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Psicologia Generale

LEZIONE 1
TEORIE, OGGETTI E METODI IN PSICOLOGIA: UNA PROSPETTIVA STORICA
 
Il senso comune (modo in cui una persona si rapporta ai fenomeni psicologici), la letteratura (descrizione di
personalità o di reazioni a stimoli) ed il pensiero filosofico si occupano spesso dello studio dei fenomeni
psicologici. Tuttavia, il loro modo di analizzarli è ben diverso da ciò che riguarda la psicologia come scienza.
Possiamo dire che gli apporti dati dal senso comune, dalla letteratura e dal pensiero filosofico sono
dapprima apporti basilari, alla portata di tutti, che si sviluppano in maniera sempre più profonda grazie al
pensiero filosofico che non si limita ad osservare e raccontare, ma cerca di andare oltre, arrivando a ciò che
scaturisce questi fenomeni. Accanto a questi tre tipi di conoscenze ne troviamo, appunto, un quarto: la
psicologia scientifica.
La psicologia è tendenzialmente una disciplina con un lungo passato filosofico ed un breve presente
scientifico.
La psicologia tratta discipline che si occupano di fenomeni psicologici (senso comune, filosofia, letteratura,
religione).
 
L'introduzione della parola Psicologia è relativamente recente. Pare che uno dei primi autori che
impiegarono questa parola fu il teologo e riformatore protestante Filippo Melantone.
Le parole "psicologia", "psiche", e "psichico" si diffusero progressivamente nel corso del '700 e dell'800 fino
a divenire di uso comune ai giorni nostri. Probabilmente la scelta di questo nuovo vocabolario ed in
particolare della parola "psiche", utilizzata per indicare l'anima, non fu casuale ma avvenne come tentativo
di liberare la terminologia di una nuova cultura e di una nuova disciplina dalle vecchie concezioni dei
termini, derivanti da altre discipline.
Sull'antica concezione di questo linguaggio, infatti, si fonda l'antropologia dualistica che tende a descrivere
l'uomo come un composto di due parti distinte, il corpo e l'anima, intesi come due livelli ontologici diversi
e, pertanto, studiabili e curabili solo con strumenti differenziati. Questa convinzione portava a vedere
l'anima come un'essenza metafisica appartenente ad una realtà superiore a quella della materia corporea.
 
Per chiarire la peculiarità del discorso della psicologia come scienza, rispetto alle altre forme di discorso è
necessario porsi alcune domande:
 
Qual è l'oggetto della psicologia?
 
Quali caratteri deve possedere una conoscenza psicologica per poter essere identificata come scientifica?
 
La psicologia può essere definita come scienza?
 
La conoscenza scientifica e le sue trasformazioni nel tempo
Affrontare il problema della scientificità della psicologia si prospetta come un'impresa complessa e, per
questo, pare utile analizzare e cercare di comprendere i caratteri distintivi della conoscenza scientifica ed il
modo in cui essi si sono trasformati nel tempo.
Nell'ambito della cultura positivistica della seconda metà dell'800 e degli inizi del '900 la scienza era
considerata una forma di sapere inequivocabile. A questo ideale di autonomia della scienza si
accompagnava l'immagine di uno scienziato anch'esso neutrale ed autonomo, protetto dagli influssi del
contesto storico reale dalle mura dell'oggettività, del rigore e della razionalità, i criteri distintivi di ogni
conoscenza scientifica.
Intorno al 1600, con Galileo Galilei ed il metodo sperimentale, si sono creati due ideali di scienza, l'ideale
moderno (o scienza moderna) che inizia nel 1600 e continua fino al 1900, quando nasce l'ideale
contemporaneo, che dal 1900 si protrae fino ai giorni nostri.

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L'ideale moderno di scienza impone quattro criteri di scientificità:


1. Empiricità: la scienza può riguardare solo oggetti di cui è possibile fare esperienza;
2. Oggettività (oggetto= ob-iectum, qualcosa che sta di fronte al soggetto e gli è del tutto estraneo): la
scienza deve riguardare solo fenomeni che possono essere osservati da tutte le persone nello stesso
modo;
3. Misurabilità e ripetibilità: un'ipotesi, per poter essere considerata scientifica, deve prevedere dei
processi di misurazione, questa misurazione deve poter essere compiuta da più individui e garantire
ogni volta il medesimo risultato;
4. Pubblicità dei dati: i risultati devono essere condivisi.
Il primo metodo che viene utilizzato per compiere analisi scientifiche è il metodo sperimentale che si
articola in tre fasi:
1. Osservazione;
2. Formulazione di ipotesi;
3. Verifica con esperimento.
Questo metodo permette di rappresentare e descrivere l'uomo in modo deterministico.
La scienza non deve limitarsi a descrivere i fenomeni che osserva ma deve spiegarli attraverso delle leggi
fornite di un carattere deterministico ed universale.
Lo schema logico di questo metodo è quello che viene comunemente definito: metodo esplicativo di tipo
nomologico-deduttivo con legge di copertura, al quale si contrappone il metodo di conoscenza della
realtà, che avviene attraverso la formulazione di leggi casuali.
 
Invece che parlare di scienza si preferisce, oggi, parlare di ideale.
Un ideale di scienza è un'idea secondo cui la scienza e gli scienziati cambiano nel corso delle epoche
storiche ed in vari contesti socio-culturali.
 
Cartesio, in questi anni, assume un ruolo fondamentale attuando delle modifiche sostanziali. Egli, infatti,
ritiene che tutte le cose del mondo possano essere ridotte a due sostanze: la res extensa e la res cogitans.
Alla prima appartengono tutte le cose materiali caratterizzate da due attributi fondamentali, uno statico ed
uno dinamico e cioè l'estensione ed il movimento.
La res cogitans, priva di estensione e divisibilità, sfugge al determinismo delle leggi del movimento
meccanico e alla causalità necessitante che controlla il mondo della natura ed è pertanto spiegabile solo in
riferimento ad altri principi.
L'uomo, in quanto composto di anima e corpo, sarebbe soggetto da una parte alla logica meccanicistica
della natura e dall'altra parteciperebbe alla libertà di arbitrio degli enti spirituali, sottraendosi alla
prevedibile uniformità della natura.
Il problema della collocazione dell'uomo sullo scenario della natura è risolto solo in parte con il recupero
dell'antica dicotomia corpo-mente. Solamente il corpo, infatti, può essere spiegato in base alle generali
leggi della natura. Alle attività psichiche, invece, è riconosciuta una collocazione diversa in una dimensione
ontologica di tipo metafisico che la sottrae all'ambito della scienza.
Si inaugura con Cartesio la tendenza "fisicalistica" delle scienze moderne, la tendenza, cioè, a fare del
"paradigma" della fisica galileo-newtoniana il fondamento di tutte le scienze della natura e in particolare
anche della biologia e più tardi addirittura della psicologia.

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LEZIONE 2
La scienza è una sorta di specchio che riflette fedelmente ciò che accade in natura.
Intorno ai primi anni del '900, la scienza moderna si avvicina ad una crisi dovuta al rapido svilupparsi della
fisica. La prima critica mossa contro l'ideale moderno di scienza fu quella riguardante il criterio di
oggettività del sapere scientifico.
L'oggetto scientifico non viene più tanto considerato come un ob-iectum, una cosa reale che sta di fronte al
ricercatore e non ha nulla a che fare con lui, bensì come una sorta di inter-iectum, e cioè un'entità che è il
frutto della mediazione tra la cosa reale da una parte e le tecniche teorico-metodologiche adottate per
conoscerla dall'altra.
Heisenberg, infatti, sostiene che non esistono fenomeni oggettivi, ma solo oggetti che si costruiscono
tramite le procedure di indagine dello scienziato, il quale utilizza strumenti che potrebbero alterare o
variare i risultati.
Successivamente, poi, venne mossa una critica al primato dell'esperienza empirica, a favore di questa
critica viene introdotto un nuovo metodo, il metodo esplicativo di tipo probabilistico.
Questo metodo contrasta, appunto, con l'ideale moderno di scienza.
Secondo lo schema utilizzato dall'ideale moderno di scienza ciò che si deve spiegare è deducibile
necessariamente da leggi generali fornite di valore universale. Un fatto particolare, quindi, viene messo in
una relazione deterministica con una serie di altri fenomeni necessari a darne ragione.
Questo modello sostiene che "Se A, allora sempre B", cioè, se si verificano le condizioni necessarie e
sufficienti previste dalla legge per il verificarsi di un certo fatto (se A…), quest'ultimo deve necessariamente
accadere (…allora sempre B).
Il modello esplicativo di tipo probabilistico, quindi, introduce una nuova spiegazione del precedente
modello, la spiegazione statistico-probabilistica, secondo la quale "se A, allora B ma con un certo livello di
probabilità". La legge in questo caso non ci dice solo che un determinato evento, date certe circostanze,
può accadere, ma anche il grado di probabilità che ha di accadere ed in questo senso conserva una specifica
capacità predittiva.
[es. se A, allora B al 95%]
 
L'affermarsi di questo metodo crea le condizioni affinché gli scienziati passino all'utilizzo della statistica.
Dalla concezione deterministica, quindi, si arriva ad una concezione della scienza come discorso sulla realtà,
volta a fornire delle interpretazioni di essa.
Possiamo, quindi affermare che la scienza diventa una rappresentazione della realtà costruita ed elaborata
teoricamente, attraverso la rete del linguaggio, vale a dire all'interno delle possibilità concesse dalla
mediazione logico-simbolica del linguaggio. Una scienza può essere, infine, definita come un sistema di
preposizioni linguistiche che intendono descrivere e spiegare un certo ambito della realtà.
Ciò non significa che qualunque discorso abbia validità di scienza. Una proposizione scientifica differisce da
una del linguaggio comune per la precisione con la quale si può spiegare il suo significato.
Le proposizioni scientifiche sono, quindi, il frutto di complesse e articolate operazioni di mediazione nei
confronti della realtà e la formulazione linguistica presuppone e comprende in sé molteplici processi di
organizzazione e strutturazione dei dati.
 
I principi di base che guidano gli scienziati nelle loro ricerche sono:
 Razionalità;
 Regolarità: lo scopo della scienza è quello di scoprire se alcuni fenomeni di verificano più volte, con
una certa regolarità o dopo un determinato periodo di tempo;
 u: le ricerche scientifiche sono volte ad esaminare, scoprire ed individuare delle leggi esistenti in
natura e ad analizzarle;
 Causalità: gli scienziati tendono ad individuare la presenza di nessi causali tra i fenomeni;

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Gli obiettivi della scienza sono:


 Descrivere la realtà: la scienza si impegna a classificare i fenomeni, a suddividere gli individui in gruppi
per definirne meglio le condizioni;
 Scoprire leggi e ricercare le cause dei fenomeni (una legge è un'asserzione o affermazione che
descrive la relazione tra due o più eventi. Non necessariamente manca un rapporto causa-effetto tra
gli eventi);
 Sviluppare teorie, modelli ed ipotesi sulla relazione tra le variabili implicate in un certo fenomeno: le
teorie vengono create unendo tra loro più asserzioni. Le teorie elaborate dalla scienza sono teorie
scientifiche, cioè un insieme di affermazioni riguardanti le relazioni tra le variabili coinvolte in un
determinato fenomeno. Per essere considerata scientifica una teoria deve far riferimento ad almeno
un concetto non direttamente osservabile, ma necessario per spiegare la relazione tra le variabili.
 
La relazione tra fatti, leggi e teorie
Lo scienziato osserva alcuni fatti e giunge, in seguito, alla formulazione di leggi. Più leggi messe insieme
formano una teoria.
Le teorie collegano, a loro volta, fatti e leggi in un contesto unificato e coerente.
 
Le funzioni delle teorie scientifiche
Le teorie consentono di organizzare le conoscenze su un dato fenomeno e spiegare le leggi proposte per
descriverlo.
Le teorie, quindi, promuovono la scoperta di nuove leggi e guidano la ricerca in un determinato quadro
teorico, suggerendo direzioni da seguire, approcci e strumenti da utilizzare.
 
Caratteristiche della scienza contemporanea
In contrapposizione all'ideale moderno di scienza, si sviluppa poi l'ideale contemporaneo. Quest'ultimo, ha
punti di vista e pensieri completamente diversi rispetto all'ideale precedente e sostiene che:
 La scienza si autocorregge;
 La scienza fa progressi: esistono due diverse visioni sul progresso scientifico:
o Concezione lineare della scienza del senso comune, secondo la quale la scienza progredisce in
maniera lineare;
o Concezione proposta da Kuhn (1962), il quale teorizza la struttura delle rivoluzioni scientifiche.
Centrale nel pensiero di Kuhn è il concetto di paradigma. Egli osserva che il progresso è
caratterizzato da un susseguirsi di paradigmi che spesso sono discontinui tra loro, quello che
segue è completamente diverso da quello che precede.
Basato sulle idee di Kuhn, nasce un dibattito che dà luogo a posizioni estreme, come quella del
costruttivismo sociale.

 "La cosiddetta conoscenza non riflette la realtà oggettiva, che esiste indipendentemente dal
conoscere e che viene rivelata dall'applicazione attenta dei metodi.
Piuttosto, ciò che noi pretendiamo di conoscere è una costruzione che dipende dai contesti
all'interno dei quali è creata.
Così la conoscenza è un prodotto dello scambio sociale; ciò che chiamiamo conoscenza è
semplicemente ciò che siamo d'accordo di chiamare verità."

 La scienza è possibilista: non esclude ipotesi;


 La scienza è parsimoniosa: deve fornire spiegazioni dei fenomeni semplici;
 La scienza è interessata alla teoria;
 La scienza è falsificazionista: Popper sostiene che una teoria scientifica, per poter essere considerata
tale, deve poter essere falsificata, deve consentire la possibilità di dimostrarne la falsità.
 

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LA NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA

Letteralmente la psicologia è lo studio della psiche, ovvero dell'anima.


La parola greca psyché deriva da psycho che significa respirare, soffiare, alitare.
Il significato di psicologia, però, viene modificato ed allontanato dal termine originale "anima".
 
"Il termine anima è stato in genere applicato ad una supposta essenza spirituale della personalità umana,
che persiste dopo la morte.
Come tale è connesso a problemi non risolvibili con metodi empirici ordinari.
La psicologia, essendo una scienza generalmente emprica, ha di conseguenza cessato di usarlo come parte
della sua terminologia."
 
La psicologia, quindi, non trova una propria collocazione nelle scienze, essa infatti, potrebbe essere
racchiusa nelle scienze esplicative, le scienze della natura, oppure nelle scienze comprensive o idiografiche,
le scienze umane.
 
Tradizioni di ricerca e correnti nella storia della psicologia
 Psicofisica;
 Strutturalismo (Germania);
 Funzionalismo (Stati Uniti);
 Psicologia della Gestalt (Germania);
 Riflessologia (Unione Sovietica);
 Scuola storico-culturale;
 Comportamentismo;
 Psicoanalisi (Vienna);
 Cognitivismo (Stati Uniti);
 Scienza cognitiva e neuroscienze.

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LEZIONE 3
AGLI ALBORI DELLA PSICOLOGIA
La psicologia, nel suo caratterizzarsi come scienza automa, nell'800, fece ricorso all'ideale di scientificità
allora vigente. Oggettività, empiricità, rigore misurativo e finalità esplicative, divennero così gli imperativi
normativi della nascente psicologia positiva, la quale tendeva a qualificarsi come scienza che aveva come
oggetti fatti "concreti" e come obiettivo la loro spiegazione in termini di leggi generali.
Secondo Comte non c'è posto nell'Enciclopedia delle scienze per la tradizionale psicologia introspettiva
volta allo studio di un mondo interiore immateriale ed inoggettivabile. L'uomo può essere studiato
scientificamente solo da due scienze positive che traggono i loro metodi, criteri e concetti dalla fisica: la
biologia e la sociologia.
 
La psicofisica
La psicofisica nasce in Germania. Questo movimento ha principalmente due figure di riferimento:
 Ernst-Heinrich Weber → fisiologo;
 Gustav Fechner → fisico e filosofo.
 
