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METODOLOGIA DELLE SCIENZE SOCIALI

CAP I: METODO, METODOLOGIA, TECNICA, EPISTEMOLOGIA, GNOSEOLOGIA

1.1 L’origine greca del termine “metodo”

Il composto metodo significa “strada con la quale” (da meta, oltre, con e odos, cammino)

1. La visione classica del metodo

Cartesio proclamava il ruolo centrale del metodo nell’attività individuale. Aveva definito il
metodo come “regole certe e facili che, da chiunque esattamente osservate, gli renderanno
impossibile rendere il falso per vero e lo condurranno alla conoscenza vera di tutto ciò che sarà
capace di conoscere.

Bacone afferma che il metodo di ricerca mette quasi alla pari tutti gli

ingegni. Cosìpossiamo dedurre che:


a. le regole da seguire sono facili ed automatiche, alla portata di tutti.
b. Le regole sono cogenti per tutti.

Diviene sempre più esplicita l’idea che la verità e la certezza siano coniugabili.

L’idea di un programma che stabilisca in anticipo una serie non modificabile di operazioni
eseguendo le quali si raggiunge la conoscenza scientifica su un qualsiasi argomento è tuttora
uno dei significati prevalenti dell’espressione “metodo scientifico”. (metodo ipotetico deduttivo).

2. Critiche alla visione classica

Si parla di un’inesistenza di metodo, il metodo non esiste (Wallis e Roberts) ed anche di un


dovere di flessibilità del ricercatore al di fuori del metodo. (Madge)

Sono comunque in parecchi a sottolineare il fatto che il metodo è soprattutto una scelta fra i
modi alternativi di procedere. La questione metodologica propriamente detta è la scelta della
tecnica in funzione della natura del trattamento che ciascuna tecnica fa subire al suo oggetto.

Se la ricerca dev’essere un processo cognitivo piuttosto che un semplice meccanismo di


conferma delle idee già formulate, è necessario sapere mantenere la tensione fra la necessaria
funzione di riduzione della complessità fenomenica e l’apertura a dimensioni che permettano di
aumentare la complessità degli schemi concettuali.

Il metodo è quindi qualcosa di molto più complesso di una semplice sequenza unidimensionale di
passi.

3. Metodo e metodologia: A proposito della metodologia in senso proprio, si discute se essa


debba essere una disciplina prescrittivi o descrittiva. Per la seconda alternativa abbiamo
Dewey; altri fanno notare che la metodologia dev’essere prescrittiva.
4. Le tecniche

Il termine tecnica designa una capacità artistica tipica dell’arte domestica, trasmissibile da
padre in figlio, dell’artigiano.

Secondo Gallino la tecnica è un complesso più o meno codificato di norme e modi di procedere
riconosciuto da una collettività, trasmesso o trasmissibile per apprendimento, elaborato allo
scopo di svolgere una data attività manuale o intellettuale di carattere ricorrente.

In un secondo significato, una tecnica si serve delle conoscenze acquisite dalle scienze sulla
realtà per modificare questo o quell’aspetto della realtà stessa.

In un terzo significato, sono le scienze a servirsi delle tecniche per conoscere meglio questo o
quell’aspetto della realtà.

Compito del ricercatore metodologo è scegliere via via il percorso, tenendo conto della natura
dei sentieri esistenti, del tempo e delle risorse disponibili.
L’essenziale del concetto di metodo sta nella scelta delle tecniche da applicare a quello specifico
problema nella capacità di modificare e adattare tecniche esistenti, nella capacità di immaginare
percorsi nuovi che diventeranno altre tecniche.

5. Epistemologia e gnoseologia

Epistemologia designa la riflessione su possibilità, condizioni limiti e scopi della conoscenza


scientifica. Gnoseologia designa la riflessione su possibilità, condizioni e limiti della conoscenza
in generale.

La metodologia occupa la porzione centrale di un continuum fra l’analisi dei postulati


epistemologici che rendono possibile la conoscenza del sociale e l’elaborazione delle tecniche di
ricerca.
Occuparsi di metodologia è tenersi in continua tensione dialettica fra i due poli di questo
continuum.

CAP II: IL PROBLEMA DELLA CONOSCENZA: IL RAPPORTO FRA REALTÀ, PENSIERO E


LINGUAGGIO

2.1 Il rapporto fra realtà e pensiero

Esempio dell’antropologo e del tavolo.

Fra gli aspetti della realtà e i concetti che li rappresentano non c’è un giunto rigido, una
corrispondenza biunivoca.

Il fatto che l’assoluta mancanza di una certa esperienza rende difficile la formazione di un
concetto che la descriva non comporta che l’esperienza ci detti il modo in cui dobbiamo
concettualizzarla. L’idea di una forte dipendenza delle nostre idee dalle nostre sensazione è la
marca distintiva della corrente gnoseologica che va sotto il nome di empirismo.
2.2 Il rapporto fra realtà e linguaggio

Il fatto che il giunto tra referenti e termini non sia rigido non significa affatto che esso sia
completamente arbitrario. Il termine non è affatto arbitrario per il singolo parlante, che trova
una lingua già fatta; egli è condizionato dai moduli della sua lingua anche quando esercita la sua
creatività. Non siamo liberi di assegnare nomi a caso, perché una lingua è un sistema non una
mera sommatoria di elementi indipendenti e quindi ha i suoi vincoli.

2.3. Il rapporto fra pensiero e linguaggio

Pensiero e parola sono a tal punto connessi, interdipendenti e condizionati l’uno dall’altro che è
del tutto impossibile considerare un elemento facendo astrazione dall’altro.

Così anche il giunto fra termini e concetti non è rigido, ma si modifica continuamente nello spazio
e nel tempo.

Il linguaggio ha principalmente la funzione di fornire un supporto stabile, in modo che i concetti


inesatti, nebulosi, fluttuanti possano essere richiamati alla mente ogni volta che è necessario
senza alcun pregiudizio alla loro elasticità.

Esplicitato nel linguaggio, il pensiero si oggettivizza: il linguaggio classifica esperienze,


permettendomi di incasellare in categorie generali nei cui termini hanno significato non solo
per me stesso ma anche per i miei simili. E classificandole esso anonimizza le esperienze
rendendole comparabili o assimilabili con altre che rientrano nella stessa categoria. Il
linguaggio è l’aspetto pubblico dei concetti.

Metodo = met + odos strada con la quale metodo come strada per raggiungere un certo
fine.
• Non è specialistico
• Non servono conoscenze speciali
• È un’attività concettuale, un elemento impalpabile che ha sede nel mondo del pensiero.

Metodo scientifico = programma che definisce una serie non modificabile di operazioni, tramite
le quali si raggiunge una conoscenza scientifica.

Il metodo ipotetico deduttivo coniato dai neoempiristi (tutto viene dell’esperienza) nella fine
dell’800, si articola in:
• Definire il Problema
• Inserire il problema in un quadro teorico
• Immaginare una o più ipotesi
• Raccogliere dati
• Analisi dei dati per verificare o respingere l’ipotesi
A questo si aggiunge la fase creativa ARTE scelte sono le azioni creative, l’ideare delle
soluzioni.

Il ricercatore deve essere:


• Flessibile
• Pronto alle nuove situazioni
• Saper sfruttare occasioni impreviste

Il metodo è collegato alle tecniche non sono neutrali; contribuiscono a creare la soluzione.

*METODOLOGIA = DISCORSO SUL METODO*

CAP. III: GLI STRUMENTI ELEMENTARI DELLA CONOSCENZA: CONCETTI, ASSERTI,


SPIEGAZIONI
Esistono tre mondi:
• Il mondo della realtà
• Il mondo del pensiero
• Il mondo del linguaggio
I collegamenti tra questi mondi non sono rigidi.

3.1 I CONCETTI
▪ Un concetto è l’unità fondamentale del pensiero; tutt’altro rigide e omogenee fra loro. È
delimitato, ordinato e ben definito.
▪ La formazione di concetti ci aiuta a ridurre la complessità del mondo e a muoversi sicuramente
nella realtà.
▪ Siamo noi a fare concetti (racconti) sul mondo dipendendo del pezzo di realtà vissuta: i
concetti sono prodotti dalla società non dagli individui perché è comune a tutti.
▪ Si pensa che noi non cerchiamo i concetti ma loro vengono a no; sono formati dallo stretto
rapporto tra l’ambiente fisico e quello sociale; ha una stabilità perché le rappresentazioni
sociali sono più stabili di quelle individuali.
▪ La proprietà dei concetti è la loro utilità.
▪ La loro attribuzione è una scelta, non è automatica.
▪ Nascono dalla nostra necessità di descrivere il mondo che ci circonda, i nostri interessi e i
nostri valori.
▪ Il concetto è una nuvola: la guardi dopo un po’ ed è cambiata, la riesci ad identificare ma non
sarà uguale alla prima. Questa metafora spiega come i vediamo i concetti: hanno qualcosa di
simile e un significato condiviso ma sono adattabili alla realtà in torno a noi.

