoli e
motivandoli.
In conclusione si può affermare che se il docente ritiene di non dover utilizzare gli stru-
menti disponibili dalla LIM può sempre adoperare i moduli didattici chiamati learning object
che rappresentano i contenuti didattici digitali. Questi ultimi sono risorse gratuite o talvolta
a pagamento scaricabili dal web sviluppate per tutte le discipline e per i vari ordini scolastici.
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Infine, è da sottolineare l’impiego della LIM da parte dei docenti di sostegno. Numerose,
infatti, le attenzioni rivolte a questo settore negli ultimi anni.
1. Quiz interattivi
Il setting comunicativo della lezione frontale come abbiamo più volte evidenziato si sta
trasformando e i momenti d’aula stanno sempre più evolvendo in comunità di apprendi-
mento dove si lavora in gruppo e si impara ad apprezzare il valore una conoscenza condivi-
sa. Attraverso la LIM è possibile avviare attività partecipate di riflessione sui contenuti ap-
presi e sulla prassi didattica in atto, sviluppando competenze cognitive e metacognitive ne-
gli allievi. Sotto un profilo pedagogico è possibile costruire l’identità anche attraverso lo svi-
luppo della consapevolezza delle proprie scelte e attraverso il gioco di squadra, in cui tutte le
azioni sono il risultato di negoziazione, responsabilità individuale, spirito di appartenenza ad
una comunità. Pertanto l’uso dei quiz interattivi somministrati con la LIM attraverso una mo-
dalità ludica e di accattivante capacità comunicazionale può rappresentare una scelta parti-
colarmente efficace sia sul piano didattico che pedagogico.
Secondo alcune moderne teorie che hanno come riferimento i tre livelli di sviluppo co-
gnitivo indicati da Piaget, esistono tre variabili nell’approccio dei giovani ai giochi interattivi:
1. livello psicomotorio, in cui le abilità personali del giocatore sono legate a fattori di velo-
cità nei tempi di reazione e di stimolo nella rielaborazione delle informazioni richieste,
attraverso l’integrazione di percezione e azione-riflesso;
2. livello di simulazione, in cui si stabilisce il pensiero logico-razionale attraverso la capaci-
tà di calarsi nel contesto specifico percependolo come “verosimile” (vivere un’avventura
con un approccio intuitivo);
3. livello rappresentativo, da cui si sviluppa il pensiero simbolico.
Si tratta, cioè, di far imparare qualcosa non solo attraverso il tradizionale “modo simboli-
co-ricostruitivo”, in cui si legge, si studia, si decodifica e si rielabora l’informazione, ma attra-
verso un “modo senso-motorio” in cui si osserva qualcosa, la si percepisce attraverso i sen-
si, si interviene con un’azione e si riflette sul processo attuato.
Esistono interessanti esperienze formative di giochi di ruolo on line documentate dai do-
centi all’interno di sperimentazioni per verificarne l’impatto sulla didattica, nonché diversi
software, alcuni da acquistare e altri gratuiti, con cui creare quiz interattivi per gli studenti
da somministrare in classe e utilizzabili con la LIM.
Il docente con la LIM può preparare una semplice attività didattica in grado di stimolare
l’aspetto ludico dell’apprendimento con la strutturazione del quiz interattivo nell’ambito del-
la sua programmazione disciplinare. Per fare degli esempi operativi si può somministrare alla
113
classe un quiz. Questa esercitazione caratterizzata per la sua valenza ludica deve prendere in
considerazione alcune fasi indispensabili. Innanzitutto la classe va divisa in due squadre. Suc-
cessivamente si chiede a turno per ogni squadra la presenza di uno studente che deve rispon-
dere alla stessa domanda decidendo preventivamente se questi può o non può raccogliere
suggerimenti dalla sua squadra. Lo studente può dare la risposta attraverso la prenotazione
con un campanello come nei quiz televisivi. Si chiede allo studente di segnare sulla LIM la ri-
sposta data per verificarne la correttezza in quanto il software visualizzerà automaticamente
la risposta esatta. Si attribuisce il punteggio alla squadra del ragazzo che ha dato per primo la
risposta esatta. Infine il docente deve calcolare le risposte corrette date dalle due squadre per
proclamare la squadra vincitrice. L’esperienza andrebbe proposta ai discenti possibilmente pri-
ma della verifica tradizionale, perché il quiz è un’occasione ludica ma formativa al tempo stes-
so in grado di potenziare conoscenze, stimolare l’impegno e la riflessione.
