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GRANESE-BERTIN”.
1. L’EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA ITALIANA DAGLI ANNI CINQUANTA ALLA
META’ DEGLI ANNI OTTANTA DEL NOVECENTO.
1.1. La formalizzazione del discorso pedagogico.
Questo capitolo si prefigge di presentare alcune delle più rilevanti questioni critico-problematiche che
denotano il discorso pedagogico prima della pubblicazione del “Documento”, avvenuta nel 1986.
Nei primi decenni del secondo Novecento la pedagogia appare impegnata nel costruire la propria identità di
“sapere”. Ciò implica stabilire se essa sia riconoscibile in quanto scienza o se permanga entro i margini di
un’incerta pre-scientificità. Tale sforzo si traduce nel tentativo di attuare una formalizzazione del discorso
pedagogico attraverso cui definire il profilo identitario della pedagogia. È un processo lento e graduale,
all’interno del quale la pedagogia risulta protesa a mettere ordine entro la propria struttura epistemica,
curvando l’attenzione verso alcuni punti nodali.
Tuttavia, la svolta epistemologica del problema della scienza si riflette nelle problematiche
pedagogiche sospingendo la pedagogia stessa, proprio in quanto scienza umana, a interrogarsi
anzitutto sull’educazione dell’uomo.
Nei primi decenni del secondo Novecento il concetto di educazione è inteso quale sviluppo
dell’essere umano e giunge a costituire il perno orientativo centrale dell’interesse pedagogico.
L’educazione si configura come processo di passaggio da una situazione di partenza ad una
situazione di arrivo (c’è educazione in quanto c’è mutamento, trasformazione del nuovo e del
diverso in rapporto al momento iniziale), passaggio che è funzionale dell’intervento di un
numero di fattori, potenzialmente infinito, per un certo periodo di tempo. Nello stabilire che la
pedagogia è la scienza dell’educazione dell’uomo, questo sapere procede nel porre ordine
all’interno della ricerca, del discorso e della critica che lo strutturano.
C. La ricerca pedagogica.
Chiarire il concetto di “ricerca pedagogica” significa riflettere sugli aspetti formali che la
contrassegnano. L’espressione “ricerca pedagogica” fa riferimento all’insieme dei concetti che
qualificano la pedagogia e la intendono come un ragionamento sull’educazione, allo studio
compiuto sull’educazione e allo strumento concettuale che l’operatore intende impiegare per
le sue indagini.
La struttura formale della ricerca pedagogica si compone di una pluralità di paradigmi, di una
molteplicità di linee concettuali e di una varietà di correlazioni tematiche le quali concorrono a
formare un tutto unico, che può essere considerato come un’entità in sé, la cui peculiarità è
però data dalle relazioni che intercorrono tra gli elementi.
Granese precisa come sia proprio questa concatenazione dialettica che contraddistingue
l’impianto euristico della pedagogia a rappresentare uno dei problemi epistemologici e
metodologici in cui si riflette la natura dialettica dei problemi educativi.
Il decidere se la pedagogia sia una scienza, implica stabilire in generale le procedure con cui
una scienza ottiene la formulazione delle proprie posizioni. Ciò impone di superare la
storica antinomia fra le due culture, che ha indotto a separare gli aspetti “umanistici” e
quelli “scientifici” del sapere, di superare il dualismo fra ricerca teorica e pratica in
pedagogia, di ravvisare come una trattazione di tipo scientifico richieda di esplicitare una
presa di posizione di tipo epistemologico.
Nei decenni antecedenti il “Documento Granese-Bertin”, la pedagogia oscilla fra una tensione di
matrice filosofica e una impostazione d’ordine empirico-sperimentale. Tale polarizzazione rende più
ardua la costruzione di una scientificità in cui possano convergere (e riconoscersi) le differenti
concezioni del “pedagogico” e dell’educazione. Di frequente viene dato risalto al legame tra
pedagogia e filosofia; in altri casi le pubblicazioni rimarcano la necessità di una sperimentazione
pedagogica. Infine, vengono dati alle stampe studi che affrontano il problema della scientificità
pedagogica muovendo dalla distinzione fra pedagogia, filosofia e filosofia dell’educazione.
