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UN APPROCCIO
STORICO
1. Che cos’è la filosofia della scienza?
1.Questioni terminologiche
Origine del termine “epistemologia”
Il termine al quale la filosofia della scienza viene assimilata è quello di
“epistemologia”.
Usato x la prima volta da Ferrier nell’800, indicava una delle 2 parti della
filosofia, la seconda coo estituita dall’ontologia. Il termine veniva inteso da
Ferrier come sinonimo di “teoria della conoscenza”, riferito alla “teoria della
conoscenza scientifica”.
Il significato di “epistemologia” nella filosofia francese ed italiana
In Italia l’epistemologia tende a collocarsi nel campo della riflessione sul
pensiero scientifico, viene assimilata alla filosofia della scienza.
“EPISTEMOLOGIA” = “branca della teoria generale della conoscenza ke si
occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di
validità del sapere scientifico”. E’ concepita come “una teoria della scienza ke
riconosce l’esemplarità del sapere positivo e si propone di analizzarne metodi
e strutture”.
Il significato di “epistemologia” nella cultura anglosassone
Nella tradizione filos inglese l’epistemologia è assimilata alla “teoria della
conoscenza”.
Ne “La filosofia”, Rossi afferma di attenersi all’uso corrente nella letteratura
inglese nel “considerare come sinonimi teoria della conoscenza,
epistemologia e gnoseologia”.
EPISTEMOLOGIA = “branca della filosofia ke concerne l’indagine nsulla
natura, le fonti e
la validità della conoscenza”. Anke in Polonia prevale qst modo di intendere
l’epistemologia: con Ajdukiewicz .
2. L’epistemologia come teoria della conoscenza
I quesiti dell’epistemologia tradizionale
Il problema centrale dell’epistemologia è definire i criteri e i caratteri ke
devono essere presi in considerazione x giungere alla conoscenza del reale.
Esso è articolato in qst
classici quesiti:
a)Ke cos’è la conoscenza?
La conoscenza è definibile come credenza vera giustificata: credenza, xkè
consiste in uno stato psicologico del soggetto ke possiede certe idee, di solito
espresse in forma proposizionale; vera, xkè tali credenze non possono
essere il mero frutto della fantasia, ma devono rispekkiare la realtà ke hanno
come oggetto; giustificata, in quanto non è sufficiente ke le nostre credenze
siano vere, ma è necessario esibire ragioni e motivi x ritenerle tali.
c)Come ci arriviamo?
Compete agli psicologi la risposta a questa domanda, concernente il quid
facti, cioè il modo in cui effettivamente si comportano gli individui nel
procurarsi le loro conoscenze.
d)I processi con cui ci arriviamo sono gli stessi di quelli con cui dovremmo
arrivarci?
E’ possibile fare una comparazione tra le risposte date alle domande b) e c),
x poter risp ondere anke alla domanda d).
E’ tipico dell’epistemologia tradizionale cercare di risp a tali quesiti “mediante
la riflessione su casi possibili. Gli epistemologi descrivono i casi possibili,
consultano le loro intuizioni x sapere se siano o no in presenza di una
conoscenza e decidono se il caso esaminato dimostri ke l’analisi proposta è
errata...il compito è portato avanti solo da un epistemologo seduto in
poltrona, senza l’aiuto della scienza”. L’epistemologia
rivendica una priorità concettuale e metodologica sulla scienza.
Carattere normativo dell’epistemologia e suo attegiamento
“fondazionalistico”: la prima philosophia
L’epistemologia è una disciplina normativa: non si limita a descrivere i
processi conoscitivi effettivamente messi in atto, ma indica delle norme sul
modo in cui si debbono condurre le nostre attività cognitive allo scopo di
ottenere una conoscenza vera e giustificata. Ciò la porta a un compito
ambizioso: trovare il fondamento delle pretese di conoscenza avanzate
dall’umanità. Questa la prospettiva “fondazionalistica”: compito
dell’epistemologia è fornire alla scienza una base sicura di credenze
indubitabili sulle quali costruire l’intera conoscenza scientifica. Il filosofo
ambisce alla fondazione della conoscenza scientifica, è lui solo in grado di
risolvere il problema della conoscenza; e ciò deve essere attuato facendo
ricorso solo alle proprie forze in uno sforzo teoretico ke trae argomentazioni e
tesi dalla generale capacità razionale umana.