LE MAPPE CONCETTUALI
Per costruire in modo cooperativo una mappa concettuale con la LIM occorre che il do-
cente:
– elabori una lezione frontale su un argomento previsto dalla programmazione didattica
utilizzando la lavagna digitale come supporto digitale che peraltro consente un ulteriore
ampliamento dell’informazione attraverso la connessione a Internet;
– elabori domande-guida per la costruzione della mappa concettuale con risposte fornite
dagli studenti;
– solleciti la negoziazione fra gli allievi sulle possibili informazioni da inserire nella mappa
al fine di integrare concetti, revisionare e verificare quanto appreso, nonché di potenzia-
re la preparazione;
114
– stampi la mappa elaborata in classe, la distribuisca a tutti gli allievi quale rinforzo al me-
todo di studio a casa, o inviando il file creato alla casella di posta elettronica degli allievi
direttamente dalla LIM.
In tutte le fasi il docente dovrà aver cura di seguire il lavoro dei discenti, sostenendoli e
verificando le dinamiche relazionali dei gruppi. In altre parole il docente acquisisce la fun-
zione di allenatore durante l’elaborazione digitale della mappa oppure potrà eventualmen-
te affidare la costruzione delle mappe alla cooperazione di allievi più intraprendenti e prati-
ci del software da utilizzare al fine di rendere tutti gli studenti attivi sollecitandoli alla colla-
borazione sui temi trattati e costruire attorno ad essi la conoscenza.
3. Learning object
I learning object (LO) sono moduli di Contenuto Digitale Didattico (CDD) sotto forma di le-
zioni o prove di verifica utilizzabili con il personal computer. Sono risorse didattiche che si pre-
sentano al fruitore come piccole unità di apprendimento, dotate di contenuto digitale com-
posto da video, audio, testi. Il loro uso affonda le radici nel paradigma della programmazio-
ne object oriented usata nel settore informatico, dove vengono creati componenti (objects)
indipendenti l’uno dall’altro, che possono essere riutilizzati in contesti diversi grazie al loro ri-
assemblaggio di volta in volta nuovo a seconda delle esigenze e dell’obiettivo da perseguire.
Queste risorse digitali hanno alcune importanti caratteristiche:
– sono sviluppate per un intervento molto breve (dai 2 ai 15 minuti);
– sono concepite in modo autonomo e non propedeutico. Questa caratteristica offre la
possibilità di ricomporle in più unità.
Un learning object può avere differenti finalità. I LO più usati hanno le seguenti caratteristiche:
– argomentativo: l’alunno studia la lezione, con materiali strutturati secondo la program-
mazione didattica proposta dal docente;
– addestrativo: l’allievo può esercitarsi attraverso procedure e fasi che gli permettono di
monitorare i processi di acquisizione delle competenze;
– sperimentale: lo studente segue percorsi personali di studio che gli consentono di rag-
giungere la padronanza dei contenuti proposti;
– integrato: l’allievo può seguire percorsi integrati da altri sussidi, per esempio quelli offer-
ti dalla rete internet.
Gli elementi essenziali di un learning object sono almeno quattro e tra questi c’è il contenuto. In
un ambiente di apprendimento in cui il learning object sia scalabile e adattabile alle esigenze del
discente, il contenuto dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:
– modulare, a sé stante e trasportabile all’interno di ambienti e applicazioni diversi. Non sequen-
ziale;
– multimediale e interattivo;
– in grado di soddisfare un singolo obiettivo;
– accessibile alla larga utenza (quindi adattabile ad altra utenza oltre a quella di riferimento);
– coerente e uniformato a un determinato modello in modo che l’essenza del contenuto, l’idea
principale che esso veicola, possa essere “catturata” dal minor numero di metatag.
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4. Video digitali
La LIM trova la propria naturale espansione nella possibilità di far visionare in classe vi-
deo, offrendo al docente l’opportunità di creare apposite lezioni attraverso link che, tramite il
collegamento ad Internet, consentono di attivare percorsi didattici interattivi e personalizzati.
YouTube, per esempio, ha permesso un ripensamento della didattica tradizionale attra-
verso il sussidio di proiezioni appositamente pensate per gli studenti. Oltre all’uso dei video
scaricabili dalla rete emergono in questi anni i video-sharing, ovvero la pratica costruzione
di video che anche nella scuola possono essere realizzati direttamente dagli allievi e poi pub-
blicati in Internet.
