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Metodologia

Capitolo 1
La metodologia delle scienze sociali é il complesso delle discipline che insegnano come
si può condurre una buona ricerca empirica sul campo delle scienze sociali. È una
branca della sociologia generale, tocca vari temi ad esempio come quello
dell’epistemologia, gnoseologia antropologia culturale e psicologia.
La competenza metodologica è una meta competenza viene cioè acquisita dopo che i
fondamenti della disciplina sono stati appresi, assimilati e organizzati in uno schema
personale e coerente.
La domanda allora da porci é a questo punto qual é la ragion d’essere della
metodologia delle scienze sociali? Poiché non esiste un metodo unico di fare ricerca
empirica ma abbiamo bisogno di una guida per fare ciò che deve fare ogni disciplina
che vuole essere scientifica ,e cioè controllare sul campo le proprie teorie
La metodologia ha quindi due volti distinti , uno ha un carattere operativo in quanto
disciplina che guida il processo di ricerca , e uno normativo in quanto riflette sulla
pratica della ricerca e astrae da essa per individuare e discutere le regole
concretamente impiegate. Uno quindi è rivolto alla pratica della ricerca mentre l’altro
guarda alla riflessione teorica sulla pratica stessa. Entrambi sono essenziali e nessuno
dei due può fare a meno dell’altro.
La riflessione metodologica nasce contemporaneamente alla sociologia e il primo
sociologo in senso pieno fu Emile Durkheim. Fu il primo studioso a occuparsi del
metodo delle scienze sociali in un’opera di fondamentale importanza il cui titolo è
“Le regole del metodo sociologico” dove propone di mutuare il metodo delle scienze
sociali dal metodo impiegato nelle scienze naturali in particolare dalla fisica.

La metodologia serve per acquisire una competenza metodologica, che si compone in


due aspetti:
Saper fare cioè costruire in modo corretto strumenti di rilevazione dei dati,
Analizzarli nel modo più adatto presentare i risultati ottenuti e ricollegare questi
ultimi alle ipotesi da cui la ricerca ha preso avvio
Saper valutare il lavoro di ricerca empirica fatto da altri e quindi capire se una
ricerca è fatta bene o no e se le conclusioni tratte dai dati sono giustificate o no
La metodologia pone particolare attenzione alla definizione di concetti e termini,
all’uso corretto di quest’ultimi al controllo costante della rispondenza tra termini
concetti significati. La metodologia ha un linguaggio che lei proprio e che spesso
costituisce una corsa ad ostacoli. Un esempio classico è la locuzione di “verificare
l’ipotesi“ Carlo Popper la sostituisce con “controllare l’ipotesi“. Tuttavia verificare
controllare il metodologia hanno significati diversi i quali beni insiste affinché staccare
la differenza.
L’uso del linguaggio appropriato e perciò uno dei mezzi che consentono agli studenti
di acquisire la competenza metodologica richiesta.
La Metodologia individua il nesso tra obiettivi cognitivi di una ricerca, metodo e
tecniche.
Essa ha due accezioni, solo apparentemente contrastanti:
• Descrittiva:studio e descrizione del modo in cui lavorano i ricercatori/apertura
ad apprendere e le esperienze di ricerca altrui valutandone senza preconcetti
e, eventualmente, diffondendone la conoscenza.
• Prescrittiva : propone ciò che è più corretto nella scelta del metodo e nelle
tecniche più adatti alla ricerca ovvero stabilendo un nesso funzionale fra
obiettivi cognitivi e mezzi per raggiungerli.

Un altro di compito della metodologia è la riflessione sulle pratiche adottate dalla


ricerca empirica; quest’ultima costituisce il modo che la scienza poi si è data per
produrre conoscenze sul mondo. insieme di conoscenze che ci permette di
sopravvivere nella vita di tutti giorni è il senso comune, ovvero ciò che sappiamo in
relazione alle faccende che sbrighiamo e ai ruoli che ricopriamo nella vita quotidiana.la
sua principale funzione di fare in modo che possiamo dare per scontato la maggior
parte delle cose che ci succedono quotidianamente. La caratteristica fondamentale del
senso comune e che è molto difficile definirli i contenuti, le regole, e così via proprio
perché si compone di ciò che” si sa “. le credenze sono parte del senso comune così
come gli stereotipi cioè quelle categorie del pensiero che ci servono per organizzare
cose, eventi e persone insiemi omogenei sulla base di pochi tratti salienti, senza
fermarsi a considerarmi tutta la complessità. Stereotipi credenze sono categorie del
pensiero che ci servono per organizzare ciò che percepiamo del mondo e la loro
funzione è perciò fondamentale così come fondamentale il fatto che essi operano senza
che noi ce ne accorgiamo.
Qual è dunque il legame tra scienza e senso comune? A tutta prima potremmo
rispondere in due modi o che non c’è alcun legame oppure che c’è un legame
antagonistico e quindi opposto. Tuttavia le riflessioni della sociologia della scienza ci
portano oggi a dare una risposta diversa: scienza e senso comune hanno la stessa
radice, in quanto l’attività scientifica come senso comune l’ultima analisi la funzione di
organizzare e controllare le nostre rappresentazioni dei fatti nel rapporto con
l’ambiente. Sia il senso comune sia attività scientifica servono per aumentare il grado
di adattamento all’ambiente in cui viviamo rispondendo alle medesime domande sulla
realtà. Il sapere è un fenomeno di comunicazione convenzionale mediante i quali
vengono fissati gli usi propri dei termini inquadrati diversi fenomeni sia quelli abituali
sia quelli nuovi e inaspettati.
È importante comprendere che la scienza non è qualcosa di assoluto oggettivo, ma è
l’esito di pratiche, accordi, convenzioni in altre parole è un prodotto culturale: la
comunità scientifica stabilisce criteri in base quali è possibile affermare che qualcosa è
scientifico oppure nulla.
Abbiamo visto cosa rende simili senza senso comune; e tutta di evidente che vi sono
molte differenze, che possiamo sintetizzare in tre punti:
• Tipo di ragionamento: il senso comune procede per spiegazioni ad hoc, la scienza
invece procede secondo procedure formalizzate e condivise dalla comunità di
scienziati seguendo criteri precisi.
• Rapporto con interessi e valori: nel ragionamento di senso comune interessi
personali sono naturalmente legittimamente presenti come la pratica scientifica
invece si tende a seguire indicazioni di Weber secondo cui l’atteggiamento dello
scienziato deve essere avalutativo cioè non influenzato da interessi personali
• Orientamento generale: il senso comune a un orientamento principalmente pratico;
la scienza invece ha finalità teoriche sebbene non possa fare a meno del livello
empirico per confermare o This confermare le proprie teorie e ipotesi inoltre la
scelta mira al raggiungimento della verità mentre il senso comune si accontenta del
verosimile proprio perché orientamento pragmatico e concreto
Capitolo 2
Nel succedersi dei decenni dalla fondazione della sociologia in quanto disciplina
autonoma, si sono costituite moltissime scuole di pensiero. Tra le più importanti è
stata quella di Durkheim il quale sosteneva che si dovessero studiare i fatti sociali e
che essi dovessero essere trattati come cose. Weber. Affermava invece che ciò che ci
interessa dei fenomeni sociali e la loro unicità individualità che deve essere studiata
facendo ricorso lo strumento dei tipi ideali. Entrambi si occupano comunque di macro
fenomeni: burocrazia, capitalismo, religione, tassi di suicidio e così via. La sociologia
ha sviluppato numerose prospettive di studio tutte hanno più o meno esplicitamente
affermato cosa si dovesse considerare come oggetto di studio e come deve essere
studiato. A due soli grande tradizione di pensiero possiamo ricondurre la grande
varietà delle diverse impostazioni. La contrapposizione tra Durkheim, Considerato
esponente a tutto tondo del positivismo, e Webber sostenitore della prospettiva
ermeneutica è utile dal punto di vista analitico perché consente identificare
chiaramente due scuole di pensiero e due tradizioni di ricerca che ad esse si
richiamano. Nonostante le posizioni teoriche siano opposte , Quando si tratta di
ricerca empirica Weber e Durkheim sono molto più simili di quanto si pensi.
La scienza moderna nasce tra il 500 e il seicento come reazione alla filosofia della
natura di impostazione aristotelica che ha caratterizzato il sapere medievale. La
principale caratteristica di quest’ultima consisteva nel fatto che la conoscenza del
mondo non era basata sull’osservazione diretta ma veniva ridotta dei principi filosofici
che Aristotele aveva fissato secoli prima . Secondo Aristotele ogni fenomeno
corrisponde una causa che può essere materiale, formale, efficiente, finale; il compito
dello scienziato e capire quale di quattro tipi di casa effettivamente all’opera in un dato
caso concreto. La scienza come la intendiamo oggi non esisteva e l’esperienza concreta
del mondo aveva come scopo non la conoscenza ma la manipolazione del mondo
stesso. Tra il 500 e seicento entra in scena colui che viene considerato il fondatore della
scienza moderna ovvero Galileo il quale propone che la scienza sia studiata
direttamente tramite osservazione, senza ricorrere alla filosofia aristotelica. Galileo
afferma che lo scienziato non deve comportarsi come un cieco ma deve fidarsi dei
propri occhi quindi osservare; Galileo con l’attenzione sulla necessità di misurare ciò
che ci serva e propone che le operazioni di osservazione misurazioni vengono
sistematizzate all’interno dell’esperimento Che costituisce il momento cruciale per
controllare l’ipotesi di ricerca esse collegate . quindi esperimento di Galileo consiste:
1. osserva la co-variazione di due o più quantità cioè di una o più cause e di uno o
più effetti
2. Controlla se la direzione della Co-variazione è proprio quella ipotizzata
3. Si tengono sotto controllo le possibili fonti di disturbo della co-variazione
Il metodo Galileiano consiste:
• Osservare direttamente la realtà Per acquisire informazioni
• Estendere i risultati dal caso particolare al generale quindi attraverso un
procedimento induttivo
• Formulare ipotesi basate su tali generalizzazioni
• Dedurre da quest’ipotesi le logiche conseguisti e controllarle empiricamente

Tre questioni fondamentali


per comprendere da dove
nasce la ricerca empirica

IL POSITIVISMO

Nasce alla fine dell’800 e i principali esponenti sono i filosofi Comte e Spencer ma che
non nascono sul piano empirico ma sono i capisaldi del positivismo che credono nell’
esistenza di un unico metodo
I positivisti consideravano L’Illuminismo avuto la funzione di una critica certamente
utile al progresso della scienza ma ancora negativa e che quindi c’era bisogno di
fondare un’epoca positiva in cui il progresso nel sud giunto dall’ordine. Come dire
misti credevano che la ragione potesse imporsi per sua stessa evidenza, così positivisti
pensano che la scienza possa di per sé stesso condurre l’umanità verso una condizione
migliore. Il positivismo propone dunque una concezione della scienza come sapere
totalizzanti; è scienza unico edificio in cui abitano varie discipline.
Tre sono le caratteristiche positivismo:
La sociologia nasce nella prima metà dell’ottocento e auguste Comte positivista
francese a coniare per primo il termine sociologia per indicare la disciplina che si
occupa di studiare il mutamento e l’evoluzione di forme di convivenza sociale.
La nascita della sociologia è quindi fortemente condizionato al pensiero positivista. Il
secondo elemento caratterizzante è costituito da una concezione acritica del carattere
di oggettività della scienza: si ipotizza che esista una realtà oggettiva e che scientifica
conduca la conoscenza oggettiva di tale realtà.

DURKHEIM
Durkheim È il primo sociologo in senso pieno oltre che uno dei più importanti studiosi
di questa disciplina. Uno degli obiettivi metodologici della sua attività di ricerca e
isolare la neonata sociologia da altre scienze sociali come la psicologia e l’economia.
Per giungere a questo risultato egli si concentra su uno dei due concetti fondamentali:
oggetto dell’agire della sociologia e il metodo con cui tale oggetto deve essere studiato.
Entrambe le questioni le affronta “le regole del metodo sociologico“.
Il metodo con cui studiare la società è uno dei principali interessi di Durkheim, egli
innanzitutto definisce quale l’oggetto di studio della sociologia, ovvero i fatti sociali:

-“ È un fatto sociale ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare
sull’individuo una costrizione esterna oppure un modo di fare che generare
nell’estensione di una società data, pur avendo esistenza propria, indipendente dalle
sue manifestazioni individuali“ (le regole del metodo sociologico)
Per Durkheim la realtà sociale esiste oggettivamente al di fuori dell’individuo, tanto è
vero che l’individuo la trova già costituita alla sua nascita e non può cambiarla vibrava
iniziativa e anzi incontra parecchie resistenze che tenta di farlo.
Durkheim segnerà di occuparti di un tema assai particolare, ovvero il suicidio, per
dimostrare che anche un evento che si crea di personale a radici, motivazioni cause
sociali e vi si dispiega su cifre definiti dal tempo sociale degli individui. lo studioso
francese riesce nel suo intento: la sua analisi, basata su dati già commentati da altri
studiosi o raccolti da lui personalmente, dimostra che il fattore chiave che influenza e
consente di prevedere il numero di suicidi e integrazione dell’individuo nella società.

IL METODO DURKHEIMIANO
1-la prima regola che anche la più fondamentale, impone di considerare i fatti sociali
come cose.È una cosa tutto ciò che dato, tutto ciò che si offre o si impone
all’osservazione.considerare i fenomeni come cose significa considerarli in qualità di
dati che costituiscono il punto di partenza della scienza.
2-lo studio dei fatti sociali può quindi seguire le regole con cui La fisica studia i fatti
naturali, cioè la ricerca di spiegazioni causali sostenuti da leggi.
3-la causa determinante di un fatto sociale deve essere cercata tra i fatti sociali
antecedenti, e non già tra gli stati della coscienza individuale
Dopo due anni da “Le regole del metodo sociologico“, infatti scrive “il suicidio per
dimostrare che anche evento così privato e personale come questo ha radici,
motivazioni, cause sociali, e non solo legato alla coscienza individuale.

