Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
1
(Rossi, 2011; Rivoltella, 2012; Sibilio, 2012a; 2012b; 2013), accomunati da
una visione complessa, sistemica, plurale e transdisciplinare dell’esperienza
formativa. Queste linee di ricerca, se da una parte hanno cercato di
contribuire ad una progressiva rivisitazione degli approcci e dei domini
scientifici ritenuti indispensabili per decifrare la complessità
dell’esperienza formativa, dall’altra si sono dimostrate in grado di
interpretare il cambiamento sollecitato dai diversi interventi normativi e
regolamentari che hanno accompagnato il processo di autonomia, compresi
quelli volti a promuovere i processi di inclusione degli alunni con
specifiche esigenze educative attraverso determinati percorsi formativi
(Legge 8 ottobre 2010, n. 170, art. 4; Linee Guida 12 luglio 2011, art. 7;
Direttiva Ministeriale 27 dicembre 2012, art. 1, c. 6).
Lo snodo di questo necessario processo di cambiamento, sollecitato
dalle norme ed avvalorato dalle attività di ricerca, è stato la formazione
delle competenze professionali dei docenti, indispensabili per interpretare
una funzione attiva ed efficace nell’esperienza formativa.
Un particolare richiamo al significato che assume la formazione docente
in materia di didattica emerge dal Profile of Inclusive Teachers redatto dalla
European Agency for Development in Special Needs Education (2012) che,
tra i valori necessari agli insegnanti per esercitare la loro professione in
ambienti scolastici inclusivi, indica il “Personal Professional Development
- teaching is a learning activity and teachers take responsibility for their
lifelong learning” (European Agency for Development in Special Needs
Education, 2012, p. 16).
Da una prima analisi delle aree di competenza, delle conoscenze e dei
comportamenti associati a tale valore, si delinea una prospettiva secondo la
quale gli insegnanti sono “reflective practitioners” e la loro formazione
iniziale è intesa come “a foundation for ongoing professional learning and
development” (European Agency for Development in Special Needs
Education, 2012, p. 16). Partendo, quindi, dall’assunto che la formazione
costituisce una modalità complessa e plurale per la costruzione delle
competenze didattiche dei docenti, ogni insegnante, se è competente, potrà
valutare il proprio operato e dimostrarsi un professionista responsabile ed
efficace. Difatti, il docente, solo se è in possesso degli strumenti per
cogliere ed interpretare l’interazione derivante dalla sua didattica, può
essere in grado di riflettere sul proprio lavoro, sulle proprie prestazioni
professionali e sulle capacità che queste ultime hanno nel favorire il
processo di insegnamento-apprendimento.
L’insegnante, dunque, riscontra la propria competenza nella qualità
dell’interazione didattica, sviluppando efficaci e flessibili strategie di
2
problem solving (European Agency for Development in Special Needs
Education, 2012) per promuovere l’innovazione e l’apprendimento
individuale ed in modo da rispondere al bisogno professionale e
all’esigenza funzionale di fronteggiamento della complessità formativa.
In tal senso, in una realtà proteiforme come quella educativa,
caratterizzata dalla complessità e dalla dinamicità dei suoi contesti, dalla
varietà e dalla pluralità dei bisogni dei discenti, la logica del pensiero
creativo, se declinata in esperienze formative inserite nella costruzione
delle competenze del docente, potrebbe rivelarsi un’interessante strategia
per la risoluzione di situazioni problematiche (Canevaro, 2013).
A questo proposito, è possibile riscontrare interessanti analogie nelle
riflessioni scientifiche di Alain Berthoz, fisiologo della percezione e
dell’azione, il quale, nella sua teoria della semplessità, ipotizza che le
soluzioni elaborate dagli organismi viventi per decifrare e fronteggiare la
complessità, possano essere considerate valide ed applicabili all’intera
classe dei sistemi complessi adattivi.