I video digitali migliorano la partecipazione degli studenti, rendendola più attiva, e sti-
molando tramite immagini la memoria più di quanto avviene attraverso i libri di testo. La
LIM in questo caso si presta facilmente attraverso la costruzione di percorsi di rete a creare
lezioni molto efficaci intervallate da spunti visivi attraverso video.
Il termine blog è nato da J. Barger che usò l’espressione per indicare il proprio sito per-
sonale; successivamente P. Merholz coniò il verbo bloggare che significa per l’appunto “scri-
vere un blog”. Il blog rappresenta uno strumento che permette l’interazione di codici – da
quello iconico a quello testuale – consentendo simultaneamente il potenziamento di due
abilità linguistiche fondamentali: la lettura e la scrittura. Questo spiega il suo successo nel-
la didattica.
Il blog ha come caratteristica fondamentale una pagina principale in cui sono elenca-
ti post e articoli che possono essere organizzati cronologicamente, secondo l’ordine che si
preferisce, o per categorie. I visitatori hanno la possibilità di dialogare con l’amministrato-
re del blog mediante i commenti che “postano” (ossia lasciano) ai post cui sono interessati.
Inoltre, si può creare all’interno del blog un blogroll, cioè una lista di link, di solito per cate-
gorie, a siti web. I post vengono periodicamente archiviati ed è possibile accedere automa-
ticamente ai siti attraverso feeds come RSS, Atom, RDF, funzioni utili per segnalare all’uten-
te se vi sono nuovi articoli pubblicati nei blog di suo interesse.
Esistono numerose tipologie di blog in relazione al fine. Nella didattica è possibile usar-
lo per dialogare con gli studenti in merito ad alcune discipline, oppure comunicare esterna-
mente le attività svolte dalla classe durante l’anno scolastico attraverso il sito della scuola,
affinché sia visibile tutto ciò che viene fatto in classe.
La didattica tradizionale può essere rivitalizzata integrandola con uno strumento capa-
ce di far elaborare documenti di scrittura collaborativa o creativa. Il blog può inoltre diveni-
re un archivio digitale che illustra come una bacheca i post del giorno.
terventi, guida per la corretta procedura di elaborazione dei materiali non solo testuali che
andranno ad arricchire la voce creata o ampliata.
È importante sottolineare che con la LIM è possibile ideare e creare un proprio wiki.
Infatti gli strumenti a disposizione della LIM permettono agli studenti di realizzare au-
tonomamente prodotti digitali che risultano particolarmente indicati allo scopo attraverso
software di scrittura.
La rete non è quindi solo uno strumento di ricerca passiva di contenuti o di interazioni li-
mitati, ma attualmente essa offre modalità formative e creative che ben si prestano a sco-
pi didattici ed educativi.
dio con software e/o servizi in rete free e poi inserire testo e/o immagini pertinenti in un se-
condo momento.
Un podcast è un’esperienza che può essere vissuta durante l’anno scolastico in quanto si
presenta come mezzo ideale per realizzare delle sorte di “puntate” su un argomento speci-
fico da indicizzare e pubblicare mediante la LIM. Secondo quest’approccio la sequenza delle
puntate deve essere congiuntamente progettata da alunni e docenti. Pertanto è fondamen-
tale la coerenza con cui si costruisce l’insieme dei singoli podcast.
Il podcast può essere integrato con gli altri strumenti di cui la scuola sia eventualmen-
te fornita: sito web, blog, forum, piattaforme. All’interno di un giornale d’istituto si possono
anche segnalare le uscite periodiche dei podcast, proprio come le singole puntate di un se-
rial televisivo, in quanto il giornale scolastico si presta particolarmente a dare spazio ad ap-
profondimenti e discussioni, interviste e commenti. In conclusione il podcast registra il pas-
saggio da una didattica “trasmissiva” e unidirezionale allo scambio e condivisione tra do-
cente e allievi. Il risultato più importante di questa didattica è il processo di apprendimento,
comprensione e realizzazione del prodotto finale lasciando al docente la possibilità di inter-
venire laddove riscontri difficoltà cognitive.