L’orizzonte problematico dell’epistemologia è definito dalla necessità di risp
alla sfida scettica, dissipando l’ombra del dubbio dalle nostre conoscenze.
L’epistemologia viene intesa come una filosofia fondamentale,o prima
philosophia.
5. La meccanica quantistica
Relatività e meccanica quantistica: la messa in discussione del
concetto di determinismo
La seconda grande rivoluzione della fisica del 900 è costituita dalla teoria dei
quanti. Si passa dalla fisica del macroscopio alla fisica del microscopio o
mocrofisica. Nasce la necessità di rivedere concetti e modi di pensare radicati
nella nostra intuizione e fatti propri anke dalla scienza fisica, in particolare
l’idea laplaciana ke la natura sia governata da leggi rigorose e deterministike
e ke siano solo i nostri limiti umani a non permetterci la conoscenza perfetta
della posizione e del moto di ogni oggetto esistente nel mondo. La rivoluzione
quantistica inizia con lo studio dell’assorbimento delle onde elettromagnetike,
nel corso del quale vengono evidenziati fatti sperimentali non spiegabili con i
metodi della fisica classica. Prosegue con lo studio dell’effetto fotoelettrico di
Einstein, dove ancora una volta si trattava di capire come mai i risultati
sperimentali non si accordassero con quanto sarebbe dovuto accadere in
base alle leggi dell’elettromagnetismo di Maxwell.
I quanti di Planck: le radiazioni vengono assorbite ed emesse per
quantità discrete
Planck fornì una formula in grado di accordarsi con i risultati sperimentali; a
tale scopo era però necessario supporre ke le radiazioni sono trasmesse o
assorbite da parte di un corpo non in maniera continua, ma x quantità
discrete, multiple di una quantità minima – detta quanto di Planck -, al di sotto
della quale non è possibile scendere. Tale quanto è indicato dalla relazione: E
= hv dove E indica l’energia, v (lettera graca equivalente alla n) indica la
frequenza ed h è la costante di Planck, ke ha un valore fisso corrispondente a
6,62618 x 10-34 Js. X Planck qst relazione rappresenta la minima quantità di
energia ke può essere scambiata; di essa si possono avere solo multipli
interi.
Le perplessità di Planck: i quanti artificio matematico o proprietà reali
del mondo?
Planck si mostrò incredulo e scettico circa la propria scoperta, ke non era
giustificabile in base a nessuna legge della fisica allora conosciuta ed
implicava la rinuncia alle leggi dell’elettrodinamica fondata da Maxwell. Cercò
a lungo di dedurre la sua formula dalla teoria classica della radiazione e solo
quando tutti i suoi tentativi fallirono si convinse ke l’interazione tra materia e
radiazione non avviene in modo continuo, come previsto dalla fisica classica.
Del resto l’idea da lui presentata sembrava così bizzarra ed in contrasto con
una radicata convinzione della scienza sin dai tempi di Aristotele – secondo la
quale natura non facit saltus, ovvero la natura cambia con gradualità, senza
salti – da risultare incredibile ai suoi contemporanei ke esistesse una
costante universale h ke segnasse il limite minimo di energia scambiabile.
Ciononostante la costante di Planck sarà destinata a divenire una delle +
feconde ed importanti scoperte teorike, ke entra in gioco ogni volta si studino
fenomeni del mondo microscopico.