Durkheim ha impiegato gran parte della sua vita al tema del suicidio e lo analizza
partendo dai tassi di suicidio utilizzando dati secondari e ipotizza e poi verifica sul
campo che questo suicidio possa essere legato alla religione e quindi legato ad un fatto
sociale.
I paesi di vita cattolica hanno una vita comunitaria più integrata mentre i paesi di
religione protestante il suicidio è più ricorso. Il suicidio di Durkheim si basa quindi
non su un piano individuale ma su un piano sociale.
Il suicidio come fatto sociale non può essere spiegato da motivazioni di natura
psicologica o naturale > primato della società sull’individuo >irrilevanza dei motivi
dell’agente >natura costrittiva della società con regole capaci di imporsi sui suoi
membri.

Grado di integrazione sociale —> variabile intervenente

Tipo di religione—>variabile indipendente Tasso di suicidi—


>variabile dipendente

La nascita della sociologia e la conseguente riflessione sul metodo sociologico segue


percorsi diversi a seconda del contesto culturale entro il quale si sviluppa.in Francia
l’Inghilterra il paradigma è costituito dal positivismo con figure come Comte e
Durkheim; la cultura tedesca respinge invece l’idea che le scienze sociali debbano
applicare il proprio oggetto di studio sui metodi delle scienze naturali. Vollero
dimostrare la distanza che separa le scienze della natura delle scienze sociali
individuando tre punti di forte discontinuità:
• L’oggetto — sottolinea la distanza fondamentale che si farà tutto di studio delle
scienze E naturale da quello delle scienze sociali. gli individui o le società non sono
eguali tra loro, non possono essere scambiati come se si trattasse di molecole
chimiche poiché ognuno di essi è unico e diverso dagli altri, mi sono riconducibili
alle leggi astratte e teorie generali come invece è possibile farlo con le scienze
naturali.
• Il metodo—Dilthey sostiene che gli eventi storici e sociali debbano essere studiati
tramite identificazione empatica; Weber sostiene invece che la comprensione e
l’antica è inadeguata e che è necessario formulare rigorosamente ipotesi
interpretative da sottoporre a controllo empirico
• Lo scopo delle scienze sociali non è la spiegazione come per le scienze naturali ma è
la comprensione dei fenomeni e degli eventi osservati
WEBER interpretarivismo
Secondo Weber le scienze sociali non possono adottare lo stresso metodo delle scienze
naturali poiché è diverso lo scopo conoscitivo. Secondo Weber infatti scegliamo di
occuparci di un particolare oggetto di studio sulla base del significato che esso riveste
in relazione al nostro modo di vedere il mondo ai nostri valori chiama nostra
interpretazione di ciò che è importante o no e così via. Ciò non significa tuttavia che le
scienze sociali siano il regno della soggettività: se infatti il punto di partenza
dell’indagine nelle scienze storico sociali è soggettivo ciò non significa che risultati cui
essi pervengono siano lo stesso modo soggettivo.e infatti il metodo che si adottano
garantire che tali risultati siano oggettivi e quindi scientifici: egli propone un approccio
metodologico diverso caratterizzato da alcuni elementi ovvero avalutativitá, giudizio di
possibilità oggettiva e la costruzione di tipi ideali.
Avalutativitá— una volta scelto oggetto di studio, lo sguardo dello scienziato sociale
non deve essere influenzato da giudizi di valore, da cosa egli pensa sia giusto o
sbagliato. Nel metodo proposto da Weber essa svolge un ruolo ancora più cruciale
poiché a differenza dei positivisti riconosce apertamente che all’inizio del lavoro
scientifico la soggettività e valore di ricercatore giocano ruolo rilevante.è ancora più
importante sottolineare che l’influenza di valori deve fermarsi sulla soglia della stanza
in cui lavoro scientifico viene condotto.
Giudizi di possibilità oggettiva — avendo come obiettivo la comprensione
dell’oggetto di studio e non la sua spiegazione il ricorso a leggi generali risulta
completamente inutile: più la legge generale è astratta meno interessante per lo
scienziato sociale, perché è proprio astraendo che gli si allontana dal suo oggetto di
studio e quindi dalla possibilità di comprenderlo. Le leggi quindi non sono più come
fine della conoscenza ma come mezzo poiché sono un supporto all’analisi
In sostanza quando si studia un fenomeno dobbiamo cercare di comprendere la
concreta rete di relazioni di cause di effetti di condizioni che hanno reso possibile
questo fenomeno in particolare.nel fare ciò si compie un processo di imputazione
causare ovvero di individuazione a scelta degli elementi che secondo quanto è possibile
sapere dal fenomeno in esame ne hanno determinato l’accadere
Tipi ideali— L’ultimo tassello del metodo weberiano È costituito dai tipi ideali, ovvero
da astrazioni o modelli ai quali compare la realtà che si osserva. Un tipo ideale è perciò
un’astrazione costruita accentuando gli elementi che si trovano nella realtà, ma che
non necessariamente si presentano tutti insieme o tutti con la stessa intensità. I tipi
ideali sono uno strumento di analisi che aiuta lo scienziato sociale a chiarire agli altri e
a se stesso le categorie concettuali che impiega nel corso della stessa.la definizione i tipi
ideali è necessaria allo scienziato sociale per rendersi conto di qual è il vero punto di
vista sulla realtà osservata.grazie tipi ideali lo studioso può individuare più
chiaramente a quale categoria appartiene l’evento o il fenomeno studiato e quindi
ricercare messo la presenza degli elementi che compongono il tipo astratto,
commentarne la presenza, L’intensità o l’assenza e così via.
Esempi di tipi ideali
• Azione tradizionale: motivato dal costume, dall’abitudine
• Azione affettiva: guidata dai sentimenti e dalle emozioni
• Azione razionale rispetto al valore: orientata da un ideale etico, religioso, estetico.in
questo caso che effetto questo tipo di azione compie ciò che ritiene che sia
comandato dal dovere
• Azione razionale rispetto allo scopo: motivata da logiche di efficienza e finalizzata a
raggiungimento di un obiettivo specifico.

Il positivismo ha subito molte critiche e riformulazioni profonde primo fra tutte quella
proposta dal positivismo logico e fatto oggetto di critica da Karl Popper. Il positivismo
fu il paradigma scientifico dominante per tutto l’ottocento ma tra la fine di quel secolo
inizio novecento venne sottoposto ad aspra critica. In seguito riacquisto nuovo vigore
rinnovandosi nel movimento del neo positivismo o positivismo logico. Il positivismo
logico individua nel cosiddetto criterio di verificazione lo strumento per distinguere ciò
che è scientifico da ciò che non lo è; secondo tale criterio, solo le proposizioni che si
possono dimostrare logicamente vere sono da considerarsi scientifiche. Per il
positivismo logico tutto verde attorno alle regole logico-matematiche, anche la
verificazione poggia su basi logiche essa viene infatti condotta grazie il principio di
induzione.
Il principio di induzione è il caposaldo della fondazione logica del metodo neo-
positivista. questo determina la verità delle teorie scientifiche. Se vogliamo che materia
sia dichiarata scientifica e necessario confrontarla con dati di fatto cioè sottoporre a
controllo empirico se i dati vanno in direzione della teoria allora possiamo affermare
che la teoria è vera o meglio verificata se invece questi ultimi non portano conferme la
teoria diremo che se falsa poiché prevede l’accadere di fenomeni viventi che nella
realtà non accadono. Secondo i positivisti il principio di induzione era il fondamento e
la garanzia della scientificità delle teorie.
Proprio principio di induzione è l’oggetto della critica di Car Popper, infatti egli
afferma che tale principio non garantisce la scientificità delle conclusioni cui si giunge
in forza di una semplice constatazione : non possiamo affermare Che tutti i cigni sono
bianchi basandosi sul fatto che abbiamo osservato solo cigni bianchi. potrebbe infatti
esistere un cigno nero, che da solo determinerebbe la falsità della nostra
affermazione.quindi il principio di induzione richiede che le teorie per essere
dichiarate scientifiche siano provate vere cioè verificate ma non è il punto di vista
logico perché può sempre accadere che i fatti le smentiscono e quindi Popper afferma
che impiegare il principio di induzione come criterio per decidere ciò che è scientifico e
ciò che non lo espone la scienza a un rischio radicale: tutte le sue teorie sono passibili
di essere dichiarate non scientifiche.

La falsificabilità popperiana
Seguendo sempre la critica al principio di induzione Karl Popper afferma quindi che le
teorie invece di essere verificate Per essere scientifica devono essere falsificate cioè
deve essere formulata in modo tale da poter essere smentita dai dati. Se vanno nella
direzione prevista dalla teoria non diremo che la teoria verificata diremo invece che
non è falsificata cioè che non è stata smentita. Se invece è stata falsificata dunque non
sarà valida in quella situazione in quella circostanza in cui l’ho messa alla prova.
Popper propone quindi che anziché la verificazione si adotti come criterio di
demarcazione la falsificazione. Se invece afferma che la teoria e non falsificata significa
che il per il momento secondo le prove condotte i dati disponibili essa non è falsa non
escludendo che in futuro possa essere messa in crisi da qualche prova empirica di cui
ora non dispongo.
Oggettività scientifica
Il passaggio dal positivismo al neo positivismo alla proposta popperiana rischia di
privare la scienza dell’elemento fondamentale: la possibilità di affermare che le
asserzioni scientifiche sono oggettive. Per il positivismo infatti esiste una realtà
oggettiva e oggettivamente conoscibile. La proposta metodologica di Popper
costituisce un rovesciamento completo di prospettiva implica automaticamente che la
realtà oggettiva non è più il garante della verità delle teorie anzi non c’è piu realtà
oggettiva con la quale confrontare il nostre teorie per dire se sono vere o false perché
la realtà stessa ci può solo dire che se sono risultate per il momento non falsificate cioè
non smentite.
Capitolo 3

Le due tradizioni metodologiche che si ispirano a Durkheim e a Weber hanno dato


vita a due stili differenti di ricerca empirica, che vanno sotto il nome di ricerca
qualitativa e quantitativa. Dobbiamo a Ricolfi una proposta di sistematizzazione delle
differenze tra le due tradizioni di ricerca.
Durkheim scelse il tema del suicidio per dimostrare che la sociologia aveva una
propria prospettiva, un proprio modo di studiare i fatti sociali, e quindi era una
disciplina autonoma a tutti gli effetti. Il suo è il primo studio sociologico quantitativo:
per provare le sue tesi egli ricorre ai dati ufficiali sugli episodi di suicidio nei paesi
europei, calcolando il tasso di suicidi per nazione, per gruppo religioso per periodo
storico e così via. Durkheim giunse a individuare nel grado di integrazione
dell’individuo nel proprio gruppo sociale il fattore cruciale di “produzione“ dal
suicidio, conclusioni che vennero sistematizzate nella sua teoria sui tipi di suicidio.

Con la ricerca empirica cerchiamo di dare risposta agli interrogativi che ci poniamo
sulla realtà in cui viviamo. Le risposte della ricerca empirica devono essere frutto di
procedure precise, cioè di un metodo

Innanzitutto la ricerca empirica si distingue da altri tipi di indagine perché :