Fechner fu un autodidatta, egli condusse numerosi esperimenti sulla visione ed elaborò un'idea di
psicologia chiamata, appunto, psicofisica.
L'oggetto della psicofisica è lo studio delle relazioni tra il mondo fisico ed il mondo psichico.
Fechner, ampliando le ricerche di Weber, si concentrò sui processi sensoriali ed in particolare sul modo in
cui gli stimoli dell'ambiente fisico generano reazioni psichiche. Egli, inoltre, propose la dottrina del
parallelismo psicofisico, lo studio cioè delle relazioni tra i fenomeni psichici e fisici, ovvero tra le variazioni
della sensazione e le variazioni della stimolazione ed usa il metodo sperimentale.
Per dimostrare la validità di questa dottrina Fechner propose ad alcuni soggetti degli stimoli e ne registrò le
risposte psicologiche in modo tale da studiare le soglie sensoriali, ovvero la variazione minima affinché il
soggetto percepisca una differenza tra due stimoli (soglia differenziale).
 
Weber e Fechner elaborarono una legge matematica chiamata, appunto, legge di Weber e Fechner che
stabilisce un rapporto quantitativo tra la sensazione soggettiva e lo stimolo fisico che la produce. Secondo
questa legge l'intensità della sensazione soggettiva (S) è uguale al prodotto della costante legata a vari tipi
di sensazione [es. visiva, uditiva…] (K), per l'intensità dello stimolo fisico (log R), cioè:
 
S = K × log R
 
Lo schema esplicativo di questa legge è simile a quello delle leggi naturali deterministiche, in quanto
stabilisce un rapporto necessitante, espresso in termini matematici e quantitativi, tra stimoli e sensazioni.
La psicofisica, però, fu criticata da William James, il quale sostenne che il libro scritto da Fechner, "Elementi
di psicofisica", fu il punto di partenza di un nuovo settore di letteratura scientifica, con il quale sarebbe
impossibile competere, ma il cui esito psicologico nella modesta opinione di chi scrive è niente.
Per James, quindi, non è possibile matematicizzare le risposte agli stimoli di un individuo ed è altrettanto
impossibile decifrarne le sensazioni emotive.
 
Lo strutturalismo
Lo strutturalismo nacque in Germania e si diffuse successivamente negli Stati Uniti, ebbe due esponenti
principali che furono:
 Wilhelm Wundt → filosofo e fisiologo;
 Edward Titchener → allievo di Wundt.
 
Wundt rivendica alla psicologia una sua autonoma area di indagine rispetto alle scienze fisico-biologiche, ne
afferma il carattere strettamente emprico e propugna per essa l'adozione del metodo sperimentale nella
prospettiva di giungere a delle spiegazioni rigorose in termini causali dei fenomeni psichici.
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La psicologia scientifica di cui si occupa Wundt è una psicologia empirica, essa si limita ad osservare e
studiare i processi psichici in quanto tali, nel modo in cui si presentano ed in cui appaiono, come fatti
costitutivi dell'esperienza immediata, ossia l'esperienza che noi continuamente facciamo del mondo e di noi
stessi.
È possibile segnare come data di inizio dello strutturalismo il 1874, anno in cui Wundt pubblicò il suo scritto
"Fondamenti di psicologia fisiologica".
Lo strutturalismo si focalizzava sullo studio degli elementi fondamentali che costituiscono la base di
percezione, coscienza, pensiero, emozioni e altri tipi di attività e stati mentali.
Successivamente alla pubblicazione della sua opera, intorno al 1879, Wundt riesce ad ottenere l'appoggio
dell'università per aprire un laboratorio di ricerca psicologica, il primo nella storia dopo anni di ricerca già
avviati.
Successivamente, nel 1896, Wundt pubblica "Compendio di psicologia".
Tra il 1909 ed il 1920, Wundt pubblica 10 volumi di una raccolta chiamata "La psicologia dei popoli".
Quest'opera distingue due campi di indagine psicologica:
1. Psicologia sperimentale, che utilizza il metodo sperimentale come metodo di indagine e ricerca,
incentrandosi sui processi psichici di base come sensazione, percezione ed attenzione, ed aderisce ai
criteri della scienza moderna;
2. Psicologia dei popoli, che utilizza per l'analisi e la ricerca dei metodi non scientifici, incentrandosi sui
processi psichici superiori, troppo complessi per essere utilizzati dal metodo sperimentale quali
pensiero, linguaggio e comunicazione.
Inoltre, Wundt, diresse per decenni una rivista scientifica intitolata "Studi filosofici", nella quale pubblicava
tutti i suoi studi psicologici, da un lato egli rende la psicologia autonoma dalle altre scienze, dall'altro però
pubblica testi filosofici e nomina anche la rivista utilizzando il termine "filosofici". Questo probabilmente
perché in quel periodo la filosofia era una scienza molto forte e gli psicologi erano visti come una minaccia
da parte dei filosofi e della filosofia in generale.
 
Oggetto dello strutturalismo è principalmente lo studio dell'esperienza immediata cosciente in una
prospettiva elementistica.
La psicologia è una scienza che ha come punto di partenza l'esperienza immediata e soggettiva e, per
questo motivo, molti faticano a definirla una scienza poiché non è vista in modo affidabile. Al contrario, ad
esempio, della filosofia, che ha come punto di partenza per l'analisi l'esperienza mediata e che implica,
quindi, l'utilizzo di specifici strumenti.
Wundt descrive l'esperienza immediata cosciente come una somma di elementi combinati tra loro, egli
inoltre si concentra sulla parte conscia poiché ritiene che l'inconscio non sia studiabile in modo scientifico.
Gli elementi che compongono l'esperienza immediata cosciente si dividono in due categorie distinte:
1. Sensazioni: aspetto cognitivo dell'esperienza → valutazione;
2. Sentimenti: aspetto emotivo dell'esperienza.
L'esperienza è per Wundt un mosaico di elementi che si combinano, che sono appunto le sensazioni ed i
sentimenti.
Lo scopo della psicologia è studiare la struttura dei processi mentali.
Il metodo proposto da Wundt per l'analisi dell'esperienza inconscia in una prospettiva elementistica è
l'introspezione.
L'introspezione è un processo mediante il quale il soggetto osserva i contenuti della propria esperienza
psichica che ha come finalità quella di arrivare a comprendere come si combinano le sensazioni di base per
produrre la nostra percezione del mondo.
Esistono due modi per descrivere la propria esperienza:
1. Introspezione spontanea;
2. Introspezione sperimentale o sistematica nella quale il soggetto passa in rassegna sensazioni ed
emozioni relative all'oggetto in esame. I soggetti che utilizzano questo metodo non devono
commettere l'errore dello stimolo, devono infatti fare riferimento a dei concetti e non ad elementi di
base che costituiscono l'esperienza.

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Attraverso l'introspezione si può giungere alla formulazione di leggi, cioè alla combinazione di processi
psichici.
Secondo Wundt le osservazioni mediante introspezione sono osservazioni soggettive e non oggettive.
Come già diceva Comte, però, l'introspezione è un qualche cosa che si sostituisce all'esperienza immediata.
Quando si compie un atto di introspezione sul proprio modo di percepire, ad esempio, un fiore, si smette di
percepire il fiore immediatamente e si analizzano delle sensazioni già acquisite.
La psicologia è in grado di abbandonare gli atteggiamenti spiritualistici che ricongiunge i fenomeni psichici
all'anima.
 
Teoria della coscienza elementistica
Questa teoria elaborata da Wundt e sviluppata ulteriormente da Titchener, perfeziona il metodo
dell'introspezione e propone una nuova classificazione elementistica dell'esperienza immediata e cosciente
nella quale le sensazioni diventano informazioni psichiche più complesse chiamate percezioni, gli stati
affettivi si combinano in stati psichici più complessi chiamati emozioni ed infine le immagini mentali si
combinano in immagini psichiche più complesse chiamate idee.
 
 Punti deboli della teoria di Wundt
Gli aspetti più criticati della teoria di Wundt furono principalmente due:
a. Tutti i soggetti degli esperimenti di Wundt erano suoi collaboratori, pertanto non era possibile
applicare il metodo utilizzato su di loro a qualunque individuo poiché ciò richiedeva un
addestramento ai soggetti. Le indagini su esperti di psicologia, infatti, non valgono per tutta la
popolazione. I risultati deformano l'oggetto di indagine e sono ritenuti non attendibili, per
questo a partire dal 900 questi esperimenti non saranno più condotti su esperti;
b. Criticata fu anche la natura dell'introspezione. Questo metodo, infatti, per molti era ritenuto
non adatto. Per Comte, ad esempio, ogni volta che un soggetto osserva la sua esperienza,
questa cessa di esistere poiché appartenente al passato. (introspezione ≠ retrospezione → nel
passato)
 
Il funzionalismo
Il funzionalismo nacque negli Stati Uniti. Questo movimento poté contare sull'appoggio del filosofo William
James, il quale nel 1890 pubblicò il libro "Principi di psicologia" che con quest'opera tracciò le linee generali
teoriche e metodologiche di questa nuova corrente.
Il modello torico al quale il funzionalismo fa riferimento non è più tratto dalla fisica, bensì dal vitalismo
teologico dalla teoria evoluzionistica. Dal primo il funzionalismo trae il concetto secondo cui gli organismi
viventi si distinguono dagli oggetti inorganici proprio per la loro capacità di essere attivi e di agire in base a
dei fini. Dalla seconda invece, deriva il concetto di adattamento e l'interesse per lo studio delle differenze
individuali, intese come possibilità differenziali di interazione e adattamento all'ambiente.
Lo scopo del funzionalismo fu da sempre quello di studiare i fenomeni e le condizioni della vita mentale e
delle relazioni tra questa e le modificazioni comportamentali e somatiche che la accompagnano. Per
fenomeni mentali James intende sentimenti, desideri, cognizioni, ragionamenti e simili, raggruppati in certe
facoltà quali la coscienza, la memoria, l'emozione.
Le manifestazioni mentali dipendono dall'organismo e in particolare dal sistema nervoso centrale e di esso
costituiscono l'aspetto funzionale ed attivo. Il carattere attivo dei fenomeni mentali esclude, oltre che la
loro riducibilità a semplici riflessi, anche la loro interpretazione strutturalistica in termini di mosaici di
elementi semplici e statici.
L'impostazione del funzionalismo è eclettica, coinvolge cioè più metodi di ricerca:
1. Introspezione, che analizza le sensazioni, la percezione ed il pensiero;
2. Osservazione del comportamento o sperimentazione, che studia la motivazione e l'emozione. Il tema
delle emozioni viene proposto da James poiché nelle emozioni è evidente ed importante la reazione
comportamentale;
3. Test, i quali sottopongono i soggetti a degli stimoli (domande) e poi ne raccolgono i dati (risposte).

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Nel funzionalismo, al contrario dello strutturalismo, non vi è l'esigenza di scomporre l'esperienza, il


pensiero deve essere analizzato nella sua totalità. Se lo strutturalismo assume una posizione elementistica,
possiamo dire che il funzionalismo si contrappone assumendo una posizione di tipo anti-elementistico.
 

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LEZIONE 4
La psicologia della Gestalt
La psicologia della Gestalt nasce in risposta allo strutturalismo di Wundt, ha le sue prime origini in
Germania e solo anni dopo si diffonde anche negli Stati Uniti.
Questo movimento può contare su quattro esponenti principali:
 Max Wertheimer;
 Wolfgang Köhler → allievo di Wertheimer;
 Kurt Koffka → allievo di Wertheimer;
 Kurt Lewin → psicologo sociale.
La nascita di questo movimento è convenzionalmente ricordata nell'anno 1912, anno in cui Wertheimer
pubblicò il libro "Studi sperimentali sulla visione del movimento".
I Gestaltisti sostengono che la psicologia, in quanto scienza empirica, deve volgersi allo studio dei fatti
dell'esperienza diretta, allo stesso modo delle scienze naturali.
Gestalt significa letteralmente forma, totalità, il tutto dotato di una forma ma, secondo la Gestalt, il tutto è
più della somma delle singole parti. I singoli elementi giocano un ruolo diverso da quello che avrebbero al di
fuori di essa.
 
Ognuno dei rappresentanti di questo movimento condusse personali studi che portarono, poi, a quello che
è la psicologia della Gestalt.
Max Wertheimer condusse esperimenti sul movimento.
 
[es. egli studiò che, puntando fasci di luce su di uno schermo e puntando un'immagine in un altro punto
dello schermo, a distanza di poco tempo, il soggetto avrà la percezione che il punto illuminato si muova
(fenomeno del movimento apparente).
Nel caso di questo esperimento, la mente attribuisce a stimoli separati una forma, la percezione del
movimento dipende, quindi, dall'insieme.]
 
Come Wundt, i gestaltisti, sono convinti che la psicologia e le scienze naturali abbiano il medesimo punto di
partenza, appunto, l'esperienza diretta.
Diverso, però, rispetto agli strutturalisti è il modo che gli psicologi della Gestalt hanno di concepire
quest'ultima. Secondo i Gestaltisti l'esperienza diretta è l'esperienza del mondo così come ce lo troviamo
intorno, la quale ci rivela non un mosaico di qualità semplici ed elementari, ma un insieme strutturato di
oggetti ed eventi. I dati dell'esperienza, insomma, si presentano immediatamente come organizzati
secondo forme o strutture d'ordine.
Il punto di partenza di questi studi fu per Wertheimer, appunto, lo studio dell'esperienza immediata
cosciente ma analizzata in una prospettiva anti-elementistica e anti-meccanicistica, l'esperienza, quindi,
veniva vista come un insieme strutturato di oggetti ed elementi, ma questi non venivano scomposti e
singolarmente analizzati.
 
[es. riproducendo la stessa melodia con diversi strumenti si utilizzano note diverse ma la nostra mente
percepisce la stessa melodia in quanto percepisce l'insieme delle note che, seppure diverso da strumento a
strumento, produce la medesima melodia.]
 
In ultimo, Wertheimer, utilizzò le illusioni ottico-geometriche, un meccanismo secondo il quale le forme
vengono percepite nel loro insieme e non secondo una divisione degli elementi costitutivi.
 
Köhler, invece, sostenne che la psicologia è una scienza giovane e che, come ogni scienza agli inizi, si fonda
prevalentemente su metodi osservativi e qualitativi e solo in un secondo momento affina le sue tecniche
arrivando a delle misurazioni ottenute tramite strumenti.

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Per acquisire informazioni sui processi psichici, quindi, egli si avvalse de metodo osservativo e qualitativo,
un metodo di tipo fenomenologico che si occupa di ricostruire l'esperienza senza ricondurla ad elementi di
base.
Nel 1921 Köhler pubblicò l'opera "L'intelligenza delle scimmie antropoidi". Egli, infatti, studiò il
comportamento degli scimpanzé in gabbia ed osservò che gli animali riuscivano a raggiungere il cibo, posto
solitamente in alto, in modo intuitivo e non in seguito ad un meccanismo di tentativi ed errori. Gli animali,
quindi, risolvevano il problema del raggiungimento del cibo attuando processi di organizzazione del
problema.
 
Un'altra opera molto importante fu pubblicata nel 1935 da Koffka e fu "Principi di psicologia della forma".
Secondo Koffka l'esperienza diretta non è solo di tipo percettivo: aver esperienza non significa solo
percepire l'ambiente esterno ma anche agire in quell'ambiente, modificarlo ed essere modificati da esso.
Koffka propose una distinzione concettuale tra due nozioni di ambiente:
1. Ambiente geografico, cioè l’ambiente fisico in cui si trova il soggetto, gli stimoli fisici indipendenti dal
soggetto;
2. Ambiente comportamentale, cioè il campo di esperienza del soggetto, lo scenario in cui il soggetto si
muove ed agisce, strettamente dipendente dal soggetto in quanto quest'ultimo può, con il suo
comportamento, modificare il suo ambiente. L'ambiente comportamentale è composto da situazioni
significative che, in quanto tali, sono prodotte dall'organismo.
Questo allargamento del concetto di ambiente influenzerà gli studi condotti da Lewin.
 
Lewin, infatti, sviluppa una teoria che rientra nella psicologia sociale, chiamata teoria dei fenomeni psichici.
Alla base di questa teoria c'è il principio dell'isomorfismo, principio generale che descrive il funzionamento
della psiche e del cervello. Psiche e cervello utilizzano processi dotati di struttura.
In questo modo è possibile dire che l'isomorfismo acquisisce la stessa forma dei processi neurologici e
psichici.
 
La psicologia russa
La psicologia russa racchiude al suo interno due movimenti:
 La riflessologia;
 La scuola storico-culturale.
 
