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Luigina Mortari
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La ricerca constatativa è quella che si prefigge un compito ricognitivo sul contesto, che mira
a comprendere le cose così come accadono; la ricerca esperienziale-trasformativa è quella che
mette alla prova dell’esperienza la teoria con lo scopo di trasformare la teoria e la pratica.
Anche la ricerca ricognitiva è importante dal momento che c’è bisogno di capire come si
attuano certe intenzioni pedagogiche, come sono percepite certe esperienze dai soggetti che
le vivono, quali effetti producono nel contesto certe azioni. Tuttavia l’approccio constatativo-
ricognitivo non è sufficiente per fondare una teoria pedagogica; c’è bisogno innanzitutto di
ricerche che mettano alla prova le idee, quelle che hanno la forma di «ipotesi provvisorie»
(«tentative hypotheses», come le ha definite Dewey), In questo caso la ricerca empirica assu-
me la forma di un intervento che introduce qualcosa di nuovo nel contesto e che monitorando
il modo del suo accadere verifica la qualità dell’azione, ricavando così le indicazioni necessa-
rie, anche se non sempre sufficienti, ad orientare la prassi.
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La ricerca empirica in educazione
2. Domande aperte
(a) Quand’è che una ricerca educativa si può considerare rilevante? Quali
sono i criteri per decidere la rilevanza di una ricerca? È sufficiente che af-
fronti temi all’ordine del giorno nella comunità scientifica? Deve fornire dati
dotati di certezza? Oppure è rilevante quella ricerca che nasce dal dialogo fra
ricercatori accademici e pratici, entrambi impegnati innanzitutto ad indivi-
duare problemi rilevanti nella realtà e a cercare strade per migliorare la qua-
lità delle azioni educative e risolvere certe criticità? Diversi e altri possono es-
sere i criteri per definire la rilevanza, ipotizzaziamo di accettare come valida
la terza opzione, si tratta a questo punto di individuare un’argomentazione a
suo sostegno.
Quando la ricerca pedagogica non può svilupparsi lontano dal mondo del-
la pratica, e dunque senza misurarsi con l’esperienza viva, perché
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(b) Quando è che una ricerca educativa si può considerare rigorosa? È legit-
timo pensare che una ricerca rigorosa è quella che muove da una riflessione
sul paradigma di riferimento, sulla/e filosofia/e che rispondono al bisogno di
dare un senso all’agire euristico, sul metodo da utilizzare?
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Platone, nel Fedro, ci ha insegnato che conoscere vuol dire girare intorno al
fenomeno, e María Zambrano riprendendo questa visione circolare-ricorsiva
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del processo euristico, suggeriva che questo girare intorno deve trovare il suo
numero giusto di giri, ossia nulla di meno e nulla di troppo. Il come girare
intorno e il quanto girare intorno è cosa che il metodo approssimativamente
ci dice prima di iniziare una ricerca, ma solo approssimativamente, perché
avere un metodo non significa stare sotto la sovranità di regole che chiedono
solo obbedienza, ma stare in un orizzonte di questioni da pensare; per questo
il metodo è qualcosa che va definito cammin facendo, considerandolo non
come dispositivo definito in anticipo, ma come materia da plasmare duran-
te il percorso. Questa concezione che definisco emergenziale-indiziaria del
metodo chiede un radicale processo di riflessione, che assume il metodo non
solo come guida per la ricerca ma anche come oggetto di ricerca, perché solo
mettendolo nella posizione di oggetto diventa guida effettiva.
Il lavoro del pensiero implicato in un’azione di ricerca è dunque duplice:
• pianificare e realizzare le mosse euristiche necessarie a costruire la cono-
scenza cui mira il lavoro di ricerca,
• riflettere su ciò che si fa e su ciò che si pensa di fare per riaggiustare conti-
nuamente tali mosse e perfezionare i dispositivi di ricerca.
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Ritroviamo questa visione della pratica educativa come di qualcosa la cui problematicità
sarebbe incomprimibile dentro alcuna teoria che pretenda una valenza esplicativa generale
nel numero inaugurale della rivista Educational Review, apparsa nel 1891, dove Josiah Royce
invitava a concepire la formazione dei docenti non come apprendimento di sistemi pedago-
gici poiché «non esisterebbe alcuna valida scienza pedagogica... capace di... una completa
formulazione... e di una diretta applicazione» (cit, in Lagemann, 2000, p. IX).
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Ellen Lagemann (2000, p. XI) spiega che nei primi decenni del secondo XX, quando si
affermò un movimento di pensiero teso a costruire una scienza dell’educazione, sia per raf-
forzare le politiche educative sia per contrastare l’antipedagogismo dilagante, a prendere il
sopravvento non fu il pensiero di Dewey, ma quello dello psicologo Edward Thorndike, che
muovendo da un approccio behavioristico, favorì l’affermarsi di una concezione quantitativa
e tecnocratica della ricerca educativa. I ricercatori pedagogici, preoccupati di acquisire uno
statuto di credibilità scientifica, hanno cercato di emulare quelle scienze sociali che si ispi-
ravano al paradigma dominante nelle scienze naturali, anziché ponderare le caratteristiche
distintive della ricerca educativa e cercare di conseguenza una concezione del rigore e della
rilevanza della ricerca adeguata all’essenza dell’agire educativo (p. XII). In questo momento
la ricerca educativa, forse ancora più che le alte forme di ricerca nelle scienze umane, avver-
tono la necessità di prendere le distanze da quella che è definita «received view» per elaborare
un’epistemologia fedele alla qualità dell’oggetto d’indagine.