Ogni concetto ha un REFERENTE (l’oggetto dei nostri pensieri). Ogni individuo sceglie, crea e
opera dei ritagli nel flusso indistinto dell’esperienza.
▪ Utilizziamo nella vita i concetti che ci sono più utili.
▪ Come creiamo i concetti? Decidiamo di ignorare le differenze percettive che rendono unico
un oggetto. Oggetti che ci sembrano simili vengono collocati in una stessa categoria.

È non indivisibile perché possiamo distinguere delle particolarità dentro di essi e individuare la
sua INTENSIONE: l’insieme dei suoi aspetti, che a sua volta possono essere contingenti, necessari o
definitori. L’intensione ci consente di fare un’associazione di idee nella definizione di un concetto,
e man mano individuiamo aspetti ci guidiamo dall’intensione del relativo concetto che può essere
molto diversa dall’originale. Esempio del gatto, felino a quattro zampe, miagola, ecc.
Poi abbiamo che l’insieme dei referenti è l’ESTENSIONE del concetto. È relativa a un determinato
ambito e molte volte infinita.
*articolando l’intensione riduco l’estensione. Relazione inversamente proporzionale*

Alcuni soggetti che sono referenti del primo concetto non sono referenti del secondo, e altri che
sono referenti del primo e del secondo non lo sono del terzo. Possiamo quindi immaginare questi
concetti come situati su differenti gradini di una ipotetica SCALA DI GENERALITÀ. Poniamo il
concetto di A e il concetto di B su due gradini diversi quando consideriamo che tutti i referenti A
sono anche referenti di B, mentre non tutti i referenti di B sono referenti di A. In tal caso diremo
che B è un genere rispetto ad A, mentre A è una specie di B. Si verifica una classificazione.
Le scale di astrattezza dettano che da un oggetto complesso si passa dritto a uno logico, per cui si
preferisce il termine scala di generalità giacché i concetti sono SEMPRE astratti.
Per ogni diverso modo di articolare l’intensione di un concetto si forma quindi una diversa scala di
generalità, attraverso un processo di fundamentum divisionis.
Tipizzazione Concetti già formati aiutano a ridurre la complessità dell’esperienza e quindi
aiutarci nel mondo. (Schutz)
I concetti possono essere:
• singoli = la mia penna
• generale = la penna
• plurimo = le mie penne

Problemi: non potendo fotografare il pensiero, non abbiamo garanzia che:


▪ Un concetto formulato dal pensante A sia lo stesso a uno formulato dal pensante B, anche se
tutti i due lo nominano con lo stesso termine;
▪ un concetto formulato dal pensante A al tempo t sia esattamente uguale a uno formulato dallo
stesso pensante a tempo t’, anche se A nomina i due con lo stesso termine.

TEORIE SUL CONCETTO


▪ chi pensa deve essere consapevole dei concetti che ha in mente in un dato momento.
▪ I concetti devono essere chiaramente delimitati
▪ I concetti sono prodotti dalla società, non dagli individui.

1. Frege: il concetto è qualcosa di oggettivo che non viene costruito per opera nostra, né si
forma in noi. Talvolta solo dopo immensi sforzi intellettuali, durati secoli, l’umanità è riuscita
a conseguire la conoscenza di un concetto nella sua forma pura.
2. Durkheim: un concetto non è il mio concetto, è comune con altri uomini, se è comune a tutti
vuol dire che è opera della comunità.
3. Nietzsche: le prime due tesi sono state messe in dubbio dai risultati delle ricerche
cognitiviste: “un pensiero viene quando è lui a volerlo e non quando lo voglio io”.
4. Legrenzi: noi non cerchiamo mai deliberatamente di formare un concetto. Esso è sempre una
reazione all’ambiente fisico e sociale, il processo è per la maggior parte inconscio.
5. Schutz: la conoscenza sedimentata in una cultura fornisce all’individuo non solo le
costruzioni concettuali consolidate, ma anche gli strumenti attraverso i quali potrà costruire
concetti nuovi.
6. Kant: il mondo esterno lo conosciamo attraverso delle lenti e facciamo delle letture cognitive.
7. Weber: siamo immersi in un flusso infinito di esperienze. Prende atto che noi viviamo nella
realtà e operiamo con retagli, che sono dei concetti. Non sono liberi creazioni della mente.

Quando l’interazione tra individuo e società con equilibri diversi tra la componente personale
(soggettiva) e quella interpersonale (intersoggettiva), la qualità della comunicazione dipende da
quale di queste due componenti prevale. Mentre più intersoggettività c’è, meglio capiamo.
I concetti e le strutture concettuali più complesse non affermano niente sui loro referenti. Non
sono pensabili come veri o falsi perché ognuno la vede diversa.
Verifichiamo solo una proposizione, non un concetto. Non verifichiamo la nazionalità, il sesso, ma
lo rileviamo.
Una proprietà è composta da un insieme di stati che si manifestano nella realtà in modi diversi. È
nel mondo della realtà ma le vediamo nel mondo del pensiero perché ciò che osserviamo è già
contestualizzato nella nostra mente.
Gli ASSERTI sono le locuzioni che predicano qualcosa a proposito del soggetto, è pensabile come
vero o falso e sono potenzialmente accertabili. Mentre che i concetti sono una proprietà che cerca
un’utilità e può essere più o meno utile. Unico strumento di pensiero che può, almeno in linea di
principio, essere mostrato vero o falso con un adeguato controllo empirico.
Positivisti e empiristi logici attribuivano la legittimità scientifica ad asserti effettivamente
accertabili come V/F. La scienza non potrebbe affermare nulla sul passato o sul futuro non
immediato, né su fenomeni non raggiungibili con gli strumenti di cui dispongono. Sono concetti
rivedibili.
Esempio: fumare provoca il cancro ai polmoni. È pensabile come vero o falso.
Sono combinazioni a vari livelli di complessità dei pre-asserti un solo concetto costruito
attraverso la combinazione logica di più concetti.
Spesso non si ottiene una risposta univoca della verità/falsità di un asserto, per questo a volte
sono concepibili livelli intermedi (valori di verità).
Ecco perché si deve precisare che gli asserti scientifici, come gli asserti dell’uomo comune, devono
solo essere pensabili e potenzialmente accertabili come veri o falsi. Potenzialmente perché

• il controllo non ha fornito elementi conclusivi


• l’asserto è generale, attribuisce uno stato, un comportamento a un numero molto vasto di
persone

Asserti universali = si riferiscono a un numero illimitato di oggetti. La forma classica di asserto


universale è “tutti gli X sono a”. Esempio: tutti i corvi sono neri. Riguardano nel tempo e nello
spazio.

Asserti esistenziali = sono il contrario di quelli universali. La forma classica di asserto


esistenziale è “Esiste (almeno) un X che non è a”. Sono speculari.

L’asserto esistenziale contraddice quello universale.


Un asserto può essere espresso mediante innumerevoli enunciati diversi a seconda delle lingue,
dei dialetti, delle preferenze terminologiche e fraseologiche individuali e di gruppo, delle
circostanze, del caso.

SPIEGAZIONE CAUSALE:
Quando tra due asserti viene stabilito un nesso causale (perché) sulla base di un supposto legame
causale tra i referenti viene proposta una spiegazione. La sua caratteristica è la plausibilità
Esempio: alle ore 12.00 del 18 ottobre 2010 Mario ha dato un pugno a Giuseppe perché Giuseppe lo ha
urtato.
La spiegazione è pensabile come vera o falsa, ma non è percepibile, non è osservabile. È una
supposizione.

Le definizioni stipulative non sono pensabili come V/F perché non c’è u accordo, ma sono
opportune. Es.: avere socializzazione anticipatoria: studiare un paese prima di trasferirti.
*Qualunque affermazione è un asserto, mentre che i concetti e le strutture concettuali come
pre-asserti*
Attributi specifici:
• Pre-asserto: utilità: quanto sia rilevante il fundamentum divisionis scelto per la ricerca;
• Asserto: accetabilità.
• Spiegazione: plausibilità.