La riflessologia
La riflessologia o riflessiologia nacque in Russia ed ebbe tre esponenti principali:
 Sečenov → fisiologo;
 Bechterev → fisiologo e psichiatra;
 Pavlov → fisiologo.
La data di nascita di questo movimento è il 1863, anno in cui Sečenov pubblicò il suo testo "I riflessi del
cervello", opera in cui egli si propone di dimostrare che le attività psichiche umane possono essere spiegate
attraverso l'attività nervosa del cervello, la quale è anch'essa di tipo riflesso. I riflessi del cervello
differiscono da quelli semplici o automatici per il loro maggior grado di complessità, dovuto al fatto che gli
stimoli attivanti le risposte motorie provengono da più canali sensoriali, oltre che dalla memoria e dai "sensi
sistemici", intesi come percezioni interne relative allo stato di benessere o malessere dell'organismo.
Nell'ambito di questa scuola, i contenuti psichici non sono considerati autonomamente, ma ridotti e
spiegati in termini neurofisiologici.
L'oggetto degli studi della riflessologia sono i riflessi semplici e condizionati su cui si fonda l'attività psichica.
Il metodo utilizzato per questa analisi è quello degli esperimenti in laboratorio, in particolare sugli animali
(Pavlov: cani), in quanto non esiste una vera e propria distinzione tra la psicologia umana e quella animale
poiché entrambe hanno i medesimi principi di funzionamento.
Per spiegare gli studi della riflessologia è stato utilizzato un particolare modello chiamato modello dell'arco
riflesso, importante concetto esplicativo della teoria meccanicistica dell'uomo, dapprima utilizzato per
spiegare le risposte comportamentali semplici, automatiche e, successivamente, impiegato anche per

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Psicologia Generale

spiegare in termini di riflessi anche i processi psichici superiori come il pensiero ed il sentimento. In base a
questo principio, le risposte comportamentali vengono spiegate attraverso un semplice modello meccanico
secondo il quale lo stimolo fisico, agendo sugli organi di senso, mette in azione il sistema nervoso, dando
luogo ad un impulso che viene condotto dall’organo di senso ai centri nervosi superiori. Lo stimolo è
ricevuto e dà luogo ad un altro impulso che è condotto dalle fibre nervose fino al sistema muscolare, con
conseguente risposta motoria. Questa risposta può portare a due tipi diversi di riflessi:
 Riflessi incondizionati, dati dalle parti basse del sistema nervoso;
 Riflessi condizionati, dati dalle parti alte del sistema nervoso.
Gli elementi dell'arco riflesso, quindi, sono tre: il recettore, il centro nervoso e l'effettore che origina la
risposta.
L'attività psichica, quindi, è vista come una conseguenza dello svolgersi di fenomeni psichici.
 
La scuola storico-culturale
La scuola storico-culturale si sviluppa in Russia grazie a tre figure portanti che sono:
 Lev Vygotskij, definito il Mozart della psicologia;
 Aleksandr Lurija;
 Aleksej Leontjev.
Questo movimento comincia nel 1934 quando Vygotskij pubblica il libro "Pensiero e linguaggio".
Per la scuola storico-culturale è centrale la necessità di teorie psicologiche in grado di scegliere, come
fattori esplicativi fondamentali, gli aspetti storico-sociali dell'uomo. Questa corrente propone una
spiegazione sociale della coscienza. Questa concezione è fortemente influenzata dagli avvenimenti storici
riguardanti la Russia in quel periodo. Agli inizi del 900, infatti, la Russia è sconvolta dalla rivoluzione
d'ottobre che abbatte il regime zarista.
La concezione della psicologia che nasce in questo periodo è quindi di stampo marxista in quanto Marx
definisce il soggetto psicologico come entità interamente determinata da fenomeni sociali.
L'esistenza umana non è vista come qualcosa di insito ed inseparabile ma, anzi, si tratta dell'insieme dei
fenomeni sociali. Pertanto, per capire l'uomo e le sue attività psichiche è necessario analizzarlo inserito nel
contesto sociale in cui vive.
Analizzano questo aspetto della condizione umana è emerso che possono crearsi due diversi tipi di rapporti:
 Rapporti strutturali, che sono un fenomeno prettamente economico;
 Rapporti sovra-strutturali, che rappresentano un fenomeno politico, storico e religioso.
La scuola storico-culturale si concentra principalmente sullo studio delle determinanti sociali, storiche e
culturali dei processi psichici. L'organizzazione sociale permette l'accumulazione progressiva del sapere
umano, frutto delle esperienze compiute nel tempo, attraverso gli strumenti e i simboli linguistici.
L'individuo sociale deve dunque compiere, nella sua fase evolutiva, un processo di adattamento ad un
ambiente storico e culturale che è quello del gruppo sociale in cui si trova a vivere. Naturalmente questa
forma di adattamento e di appropriazione della cultura dipendono dalla collocazione sociale dell'individuo.
Il metodo utilizzato per questo tipo di analisi è quello delle ricerche evolutive e transculturali, evolutive in
quanto viene studiata l'evoluzione della psiche dall'infanzia all'età senile ed in particolare vengono
analizzate le modificazioni che intercorrono nella psiche con il passare del tempo; transculturali perché
l'interesse delle ricerche è mirato sul contesto storico e culturale in cui è collocato l'individuo e talvolta, per
evidenziare maggiormente le differenze, vengono comparati casi di individui appartenenti a contesti
culturali differenti.
Le idee della scuola storico-culturale conobbero poco successo perché scritte in russo.
 
La psicoanalisi
La psicoanalisi nacque a Vienna e si diffuse poi in tutta l'Unione Europea e negli Stati Uniti.
Ebbe tre esponenti principali che furono:
 Sigmund Freud;
 Melanie Klein;
 Donald Winnicott.

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L'anno 1900 si considera l'anno di nascita della psicoanalisi, anno in cui Freud pubblicò il suo scritto
"L'interpretazione dei sogni". Quest'opera per Freud sarebbe stata la rivoluzione nel modo di studiare ed
intendere i fenomeni psichici.
La teoria psicoanalitica di Freud introduce un cambiamento di prospettiva grazie al ricorso a due nuovi
concetti esplicativi quello dell'esperienza psichica inconscia e quello relativo all'efficacia dinamica dei
bisogni e delle pulsioni. La dimensione psicologica non è spiegata solamente come complesso di risposte a
stimoli esterni, ma anche e soprattutto in termini di sollecitazioni interne che si originano dall'area dei
bisogni. È il bisogno che muove l'organismo in un ambiente percepito come potenziale fonte di
soddisfacimento. La percezione e la coscienza del mondo esterno, di conseguenza, non sono concepite
come pure e neutrali attività di contemplazione, ma come interpretazioni conoscitive interessate, parziali,
legate ai bisogni.
Purtroppo, però, sin dalle origini, la psicoanalisi fu molto criticata ed accusata di essere una teoria non
scientifica in quanto non rispetta il principio del falsificazionismo, idee e principi non possono essere
smentiti.
Nel 1922 Freud spiegò che la psicoanalisi è un procedimento di indagine dei processi psichici che va, quindi,
messo sullo stesso piano delle altre teorie. Questo metodo di intervento può essere utilizzato anche per il
trattamento di patologie psichiche, come forma di terapia e pertanto è da considerarsi differente dalle altre
teorie. Ed inoltre, la psicoanalisi è un insieme di conoscenze convergenti in una nuova disciplina scientifica,
va quindi oltre lo studio dell'individuo, può spiegare dei fenomeni più complessi di quelli che possono
essere spiegati con le altre teorie o fenomeni che riguardano la società.
 
Sigmund Freud nacque il 6 maggio 1856 in Repubblica Ceca.
A partire dalla fine degli studi obbligatori è possibile suddividere la vita di Freud in due periodi ben distinti:
1. Periodo pre-psicoanalitico, in cui egli si iscrisse a medicina ed interessandosi particolarmente alla
neurologia si avvicinò ed interessò sempre più ai fenomeni psichici. Fu in questo periodo che egli
condusse parecchi studi che lo portarono, poi, alla fondazione della psicoanalisi. Durante questi anni
egli si concentrò anche sullo studio dell'ipnosi a Parigi;
2. Periodo psicoanalitico, durante il quale egli ebbe la possibilità di aprire uno studio di neurologia dove
iniziò ad applicare il metodo dell'ipnosi attraverso il metodo catartico. Con l'ipnosi viene chiesto al
paziente di rivivere momenti di angoscia durante la terapia e viene chiesto di riferire tutto ciò che
viene in mante, tutte le associazioni che si vengono a creare. L'analista può dare degli input a cui il
paziente deve rispondere. Questo metodo, però, si rivelò inadeguato per le patologie mentali e per
questo viene affiancato ad un ulteriore metodo, il metodo dell'interpretazione dei sogni. Freud
considera il sogno come una via per accedere all'inconscio, l'oggetto di studio che egli vuole
perseguire. I sogni, infatti, racchiuderebbero un contenuto latente (= nascosto).
 

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LEZIONE 5
Per Freud la coscienza è la parte più superficiale della psiche, al contrario, la parte più complessa e
profonda è l'inconscio, che viene da sempre tralasciato dalle altre discipline.
Per questo motivo, egli ritiene che la psicoanalisi sia anche utile per spiegare la vita normale, di tutti i giorni.
Il principale oggetto di studio della psicoanalisi sono, appunto, le motivazioni inconsce del comportamento
umano. La presenza di materiale psichico inconscio è strettamente connessa con il carattere dinamico e
conflittuale dell'apparato psichico. L'inconscio non è costituito solamente da ricordi dimenticati che
possono ritornare alla memoria attraverso processi di attenzione e di richiamo, ma da ricordi "rimossi" i
quali, a causa di una forte conflittualità tra il bisogno che essi rappresentano e le esigenze di controllo
normativo, sono stati "censurati" e respinti dalla coscienza. Per attuare questo tipo di studi questa corrente
utilizza il metodo interpretativo.
L'interpretazione parte dall'esame dei fatti psichici consci, per ricostruire, a partire da indici e segnali la
trama dei sottostanti contenuti psichici inconsci. Questo metodo può essere definito per certi aspetti di tipo
comprensivo proprio perché esso si applica solamente all'ambito di uno stretto rapporto intersoggettivo
che sembra eliminare la distanza osservatore-osservato, soggetto-oggetto, dando luogo ad una conoscenza
fondata più su risonanze affettive che su distaccate osservazioni oggettive.
 
Una teoria molto importante studiata da Freud è la teoria della personalità. Per Freud la personalità è il
punto di equilibrio del conflitto che contrappone conscio ed inconscio.
Secondo la teoria strutturale dell'apparato psichico di Freud, la personalità, quindi, può essere immaginata
come la somma dei rapporti dinamici e conflittuali di tre istanze:
1. Conscio, a cui corrisponde il SUPER-IO, l'istanza del controllo normativo delle tendenze e dei bisogni
che il soggetto fa sua introiettando modelli di controllo esterni. Ovvero quella parte della personalità
che si genera con l'introiezione (= accogliere dentro di sé) delle norme parentali e sociali e che si
struttura grazie all'interazione con familiari e altri individui;
2. Preconscio, a cui corrisponde l'IO, legato agli aspetti percettivo-coscienti dell'esperienza psichica. Si
tratta di quell'istanza della personalità che accoglie i bisogni dell'ES e che media tra mondo interno ed
esterno, si tratta dell'istanza centrale della personalità;
3. Inconscio, a cui corrisponde l'ES, quella parte della personalità completamente sommersa, la sede
dell'attività psichica inconscia, l'area in cui risiedono i bisogni dell'individuo, che contiene le
rappresentazioni psichiche dei bisogni e che viene dominata dalle pulsioni.
I termini dell'insanabile conflitto costitutivo del soggetto psicologico sono dunque tre: i bisogni, le esigenze
di adattamento biologico alla realtà ambientale esterna, le esigenze di adattamento culturale e sociale al
patrimonio di civiltà di un certo gruppo sociale.
IO e SUPER-IO agiscono per reprimere e sopprimere le spinte dell'ES e ciò più essere alla base di alcune
forme di psicopatologia. Freud, infatti, spiega che rinunciare al soddisfacimento delle pulsioni di base è
obbligatorio per adattarsi alla civiltà e alla società ma che, al contempo, può provocare disagio e sacrificio
da parte dell'individuo.
L'apparato psichico, quindi, è un'entità bio(es)psico(io)sociale(super-io).
Gli studi sulla personalità sviluppano l'esigenza, che è propria della psicologia contemporanea, di
spiegazioni sempre meno astratte e più realistiche del soggetto psicologico, spiegazioni in grado di condurlo
dalle strettoie della conoscenza al riconoscimento della complessità dei suoi aspetti soggettivi in relazione
con la ricchezza del suo ambiente.
I principi che caratterizzano il funzionamento psichico sono due:
1. Principio del piacere, secondo il quale la psiche mira ad evitare il dispiacere e ad ottenere il massimo
piacere;
2. Principio della realtà, che riguarda la capacità dell'individuo di differire nel tempo la soddisfazione
dei bisogni.
 

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La psicoanalisi non è, tuttavia, una metodologia scientifica di tipo classico in quanto i fenomeni sono relativi
ad un singolo paziente e la soluzione viene a crearsi in seguito ad un legame che si costruisce tra analista e
paziente e ciò condiziona la visione dell'analista.
Freud, allora, allarga il campo di indagine anche della psicoanalisi proponendo la teoria dello sviluppo
psicosessuale. Con questa teoria, Freud, intendeva comprendere e studiare la sessualità in evoluzione, a
partire, quindi dalla sessualità infantile.
Freud suddivise lo sviluppo psicosessuale del bambino in cinque fasi:
1. Fase orale (1 anno);
2. Fase anale (2-3 anni);
3. Fase fallica (3-5 anni);
4. Periodo di latenza (5 anni-pubertà);
5. Fase generale (pubertà-età adulta).
È stato, quindi, studiato che in ogni stadio l'individuo cerca piacere attraverso una determinata parte del
corpo.
 
Il comportamentismo
Il comportamentismo nacque negli Stati Uniti come evoluzione del funzionalismo.
Gli esponenti principali di questa corrente furono:
 John Watson, per la prima fase (comportamentismo classico);
 Edward Tolman, Clark Hull, Burrhus Skinner, per la seconda fase (neocomportamentismo).
Nel 1913 Watson pubblicò il testo "La psicologia così come la vede il Comportamentista", ritenuto il
manifesto della psicologia comportamentista.
In base a questa corrente la psicologia è da considerarsi una delle scienze della natura e di esse deve
assumere la metodologia "obiettiva" consistente nell'osservazione, misurazione e sperimentazione, da
applicarsi esclusivamente a dati empirici ed oggettivi. Il concetto di oggettività e di empiricità a cui Watson
allude, non è quello dell'esperienza diretta, bensì quello della fisica classica per la quale l'oggetto deve
essere qualcosa di esterno al soggetto e perciò pubblicamente osservabile. Esso, inoltre, deve avere il
carattere della concretezza e della materialità che ne permettono la misurazione rigorosa.
Il comportamentismo, quindi, è mirato a studiare il comportamento osservabile. Lo psicologo può studiare
solo ciò che può essere osservato e l'unico aspetto oggettivo ed empirico è il comportamento, che include
tutto ciò che il soggetto fa o dice.
L'osservazione del comportamento deve avvenire in una prospettiva associazionistica anti-meccanicistica.
Il comportamento è la relazione causale tra stimoli e risposte. Partendo dagli stimoli, lo psicologo può
prevedere le reazioni (risposte).
Il metodo utilizzato dal comportamentismo è il metodo sperimentale. Secondo questo metodo osservando
il comportamento, esclusi la percezione e gli altri fenomeni psichici di base, ed integrando il pensiero, ossia
tutti quei micromovimenti compiuti da un soggetto per risolvere un determinato problema, è possibile
studiare l'apprendimento.
Secondo il comportamentismo è possibile studiare il comportamento umano analizzando quello animale.
 
 Modello teorico del comportamentismo
 
S - R
 
Secondo questo modello ogni atto mentale, anche il più complesso, altro non è che una sequenza di
connessioni tra stimoli e risposte, per i comportamentisti il cervello è un black box, quindi, si può
studiare l'uomo solo tramite il comportamento.
In questa prospettiva non c'è differenza tra il comportamento umano e quello animale poiché sono
entrambi riducibili a schemi di attività rispondente di tipo meccanico.
In questo modello i comportamenti sono spiegati solo facendo riferimento agli stimoli, conoscendo
l'ambiente in cui si trova l'individuo possiamo prevederne il comportamento.
 
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 "Lo scopo degli studi psicologici è stabilire dei dati e delle leggi tali che, dato lo stimolo, la
psicologia possa prevedere quale sarà la reazione; e che, d'altra parte, data la reazione, essa
possa determinare quale fosse la natura dello stimolo."
[Watson]
 
Leggi di tipo deterministico: una volta noti gli stimoli siamo in grado di prevedere le risposte.
I comportamentisti credono che tutto derivi dall'ambiente, i fattori genetici non sono
determinati.
 