• produce asserti
• Li giustifica su base empirica
• Produce un sapere controllabile
Gli asserti sono ipotesi e teorie che costituiscono linguaggio con cui sono espressi
comunicate le coscienze conoscenza scientifica. E necessario che ipotesi e teorie non
rimangano a livello astratto ma vengono confrontate con la realtà osservata cioè
vengono giustificate su base empirica.se l’ipotesi viene confermata dai dati, possiamo
dire che essa ha ricevuto sostegno empirico e quindi la teoria nell’ambito della quale
stata formulata può considerarsi in accordo con i dati disponibili. Se al contrario
scopriamo che i dati vanno in una direzione diversa da quella ipotizzata dalla teoria,
dobbiamo allora rivedere quest’ultima per tenere conto di tale risultato, e quindi
modificarla o sostituirla. Il confronto con la realtà osservativa è perciò il primo passo
necessario alla produzione di conoscenza scientifica.
Il percorso che conduce al controllo empirico di una teoria è suddiviso da Ricolfi in
cinque livelli:
• disegno della ricerca: vengono qui precisati gli interrogativi cui la ricerca intende
dare risposta, quali sono i concetti su cui si intende lavorare e di cui verrà data
traduzione empirica.
• Costruzione della base empirica: si decide quali sono le informazioni che serviranno
per mettere alla prova teorie ipotesi, in quale modo esse verranno rilevate oppure
dove saranno reperite.
• Organizzazione dei dati: una volta raccolte le informazioni esse vengono organizzate
in strutture più o meno formalizzate; in questo modo le informazioni vengono
interpretati trasformati in dati.
• Analisi dei dati: i dati vengono trattati con procedure più o meno formali al fine di
produrre asserti E nessi tra asserti, che verranno poi messi a confronto con la teoria
e l’ipotesi da cui ha preso avvio la ricerca.
• Esposizione dei risultati: al termine del percorso di ricerca e necessario sintetizzare i
risultati ottenuti in modo tale da renderli comunicabile ad altri. Qui Ricolfi
individua tre obiettivi di questo livello della ricerca ovvero uno ripercorrere
l’itinerario di ricerca per renderlo trasparente e controllabile da parte di altri
ricercatori, due comunicare i risultati più interessanti tre collegare questi ultimi con
la letteratura sull’argomento studiato eventualmente proporre nuove direzioni di
ricerca.
Questo realtà descrive un percorso ideale che la dalla teoria conduce al controllo
empirico ma proprio in quanto ideale raramente esso viene messo in pratica in
quest’esatta sequenza.ciò che accade normalmente è infatti che solo il primo l’ultimo
livello però vi ragioni non cambiano posto nella sequenza e vengono toccati una sola
volta nel corso di una medesima ricerca, l’ordine Con cui vengono affrontati i rilievi
intermedi invece è del tutto variabile. Questo perché la ricerca scientifica non è lo
svolgersi senza scosse di un metodo adatto a tutte le situazioni ma è fatta di valutazioni
di queste varie situazioni, di fattori imprevisti o imprevedibili, di decisioni prese in
condizioni di certezza imperfetta informazione e certamente di errori.
Questi cinque livelli caratterizzano qualsiasi buona ricerca empirica; ciò implica
automaticamente che non è possibile basarsi sulla loro presenza o assenza per
descrivere le differenze tra ricerca qualitativa e quantitativa. Se una ricerca non
presenta uno più di questi livelli possiamo affermare che è una cattiva ricerca.
Ricolfi afferma che il percorso dal livello 1 al livello 5 caratterizza entrambi i tipi di
ricerca , e dunque le differenze tra loro debbono essere cercate nelle scelte che il
ricercatore compie all’interno dei tre livelli centrali, ovvero costruzione della base
empirica ,organizzazione e analisi dei dati. Inoltre a prescindere da tali scelte, sia la
ricerca qualitativa sia quella quantitativa hanno alcuni punti deboli ,che spesso si tende
a sottolineare o a mettere in secondo piano a seconda delle convenienze
Nel corso della costruzione della base empirica il ricercatore si trova ad affrontare
numerosi problemi, la cui soluzione influenza tutto il seguito della ricerca. Ciò è vero
per entrambi i tipi di ricerca, qualitative e quantitativa
Ricerca qualitativa: il problema principale è costituito dal fatto che molte tecniche
osservative adottate nella ricerca qualitativa non consentono di condurre una base
empirica ispezionabile, che si possa cioè “dominare come un tutto” che possa essere
accessibile al controllo intersoggettivo e alla valutazione di terzi. È pur vero che
l’ispezionabilità non è una faccenda tutto-o-niente ma è una questione di gradi: se
l’osservazione partecipante ha una base empirica largamente non ispezionabile, il caso
di una ricerca condotta tramite interviste discorsive è diverso , poiché generalmente
delle interviste si ha una registrazione audio, che può essere trascritta è resa
disponibile al controllo altrui. Allo stesso modo se la ricerca viene condotta sulla base
di documenti possiamo tranquillamente affermare che essa ha una base empirica
ispezionabile. Spesso in una stessa ricerca si fa ricorso a più tecniche di osservazione e
rilevazione delle informazioni.
Per riassumere quindi ,afferma Ricolfi, la ricerca TXT cioè quella basata su dati
testuali, sta a un polo del continuum (elevata ispezionabilitá). Nel mezzo si trova una
serie di situazioni intermedie a seconda del mix di tecniche osservative adottate.
Ricerca quantitativa:una parte importante della costruzione della base empirica nella
ricerca quantitativa consiste nella stesura delle definizioni operative delle proprietà che
si intende studiare. L’insieme di queste decisioni da luogo alla definizione operativa
della proprietà che si intende studiare; tuttavia anche se essa dovrebbe sempre essere
presente, in alcuni tipi di ricerca quantitativa non lo è , o è presente in modo
incompleto o controverso. Ricolfi cita ad esempio l’analisi comparata, in cui si mettono
a confronto nazioni diverse, società diverse, sistemi politici diversi; Ad esempio il
sistema scolastico tedesco comprende anche l’apprendistato , che invece nel nostro
sistema non è un titolo di studio formale. È importante tenere a mente questi
problemi , che invece normalmente passano in secondo piano: una volta che la
rilevazione è stata condotta e le informazioni sono state codificate e trasformate in
codici numerici da sottoporre all’analisi statistica, si tende a dare per scontato che la
“realtà” sia quella raccontata dai codici/numeri, mentre invece è sempre necessario
interrogarsi sul modo in cui questi codici/numeri sono stati prodotti.
La ricerca quantitativa ha a sua disposizione una formidabile modalità di
organizzazione dei dati, essa consiste in un insieme di celle ordinate per righe e
colonne sono posti casi ovvero i nostri intervistati mentre sulle colonne sono posti
variabili vero le informazioni che abbiamo chiesto agli intervistati già espressi in codice
o numeri. L’incrocio tra una riga la collega super una cella riporta il codice numerico
corrispondente alla risposta data dall’intervistato a una delle domande. la
trasformazione delle informazioni codice numerici consente di applicare i dati di
tecniche di analisi statistica; senza quest’operazione ciò sarebbe impossibile e
dovremmo accontentarci di sottoporre all’analisi statistica che sono i dati relativi a
proprietà espressi in forma numerica come il reddito, il numero di figli, il numero di
abitanti per comune e così via.
Che la matrice C x V M. strumento formidabile: conferendole informazioni un aspetto
numerico possiamo applicare tecniche di analisi molto potente, lavorare su insiemi di
dati composti da migliaia di casi, mettere in relazione tra loro due proprietà per
valutare se e quanto essi siano interconnessi insistenza tutto pure contro empirico
ipotesi complesse. il ricercatore non è iscritto limitarsi a controllare ipotesi molto
semplice su pochi casi, ma può sottoporre a controllo ampie porzioni della teoria, che
può quindi essere formulata in modo da essere più facilmente falsificata.
La matrice C x V Che consente di sottoporre a controllo empirico l’ipotesi di ricerca,
anzi un particolare tipo di controllo empirico, che avvicina idealmente la sociologia
all’idea di scienza per eccellenza ovvero dice il contrario. Vale forse la pena ricordare
che il metodo scientifico di derivazione Galileiana vedo nella misurazione uno dei
propri punti fondamentali; di conseguenza è grandemente apprezzato il fatto che,
grazie la matrice dei dati, la ricerca sociologica si avvicina il tipo di ricerca empirica
condotta nelle scienze naturali. tuttavia in generale e dove c’è un numero di si anche
oggettività scientifica; non potrebbe essere altrimenti ma ciò si deve mettere in guardia
nel considerarlo dato, nel senso di scontato oggettivo e non più discutibile. In realtà i
nostri dati non sono affatto tali.la ricetta qualitativa non viene invece nulla di simile
alla matrice dei dati: le informazioni sono raccolte in modo non standardizzato e non
riconducibile a un medesimo formato di organizzazione. Non assenso infatti ipotizzare
che il modo in cui si organizzano le bande giovanili di una grande città possono essere
studiato come se si trattasse di studiare una tribù di indigeni nell’Amazzonia, Cioè
studio come se fosse una cultura a parte, con i propri codici di comunicazione, le
proprie regole di mantenimento e così via e poi proporre ai componenti delle band un
questionario in cui vi sono domande del tipo: “mi può dire per cortesia qual è stato il
suo primo lavoro“.
In sintesi l’obiettivo conoscitivo che ci propone di fare ricerca empirica mediante
tecniche di osservazioni qualitative non è generalmente compatibile con
organizzazione delle informazioni altamente formalizzata quali la matrice C x V Inter,
cioè evidentemente legato anche la questione dell’amministrazione abilità della base
empirica ogni caso questo non deve essere considerato un handicap della ricerca
qualitativa: e anzi una sua caratteristica dovuta a precise scelte teoriche che a sua volta
riflessi importanti sul totale circa. Soprattutto non deve essere considerato un punto a
vantaggio della ricerca quantitativa: se essere una apparentemente problemi la fase di
organizzazione di dati, grazie alla struttura matrice C x V , Incontro le informazioni e
nella definizione del significato di ciò che è stato rilevato.
La ricerca quantitativa fa infatti largo ricorso alla statistica, procedure di analisi meno
formali. È bene precisare che non tutta la ricerca quantitativa fa ricorso alla statistica e
non tutta ricerca qualitativa analisi su procedure informali.
Per Ricolfi I modelli logici e modelli computazionale appartengono al filone
quantitativo eppure non impiegano la statistica; d’altro canto l’analisi del contenuto di
tesi documenti si avvale oggi di programmi computerizzati che seguono procedure di
analisi formalizzati. Il fatto che l’analisi quantitativa faccia ricorso alle formalizzazione
statistiche non garantisce di per sé nulla e tantomeno garantisce una maggiore
scientificità. Poiché infatti il livello dell’analisi dei dati influiscono le conseguenze delle
scelte compiute dei livelli precedenti tutto dipende dalle scelte e dalle soluzioni
adottate.
Es . se compriamo il sistema scolastico italiano quello tedesco e rileviamo livello di
istruzione in termini di anni di scolarità non dei nostri intervistati è evidente che
qualsiasi confronto e quindi anche tutte le elaborazioni statistiche è viziato dal fatto
che nel sistema tedesco anche l’apprendistato corrisponde a un titolo di studio formale
e perciò la popolazione tedesca risulterà mediamente più istruita di quella italiana.
In altri termini inserire i numeri nel “frullatore statistico“ non ci garantisce la
scientificità dei risultati: essa scaturisce dall’intero percorso di ricerca e non dalla
corretta conduzione di un solo passo.
Nessuno dei due tipi di ricerca è un insieme monolitico. Dentro la ricerca quantitativa
stanno cose molto diverse, come la ricerca diffuso della matrice dei dati e le procedure
di analisi statistica, e che Ricolfi propone di denominare MAT e la ricerca basata su
modelli logici e su modelli computazionali. Politichetta “ricerca qualitativa“ riunisce
pratiche molto diverse come la ricerca etnografica, analisi basata su dati testuali e
molti altri ancora. È inoltre evidente che non c’è un tipo di ricerca più difficile
dell’altro: non è corretto affermare che fare ricerca quantitativa è più difficile fare
ricerca qualitativa, Basandosi sull’uso intensivo che questa ricerca fa della
matematica, la statistica e dell’analisi dei dati. Si tratta invece di comprendere che
entrambi tipi di ricerca presentano grandi difficoltà ma che queste sono distribuite
risolte in modo diverso nel percorso di ricerca. È vero che la ricerca quantitativa
parlar buso dell’apparato concettuale il tecnico della statistica e dell’analisi di dati
tuttavia quest’ultima richiede un iter formativo asse lungo e faticoso, che mette in
gioco l’abilità umane personale ricercatore il quale deve apprendere sul campo come
fare ricerca.
Come sottolinea Ricolfi una ricerca qualitativa e spesso più difficile della ricerca
quantitativa. Da un lato infatti la formalizzazione delle procedure di analisi
quantitativa costituisce la cristallizzazione di un insieme di conoscenze che sono state
organizzate tutto coerente possono essere trasmesse in modo sistematico. D’altro canto
se la ricerca qualitativa un modo più piano e familiari di fronte il proprio studio è
anche vero che con il ricercatore il mio assistito qualcosa di paragonabile statistica ti
suggerisce come prima e raccontare: deve contare sulla propria esperienza, su quella
dei ricercatori esperti sul proprio intuito e così via. Esistono certamente e ti Manuel
dice contadina ma qualsiasi ricercatore sa Che non bastano e che la vera esperienza si
acquisisce facendo ricerca. Possiamo affermare Che tale distanza dipende in ultima
analisi dell’obiettivo conoscitivo che la ricerca si pone.
I punti di contatto si riassumono nei problemi che entrambe le tradizioni incontro
nella costruzione della base empirica: Per la ricerca quantitativa difficoltà di dare
definizioni operativa della proprietà studiate. Ricerca qualitativa è la difficoltà è
costituito dal grado di ispezione abilità della sua base empirica. L’uso di procedure
formali delle analisi dei dati e l’ispezione abilità della base empirica costituiscono due
criteri guida per mettere ordine la dicotomia qualità-quantità .Ricolfi una tassonomia ,
cioè una struttura di selezione dei vari tipi di ricerca basata su questi due criteri.