Entro questo scenario viene gradualmente strutturandosi la scientificità della pedagogia; citiamo
“La pedagogia come scienza” in cui viene rilevato che indagare la natura, i mezzi e gli scopi
dell’educazione: non vuole dire altro che sviluppare sistematicamente le conoscenze che riferiscono
all’educazione e organizzarle in una scienza, la pedagogia, con caratteri e fini propri. Per costruire la
scientificità della pedagogia occorre affrontare la questione dell’impiego del metodo scientifico,
nonché porre la parola scienza in rapporto all’educazione e quindi all’uomo.
Nell’analizzare gli indirizzi della ricerca pedagogica negli anni Cinquanta del Novecento, De
Bartolomeis sostiene che la pedagogia scientifica sia nata dalla necessità di liberare la problematica
pedagogica sia dall’esclusivismo filosofico e dalle sue generalizzazioni azzardate sia dalle
approssimazioni e dalle angustie di un punto di vista empirico, didattico, incapace di fondazione
critica, di sistematicità e di controllo dei suoi procedimenti. Il rigore richiesto dai criteri della
scientificità induce progressivamente la pedagogia a soppesare il rapporto fra la sua costitutività
filosofica e la concretezza del suo oggetto di studio (l’educazione), la cui conoscenza sospinge ad
aprire la riflessione a una teoresi filosofica capace di problematizzare la materialità del processo
educativo conferendo le necessarie garanzie di scientificità.
Broccoli rileva quanto la pedagogia si sia caratterizzata per astratta teorizzazione e puro filosofare,
oppure per scarsa consistenza scientifica e assenza di fondamento speculativo. Tutto ciò ha
contribuito a determinare la crisi non solo della pedagogia, ma anche del concetto stesso di
educazione, inficiando così la possibilità di promuovere una trasformazione della realtà attraverso
l’educazione stessa.
Maria Teresa Gentile si sofferma sulla crisi della scientificità della pedagogia sottolineando come
l’eterogenesi dei fini, che ha contraddistinto il sapere sull’educazione, abbia condotto la pedagogia,
dal dopoguerra in poi, a emanciparsi dai legami con i presupposti metafisici potenziando le valenze
operative del suo discorso traducendo la didattica in una riduttiva metodica di apprendimento.
L’accentuata richiesta in Italia, durante il secondo dopoguerra, della pedagogia come scienza ha
portato a maturazione un più avvertito livello epistemologico, al quale si è accompagnata la
necessità di strutturare una critica pedagogica. Si è tentato di comprendere con maggiore rigore
formale non solo a che tipo di teoria e di teorizzazione corrisponda la riflessione pedagogica, ma
anche a che livello essa operi.
Analizzando la congiuntura storico-culturale che dalla metà degli anni Sessanta conduce alla metà
degli anni Ottanta, Cambi rileva come il sapere pedagogico abbia subito una delle fratture che
possiamo definire più verticali della sua storia. Si è trattato di una svolta in direzione scientifico-
epistemologica, che ha chiuso con ogni approccio di tipo filosofico ai problemi dell’educazione.
A metà degli anni Ottanta il congegno che forma il sapere pedagogico presenta alcuni caratteri
fondamentali:
Complessità/pluralismo;
Disordine endemico, ma anche costruttivo;
Basso profilo teorico;
Rigorizzazione estrinseca;
Antinomicità;
Dialettica.
Il tentativo di conferire alla pedagogia un’identità scientifica robusta è correlato alla necessità di
porre in chiaro l’oggetto di studio di questo sapere, nella seconda metà del Novecento italiano esso
è riconducibile all’educazione. È proprio la concezione di educazione a determinare la
problematicità della pedagogia; la problematicità dell’esperienza educativa pone la pedagogia in
uno stato di fragilità e precarietà scientifiche a causa delle quali essa appare sempre
potenzialmente in crisi poiché incessantemente protesa a risolvere situazioni complesse, a scegliere
tra posizioni opposte e a cercare la conciliazione. Al fine di superare la crisi che attraversa la
pedagogia, occorre ovviare alla sua “perdita di dignità scientifica” ripensando l’educazione non solo
quale categoria fondante il discorso pedagogico, ma anche come dimensione concreta di una
società in trasformazione. Una soluzione adeguata alle attese di questa società può dipendere
anche dalla capacità di impostare un’analisi logica dell’educazione e di culturalizzare l’articolato
profilo delle teorie moderne dell’educazione. Si tratta di promuovere un’analisi linguistica e
un’analisi concettuale che consenta di strutturare una logica delle formulazioni linguistiche volta a
cogliere e definire rigorosamente i significati del lessico pedagogico.