 "La capacità, il talento, il temperamento, la costituzione mentale e le caratteristiche individuali
non dipendono affatto dalla ereditarietà. Questi elementi dipendono dall'apprendimento che
inizia già dalla culla."
[Watson]
 
È possibile prevedere come si svilupperà la personalità (variabili dipendenti) conoscendo
l'ambiente (variabili indipendenti). Le variabili indipendenti influenzano le dipendenti.
 
 "Datemi una dozzina di bambini, di sana e robusta costituzione, e un ambiente organizzato
secondo i miei specifici principi, e vi garantisco che, prendendo ciascuno di loro a caso, sarò in
grado di farne lo specialista che desidero, sia esso un medico, un avvocato, un artista, un
capoufficio vendite e, perché no, anche un mendicante o un ladro.
Il tutto senza tenere conto dei suoi talenti, inclinazioni, attitudini, abilità, preferenze e della
razza dei suoi antenati."
[Watson]
 
Per Watson tutti partiamo, alla nascita, con le stesse possibilità ed è solo l'ambiente a farci
diventare qualcuno, migliore è l'ambiente, migliore sarà la professione che svolgeremo e
viceversa. Tutti possono aspirare al successo.
Queste idee trovarono approvazione in America intorno agli anni 20 e 30 con l'idea del self-
made man, l'uomo capace di farsi da solo.
L'idea di Watson ebbe sbocchi applicativi in ambito scolastico, tutti i bambini potevano
raggiungere gli stessi successi se adeguatamente supportati. Questa visione, però, non teneva
conto dei processi di mediazione degli stimoli.
 
Gli stretti schemi della teoria di Watson, però, vengono criticati ed ampliati da altri autori tra cui ricordiamo
Tolman e Skinner. Tolman, in particolare, fa notare come la teoria del comportamentismo rispondente al
modello indicato da Watson non sia sufficiente a spiegare il carattere dell'attività dell'organismo animale ed
umano. Così il modello teorico del comportamentismo S - R viene sostituito da un nuovo modello:
 
S - O - R
In questo modello tra gli stimoli e la risposta si pone l'organismo, aggiungendo delle variabili che sono
chiamate variabili intervenienti, di mediazione o organismiche e che sono dipendenti dall'intenzionalità
dell'organismo.
Continuano, però, ad essere assenti riferimenti alla parte mentale dell'individuo.
Anche Skinner considera il modello proposto da Watson insufficiente ed introduce, quindi, il concetto di
comportamento operante. Egli riconosce al comportamento umano e animale una certa operatività e
attività spontanee. Le risposte, ovvero gli atti comportamentali, non sono tutti provocati da stimoli esterni
riconoscibili, molte si producono senza che si possano individuare cause esterne precise.
Con il comportamentismo l'attenzione della psicologia scientifica si sposta dal mondo interno e soggettivo
della coscienza a quello dei fatti oggettivi esterni: gli stimoli fisici e le risposte comportamentali. Questo
spostamento dell'attenzione contribuisce ad arricchire la spiegazione dell'uomo psicologico.
 
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Il cognitivismo
Il cognitivismo nasce nel 1967, quando Neisser pubblicò il suo libro "Psicologia cognitivista" (cognitive
psychology).
Il cognitivismo mantiene alcuni elementi di continuità con la fase neo comportamentale.
Cognitivismo e comportamentismo classico, invece, si differenziano per alcuni particolari, nel
comportamentismo classico, ad esempio, non ci sono riferimenti a processi mentali.
La cibernetica è la scienza che studia l'analisi comparativa tra macchine naturali ed artificiali.
 Struttura di un sistema per la cibernetica
Gli input o stimoli, vengono recepiti da un apparato recettore che, a sua volta, passa lo stimolo al
centro elaboratore (cervello) che decodifica i messaggi e compie delle scelte. Questa decisioni
vengono trasmesse all'apparato effettore (sistema muscoloscheletrico, apparato muscolare…), che
mette in atto una risposta. Possiamo quindi dire che esiste una sorta di feedback tra l'apparato
recettore e l'apparato effettore.
Il processo, però, non si ferma qui, poiché la risposta dell'effettore ritorna e "retroagisce" come
nuovo messaggio sul recettore, permettendo al sistema di controllare le sue risposte.

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LEZIONE 6
Lo schema rappresentato della struttura di un sistema per la cibernetica venne chiamato schema di Von
Bertalanffy, secondo questo autore ogni organismo è descrivibile come un sistema aperto che interagisce
con l'ambiente attraverso uno scambio di materia-energia e informazione. Ogni sistema aperto è in grado di
autoregolarsi, cioè di controllare e regolare il proprio comportamento, grazie a meccanismi retroattivi
funzionanti secondo un modello di causalità circolare. Questo sistema venne recepito principalmente da tre
studiosi:
 Miller → psicologo che ha studiato la quantità di informazioni che si possono contenere nella
memoria a breve termine;
 Galanter → psicologo scientifico;
 Pribram.
Questi tre psicologi hanno proposto un modello, chiamato modello T.O.T.E. (test operate, test exit), che
segna un nuovo modo di concepire l'attività psicologica e comportamentale dell'individuo.
Secondo questo modello quando un individuo deve raggiungere un determinato obiettivo, egli controlla
che vi siano le condizioni esatte ed esegue l'azione. Quest'azione avrà un esito. Se egli valuta che l'azione è
andata a buon fine si può determinare lo schema di prova e controllo.
 
Il soggetto è un sistema aperto che interagisce con l'ambiente esterno e viene influenzato da quest'ultimo.
Gli psicologi cognitivisti sostengono che all'interno dell'organismo gli stimoli vengano elaborati in termini di
informazione (dall'informatica bit, unità di misura dell'informazione, vale a dire la quantità di informazione
necessaria ad eliminare l'incertezza circa l'esito di una situazione con due alternative equiprobabili).
Da qui, nasce quindi una nuova teoria, la teoria dell'elaborazione dell'informazione. (hip = human
information processing)

Il cognitivismo utilizza il modello sperimentale ed il modello simulativo.


Il modello sperimentale viene applicato con l'utilizzo di due diversi strumenti:
1. L'introspezione, il soggetto accede alla sua esperienza cognitiva e la riferisce;
2. La misurazione dei tempi di reazione, all'aumentare del tempo necessario per svolgere un'operazione
psicologica aumenta la complessità dell'operazione. Esistono diversi livelli di complessità per diverse
operazioni.
Il modello simulativo, invece, rappresenta i metodi utilizzati per riprodurre sul calcolatore i processi oggetto
di analisi per mezzo di programmi implementati sul calcolatore.
 
 Esempio di modello cognitivista
Un esempio di modello cognitivista è il modello multi-magazzino di Atkinson e Shriffin (1968),
secondo il quale l'input passa attraverso la memoria sensoriale, arriva fino alla memoria di breve
termine ed infine giunge nella memoria di lungo termine. Tra la memoria sensoriale e la memoria a
breve termine si ha una perdita dell'informazione per decadimento o interferenza, ma
successivamente, tra la memoria a breve termine e quella a lungo termine si ha un'operazione di
recupero.
 
Punti di forza:
o Aver introdotto le variabili mentali nella psicologia scientifica;
o Aver introdotto metodi scientifici per l'analisi del mentale e quindi la possibilità di controllare le
variabili dipendenti del processo.
 
Punti di debolezza:
o Incapacità di studiare il soggetto psicologico nell'ambiente naturale. Neisser, infatti, sottopone
ad una critica le tesi del cognitivismo, sostenendo una fase più matura del cognitivismo, il
cognitivismo ecologico. Questa seconda fase del cognitivismo nasce in America ed ha il fine di
fornire spiegazioni meno parcellari ed astratte dell'individuo, recuperandone gli aspetti
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esistenziali reali in relazione a un concreto ambiente considerato nei suoi numerosi aspetti, da
quelli naturali e geografici a quelli socio-culturali e storici. Tale impostazione è interdisciplinare
e si avvale di apporti di numerose discipline
Neisser sostiene che il laboratorio in cui si effettuano le ricerche sia diverso dall'ambiente dove,
poi, si trova il soggetto. Quindi egli crede che le condizioni di ricerca non siano alla pari di quelle
reali del soggetto.
Neisser crede che sia necessario considerare le variabili ecologicamente importanti.
 "Gli psicologi cognitivisti devono compiere sforzi maggiori per comprendere l'attività
cognitiva che si manifesta nell'ambiente ordinario e nel contesto di attività concrete.
Questo non significa porre un termine agli esperimenti di laboratorio, bensì è un impegno
a studiare le variabili ecologicamente importanti, anziché quelle facilmente manipolabili."
[Neisser]
 
 "In secondo luogo sarà necessario dedicare maggiore attenzione ai particolari del mondo
reale in cui vivono coloro che percepiscono e coloro che pensano, e alla delicata struttura
di informazioni resa loro disponibile da quello stesso mondo. Forse abbiamo profuso
troppi sforzi a elaborare modelli ipotetici della mente, e non abbastanza all'analisi
dell'ambiente che la mente, per sua formazione è predisposta ad incontrare (…) È difficile
formulare una teoria soddisfacente dell'attività cognitiva, se ci si deve basare solo su
esperimenti che forniscono a soggetti privi di esperienza brevi opportunità di eseguire
compiti nuovi e privi di significato."
[Neisser]
 
 "Gli studi contemporanei dei processi cognitivi impiegano solitamente del materiale-
stimolo che è astratto, discontinuo è solo marginalmente reale. Sembra quasi che nel
programma sperimentale si cerchi deliberatamente questa caratteristica della non
validità ecologica. Ai soggetti che si fanno vedere lettere e parole isolate, qualche volta
disegni o fotografie, ma quasi mai degli oggetti veri e propri. Inoltre questi stimoli non
appaiono mai alla vista in condizioni normali: di solito si materializzano in un campo fino
ad allora a vuoto, e spesso scompaiono di nuovo così rapidamente che l'osservatore non
ha modo di esaminarli con una certa cura. Appaiono come sospesi magicamente nello
spazio, senza sfondo, senza profondità, e senza strumenti visibili di sostegno."
[Neisser]
 
 "Il concetto di validità ecologica è ormai diventato familiare agli psicologi. E sosta a
ricordare loro che la situazione artificiale costruita per un esperimento può differire in
modo cruciale dal mondo quotidiano. Quando questo si verifica, i risultati possono
apparire irrilevanti rispetto ai fenomeni che si vorrebbero veramente spiegare. Ad
esempio, le ricerche sperimentali di laboratorio che studiavano come i ratti appendessero
a muoversi nei labirinti non sono riuscite a spiegare le capacità di apprendimento che gli
stessi animali esprimono nel loro ambiente naturale."
[Neisser]
 
 "Siccome la psicologia riguarda gli esseri umani, essa non può evitare la responsabilità di
trattare delle questioni fondamentali circa la natura umana (...) Una teoria psicologica
che vada a fondo dei problemi può modificare le convinzioni di un'intera società, come ha
indubbiamente fatto, ad esempio, la psicoanalisi. Questo però può avvenire solo se la
teoria ha qualcosa da dire su ciò che la gente fa in situazioni reali e culturalmente
significative. Ciò che dice (...) deve fornire spiegazioni ragionevoli a coloro che
partecipano a queste stesse situazioni. Se una teoria manca di tali qualità - se non
possiede ciò che oggi come oggi viene definito 《validità ecologica》 - prima o poi verrà
abbandonata."
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Psicologia Generale

[Neisser]
 
 "... gli psicologi cognitivisti devono esaminare le implicazioni del loro lavoro
relativamente a problemi più fondamentali: la natura umana è troppo importante per
lasciarla ai comportamentisti e agli psicoanalisti."
[Neisser]
 
La scienza cognitiva e le neuroscienze
La scienza cognitiva è un programma di ricerca interdisciplinare sulla mente che nasce sulla base del
paradigma della psicologia cognitiva.
Questo approccio interdisciplinare raccoglie tutti gli studiosi che propongono teorie sulla mente e sui
processi mentali.
Ciò che la scienza cognitiva e le neuroscienze intendono studiare sono i processi cognitivi e delle basi
neurobiologiche dell'attività mentale.
Il metodo utilizzato è il metodo sperimentale, combinato con quello simulativo e viene, inoltre, introdotto
l'utilizzo di tecniche sperimentali di neuroimmagine (risonanza magnetica…).
 
 Teorie della mente embodied (= incorporate, incarnate)
La mente è un'entità incarnata che non può essere studiata in modo separato e che emerge
dall'attività del cervello. Le strutture e le funzioni della mente sono direttamente influenzate dalle
esperienze interpersonali, percettive e sociali.
 
Il quadro contemporaneo
Oggi si considera la mente come oggetto di studio complesso che non può essere studiato
separatamente dal cervello.
 
 I problemi chiave della psicologia scientifica
a. Genetica VS ambiente, rapporto natura/cultura, psiche e fenomeni psicologici dipendono o
sono influenzati dall'ambiente;
b. Libera scelta VS determinismo;
c. Cause consce VS cause inconsce del comportamento
d. Comportamento manifesto VS processi interni;
e. Differenze individuali VS principi universali;
f. Psicologia della mente o dell'anima?
 
 
Attraverso l'analisi delle molteplici correnti della psicologia si è voluto rispondere alla domanda iniziale circa
le caratteristiche dell'oggetto psicologico. Si è così evidenziato come i modi di caratterizzarlo siano
molteplici e diversificati tra loro. Questa molteplicità, tuttavia, non implica che via sia contraddizione tra le
varie correnti.
Teorie e spiegazioni diventano, però, necessariamente contrastanti quando non si pongono più come
prospettive ma come conoscenze esaustive dell'intero ambito dello psichico. Si tratta di un procedimento di
generalizzazione poco fruttuoso e spesso riduzionistico.
Queste generalizzazioni si fondano spesso su dei presupposti teorici di tipo antropologico che concernono
cioè un certo modo generale di concepire la personalità, l'individualità o, in termini filosofici, la "natura
dell'uomo".
Al di là delle differenze di prospettiva si può ravvisare nella psicologia contemporanea almeno una linea di
tendenza comune nel concepire la dimensione dello psichico: alla visione della mente come specchio del
mondo ed organismo rispondente a stimoli esterni, si sostituisce l'immagine di essa come attività
organizzatrice in interazione con l'ambiente esterno, concepito nella sua complessità.
 

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Per quanto riguarda la risposta alla domanda riguardante i criteri di scientificità della conoscenza
psicologica, si può vedere come alcune correnti abbiano cercato di uniformarsi ai criteri delle scienze
naturali, attribuendo alla psicologia il compito di spiegare i suoi oggetti in base a leggi deterministiche e
causali ricavate dalla ricerca sperimentale.
 
Per quanto concerne il carattere e il valore delle leggi o dei principi alla cui formulazione può giungere la
psicologia, va evidenziato come nella psicologia contemporanea essi non siano più intesi e interpretati nello
stesso senso deterministico delle leggi della fisica classica, bensì in una accezione probabilistico-statica.
 
Se nell'ambito della psicologia contemporanea c'è un certo accordo sul carattere dei modelli esplicativi,
rimane al contrario aperto il dibattito e il confronto tra psicologia sperimentale e psicologia clinica, cioè tra
teorie psicologiche ricavate da ricerche condotte con il metodo sperimentale e finalizzate a formulare
principi generali, e teorie nate dall'osservazione clinica di casi particolari in una situazione non di
laboratorio.
 
Nel dibattito contemporaneo il problema della quantificazione viene ricompreso in quello più generale della
formalizzazione della psicologia. Formalizzare una scienza significa fornirle delle strutture formali rigorose
in base alle quali costruire le teorie, stabilire le relazioni tra i concetti che le costituiscono e le regole di
combinazione possibili tra essi. Significa, insomma, dotarla di un apparato linguistico e concettuale preciso
e denotativo di una sintassi logico-matematica.
 
La rilevanza di una teoria non va naturalmente considerata come unico criterio di scientificità e quindi di
scelta tra un approccio scientifico ed un altro; essa va invece integrata insieme ad altri criteri concernenti la
coerenza logico-formale di una teoria e il suo grado di verificabilità o falsificabilità empirica.
 
Il lavoro scientifico con la sua ricca interconnessione di aspetti empirici, pragmatici e teorici, può essere
descritto come il "volo di un aeroplano" che decolla dal terreno dell'empiria e della prassi, compie un volo
nell'ambito dell'astrazione concettuale della teoria, per poi nuovamente atterrare, con nuovi e più utili
strumenti conoscitivi e trasformativi, nel campo dell'empiria.