3.2 LE STRUTTURE CONCETTUALI: CLASSIFICAZIONI, TIPOLOGIE, TASSONOMIE

LA CLASSIFICAZIONE
Una coppia di concetti che stanno fra loro in rapporto genere/specie, implicano una
classificazione. I referenti vengono divisi in A e non A.

Nella dottrina classica i generi si suddividono in specie considerando un solo aspetto


dell’intensione del concetto di genere (aspetto che i filosofi scolastici hanno chiamato
fundamentum divisionis) e articolandolo. Il fundamentum è scegliere l’aspetto dell’intensione
del concetto che viene articolato.

ESEMPIO: prendiamo il concetto di sistema politico. Un aspetto della sua intensione (e quindi una delle
proprietà dei sistemi politici) è il principio di legittimazione dei governanti. Se questo aspetto è assunto
come fundamentum divisionis, le classi potrebbero essere: teocratico, autocratico, aristocratico,
democratico, etc.

I confini tra le classi sono rigidamente delimitati: data una qualsiasi coppia di classi, nessun
referente dev’essere attribuibile ad entrambe le classi della coppia (criterio della mutua
esclusività). Il complesso delle classi deve essere esaustivo: ogni possibile stato sulla proprietà
che si è adottata come fundamentum divisionis deve essere assegnabile ad una delle classi. La
mutua esclusività è una proprietà di ciascuna coppia di classi; l’esaustività è un requisito
dell’insieme delle classi.
Il livello di complessità aumenta con la TIPOLOGIA, che viene prodotta articolando
simultaneamente due o più fundamenta divisionis, cioè due o più aspetti dell’intensione di un
concetto di genere.

LA TASSONOMIA viene prodotta dopo aver diviso l’estensione di un concetto applicando un


fundamentun divisionis, l’estensione di alcune o di tutte le classi così ottenute viene suddivisa
applicandone altre, e così via.
Esiste la parsimonia: che suggerisce di limitare il numero di taxa per mantenere un miglior
controllo del concetto.

CAP. IV: APPROCCI STANDARD E APPROCCI NON-STANDARD ALLA SCIENZA

• Aristotele compito della scienza era identificare la natura di ogni specie di oggetto della
conoscenza la conoscenza deve essere certa, definitiva, indipendente dal soggetto
conoscente.
• Galilei compito della scienza è di formulare asserti controllati e decisi in modo
impersonale cioè senza alcun contributo delle conoscenze e delle valutazioni dei singoli
scienziati
Novità nella visione galeliana:
o Gli oggetti perdono importanza, servono solo come portatori di stati su una proprietà.
o Ci interessano le relazioni tra queste proprietà
o Si deve trovare la forma matematica che queste relazioni hanno in natura

Concepisce il metodo sperimentale lo sperimentatore, in base alle teorie prevalenti nella


sua disciplina in quel determinato momento immagina che una certa proprietà P possa essere
influenzata da altre proprietà. Un esperimento si ottiene quando si osservano gli effetti che
variazioni controllate in una proprietà hanno su un’altra proprietà mentre si mantengono
costanti tutte le altre proprietà che potrebbero influenzare la seconda.

Lo sperimentatore:
• Isola la proprietà P, detta sperimentale
• Sceglie una o poche proprietà, dette operative
• Identifica poche proprietà che tiene costanti
• Impone variazioni alle proprietà operative

Limiti del modello sperimentale:


▪ Limite teorico non si può mai escludere con sicurezza che proprietà non incluse in quel
modello ritenute non influenti, invece influenzino la proprietà sperimentale
▪ Limiti pratici non sempre è tecnicamente possibile controllare alla perfezione le
variazioni che produciamo nella proprietà operativa, e spesso non è possibile neutralizzare
perfettamente l’influenza delle proprietà che si vorrebbero mantenere effettivamente
costanti. Esiste la possibilità di interazione operativa-esperimentale (r. bidirezionale).
▪ Massimo limite: quando trattiamo con soggetti animati non fungibili (volontà/personalità).

Nelle scienze umane non posso limitare tutte le variabili, e alcune proprietà non possono essere
modificate perché sono fisse (sesso) o perché variano secondo processi naturali (età).

4.3 LA MATRICE DI DATI

Lo strumento basilare dell’approccio standard è la matrice di dati strumento formato


dall’incrocio tra un fascio di vettori paralleli orizzontali (vettori-riga) e un fascio di vettori paralleli
verticali (vettori colonna). La matrice di dati ha un’importanza fondamentale per le scienze umane
perché permette di trattare la variabilità tra oggetti dello stesso tipo senza rinunciare a forme di
analisi statistica. Ponendo gli oggetti dello stesso tipo sulle righe e le loro proprietà sulle colonne,
si possono mettere in relazione sistematicamente gli stati di questi oggetti su due o più proprietà,
controllando così se esiste una qualche forma di associazione tra queste due proprietà nella
popolazione studiata. L’individualismo metodologico: l’individuo è il centro d’interesse.

• Ogni soggetto che si pone come vettore-riga di una matrice è perfettamente scindibile nei
suoi stati sulle proprietà rilevate e registrate nella matrice
• Ogni stato su una proprietà una volta trasformato in dato della matrice è del tutto separato
dall’individuo che lo detiene
• Ogni stato è totalmente indipendente dagli stati dello stesso soggetto su altre proprietà.
• Ogni stato trasformato in un dato è fungibile con qualsiasi altro dato della stessa variabile.
• Ogni stato su una proprietà al quale, applicando una definizione operativa è stato
assegnato un codice numerico su una variabile, trasformandolo in un dato della matrice, è
trattato come perfettamente uguale a qualunque altro stato su quella variabile. In altri termini
tutti i dati che hanno lo stesso codice numerico sulla stessa variabile sono trattati come
identici.
-Solo questo complesso di assunti rende possibile l’analisi dei dati.
-La relazione della variabile nella matrice è data dal ricercatore.
*Casi devianti: Lazarsfeld: quando vedo che un dato non è ciò che mi aspetto, studio quel
individuo in profondità*
4.4 IL METODO DELL’ASSOCIAZIONE
La netta preferenza per le proprietà quantitative caratterizza l’approccio che diventa standard
• L’approccio standard utilizza procedure si occupa di relazioni tra variabili utilizza
il metodo dell’associazione si cercano associazioni tra le proprietà. Si vogliono spiegare
e stabilire le relazioni causali tra le variabili -- a certi valori della variabile A tendono a
corrispondere certi valori della variabile.

4.5 L’ORIENTAMENTO NON STANDARD NELLA RICERCA SOCIALE

Si può far risalire l’approccio “qualitativo” all’opera di Dilthey che sosteneva che le scienze
umane non potevano seguire modelli universali di spiegazione basati sulla causalità, ma dovevano
cercare la comprensione delle motivazioni del soggetto attraverso una forma di empatica con
esso, garantita dalla comune natura umana del ricercatore e del soggetto studiato.

Windelband distingue tra:


• Scienze nomotetiche della natura cercano le leggi cioè le relazioni
• Scienze idiografiche umane ricostruiscono situazioni particolari individuando e
valorizzando specificità
• Altri padri riconosciuti dell’approccio che si contrappone alla visione standard sono gli
interazionisti simbolici, Schutz, Mead, Garfinkel.

I tratti comuni dell’approccio non-standard sono:


• L’orientamento a ridurre al minimo la separazione tra scienza e vita quotidiana
• Una forte dipendenza dal contesto
• Un orientamento marcatamente idiografico, descrittivo (microproblemi)
• La predilezione per la comprensione globale di situazioni specifiche più che per
l’istituzione di relazioni causali lineari tra le variabili
• Grande importanza delle qualità e capacità del ricercatore
• La difficoltà nello sviluppare questo genere di ricerca senza cadere nel banale, nel gratuito
e nell’aneddotico.
• Tensione etica: sentiamo che togliamo del tempo all’intervistato.
• Centralità dell’intervistato: dobbiamo lasciarlo parlare e farlo sentire comodo. Il percorso
preso dall’intervistato può essere ancora più interessante da quello che l’intervistatore voleva,
egli deve sapere cogliere e attaccarsi al discorso dell’intervistato – saper riconoscere una frase
chiave e da lì poter prendere spunto per invitarlo ad approfondire sul tema.