Uno dei principi della semplessità descritti da Berthoz è la deviazione,
ovvero una
“regola di semplificazione del processo di adattamento che utilizza una
complessità accessoria per rendere più efficace il controllo del sistema, [...]
un percorso risolutivo non lineare, capace di deviare da percorsi
schematicamente consolidati per utilizzare combinazioni di variabili
semplici che evolvono in variabili composte, più efficaci per la risoluzione
di situazioni problematiche complesse” (Berthoz, 2011, p. 20).
3
1994) che hanno dimostrato interessanti implicazioni educative e sono
avvalorati da una ricca letteratura scientifica.
4
cervello umano e quest’ultimo è naturalmente strutturato per pensare
creativamente” (Cesa-Bianchi et al., 2009, p. 14), favorendo l’ipotesi di
riconoscerne il valore potenziale ed il carattere dinamico.
La creatività, dunque, da caratteristica esclusiva di poche menti
eccezionali diventa il tratto distintivo del pensiero umano, l’espressione
naturale dell’interiorità dell’individuo.
Secondo la prospettiva della ricerca scientifica e psicologica, la
creatività consente all’essere umano di adattarsi e di cercare nuove
soluzioni ai problemi più svariati; essa può essere intesa come uno
strumento di deviazione da azioni risolutive stereotipate e modellizzate in
quanto, superando la realtà organizzata, può scardinare opinioni e
convinzioni e fornire una nuova prospettiva (Cesa-Bianchi et al., 2009).
Tale concezione prevale in molti studiosi tra cui Daniel Goleman, il
quale, ritenendo che “lo spirito creativo sia alla portata di chiunque si senta
spinto a provare e a migliorare le cose, di chiunque voglia esplorare nuove
possibilità”, intende la creatività come capacità di miglioramento e di
adattamento (Goleman et al., 1999).
Condividendo tale visione, Mark A. Runco, uno dei maggiori studiosi
del pensiero creativo, afferma che l’elemento più importante che
caratterizza la creatività sia la flessibilità, che consente di vedere la stessa
cosa da più punti di vista, di confrontarsi con i cambiamenti e di escogitare
nuove soluzioni permettendo soprattutto di praticare un pensiero
“contaminato” e non autarchico (Runco, 1999).
5
insegna ad affrontare i problemi assumendo punti di vista differenti e
propone sei diverse prospettive dalle quali è possibile generare un’idea.
La riflessione di Edward de Bono parte dalla modalità con la quale ci si
approccia alle situazioni problematiche, considerando in molti casi un solo
punto di vista e riducendo, in tal modo, le soluzioni possibili. Secondo lo
studioso maltese, ogni modalità di risoluzione di una situazione
problematica può essere paragonata ad un cappello che non solo definisce
un certo tipo di pensiero, ma ha anche un proprio colore (de Bono, 1985);
dunque, anziché provare a coprire con il pensiero tutti gli aspetti, è
possibile separare i vari tipi di pensiero e portarli a termine separatamente:
il cappello bianco riguarda i puri fatti, le cifre, i dati, le
informazioni e rispecchia il pensiero verticale;
il cappello rosso fornisce il punto di vista emotivo: non solo
emozioni e sensazioni, ma anche presentimenti ed intuizioni;
il cappello nero è relativo agli aspetti negativi ed alle ragioni per
cui una cosa non può funzionare;
il cappello giallo comprende l’ottimismo, la speranza, i pensieri
positivi e le opportunità;
il cappello verde indica la creatività, il prodursi di nuove idee ed è
tipico del pensiero laterale;
il cappello azzurro è connesso al controllo e all’organizzazione del
pensiero, è relativo, quindi, anche all’uso degli altri cappelli.
I “Sei Cappelli per Pensare” costituiscono “uno strumento tangibile per
tradurre l’intenzione in attuazione” (de Bono, 1985, p. 23) e, partendo
dall’assunto che se si recita la parte del pensatore alla fine lo si diventa,
considerano l’intenzione come il primo passo verso la risoluzione di un
problema; segue il momento dell’attuazione: “il pensiero si adegua ai gesti
e la finzione diventa realtà” (de Bono, 1985, p. 20).