Capitolo 4
Gli elementi di base utili alla costruzione del discorso metodologico sono tre : concetti,
asserti e nessi tra gli asserti. I concetti (fondamentali per ricerca quantitativa) sono gli
elementi basilari del pensiero; gli asserti si formano combinando concetti infine in essi
trasferiti si costituiscono ponendo in relazione due o più asserti. Si tratta di elementi
che entrano in gioco nel disegno della ricerca, ciò vale sia per la ricerca quantitativa sia
per la ricerca quantitativa: il livello del disegno della ricerca, così come livelli
successivi infatti presente in entrambi casi.
I concetti sono unità del pensiero che ci servono per organizzare percezioni, pensieri,
sensazioni e così via.di questi concetti le facciamo un larghissimo uso della vita
quotidiana: quando diciamo che l’edificio di fronte a casa è una scuola o in che in quel
giardino ci sono molte rose, o che oggi è una giornata nuvolosa Non facciamo altro che
assegnare l’edificio, i fiori, o la giornata un insieme formato da elementi simili tra
loro.un concetto individua oggetti, eventi, stati d’animo eccetera. Ad esempio il
concetto di libro a come referenti tutti libri della mia biblioteca, ma anche quelli della
biblioteca cittadina o quelli della biblioteca universitaria quelli stampati in Germania
in Italia eccetera.tutti libri del mondo e di tutte le epoche sono riferenti cioè esempi del
concetto di libro. Naturalmente non tutti libri sono uguali tra loro tuttavia però
appartengono tutti alla classe soggetti che chiamiamo “libro“.un concetto individua dei
referenti senza affermare nulla su di essi: il concetto di libro non afferma nulla a
proposito dei libri cui si riferisce. Allo stesso modo, il concetto libro della biblioteca
cittadina acquistato lo scorso anno non afferma nulla: esso individua come referenti
tutti libri della biblioteca cittadina che sono stati acquistati lo scorso anno ma senza
dire se sono molti pochi interessanti noiosi costosi e così via. Può aver bisogno di molti
termini per essere espresso tuttavia ciò non fare un concetto un’affermazione che
invece può essere confermata o smentita. Se dico: “libri della biblioteca cittadina
acquistato lo scorso anno sono 500“ afferma qualcosa e posso essere smentita o
corretta; ma se dico: “i libri della biblioteca cittadina acquistato lo scorso anno“ mi
limito a individuare il soggetto di una possibile proposizione senza affermare nulla.
quando un concetto non è il referente concreto empirico, diciamo che al referente
astratto cioè non tangibile non identificabile come un oggetto. Se pensiamo ad esempio
al concetto di equilibrio dobbiamo riconoscere che non c’è nessun oggetto concreto
che possiamo considerare su differenze eppure anche questo concetto a differenti cioè
degli esempi come l’equilibrio con cui il funambolo cammina sulla fune al circo.
A cosa servono i concetti? Se non ci fossero i concetti la nostra percezione del mondo
sarebbe un fascio indistinto di dati provenienti da sensi ai quali non potremo attribuire
alcun senso. Ma invece, il fatto di riconoscere oggetti, eventi, pensieri stati d’animo
cioè di riconoscere i loro alcuni tratti che ce li fanno collocare in gruppi appropriati ci
consente di mettere in ordine i nostri dati sensoriali ripensare al mondo e le nostre
esperienze di esso in modo organizzato e dotato di senso.i concetti dunque sono
“ritardo“ di un flusso di esperienze infinito in estensione in profondità e infinitamente
mutevole. Essi ci consentono di rendere meno problematica l’esperienza quotidiana va
sottolineato che il mondo in cui viene operato questo ritaglio nel flusso di esperienze
non dipende da caratteristiche insite nell’esperienza stessa non c’è nulla dell’oggetto
“tavolo“ che ci obbliga a formare il proprio concetto di tavolo che abbiamo. La
formazione di concetti è un tratto essenziale della formazione del senso comune che
raccoglie tutte le conoscenze che ci permettono di considerare scontato e non
problematici molti aspetti della vita quotidiana.e quindi possiamo considerare concetti
come i mattoni dell’attività scientifica poiché essi individuano il nostro oggetto di
studio compaiono nelle teorie che vogliamo sottoporre a controllo empirico e
costituiscono effetti ciò che unisce la teoria da un lato il mondo empirico dell’altro
come una sorta di ponte tra i due mondi. si infatti i concetti sono retaggi del flusso
dell’esperienza ne segue che essi non sono entità fisse del pensiero ma anzi sono
sottoposte a variazioni sia la società società, sia all’interno di una stessa società e sia
infine da individuo a individuo. Il modo in cui il ritaglio concettuale viene operato e
infatti determinato dicessi ta pratiche di un dato individuo gruppo o società e non da
caratteristiche intrinseche delle cose o delle percezioni. Marradi riporta l’esempio del
modo diverso in cui viene costruito il concetto di neve a seconda dell’esperienza di vari
popoli. Nell’aria mediterranea abbiamo un solo concetto che comprende tutti i tipi di
precipitazione nevosa. Per gli Eschimesi non è così infatti la neve costituisce una parte
importantissima del mondo esperienziale e che perciò posseggono diversi concetti per
distinguere vari tipi di neve. I concetti variano anche nel tempo: nel 200 identificava
ciò che rientra nei canili filosofia della natura di derivazione aristotelica; Nice centro
con Galileo è passato individuare ciò che passibile di verifica empirica tramite il
metodo sperimentale.ma i concetti variano anche all’interno di una stessa società a
seconda degli strati sociali dei gruppi professionali delle generazioni e così via. i
linguaggi specialistici sono un esempio: avvocati, medici, ingegneri, psicologi,
sociologi, economisti, adottare un proprio linguaggio formato da concetti “ritagliati“ in
maniera più o meno diversa rispetto a quanto accade nella società in generale. Lo
stesso linguaggio della metodologia impiega concetti che nel linguaggio quotidiano
hanno un significato più o meno diverso; basti pensare all’uso del concetto di verifica e
verificare. I concetti infine variano anche da individuo individuo: non abbiamo
nessuna garanzia che il concetto di albero a cui sto pensando in questo momento se
identico a quello che stai pensando chi legge questi righe e nemmeno chi sia lo stesso
concetto di albero a cui pensavo due giorni fa poiché l’esperienza potrebbe averlo
modificato.
Secondo Marradi il modo migliore per descrivere i concetti e paragonarli a nuvole a
causa delle loro caratteristiche poi ci sono difficili da definire ma anche molto flessibili.
Ciascuno di noi è nato in un mondo già popolato da moltissimi concetti, elaborati dalla
nostra cultura negli anni nei secoli precedenti la nostra nascita. Schutz afferma che alla
nostra nascita il mondo della vita quotidiana Ci pre- esiste in quanto mondo
organizzato interpretato dotato di una rete di significati elaborati da chi ha preceduto e
che ci vengono trasmessi. La rete di significati è composta da concetti tipici che ci
fanno percepire il mondo come un universo ordinato e dotato di senso. Durante
l’infanzia si realizza una sorta di accordo tra noi la nostra società per farsi che le nostre
esperienze individuali siano ritagliate organizzate più o meno come quella della
maggioranza dei membri della società in cui viviamo. Senza questo accordo non ci si
potrebbe capire e la vita sociale diventerebbe assai difficoltosa.
Un altro punto importante da sottolineare consiste la differenza tra concetti e termini.
Questi ultimi sono lì etichette linguistiche che usiamo per comunicare i concetti stessi.
Dunque concetti e termini non sono la stessa cosa: il dominio di concetti è molto più
vasto del dominio di termini.esistono concetti non associati ad alcun altro termine
infatti il concetto svolge il suo compito di organizzazione mentale e indipendentemente
dal fatto di aver ricevuto un etichetta che lo rende comunicabile. ad esempio possiamo
imparare un concetto osservando esempi dei suoi referenti senza necessità di sapere
che quel dato comportamento si chiama sfuggire alle domande. In secondo luogo non è
vero che ogni concetto corrisponde sempre solo un termine: i concetti anche non
particolarmente complessi necessitano di più di un termine per essere comunicati; Ad
esempio il concetto di propensione a continuare gli studi si compone di più termine
anche se è un concetto unico.
L’insieme dei referenti di un concetto viene chiamato estensione, così come l’estensione
del concetto di libro è assai vasta poiché comprende tutti libri di tutte le epoche. Anche
l’estensione del concetto di studenti e stai vasta comprende infatti tutti coloro che sono
stati sono studenti diventi un 20 a partire dalla scuola dell’antica Grecia fino agli
studenti di questo particolare corso. Per diminuire l’estensione di un concetto cioè il
numero dei suoi referenti e necessario derivare dai suoi concetti più specifici ad
esempio dicendo il libro con copertina rigida carta bianca illustrazione a colori non
penso tutti i possibili libri del mondo di tutti i tempi ma solo quelli che hanno queste
determinate caratteristiche e cioè al sotto insieme di tutti i libri. L’insieme delle
caratteristiche pertinenti è un concetto viene detto invece intenzione ad esempio il
concetto “libro stampato dalla casa editrice tra il 1999 e 2000 con copertina rigida
carta bianca illustrazioni a colori testo del corso di metodologia dell’anno accademico
2003 2004 eccetera formano queste caratteristiche l’intensione del concetto che
aggiungendole possiamo passare da concetti generali a concetti più specifici.
Intensione di estensione sono collegate: se aumento gli aspetti tipici di un concetto,
Cioè le caratteristiche formalizzazione che mi servono per individuare un certo insieme
di referenti , Diminuisco l’estensione. Se diminuisco l’intensione, cioè tolgo specificità
e torno a concetto generale aumenta l’ estensione.
Per passare da un concetto generale a uno specifico è sufficiente lavorare
sull’intenzione del concetto.
Diciamo allora c’è un concetto generale quando la sua intenzione si compone di aspetti
condividono un basso insieme di referenti mentre specifico quando la sua intenzione si
compone di aspetti caratterizzati chiaramente e che dividono un insieme ristretto di
referenti.
Il legame tra intenzione di estensione, e la possibilità di derivare concetti specifici da
concetti generali ci consentono di costruire la cosiddetta scala di generalità che
consiste di vari passaggi che dobbiamo compiere per arrivare a un concetto specifico
partendo da un concetto generale. La scala di generalità è uno strumento
fondamentale per la ricerca empirica. Nel disegno della ricerca infatti il ricercatore
deve individuare con precisione di quali argomenti si occuperà, quando passiamo la
fase della costruzione della base empirica ovvero il secondo livello se concetti
individuati sono posti un elevato grado di generalità amò mi sono in strumento che c’è
da tradurre empiricamente cioè trovare una formulazione che ci renda possibile fare
una ricerca empirica.esempio un conto infatti dire che vogliamo studiare il conflitto
sociale della nostra società dei cinquant’anni un altro sapere esattamente cosa
indagare: il conflitto solo di lavoro rientra questo concetto? E conflitto politico? Sì sì
cosa intendiamo per compito politico? In sostanza quali domande devo fare gli
intervistati per raccogliere informazioni sul compito sociale?
La scala di generalità aiuta a dare risposta a questi interrogativi: lavorando
sull’intenzione del concetto generale e derivando concetti specifici essa ci consente di
stabilire un legame tra conflitto sociale e compito sulle Guy lavoro mentre esclude il
legame tra conflitto sociale partito votato e le ultime lezioni perché i due concetti non
stanno sulla stessa scala di generalità.
Un asserto è un’affermazione circa riferenti di un concetto che viene costruita
combinando concetti in modo semanticamente adeguato cioè in modo che la
proposizione abbia un significato. Ad esempio “gli studenti stanno ascoltando le lezioni
sociologia “ questo è un asserto che afferma qualcosa a proposito di studenti cioè di
referente del concetto di studente. In quanto affermazione può essere smentita: gli
studenti potrebbe essere presenti in aula ma non ascoltare la lezione poiché è difficile o
noiosa o invece potrebbe non essere vero che è la lezione di sociologia ; Genitori
potrebbero non essere studenti veri e propri ma partecipanti a una conferenza.
La differenza sostanziale tra concetti e asserti è data proprio dal fatto che un concetto
non afferma o nega nulla a proposito dei propri referenti mentre un asserto afferma
ognuna e quindi può essere pensato come vero o falso.ora ci occuperemo di tre tipi di
asserti: teoria ipotesi e legge
La teoria (disegno di una ricerca empirica) è un insieme di asserti connessi in modo
organico che si pongono un elevato livello di astrazione e generalizzazione rispetto alla
realtà. Una teoria non può essere inoltre sottoposta direttamente a controllo empirico
così com’è ma deve affrontare alcuni passaggi per essere formulata in modo tale da
poter essere messa confronto dei dati osservati.di questa serie di passaggi fa parte
un’altra forma di asserto c’è l’ipotesi.
L’ipotesi ( disegno) è un asserto che implica una relazione tra due o più concetti,
concepito per essere sottoposto a controllo empirico. Si colloca perciò un livello
inferiore di generalità estrazione rispetto alla teoria: l’ipotesi infatti è il primo dei passi
che permettono la traduzione della teoria in termini praticamente controllabili. la
teoria abbiamo infatti affermato che essa non può essere sottoposta a controllo
empirico direttamente ma consideriamo comunque sempre valida l’indicazione di
Popper per cui la teoria deve essere formulata in modo tale da poter essere falsificata,
poiché quello della controllabilità empirica è uno dei principali criteri di scientificità.
Ciò significa che la teoria deve essere formulata in modo da poter essere articolata in
ipotesi controllabili empiricamente. Se le ipotesi derivata della teoria non saranno
falsificate dei osservati la teoria potrà dirsi non falsificata in caso contrario essa sarà
falsificata e quindi si dovrà abbandonarla o modificarla.
La legge (Controllo intersoggettivo) esprime una relazione tra concetti solitamente di
natura causale e mentre la teoria a limitazioni spaziotemporali una legge è un asserto
di portata universale, valido sempre ovunque senza limitazioni spazio temporali.
Tornando alla distinzione tra concetti asserti, i concetti non affermano un dicono nulla
a riguardo dei propri referenti mentre gli asserti invece affermano o dicono qualcosa.
Gli assetti infatti sono lo strumento mediante il quale viene formulato una certa visione
del mondo, vengono fatte affermazioni su cosa ci si può aspettare che accada se questa
visione del mondo è congruente con i dati rilevati inoltre dopo aver osservato una certa
regolarità e averle confermato empiricamente mediante un asserto li possiamo
esprimere tali regolarità e generalizzarli anche i casi che non abbiamo osservato ma
che sotto qualche aspetto rilevante sono simili a quelli osservati. I concetti quindi sono
i mattoni sui quali e con i quali vengono costruiti gli asserti e permettono di
individuare i referenti a proposito dei quali vengono fatte affermazioni o negazioni.
Il terzo elemento di cui si compone il discorso metodologico costituito dai nessi tra
asserti. Ad esempio:
1. Il radiatore della mia auto si è rotto;
2. L’auto era nel cortile la scorsa notte faceva molto freddo.
E come crede lazioni due asserti ovvero il radiatore della mia auto si è rotto perché lato
era nel cortile la scorsa notte faceva molto freddo. Usando la congiunzione perché
abbiamo istituito un nesso tra le due affermazioni e questo nesso è di natura causale.
Se non avessi lasciato l’auto in cortile, oppure se la scorsa notte non avesse fatto molto
freddo il radiatore dell’auto non si sarebbe rotto.
Ho bisogno che intuisce una relazione causale tra i fatti che serviamo tuttavia nella
realtà osservata non troviamo concetti unisti causali ma sono informazioni che noi
interpretiamo usando concetti e connessioni. La spiegazione causale e quindi un
esempio di nesso tra asserti; un altro tipo di spiegazione è quella definita teleologica.
Essa fa riferimento alla presenza di un fine obiettivo in vista del quale vengono
intraprese determinate azioni.
Ad esempio:
1. Gli studenti seguono le lezioni dei corsi.
2. Gli studenti desiderano ottenere buoni voti per gli esami
anche qui posso dire i due esserti tramite la congiunzione perché: gli studenti seguono
le lezioni dei corsi perché desiderano ottenere buoni voti esami. In questo caso tuttavia
il perché al significato come fine di, affinché e non più a causa di: è cambiato il
significato del nesso tra i due asserti che ora è teleologico e non più causale.
Resta da affrontare un’ultima questione a riguardo dei nessi tra asserti, vale a dire se
sia possibile stabilire la verità o la falsità di un nesso causale teologico. È facile
controllare se questo nesso tra asserti è vero e falso come posso controllare ad esempio
se il radiatore effettivamente rotto o se lato era nel cortile se la scorsa notte faceva
molto freddo e quindi stabilire se queste affermazioni sono vere o false; ma le difficoltà
nascono dal salto che non sappiamo e anzi è difficile decifrare se è stata questa la causa
o il fine dell’azione visto che la tengo la categoria di cause e fine appartengono al
mondo del nostro pensiero e al mondo di leggere osservare la realtà organizzandola
per dare un senso.
Possiamo immaginare che referenti, pensiero e linguaggio siamo gli abitanti di tre
mondi. Il mondo uno e abitato da tutto ciò cui siamo in grado di pensare, cioè da tutti i
referenti; il mondo due è abitato dagli atti del pensiero come ad esempio i concetti di
esserti i nostri trasferte e ragionamenti complessi. Infine il mondo tre è abitato dai
segni linguistici, logici matematici eccetera cioè da tutto ciò di cui si compone un
linguaggio. Possiamo rappresentare i
tre mondi come i vertici di un
triangolo messi in comunicazione da
tre lati il lato che unisce referente
linguaggio e tratteggiato perché la
connessione tra questi due mondi è
mediata dal pensiero: non possiamo
infatti parlare o nominare qualcosa
che non abbiamo pensato; non
esistono termini per concetti
esistenti, mentre è possibile che
esistano concetti per i quali non abbiamo un termine, Un’etichetta linguistica. La
funzione di questa suddivisione è di mettere ordine nei nostri discorsi e risolvere alcuni
problemi che incontriamo quando facciamo ricerca empirica.
In conclusione, è sempre necessario tenere separato il piano delle nostre di costruzioni
interpretazione della realtà dal piano della realtà stessa, un piano tratta quello che
accade l’altro ciò che pensiamo possa accadere; confondendo saremmo propensi a
credere, come facevano i positivisti come pensava anche Galileo, che il nostro lavoro di
scienziati si limita a togliere un velo della realtà mostrando così la sua vera struttura
fatta di connessioni causali, connessioni teleologiche, Leggi e così via. Esse invece non
sono che nostre costruzioni, interpretazioni ipotesi su come vanno le cose.
È necessario questo punto una precisazione importante: la suddivisione fra i due
mondi è fatta non perché si stanno veramente nella realtà ma perché distinguendo le
possiamo mettere ordine nostro lavoro di ricerca.