CAP V: LA MATRICE DEI DATI E LE SUE RIGHE: POPOLAZIONE E CAMPIONE

La matrice è l’intersezione in una tabella a doppia entrata tra un fascio di vettori paralleli
orizzontali e un fascio verticale. È collegata al mondo del linguaggio. È un’organizzazione
sistematica della raccolta e registrazione delle informazioni che ci interessano sugli oggetti che
studiamo. Essa non fotografa la realtà ma rappresenta alcune parti in maniera più o meno fedele.

Nella matrice dei dati i vettori orizzontali si riferiscono a oggetti e quelli verticali alle proprietà di
questi oggetti. Il termine OGGETTO è inteso in senso gnoseologico: gli oggetti nelle righe di una
matrice dei dati possono essere individui, famiglie, gruppi. Qualunque cosa di cui si vogliono
conoscere le proprietà, gli attributi, le caratteristiche. Ma in una data matrice tutti gli oggetti
devono essere dello stesso tipo (unità di analisi), e questo determina il tipo di proprietà che si può
inserire nelle colonne. Quando si accetta di venire intervistato si diventa un caso, è ogni esemplare
dell’unità su cui si raccolgono le informazioni. In una ricerca si deve definire anche l’ambito spazio
temporale che ci interessa (generalmente presente) Sulle righe ci sono i casi e sulle colonne ci
sono le proprietà (variabili).

5.2 POPOLAZIONE E CAMPIONI


Popolazione = l’insieme dei membri / esemplari dell’unità scelta che si incontrano entro l’ambito
definito. Ciascun esemplare di questa popolazione può diventare un caso, cioè il referente di una
riga della matrice.
Quando si possono raccogliere informazioni su tutti gli elementi della popolazione si parla di
enumerazione completa. Quando non si può effettuare un’enumerazione completa si deve
scegliere un sotto-insieme dei membri della popolazione: campionare (si effettua un
campionamento). I campioni si studiano con il fine di estendere a tutta la popolazione i risultati
del campione; questa estensione è detta inferenza statistica.

5.3 CAMPIONI CASUALI E NON


Campionamento casuale = un campione si può legittimamente dire “casuale” quanto tutti i
membri della popolazione da cui viene estratto hanno la stessa probabilità di essere estratti e
quindi di entrare a far parte del campione.
• Per ottenere un campione casuale di una popolazione si deve avere a disposizione una lista
completa dei membri di quella popolazione ed estrarre quelli che entrano nel campione
mediante una tavola dei numeri casuali, o con qualsiasi altro procedimento che assegni la
stessa probabilità di essere estratto a ciascun membro della popolazione.

Campione casuale semplice = quando la probabilità di estrazione è la stessa per ogni elemento.
Campione casuale = ogni membro della popolazione ha una probabilità nota e superiore a zero di
essere estratto. Alle aree remote si assegna un numero minimo di interviste para que haya chance
bajo de ser entrevistado pero de todos modos haya.
• Questa distinzione è piegata agli interessi economici delle agenzie dei sondaggi e poco a quelli
della scienza.
La popolazione viene suddivisa, per ragioni pratiche e/o teoriche, in N sotto-insiemi di ampiezza
nota e da ciascuno di essi si estrae almeno un membro del campione.

Atomismo = tutti gli uomini sono uguali, non serve studiare i singoli individui, viene ignorata la
specificità del singolo e del contesto in cui è inserito.
Attendibilità: stabilità delle registrazioni/precisione degli strumenti. Mi posso fidare?

5.4 RAPPRESENTATIVO DI CHE?


Rappresentativo = un campione è rappresentativo se riproduce in scala ridotta la popolazione da
cui è estratto. Per dire che un campione è rappresentativo però bisogna specificare per quali
proprietà e valutare il risultato più che il procedimento.

Si deve ricordare che le proprietà di una popolazione possono essere costanti o variare. Variano se
membri differenti della popolazione hanno stati diversi su di esse. Suore nel convento e fuori. 

Per giudicare se un campione è rappresentativo si ricorre a considerazioni vaghe e soggettive.


• La rappresentatività va controllata, ed eventualmente affermata, per ogni proprietà
separatamente.
• Dato che la rappresentatività si valuta confrontando la distribuzione di una proprietà nel
campione con la distribuzione della stessa proprietà nella popolazione, essa si può giudicare
unicamente per quelle proprietà di cui si conosce la distribuzione nella popolazione.

L’estrazione casuale di un campione garantisce automaticamente la sua rappresentatività? No, ma


comunque è preferibile perché non introduce distorsioni prevedibili.

5.5 COME FARANTIRE UNA LIMITATA RAPPRESENTATIVITÀ A UN CAMPIONE CASUALE


Campione sistematico = garantisce una limitata rappresentatività rispetto a delle proprietà, pur
essendo il campione estratto casualmente.
Esempio:
supponiamo di avere un elenco completo dei membri di una popolazione (80mila membri), e che si
voglia estrarre un campione di 400 individui. Per ottenere un campione sistematico si deve:
-Dividere l’elenco in 400 segmenti consecutivi, ciascuno composto da 200 membri.
-Estrarre casualmente un numero da 1 a 200: supponiamo sia il 78.
Il campione sistematico sarà formato dal 78esimo individuo di ciascun segmento, cioè dagli
individui che hanno i numeri 78, 278, 478, 678 e così via.

CAP. VI: LE COLONNE DELLA MATRICE: DALLE PROPRIETÀ ALLE VARIABILI. LA FEDELTÀ
DEI DATI E L’ATTENDIBILITÀ DELLE VARIABILI

Sulle colonne della matrice dei dati relativa ad una ricerca si trovano le variabili che rappresentano
le proprietà che interessano gli autori di quella ricerca.
Le unità di cui raccogliamo le informazioni spesso non coincidono con le unità di riferimento
diventano unità complesse o aggregati (es. ospedali, scuole, istituzioni, etc.). Intervengono o sono
parte del concetto di studio.

Unità di riferimento = il singolo caso concreto (l’individuo)


Unità complesse = es. aula 1 (maschi e femmine presenti); indice dei prezzi rilevato sulla
provincia; punteggio sull’indice di qualità della vita.
Proprietà globali = quando l’unità di raccolta coincide con l’unità di analisi. Sono proprietà che si
possono attribuire direttamente a un comune: ad esempio il tipo di sistema elettorale vigente, il
colore politico della giunta, superficie, l’altitudine.
Proprietà individuali = quando molte delle sue proprietà che interessano si riferiscono
direttamente a lui. Esempio: l’età, il sesso, il titolo di studio, etc.
Proprietà contestuali = proprietà che si riferiscono a un’unità di raccolta di livello superiore.
Esempio: il reddito pro-capite del comune in cui l’individuo risiede, il livello di benessere comune
in cui vive l’individuo.
Ci sono infine altre proprietà che si riferiscono a un individuo, ma sono raccolte su altri individui
con lui collegati. Esempio: titolo di studio del padre/madre; professione del padre/madre, etc.

6.2 LA DEFINIZIONE OPERATIVA

Complesso di tutte le operazioni intellettuali e materiali che permettono di passare dagli “stati”
della realtà a numeri che rappresentano questi stati nella maniera più fedele possibile. È il
processo mediante il quale una proprietà nel mondo reale viene trasformata in una variabile nella
matrice. Si ha un dato quando si incrociano due vettori.

Una variabile è un vettore di segni che rappresentano gli stati dei casi sulle proprietà, per le quali
spesso è necessario un piano di codifica. È il caso di sottolineare il fatto che in tutti i piani di
codifica è necessario prevedere una cifra specifica per le informazioni mancanti.

La sensibilità è il rapporto fra il numero di stati di una proprietà che consideriamo nel nostro
piano di codifica e il numero di stati differenti che la stessa proprietà può assumere.

Il piano di codifica è parte del complesso di regole e convenzioni che permettono di trasformare
una proprietà in una variabile nella matrice. Questo complesso si chiama definizione operativa e
le parti che la costituiscono variano a seconda della natura della proprietà. Le differenze più
importanti sono legate al tipo di unità di analisi, e di conseguenza al tipo di tecnica con cui si
raccolgono i dati.

Il ricercatore sceglie la sensibilità che gli interessa rapporto tra il numero degli stati della
proprietà che prendiamo in considerazione e quelli che può assumere nella realtà.