tazione multimediale...”, “la commissione dovrà presentare alla fine dei lavori: una rela-
zione... un vademecum... una lista di quesiti rimasti senza risposta...”, “ipotizzate 3 pos-
sibili soluzioni pacifiche con l’ausilio di diagrammi di flusso o mappe concettuali... prepa-
rate il discorso alla nazione del presidente per illustrare la situazione, i potenziali perico-
li e la soluzione scelta... preparate il discorso del presidente con la potenza nemica...”);
3. risorse: vengono indicate le risorse web da consultare, che possono essere uniche per
tutti i discenti o suddivise per gruppi ed elencate a seconda delle funzioni. Si tratta di ri-
sorse liberamente fruibili in rete, precedentemente visitate e recensite dal docente, op-
pure preparate appositamente e inserite su un sito web, oppure ancora altre informa-
zioni come indirizzi mail o numeri telefonici di esperti a cui potersi rivolgere per ricerca-
re la risposta ai quesiti posti. A seconda della materia trattata e del compito assegnato vi
possono essere diversi “gradi di apertura” delle risorse esplorabili, essendo la webquest
uno strumento didattico altamente personalizzabile. Le fonti possono infatti essere to-
talmente preselezionate, come nella webquest classica, oppure si può decidere di lascia-
re ai discenti il compito di integrarle parzialmente con la ricerca libera su Internet per la
soluzione di determinati problemi o la ricerca di informazioni particolari; questa fase può
infatti essere utile per sviluppare negli allievi le capacità di organizzazione delle informa-
zioni, di sistematizzazione e di sintesi (purché si tratti di un compito “residuo”, ben defi-
nito e “guidato”, che non comporti una deviazione dal compito assegnato e una disper-
sione inutile di energie e tempo, e in questo sta naturalmente l’abilità di chi prepara la
webquest). Se il compito è stato “arricchito” con l’utilizzo di videoconferenze, qui si tro-
veranno le istruzioni e gli indirizzi per utilizzare correttamente questo strumento. Le fon-
ti possono essere integrate anche con materiali cartacei quali fotocopie o libri; è tuttavia
importante che l’utilizzo del web sia fondamentale per svolgere il compito, che altrimen-
ti non avrebbe bisogno di essere svolto sotto forma di webquest;
4. processo: si descrivono nel dettaglio le attività che gli studenti devono svolgere per por-
tare a termine il compito. È importante che questa sezione sia chiara e ben progettata,
che contempli l’eventuale suddivisione in sottogruppi e preveda esercitazioni pratiche e
un ruolo attivo dei discenti. Si dovrà: descrivere le fasi del lavoro, ovvero suddivisione
in gruppi, distribuzione dei compiti, consultazione web in gruppi, discussione in classe,
esercitazioni pratiche, studi sul campo o ricerca-azione, interviste, ecc.; organizzare gli
eventuali ruoli dei partecipanti, affidando a ciascuno responsabilità proprie o di gruppo
e fornendo tutte le informazioni necessarie per svolgere il compito attraverso la simula-
zione;
5. suggerimenti: si possono inserire dei consigli per aiutare i discenti a organizzare le infor-
mazioni raccolte fornendo per esempio degli elenchi di domande a risposta più o meno
guidata, griglie organizzative, mappe concettuali, scalette temporali, ecc. Questi stru-
menti forniscono una guida agli studenti e permettono loro di raggiungere risultati che
altrimenti non sarebbero probabilmente in grado di raggiungere, con il doppio vantag-
gio di fornire dei modelli di apprendimento che potranno utilizzare in altri contesti. È al-
tresì utile inserire in questa sezione una griglia che espliciti fin da subito i criteri di valu-
tazione delle attività assegnate. Questo aspetto è particolarmente utile soprattutto se si
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considera che l’attività svolta non è di tipo tradizionale ed è più difficile da “misurare” e
valutare; i criteri di valutazione possono essere complessi e soggettivi ed è dunque im-
portante esplicitarli all’inizio dell’attività, sia per il docente che per gli studenti. Propo-
nendo una griglia di valutazione si permette di suddividere l’attività nei vari aspetti che
la compongono (analisi, sintesi, lavoro di gruppo, uso TIC, elaborazione prodotto, ecc.) e
di individuare i punti di forza e i punti deboli dei lavori svolti, facilitando il feedback del
docente e l’avvio di un processo di miglioramento continuo. Per gli studenti questo per-
mette di capire bene quali sono gli aspetti su cui focalizzare l’attenzione e cosa ci si aspet-
ta da loro, fungendo dunque da guida per il loro lavoro e attutendo la classica paura del
docente e della sua valutazione. Infine la presenza di una griglia di valutazione permette
anche a soggetti terzi di comprendere e valutare il compito affidato per meglio coglierne
il valore pedagogico;
6. conclusione: è il momento in cui si riepiloga, in cui si ricorda agli studenti cosa hanno im-
parato e li si consiglia su come successivamente ampliare l’esperienza per acquisire ulte-
riore conoscenza.