Il pensiero laterale, dunque, secondo la proposta scientifica di de Bono
(1994), è una sintesi tra proprietà e volontà del soggetto ed è, quindi,
considerabile sia come uno stato d’animo che come l’insieme di metodi ben
definiti. Questa originale armonizzazione tra la naturale attitudine del
soggetto e la sua volontà a produrre un cambiamento del suo punto di vista
e dei suoi atteggiamenti è, appunto, l’espressione del pensiero laterale.
Declinato in campo formativo l’esercizio del pensiero laterale teorizzato
da de Bono (1994) richiederebbe itinerari esperienziali per la costruzione di
competenze professionali dell’insegnante, da svolgersi attraverso attività
che mettano in campo la capacità del soggetto di esercitare la flessibilità e
la deviazione nella trasposizione didattica. Tale approccio richiama, quindi,
6
il ruolo centrale della consapevolezza, ovvero la capacità del docente di
riconoscere i propri atteggiamenti e le modalità adottate per affrontare le
situazioni problematiche, anche rispecchiandosi nella visione che gli altri
hanno costruito sulle prassi del proprio agire.
Il confronto con gli altri, individuato anche come uno dei valori del
Profile of Inclusive Teachers (“working with others - collaboration and
teamwork are essential approaches for all teachers”, European Agency for
Development in Special Needs Education, 2012, p. 19), realizzato nelle
diverse forme possibili con rigore metodologico, consente un necessario
rispecchiamento del docente che restituisce alla sua esperienza didattica la
consapevolezza della pluralità e della diversità percettiva, la coscienza del
pericolo di un’inefficace interazione capace di produrre una distanza tra
docente e discente.
Il confronto avvalora, infatti, la tesi secondo cui la nostra visione delle
cose è una possibilità simile a tante altre; ne segue, dunque, la volontà di
evadere da una struttura di pensiero per trovarne una migliore (de Bono,
1985).
In questa prospettiva, se una soluzione diretta prevede il ricorso, anche
in campo formativo, alla logica sequenziale, risolvendo il problema a
partire dalle considerazioni apparentemente più ovvie, il pensiero laterale
si discosta da tale logica e cerca punti di vista alternativi. Il pensiero
verticale in tal senso è, quindi, logico, selettivo di idee e sequenziale,
mentre il pensiero laterale è generativo di nuove idee e di nuovi concetti,
esplorativo, integrativo e, soprattutto, non sostitutivo di quello verticale,
ma inteso come processo che segue i meccanismi della percezione con la
finalità di generare idee validamente supportate dalla logica.
A questo proposito, de Bono (1996) attribuisce aspetti perfettamente
logici al pensiero laterale, in quanto presenta caratteristiche divergenti e
convergenti: entrambe i processi mentali, infatti, sono necessari alla
produzione di idee e si alternano in ogni elaborazione.
Lo studioso maltese, dunque, superando la visione del processo creativo
diviso per fasi fondamentali, individua un modello complesso ed intende il
pensiero laterale come “una forma strutturata di creatività che può essere
usata in modo sistematico e deliberato” (de Bono, 2000).
Secondo de Bono (1996), il pensiero laterale dipende dal
funzionamento del cervello come sistema che si auto-organizza in modo da
formare schemi asimmetrici; il cervello, da una parte, consente alle
informazioni in arrivo di organizzarsi in modelli, dall’altra usa tali modelli
nel processo della percezione. Il modello è il tracciato principale, ma può
esservi anche una deviazione laterale, in quanto il pensiero può percorrere
7
una strada alternativa e tale deviazione dà luogo alla creatività (Cesa-
Bianchi et al., 2009).
Il pensiero laterale, quindi, è concepito da de Bono (1996) come la
modalità attraverso la quale il “cervello” diventa “mente”, organo capace di
pensare se stesso e divenire emulatore di nuove idee.