Le fasi della definizione operativa:


• Domanda rivolta a un individuo, a un testo, a un documento, etc.
• Elenco di stati ritenuti significativamente diversi l’uno dall’altro
• Attribuzione a ciascuna di queste modalità un differente valore simbolico
• Complesso di regole per attribuire a l’una o l’altra modalità i vari stati specifici
• Attribuzione al vettore che raccoglie e organizza queste info di una determinata posizione
nella matrice dei dati
• Elaborazione delle procedure per individuare e correggere i vari errori che si producono nelle
varie fasi.

6.3 LA FEDELTÀ DEI DATI


Un dato si dice fedele se rappresenta correttamente il corrispondente stato sulla proprietà
secondo le convenzioni stabilite dalla definizione operativa.
La fedeltà dei dati in ricerca sociale viene compromessa da molte situazioni:
• Bugie dei partecipanti
• Desiderabilità sociale (se non si hanno le idee chiare si segue la maggioranza)
• Errori di memoria
• Difficoltà di usare le tecniche proposte
• Errori introdotti dall’intervistatore o dal codificatore
• Eccessiva fiducia nei dati perché vengono da fonti conosciute (ISTAT, CENSIS)
Il caso della desiderabilità sociale: si risponde rispetto alla percezione che si ha delle aspettative
della società o del proprio gruppo di riferimento. È storica e culturalmente situata e dipende anche
da chi ti fa la domanda e quanto politicamente corretta sia la tua risposta.

6.4 PROCEDURE PER CONTROLLARE LA FEDELTÀ DEI DATI

• La più rapida si fa esplorando la matrice stessa


• La più semplice è un’ISPEZIONE DELLE DISTRIBUZIONI DI FREQUENZA di tutte le variabili,
cioè di quanti dati portano ciascuno dei codici numerici previsti per ciascuna variabile.

WILD CODE CHECK = l’analisi delle distribuzioni di frequenza di tutte le variabili di una matrice
per scoprire eventuali codici non previsti. Dobbiamo controllare ci dati al ojo por ciento, al ver
que hay algo que no nos cuadra por lo que lo comparamos con otros datos externos y arreglamos.

CONSISTENCY CHECK = consiste nell’esplorare la matrice, si basa sul fatto che alcune
combinazioni di categorie sono socialmente o giuridicamente impossibili in una data società: non
si possono avere preti di sesso femminile, né casalinghe di sesso maschile, né professori senza
laurea, etc.

• Tutte le altre forme di controllo si applicano confrontando i dati con informazioni che si
trovano fuori dalla matrice richiedono costi elevati, sono ostacolati dalla privacy,
richiedono un notevole investimento di tempo.
• INTERVISTA SULL’INTERVISTA l’unico modo per avere indizi sulla fedeltà delle risposte a
domande su opinioni e atteggiamenti, ma invade la privacy e costa molto. Conviene usarla
nello studio pilota per trovare qual è la formulazione più efficace della domanda.

6.5 I COEFFICENTI DI ATTENDIBILITÀ: UNA CRITICA

Attendibilità = stabilità delle registrazioni, precisione degli strumenti è una proprietà dello
strumento
ha una deriva scientista mutuato dalle scienze fisiche
• Nelle scienze fisiche si parla di accuratezza = proprietà della coppia strumento-osservatore
minore è la varianza maggiore è l’accuratezza
Attendibilità reliability = indice che misura il grado di accordo fra osservazioni ripetute dello
stesso fenomeno.
• Nelle scienze sociali non posso osservare come funziona uno strumento in relazione ad una
persona le differenze intraindividuali producono osservazioni su più persone
• Ogni singola rilevazione produce un vettore

Procedure per rilevare l’attendibilità:


1. Si somministra il test in un certo giorno a un campione di soggetti
2. Si registrano le risposte alle domande e si attribuisce un punteggio ad ogni risposta
3. Ad ogni soggetto si attribuisce un punteggio che equivale alla somma o alla media dei suoi
punteggi nelle singole prove. Questa cifra viene registrata su un vettore colonna
4. Dopo una settimana o due si ripete la fase con gli stessi soggetti e le stesse domande
5. Si ripete l’operazione di attribuzione dei punteggi ai soggetti e si pongono le cifre in un altro
vettore colonna
6. Si calcola il coefficiente di correlazione tra i due vettori
Questa cifra chiama COEFFICIENTE DI CORRELAZIONE TEST-RETEST viene considerata una
misura dell’attendibilità del test in esame.

Critiche a questa forma di controllo dell’attendibilità:


• Il coefficiente viene esteso oltre i campi di applicazione a tutti gli individui possibili, in
tutte le occasioni possibili significa negare la rilevanza delle differenze intraindividuali
• L’attendibilità di uno strumento viene considerata uguale per tutti i soggetti
• Il soggetto più ricordare le risposte che ha dato nella prima occasione e ripeterle

Soluzione SPLIT-HALF RELIABILITY COEFFICIENT vengono somministrati due blocchi di


domande sullo stesso tema, ciascuno formato dallo stesso numero di domande, formulate in
maniera simile. I due blocchi, che costituiscono i due test, vengono definiti “formulari paralleli”. I
due vettori desiderati si producevano sommando i punteggi ottenuti da ciascun soggetto con le sue
risposte alle varie domande di ciascuno dei due test. Se la correlazione risultava alta si riteneva
confermata la supposta equivalenza tra i due test, e quindi l’attendibilità di ciascuno.

Critiche: arbitraria suddivisione della domanda; non sono applicabili a nessun altro degli
strumenti che si usano in un sondaggio.

6.5 LE DEFINIZIONI OPERATIVE REGISTRANO O MANIPOLANO LE OPINIONI E GLI


ATTEGGIAMENTI? MULTITRAIT MULTIMETHOD MATRIX (matrice multi – tratto, multi tecnica,
cioè con più proprietà e più tecniche). le tecniche determinano gli stati che invece avrebbero
dovuto registrare.

CAP. VII: CLASSIFICAZIONE, CONTEGGIO, MISURAZIONE, SCALING

Si distinguono per decidere qual è la procedura più adatta a seconda della natura degli stati.

PROPRIETÀ DISCRETE: alcune proprietà di oggetti fisici o di unità di natura diversa, hanno un
numero finito di stati chiaramente distinguibili tra di loro. Si dividono in 3 classi:

▪ categoriali = se gli stati sono semplicemente diversi l’uno dall’altro, ma non c’è alcuna
relazione quantitativa fra loro, è qualitativa. Esempio: la nazionalità di un individuo, il tipo di
regime politico di uno stato, etc.
▪ ordinali = se gli stati hanno relazioni d’ordine tra loro, e quindi si possono ordinare tutti
lungo una scala. Esempio: il titolo di studio di un individuo, il suo grado gerarchico in
un’organizzazione civile o militare, etc.
▪ cardinali = se gli stati hanno relazioni cardinali, nel senso che si può legittimamente calcolare
un quoziente tra loro. Esempio: il numero dei componenti di una famiglia, il numero di posti
letto in un albergo, etc.
PROPRIETÀ CONTINUE: hanno un numero infinito di stati impercettibilmente diversi l’uno
dall’altro. Si dividono in 2 classi:
▪ misurabili = se i loro stati si possono registrare senza la collaborazione attiva dell’individuo
il cui stato si sta rilevando. Es. età, altezza, altitudine, etc.
▪ non misurabili = se è richiesta la collaborazione attiva dell’individuo. Es. atteggiamenti,
livello di soddisfazione della qualità della vita, etc.

stati della proprietà – definizione operativa – variabile

7.1 PROPRIETÀ E VARIABILI CATEGORIALI

Gli stati sono chiaramente distinti. Decidiamo quali stati diventeranno categorie della variabile
creando una classificazione, una struttura concettuale complessa Un requisito fondamentale per
la classificazione è l’esaustività del complesso delle categorie: tutti i possibili casi su una proprietà
devono poter essere assegnati a una categoria.
00
Molte classificazioni prevedono una CATEGORIA RESIDUALE “altro” alla quale si assegnano tutti
gli stati che non sembrano attribuibili a categorie che hanno un significato specifico.
• Molti “non so”: temi del questionario non sono interessanti, sono mal formulati o non
vengono capiti per il linguaggio
• Molti “non risponde”: le risposte toccano temi delicati e personali.
• Molti stati assegnati ad “altro”: la classificazione è stata operata con superficialità.