Einstein e i quanti: i fotoni
Nel 1905 Einstein nel primo dei 3 articoli pubblicati quell’anno utilizza il
quanto allo scopo di spiegare l’effetto fotoelettrico, altro fenomeno ke non era
compreso nel quadro della fisica classica. Einstein ribaltò la concezione della
luce ke si era affermata con Maxwell (intesa come fenomeno ondulatorio) e,
facendo ricorso alla quantizzazione, ipotizzò ke la radiazione fosse
quantizzata non solo quando interagisce con la materia, ma anke quando
viaggia nel vuoto; ovvero l’energia raggiante avente una certa frequenza è
costituita da uno sciame di quanti di energia (i fotoni), ke viaggiano alla
velocità della luce ed aventi ognuno un’energia indivisibile pari a h v. Quanto
proposto da Einstein ingloba l’ipotesi di Planck: se infatti la radiazione
elettromagnetica è fatta di fotoni, ciascuno dei quali trasporta una quantità di
energia indivisibile, allora è evidente ke la materia può assorbire o cedere
energia solo in quantità discrete, equivalenti a multipli interi della quantità h v,
posseduta da ciascun fotone. Da osservare ke la quantità estremamente
piccola di energia quantizzata posseduta da un fotone fa sì ke il modello
proposto da Einstein non entri in contrasto con la teoria elettromagnetica di
Maxwell quando si tratti di studiare e spiegare i fenomeni su scala
macroscopica ordinaria: l’enorme quantità di fotoni posseduti da un fascio di
luce ordinario si comporta come un’onda, rivelando i fotoni la loro
“individualità” solo in particolari condizioni. Si arriva così alla conclusione ke
la luce si comporta come onda o corpuscolo a seconda del tipo di
esperimento svolto: nel caso dell’effetto fotoelettrico la radiazione presenta
un carattere corpuscolare; nel caso di fenomeni di interferenza e diffrazione,
essa ha invece carattere ondulatorio.
Bohr e la quantizzazione dell’atomo
Nell’arco di un decennio, agli inizi del 900, una serie di decisivi esperimenti
fece uscire l’atomo dalla scomo9da condizione di ipotesi utile solo x spiegare
certi fenomeni, ma priva di conferma sperimentale, x farlo diventare un
oggetto avente piena cittadinanza nella fisica, ke è possibile studiare e
descrivere. Fu Bohr a utilizzare nel 1913 l’idea della quantizzazione anke x
spiegare il comportamento degli atomi.
Il modello dell’atomo di Bohr e la rottura con la fisica classica
Bohr, pur consapevole delle limitazioni e delle difficoltà presenti nel modello
di atomo di Rutherford, lo riteneva troppo utile x rigettarlo del tutto. Propose di
abbandonare la fisica classica x la spiegazione dei fenomeni atomici in favore
di una nuova teoria, il cui punto di partenza è costituito dall’ammissione di 3
postulati:
a) il raggio delle orbite percorse dagli elettroni può avere solo certi valori
particolari, ke definiscono le cosiddette orbite stazionarie, sulle quali un
elettrone può ruotare senza emettere energia;
b) le orbite stazionarie sono caratterizzate dal fatto ke il momento angolare
dell’elettrone è pari ad un multiplo della costante di Planck, secondo la
formula mvr = n h/2 , con n = 1, 2, 3, kiamato numero quantico principale;
c) un elettrone può passare da un’orbita stazionaria ad un’altra avente
diverso livello energetico e questa transizione è accompagnata da emissioni
o assorbimenti di energia, determinati sempre secondo la costante di Planck.
I primi 2 postulati sono in netto contrasto con quanto ammesso dalla fisica
classica, x la quale è impossibile ke una carica elettrica possa ruotare senza
irraggiare. Inoltre non si capisce xkè sia proibita l’esistenza di un elettrone in
orbite diverse da quelle stazionarie e in ke modo avvenga il “salto” da
un’orbita stazionaria all’altra: l’elettrone, infatti, x uno dei postulati
fondamentali della teoria di Bohr, non può esistere nella orbite intermedie;
esso dovrebbe scomparire da un’orbita e riapparire in un’altra.
La “vecchia meccanica quantistica” e il principio di corrispondenza
Per spiegare il rapporto tra la nuova meccanica quantistica e la fisica
classica, Bohr propose il cosiddetto principio di corrispondenza. In base ad
esso, la meccanica classica è contenuta come caso limite della teoria
quantica, così come la dinamica newtioniana è contenuta nella teoria della
relatività x velocità molto distanti da quella della luce. Egli cercava di
garantire una certa continuità tra vekkia teoria e nuova teoria: la prima non
era completamente abbandonata a favore di quella nuova, ke non avrebbe +
nulla a ke fare con essa; la fisica classica non può essere considerata un
cumulo di errori se è vero ke ha spiegato con successo numerosi fenomeni. Il
principio di corrispondenza diveniva il cardine intorno a cui ruotavano i lavori
dei fisici ke hanno lavorato intorno alla cosiddetta “vecchia meccanica
quantistica”. Alla costruzione della nuova teoria si giunge attraverso 2 strade
diverse ke finiscono x edificare nel giro di poki anni 2 concezioni alternative
dei fenomeni macroscopici: la prima con De Broglie e Schrödinger, prende il
nome di meccanica ondulatoria; la seconda con Heisenberg, Born e Jordan è
la meccanica delle matrici.