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In un disegno di ricerca che prevede «metodi misti» può accadere di trovare combinati alla
fine della somministrazione di una scala Likert delle domande aperte e prevedere per l’in-
terpretazione dei dati l’suo di note di campo che non si prestano ad un approccio numerico,
oppure in uno studio qualitativo fondato che fa ricorso alla grounded theory prevedere una
elaborazione numerica dei dati raccolti (Morse, 2003, p. 192).
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Non si può non rilevare che recenti indicazioni pedagogiche negli U.S.A. segnano un deciso
ritorno al modello positivistico della ricerca; si vedano per questo i documenti «No Child Left
Behind» (2001), l’«Education Sciences Act» (2002) e il nuovo «Institute for Education Scien-
ces», che incoraggiano ricerche basate su disegni sperimentali e indagini statistiche. Da parte
sua il «US Department of Education» considera validi programmi educativi quelli che si fon-
dano su evidenze guadagnate attraverso larghe ricerche con una elaborazione statistica dei
dati (Demerath, 2006, p. 97).
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La sfida di condurre ricerche meta-analitiche va accolta non solo perché senza un razionale
e critico lavoro di sintesi viene a mancare quella visione d’insieme che è indispensabile per
fare passi in avanti, ma anche perché le meta-analisi forniscono dati utili per costruire su
evidenze epistemiche le politiche educative.
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cerca elaborati, delle tecniche utilizzate, e poi una ricerca valutativa nel mon-
do dei pratici per verificare l’impatto che hanno avuto le ricerche nel mondo
dell’educazione, e stabilire quale tipologia ha trovato un maggiore consenso e
utilizzabilità.
Si continua a fare ricerca, spesso una ricerca frammentata in miriadi di
piccoli indagini, senza soffermarsi a valutate l’impatto di queste ricerche. Ma
senza dedicarsi ad una valutazione seria delle ricerche fino ad ora effettuate, si
corre il rischio di continuare ad investire risorse in ricerche inessenziali, con
una diseconomia non giustificabile7.
Nella letteratura anglofona, soprattutto quella che si occupa di «teacher
education», si rileva con una certa preoccupazione che i pratici si tengono lon-
tani dalle ricerche degli accademici: forse sarebbe il caso di capire perché e
quindi ovviare a questa scissura che impoverisce il mondo dell’educazione
da una parte e dall’altra rende sempre meno credibile la ricerca accademica.
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Alcune critiche cui è sottoposta la ricerca educativa:
(i) ricerche di piccola dimensione e troppo frammentate, da cui è impossibile ricavare indi-
cazioni utili all’azione:
(ii) un approccio non cumulativo alla ricerca che, non tenendo conto di ricerche precedenti,
non consente di fare progressi;
(iii) ricerche ideologicamente condizionate, che servono interessi politici anziché perseguire
una disinteressata ricerca della verità;
(iv) indagini metodologicamente deboli, senza rigore nell’impianto metodologico e nell’uso
dei dati;
(v) ricerche inaccessibili sul piano linguistico e pubblicate su riviste scientifiche che risultano
esoteriche ai pratici (Pring, 2000, p. 156).
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brica dei dati consentirebbe di pervenire a teorie predittive, non si rischia ade-
guandosi alla cultura della ricerca di evidenze di ritornare a recintare la ricerca
educativa in una nuova anche se mascherata forma di positivismo?
Non è possibile non tener conto del fatto che lo strand che si sta afferman-
do nel mondo della politica della ricerca è di finanziare soprattutto le ricerche
che mirano alle evidenze. Tenere conto di questo fatto non significa piegarsi
alle logiche dominanti, ma interrogarsi sul presente per cercare, se necessario,
strade alternative. Quando si va affermando una cultura che non ci convince
si possono chiudere gli occhi e ritrarsi nel proprio mondo, con la conseguenza
che altre logiche prendono il sopravvento erodendo ogni altro possibile spazio
di azione; oppure si può cercare di comprendere le nuove politiche, e trovare il
modo di piegarle ad altre logiche che non siano quelle dominanti.
In questa prospettiva diventa essenziale per la ricerca educativa riflettere
su cosa si può intendere per evidenza, se può essere concepita solo come esito
di una relazione causale tra due fattori; si tratta di tornare a disaminare una
questione che ricorrentemente si pone, ossia in che cosa consiste una ricerca
scientifica che ha come oggetto l’esperienza umana (quella che viene definita
SBR, ossia «scientifically based research»). Se diamo per scontato che esista
una sola definizione di evidenza allora autorizziamo una forma di sovranità
epistemologica (Lather, 2004, p. 19) che potrebbe vanificare ogni altra vitale
prospettiva minoritaria o emergente.
E infine occorre chiedersi se necessariamente si devono rincorrere certezze
in un mondo che sembra riluttante ad esse, e non sia preferibile progettare
azioni stando sensatamente ma anche eticamente dentro inevitabili margini
di incertezza.
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A margine
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Riferimenti bibliografici
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