Stabilire un criterio di divisione (aspetto dell’intensione del concetto che viene articolato)
problemi: incertezza del fundamentum divisionis, imprecisione nell’attribuzione dei singoli
oggetti o eventi alle classi.
• Mutua esclusività nessun caso può essere attribuito a più di una classe
Nessun oggetto o evento può essere membro dell’estensione di due classi. Esempio:
▪ Cristiani errore fanno parte della stessa classe
▪ Cattolici
▪ Protestanti
▪ Ebrei
• Esaustività proprietà del complesso delle classi

Quando ha un codice ed è analizzata con tecniche statistiche una categoria cambia nome e si
chiama MODALITÀ. Con l’espressione frequenza di una modalità si intende il numero di dati che
sono attribuiti a quella modalità. La modalità con la frequenza più alta si chiama MODA. Il primo
passo dell’analisi di una variabile categoriale è la produzione della sua DISTRIBUZIONE DI
FREQUENZA, una tabella formata da

▪ Nella prima si pone il codice (numerico o non)


▪ Nella seconda il nome della categoria / modalità
▪ Nella terza la frequenza assoluta
▪ Nella quarta la frequenza percentuale

PRE-TEST STUDIO PILOTA serve a mettere alla prova la nostra concezione del mondo da
mettere in pratica nell’indagine per evitare errori si somministra preliminarmente il
questionario ad alcuni membri, il più possibile diversi tra loro, della stessa popolazione che si
intende studiare. Ci suggerisce la quantità di sensibilità. Il giusto livello di sensibilità aumenta
l’attendibilità.
Stabilita la categoria bisogna stabilire un codice hanno il solo valore di etichetta con
l’assegnazione di codici si compie il passo più importante nel processo di trasformazione di una
proprietà categoriale in una variabile. Posto che le categorie di questo tipo di proprietà non hanno
alcuna differenza quantitativa tra loro, non c’è alcuna ragione perché i codici siano numerici.

AUTONOMIA SEMANTICA: una categoria ha piena autonomia semantica se può essere


interpretata senza fare riferimento al significato dell’intera proprietà o di altre categorie. Per loro
natura, le categorie delle variabili delle categorie delle variabili categoriali hanno piena autonomia
semantica. Ciò significa che ogni combinazione delle categorie delle due variabili ha un suo
significato cui si deve dedicare attenzione per metterlo pienamente a fuoco.
Nell’analisi della correttezza del questionario è importante così avere un criterio tra:
• Il criterio prioritario è la vicinanza semantica tra le categorie che si pensa di fondere alla
luce degli interessi cognitivi per i quali si analizzano quella variabile e le sue relazioni con le
altre.
• Il criterio ausiliario è l’equilibrio tra le frequenze nelle varie modalità

PERCHÉ SCALA NOMINALE È UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI? Le


differenze fra le voci di una lista sono solo nominali (cioè qualitative) e non
quantitative o di grado, quella lista non può essere chiamata scala, perché si ha
una scala solo quando c’è una differenza fra i gradini. Una scala composta di
gradini qualitativamente differenti e collocati allo stesso livello, di fatto, non
esiste.

MAQUILLAGE: fase intermedia tra la raccolta delle informazioni e l’analisi dei dati.

Accorgimenti:
consigliabile lavorare con tabelle con un numero di categorie il più possibile ridotte.
• L’importanza di una categoria dipende dal suo significato (autonomia semantica) e dal
numero di dati che le corrisponde.

7.2 PROPRIETÀ E LE VARIABILI ORDINALI

Sono ordinali le proprietà nelle quali tutti gli stati si possono ordinare lungo una scala secondo un
criterio che corrisponde alla natura della proprietà, di modo che c’è uno stato maggiore di tutti gli
altri, uno minore di tutti gli altri, e ciascun altro è maggiore di uno o più altri e minore di uno o più
altri.

In comune con le proprietà categoriali:


▪ Si adotta un fundamentum divisionis appropriato
▪ Se gli stati sono tanti si deve decidere quali stati convertire in categorie della variabile
▪ Le categorie si creano e/o si delimitano seguendo i principi della classificazione
▪ Si stabiliscono limiti tra le categorie in modo che siano mutuamente esclusive
▪ Si ha cura che il complesso delle categorie sia esaustivo

Diversamente dalle proprietà categoriali:


▪ Gli stati sono già ordinati nella realtà
▪ Lo stesso ordine che percepiamo deve essere riprodotto nei codici = relazione monotonica
▪ Al crescere della posizione di ordine dello stato deve aumentare anche il codice numerico
assegnato alla modalità corrispondente
▪ Passo da dati qualitativi a quantitativi ma ciò non significa che es. un master valga 6x più di
non saper leggere/scrivere, perché il distacco tra licenza media ed elementare è più piccolo.

Le categorie di una proprietà ordinale perdono autonomia semantica perché l’interesse passa
dalle singole categorie alla loro sequenza. Per questo in una tabella in cui ci sono più variabili
ordinali si considera l’andamento globale delle celle. Va introdotta la PERCENTUALE
CUMULATA, relativa a una modalità si calcola tenendo conto non solo della frequenza di quella
modalità ma anche delle frequenze delle modalità che la precedono nell’ordine.
Un vantaggio del ricorso alle distribuzioni di frequenze cumulate è che permette di individuare
immediatamente la mediana della distribuzione. In una sequenza di cifre, la mediana è la cifra
che ha lo stesso numero di cifre da entrambi i lati della serie. Se invece di una serie di cifre si parla
di una distribuzione di frequenze, la categoria mediana è quella in cui cade la percentuale
cumulata del 50%.

7.2 PROPRIETÀ DISSCRETE CARDINALI E VARIABILI CARDINALI NATURALI

Le modalità delle variabili cardinali devono essere numeri veri e propri dato che in fase di analisi
si debbono poter sottoporre a tutte le operazioni matematiche.

Di una variabile cardinale non interessa solo la media, ma anche la variabilità, cioè la dispersione
dei suoi dati attorno alla sua media. La variabilità è il nucleo dell’approccio standard nelle scienze
sociale. Se gli stati su una proprietà non variano nel campione questa proprietà si definisce
costante.

Il valore che sintetizzi la dispersione dei dati di un campione si calcola in questo modo:

Il primo passo è trasformare ciascun fato rilevato nel suo scarto dalla media. Il dato X i si trasforma
in xi (Xi – X). La somma algebrica degli scarti di una media è 0 per necessità matematica. Per
evitare che la somma si annulli non ci resta che elevare al quadrato gli scarti prima di sommarli. La
somma degli scarti quadratici si chiama DEVIANZA ed è il modo più immediato di quantificare la
dispersione dei dati d’una variabile dalla sua media.

Qualsiasi distribuzione tende ad apparire più dispersa quanto più numerosi sono i casi. Ne
consegue che per confrontare le dispersioni di due campioni che hanno un numero differente di
casi bisogna neutralizzare l’effetto di questo numero dei casi (N), dividendo la devianza per tale
numero.

Σxi – N = s si chiama varianza e si può usare per confrontare le dispersioni della stessa variabile in
due campioni o popolazioni diverse.

Essendo una media di quadrati la varianza è una grandezza quadratica. Per compararla con
grandezze lineari come la media bisogna estrarne la radice quadrata. Il valore che ne risulta (s) si
chiama SCARTO – TIPO.

A scarti – tipo simili possono corrispondere situazioni reali molto diverse se le medie sono diverse.
Se i vuole un valore caratteristico che assolva alla stessa funzione, basta dividere lo scarto – tipo
per la media (s/X) ottenendo il COEFFICIENTE DI VARIAZIONE, il cui simbolo è V. Questo
coefficiente è una misura assolutamente pura della dispersione di una distribuzione perché è stata
depurata dagli effetti del numero dei casi e del livello numerico medio dei dati. Perciò V è il valore
caratteristico da usare quando si compara la dispersione di distribuzioni diverse.

La STANDARDIZZAZIONE, poi, si realizza in due passi:


1. si trasformano i punteggi in scarti dalla media delle variabili in questione
2. si dividono gli scatti per lo scarto tipo della stessa variabile. Il risultato si chiama punteggio
standard (standard score) e la variabile che ha subito questa trasformazione si dice
standardizzata.

Si ricorda che le categorie vicino allo 0 hanno maggiore autonomia semantica – num. di figli

LE PROPRIETÀ CARDINALI NATURALI non dipendono dal ricercatore né di un congresso.