La meccanica ondulatoria
Punto di partenza della meccanica ondulatoria è l’idea di De Broglie ke anke
la materia, come le radiazioni elettromagnetike, possiede sia natura
corpuscolare, sia natura ondulatoria. La relazione E = h v introdotta da
Planck vale anke x una particella materiale, come l’elettrone. Ad ogni
particella materiale avente quantità di moto p (uguale a mv, cioè massa x
velocità) deve essere associata un’onda avente lunghezza , secondo la
formula = h/p , la quale, grazie alla mediazione della costante di Planck h,
mette insieme grandezze caratteristike di un corpo materiale con la
grandezza tipica di un’onda. Nel 1927 la concezione di De Broglie viene
confermata sperimentalmente. Nel 1926 Schrödinger costruisce con
successo un modello ondulatorio dell’atomo, ottenendo un’equazione le cui
soluzioni, dette funzioni d’onda, coincidono con i valori postulati nel modello
atomico di Bohr. X lo studio della struttura intima della materia una meccanica
di tipo nuovo ha sostituito la meccanica classica: è la meccanica ondulatoria.
Tuttavia Schrödinger, pur consapevole della profonda inadeguatezza della
fisica classica x la spiegazione dei fenomeni della microfisica, pensava ke la
nuova meccanica dovesse mantenere uno stretto rapporto di continuità con la
vekkia, costituendone uno sviluppo organico, piuttosto ke una radicale
sostituzione.
La meccanica delle matrici
Heisenberg cercava di stabilire le basi della meccanica quantistica facendo
riferimento a grandezze sperimentalmente osservabili, le sole ke x lui hanno
significato fisico.
Secondo lui, le difficoltà incontrate derivavano dall’aver fatto uso di
grandezze ke non erano direttamente osservabili. X realizzare qst
programma egli fece uso del “calcolo matriciale”, poi sviluppato da Born,
Jordan e Heisenberg stesso, in un formalismo assai rigoroso ke gettò le basi
di una nuova meccanica quantistica matriciale. Era una teoria ke sembrava
ottenere lo scopo di contenere nelle proprie basi i postulati stessi della fisica
quantistica e permetteva inoltre di calcolare e spiegare gran parte degli
aspetti sconcertanti presentati dagli atomi. Diversamente dalla meccanica
ondulatoria, l’impostazione matriciale insisteva sugli elementi di discontinuità
tipici della teoria quantistica, come i salti quantici, dunque privilegiava il
carattere corpuscolare dell’elettrone. Nel 1926 Schrödinger mostrò ke la
meccanica delle matrici e quella ondulatoria, pur essendo diverse nella
forma, erano in realtà matematicamente equivalenti. Siccome il formalismo
della meccanica ondulatoria era molto + semplice e familiare ai fisici del
tempo, qst preferirono servirsi dell’equazione ondulatoria x risolvere gran
parte dei problemi.
Born e l’interpretazione probabilistica della funzione d’onda
Born si era posto il problema di capire cosa esattamente descrivesse la
funzione d’onda introdotta da Schrödinger. Il cardine dell’interpretazione di
Born sta nella interpretazione probabilistica della funzione d’onda ψ, x cui
questa fornisce soltanto la probabilità ke, ad es., un elettrone si trovi durante
un certo intervallo di tempo in un determinato volume. In tal modo l’elettrone
torna ad essere un corpuscolo, il cui movimento non è però descrivibile con
precisione assoluta, ma solo probabilisticamente:è una kiara sfida alla
concezione ondulatoria di Schrödinger e alle esigenze di interpretare la
funzione d’onda ψ come una entità fisica reale. Le probabilità calcolate a
partire da ψ sono le informazioni + dettagliate ke in linea di principio è
possibile avere sul sistema quantistico sotto esame; non è quindi ipotizzabile
alcun perfezionamento nelle nostre capacità di misura o di conoscenza ke
possa superare qst limite. Ne segue ke l’elettrone si muove non in base a
leggi deterministike, ma a leggi intrinsecamente indeterministike.