LEZIONE 7

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Psicologia Generale

1971- Psicologia accademica e professionale italiana, primi corsi di laurea in psicologia a Roma e Padova
con successivo sviluppo dei corsi di laurea, tutti coloro che si sono formati in psicologia prima del 1971
avevano come insegnanti medici, filosofi o laureati in scienze dell'educazione;
 
1989- Riconoscimento professione dello psicologo e istituzione dell'albo degli psicologi (uno per regione),
prima del 1989 chiunque volesse rivolgersi ad uno psicologo non poteva verificare che la preparazione di
colui a cui si riferiva fosse certificata e valida. Gli ordini professionali degli psicologi hanno due sezioni, una
per coloro solo laureati in psicologia e l'altra per coloro che possono anche svolgere la professione di
psicoterapeuta.
Lo psicologo è un laureato in psicologia il quale ha svolto un tirocinio post laurea.
Lo psicologo junior, colui che ha conseguito solo la laurea triennale, può anch'esso essere iscritto all'albo
ma può praticare la propria professione solo se accompagnato da uno psicologo che ha conseguito una
laurea magistrale.
Lo psicoterapeuta è uno psicologo o medico che ha svolto una scuola di psicoterapia, generalmente queste
scuole sono molto costose e hanno una durata di tre anni, implicano un percorso di autoanalisi e
autoconoscenza. Conseguito il titolo di psicoterapeuta è possibile iscriversi all'albo degli psicologi nella
sezione degli psicoterapeuti, uno psicoterapeuta può svolgere sia il lavoro dello psicologo, sia quello dello
psicoterapeuta.
Lo psichiatra, invece è uno specialista con laurea in medicina e un percorso di specializzazione in psichiatria,
in quanto medico, uno psichiatra, è autorizzato a prescrivere medicine.
 
Settori scientifici e aree di intervento nella psicologia contemporanea
I settori scientifico-disciplinari nell'università italiana sono:
 M-PSI/01 - Psicologia Generale;
 M-PSI/02 - Psicobiologia e psicologia fisiologica;
 M-PSI/03 - Psicometria;
 M-PSI/04 - Psicologia dello sviluppo e dell'educazione;
 M-PSI/05 - Psicologia sociale;
 M-PSI/06 - Psicologia del lavoro e delle organizzazioni;
 M-PSI/07 - Psicologia dinamica;
 M-PSI/08 - Psicologia clinica.
 
La diversità degli argomenti all'interno della psicologia ha portato allo sviluppo di diverse aree di studio
caratterizzate da approcci e metodi distinti.
Le aree della psicologia contemporanea sono:
 Neuroscienza comportamentale: branca della psicologia che studia come il cervello, il sistema
nervoso e altri processi biologici determinano il comportamento;
 Psicologia clinica: disciplina che si occupa dello studio, dell'analisi e del trattamento di disturbi
psicologici;
 Psicologia cognitiva;
 Counseling psicologico;
 Psicologia dello sviluppo: disciplina che studia come le persone crescono e cambiano nel momento
dal concepimento fino alla morte;
 Psicologia dell'educazione;
 Psicologia dell'ambiente;
 Psicologia generale: disciplina che studia i processi di ricezione, di percezione, di interazione, di
apprendimento e di pensiero tra l'uomo e l'ambiente in cui vive;
 Psicologia forense;
 Psicologia della salute: disciplina che esplora la relazione tra i fattori psicologici e i disturbi o le
malattie fisiche;
 Psicologia delle organizzazioni;

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Psicologia Generale

 Psicologia della personalità: disciplina che si focalizza sulla coerenza del comportamento nel tempo e
sulle caratteristiche che differenziano una persona dall'altra;
 Psicologia sociale: disciplina che studia come i pensieri, le sensazioni e le azioni delle persone sono
influenzati dagli altri;
 Psicologia dello sport.
 
Alcune delle aree emergenti di questi ultimi anni sono:
 Psicologia evoluzionistica: disciplina che prende in considerazione come il comportamento viene
influenzato dalla nostra eredità genetica;
 Psicologia interculturale: disciplina che analizza le somiglianze e le differenze nel funzionamento
psicologico all'interno e tra le varie culture e gruppi etnici;
 Neuropsicologia clinica: disciplina che sostiene la ricerca e lo studio di nuovi trattamenti per i disturbi
psicologici e dibatte sull'uso dei farmaci per il controllo del comportamento;
 Psicologia positiva, studi sulla felicità, ottimismo.
 
 
METODI DI RICERCA IN PSICOLOGIA
Uno dei principali compiti della psicologia è quello di determinare quali supposizioni sul comportamento
sono corrette e svilupparle.
Gli psicologi accolgono la sfida di porsi appropriate domande cui dare appropriate risposte facendo
affidamento sul metodo scientifico. Il metodo scientifico è l'approccio utilizzato per incrementare la
conoscenza e la comprensione del comportamento e di altri fenomeni. Esso di compone di tre fasi:
identificare la domanda, formulare una spiegazione (teorie) ed effettuare una ricerca finalizzata a
supportare o confutare la spiegazione.
Le teorie sono spiegazioni generali e predizioni che riguardano il fenomeno che interessa. Esse forniscono
un contesto per la comprensione delle relazioni tre un insieme di fatti e principi altrimenti non organizzati.
Un'ipotesi è una predizione formulata in modo da permettere di essere testata. Le ipotesi derivano da
teorie ed aiutano a testare il fondamento di queste ultime.
 
La ricerca è un ingrediente centrale del metodo scientifico in psicologia, essa fornisce la chiave per
comprendere il grado di accuratezza delle ipotesi e delle teorie.
Una ricerca è così strutturata:
1. Si parte da una base di partenza scientifica, per ottenerla è necessario effettuare delle ricerche
bibliografiche;
2. Successivamente si formulano obiettivi ed ipotesi, ogni ricerca deve rispondere a delle domande, in
alcuni casi l'esploratore è proprio guidato nella sua ricerca da domande e quesiti, non ha ipotesi su
cui basarsi ed in questo caso si tratta di ricerche esplorative. Nel caso in cui, invece, la ricerca sia già
stata affrontata da altri, i risultati ottenuti in precedenza vengono utilizzati come ipotesi;
3. Vengono scelti la metodologia da utilizzare e gli strumenti da impiegare, si scelgono il campione da
considerare, la procedura da seguire e le misure a cui fare riferimento;
4. Il metodo di ricerca potrebbe anche menzionare i risultati attesi;
5. Menzionare i risultati attesi è importante perché una ricerca potrebbe avere delle ricadute
applicative.
Questo schema viene seguito dal ricercatore in fase di ricerca e quando costituisce il rapporto della sua
ricerca.
 
Contesti e metodi di ricerca
Così come possiamo utilizzare delle ipotesi e delle teorie differenti per spiegare gli stessi fenomeni,
possiamo anche utilizzare vari metodi alternativi per condurre la ricerca.
 

Esiste una prima classificazione delle ricerche:

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Psicologia Generale

 Ricerca in laboratorio, la quale utilizza il metodo sperimentale (o sperimentale);


 Ricerca sul campo, (Neisser introduce questo metodo, egli dice che le ricerche devono tenere conto
dei fenomeni ecologici), la quale utilizza il metodo dell'inchiesta e del sondaggio, oppure
dell'osservazione;
 Ricerca in campo clinico, coinvolge le popolazioni cliniche, quelle cioè con qualche problema in
ambito psicologico ed utilizza il metodo simulativo, quello cioè della creazione di programmi per
calcolatori.
 
LA RICERCA SPERIMENTALE
Si può trattare di veri esperimenti in cui si studia la relazione tra due o più variabili che vengono a
turno modificate per poter osservare gli effetti della modificazione di una sull'altra. Lo
sperimentatore ha il controllo sul chi, cosa, quando, dove e come. Oppure si può trattare di "quasi"
esperimenti, in cui lo sperimentatore non ha il controllo sui vari aspetti della ricerca.
Il cambiamento che lo sperimentatore produce deliberatamente in una situazione è chiamato
manipolazione sperimentale.
La manipolazione non può essere vista da sola, fuori contesto. Se deve essere stabilita una relazione
causa-effetto, gli effetti della manipolazione devono essere comprati con gli effetti della non
manipolazione o con un diverso tipo di manipolazione.
Le variabili necessarie in un esperimento sono:
 Variabili indipendenti o fattori che non dipendono dall'azione dei partecipanti all'esperimento,
queste variabili sono controllate completamente dallo sperimentatore, si fa spesso riferimento
ai livelli delle variabili indipendenti che sono anche chiamati condizioni sperimentali.
 Variabili dipendenti, lo sperimentatore manipola la variabile indipendente per analizzare gli
effetti che questa variazione ha sulla variabile dipendente.
In ogni esperimento si analizza il rapporto di causa effetto tra variabili dipendenti ed indipendenti.
 
Il concetto di controllo
Questo concetto si riferisce ai mezzi che sono a disposizione del ricercatore per eliminare o ridurre le
minacce alla validità [es. su un esperimento sui colori, se lo sperimentatore non verifica che gli
individui, soggetti della ricerca, non siano daltonici, egli ha saltato un importante passaggio, in quanto
i risultati potrebbero essere falsati a seconda della risposta a questa verifica].
Uno dei modi più usati per eliminare le minacce alla validità è quello di introdurre un gruppo di
controllo, messo a confronto con un gruppo sperimentale, i due gruppi avranno le stesse
caratteristiche ma, un gruppo riceverà un trattamento speciale (la manipolazione da parte dello
sperimentatore) e l'altro gruppo non riceverà trattamento o ne riceverà uno diverso.
Ogni gruppo che riceve un trattamento è chiamato gruppo sperimentale, il gruppo che non riceve
nessun trattamento è detto gruppo di controllo.
In questo modo i ricercatori sono in grado di escludere che i risultati osservati siano stati prodotti da
qualcosa di diverso dalla manipolazione sperimentale.
[es. ad un gruppo sperimentale, di soggetti ipoteticamente malati, viene somministrato un farmaco,
questo gruppo viene confrontato con un gruppo di controllo, di soggetti anch'essi malati, al quale non
verrà somministrato nessun farmaco. Al termine di un dato periodo di tempo si osserveranno gli
eventuali miglioramenti che consentiranno di capire la validità e l'efficacia del farmaco
somministrato].
 
La scelta dei partecipanti all'esperimento
Perché l'esperimento sia una valida verifica dell'ipotesi, i ricercatori hanno bisogno di effettuare un
passaggio addizionale ed importante: l'opportuna assegnazione dei partecipanti che riceveranno un
particolare trattamento.
 Nella condizione ideale i soggetti vengono assegnati casualmente alle due condizioni, in modo
tale che nessuno sia condizionato dal gruppo in cui si trova (metodo preferibile). Quando un
ricercatore utilizza l'assegnamento randomizzato ci sono le probabilità che ognuno dei gruppi

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Psicologia Generale

abbia la stessa porzione di persone intelligenti, collaboranti, estroverse, maschi e femmine e


così via;
 In alcuni casi lo sperimentatore è "costretto" a suddividere i partecipanti per convenienza.
 
I disegni sperimentali fattoriali
I disegni sperimentali possono essere:
 Ad un solo fattore (uni fattoriali), si dividono in due tipologie:
1.Tra i soggetti (between subjects);
[es. variabile indipendente: colore dello stimolo (4 livelli) - variabile dipendente: tempo di
reazione (risposta psicologica= tempo necessario per percepire lo stimolo, in questo caso
il colore), questo tempo di reazione potrebbe essere valutato chiedendo ai pazienti di
premere un bottone non appena egli identificano il colore. Lo sperimentatore deve
costituire 4 gruppi di soggetti, uno per ogni livello della variabile indipendente, per ogni
livello si troverà il tempo medio di reazione e si capirà in seguito a quale stimolo si avrà
un tempo di reazione minore. I soggetti in questo caso sono sottoposti ad una sola
categoria di stimoli.]
2. Entro i soggetti (within subjects);
[es. in questa situazione di ricerca si ha un solo gruppo di ricerca che verrà sottoposto a
tutti gli stimoli. I soggetti in questo caso sono sottoposti a una sequenza di stimoli, ciò
può provocare da parte del soggetto una tendenza ad abituarsi agli stimoli e quindi a
diminuire il tempo si reazione. Questo problema può essere raggirato modificando la
sequenza di stimoli.]
 A più fattori.

LEZIONE 8

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Psicologia Generale

LA RICERCA SUL CAMPO


La ricerca sul campo si sviluppa attraverso tre metodi: l'inchiesta (riguarda piccoli gruppi di persone),
il sondaggio (coinvolge un grande numero di persone), e l'osservazione.
Questo tipo di ricerca ha finalità diverse rispetto alla ricerca in laboratorio e mira a raccogliere
informazioni sulle opinioni, gli atteggiamenti, le abitudini, i comportamenti e le reazioni emotive di
alcuni soggetti.
Alcuni dei processi psicologici analizzati dall'inchiesta e dal sondaggio sono a cavallo tra la psicologia
generale e la psicologia sociale.
 
L'inchiesta ed il sondaggio
Il campionamento
Sia l'inchiesta che il sondaggio utilizzano il metodo del campionamento, selezionano un gruppo di
partecipanti che prenderanno come riferimento. Questo campione deve essere rappresentativo della
popolazione da cui è stato estratto, gli esiti del sondaggio o dell'inchiesta devono poter essere
generalizzati.
 
Per selezionare i soggetti idonei a partecipare ad un esperimento, i selezionatori possono utilizzare
principalmente due tecniche di campionamento:
 Campionamento probabilistico o casuale: è la tecnica più rigorosa, tutti i soggetti hanno la
stessa probabilità di entrare a far parte del gruppo "campione";
 Campionamento non probabilistico o non casuale: la selezione dei partecipanti non avviene in
modo casuale ma è il ricercatore che sceglie, non tutti i soggetti hanno la stessa probabilità di
essere inclusi nel gruppo "campione".

Il questionario
Il questionario proposto dall'inchiesta o dal sondaggio viene preparato seguendo alcuni passaggi
fondamentali:
a. Operazionalizzare le variabili indagate;
b. Scelta del contenuto e del formato delle domande sulla base di alcuni criteri quali:
 Conoscenza del tema di indagine;
 Modalità di somministrazione del questionario [es. anonimo, intervista che non garantisce
anonimato e privacy, modalità scritta…];
 Caratteristiche dei rispondenti (= target: giovani, anziani, uomini, donne…): a seconda dei
destinatari si modifica il tipo di questionario;
 Risorse a disposizione pe l'analisi dei dati [es. se sono tante persone, meglio proporre
domande chiuse e non aperte];
c. Il formato delle domande o item, che può essere:
 Domande aperte;
 Domande chiuse:
 A scelta singola;
 A scelta multipla;
 Con scala di valutazione [es. scala Likert (molto utilizzata in psicologia), scala
numerica];
 Domande "filtro", utilizzate per creare dei flussi nell'intervista, fondamentali per
selezionare le persone che hanno determinate caratteristiche [es. hai seguito il grande
fratello? Risposta: si/no];
 
A seconda di come si compone il questionario e delle domande che contiene si possono avere varie
tipologie di questionari:
 Non strutturati, composti da domande aperte;
 Semi-strutturati, composti da domande aperte e chiuse;

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Psicologia Generale

 Strutturati, nessuna domanda aperta, ogni domanda prevede delle alternative di risposta o
delle scale di valutazione (molto più difficile far emergere tutti gli aspetti su cui si sta
indagando).
 
Tantissimi sono, poi, i modi in cui un questionario può essere somministrato:
 Faccia a faccia (= face to face);
 Per iscritto:
 In gruppo;
 Invio postale (abbastanza superata), in questo tipo di indagini è molto basso il tasso di
risposta, nonostante sia possibile mantenere l'anonimato;
 Consegna e ritiro da parte di una persona incaricata, la compilazione avviene in un contesto
separato rispetto a quello della somministrazione, garantisce l'anonimato ed è possibile
massimizzare la sincerità del soggetto;
 Via computer:
 In laboratorio;
 Web survey (= indagine);
 App survey (= indagine), particolarmente indicate per analizzare la qualità della vita di
alcuni soggetti [es. chiedere 3/4 volte al giorno la stessa cosa per sondare];
 Via telefono:
 CATI (Computer Assisted Telephonic Interview), condotte da intervistatori collegati ad un
terminale che man mano registrano le risposte dei clienti, fino a poco fa erano condotte
su telefoni fissi ma ora ciò non è più possibile in quanto non tutti dispongono della rete
fissa.
 