Sono discrete: categoriali e ordinali, dove tra gli stati c’è una differenza discernibile.
Consistono nel possesso di un certo numero di oggetti o nella relazione con un certo numero di
soggetti. Si ha una relazione con gli esseri umani, non si possiedono.

7.4 PROPRIETÀ MISURABILI E VARIABILI CARDINALI METRICHE

Condizioni di misurazione:
• che la proprietà sia continua. Se non lo è non si misura: si classifica (proprietà categoriali e
ordinali) oppure si conta (proprietà discrete cardinali).
• che a monte si sia stata stabilita e riconosciuta un’unità di misura.
• che si effettui un confronto tra l’unità di misura e lo stato dei vari oggetti sulla proprietà
che si sta misurando. Come la proprietà da rilevare è psichica il ricercatore può:
✓ osservare i comportamenti del soggetto e basandosi su questi inferire sullo stato
✓ sollecitare il soggetto di chiarire qualcosa che permetta al ricercatore di inferire
✓ sollecitare al soggetto a compiere egli stesso il confronto fornendo risposte che
collochino il suo stato direttamente sul segmento grafico che ne rappresenta la
proprietà.

7.5 PROPRIETÀ CONTINUE NON MISURABULI E VARIABILI ORDINALI O QUASI-CARDINALI

Si inizia dalle tecniche dettate da Thurstone, ed evolve.

SCALA DI LIKERT

Egli propose di:


1. dividere il continuum in un numero ridotto di intervalli;
2. rinunciò a dichiarare uguali questi intervalli, limitandosi a garantire l’ordine delle 5 o 7
espressioni che li delimitano;
3. per garantire che tutti i soggetti condividano questo ordine ridusse drasticamente
l’autonomia semantica di ciò che si collocava sul continuum per delimitarne gli intervalli.

Egli propose così ai soggetti intervistati di reagire a ciascuna frase con uno fra vari gradi di
(dis)approvazione. Le affermazioni che il soggetto deve approvare o disapprovare non gli sono
sottoposte separatamente, ma organizzate in batterie che condividono lo stesso schema di
risposta.

Si può osservare che:


Likert reintroduce dalla finestra quella cardinalità che dichiara di aver cacciato dalla porta.
Inoltre un’affermazione può essere disapprovata per motivi opposti (CURVILINEARITÀ)

C’è il fenomeno di REAZIONE ALL’OGGETTO: si reagisce non al significato dell’intera frase ma a


un singolo termine, che è l’oggetto/soggetto designato da quel termine. Carica emotiva.

Infine, il fatto che le frasi siano organizzate in batterie, se da un lato accresce la rapidità con la
quale le scale Likert si costruiscono, si somministrano all’intervistato sono approvate o
disapprovate da lui e sono analizzate dal ricercatore, dall’altro lato riduce la fedeltà dei dati così
prodotti.

PROBLEMA DEL RESPONSE SET. Tendenza all’acquiescenza: sempre dar consenso e dire di sì.
1. il soggetto finisce con l’essere annoiato dalla routine delle domande.
2. Molti ricercatori non considerano il fatto che spesso i patrimoni di conoscenze e le sfere
di interesse degli intervistati non coincidono con i loro.
3. L’intervistatore si presenta come inviato di un’istituzione accademica e le affermazioni
sono considerate espressioni della Sapienza accademica e non si azzardano a
disapprovarle
4. Induzione delle risposte. Vero?

Likert, per mitigare il problema dei response set propone di mescolare nella stessa batteria
affermazioni di orientamento opposto – dette anche a polarità invertita – in modo che un
intervistato non potesse razionalmente dichiararsi d’accordo con tutte.

FORCED CHOICE Edwards propone di chiedere agli intervistati di scegliere una fra due frasi di
orientamento opposto presentate insieme, una contrapposta all’altra.

SCALA DI GUTTMAN lui introduce il criterio della cumulatività: si somministra una serie di
frasi a un campione di soggetti chiedendo solo se approvano o disapprovano ognuna di esse.

Si somminitstrata una serie di frasi a un campione chiedendo se approvano o disapprovano


ognuna di esse. Poi si organizza un particolare tipo di matrice (scalogramma) dove nelle colonne
si mettono le opinioni ordinati dalla più facile (più superata) alla più difficile (più fallimenti).
Nelle righe si mettono i soggetti del campione ordinati da quello che ha superato meno frasi a
chi ne ha superate di più

Per risolvere il problema degli errori è necessario togliere dal campione i soggetti responsabili
di troppi errori, visto che evidentemente avevano risposto senza fare attenzione o eliminare
dalla scala le frasi che causavano i più alto numero di errori.

La drastica riduzione dell’autonomia semantica delle categorie intermedie rende legittimo


presumere che le cifre dell’intervallo e le caselle lungo il segmento siano percepite come
equidistanti. Dato che non è possibile pensare ad una dimostrazione di equidistanza, si può
parlare solo di VARIABILI QUASI – CARDINALI.

DIFFERENZIALE
SEMANTICO:
SCALA AUTO-ANCORANTE: si chiese ad ogni intervistato di
collocare il suo stato in una scala, ed egli si ancorava alla
scala per stabilire la posizione tra i due estremi.
TERMOMETRO DEI SENTIMENTI: graduato dal al 100,
l’intervistato è istruito a manifestare i suoi sentimenti di simpatia o antipatia. Le si sottopone in
sequenza una serie di referenti pregandolo di manifestare mediante la scala il suo grado di
sim/antipatia.

LA DEFLAZIONE è come la standardizzazione ma mentre opera separatamente sui dati di ciascuna


riga, la standardizzazione lo fa su tutti i dati una colonna.

7.6 VARIABILI CARDINALI DERIVATE

Non si ottengono tramite una rilevazione diretta, ma scaturiscono d’un rapporto tra due variabili
cardinali già rilevate. Il rapporto tra le due variabili cardinali produce un’altra variabile cardinale
che non si può definire né naturale (perché non si basa su un conteggio) né metrica (perché non è
prodotta da misurazione).

• da due var. cardinali naturali: percentuale di laureati sul totale di persone con più di 20 anni

• da una card. Naturale + card. Metrica: la densità demografica

• da una card metrica + card naturale: quantità di energia elettrica consumata per abitante

• da due card. Metriche: estensione del territorio agricolo sul totale del territorio.

CAP VIII: PERCHÉ INDICATORI

L’indicatore è qualcosa di manifesto che dà informazioni su qualcosa che non lo è. Il fenomeno


manifesto/la proprietà registrabile può interessare in sé o come segnale di qualcosa che non è
manifesto e può essere considerata indicatore di due o più fenomeni/proprietà.

1. Non si può immaginare una definizione operativa ogni volta che:


• l’unità di analisi non si può interrogare
• gli stati sulla proprietà indagata non si possono rilevare mediante osservazione diretta o
estrarre da documenti ufficiali

2. Una definizione operativa diretta si può immaginare ma non è affidabile ogni volta che l’unità di
analisi è un essere umano e che la proprietà indagata:
•ha risposte socialmente desiderabili
•è un concetto familiare allo scienziato ma non all’uomo comune
•è qualcosa che la morale dominante nella comunità dell’intervistato considera riprovevole.
Bisogna, così, trovare una o più proprietà che:
•ammettano accettabili definizioni operative dirette
•abbiano una stretta relazione semantica con la proprietà che interessa Queste proprietà si
chiamano indicatori della proprietà X.

8.1 LA NATURA DEGLI INDICATORI NELLE SCIENZE SOCIALI:

• si possono concepire come indicatori solo concedetti che si riferiscono a proprietà


• queste proprietà devono presentare stati in tutti gli esemplari dell’unità di analisi n quella
ricerca, cioè in tutti i casi che occupano le righe di quella matrice.

Perché siano validi bisogna prestare attenzione al fatto che:


• è facile capire che lo stesso fenomeno può avere significati radicalmente differenti in ambiti
differenti.
• Il significato di un fenomeno è il livello dell’unità di analisi quando questa è aggregata a livello
territoriale.

RAPPORTO DI INDICAZIONE: la condizione essenziale è che il ricercatore percepisca una stretta


relazione semantica tra l’indicatore e il concetto indicato.

Nella scelta degli indicatori entrano in gioco la conoscenza tacita e quella esplicita.