Capitolo 5

Nella ricerca quantitativa si affrontano le questioni poste dalla scelta di costruire uno
strumento standardizzato di rilevazione di informazioni cioè il questionario. Nella
ricerca qualitativa si affrontano le questioni poste dalla scelta di adottare gli strumenti
di rilevazione e osservazione le varie situazioni di ricerca che si incontrano.
La scelta dell’argomento e le ipotesi formulate condiziona la raccolta
dell’informazione: se intendiamo studiare i valori dei giovani, la “fonte” delle
informazioni. Il giovane, cioè individui compresi in una data fascia di età; se
desideriamo studiare il conflitto sociale, potremmo ricavare informazioni utili
dall’esame delle manifestazioni quali cortei, assemblee, numero di giornate di sciopero
e così via. Se infine intendiamo studiare il voto alle elezioni politiche, possiamo
procurarci informazioni sui collegi elettorali e sul voto espresso alle scorse elezioni.
I tre esempi fanno riferimento a tre tipi di unità le quali sono tipi di referenti sui quali
si raccolgano le informazioni. Nel primo caso si tratta di individui, nel secondo di
eventi e nel terzo di aggregati di individui.
Vi sono almeno altri due tipi di unità: il gruppo e il prodotto culturale. Ad esempio
nel primo caso a una ricerca che coinvolge le sedi di partito: non possiamo dire che si
tratta di un aggregato di individui, poiché solitamente chi frequenta le sedi di partito
forma un gruppo vero e proprio. Nel secondo caso possiamo pensare a una ricerca
sugli articoli dei quotidiani riguardanti un certo argomento, oppure sulle immagini
che accompagnano gli articoli, oppure sulle registrazioni dei telegiornali dell’ultimo
mese. In tutti questi casi L’Unità è costituita appunti da prodotti culturali.
Quindi abbiamo così diversi tipi di unità:
• individui: giovani, segmenti particolari(artisti ecc)
• Aggregati territoriale:nazione, provincia , comune
• Organizzazione-istituzione:famiglia , associazioni, istituzioni, imprese
• Evento-iniziativa: episodi particolari, elezioni politiche
• Prodotto culturale: post su social network, articoli, trasmissione televisive, contenuti
mediali
Stabilire di quale unità ci occuperemo è il primo passo necessario alla base empirica.
Qualsiasi sia la nostra unità il fatto stesso che la individuiamo come tale significa che le
informazioni verranno raccolte facendo riferimento ad essa. Se si tratta di individui
faremo domande o ci procureremo dati sulle persone; se si tratta di articoli di giornale
li esamineremo o catalogheremo secondo alcuni criteri.
Abbiamo detto che L’Unità è il tipo di referente su cui vengono raccolte le
informazioni perché essa individua non degli “oggetti” precisi, ma una categoria di
“oggetti”. Se consideriamo l’insieme di “oggetti” che sono esempi di una data unità
otteniamo la popolazione. Non sempre è però possibile o interessante rilevare
informazioni su tutta la popolazione che corrisponde all’unità scelta
In molti casi perciò si sceglie un campione, che è un sotto-insieme della popolazione
individuato in base a particolari regole. In pratica, un campione comprende solo una
parte delle sedi di partito o dei giovani italiani; quelle sedi o quei giovani che ne fanno
parte sono detti casi e sono gli oggetti sui quali si rileveranno le informazioni di cui
abbiamo bisogno per costruire la nostra base empirica. Immaginiamo di condurre una
ricerca sul modo in cui le persone hanno trovato il loro primo lavoro. L’unità È
costituita dall’individuo: per procurarmi informazioni su ciò che voglio studiare dovrò
quindi fare alcune domande persone; stabilisco che la mia unità è la persona che lavora
con un’età compresa tra i 14 e i 65 anni e che risulta residente in Italia. La popolazione
è costituita perciò da tutti lavoratori residenti in Italia tra i 14 e 65 anni di età. Non
posso tuttavia intervistare tutti lavoratori che presentano queste caratteristiche e
necessario quindi costruire un campione tratto dalla mia popolazione, che individuerà
le persone cui effettivamente porrò domande sul primo lavoro. Per costruire il
campione stabilisco di usare gli elenchi dell’anagrafe, decido cioè quante persone
intervisterò. Estraendo i nominativi maniera casuale costruisco il campione; i
nominativi che ne fanno parte sono i casi e all’oro il informazioni sul modo in cui
hanno trovato il primo lavoro.
Possiamo parlare di due tipi di unità : unità di rilevamento e unita d’ analisi. Il primo
caso trattiamo del tipo di unità sulla quale abbiamo informazioni mentre l’unità
d’analisi è il tipo di unità a livello della quale le informazioni sono organizzate e
analizzata. Ad esempio, per stabilire il consumo medio mensile del carburante la
famiglia posso rilevare informazioni sull’uso dell’auto da parte di ciascun componente
della famiglia e calcolare poi la media. Questo si riferisce alla famiglia e non più agli
individui suoi componenti; quindi l’unità di rilevamento è l’individuo mentre l’unità di
analisi è la famiglia. il passaggio dalle unità di rilevamento a quelli di analisi avviene a
livello dell’organizzazione dei dati, una volta cioè che la base empirica è stata costruita
e prima di analizzare le informazioni raccolte.
Il secondo passo nella costruzione della base empirica è data dalla scelta delle
informazioni che intendiamo raccogliere; Una volta individuata l’unità informazioni
utile la cifra non resta che mettere insieme questi due elementi, espressi ancora per il
momento in forma di concetti. Infatti come argomenta Marradi I concetti non ci
interessano di per sé stessi, ma in quanto entrano nel discorso che svolgiamo sulle
proprietà. Tra un concetto e la corrispondente proprietà passa la stessa differenza che
c’è tra cui il rosso in astratto il colore della mia tazzina da caffè: il primo caso intendo il
colore rosso insieme, mentre il secondo sto parlando del rosso che caratterizza questa
tazzina. Oltre al colore la tazzina molti altri proprietà, è piccola grande leggera pesante
trattiene il colore lo disperde, e non solo rossa ma anche blu e così via. tutte queste
proprietà sono tali perché riferite alla tazzina senza riferimento all’oggetto in
particolare. Il concetto non riguardano gioco in particolare come invece per la
proprietà.qualsiasi “oggetto“ può essere caratterizzano insieme praticamente vive le
proprietà; naturalmente una ricerca non può riguardare tutti i problemi che
caratterizzano dato oggetto; di fatto, il disegno della ricerca ovvero limitare il numero
il tipo di informazioni / proprietà che vogliamo studiare. le proprietà non sono
osservabili in quanto tali, ma lo sono i loro stati, cioè i modi in cui la proprietà stessa di
presentarsi: quando serviamo la tazzina da caffè non vediamo l’attività colore ma che
in rossa e blu; quando guardiamo la persona non vediamo la proprietà colore di capelli,
ma che è castana. in sostanza, noi conosciamo il mondo attraverso stati su proprietà
degli oggetti, persone, eventi, sentimenti che vediamo, proviamo, conosciamo.
Il percorso che consente di tradurre empiricamente una teoria a inizio con
l’individuazione dei concetti si quali il ricercatore intende lavorare e si conclude con la
costruzione della matrice dei dati, ovvero dello strumento che rende possibile analisi
statistico matematica delle informazioni raccolte.tale percorso prevede due tappe
intermedie: la trasformazione dei concetti in proprietà e la trasformazione delle
proprietà in variabili. Il passaggio dalle proprietà le variabili avviene grazie alla
definizione operativa, che è quell’insieme di regole convenzioni che stabiliscono come
concretamente una determinata proprietà possa essere rilevata e costruita.
Essa permette di:
1. definire la lista degli Stati su una certa proprietà e mobili che vengono quindi detti
modalità.
2. Assegnare a ciascuna modalità un codice, solitamente numerico, Klementieff in
modo chiaro e univoco.
3. Definire quali procedure saranno dotati per assegnare ogni riferimento a una sola
modalità tra quelle individuate.
L’esito dell’applicazione di questo complesso di regole convenzioni è appunto la
variabile che non è altro che la proprietà operativizzata , Questa espressione una
forma compatibile con l’ analisi statistico matematica, ovvero informativo gruppo di
studio medici. In sostanza grazie la definizione operativa stabiliscono quali stati delle
proprietà sono trasformabili modalità delle corrispondenti variabili.
La definizione operativa inoltre si compone nei seguenti passi:
1. Identificare l’insieme di Stati che si ritengono significativamente distinti gli uni
dagli altri (ad esempio quattro Stati della proprietà a titolo di studi)
2. Assegnare a ciascuno Stato un codice identificativo, così da trasformarlo in una
modalità della variabile corrispondente.
3. E definire un insieme di regole per attribuire alle varie modalità i casi osservati,
prevedendo che i trattare i casi dubbi
4. Formulare il testo della domanda da porre agli intervistati (ad esempio “mi puoi
dire per cortesia quali titolo di studio conseguito?“)
La definizione operativa dipende fortemente dagli obiettivi del ricercatore,
dall’esigenza dell’analisi, dell’accuratezza con cui pensiamo che gli intervistati possono
fornirci le informazioni e così via.
Ad esempio assenso codificare il titolo di studio degli intervistati in modo esteso,
perché ciascuna ben presente il proprio percorso di vita gli anni dedicati all’istruzione
e così via. È più problematico invece ottenere lo stesso livello di dettaglio quando gli
diamo loro il titolo di studio dei genitori: l’ordinamento scolastico era tanto più diverso
quanto più i genitori sono anziani quindi i 10 Stati individuati sono probabilmente
inadeguati. Inoltre alcuni intervistati non conoscono in dettaglio o non ricordano il
titolo di studio conseguito dai genitori, Per cui non sono in grado di dare
un’informazione precisa. Vi è un ulteriore importante elemento che abbiamo dato per
scontato ma che deve essere soddisfatto, affinché si possa dire di aver predisposto le
regole per trasformare una proprietà in una variabile: gli Stati distinti individuati dalla
definizione operativa devono essere almeno due; in caso contrario non potremmo
affermare che la proprietà varia a seconda dei casi quindi non potrebbe dare luogo a
una variabile.
Il terzo requisito è quello che distingue la ricerca empirica della cattiva ricerca; come
afferma Popper il controllo intersoggettivo l’unica garanzia dell’oggettivitá scientifica.

Una definizione operativa può essere vera o falsa?