Si tratta di rendere l’apprendimento più motivato e coinvolgente, mantenendo più alta
l’attenzione dei ragazzi che, spinti da curiosità, presteranno attenzione pure al lavoro altrui,
anche al fine di una sana competizione da sviluppare nell’ambito della classe.
Capitolo 5
Content and Language
Integrated Learning
3. lingue veicolari coinvolte. Una o più lingue coinvolte: ad esempio con la duplice immer-
sione si utilizzano 2 lingue veicolari (non materne).
Secondo i suoi ideatori David Marsh e Anne Maljers (1994) il termine CLIL incorpora di-
verse esperienze e metodologie di apprendimento in lingua veicolare. Il termine, prevalen-
temente usato in Italia e in alcuni Paesi europei, è spesso utilizzato anche in alcuni docu-
menti dell’Unione europea per indicare le esperienze di immersione linguistica. Secondo
gli ideatori il termine CLIL dovrebbe anche indicare un approccio metodologico innovativo
dove la costruzione di competenze linguistiche e abilità comunicative si accompagna conte-
stualmente allo sviluppo ed all’acquisizione di conoscenze disciplinari.
L’approccio CLIL ha quindi il duplice obiettivo di prestare contemporaneamente attenzio-
ne sia alla disciplina che alla lingua non materna. Conseguire questo duplice obbiettivo ri-
chiede lo sviluppo di un approccio integrato di insegnamento e apprendimento con un’at-
tenzione speciale al processo educativo in termini generali.
Il CLIL si avvale dei principi metodologici stabiliti dalla ricerca sull’immersione linguisti-
ca e dell’insegnamento in lingua veicolare. In termini generali l’approccio CLIC persegue gli
obiettivi di migliorare nello studente:
– la fiducia nell’approccio comunicativo;
– le abilità e la consapevolezza interculturale;
– la spendibilità delle competenze linguistiche acquisite durante le attività della vita quoti-
diana;
– la disponibilità alla mobilità nell’istruzione e nel lavoro;
– l’immersione in contesti d’apprendimento stimolanti ed innovativi;
– competenze aggiuntive oltre a quelle comunicative nella lingua di immersione;
– il confronto con le TIC, i curricoli e le pratiche integrate.
A – Base
A1 – Livello base
Si comprendono e si usano espressioni di uso quotidiano e frasi basilari tese a soddisfa-
re bisogni di tipo concreto. Si sa presentare se stessi e gli altri e si è in grado di fare doman-
de e rispondere su particolari personali come dove si abita, le persone che si conoscono e le
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cose che si possiedono. Si interagisce in modo semplice, purché l’altra persona parli lenta-
mente e chiaramente e sia disposta a collaborare.
A2 – Livello elementare
Comunica in attività semplici e di abitudine che richiedono un semplice scambio di infor-
mazioni su argomenti familiari e comuni. Sa descrivere in termini semplici aspetti della sua
vita, dell’ambiente circostante. Sa esprimere bisogni immediati.
B – Autonomia
B1 – Livello intermedio
Comprende i punti chiave di argomenti familiari che riguardano la scuola, il tempo libero,
ecc. Sa muoversi con disinvoltura in situazioni che possono verificarsi mentre viaggia nel Pae-
se di cui parla la lingua. È in grado di produrre un testo semplice relativo ad argomenti che sia-
no familiari o di interesse personale. È in grado di esprimere esperienze ed avvenimenti, sogni,
speranze e ambizioni e di spiegare brevemente le ragioni delle sue opinioni e dei suoi progetti.