*l’inferenza è un possibile vincolo tra asserti, non tra concetti*

8.3 ASPETTI INDICANTI E ASPETTI ESTRANEI

a) Aspetto indicante: definisce il rapporto di indicazione a me utile


b) Aspetto estraneo: sono altri aspetti che non servono a definire il rapporto di indicazione.

Duplice pluralità:
•ogni concetto che non suggerisce direttamente una definizione operativa richiede una pluralità di
indicatori.
•Ogni concetto che può essere direttamente operativizzato può essere scelto come indicatore di
una pluralità di altri concetti.

Una particolare combinazione di pluralità verso l’alto e verso il basso si trova spesso nell’analisi
secondaria.

8.4 LA VALIDITÀ COME GIUDIZIO SULLA VICINANZA SEMANTICA TRA UN CONCETTO E IL


SUO INDICATORE

La VALIDITÀ è una proprietà del concetto I in quanto possibile indicatore del concetto C in un
determinato ambito spazio – temporale e con una determinante unità d’analisi.
• Validazione di contenuto: giudicano una forma di controllo della validità.
• Validazione per gruppi conosciuti: per vedere se un indicatore era valido in un test, questo
veniva sottoposto a un gruppo dal cui aspettavamo certi risultati.

Le tecniche per controllare la validità sono:


- validazione concomitante: si calcolano coefficienti di associazione con altri supposti
indicatori dello stesso nella ragionevole aspettativa che due o più indicatori dello stesso
concetto siano positivamente associati tra loro.
- Validazione predittiva: si controlla se considerando i punteggi su un indicatore siamo in
grado di prevedere correttamente i risultati di una prova successiva.
- Validazione per costrutto nella quale il supposto indicatore non si associa con indicatori
dello stesso concetto ma con varabili che dovrebbero avere una relazione empirica forte con
il concetto da indicare.
LA NORMALIZZAZIONE è l’operazione di dividere una cifra per una base rilevante al fine d
neutralizzare aspetti di un fenomeno che non interessa e si applica solitamente non solo per la
creazione degli indicatori ma anche nell’analisi dei dati.

8.6 LA COSTRUZIONE DI INDICI TIPOLOGICI CON VARIABILI CATEGORIALI E ORDINALI

Un indice si costruisce secondo un criterio che si può stabilire in astratto, e ha un procedimento


diverso se si fa per variabili cardinali o meno. Producono ulteriori vettori e sintetizzano dei dati.
Ne consegue che lo strumento per realizzare la sintesi e la tabella di contingenza. (indici
tipologici).

Al violare l’unicità di criteri si viola la mutua esclusività perché alto-basso-magro (una persona
può essere alta eppure magra).

La TIPOLOGIA è un’operazione mentale con cui creiamo i tipi e l’insieme dei tipi gli scaturisce.
Classe sta a classificazione come tipi a tipologia.

8.7 LA COSTRUZIONE DI INDICI SOMMATORI CON VARIABILI CARDINALI E QUASI-


CARDINALI

Sono qui necessarie quattro condizioni:

-la condizione fattuale è che non manchino dati su uno o più indicatori: se ne mancano il punteggio
finale di ciascun caso nell’indice deve essere la media e non la somma dei suoi punteggi validi.
-la condizione numerica è che tutte le variabili che si sommano abbiano la stessa estensione di
scale, o almeno un’estensione simile.
-Ci sono indicatori più validi di altri e che quindi bisogna considerare qual è più pesato. Viene
aggiunto un coefficiente numerico. A+2B+0.5
-Criterio semantico: a volte dobbiamo invertire la scala: relazione semantica inversa/opposta
relazione inversamente proporzionale.

Si devono illustrare i criteri semantici, numerici e fattuali per la creazione di un indice.

CAP IX: RELAZIONI FRA LE VARIABILI

Quando la relazione esiste ma non si specifica la natura delle variabili fra le quali esiste, si parla
genericamente di associazione. Il termine opposto è “indipendenza”. Se l’associazione è tra
variabili categoriali, ed emerge analizzando una tabella di contingenza si parla di CONCORDANZA.

Se le variabili sono quantitative si parla di COVARIAZIONE.


Il termine specifico per l’associazione fra variabili ordinali è COGRADUAZIONE.

Infine il termine specifico per l’associazione fra variabili cardinali e quasi cardinali è
CORRELAZIONE. Se entrambe le varibili sono quantitative si può anche accertare il segno della
loro associazione.

Tre direzioni delle relazioni fra due proprietà:


1. unidirezionale: la proprietà A influenza la proprietà B, ma non ne è affatto influenzata
2. bidirezionale asimmetrica: la proprietà A influenza la proprietà B più di quanto ne sia
influenzata.

3.bidirezionale simmetrica: le due proprietà esercitano influenze reciproche della stessa intensità.

Sulla base dei dati registrati nella matrice, possiamo solo accertare se fra le variabili A e B esiste
un’associazione, e se è forte o debole: se le variabili sono quantitative possiamo anche stabilire se
questa associazione è positiva o negativa.

9.2 I MODELLI

Sono rappresentazioni grafiche delle nostre ipotesi sulle relazioni fra due o più variabili. Si può
notare che:
a. alcune relazioni fra variabili non sono lineari ma curvilinee e addirittura paraboliche;
b. la capacità di scegliere le variabili giuste da inserire nel modello può consentire di arrivare
a un modello molto semplice che tuttavia fornisce una rappresentazione sufficientemente
corretta ed efficace del fenomeno che ci interessa.
c. Si può attribuire un segno all’associazione tra le variabili

È opportuno aggregare le categorie prima di mettere in relazione due variabili categoriali.

VARIABILI SPURIE: sono le relazioni statistiche profondamente diverse delle relazioni esistenti
nella realtà. --- diagramma di dispersione.

9.3 LA SPECIFICAZIONE DEI MODELLI

La proprietà che un modello ha di includere, o meno, le variabili rilevanti si chiama


specificazione. Essa si persegue operando sugli elementi strutturali di un modello:
a. quali variabili si considerano
b. fra quali variabili considerate si stabiliscono relazioni
c. quali relazioni intendiamo considerare unidirezionali

Per ogni relazione unidirezionale definiamo una variabile INDIPENDENTE (esercita l’influenza) e
una DIPENDENTE (subisce l’influenza). Può esserci anche una variabile INTERVENIENTE rispetto
alla variabile indipendente.

9.4 LA MAPPA DEI CONCETTI

È una specie di rete, o diagramma di flusso, in cui tutti i concetti che andiamo scegliendo sono
collocati su un foglio e posti in relazione tra loro mediante frecce come avviene alle variabili in un
modello. Ma la mappa dei concetti ha funzioni ben diverse da un modello, in quanto aiuta nella
scelta dei concetti rilevanti per la ricerca
in seguito si dovranno trovare indicatori quando necessario, fissare le definizioni operative e
raccogliere i dati. Il modello è invece un preliminare di ogni singola procedura di analisi dei dati
mediante tecniche statistiche.

Raccolti i dati compiremo una serie di operazioni preliminari alla loro analisi:
• effettuiamo tutti i controlli sulla fedeltà dei nostri dati che i nostri strumenti e le nostre
risorse ci permettono di effettuare;
• aggreghiamo opportunamente le categorie delle classificazioni che intendiamo inserire in
tabelle di contingenza;
• costruiamo indici tipologici o indici sommatori per sintetizzare adeguatamente le
informazioni fornite dagli indicatori.

CAP. X: IPOTESI, TEORIE, GENERALIZZAZIONI, LEGGI

10.1. FORMAZIONE DELLE IPOTESI E RACCOLTA DEI DATI

Per ipotesi s’intende comunemente un’affermazione circa le relazioni fra due o più variabili. Ogni
ipotesi si può quindi considerare la trasposizione verbale di un modello.

Un’ipotesi ------- un esperimento = una raccolta dati


Ma anche
Una raccolta di dati ---------- moltissimi possibili modelli/ipotesi

La divisione delle proprietà in gruppi avviene in 2 fasi:


1. in sede di raccolta dei dati si distinguono quelle su cui si raccolgono i dati dalle altre;
2. in sede di analisi, ogni modello/ipotesi distingue fra le poche variabili che include e tutte le altre.
A differenza dell’esperimento non c’è la possibilità di mantenere ferma la variabile.
Naturalmente una volta che ha raccolto i dati e costruito la matrice, il ricercatore può provare tutti i
modelli che vuole.

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