Heisenberg e il principio di indeterminazione
Heisenberg imboccò la strada dell’abbandono dei vekki concetti cinematici
giungendo nel 1927 alla formulazione del suo famoso principio di
indeterminazione. Qst stabilisce in generale l’impossibilità di conoscere
esattamente la posizione e la velocità di una particella atomica. +
esattamente, quanto + si aumenta la precisione con cui si conosce la quantità
di moto di una data particella, tanto meno si conosce la probabilità della
posizione da essa occupata; sikkè una determinazione assolutamente
precisa della quantità di moto dell’elettrone implica l’assoluta ignoranza
riguardo alla sua posizione, e viceversa. Dal punto di vista fisico, tale
indeterminazione è dovuta alla perturbazione introdotta dallo strumento di
misura sul processo osservato, in quanto ogni processo di misura deve far
uso di quantità di energia, sia pure piccole, ke modificano lo stato microfisico
alterandolo irreversibilmente.
Bohr e il principio di complementarità-
Nel 1927 Bohr introduce una nuova categoria logoca, alla quale è stato dato il
nome di complementarità. La complementarità ruota intorno all’idea ke la
complessità del reale non può essere colta con un solo sistema coerente di
concetti, ma ke dobbiamo far ricorso a loro coppie ke forniscono prospettive
reciprocamente inconsistenti, e tuttavia indispensabili x comprendere il reale.
Nello specifico il principio di complementarità ammette ke esistano aspetti
della realtà fisica ke sono tra loro complementari, nel senso ke ciascuno di
essi rende conto di certi fenomeni e non di altri, e ad un tempo incompatibili,
ovvero non presenti simultaneamente, sikkè ogni esperimento ke mostri
l’uno, al tempo stesso impedisce la possibilità di osservare l’altro.
Heisenberg, dopo una iniziale resistenza, finì x accettare qst prospettiva:
nasceva così la scuola di Copenaghen.
L’interpretazione della scuola di Copenaghen
La scuola di Copenaghen, sorta tra il 1920-30 intorno alla figura di Bohr,
costituisce il tentativo + riuscito di conciliare l’aspetto corpuscolare con quello
ondulatorio dei fenomeni. L’accettazione dell’interpretazione di Copenaghen
implica la messa in dubbio di principi ke avevano retto ogni indagine fisica e
scientifica del reale: il principio di casualità e il carattere deterministico della
natura, di impostazione laplaciana.
L’ammissione di una indeterminazione intrinseca nei processi della
microfisica faceva svanire l’esistenza di una connessione rigorosa tra cause
ed effetti. Non si tratta di una limitazione della conoscenza umana o di una
impossibilità dei metodi di misura, ma di una vera e propria impossibilità di
ordine concettuale. Inoltre, quanto affermano Born e Heisenberg circa
l’indissolubile implicazione tra oggetto osservato e soggetto osservatore, ha
dato luogo ad una serie di interpretazioni di tipo soggettivistico, x le quali il
fenomeno sembra perdere ogni oggettività x divenire o un mero formalismo
matematico oppure un puro fatto psicologico. Si è arrivati a sostenere con
Jordan non solo ke la misura disturba inevitabilmente ciò ke viene misurato,
ma addirittura lo produce. Diventa problematico parlare di un ”oggetto”
indipendente dal soggetto osservatore, avente una sua esistenza autonoma a
prescindere dall’atto osservativo.
Non tutti i fisici ke parteciparono allo sviluppo della meccanica quantistica
accettarono le concezioni della scuola di Copenaghen, ke portavano a
conseguenze così sconvolgenti. I cosìdetti “fisici berlinesi” (Einstein, Planck e
Schrödinger) concordavano nel rifiuto di una teoria acasuale e del principio di
complementarità, sostenendo la necessità di una spiegazione dei fenomeni in
termini di modelli spazio-temporali. Einstein criticava il concetto di
indeterminazione ed insisteva sulla necessità di mantenere il principio di
causalità rigorosa come strumento di intelligibilità della natura.
Schrödinger criticava in particolare la complementarità, ritenuta una mera
escogitazione linguistica: ”quando non si capisce una cosa si inventa un
nuovo termine e si crede di averla capita”. Planck difendeva sia il principio di
causalità, sia l’irrinunciabilità dell’esistenza di un metodo oggettivo del tutto
indipendente dall’attività conoscitiva. De Broglie si skierò dalla stessa
barricata. Le discussioni tra i protagonisti della rivoluzuine quantistica
mettono anke in luce come la meccanica quantistica abbia costituito un
deciso allontanamento dal dato concreto dell’intuizione sensibile. È quanto
mette in luce Heisenberg, quando sottolinea come col passaggio alla fisica
atomica i corpi vengono a perdere la possibilità di poter essere determinati in
uno spazio e in un tempo oggettivo.