C – Padronanza
C1 – Livello avanzato
Comprende un’ampia gamma di testi complessi e lunghi e ne sa riconoscere il significa-
to implicito. Si esprime con scioltezza e naturalezza. Usa la lingua in modo flessibile ed effi-
cace per scopi sociali, professionali ed accademici. Riesce a produrre testi chiari, ben costru-
iti, dettagliati su argomenti complessi, mostrando un sicuro controllo della struttura testua-
le, dei connettori e degli elementi di coesione.
gnamento CLIL fa parte dell’offerta formativa scolastica ordinaria a livello primario e secon-
dario.
In Italia questo tipo di insegnamento è stato prevalentemente oggetto di progetti pilo-
ta ovvero in stato di sperimentazione, ma non realmente messo a regime sebbene introdot-
to dalla normativa. Queste sperimentazioni sono oggetto di valutazioni sistematiche. Il fatto
che questo insegnamento faccia parte dell’offerta formativa ordinaria non significa che coin-
volga un elevato numero di alunni. Non abbiamo dati precisi, ma sappiamo che il CLIL è dif-
fuso in tutta l’Italia in poche scuole virtuose.
Le lingue straniere più diffuse nella metodologia CLIL sono Inglese, Francese e Tedesco,
ma sono presenti anche Spagnolo, Russo, Sloveno ed altre lingue. Il CLIL nella scuola pre-pri-
maria è marginale, ma è offerto sopratutto a livello primario, secondario inferiore e secon-
dario superiore.
In generale la partecipazione ad un insegnamento secondo la metodologia CLIL, integra-
to all’offerta educativa ordinaria, è aperta a tutti. Il CLIL è ispirato da due obiettivi. Il primo è
che gli alunni acquisiscano conoscenze specifiche nella materia di studio ed il secondo che
essi acquisiscano competenze in un’altra lingua diversa dalla lingua madre.
In Italia, l’obiettivo primario che ha ispirato il CLIL è lo sviluppo della competenza lingui-
stica. Le materie insegnate attraverso il CLIL sono varie, ma in generale, nella scuola prima-
ria e secondaria di primo grado, sono:
– scienze dell’arte;
– geografia;
– tecnologia.
Nella scuola secondaria di secondo grado sono:
– storia;
– biologia;
– scienze;
– economia.
Il minimo numero di ore dedicato all’insegnamento CLIL varia da scuola a scuola, ma ge-
neralmente i progetti sono limitati a piccoli periodi dell’anno. Finora, per insegnare secondo
la metodologia CLIL non è stato necessario avere uno speciale diploma, ma le scuole hanno
provveduto alla formazione iniziale ed in itinere linguistica degli insegnanti.
niera di una disciplina non linguistica, compresa nell’area delle attività e degli insegnamenti
obbligatori per tutti gli studenti o nell’area degli insegnamenti attivabili dalle istituzioni sco-
lastiche nei limiti del contingente organico ad esse assegnato, tenuto conto delle richieste
degli studenti e delle loro famiglie. Dal secondo anno del secondo biennio è previsto inoltre
l’insegnamento, in una diversa lingua straniera, di una disciplina non linguistica, compresa
nell’area delle attività e degli insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti o nell’area de-
gli insegnamenti attivabili dalle istituzioni scolastiche nei limiti del contingente organico ad
esse assegnato, tenuto conto delle richieste degli studenti e delle loro famiglie.
Un’ulteriore affermazione della metodologia CLIL è arrivata attraverso la recente riforma
c.d. “La Buona Scuola”. La legge 107/2015, in riferimento alle iniziative di potenziamento
dell’offerta formativa e delle attività progettuali, per il raggiungimento degli obiettivi for-
mativi individuati come prioritari, prevede al comma 7, punto a) la “valorizzazione e poten-
ziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano nonché alla
lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante l’utilizzo della metodo-
logia Content language integrated learning” (CLIL).
Obiettivo del CLIL è portare gli studenti durante il proprio percorso di studi all’apprendi-
mento per la lingua straniera principale almeno al livello B2.
Il profilo del docente CLIL è caratterizzato dal possesso di competenze linguistico-comu-
nicative nella lingua straniera veicolare di livello C1 del Quadro Comune Europeo di Riferi-
mento per le lingue e da competenze metodologico-didattiche acquisite al termine di un
corso di perfezionamento universitario del valore di 60 CFU per i docenti in formazione ini-
ziale e di 20 CFU per i docenti in servizio. Per la formazione del personale docente di discipli-
na non linguistica (DNL) in servizio, il MIUR ha avviato un’azione di formazione affidata alle
università, sia per l’acquisizione delle competenze metodologico-didattiche, sia per l’acqui-
sizione delle competenze linguistiche a partire dal livello B1 fino al raggiungimento del livel-
lo C1 (QCER).