Nei decenni che precedono il “Documento” il concetto di educazione viene ripensato alla luce dei
significati che esso acquisisce nelle diverse epoche storiche sospingendo la pedagogia a
disambiguare la categoria di educazione e a definire meglio il proprio oggetto di studio. Nel testo
“La sfida dell’educazione” si cerca di promuovere una rilettura della ricerca pedagogica che, pur
avendo il proprio centro nell’educazione, si apre a un discorso multidisciplinare. Con quest’ultimo
termine si sottolinea la convergenza di più discipline o settori di disciplina nella soluzione di un
unico problema: quello dell’educazione.
Nella prima metà degli anni Ottanta, le prospettive di sviluppo in direzione educativa muovono dai
tradizionali ambiti della ricerca pedagogica (sociologia, antropologia…) per schiudersi a orizzonti
sino ad allora per lo più inesplorati. È il caso delle scienze della vita e della biologia, ma anche delle
scienze dell’interpretazione.
Il problema dell’educazione viene colto alla luce del rapporto tra “genoma” e “ambiente” e della
relazione tra “Bios e Logos”, tracciando un orizzonte euristico in cui pedagogia e genetica possano
incontrarsi al fine di comprendere meglio le articolate dinamiche dell’educazione. La pedagogia e la
semiotica stanno maturando un rapporto interdisciplinare più robusto, permettendo di rileggere
l’educazione come un “segno”. In quanto segno, essa rappresenta quel qualcosa che può essere
meglio interpretato correlando la pedagogia con la semiotica e istituendo così lo statuto
scientifico di una “semiotica dell’educazione” capace di interpretare il sistema educativo come
sistema segnico. I codici educativi e l’educazione ai linguaggi segnici danno un apporto decisivo sia
per la costruzione del discorso pedagogico sia per una più efficace interpretazione dell’educativo.
Proprio quest’ultimo necessita di ricostruirsi sia come oggetto di un sapere epistemologicamente
fondato sia come strumento e guida delle operazioni e delle trasformazioni in cui si origina anche
questa “dialettica dell’educazione” che determina la necessità di strutturare una corrispettiva
scientificità dialettica in cui la pedagogia possa fondare la sua identità di sapere aperto, plurale e
multidisciplinare.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Ottanta, la pedagogia italiana guarda alla
didattica con l’obiettivo di strutturare le dinamiche dell’insegnamento e dell’apprendimento alla
luce di una concezione dell’educazione sorretta da un impianto scientifico-umanistico. Si tenta di
arginare la deriva tecnicistica tipica della didattica.
Si tratta di un percorso in cui la pedagogia s’interroga su se stessa in ragione di una più avvertita
consapevolezza scientifica ed epistemologica determinata dal clima culturale che contraddistingue i
primi decenni del secondo Novecento e dalla peculiarità dello stato di crisi in cui essa stessa versa.
Non solo la filosofia, ma anche la sociologia e la psicologia paiono corrispondere più, e meglio, della
pedagogia ai problemi dell’educazione. È proprio questa condizione di crisi, di marginalità a
rappresentare la “spinta” per porre in atto un ripensamento complessivo della pedagogia che
permetta di stabilirne in via definitiva la legittimità scientifica o di decretarne l’inesorabile fine.
Nella pubblicistica pedagogica italiana dalla seconda metà del Novecento fino al “Documento” si
registra un numero significativo di volumi concentrati sulla questione della scientificità della
pedagogia e sul problema dell’epistemologia pedagogica. Al fine di restituire i temi scientifico-
epistemologici che contraddistinguono il dibattito pedagogico sviluppatosi in questo arco
temporale, è opportuno riprenderli e presentarli attraverso la seguente articolazione:
Dunque, dagli anni Cinquanta alla metà degli anni Ottanta del Novecento il dibattito pedagogico
italiano, concentrandosi sulla formalizzazione, la sistematizzazione, la rigorizzazione della
pedagogia in quanto scienza, introduce e delinea le questioni epistemologiche che precedono e
preparano il “Documento Granese-Bertin”.