L’insieme dei problemi che si nasconde da questa domanda È piuttosto ampio.per
stabilire se un’affermazione è vera o falsa, infatti È necessario che l’affermazione si
riferisca qualcosa che siamo in grado di provare che è accaduto uno, che esiste uno e
così via.ad esempio, l’affermazione: “qui oggi piove“ può essere immediatamente
confermata smentita guardando dalla finestra che tempo fa; per stabilire se una
definizione operativa è vera o falsa dovremmo essere in grado di fare riferimento alla
realtà e di capire se la definizione data corrisponde ad essa o no. Tuttavia ciò non è
possibile per alcuni motivi. Innanzitutto, la crisi del positivismo e le critiche cui è stato
sottoposto ci mettono in guardia dal ipotizzare che esistano realtà oggettiva, e che
quand’anche esistesse noi siamo in grado di conoscerla per come, nella sua oggettività.
Tuttavia non c’è niente nel concetto di una proprietà che detti univocamente le
procedure con cui registrarne gli stati. Se fosse possibile affermare che è una
definizione di natura è vera o falsa, dovremmo anche poter dire che sono una delle
definizioni titolo di studio è vera, mentre altri sono false. Ma ciò non ha senso: come
abbiamo detto, definizione operativa dipende dalla necessità della ricerca, dalle
concrete possibilità di rilevare la proprietà in modo più o meno accurato e così via.
In sintesi, non possiamo dire che la definizione operativa sia vera o falsa sia perché
non abbiamo accesso alla realtà “oggettiva“ sia perché la realtà qui abbiamo accesso
non ci fornisce le regole univoche. Una seconda ragione e che i concetti possono essere
tradotti empiricamente in modi diversi: il concetto di livello di istruzione può essere
tradotto empiricamente dal titolo di studio effettivamente conseguito oppure dal
numero di anni scolastici frequentati, indipendentemente dal conseguimento di un
titolo; oppure da una combinazione tra titoli conseguiti e corsi di studio frequentati ma
poi abbandonati; questa pluralità di tradizioni non può essere giudicata col criterio
della verità o falsità ma più adeguatamente col criterio della sua utilità nel contesto
della ricerca che si sta conducendo.
Il fatto che la definizione operativa non può essere libera né falsa lascia aperta la
questione della sua adeguatezza rispetto alle proprietà a cui si riferisce: nulla ci
garantisce che le operazioni prescritte dalla nostra definizione ci permettono di
cogliere effettivamente quella proprietà che intendiamo studiare, e non qualcos’altro.
In generale può non essere immediato riconoscere che la definizione operativa rileva
una proprietà diversa da quella che si proponeva. Anche quando la definizione
operativa consente di rilevare la proprietà che intendevamo studiare, è possibile che
alcune sue parti producano distorsioni nella rivelazione, e questo è uno dei problemi
che possiamo riscontrare in una definizione pratica. Se ad esempio rilevassimo il titolo
di studio prevedendo due sono stati ovvero alto e basso e evidente che la variabile che
ne risulterebbe sarebbe troppo sintetica, perché lui sulle modalità riassumerebbero
tutta la varietà di temi di studio del nostro sistema di istruzione . si presenta quando
l’elenco degli stati di proprietà previsto dalla definizione operativa non è completa o
sufficientemente ampio. Poniamo ad esempio di voler rilevare la posizione
occupazionale dei nostri intervistati, cioè se lavorano o studiano ecc; poniamo inoltre
di dare una definizione operativa della proprietà condizione occupazionale che
prevede tre stati: occupati studenti e casalinghe. Possiamo affermare che questi tre
stati esauriscono i possibili modi di manifestazione della proprietà? naturalmente no:
sarebbe necessario prevedere alcuni altri, ad esempio in cerca di prima occupazione,
disoccupato, pensionato. Se non correggessimo la definizione operativa ampliando il
numero di Stati prevedibili, rileveremmo la proprietà in modo del tutto fuorviante. Un
ultimo tipo di problemi riguarda le regole che la definizione operativa suggerisce per
risolvere i casi di assegnazione. Può cadere a quattro stadi, ma il campione contenga
una quota rilevante di persone che non ho alcun titolo di studio.si assegnassimo la
modalità elementare al termine della rivelazione ci troveremo moltissimi casi
raggruppati tu questo tubetto, di cui però solo una piccola parte sarebbe formato da
persone con la licenza elementare, mentre la maggior parte Sarebbe costituita da
quanti non hanno cui titolo. Lo svantaggio è che a quel punto non sarebbe più
possibile separare due tipi di intervistati e ciò introdurrebbe pesanti distorsioni nella
successiva analisi e interpretazione dei dati.
Della definizione operativa fanno implicitamente parte anche le procedure per il
controllo degli errori nella rivelazione delle proprietà, per evitare di commetterli. Oltre
le distorsioni dovute alle regioni fin qui viste, vanno considerati gli errori materiali che
possono avere luogo nella registrazione delle risposte da parte dell’intervistatore .
Marradi riporta inoltre caso di interviste inventate da intervistatori pigri o poco onesti,
oppure condotti casualmente con persone che abitano nello stesso quartiere
dell’intervistatore, oppure della loro stessa età.
In sintesi, la definizione operativa è soggetta a distorsioni di errori, che possono
modificare più o meno pesantemente l’esito della rivelazione dell’informazione, e
quindi la qualità dei dati che teniamo. Non dobbiamo infatti indicare che la definizione
operativa serve per passare dalle proprietà alle variabili, cioè per costruire la matrice
dei dati da impiegare nelle successive analisi.
La definizione operativa è uno dei passi necessari per tradurre empiricamente una
teoria; essa riguarda la trasformazione delle proprietà invariabili in modo da consentire
la costruzione della matrice CxV.
C’è tuttavia un passo precedente acquisto, spesso infatti i concetti al centro della
ricerca empirica sono assai generali: il conflitto sociale, il mutamento sociale, la
trasmissione di valori e così via. La soluzione per operativizzare tali concetti consiste
nel costruire una scala di generalità, tali per cui sia possibile individuare concetti
specifici a partire dai concetti generali. Ad esempio, partendo dal concetto di libertà
posso disegnare una scala di generalità discendente composto dai seguenti gradini
concettuali: libertà, libertà politica, libertà di stampa, libertà di pubblicare riviste,
giornali e articoli di opposizione governanti, infine il tempo totale trascorso in carcere.
Il rapporto che lega il concetto generale libertà politica il concetto specifico tempo
totale trascorso in carcere si dice rapporto di indicazione, perché il secondo concetto
indica cioè rimanda al concetto generale; il concetto è specifico viene detto indicatore
del concetto generale. Va notato che questa stessa proprietà o meglio il concetto
sottostante non si trova sulla scala di generalità che abbiamo fatto partire dal concetto
di libertà. Infatti tutti i gradini della scala prima di tempo totale eccetera possono
essere derivati dall’intenzione il concetto libertà, mentre ultimo gradino ne riempito
con un concetto che noi consideriamo semanticamente legato al concetto libertà di
pubblicare riviste e articoli di opposizione ma che non deriva dalla sua intenzione.
È il ricercatore a stabilire sulla base dei significati sociali dei concetti coinvolti che il
tempo trascorso in carcere per aver scritto articoli di opposizione è un indicatore di
libertà di stampa e quindi di libertà politica.
Il rapporto di indicazione, insieme alla scala di generalità rende possibile
l’operativizzazione di un concetto generale, esso svolge un ruolo fondamentale nella
ricerca empirica poiché senza di esso non potremmo giungere a rilevare informazioni
riguardanti concetti troppo generali. Il rapporto tra indicatore concetto generale viene
stabilito dal ricercatore sulla base del significato sociale dei due concetti, della propria
esperienza e di quella di altri studiosi , delle province azioni e dei obiettivi di ricerca. È
perciò essenziale che rapporto di indicazione sia esplicitato e inserito nella definizione
operativa
Se il concetto è considerato sufficientemente generale, da luogo a più scale di
generalità che inoltre possono ramificarsi in qualsiasi momento individuando una
pluralità di indicatori. In sintesi il concetto generale non ha un solo indicatore proprio
perché è generale e quindi la sua intenzione include molti elementi da cui è possibile
dare inizio a tante scale di generalità e quindi arrivare a più indicatori. Il concetto di
libertà è talmente generale che ha bisogno di numerosi indicatori per rappresentare i
suoi vari significati, parliamo infatti di libertà politica o libertà religiosa libertà positiva
negativa eccetera ciascuno di questi concetti a sua volta è troppo generali per essere
operativi dato direttamente e darà quindi luogo a una o più scale di astrazione.
Ogni indicatore è costituito da una parte indicante e da una parte estranea; la prima
identifica l’area semantica che l’indicatore in comune con il concetto generale, mentre
la seconda identifica l’area semantica dell’indicatore che non si sovrappone al concetto
della quale non possiamo disfarci anche se non ci serve.
Ad esempio pur sapendo che il numero di automobili per famiglia indicatori di molti
concetti diversi, se vogliamo impiegarlo come indicatori di benessere materiale non
possiamo fare a meno di prenderlo così com’è con tutti i suoi significati che sono in
parte sovrappone al significato del concetto di benessere materiale .
Gli indicatori di un concetto generale avranno una parte indicante più estesa e altra
meno estesa. Naturalmente è preferibile individuare usciti gli indicatori con una parte
indicante estesa in modo tale che loro significato si sovrapponga il più possibile a
quello del concetto generale. Parliamo di indicatori tanto più validi quanto più la loro
parte indicante è ampia.
La variabilità è una proprietà del rapporto di indicazione che si istituisce tra un
concetto generale e indicatore; L’attendibilità è invece una proprietà del rapporto tra il
concetto che ha suggerito la definizione operativa cioè l’indicatore e gli esiti effettivi
delle operazioni che tale definizione prevede. Immaginiamo di dover pesare un po’ di
farina; definizione operativa che implicitamente ciascuno di noi dà per ottenere questo
risultato è molto semplice: si prende una bilancia, si pesa la farina, si registra su
peso.poiché non sappiamo se la bilancia funziona bene possiamo decidere di pesare di
nuovo la farina e vedere quale risultato otteniamo . Il risultato lo stesso possiamo
fidarci della bilancia se invece il risultato é diverso Dobbiamo dubitare del nostro
strumento. Nel primo caso diremo che la procedura di misurazione è attendibile
perché fornisce lo stesso risultato in condizioni temporali diverse.
È piuttosto complesso stabilire se un indicatore è più o meno valido di un altro o sei
una certa procedura e più attendibile di altri. Per valutare la validità disponiamo di
due procedure: la validazione per il criterio e la validazione per relazione ad altri
concetti. La prima consiste nel mettere a confronto l’indicatore di cui si vuole valutare
la validità con uno più altri indicatori la cui validità è già nota. Anche l’altra procedura
si basa sul confronto del nuovo indicatore con altri, ma è un po’ più complessa. In
estrema sintesi si pone a confronto il nuovo indicatore con altri; se le relazioni tra loro
vanno nel senso che ci aspettiamo possiamo trarre conclusioni circa la validità sia del
nuovo sia degli altri indicatori. Poniamo di avere tre indicatori di benessere materiale:
il reddito e il numero di beni di lusso acquistato in ultimo anno il numero di beni
acquistati a rate il ultimo anno. Possiamo aspettarci che i primi due siano associati
impositivo e che questi due siano associati in negativo con il terzo. Se nostri dati
rispettano la direzione di queste relazioni possiamo affermare che i tre indicatori sono
validi per il concetto di benessere materiale se invece nostri dati si comporta in
maniera diversa dobbiamo concludere che la loro validità non è buona.
L’attendibilità viene rilevata ripetendo in maniera consecutiva l’azione come un
questionario, sono di strada più volte a distanza di tempo. Un accordo tra due
somministrazioni di Uno stesso questionario agli stessi soggetti in tempi diversi. Qui
non ci troviamo più nella relazione tra un concetto la proprietà ma siamo già nella
definizione operativa.essa viene spesso valutata tramite la procedura test-retest Che
consiste nel mettere in atto almeno due volte successive la procedura di rilevazione
descritta dalla definizione operativa; sì risultati della misurazione indipendenti sono
simili operativa é attendibile. Il fatto però due rilevazioni siano diverse tra loro non
implica che lo strumento di rilevazione sia per forza poco attendibile: nel lasso di
tempo tra la prima la seconda rilevazione l’oggetto di studio potrebbe essere cambiato
e quindi la differenza potrebbe essere reale. La valutazione di validità e attendibilità è
piuttosto problematica E viene condotta con strumenti i cui risultati devono essere
trattati con grande cautela.tuttavia entrambe queste proprietà sono di fondamentale
importanza per la ricerca empirica: senza indicatori validi non saremo in grado di
operativizzare è concetti complessi e senza definizioni operative attendibili finiremo
per rilevare informazioni che realtà non hanno a che fare con ciò che vogliamo
studiare. Esse sono del tutto indipendenti infatti possiamo avere indicatori validissimo
ma rilevato con una procedura in attendibile.
Il tipico procedimento per risolvere tali problemi di rilevazione di proprietà più o
meno complesse è quello analitico: dato un“oggetto” generale, lo si frammenta
scomponendolo via via nelle sue parti elementari riducendone la complessità. A questa
fase analitica però deve succedere una fase sintetica: se ci mettiamo la scomposizione
del concetto complesso senza avere una regola per ricomporre i frammenti l’averlo
scomposto elementi di base ci sarà servito a poco. La fase di sintesi a luogo con la
costruzione di un indice cioè di una
nuova variabile che sintetizza le
informazioni espresse dai vari indicatori.
Si può costruire un indice per via
analitica o via matematica. nel primo caso
ci affidiamo alle nostre conoscenze per
creare l’indice sottoforma di una nuova
variabile; nel secondo ci affidiamo a
procedure statistico matematiche che
sintetizzano le informazioni dei vari
indicatori in una o più variabili.( esempio
sul libro pag132)
Nella costruzione della base empirica decidiamo vogliamo costruire un questionario
da somministrare a un campione di 1000 italiani, rappresentativo per genere età e area
geografica di residenza. L’unità della ricerca È perciò costituita dal cittadino italiano,
mentre i casi sono i 1000 italiani che entreranno a far parte del campione.
A questo punto non ci resta che interpellare gli intervistati che fanno parte del
campione, porre loro domande così come risultano dalle definizioni operative e
registrare le loro risposte. Una volta fatto questo, possiamo organizzare le risposte
della matrice casi X variabili o matrice C x V. Essa è formata da colonne Vittorio
colonna e righe o vettori riga; Questi ultimi si riferiscono a casi mentre le colonne si
riferiscono le variabili. La matrice C x V È formata da codici numerici che possono
essere compresi solo facendo riferimento a quanto stabilito dalla definizione operativa
che hanno generato le variabili. In altri termini solo sapendo che nella colonna genere
codice uno sta per maschi mentre il codice due sta per femmina siamo in grado di
interpretare le informazioni presenti nella matrice dei dati.
L’attribuzione di codici numerici agli Stati delle proprietà viene raccolta nel libro
codice; non si tratta di un vero e proprio libro ma dell’elenco di nomi delle variabili
presenti nella matrice completati dal codice numerico e dal nome delle modalità di
ciascuna variabile.
Capitolo 6

Le differenze tra variabile dipendono dalle differenze Che percepiamo nel modo in cui
si presentano le proprietà: la proprietà ‘genere’ si presenta con due Stati di cui si può
dire solo che sono diversi, ma non che uno viene prima dell’altro e né tantomeno che è
possibile sommare l’uno all’altro .La proprietà “Età“ si presenta invece come un
continuum formato da infiniti Stati tra due stati intermedi qualsiasi, poiché tra 10 anni
e 11 anni posso individuare in finiti stati intermedi: 10 anni un giorno 10 anni un
giorno e due ore e così via. Per stabilire quale tipo di proprietà ci troviamo di fronte e
quindi a quale tipo di variabili sta da luogo e quali tipi di analisi dei dati sono
consentiti, consideriamo due criteri:
• La presenza di un ordine tra gli Stati della proprietà
• La possibilità di determinare la distanza esatta tra questi stati
su questa base otteniamo la tipologia delle proprietà e delle corrispondenti variabili. Se
gli Stati di una proprietà subordinati è possibile stabilire la distanza tra due stati
successivi allora la proprietà dal luogo a una variabile cardinale. Se gli Stati sono
ordinati ma non conosciamo la distanza tra loro la proprietà da luogo a una variabile
categoriale ordinata e se infine gli Stati non sono ordinati né tantomeno è possibile
stabilire la distanza la proprietà da luogo una variabile categoriale non ordinata.