APPENDICE
ESEMPIO DI UN MODULO DI DIRITTO CON LA METODOLOGIA CLIL
Diritto:
– riflettere sulla propria condizione di cittadino, diversa a seconda della cultura di apparte-
nenza;
– conoscere i diritti fondamentali dell’uomo;
– individuare gli impedimenti che precludono la realizzazione della persona umana;
– conoscere le organizzazioni e associazioni internazionali che si battono per la tutela dei
diritti umani.
Interdisciplinarietà
Compresenza: Diritto-conversazione inglese
– insegnante di conversazione inglese;
– insegnante di diritto.
Tempi previsti
Il progetto si articola in un modulo diviso in due fasi: A e B per un totale di 30 ore di docen-
za e 4 di verifica
Fase A: ore 16 I diritti umani
Fase B: ore 14 Diritti umani nel mondo
Prerequisiti
Prerequisiti inglese:
Strutture grammaticali e funzioni linguistiche livello A1 del Quadro di Riferimento Europeo
Prerequisiti diritto:
Il discente conosce le regole fondamentali della convivenza civile
Percorso didattico
Contenuti:
– I diritti umani;
– La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo;
– Diritti civili, politici ed economici;
– I diritti nella Costituzione italiana;
– Unità didattiche programmate: 5 U.D.
U.D. 2 Visione di una parte di un film in lingua inglese con sottotitoli relativo al tema (La vita
è bella, La casa degli spiriti).
U.D. 5 Comparazione tra la Dichiarazione dei diritti umani e la Costituzione italiana, discus-
sione e commento in classe sulla situazione dei diritti umani nel mondo.
Competenze in uscita
Alla fine di questa prima parte l’allievo dovrà dimostrare di conoscere:
– cosa s’intende per diritti umani;
– quali sono i diritti umani;
– la Costituzione italiana e i diritti umani in essa contenuti;
– la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Verifiche
In itinere:
– il discente produce vignette che rappresentino un diritto negato.
Finale:
– il discente descrive in L2 le vignette che rappresentano il diritto negato (che ha scelto di
disegnare e illustrare) e dimostra di riconoscere quale diritto è stato negato;
– è inoltre in grado di risalire all’articolo della Costituzione e della Dichiarazione universa-
le dei diritti umani che prevedono il riconoscimento di tale diritto.
Pre-requisiti inglese:
Strutture grammaticali e funzioni linguistiche livello A1 del Quadro di Riferimento Europeo +
alcune strutture grammaticali e funzioni nuove acquisite nel corso dell’anno
Pre-requisiti diritto:
Conoscenza dei contenuti trattati nel modulo A
Percorso didattico
Contenuti:
– Realizzazione e/o negazione dei diritti umani nel mondo;
– L’ONU e le sue agenzie;
– Associazioni non governative che si battono nel mondo per la tutela dei diritti: Amnesty
International e Emergency.
U.D. 2 Ricerca di personaggi che hanno lottato per la difesa dei diritti nel mondo (Martin Lu-
ther King e Gandhi).
Ricerca studio ed approfondimento delle organizzazioni che nel mondo si battono per la di-
fesa dei diritti umani: ONU e le sue agenzie.
Competenze in uscita
Alla fine di questa prima parte l’allievo dovrà dimostrare di conoscere:
– la negazione nel mondo dei diritti umani;
– l’ONU: obiettivi e finalità; struttura e organi. Le agenzie dell’ONU;
– le Associazioni che nel mondo si battono per le tutela dei diritti umani.
Dovrà sapere:
– comprendere un testo in inglese scritto e orale relativamente alle tematiche trattate;
– argomentare oralmente in inglese quanto appreso;
– fluency, accuracy e appropriacy: appropriatezza registrata a questo livello.
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Verifiche
In itinere:
– ogni discente deve commentare in classe in lingua ed esprimere le proprie opinioni sugli
argomenti proposti.
Finali:
– gli allievi relazionano in lingua sugli argomenti trattati. Seguendo un questionario loro
assegnato dovranno esprimersi in L2 e rispondere alle domande. I criteri di verifica com-
prenderanno: correttezza dei contenuti disciplinari, nonché la fluency, appropriacy regi-
strate a questo livello.