L'osservazione
Il metodo dell'osservazione mira a documentare i comportamenti messi in atto da singoli individui o
gruppi nel contesto in cui essi hanno luogo, in questo caso il ricercatore non opera alcun
cambiamento nella situazione.
Gli strumenti di osservazione utilizzati sono:
 Videocamera;
 Registratore audio;
 Appunti scritti.
Molto importante, per riuscire ad elaborare ed analizzare correttamente i dati, è avere a disposizione
un'apposita "griglia" di osservazione dei dati, grazie alla quale è possibile far emergere in particolare i
comportamenti che si vogliono osservare.
 
Esiste una dimensione temporale dell'osservazione, possiamo distinguere:
 L'osservazione continua dall'osservazione campionaria, la prima implica un'osservazione
assidua, di ogni momento [es. madre e figlio durante la prima settimana di vita, ripresi in ogni
momento], la seconda invece, comporta un'osservazione solo in determinati momenti;
 L'osservazione longitudinale dall'osservazione trasversale, nel primo caso invece che analizzare
una singola situazione si analizzano più campioni [es. 50 mamme e 50 bambini, seguiti per 7
giorni], nel secondo caso, è possibile selezionare dei gruppi da osservare separatamente [es.
suddividere le 50 mamme con i propri bambini in diversi gruppi, composti da meno soggetti, ed
osservare un gruppo per giorno].
Sebbene sia ovvio il vantaggio dell'osservazione, c'è anche un importante inconveniente, ossia
l'incapacità di controllare tutti i fattori di interesse.
 
LA RICERCA IN CAMPO CLINICO
Questo tipo di ricerca si occupa di studiare popolazioni e gruppi di soggetti affetti da disturbi
psicologici.
Le tecniche di indagine di queste ricerche sono molteplici:

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Psicologia Generale

 Sperimentali: lo sperimentatore prepara gli stimoli, li manipola e misura le risposte a questi


stimoli (inserire gruppo di controllo);
 Osservative;
 Inchieste e sondaggi.
 
 

LEZIONE 9 (pt.1)
LA MISURAZIONE IN PSICOLOGIA
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Psicologia Generale

La misurazione in psicologia consiste nell'attribuzione di valori numerici a fenomeni, processi ed eventi


psicologici secondo determinate regole che permettono di rappresentare proprietà di tali fenomeni,
processi ed eventi con proprietà del sistema numerico.
Le misurazioni in psicologia si avvalgono di quantificazioni numeriche.
 
 1946- Il fatto che si possano assegnare dei numeri seguendo regole differenti porta a differenti tipi di
scala e differenti tipi di misurazioni.
 
I diversi tipi di scala sono:
 Nominale → modalità di descrizione quantitativa che distingue i soggetti sulla base del possesso
o meno di un attributo;
 Ordinale;
 Di intervalli [es. misurare il livello di felicità percepito su una scala da 1 a 100];
 Di rapporti.
 
Misurazione dei fenomeni psichici nella storia della psicologia
 Misurazione nella tradizione della psicofisica:
 primi studi: Von Helmohtz, produsse delle stime sulla velocità con cui venivano trasmessi i
segnali nervosi; Weber e Fechner, studiarono la misurazione delle sensazioni e delle soglie
sensoriali; Donders che misurò i tempi di reazione agli stimoli;
 Misurazione nella tradizione della psicometria: l'uso dei test e la loro standardizzazione, un test
standardizzato è un test che è stato applicato su una larga scala di persone e che permette di
comprendere i risultati normali del test. Di un test vengono valutati principalmente l'affidabilità e
la validità. Un test affidabile deve produrre effetti uguali o simili su più soggetti, i tratti misurati
devono essere costanti [es. misurando l'intelligenza di un uomo adulto a distanza di tempo il
risultato deve essere uguale o simile]. Un test valido, invece, è un test che permette di verificare
il costrutto per il quale il test è stato creato.

LEZIONE 9 (pt.2)
PSICOLOGIA GENERALE

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Psicologia Generale

STUDIO DELLA MENTE E DEL COMPORTAMENTO


Neuroni: gli elementi base del comportamento
Tutto ciò che avviene all'interno del nostro corpo avviene per mezzo dei neuroni. I neuroni, o cellule
nervose, sono gli elementi base del sistema nervoso.
Sebbene vi siano molti tipi di neuroni, tutti hanno una struttura base simile. Essi hanno un corpo cellulare
che contiene un nucleo. Il nucleo incorpora il materiale ereditato che in definitiva determina il
funzionamento di una cellula.
I neuroni sono fisicamente saldati tra loro dalle cellule gliali.
Al contrario delle altre cellule, però, i neuroni hanno la capacità di comunicare con le altre cellule e di
trasmettere informazioni.
I neuroni a un'estremità hanno dei gruppi di fibre chiamati dendriti, che ricevono messaggi dagli altri
neuroni. All'estremità opposta hanno, invece, una sottile estensione a forma di tubicino chiamata assone
che trasporta i messaggi destinati ad altri neuroni. Gli assoni terminano in una piccola protuberanza detta
bottone sinaptico che invia messaggi agli altri neuroni.
Perché i messaggi non cortocircuitino tra loro, gli assoni devono essere isolati. Nella maggioranza degli
assoni, l'isolamento è creato dalla guaina mielinica, una membrana protettiva fatta di grasso e proteine che
avvolge l'assone e che aumenta la velocità a cui l'impulso elettrico viaggia attraverso l'assone.
In alcune malattie, come la sclerosi multipla, la guaina mielinica si deteriora, esponendo parti dell'assone
che normalmente sono coperte. Questo cortocircuita i messaggi tra il cervello e i muscoli e provoca sintomi
come l'incapacità a camminare, difficoltà visiva e deterioramento generale del muscolo.
I neuroni seguono la legge del tutto o niente: o sono attivati o sono disattivati, non c'è una possibilità
intermedia.
Anche se il meccanismo di funzionamento è comune a tutti i neuroni, esiste una specializzazione tra diversi
tipi di neuroni. Nell'ultimo decennio i neuroscienziati hanno scoperto i neuroni a specchio, che si attivano
non solo quando si attua un comportamento ma anche quando si osserva qualcun altro assumere lo stesso
comportamento. Questi neuroni ci aiutano a capire come gli esseri umani abbiano la capacità di
comprendere le intenzioni degli altri.
 
Il sistema nervoso e il sistema endocrino: la comunicazione all'interno del corpo
L'organizzazione del sistema nervoso centrale e periferico
Il sistema nervoso è composto da due parti principali: il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso
periferico.
Il sistema nervoso centrale (SNC) è costituito dal cervello e dal midollo spinale, questi sono collocati nella
parte centrale dell'organismo.
Il sistema nervoso periferico si dirama dal midollo spinale e dal cervello e raggiunge le estremità del corpo.
Esso è formato dal sistema somatico e da fasci di fibre nervose che appartengono al sistema nervoso
autonomo.
 
Anatomia e funzioni delle varie parti
Il sistema nervoso centrale, formato:
1. Dall'encefalo o cervello, comprende:
o Le strutture corticali: corteccia (parte più recente);
o Le strutture sottocorticali: strutture comuni alle diverse specie (di origine più antica);
o Il cervelletto: responsabile del controllo dei movimenti e dell'equilibrio;
2. Dal midollo spinale, formato da:
o Cervicale (primo tratto che parte dalla base dell'encefalo);
o Toracico;
o Lombare;
o Sacrale.
Il midollo spinale ha circa lo spessore di una matita, contiene un fascio di nervi che partono dal cervello e
corrono lungo la schiena e rappresenta il mezzo principale per la trasmissione dei messaggi tra il cervello ed

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Psicologia Generale

il corpo. Esso controlla anche alcuni comportamenti semplici chiamati riflessi che sono automatici,
involontari.
Nei riflessi sono coinvolti tre tipi di neuroni: i neuroni sensoriali che trasmettono le informazioni dalla
periferia del corpo al sistema nervoso centrale, i neuroni motori che portano l'informazione dal sistema
nervoso ai muscoli e alle ghiandole, gli interneuroni che connettono i neuroni sensoriali con i neuroni
motori trasportando messaggi tra i due.
 
Il sistema nervoso periferico comprende tutte le parti del sistema nervoso esclusi il cervello ed il midollo
spinale ed è formato dal sistema sensoriale e da quello motorio.
Il sistema motorio è a sua volta suddiviso in sistema somatico e da fasci di fibre nervose che appartengono
al sistema nervoso autonomo, entrambi questi sistemi connettono il sistema nervoso centrale con gli
organi di senso, i muscoli, le ghiandole ed altri organi.
Il sistema somatico è specializzato nel controllo dei movimenti volontari e nella comunicazione di
informazioni verso gli organi di senso.
Il sistema nervoso autonomo si occupa delle parti del corpo che tengono in vita e regola le funzioni
involontarie (respirazione, circolazione del sangue…). Questo sistema si divide a sua volta in due
sottosistemi:
1. Sistema simpatico o toracico-lombare che controlla organi che sono innervati da fibre nervose che
partono dalla sezione toracica e lombare: la sua finalità è quella di mobilitare le energie (preparare il
corpo) dell'organismo per far fronte ad una situazione di eventuale pericolo;
2. Sistema parasimpatico o cranio-sacrale, perché gli organi che controlla sono raggiunti da fibre
nervose che partono dalla sezione cervicale e dalla sezione sacrale. Questo entra in azione per
riportare l'organismo in una situazione di equilibrio una volta terminata la situazione di pericolo.
Entrambi i sistemi hanno connessioni con gli occhi, il sistema simpatico è responsabile della dilatazione
della pupilla (midriasi), al contrario il sistema parasimpatico è responsabile della contrazione delle pupille
(miosi).
Il sistema simpatico è responsabile dell'accelerazione del battito cardiaco e dell'aumento della salivazione,
mentre il sistema parasimpatico del rallentamento del battito cardiaco e della diminuzione della
salivazione, inoltre nel sistema parasimpatico i gangli sono posti vicini agli organi che vengono innervati, al
contrario nel sistema simpatico questi sono posti ad una certa distanza.
 
Il cervello
Il cervello è responsabile dei nostri pensieri più elevati e dei nostri stimoli più primitivi, è l'organo in cui si
trovano le basi celebrali dell'attività cognitiva e affettiva.
I metodi di indagine utilizzati al giorno d'oggi per conoscere più a fondo la struttura del cervello sono:
 Elettroencefalogramma (EEG), registra l'attività del cervello attraverso elettrodi posizionati sul cuoio
capelluto o direttamente sulla corteccia per rilevare l'attività elettrica del cervello.
 Tomografia computerizzata (TC o TAC), tecnica di indagine basata sull'uso di raggi x separati presi da
angolature leggermente differenti e consente di riprodurre la struttura del cervello e di individuare
anomalie nella struttura del cervello. Il tipo di informazione che fornisce la TAC riguarda il cervello
che non svolge attività ma si trova in una situazione statica e fornisce un'immagine statica.
 Risonanza magnetica (RM), permette invece di analizzare il cervello durante lo svolgimento di alcune
attività, si basa sulla generazione di un campo magnetico che permette di riprodurre l'immagine del
cervello durante un'attività (l'uso della risonanza è preferibile);
 Tomografia ad emissione di positroni (PET), come la risonanza magnetica permette di ottenere
un'immagine del cervello attivo, impegnato. Questo metodo di indagine impiega un liquido
radioattivo iniettato nel flusso sanguigno, che va al cervello. Localizzando la radiazione all'interno del
cervello, un computer può determinare quali siano le regioni più attive. Si tratta comunque di una
tecnica di carattere invasivo in quanto il soggetto deve essere consenziente per poter effettuare
l'iniezione.
 Procedure neurochirurgiche, utilizzare quando bisogna intervenire direttamente sul cervello, grazie a
questi interventi è possibile studiare le funzioni di determinare aree durante la stimolazione.

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Psicologia Generale

 
Sebbene le capacità del cervello umano superino ampiamente quelle del cervello delle altre specie, gli
umani condividono con gli animali alcune funzioni di base che vengono guidate da una parte relativamente
primitiva del cervello, il cosiddetto nucleo centrale, molto simile a quello trovato in tutti i vertebrati.
Il cervello comprende:
 Strutture corticali: ossia la corteccia cerebrale (o neo encefalo), una massa di tessuto ondulato,
convoluto e ripiegato in profondità, suddivisa in due grandi emisferi, emisfero destro ed emisfero
sinistro. Ogni emisfero comprende quattro lobi, abbiamo:
a. Lobo frontale;
b. Lobo temporale;
c. Lobo occipitale;
d. Lobo parietale.
L'emisfero destro e quello sinistro sono collegati tra loro e comunicano attraverso il corpo calloso.
I quattro lobi, invece, sono fisicamente separati da fenditure profonde chiamate solchi.
 Strutture sottocorticali, che comprendono:
o Talamo: collocato in una parte profonda del cervello, agisce prima di tutto come una stazione di
ripetizione dei segnali, esso raccoglie ed elabora informazioni provenienti dagli organi di senso
e integra anche l'informazione proveniente dalla parte più alta del cervello, riordinandola in
modo che possa essere inviata al cervelletto o al midollo;
o Ipotalamo: collocato al di sotto del talamo, responsabile dell'omeostasi, uno stato di equilibrio
interno del corpo. Esso è responsabile del mantenimento della temperatura corporea, inoltre
regola i bisogni di base come fame e sete;
o Altre strutture del sistema limbico, parte del cervello che controlla l'alimentazione,
l'aggressività e la riproduzione. Si tratta del sistema cerebrale primariamente coinvolto nella
generazione del comportamento emozionale e nella sua regolazione;
o Tronco encefalico (mesencefalo, ponte, bulbo o midollo allungato): che comprende la
formazione reticolare, composta da un gruppo di cellule nervose che possono attivare
immediatamente altre parti del cervello per produrre un'attivazione generale del corpo. Inoltre
comprende una rete di neuroni legati al sonno;
 Cervelletto (piccolo cervello): situato a ridosso del lobo occipitale, proprio sopra il midollo. È compito
del cervelletto controllare l'equilibrio corporeo.
 
Lo scopo delle neuroscienze è stato quello di descrivere le funzioni di aree specifiche dell'organismo ed in
particolare delle aree cerebrali.
È importante considerare la struttura stratificata del cervello, formata da:
 Zone più profonde, responsabili delle funzioni psichiche di base e più semplici;
 Zone più superficiali, responsabili delle funzioni psichiche più complesse.
 
Le varie aree del cervello sono:
 Area di Brocca: centro del linguaggio, presiede alla sua produzione. Lesioni: il paziente non è in grado
di produrre proposizioni verbali
 Area di Wernicke: area temporo-parietale, coinvolta nella comprensione del linguaggio lesione:
deficit di comprensione del linguaggio.
 Lobo parietale: altre aree che regolano i processi somato-sensoriali.
 Area motoria: parte della corteccia largamente responsabile dei movimenti volontari del corpo;
 Area sensoriale che include tre regioni: una che corrisponde principalmente alle sensazioni corporee,
una relativa alla vista (area visiva) ed una terza relativa al suono (area uditiva);
 Area associativa: luogo dei processi mentali più avanzati come il pensiero, il linguaggio, la memoria e
la parola.
 
Importante è studiare la struttura delle cortecce somato-sensoriali e motorie, appartenenti al lobo parietale

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Homunculus Sensoriale: metafora cerebrale dell'organizzazione della corteccia sensoriale. Ogni parte del
corpo proietta in una zona ben precisa della corteccia sensoriale. Vi sono delle aree che pur essendo poco
estese sono sovra rappresentate a livello corticale, al contrario alcune aree molto estese sono
sottorappresentate.
Questa mappa del nostro cervello descrive bene le nostre capacità cognitive, il cervello si organizza in modo
da consentire un'elaborazione più sofisticata agli stimoli percepiti attraverso determinate parti del corpo.
La stessa metafora può descrivere anche la corteccia motoria, l'area della corteccia in cui vengono elaborati
i movimenti. Ci sono infatti delle parti del corpo maggiormente innervate (mani, bocca, lingua).
 