Variabili categoriali non ordinate CLASSIFICAZIONE


Alcune proprietà ad esempio il genere, si presentano in Stati non ordinati tra loro:
come abbiamo detto femmina non viene logicamente temporalmente prima di maschio
o viceversa; così pure per la proprietà confessione religiosa non è possibile stabilire un
ordine tra gli Stati buddista cattolica mussulmana e così via .queste proprietà vengono
dette categoriali non ordinate perché i loro Stati individuano gruppi o categorie che
non possono essere ordinati tra loro e dei quali possiamo dire solo che sono uguali o
diversi. Ad esempio la signora Bianchi si dichiara cattolicamente la signora Verdi Siri
Chiara buddista il signor Rossi si dichiara anch’egli cattolico. Tutto quello che
possiamo dire che la signora Bianchi e la signor Verdi sono di religione diversa mentre
il signor Rossi è la stessa religione della signora Bianchi.
La definizione operativa di una proprietà categoriale in ordinata descrive la procedura
di classificazione che darà origine alla variabile corrispondente la quale sarà detta
categoriale ordinata.
La definizione operativa è quindi semplice:
• Chiedere all’intervistato quale confessione religiosa appartiene
• Registrare lo Stato con il codice corrispondente.
Variabili categoriali ordinate ORDINAMENTO
Vi sono proprietà i cui stati si presentano in maniera ordinata; il titolo di studio
nell’esempio: sappiamo infatti che la licenza elementare precede temporalmente licenza
media e che questa sua volta procede diploma e non dorme esiste c’è una gerarchia che
consente di ordinare i diversi Stati di questo possiamo dire non solo che sono uguali o
diversi tra loro, ma anche che uno è maggiore o minore dell’altro. Questo tipo di
proprietà viene detta categoriale ordinata proprio per sottolineare che i suoi Stati sono
ordinati.
La definizione operativa di una proprietà categoriale ordinata deve comprendere le
istruzioni per attuare la procedura di ordinamento attraverso cui si dà origine alle
variabili corrispondenti, detta anch’essa categoriale ordinata. L’ordinamento è infatti
l’operazione con cui ripartiamo intervistati tra diversi gruppi ordinati assegnando a
ciascuno dirti il codice numerico corrispondente al gruppo A cui appartiene e creando
così la variabile.
In pratica questa parte della definizione operativa può essere espressa come segue:
• Chiedere all’intervistato di quale titolo di studio è in possesso
• Assegnare l’intervistato a uno dei gruppi ordinati
• Registrare il codice numerico corrispondente
la differenza sostanziale tra le proprietà categoriali ordinate non ordinate consiste nel
fatto che possiamo variare l’ordine degli Stati e dei corrispondenti codici numerici
perché tale ordine é arbitrario; nel Primo caso invece la definizione operativa deve
preservare l’ordine con cui gli Stati si presentano, perché cambiandolo si snatura la
proprietà. Il problema relativo alle variabili categoriali ordinate e che non conosciamo
la distanza tra le varie modalità, non sappiamo cioè se la distanza che separa licenza
elementare la licenza media è la stessa che c’è tra diploma e laurea.i nostri esempi
abbiamo considerato equidistanti vari stati attribuendo i codici numerici da uno a
quattro. In base alla conoscenza del sistema scolastico e della società italiana possiamo
però pensare che avere la licenza media anche il diploma sono certa differenza perché
il diploma da generalmente accesso alle occupazioni non manuali mentre Chiara
licenza media solitamente si trova svolgere un’occupazione di tipo manuale. Stando
così le cose dovremmo assegnare i codici numerici in modo da rispettare queste
distanze diseguali; tuttavia ciò è un’operazione arbitraria perché non vi è accordo tra i
ricercatori sulla valutazione dell’ampiezza delle distanze tra modalità delle diverse
variabili; generalmente si sceglie quindi di considerare eguali distanze assegnando di
conseguenza codici numerici che danno luogo a modalità equidistanti.
Variabili cardinali discrete CONTEGGIO
Pensiamo al numero di figli o di automobili per famiglia, al numero di abitanti di un
comune e così via. In tutti questi casi non solo sappiamo che lo Stato due figli precede
lo Stato quattro figli, manchi che i due Stati sono separati da due unità di conteggio,
cioè che due figli e il doppio di quattro figli. In sostanza conosciamo sia l’ordine sia la
distanza tra gli Stati. Queste proprietà dette a Stati enumerabili , esiste un’unità di
misura cosiddetta naturale, costituita dai numeri interi e dei loro multipli; gli Stati di
questo tipo di proprietà si definiscono contando cioè tramite operazioni di conteggio.
La definizione operativa è semplice:
• Contare il numero di oggetti relativi al caso in esame
• Registra il numero ottenuto. Quest’ultimo è un numero vero e proprio e non più un
codice numerico: possiamo cioè applicare adesso tutte le operazioni matematiche si
applicano i numeri cardinali.
Per questo motivo, questo tipo di variabili vendetta cardinale e più precisamente si
tratta di variabili cardinali discrete poiché l’unità di misura non ammette decimali e la
corrispondente proprietà vai appunto per stati discreti. È anche possibile individuare
uno 0 assoluto che corrisponde all’assenza della proprietà: zero figli, zero automobili
eccetera.

Variabili cardinali continue MISURAZIONE


L’ultimo motivo è costituito dalle proprietà cardinali continua, per le quali è possibile
concepire infiniti stati intermedi tra due stati comunque scelti.è il caso di proprietà
quali l’età, il reddito, la spesa mensile per l’abbigliamento e così via che possiamo
scegliere di misurare in anni mesi giorni ore minuti secondi eccetera Oppure migliaia
centinaia decine di euro dollari eccetera. In tutti questi casi possiamo immaginare che
tra uno Stato e l’altro ve ne siano infiniti. Anche per questo, come per le proprietà stati
enumerabili , Conosciamo sia l’ordine sia la distanza tra gli Stati, ma l’unità di misura è
convenzionale e non esiste uno 0 assoluto. Di fatto esistono molte unità di misura
lineare del tempo, cosa che di per sé dovrebbero suggerirci la relatività dell’unità di
misura adottate per questa proprietà.
La definizione operativa di queste proprietà deve specificare la procedura di
misurazione che dà luogo a variabili cardinali continue. Misura prevede cifre decimali,
definizione operativa deve stabilire le procedure di arrotondamento; ad esempio
registrare non che il signor Bianchi ha cinquant’anni ma che a cinquant’anni sei mesi
10 giorni 20 ore e 30 minuti e 10 secondi e così via fino a proporzioni infinitesimale di
tempo, naturalmente questo a poco senso e perciò si stabilisce di arrotondare per
difetto età degli intervistati che non hanno superato i sei mesi del compleanno.
L’operazione di misurazione che va spiegata nella definizione operativa consiste nei
seguenti passi:
• Si stabilisce un’ unità di misura
• Si decide quante cifre registrare come arrotondare
• Si confronta metà di misura con l’ammontare delle proprietà nel singolo caso
• Si trasforma l’esito della fase precedente nel numero registrabile corrispondente

Capitolo 7
Il modo più naturale per procurarsi informazioni sulle persone è condurre
un'intervista, ovvero rivolgersi direttamente a loro con una serie di domande relativa a
comportamenti, opinioni, atteggiamenti, credenze ecc. Il primo elemento da
considerare è che l'intervista è un'interazione, sebbene di tipo particolare:
intervistatore e intervistato di norma non si conoscono, consapevoli di non incontrarsi
forse più in futuro e per parlare di argomenti di cui forse l'intervistato non avrebbe
parlato spontaneamente. L'intervista è un rapporto particolare anche perché il
rapporto non è simmetrico: è l'intervista che guida e sollecita la conversazione, mentre
l'intervistato può solo fornire le informazioni. Il fine di questa conversazione è
conoscitivo: il ricercatore vuole infatti conoscere il punto di vista dell'intervistato su
una serie di temi, quali sono le sue opinioni, i suoi interessi ecc. Nell'intervista non si
ha, infatti, in alcun modo l'intenzione di modificare le opinioni, gli atteggiamenti o i
comportamenti dei soggetti studiati. L'intervista intende solo rilevare, non alterare, gli
stati degli intervistati rispetto alle proprietà che interessano il ricercatore.
L'intervistatore svolge il proprio ruolo di guida della conversazione secondo uno
schema interrogazione che può essere più o meno standardizzato.
Si parla di :
• Schema strutturato quando esso specifica in maniera dettagliata gli argomenti che
verranno affrontati nel corso dell'intervista.
• Schema standardizzato quando l'intervistatore formula le domande nello stesso
ordine a tutti gli intervistati
• Schema direttivo quando l'intervistato non è libero di dare la risposta che vuole, ma
viene invitato a scegliere una delle alternative proposte.

Sulla base di questa distinzione, Bichi (2002) propone di distinguere tre tipi intervista.
1. Intervista strutturata: il tipo più diffuso nella ricerca quantitativa. In questo caso, i
tre criteri sopra esposti si esprimono al massimo grado. Essa viene condotta sulla
base di uno strumento altamente strutturato, cioè il questionario (in cui sono pre-
definite sia le domande sia le risposte), che viene proposto in maniera
standardizzata, poiché le domande simsuccedono nel medesimo ordine per tutti gli
intervistati. Oltre che strutturato standardizzato, il questionario è uno strumento
direttivo, perché l'intervistato ha di fronte risposte prestabilite tra le quali deve
limitarsi a scegliere.
2. Intervista semi-strutturata: si colloca ai gradi intermedi di direttività e di
standardizzazione mentre presente uno schema scarsamente strutturato. Si tratta
di una conversazione basata su una traccia di argomenti, formulati
dall'intervistatore in termini di domande; l'intervistatore è però libero di adattare
ai singoli intervistati sia le domande sia l'ordine in cui le pone. Dal canto suo, l'
intervistato è libero di rispondere in maniera discorsiva, come avviene in una
normale conversazione.
3. Intervista biografica: è un tipo d'intervista non direttiva, basata su uno schema
ben
strutturato ma non standardizzato. Si tratta di una conversazione in cui gli argomenti
vengono sì affrontati a mano a mano che emergono, seguendo i bisogni e gli stati
d'animo dell'intervistato. Direttività e standardizzazione sono quindi minime, tuttavia
esiste unelenco dettagliato degli argomenti che l'intervistato si propone di affrontare.
In questo senso possiamo dunque dire che lo schema 'interrogazione è strutturato.
Questo schema però non è assolutamente rigido, perché non influenza lo stile non-
direttivo di conduzione e lascia libera la possibilità di introduzione di argomenti che ex
ante non erano sembrati significativi.