8
In tal senso, principi semplessi come l’inibizione, il principio del rifiuto
e il principio della deviazione appaiono indispensabili per fare emergere le
potenzialità del pensiero creativo che richiede la capacità di inibire e di
rifiutare soluzioni automatiche ed immediate, individuando strategie
operative flessibili che, attraverso una complessità accessoria, facciano
emergere nuove modalità di azione didattica in grado di favorire il processo
di apprendimento.
Alla luce di tali riflessioni e tenendo conto della prospettiva sistemica
delineata, l’acquisizione di abilità di pensiero creativo, coerentemente con
una visione semplessa della didattica, potrebbe costituire una valida
strategia per promuovere interventi formativi finalizzati a decifrare la
complessità, fronteggiandone le insidie da essa derivanti.
Metodologia
9
pedagogica (Didattica generale, Didattica speciale, Pedagogia speciale,
Metodologia e progettazione educativa).
L’attività proposta ai docenti in formazione è stata suddivisa in tre fasi:
1. Nella fase iniziale del percorso di abilitazione, partendo dall’assunto
che l’adozione, in campo didattico, di strategie flessibili ed alternative
possa offrire al docente una pluralità di soluzioni, come avvalorato anche
dalla letteratura scientifica di riferimento, sono stati illustrati ai corsisti i
principali studi sulla creatività e sul pensiero divergente, soffermandosi in
modo dettagliato ed approfondito sulle teorie di Edward de Bono
relativamente al pensiero laterale e presentando il metodo dei “Sei Cappelli
per Pensare”, quale strumento per esercitare il pensiero creativo.
È stata successivamente spiegata la teoria della semplessità di Alain
Berthoz rispetto alla quale, con particolare riferimento alle proprietà
semplesse della flessibilità e dell’adattamento al cambiamento, ed ai
principi semplessi dell’inibizione, del rifiuto e della deviazione, è stato
possibile individuare interessanti analogie con i concetti di creatività, di
pensiero divergente e di pensiero laterale.
2. Alla prima fase, caratterizzata soprattutto da riflessioni di carattere
teorico sull’argomento, è seguito un momento pratico-operativo: ai docenti,
infatti, già precedentemente coinvolti in attività di gruppo di vario tipo, è
stata proposta un’esercitazione mirata all’esercizio della deviazione e,
quindi, del pensiero creativo, incentrata sulla declinazione delle proprietà e
dei principi della semplessità in didattica generale, in didattica disciplinare
e in didattica speciale.
3. Nella terza fase, dopo aver fornito i fondamenti teorici relativamente
alla creatività, sono state svolte una serie di esperienze formative di gruppo
che, attraverso il confronto, hanno messo in evidenza l’importanza,
nell’azione didattica, della consapevolezza della diversità e della pluralità
percettiva. In seguito, è stato chiesto ai docenti, sulla base del metodo dei
“Sei Cappelli per Pensare” di Edward de Bono, di indicare su una tabella
cartacea precompilata il colore del cappello che meglio descrivesse le
proprie caratteristiche personali nella fase di risoluzione di un problema,
specificando, attraverso l’indicazione del colore, l’approccio ritenuto
prevalente rispetto agli altri.
10
percezioni differenti delle proprie caratteristiche di approccio alla
risoluzione di situazioni problematiche (Grafico 1).
Trattandosi di un’esperienza volta a comprendere, in particolar modo, la
tendenza dei docenti ad utilizzare la creatività per un approccio “laterale”
alla didattica inclusiva e al fine di superare la rigidità dei modelli logici
legati al pensiero verticale molto spesso utilizzato, si è posta una specifica
attenzione al colore dei cappelli che rappresentano a pieno i due tipi di
pensiero: il bianco (pensiero verticale) e il verde (pensiero laterale).
Risultati
Grafico 1 - Risultati relativi alla scelta, da parte dei docenti impegnati nei Percorsi
Abilitanti Speciali, del colore del cappello che meglio rappresenta le proprie caratteristiche
di problem solving.
11
Considerazioni conclusive
12
Riferimenti bibliografici
13
Riferimenti normativi
14