Come già è stato detto il cervello può essere suddiviso in due metà pressappoco speculari, chiamate
emisferi. I due emisferi controllano la parte opposta rispetto alla loro localizzazione del corpo (emisfero
destro = parte sinistra del corpo, emisfero sinistro = parte destra del corpo).
A dispetto dell'apparente similitudine tra i due emisferi del cervello, ci sono delle differenze nelle funzioni
che essi controllano e nei modi in cui le controllano.
I ricercatori trovarono che chi aveva difficoltà di parola, tipiche dell'afasia, tendeva ad avere danni fisici
all'emisfero sinistro. Al contrario, delle anomalie fisiche all'emisfero destro tendevano a produrre molti
meno problemi di linguaggio. Questo risultato ha condotto i ricercatori a concludere che per la maggior
parte delle persone il linguaggio è lateralizzato, o maggiormente localizzato in un emisfero piuttosto che
nell'altro, in questo caso nel lato sinistro del cervello.
I due emisferi del cervello sono piuttosto specializzati nelle loro funzioni.
L'emisfero sinistro si concentra di più su compiti che richiedono competenza verbale. L'emisfero destro ha i
suoi punti forti nell'area non verbale, come la comprensione delle relazioni spaziali, il riconoscimento di
schemi e disegni o la musica.
Inoltre ogni emisero elabora l'informazione in maniera differente. Il sinistro tende a considerare
l'informazione come una sequenza, mentre il destro tende a processare l'informazione globalmente.
Inoltre nelle strutture a e nel funzionamento cerebrale esistono delle differenze tra i sessi. Queste
differenze possono spiegare, in parte, la superiorità spesso mostrata dalle femmine in certe misurazioni
delle abilità verbali, come la fluidità della parola. Alcune ricerche, invece, mostrano che il cervello degli
uomini è un po' più grande di quello delle donne, al contrario, parti del corpo calloso, un fascio di fibre che
connette gli emisferi del cervello, sono proporzionalmente più grandi nelle donne e, sempre nelle donne, il
cervello ha una più alta proporzione di neuroni effettivamente coinvolti nel pensiero rispetto al cervello
degli uomini.
Gli uomini e le donne possono anche elaborare differentemente le informazioni e ciò è principalmente
visibile attraverso la risonanza magnetica che negli uomini mostra l'attivazione di una piccola area del lato
sinistro del cervello, mentre le donne utilizzano entrambe le aree.
Nel valutare la ricerca sulla lateralizzazione cerebrale bisogna ricordare anche che i due emisferi funzionano
in tandem. È un errore pensare che tipi particolari di informazione siano processati solo da uno dei due
emisferi. Essi, infatti lavorano interdipendentemente nel decifrare, interpretare e reagire al mondo. Le
persone che soffrono per una lesione cerebrale all'emisfero sinistro del cervello e perdono le capacità
linguistiche spesso recuperano l'abilità di parlare in quanto il lato destro interviene e assume alcune
funzioni del lato sinistro. Questo spostamento accade specialmente in bambini piccoli in quanto la
possibilità di recupero è tanto maggiore quanto più giovane è il soggetto.
Esiste poi un particolare caso in cui il paziente, chiamato paziente split-brain, ha subito un'operazione
chirurgica particolare con la quale è stato chirurgicamente reciso il corpo calloso e in seguito alla quale le
due metà del cervello funzionano indipendentemente, così che i due lati del corpo lavorano in modo
disarmonico.
 

LEZIONE 10

I PROCESSI PSICOLOGICI DI BASE

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Psicologia Generale

 Sensazione e percezione;
 Apprendimento;
 Memoria;
 Linguaggio;
 Pensiero;
 Motivazione;
 Emozione;
 Personalità.
 
Tra questi, alcuni processi vengono definiti processi cognitivi:
 Sensazione e percezione;
 Apprendimento;
 Memoria;
 Pensiero;
 Linguaggio e comunicazione.
Memoria, pensiero e linguaggio vengono definiti processi psichici superiori.
 
Sensazione e percezione
La sensazione consiste nell'attivazione degli organi di senso stimolati da una sorgente di energia fisica, ossia
l'attività di ricezione, trasmissione e trasduzione dell'informazione fisica raccolta attraverso gli organi
sensoriali.
Percezione, invece, è l'organizzazione, l'interpretazione, l'analisi e l'integrazione degli stimoli da parte degli
organi di senso e del cervello.
La sensazione è quando un soggetto non è in grado di interpretare e ricevere correttamente gli stimoli che
gli vengono mandati.
Quando, invece il soggetto è in grado di interpretare gli stimoli che gli vengono rappresentati, si parla di
percezione.
 
La sensazione
Questo percorso inizia dall'ambiente, gli organi raccolgono delle onde di percezione elettromagnetica [es.
percezione visiva = occhi] e l'organismo, tramite i neuroni, elabora l'informazione che, dall'organo recettore
raggiunge le strutture sottocorticali, quelle aree che interpretano il significato emozionale di uno stimolo.
Successivamente l'informazione arriva alle aree corticali, quelle aree che sono responsabili del
riconoscimento, dell'interpretazione e dell'attribuzione di significato agli stimoli.
Lo stimolo è una qualsiasi sorgente di energia fisica che provochi una risposta a livello di un organo di
senso. Gli stimoli possono variare sia per qualità sia per intensità.
La psicofisica è lo studio della relazione tra le caratteristiche fisiche degli stimoli e la nostra sensazione,
ossia l'esperienza soggettiva di questi stimoli sul piano psicologico.
Ciò che distingue la percezione è l'attività svolta dalla corteccia celebrale, cioè il riconoscimento e
l'identificazione dello stimolo. Si può dire, inoltre, che la percezione rappresenta la trasformazione di uno
stimolo fisico o distale in uno stimolo prossimale.
Uno stimolo fisico o distale è uno stimolo che appartiene al mondo fisico, prodotto dall'ambiente esterno.
L'energia presente nello stimolo distale viene raccolta dai nostri recettori e percepita dall'organismo,
l'energia fisica, quindi viene elaborata dall'organismo e convertita in segnali nervosi.
I segnali nervosi possono essere:
 Di tipo elettrico;
 Di tipo biochimico.
 
I sistemi sensoriali sono:
 Uditivo;
 Visivo;
 Gustativo;

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 Olfattivo;
 Tattile, appartengono a questo sistema la sensibilità per gli stimoli dolorosi, per la temperatura del
corpo.
La psicologia ha approfondito soprattutto la percezione e la sensazione degli stimoli visivi.
 
 Il sistema uditivo: l'orecchio è l'organo deputato alla raccolta di suoni. Il suono è il movimento di
molecole dell'aria provocato da una fonte di vibrazione. Esso viaggia attraverso l'aria in forme d'onda
simili a quelle che si creano sulla superficie di una pozzanghera quando vi viene buttato un sasso.
Il suono arriva all'orecchio esterno (padiglione auricolare) che lo accoglie e lo fa procedere nel
condotto uditivo, un passaggio tubolare che porta al timpano, il quale vibra ogni volta che è colpito
dal suono, trasmette in forma meccanica le vibrazioni all'orecchio medio una piccola cavità che
comprende al suo interno tre ossicini, martello, incudine, staffa, i quali trasmettono le vibrazioni alla
finestra ovale, una sottile membrana che porta all'orecchio interno, quell'area dell'orecchio che
trasforma le vibrazioni sonore in energia nervosa tale da poter essere inviata al cervello. Una volta
raggiunto l'orecchio interno, il suono viene trasferito ad una struttura chiamata coclea, un tubo a
forma spirale contenente un fluido capace di vibrare in risposta al suono, nel quale è contenuta una
membrana di cellule nervose, chiamata membrana basilare, sulla quale sono collocate delle cellule
chiamate cellule ciliate, le prime strutture nervose che, mosse dalle vibrazioni, intervengono
nell'attività di trasferimento di un messaggio naturale al cervello.
 
Gli aspetti fisici del suono
Gli attributi principali che caratterizzano il suono sono:
o La frequenza, cioè il numero di vibrazioni complete che si verificano nell'unità di tempo (1
secondo). Una frequenza può essere alta, quando i cicli si ripetono molto spesso o bassa,
quando i cicli si ripetono poco spesso. Una frequenza bassa si traduce in un suono poco alto e
viceversa. La frequenza più bassa che il nostro sistema uditivo è in grado di elaborare è di 20
vibrazioni complete al secondo (20 Hz), la più alta, invece è di 20.000 vibrazioni al secondo
(20.000 Hz);
o L'intensità o ampiezza, che determina il volume dei suoni percepiti. L'ampiezza è il tratto
compreso tra gli alti e i bassi nella pressione di un'onda sonora nel suo passaggio attraverso
l'aria. Le onde dotate di alti e bassi modesti producono suoni deboli, quelle più grandi
producono, invece, suoni più forti. Quando il suono supera i 120 decibel, esso diventa dannoso
per l'orecchio umano.
 
Le teorie del suono
Da sempre il quesito che ci si pone è: in che modo il nostro cervello è in grado di organizzare
lunghezze d'onda con frequenze ed intensità diverse?
Un indizio per rispondere a questa domanda viene dato dagli studi effettuati sulla membrana
basilare. Si è scoperto, infatti, che il suono influenza diverse zone della membrana, a seconda della
frequenza dell'onda sonora. La parte di membrana più vicina alla finestra ovale è più sensibile ai suoni
ad alta frequenza, mentre la parte di membrana più vicina al limite della coclea è più sensibile ai
suoni di bassa frequenza.
Questa scoperta ha condotto alla teoria dell'onda viaggiante, la quale sostiene che aree diverse della
membrana basilare rispondono, appunto, a diversi tipi di frequenze.
Tuttavia la teoria dell'onda viaggiante non spiega tutto ciò che concerne l'udito, per questo è stata
proposta un'altra spiegazione: la teoria della discriminazione in frequenza. Questa teoria sostiene
che sia l'intera superficie della membrana a fungere da microfono, vibrando completamente in
risposta ad un suono. Secondo questa spiegazione, i recettori nervosi inviano segnali che sono
direttamente legati alla frequenza dei suoni ai quali siamo esposti. Più il tono di un suono è alto, più è
elevato il numero di impulsi nervosi trasmessi al cervello attraverso il nervo uditivo.
Nessuna delle due teorie, però, fornisce una spiegazione esauriente al fenomeno dell'udito.
 

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 Il sistema visivo: la vista comincia con la luce, l'energia fisica che stimola l'occhio. La luce è un tipo di
onda di radiazione elettromagnetica che viene misurata in lunghezze d'onda. Il ventaglio di lunghezze
d'onda a cui l'uomo è sensibile è chiamato spettro visivo ed è relativamente ristretto. Molte specie
non umane sono dotate di capacità diverse. [es. rettili e pesci percepiscono energie di lunghezze
d'onda superiori rispetto a quelle dell'uomo]
 
Inviare il messaggio dall'occhio al cervello
Le onde di luce provenienti da un oggetto al di fuori del corpo sono recepite unicamente dall'occhio.
La maggior parte dell'occhio è un ingranaggio meccanico simile per molti versi ad una macchina
fotografica senza rullino.
Prendendo come esempio un raggio di luce che seguiamo dal momento in cui viene riflesso
dall'albero, questo viaggia prima attraverso la cornea, una finestra protettiva trasparente. Essa, grazie
alla sua incurvatura, rinfrange la luce che la attraversa per metterla a fuoco più chiaramente. Dopo
aver attraversato la cornea la luce attraversa la pupilla. La pupilla è un foro nero posizionato al centro
dell'iride, attraverso il quale viene raccolta la luce. La pupilla può dilatarsi (sistema simpatico) o
contrarsi (sistema para-simpatico), a seconda delle situazioni, la dilatazione si verifica quando il
paesaggio è buio, mentre la contrazione si verifica quando il paesaggio è molto luminoso. Una volta
passata attraverso le pupille la luce passa attraverso il cristallino, una lente che permette di mettere a
fuoco gli stimoli esterni, situata proprio dietro la pupilla. Il cristallino provoca una curvatura dei raggi
di luce tale da focalizzarli adeguatamente nella parte posteriore dell'occhio, inoltre, il cristallino
focalizza la luce cambiando il proprio spessore secondo un processo chiamato accomodazione: si
appiattisce guardando oggetti distanti e si arrotonda guardando oggetti vicini. Questo stimolo viene,
poi, passato attraverso una sostanza gelatinosa chiamata umore vitreo, per giungere, poi, alla retina,
uno strato di cellule dove vengono proiettati gli stimoli in maniera capovolta. La retina è il luogo in cui
intervengono i primi neuroni, i coni ed i bastoncelli, che elaborano l'informazione visiva. Coni e
bastoncelli sono interconnessi e legati alle cellule bipolari e ad altre strutture, tutte queste strutture
convergono nel nervo ottico, la parte terminale del sistema. I coni sono responsabili della visione
fotonica, sono cellule ricettive che si attivano in condizioni di alta luminosità e che regolano la
percezione dei colori e la messa a fuoco dettagliata; i bastoncelli sono responsabili della visione
scotopica, hanno un ruolo di primaria importanza nella visione periferica e nella vista notturna si
attivano in situazioni di bassa luminosità e ci permettono di orientarci al buio e di riconoscere gli
stimoli anche in assenza di una percezione cromatica.
Quando gli oggetti del nostro campo visivo vengono proiettati nella fovea, una parte della retina,
raggiungiamo la massima capacità visiva, qui si ha anche una massima concentrazione di coni.
Quando la luce colpisce bastoncelli e coni, innesta una catena di reazioni fotochimiche che trasforma
l'energia luminosa in impulsi neurali che possono essere comunicati al cervello. I bastoncelli
contengono la rodopsina e i coni la iodopsina, sostanze fotosensibili la cui composizione chimica
cambia a contatto con l'energia della luce e innestano una risposta neurale che è poi trasmessa ad
altre cellule nervose all'interno della retina, chiamate cellule bipolari e cellule del ganglion. Le cellule
del ganglion sintetizzano l'informazione visiva, che viene quindi fatta partire dal retro del bulbo
oculare e inviata al cervello attraverso una fascia di assoni gangliari chiamata nervo ottico.
Il nervo ottico è considerato parte del sistema nervoso centrale. Una caratteristica del sistema retina-
nervo ottico-cervello è che i segnali dell'emicampo visivo destro si proiettano nell'emisfero sinistro e
viceversa. L'emisfero destro contiene informazioni raccolta sia dall'occhio destro, sia da quello
sinistro ma da due parti di retina diverse, per l'occhio destro parliamo dell'emiretina nasale sinistra,
per l'occhio sinistro parliamo dell'emiretina temporale destra. Lo stesso percorso viene seguito
dall'emicampo visivo sinistro che racchiude le informazioni trasmesse dall'emiretina nasale destra e
dall'emiretina temporale sinistra.
Le fibre nervose che partono dalle emiretine temporali proiettano informazioni nell'emisfero, le fibre
nervose che invece partono dalle emiretine nasali si incrociano in un punto chiamato chiasma ottico
per raggiungere l'emisfero.

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Le fibre convergono nel corpo genicolato del talamo che rielabora ulteriormente l'informazione che
proviene dai nostri sensi. L'ultima tappa dell'elaborazione dell'informazione visiva coinvolge la
corteccia visiva del cervello, ossia la parte del lobo occipitale. I neuroni all'interno di quest'area della
corteccia sono specializzati e vengono attivati solo da stimoli visivi di particolari forme, questo
processo è conosciuto come estrazione delle caratteristiche.
Attualmente sono state codificate circa 30 aree corticali visive, organizzate secondo due vie visive
distinte:
o Via dorsale, che collega tra loro l'area visiva primaria nel lobo occipitale con aree del lobo
parietale. Il danneggiamento della via visiva dorsale può causare atassia ottica. I pazienti che ne
soffrono commettono errori di direzione e prensione quando muovono gli arti superiori e/o gli
occhi sugli oggetti del campo visivo;
o Via ventrale, che collega tra loro l'area visiva primaria nel lobo occipitale con regioni del lobo
temporale. Il danneggiamento della via visiva ventrale causa agnosia visiva, ossia l'incapacità di
riconoscere volti di familiari, ma anche di discriminare consapevolmente forma, dimensione e
orientamento di un oggetto.
 