L'ultima caratteristica da mettere in evidenza dell'intervista è la seguente: essa si


rivolge a un numero consistente di persone scelte in base a un disegno preciso. In altre
parole, l'intervista viene condotta su campioni composti da un numero variabile ma
comunque elevato di casi, a seconda del tipo d'intervista.
Le interviste strutturate sono, per esempio, di solito quelle proposte a campioni
assai numerosi mentre le interviste biografiche sono quelle che riguardano pochi casi
perché queste ultime vogliono comprendere casi singoli nella loro complessità,
piuttosto che spiegare relazioni tra variabili e generalizzare i risultati.
Le persone intervistate vengono scelte sulla base di un piano di rilevazione. Nella
ricerca quantitativa mediante questionario, si costruiscono spesso campioni
rappresentativi per età, genere e area geografica di residenza. Nella ricerca qualitativa
condotta con interviste semi-strutturate o biografiche, i casi vengono scelti secondo
procedure "a scelta ragionata", cioè sulla base degli obiettivi dell'indagine.
Lo schema di interrogazione impiegato nel caso dell'intervista strutturata è il
questionario, nel corso del quale possono essere affrontati molti temi diversi, oppure
solo uno in particolare. Il questionario è uno strumento di rilevazione estremamente
formalizzato, che lascia relativamente poco spazio espressivo sia agli intervistati sia all'
intervistatore: quest'ultimo deve porre le domande nella sequenza in cui compaiono
nel questionario, possibilmente leggendole e non cambiandone la formulazione, e
invitando l'intervistato/a a scegliere un'alternativa di risposta. Dal canto
suo. quest'ultimo deve tradurre la propria risposta discorsiva in una delle alternative
proposte, anche se queste non gli si addicono perfettamente. L'intervistatore deve
scegliere la risposta che gli sembra più importante, a meno che non sia espressamente
consentita più di una risposta.
Le domande del questionario costituiscono una parte della definizione operativa di
ciascuna della proprietà che si ritengono rilevanti in una data ricerca; le alternative di
risposta coincidono solitamente con le modalità della variabile in cui la proprietà è
stata operativizzata. In genere, quindi, a ogni domanda corrisponde una variabile
anche se vi possono essere domande le cui alternative di risposta danno luogo ciascuna
a una variabile.
La standardizzazione e la rigidità del questionario sono dovute a due motivazioni. La
prima consiste nel fatto che il suo obiettivo è consentire la costruzione della matrice dei
dati, che è quello strumento che permette di organizzare le informazioni e analizzare i
dati tramite procedure statistico-matematiche.
La seconda ragione è costituita dal fatto che i dati organizzati nella matrice CxV
devono poter essere considerati comparabili fra loro, nel senso che la risposta alla
domanda x data dal signor Rossi deve poter essere confrontata con quella data alla
stessa domanda dalla signora Bianchi.
Questo può avvenire solo se questi due soggetti sono stati esposti allo stesso
stimolo, cioè alla stessa domanda, formulata nello stesso modo, con le stesse alternative
di risposta e cosi via.
Un questionario presenta solitamente una struttura ben definita. All'inizio ci sono le
domande più neutre (età, genere, titolo di studio ecc.), finalizzate
a creare una minima familiarità tra intervistatore e intervistato. Il corpo centrale del
questionario, invece, è costituito dalle domande riguardanti l'oggetto della ricerca. A
volte è presente una sezione di chiusura, in cui vengono raccolte le domande cui è più
probabile che l'intervistato abbia difficoltà a rispondere, e che
potrebbero portarlo a interrompere l'intervista. Può trattarsi di domande sul reddito
personale o dell'azienda di cui l'intervista è titolare ecc. Se queste domande fossero
poste all'inizio, non solo l'intervistato/a potrebbe rifiutarsi di rispondere a queste
domande, ma potrebbe anche interromperel'intervista, con il risultato che nessuna
informazione potrebbe più essere rilevata.
Il questionario è uno strumento massimamente direttivo, poiché gran parte delle
domande prevede una serie limitata di alternative di risposta tra cui scegliere. Si
possono proporre sia domande a risposta chiusa che a risposta aperta, nelle quali
l'intervistato può rispondere liberamente, cioè senza scegliere da un insieme di
alternative.
Partiamo dall'analisi delle domande a risposta chiusa. Queste hanno quattro vantaggi:
1. Esse forniscono uno stesso quadro di riferimento alla risposta dell'intervistato. Il
testo delle domande, infatti, è inevitabilmente soggetto a interpretazioni diverse da
parte degli intervistati, che possono accentuare un aspetto a scapito di un altro.
Fornire agli intervistati una serie di risposte, dunque, riduce il rischio che la
domanda venga interpretata in modi distanti da quelli intesi dal ricercatore. Con
un elenco di alternative, l'intervistato può avere un quadro di riferimento per
comprendere qual è il senso che il ricercatore intendeva dare alla sua domanda.
2. L'elenco delle risposte funziona da promemoria per l'intervistato, mostrando
possibilità cui magari non aveva pensato.
3. Le alternative di risposta spingono l'intervistato a riflettere e precisare il proprio
giudizio, ciò è particolarmente importante quando l'argomento delle domande è
complesso. Le domande a risposta chiusa infatti sono l'esito del percorso analitico
compiuto dal ricercatore: l'esito di questo percorso è un insieme di domande che
affrontano i principali aspetti del problema; ciascuna di essere presenta un piano
di chiusura tendenzialmente esaustivo, che induce l'intervistato a riflettere
approfonditamente.
4. La presenza di un elenco di risposte minimizza il tempo necessario all'intervistato
per rispondere. I tempi della rilevazione della ricerca possono cosi essere
mantenuti dall'intervistatore entro limiti ragionevoli.
Nonostante questi vantaggi, le domande a risposta chiusa presentano anche forti
svantaggi:
1. Per quanto accurato, il piano di chiusura della risposta potrebbe non tener conto
di una o più alternative.
2. Nel formulare la lista delle alternative di risposta, il ricercatore cerca d'individuare
tutti gli stati rilevanti in cui può presentarsi quella data proprietà. Tuttavia, questo
"orizzonte concettuale" può differire in varia misura da quello degli intervistati. In
questo tipo dimricerca, infatti, si pretende che gli schemi di riferimento che i
ricercatori danno per scontati si rispecchino con le credenze degli intervistati,
anche se in realtà spesso non è cosi.
3. Se è vero che funzionano da promemoria, è altrettanto vero che le alternative
proposte possono influenzare la risposta, offrendo all'intervistato un modo per
dissimulare il proprio disinteresse nei confronti dell'argomento trattato, oppure la
propria scarsa conoscenza in merito.
4. Il significato delle modalità di risposta, inoltre, può differire sia tra ricercatore e
intervistati, sia tra intervistato e intervistato. Se in una risposta c'è un termine
come "abbastanza", le sue interpretazioni possono essere differenti l'una dall'altra
5. Oltre a questo, il significato delle modalità di risposta può essere interpretato in
maniera differente da intervistato a intervistato: non possiamo essere certi che
"essere soddisfatti" del proprio lavoro significhi la stessa cosa per tutti.
Se prendessimo una posizione così radicale,
tuttavia, potremmo solamente concludere che giungiamo a risultati scientificamente
inaccettabili. Dobbiamo semplicemente tenere a mente il fatto che non si può dare per
scontato che le risposte ottenute siano una copia fedele della realtà osservativa. Le
domande a risposta chiusa offrono comunque vantaggio d'indirizzare
l'intervistato verso alternative pre-definite, che possono essere velocemente
trasformate in codici numerici e immesse nella matrice dei dati.
Analizziamo ora le domande a risposta aperta, partendo dai loro vantaggi:
1. Il vantaggio principale è la spontaneità e ricchezza delle risposte: lasciando
l'intervistato libero di rispondere nei termini che gli sono più congeniali, abbiamo
maggiori possibilità di cogliere gli aspetti che egli ritiene più importanti
nell'argomento trattato, che non sono necessariamente quelli attorno ai quali il
ricercatore ha costruito le proprie alternative di risposta.
2. Poiché la risposta è libera, l'intervistatore può accorgersi se l'intervistato ha
compreso il senso della domanda: qualora la risposta non fosse pertinente o si
discostasse troppo da quella che l'intervistatore può considerare appropriata, egli
può intervenire e chiedere una precisazione all'intervistato, o riformulare la
domanda.
3. In generale, la risposta aperta minimizza i rischi di fraintendimento, non offre un
comodo rifugio a intervistati non informati o senza opinione, consente di accedere
in maniera più complessa alle motivazioni dell'intervistato.
D'altro canto, la domanda a risposta aperta presenta anche dei punti di debolezza.
1. Se la risposta chiusa è quasi immediatamente pronta per esser trasformata in un
codice numerico, e quindi immessa nella matrice dei dati, la risposta aperta deve
essere sottoposta a una fase di codifica. Il ricercatore deve cioè delineare un piano
di chiusura ex post, per assegnare alle risposte un codice numerico e inserirle nella
matrice dei dati.
2. Quest'operazione di codifica ex post comporta un notevole dispendio di tempo ed
energie da parte dell'équipe di ricerca. Se tutte le domande di un questionario
fossero a risposta aperta, i tempi di svolgimento della ricerca diverrebbero
proibitivi.
In defintiva, le domande a risposta aperta costituiscono una risorsa importante, che
deve essere tuttavia impiegata con misura. Solitamente, si preferisce impiegarle
quando l'argomento è poco noto anche all'intervistatore (es. formazione di un
movimento politico molto recente), oppure quando si ricercano informazioni molto
precise. Prendiamo in esame ora i problemi dell'intervista strutturata. Principalmente,
il mezzo tramite il quale vengono veicolate le informazioni è il linguaggio. Tuttavia,
l'intervista non si traduce inun'interazione esclusivamente verbale (a meno che non
sia per telefono): intervistatore e intervistato infatti sentono l'uno la presenza
dell'altro, e perciò il processo di comunicazione non simbasa solo sulle parole, ma
anche sulla postura, sulla gestualità, sull'aspetto ecc.
Come in tutte le interazioni, anche nell'intervista i partecipanti sono tenuti a rispettare
alcune regole, spesso implicite, che ne governano il corso. Sul versante del
comportamento verbale, vi sono ad esempio le cosiddette norme conversazionali,
ovvero le regole secondo cui ogni intervento dei partecipanti deve essere rilevante ai
fini dell'argomento trattato o fornire informazioni che gli altri interlocutori non
possiedono ancora. Ci sono poi anche le norme di turn-taking, che regolano il fluire
del dialogo, assegnando all'uno o all'altro interlocutore il turno di parola. Più in
generale, vi sono norme implicite che regolano il modo in cui i partecipanti
all'interazione si presentano, in quanto membri di una società basata sul rispetto,
fiducia e stima. Alcune di queste regole sono quelle studiate da Goffman e riguardano
l'immagine che si ha di sé, il modo in cui ciascuno presenta se stesso al prossimo, il
modo di preservare la nostra buona immagine e cosi via.
Queste regole possono avere una profonda influenza sull'interazione-intervista. In una
relazione tra intervistato e intervistatore, infatti, c'è una evidente asimmetria di
propositi: se, da un lato obiettivo dell'intervistatore (e del ricercatore) è quello di
procurarsi informazioni "prelevandole da soggetti disposti a fornirle, l'obiettivo
dell'intervistato non è necessariamente solo quello di fornirle, ma anche quello di
fornire insieme ad esse un'immagine coerente di sé, coerente con quello che lui/lei
pensa di sé e vuole che gli altri pensino di lui/lei. Purtroppo, però, il mezzo
attraverso cui le informazioni passano da una parte all'altra (cioè il linguaggio verbale)
è altamente manipolabile da parte di chi fornisce informazioni. In altri termini,
l'intervistato può dire e non dire, essere sincero o mentire, cambiare un po' le cose,
migliorare un aspetto ecc.
Questo non vuol dire che l'intervistato sia un bugiardo, ma che può entrare nella
conversazione con aspettative, disposizioni d'animo e obiettivi che possono influire
sulla qualità e veridicità delle informazioni che si rilevano. Dal punto di vista
dell'intervistato, infatti, un'intervista è una situazione interattiva complessa, in cui gli
scopi dichiarati non sono gli unici in gioco. L'intervistatore viene spesso concepito
come l'emanazione della società, che è sempre percepita come una forma di controllo,
approvazione o disapprovazione dei nostri comportamenti. Per questo,
per esempio, quando in un'intervista si pongono domande su questioni sanzionate
socialmente (non andare a votare, fumare erba ecc.), la situazione diventa più difficile
da gestire per l'intervistato, il quale non vuol incorrere nella disapprovazione sociale
che grava su comportamenti di questo genere.
Riassumiamo dunque per concludere quali sono le fonti d'influenza sull'esito della
rilevazione che possiamo attribuire all'intervistatore, all'intervistato e al questionario.
I principali problemi relativi all'intervistato sono due: la desiderabilità sociale delle
risposte e lammancanza di opinioni.
1. Le persone tendono a presentarsi in una luce positiva, mettendo a volte in secondo
piano l'esigenza di risposte sincere espressa, esplicitamente o no, dall'intervistatore e
dal ricercatore. Per questo motivo, l'intervistato può dare risposte non veritiere su tutti
gli argomenti su cui egli/ella pensa che la società abbia una posizione precisa. Quando
si affrontano questi temi più delicati, chiaramente l'intervistatore deve cercare di
aggirarli con domande meno dirette.
A volte si richiede all'intervistato di esprimere un giudizio su argomenti sui quali è
disinteressato. Tuttavia, anziché rispondere semplicemente "non lo so",
a volte accade che l'intervistato scelga una delle alternative proposte, evitando così di
apparire disinformato, disinteressato ecc. Ammettere di non saperne niente potrebbe
essere preso come negligenza, potrebbe sollecitare un giudizio negativo da parte
dell'intervistatore e così via. Per ovviare al problema, si può evitare di dare per
scontato che l'intervistato sia informato sul tema. Oppure, è possibile inserire nel
questionario domande su fatti inesistenti, così da smascherare ex post coloro che
esprimono un'opinione non informata, senza tuttavia compromettere l'intervista-
interazione.
Secondo alcuni ricercatori, questo comportamento è dovuto al fatto che il questionario
genera una sorta di pressione a rispondere. La risposta "non so" è spesso percepita
come una dichiarazione d'incapacità o stupidità da parte dell'intervistato. In realtà non
è cosi, ma non si può impedire agli intervistati di farsi questa idea.
Analizziamo ora le fonti d'influenza dell'intervistatore. In una normale interazione tra
persone che non si conoscono preventivamente, l'aspetto esteriore viene considerata
una fonte d'informazioni per capire chi si ha di fronte, che tipo di persona è ecc. Lo
stesso accade nell'intervista: il modo di vestire, di atteggiarsi, di parlare dell'
intervistatore, la sua etnia, la sua età sono tutti fattori che influenzano l'idea che l'
intervistato si costruisce di lui, e che lo portano ad agire di conseguenza. La
soluzione a questo problema la si trova nel tentativo da parte dell'intervistatore di
tenere un comportamento né troppo asettico né troppo coinvolto

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