L’incidenza filosofica della meccanica quantistica
I principali protagonisti furono influenzati dalle idee filosofike diffuse in
Germania dopo la prima guerra mondiale e lo stesso concetto di in
indeterminismo aveva avuto il terreno preparato sia dalla filosofia della
scienza di Poincarè, sia dalla filosofia di Kirkegaard. Qst background fece sì
ke essi meglio si rendessero conto della fondamentale importanza della
riflessione filosofica sui fondamenti della scienza ke praticavano, sikkè
pensavano fosse giunto finalmente il tempo di stabilire tra esse un nuovo
fecondo rapporto. Ad emergere vigorosa è la sempre + sentita esigenza, tra i
grandi fisici teorici dell’inizio del secolo, di un’apertura verso la filosofia. Il
bisogno di un ripensamento filosofico delle teorie scientifike nasce innanzi
tutto all’interno della scienza. Il + deciso sostenitore di qst reciproca
integrazione tra scienza e filosofia è stato proprio Heisenberg ke ha
dimostrato una notevole sensibilità e competenza filosofica. Avere una buona
filosofia è indispensabile x lo scienziato, in quanto una concezione ingenua e
arretrata del mondo, ke ritiene addirittura di poter fare a meno della filosofia,
porta a deprecabili errori nel campo stesso della teoria della particelle
elementari. Era dunque un clima nuovo ke veniva ad instaurarsi sempre +
nell’ambito della comunità degli scienziati, avvertito anke in Italia, dove Vailati
notava il nuova interesse x i problemi filosofici da parte degli scienziati. E’
giunto il tempo – afferma Schlick – ke tra filosofia e scienza cessi la reciproca
inimicizia iniziata nel XVIII secolo con nla filosofia idealistica di Schelling,
Fiche ed Hegel, quando qst si dikiarava superiore alla scienza xkè in
possesso di “una sorta di via regale ke portava ad una verità riservata solo ai
filosofi”. Ormai non è + concepibile uno scienziato ke non sia al tempo stesso
filosofo: “Lo scienziato deve essere un filosofo se vuole comprendere e
ulteriormente costruire appoggiandosi ai concetti di base della sua scienza”.
La filosofia non è + vista come un ostacolo affinkè si possa dispiegare la kiara
razionalità scientifica, ma è ritenuta indispensabile al suo sviluppo.
Il bisogno di nuovo modo di filosofare adeguato alla nuova fisica
Se la scienza riskiedeva la filosofia, a sua volta la filosofia non poteva + farsi
senza tener conto dei risultati della scienza: si trattava di 2 facce della stessa
medaglia, alla prima della quale erano in particolare sensibili gli scienziati,
alla seconda invece i pensatori aventi una formazione filosofica. La filosofia –
sostiene Russel – non può ignorare la scienza, in quanto molti dei suoi
problemi trovano soluzione in qst. I filosofi si trovano a riflettere sul portato
specifico delle nuove teorie scientifike, ed innanzi tutto su quella scissione nel
corpo della scienza ke vedeva da una parte la fisica classica con le sue leggi
deterministike , dall’altra il mondo del microscopico in cui non valgono + le
leggi clessike. È qst la situazione ke hanno di fronte i fondatori del Circolo di
Vienna e i filosofi della scienza dei primi decenni del 900. Essi si pongono il
compito di trovare x tale crisi nuovi strumenti concettuali ke meglio
permettano di comprenderne la natura e ke siano diversi da quelli forniti dalle
vekkie filosofie delle scuole. Si trattava come dice Frank, parafrasando una
parabola evangelica, di mettere il vino nuovo in otri nuovi, dove «gli otri
vecchi erano gli schemi della filosofia tradizionale, e il vino nuovo la scienza
del Novecento». E, una volta fatto il vino, bisogna trovare le botti filosofike
adatte, ke non ne rovinino il sapore. Alla costruzione di queste “botti” avevano
mirato le discussioni ke avevano luogo in quello ke abbiamo kiamato il “primo
Circolo di Vienna”.