Bertin sottolinea come in esso fossero presenti almeno tre prese di posizione:
La pedagogia ha così vissuto contrapposizioni di schieramento che si sono riflesse non solo
nel dibattito pedagogico, ma anche nelle realtà universitarie, nei contesti concorsuali e nelle
strutture associazionistiche, dando luogo a formule di collaborazione e di intesa più o meno
limpidamente configurate.
Il “Documento” registra come il discorso pedagogico si sia paralizzato in rompicapo del tipo
astratto-concreto, teorico-pratico, empirico-razionale, induttivo-deduttivo, fatti-valori,
lacerandosi in un dualismo dogmatico e improduttivo.
L’ambiguità che contraddistingue la pedagogia è anche l’esito delle sue molteplici
denominazioni: pedagogia fondamentale, applicata, scientifica, critica, filosofica, scienza
dell’educazione.
Ciò accade quando si è tentato di ricavare una pedagogia da una filosofia, cercando di
istituire un modello e uno strumento di teorizzazione pedagogica. Sono emerse le
conseguenze negative prodotte dai riduzionismi. Si è trattato della speranza che una qualche
filosofia dell’avvenire potesse consegnare alla pedagogia una scientificità più solida
dell’impostazione scientifica, esistenzialistica, empirico-positivistica. In altre situazioni, hanno
prevalso un induttivismo, un riduzionismo naturalistico. Non di rado si è imposto un
didatticismo la cui insufficiente competenza specialistica ha saputo proporsi solo quale
negazione o liquidazione del generalismo arbitrariamente identificato con la filosofia
prescientifica devono essere menzionati anche il dualismo, che ha indotto a separare la
pedagogia teorica da quella pratica, e il pedagogismo astratto, il quale ha indebolito la
pedagogia sia dal punto di vista della dignità scientifica sia per quanto concerne la sua
incisività all’interno delle realtà sociale.
Il “Documento” riflette una voce critica e di denuncia verso le posizioni che hanno influito
non solo sulla ricerca e la pubblicistica del settore, ma anche sulle realtà associative e le
dinamiche dei concorsi universitari, condizionando in questo modo gli scenari futuri del
discorso pedagogico. Il “Documento” profila la possibilità di contrastare la deriva del
riduzionismo compiendo una svolta di prospettiva, ossia reinterpretare ogni forma di
specialismo nell’ottica di una dilatazione e di un ingrandimento e non in quella di un
restringimento o di una riduzione. Ciò condurrebbe la pedagogia verso una scientificità più
solida e robusta, capace di concretarsi e dilatarsi negli specialismi senza rimanere
imprigionata in vicoli ciechi e senza uscita, quali sono tutti i riduzionismi.
Si tratta di una pluralità di questioni che rischia di produrre una sintesi caricaturale della
pedagogia, dannosa sia sotto il profilo della scientificità sia nei riguardi della professione del
pedagogista. Allo stato di scientificità in crisi della pedagogia corrisponde la realtà dei
pedagogisti in crisi, che appaiono disposti a pagare il proprio discutibile protagonismo con
una mortificante subalternazione.
Franco Cambi mostra con precisa capacità ermeneutica, i sintomi di una povertà teorica e
di un disagio della teorizzazione a cui sono da ricondursi la dispersione e la situazione
interna della stessa pedagogia. L’identità di quest’ultima appare proiettata verso un
modello di scienza esclusivamente sperimentale e quantitativa, alimentata da una
epistemologia che mutua direttamente i propri criteri delle scienze naturali e da quelle ad
esse più assimilate/assimilabili, aggirando con decisione la problematicità sollevata
dall’assunzione del suo stato di scienza umana. Tutto ciò non fa altro che restituire
un’immagine della pedagogia defalcata della sua complessità. Si è cioè di fronte a un “logos
pedagogico” che riflette la crisi contemporanea della società, dell’uomo e delle scienze.
La dignità scientifica della pedagogia può essere raggiunta superando quel masochismo
epistemologico che ha prodotto soltanto una sorta di coazione a ripetere dove il discorso
pedagogico si è votato alla “sterilità” e alla sua “prossima fine”. Acone non solo riconosce
nell’epistemologia un orizzonte imprescindibile della pedagogia, ma indica anche come
procedere per realizzare una autocomprensione teorica in pedagogia. Bisogna mettere su
giuste coordinate il tema dei rapporti tra filosofia, scienza e pedagogia. Questo obiettivo
richiede di determinare il destinatario della conoscenza pedagogica.
Se l’uomo è il fine ultimo della ricerca in pedagogia, allora occorre prendere coscienza
della disgiunzione tra l’immagine dell’uomo complessivamente prodotta dalla ragione
filosofica occidentale per due millenni e l’immagine prodotta dall’iper-razionalità
scientifico-tecnologica.
Nel soffermarsi sulla complessità della ricerca educativa e sugli aspetti teorici e pratici che la
contraddistinguono, Gattullo esprime alcune perplessità circa l’antinomia fra pensiero
pedagogico di tipo filosofico e didattica rilevando come essa rappresenti una
contrapposizione. Egli sostiene che spesso i pedagogisti (generali) pretendono di dare
risposte (vuote) ai problemi didattici, e sono incapaci perfino di percepirli nella loro
autonomia. Si tratta di prendere coscienza di un pregiudizio che segna non solo il discorso
pedagogico, ma anche il più generale dibattito scientifico.
Questa filosofia scientifica tende a farsi dogma e ideologia. Si fa dogma quando il suo
orizzonte cognitivo si pone come assoluto, invariante, vincolando il pensiero all’esperienza
qui-e-ora e alla forma analitica della riflessione. Si fa ideologia quando, saldandosi al qui-e-
ora. Consacra le strutture del presente a caratteri non modificabili dell’esperienza; vincola
le strutture sociopolitiche fondamentali e tende a fissarle per sempre. Da queste condizioni
nasce lo stesso riduzionismo. Quanto al politicismo, esso opera un’analoga riduzione del
sapere pedagogico. Ciò accade enfatizzando l’aspetto sociopolitico e attuando un
potenziamento “pubblico” della pedagogia e realizza un’immagine caricaturale di questo
sapere. Il praticismo è quella forma di didatticismo che oggi occupa un ruolo di punta nella
ricerca pedagogico-educativa.
Accanto a questi tre volti del riduzionismo se ne dispongono altri. Entro il discorso
pedagogico si registra un riduzionismo didatticistico che privilegia in maniera evidente gli
aspetti cognitivi del processo formativo rinunciando ad affrontare i problemi connessi
all’elaborazione di una strategia teorica autonoma e complessiva, atta a prefigurare un
progetto razionale di educazione intesa come costruzione e strutturazione consapevole del
soggetto umano preso nella sua globalità. Emerge un pedagogismo privo di una propria
identità teorica e metodologica, il quale non fa altro che parafrasare spezzoni di altre
discipline. Si riscontra un “antipedagogismo” che è la conseguenza del deterioramento o
della insufficiente delimitazione ed elaborazione del quadro di riferimento “teorico” della
pedagogia, come disciplina scientifica autonoma. Infine, si constata uno scientismo che è
un’ideologia in quanto consiste nell’assolutizzazione ed universalizzazione dei criteri e
metodi di una particolare disciplina o di un determinato atteggiamento metodologico-
procedurale.
Tali riduzionismi sospingono la pedagogia verso una deriva: delle problematicità, della
criticità, del rigore scientifico, della solidità epistemica. L’effetto epistemologico di tutto
questo si concreta nella fragilità (identitaria) della pedagogia e nella debolezza
(operativa) delle sue prassi. L’esito della deriva degli “ismi” può anche tradursi in un
“antiumanesimo”: ossia nel rifiuto in blocco delle scienze umane in ragione della loro
presunta inutilità-inefficacia, a favore di forme di sapere concretamente e immediatamente
applicabili.
Non assume un valore assertorio sostenere che si deve costruire un circolo tra ricerca e
auto-riflessione, tra momenti della teorizzazione e metateoria, in modo da operare tra i vari
livelli un reciproco controllo e una reciproca progettazione funzionale. Si tratta di
intraprendere un percorso euristico critico e problematico per riaffermare il sapere
pedagogico nei suoi fondamenti e farli agire al centro della riflessione e della
progettazione pedagogica, cosicché la pedagogia possa ritrovare il proprio centro:
identitario, scientifico, epistemico. Tali considerazioni restituiscono alcune delle possibili
logiche euristiche per fuoriuscire da una crisi che rischia di tradursi in un “vicolo cieco”.
Inoltre, rappresentano delle prospettive concrete per attuare una riappropriazione del
pedagogico che consenta alla pedagogia di dialogare con gli altri saperi alla luce non solo di
una democrazia epistemica, ma anche di una autonomia epistemologica.
2.2.6. Interdisciplinarità.
Il dibattito sul “Documento” affronta la questione dell’interdisciplinarità portando in
emersione due ordini e considerazioni.
Se è vero che l’identità della pedagogia riflette la presenza di pedagogie, è altresì verosimile
constatare come l’interdisciplinarità, in pedagogia, si sia non di rado tradotta in
conglomerati bizzarri come psicopedagogia, antropopedagogia… La pedagogia deve
intervenire nell’ambito dell’esperienza educativa secondo prospettive ed indicazioni di
senso autonome, tali da contribuire ad un suo orientamento non occasionale, casuale.
Come precisa Fadda, parlare di problematicità significa porre in atto una “tendenziale
problematizzazione” di categorie quali scienza, razionalità, educazione, che si chiariscono
solo complicandosi, dilatandosi e mettendosi in circolo. Si è di fronte al bisogno di
riconoscere alla complessità e problematicità della pedagogia il carattere di uno stile di
teorizzazione, da valorizzare e potenziare, poiché solo problematizzando le categorie
centrali di pensiero e conoscenza è possibile rendere più problematica la stessa idea di
scienza e razionalità.
Gli interventi del dibattito si soffermano sulla plausibilità di salvaguardare e/o rafforzare il
profilo di una pedagogia fondamentale, di matrice filosofica, critica, problematica. La sua
peculiarità è data da un sapere epistemologicamente solido che permetta d’interpretare la
complessità di questo ambito degli studi umanistici senza cadere in forme di riduttivismo,
tecnicismo, prassismo o didatticismo. Il dibattito sottolinea il bisogno di potenziare una
pedagogia d’impostazione ora filosofica, ora critico-problematica, ora fondamentale-
fondante manifestando l’esigenza di tutelare e avvalorare il livello teorico e teoretico della
riflessione pedagogica.
Si sottolinea come la crisi della pedagogia possa essere superata attuando una messa a
punto di un nuovo quadro concettuale; la dicitura pedagogia generale risulta essere la più
adeguata a comprendere i differenti ambiti di competenza della pedagogia. Si è di fronte a
un problema di linguaggio che non può essere ri(con)dotto a una marginale discussione
terminologica. Ciascuna espressione impiegata riflette la necessità d’identificare la
pedagogia come un sapere scientificamente fondato.
Occorre puntare su un pensiero pedagogico forte che non disdegni ma che anzi richieda
una analisi teoretica. Da un lato, viene legittimata la necessità di una pedagogia
fondamentale che faccia emergere il profilo teorico e filosofico, critico e problematico della
pedagogia. Dall’altro, è prefigurata l’eventualità di porre fine a queste differenziazioni
terminologiche sostenendo come non abbia più senso una dicitura “omnicomprensiva”.
A proposito della critica pedagogica, si constata come essa debba corrispondere a una
scientificità critica e autocritica, a un nuovo stile di pedagogia ispirata ad una razionalità
plurale e complessiva che esige uno studio del congegno pedagogico il quale ne salvi la
specificità e la complessità. È entro la critica pedagogica che il “proprio” pedagogico va fatto
emergere, studiato nella sua articolazione e nel suo senso per sondarne la povertà teorica.
La critica deve orientarsi a guarire una parte dei mali oscuri della pedagogia: verbosità,
ideologismo, scientismo, dogmatismo, mancanza di identità. Il compito della ricerca
pedagogica consiste nello stabilire se una critica interna, coerente e rigorosa possa
costituire il punto di partenza per una ristrutturazione del sapere che abbia come
referente il profilo dell’uomo della cui realizzazione l’educazione assume l’onere.
Fornaca muove un richiamo alla morte della pedagogia rilevando come a persone che
vanno ripetendo che la “pedagogia è morta”, che non sanno che cosa sia la pedagogia,
hanno incominciato a imbastire un discorso nuovo sull’oggetto, sui metodi della ricerca
pedagogica. Cambi si accosta a questa tematica muovendo dai riduzionismi che inficiano il
discorso pedagogico, facendo emergere le modalità attraverso le quali le pedagogie
operative tendono ad invadere il terreno della teoria, dichiarando decaduta la sua
fisionomia tradizionale.
Ciò che tende a morire è la criticità della pedagogia e non già la pedagogia di per sé.
Rugiu raffigura la pedagogia come una vecchia signora che potrebbe tranquillamente
scomparire, lasciando così spazio a pedagogie specifiche capaci di meglio corrispondere alle
esigenze della realtà sociale.
Focalizzando l’attenzione sul declino della pedagogia, Massa invita a capire bene le ragioni
dell’avversario, dei nemici della pedagogia e i motivi della loro forza, cosicché si possa avere
dei propri elementi che non siano unicamente quelli della debolezza di essi. Nel dichiarare
l’estinzione della pedagogia, il vero obiettivo è quello di sospingere la riflessione pedagogica
fino al punto in cui diviene capace di radicalizzare talmente l’analisi in maniera da provarsi a
superare veramente, con una posizione di tipo critico. Solo giungendo a questa profondità
della riflessione ci si può domandare “se al di là del catalogo nominalistico degli
insegnamenti universitari si possa addirittura parlare della pedagogia come “disciplina””.
Poiché il fatale declino della pedagogia è l’esito di una molteplicità di cause; è dunque sullo
sfondo della inadeguatezza assoluta di un simile vuoto pedagogico che occorre iniziare una
nuova scienza pedagogica.
La pedagogia mostra un profilo identitario che la differenzia dagli altri saperi. Essa riflette
una specificità e una diversità che affondano le loro radici nella storia della stessa
pedagogia, dove il problema dell’educazione è stato studiato instaurando un dialogo
privilegiato con la filosofia. Tale legame, però, si è non di rado tradotto in una mancanza di
autonomia, a cui si è tentato di ovviare potenziando le dimensioni concrete, pratiche e
operative della ricerca pedagogica. Tutto ciò ha determinato un’immagine confusa e
ambigua di questo sapere.
Tra pedagogia e filosofia sussiste una formula di correlazione che non può essere elusa,
poiché è parte dell’identità stessa della pedagogia. Si è di fronte a un rapporto
interdisciplinare che se da un lato sembra giustificare una de-filosofizzazione radicale come
“terapia” volta a eliminare i disturbi di un collegamento pericoloso, dall’altro evidenzia il
concreto-positivo di un’interdipendenza strutturale nella quale consiste la specificità di una
pedagogia che probabilmente non sopporta una commutazione senza residui nell’insieme
più o meno rigorosamente definito delle scienze dell’educazione. Tentare un bilancio critico
sul dibattito significa assumere la consapevolezza della necessità che si “materializzi” e si
concreti lo specifico articolato di una pedagogicità senza complessi di dominio e di
subordinazione o rinunce ad una logica interna di disciplina e di ricerca e di elaborazione
concettuale affinché proprio la specificità e la diversità della pedagogia possano
rappresentare i tratti distintivi della sua scientificità.
Per raggiungere l’equilibrio del discorso pedagogico occorre superare la dicotomia tra
filosofico-astratto e concreto-operativo. Ciò impone di far curvare la riflessione su una
questione preliminare: sui modi, le forme e le qualità della ricerca pedagogica. Facendo
riferimento alla moda degli “instant books”, alla legge del mercato, Granese sostiene che il
discorso pedagogico tocchi spesso i limiti della degradazione. La responsabilità di questo
deterioramento della pedagogia è certo dei pedagogisti, ma anche di una parte non
trascurabile dell’editoria italiana, la quale privilegia la produzione dello “scolastico”, a
discapito della pubblicazione di opere di grande valore.
NOTE:
Le direzioni di ricerca che il documento di Granese propose sono sintetizzabili nei seguenti punti:
Secondo il documento proposto da Bertin e da Granese, al mancato approfondimento di questi problemi (le
questioni fondative della pedagogia) andrebbe forse ricondotto il crampo della letteratura pedagogica
italiana, rispettosa da una parte della categoria filosofica e, dall’altra, bisognosa di liberarsi della ipoteca
speculativa filosofica.