Il colore
Una persona con una normale vista dei colori è in grado di riconoscere non meno di 7 milioni di colori
differenti, tuttavia vi sono certi individui in cui questa capacità è alquanto limitata: i daltonici.
Per comprendere perché esiste il daltonismo è necessario esplorare le basi della visione del colore.
Due processi sono coinvolti in questo meccanismo. Il primo è spiegato dalla teoria tricromatica della
visione di Helmholtz. Secondo questa teoria esistono tre tipi di coni nella retina, ciascuno dei quali
risponde principalmente ad una specifica varietà di lunghezze d'onda. Una è più sensibile ai colori
blu-viola, una al verde e l'ultima al giallo-rosso. Secondo questa ipotesi la percezione del colore
dipende dall'intensità con cui ciascuno dei tre tipi di coni è attivato. La teoria tricromatica fornisce
una spiegazione chiara del daltonismo, infatti in questo caso uno dei tre tipi di coni non funziona
bene, così che i colori di quella varietà saranno percepiti in maniera sbagliata. Questa teoria, però,
non spiega alcuni fenomeni, ad esempio quello dell'immagine residua, ossia la sensazione visiva che
si verifica mentre si osserva uno sfondo uniforme dopo una stimolazione visiva, che avviene poiché
l'attività nella retina continua anche quando non si sta più fissando l'immagine iniziale.
Una seconda teoria è la teoria dei processi opponenti di colore di Hering, secondo la quale le cellule
ricettive sono legate a coppie e lavorano in opposizione l'una all'altra. Nello specifico esistono
accoppiamenti giallo-blu, rosso-verde e bianco-nero. Se un oggetto riflette luce che contiene più blu
che giallo, stimolerà l'attivazione di cellule sensibili al blu e contemporaneamente non incoraggerà
quello delle cellule ricettive sensibili al giallo: l'oggetto apparirà così blu, e viceversa. La teoria dei
processi opponenti spiega bene il fenomeno dell'immagine residua dando come motivazione
l'affaticamento dei ricettori di un determinato colore prevalente nell'immagine iniziale che impedisce
che questo colore venga visto, poi, nel momento in cui l'attività di osservazione termina.
 
 Il sistema gustativo: il gusto è il senso che permette la definizione qualitativa di una sostanza in base
al sapore. Il senso del gusto coinvolge cellule recettive che rispondono a quattro qualità di stimoli
base: dolce, acido, salato e amaro. I recettori sono chiamati papille gustative e sono distribuiti in
maniera non uniforme tra lingua ed altre parti di bocca e gola. Le papille gustative si consumano e si
rigenerano all'incirca ogni dieci giorni.
Il senso del gusto varia fortemente da un individuo all'altro, alcuni individui nominati supertasters,
sono altamente sensibili al gusto, essi possono essere dotati fino al doppio di recettori del gusto
rispetto ai nontasters, che sono quasi insensibili a questo senso. I primi, che sono per lo più soggetti
di sesso femminile, trovano i dolci più dolci, le creme più cremose ed i piatti speziati più speziati,
quindi, necessitano di poche concentrazioni di sostanze per soddisfare qualsiasi voglia particolare,
viceversa, i secondi essendo poco sensibili al gusto, necessitano di una quantità maggiore per
ricevere uno stimolo gustativo. Alcuni problemi legati all'aumento di peso potrebbero essere legati ad
un'alta soglia sensoriale.

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 Il sistema olfattivo: si tratta di un sistema sensoriale molto complesso, è stato stimato che siano più
di 10.000 gli odori in grado di essere riconosciuti dal nostro sistema. È un sistema coinvolto
nell'evocazione nei ricordi, è strettamente collegato alle emozioni.
Alcuni test dell'olfatto dimostrano che le donne hanno in genere un senso dell'olfatto più sviluppato
rispetto a quello degli uomini. Per una donna, infatti, è possibile riconoscere il proprio bambino
dall'odore anche solo dopo qualche ora dalla nascita.
Il senso dell'olfatto è attivato nel momento in cui le molecole di una sostanza entrano nei canali nasali
e incontrano le cellule olfattive, i neuroni recettivi del naso, collocate nella parte alta della cavità
nasale. Da questa parte, chiamata epitelio olfattivo, viene secreto un sottile strato mucoso nel quale
le sostanze odorose si sciolgono prima di raggiungere i recettori. Le cellule recettrici dell'olfatto sono
cellule ciliate. Quando le ciglia di questi recettori vengono a contatto con le molecole volatili avviene
la traduzione olfattiva e l'impulso elettrico viene trasmesso attraverso le fibre nervose al bulbo
olfattivo, una regione del cervello posta sotto i lobi frontali. Questo a sua volta è connesso alla
corteccia olfattiva all'interno dei lobi temporali. I recettori olfattivi sono dei veri e propri neuroni con i
loro assoni che penetrano direttamente nel sistema nervoso centrale. L'odore ha quindi una via
diretta al cervello. Gli odori hanno la capacità di evocare emozioni. Inoltre, la prossimità con il sistema
limbico spiega in parte anche perché siamo dotati di una memoria olfattiva.
 
Sistema somato-sensoriale: tatto e propriocezione
Il sistema somato-sensoriale è stato definito un senso multiplo o aspecifico perché si avvale di
recettori distribuiti in tutto il corpo, a differenza dei sistemi di senso che sono specifici. Questo
sistema comprende diverse modalità di senso che si distinguono in sensazioni:
o Tattili, provocate dalla stimolazione meccanica della superficie corporea;
o Termiche, che includono due sensi separati per il caldo ed il freddo;
o Dolorose, provocate da stimoli nocivi;
o Propriocettive, conseguenti allo spostamento meccanico di muscoli o articolazioni.
Il sistema somato-sensoriale viene suddiviso secondo tre funzioni principali:
a. Esterocezione, la funzione che ci permette di percepire l'ambiente esterno e riguarda la
sensibilità tattile, termica e dolorifica. Le afferenze esterocettive raggiungono diffusamente la
corteccia, e quindi la coscienza, in modo preciso e localizzato;
b. Interocezione, intesa come l'insieme delle sensazioni che provengono dagli organi interni;
c. Propriocezione, ossia l'insieme delle informazioni spazio-temporali che il nostro organismo
riceve dal mondo esterno per coordinare i movimenti. La propriocezione raggiunge in maniera
poco precisa la coscienza, ma permette di avere sempre sotto controllo la posizione del corpo
nello spazio.
 Il sistema tattile: i recettori sensoriali della pelle si trovano distribuiti sulla superficie del corpo e
all'interno di esso e sono responsabili della pressione, della temperatura e del dolore.
Le sensibilità somatiche, quindi, si dividono in tre tipi:
o Sensibilità somatiche meccanocettive, sollecitazioni meccaniche dei tessuti corporei;
o Sensibilità termiche, per il caldo ed il freddo;
o Sensibilità dolorifiche, evocate da qualunque fattore che danneggi i tessuti.
Quasi tutte le informazioni della sensibilità somatica entrano nel midollo spinale attraverso le radici
posteriori dei nervi spinali. Dopo l'ingresso nel midollo e fino all'encefalo e alla corteccia somestesica
questi segnali seguono due vie nervose ascendenti distinte. Tali vie forniscono indicazioni che
riguardano il tipo di stimolo e la sua localizzazione a livello corporeo e sono: il sistema dorsale-
lemniscale e la via antero-laterale. Questi due sistemi convergono, poi, nel talamo.
La zona della corteccia coinvolta in questa attività è la corteccia somato sensoriale, collocata nel lobo
parietale.
 
Il dolore

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Il dolore è la risposta ad una grande varietà di tipi di stimoli che costituisce per l'organismo un
meccanismo di difesa.
Il dolore può risultare insopportabile, ma la mancanza di dolore può essere altrettanto negativa.
Il dolore è classificato in due tipi:
o Acuto, insorge entro 100ms dallo stimolo dolorifico. Viene indicato anche come lancinante,
pungente, rapido o elettrico. Non è avvertito in genere nei tessuti profondi;
o Lento, insorge dopo 1s o più. Viene anche detto urente, pulsante, nauseante o cronico.
Solitamente è associato alla distruzione di tessuti.
I recettori dolorifici sono tutti costituiti da terminazioni nervose libere diffuse negli strati superficiali
della cute e anche nei tessuti profondi. L'esperienza del dolore tuttavia non è una reazione
unicamente fisica ad un particolare stimolo: per esempio, molte donne affermano che il dolore
provato durante il parto viene in qualche modo stemperato dalla natura gioiosa dell'evento. Al
contrario, anche lo stimolo più debole può diventare un'esperienza di forte dolore se accompagnato
da uno stato di ansietà. [es. vista dentistica]
Si tratta, quindi, chiaramente di una risposta percettiva che dipende grandemente da emozioni e
pensieri personali.
Secondo la teoria del gate control, recettori nervosi specifici a livello del midollo spinale sono
collegati a determinate aree del cervello legate al senso del dolore. Quando questi recettori sono
attivati da un infortunio o da un problema in una parte del corpo, una sorta di "cancello" per il
cervello viene aperto, permettendoci di sperimentare la sensazione del dolore. Tuttavia, un altro
insieme di recettori neurali è in grado, sotto stimolo di chiudere il cancello per il cervello, riducendo
così l'esperienza del dolore. Il cancello può essere chiuso in due diversi modi: nel primo caso, altri
impulsi possono riempire i condotti nervosi legati al dolore distribuiti nel cervello, quindi, stimoli
diversi da quelli del dolore competono e talvolta rimpiazzano il messaggio neurale del dolore. Nel
secondo caso, invece, intervengono fattori di tipo psicologico. A seconda delle emozioni provate
dall'individuo in questione, della sua interpretazione degli eventi, o delle sue esperienze precedenti, il
cervello può chiudere il cancello mandando un messaggio attraverso il midollo spinale ad una parte
infortunata del corpo, producendo così sollievo e riduzione del dolore.
 
La propriocezione
La propriocezione è la capacità del sistema nervoso centrale di percepire e riconoscere la posizione
del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto
della vista. Essa migliora la capacità del corpo umano di reagire ad eventuali stimoli esterni tendenti
ad alterare la posizione nello spazio dello stesso.
La propriocezione comprende tre distinte funzioni qualitative:
1. Senso di posizione;
2. Senso di movimento;
3. Senso di forza dei vari segmenti del corpo.
La propriocezione è resa possibile dalla presenza di recettori posizionati in posizioni specifiche:
 Recettori vestibolari, ossia le strutture del labirinto nell'orecchio interno;
 Fusi neuromuscolari, situati nella muscolatura volontaria;
 Organi di Golgi, posti in corrispondenza della giunzione muscolo-tendinea.
 
Integrazione tra i sensi
La nostra esperienza quotidiana è caratterizzata dalla gestione simultanea di informazioni provenienti da
diversi sensi.
Recenti ricerche mostrano come l'integrazione multisensoriale avvenga anche in aree del cervello
considerate uni sensoriali. L'informazione multisensoriale può essere ridondante oppure complementare,
nel primo caso vengono raccolte le medesime informazioni ma da canali sensoriali diversi, nel secondo,
invece, vengono raccolte informazioni riguardanti proprietà diverse ma utilizzando due canali sensoriali
simultaneamente.
 Polisensorialità:

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a. Vista e udito → in questo caso il cervello assimila i dati sonori e quelli visivi in uno stesso
evento, assumendo come decisiva l'ubicazione dell'immagine. La collocazione temporale di un
evento dominata dal suono che produce, mentre la sua collocazione spaziale è dominata dal
luogo esatto in cui sembra che si verifichi;
b. Tatto e vista → alcuni esperimenti al riguardo hanno messo in luce che l'attenzione visiva
migliora la nostra sensibilità tattile e modifica la nostra percezione corporea;
c. Vista e gusto → l'aspetto di un cibo influenza la sua appetibilità e la capacità di identificare
sapori e odori non dipende solo dall'olfatto ma anche dall'aspetto visivo delle sostanze.
 Sinestesie: una stimolazione pertinente a una data modalità sensoriale produce risposte non solo
nello specifico canale sensoriale sollecitato, ma anche in un sistema diverso.
Gli psicologi, ed in particolare gli psicofisici hanno concentrato l'attenzione sullo studio delle soglie
percettive. Con soglia intendiamo un confine tra una condizione in cui l'individuo non è in grado di
riconoscere uno stimolo ed una in cui lo è. Si parla di valori di intensità sovraliminari ed infraliminari.
Le soglie si dividono in assolute e differenziali.
La soglia assoluta indica la quantità minima che deve possedere uno stimolo per dare luogo ad una
risposta soggettiva.
Il concetto di soglia differenziale, invece, è stato introdotto per descrivere il processo che viene attuato
quando chiediamo ad un soggetto di confrontare due stimoli.
La soglia differenziale è quella variazione dell'intensità dello stimolo necessaria al soggetto per
apprezzare o comprendere una variazione di questa stimolazione, chiamata anche differenza appena
percepibile.
 
Gli psicologi a partire da Weber e Fechner hanno condotto studi per dimostrare e quantificare questa soglia
differenziale, scoprendo leggi psicofisiche che evidenziavano le variazioni del modo fisico e del mondo
psichico.
 
La legge di Weber:
Weber fu il primo a proporre una di queste leggi e disse:
 
ΔI = K × I → K = ΔI/I
 
K= costante minore di 1
Nel 1830 Weber scoprì che il valore di stimolo che costituisce una differenza appena percepibile dipende
dall'intensità iniziale dello stimolo, più grande è uno stimolo, maggiore è l'incremento necessario affinché il
suo incremento sia rilevabile. Questa legge, quindi, afferma che una differenza appena percepibile è una
proporzione costante rispetto all'intensità di uno stimolo.
La legge di Weber ci aiuta a spiegare, ad esempio, perché una persona in una stanza silenziosa è più
spaventata dal rumore di un telefono rispetto ad una persona che si trova in una stanza già rumorosa.
 
[es. nel caso della percezione del peso la costante ha un valore di 1/50. immaginando di avere tre pesi la
domanda è: qual è la variazione di intensità che deve avere uno stimolo per essere riconosciuto come
diverso dal mio stimolo di partenza?
 
K=1/50 ΔI=K×I
I1= 50 gr.
I2= 500 GR.
I3= 1000 GR.
 
ΔI1= 1/50 × 50=1 gr.
ΔI2= 1/50 × 500=10 gr.
ΔI3= 1/50 × 1000=20 gr.]
 
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Psicologia Generale

La legge di Weber-Fechner:
Fechner apporta delle modifiche alla legge di Weber, egli dice:
 
S = K × log R
 
S= intensità della sensazione soggettiva;
K= costante;
logR= logaritmo dell'intensità dello stimolo fisico.
Il logaritmo è l'esponente da dare alla base per ottenere l'argomento.
Fechner fece un'osservazione, egli notò che gli incrementi uguali appaiono più piccoli contro uno sfondo di
grandi dimensioni. Ciò significa che, all'aumento in progressione geometrica dello stimolo, corrisponde un
aumento in progressione aritmetica della sensazione.
 
La legge di Stevens:
Stevens teorizzò una legge per il calcolo della sensazione, egli introduce un nuovo metodo di misurazione
della sensazione con il quale si forniscono al soggetto delle scale di misurazione poiché i soggetti sono in
grado di valutare direttamente l'intensità di una sensazione associandola ad un numero.
 
S = K × Ib
 
Se b < 1 (chiarezza,) la sensazione aumenta sempre più lentamente al crescere dell'intensità.
Se b > 1 (scossa elettrica), la sensazione aumenta sempre più rapidamente al crescere dell'intensità.
Se b = 1 (lunghezza apparente), la sensazione è direttamente proporzionale all'intensità.
Secondo Stevens la grandezza soggettiva della sensazione è proporzionale all'intensità dello stimolo elevata
a una certa potenza
 
La teoria di Green e Sweets (teoria della detezione del segnale):
Questa teoria considera l'influenza della presa di decisione sulla rilevazione dell'esistenza o meno di uno
stimolo da parte del soggetto.
Esistono quattro diverse situazioni:
1. È presente uno stimolo ed il soggetto ne individua correttamente la presenza (successo, detezione
corretta DC);
2. Lo stimolo non è presente ed il soggetto afferma che lo stimolo non c'è (negazione corretta, rifiuto
corretto RC);
3. Lo stimolo è assente ed il soggetto afferma che lo stimolo c'è (falso allarme FA);
4. Lo stimolo è presente ed il soggetto non lo individua (insuccesso, omissione O).
Secondo questi autori, oltre all'intensità dello stimolo bisogna considerare alcuni fenomeni che hanno a che
fare con il processo della decisione. Le persone si differenziano in base alla propensione che hanno ad
individuare certi stimoli.
 
Nella vita quotidiana i nostri organi di senso sono bombardati da una enorme quantità di informazioni.
L'attenzione funziona come un filtro in grado di selezionare l'informazione in entrata, facendo passare
quella rilevante per il compito.
[es. cocktail party, anche in una situazione rumorosa siamo in grado di percepire le informazioni rilevanti,
ad esempio in una conversazione.]

LEZIONE 11
La percezione: La percezione visiva

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Psicologia Generale

La percezione è il processo costruttivo attraverso il quale andiamo oltre gli stimoli che ci si presentano e li
elaboriamo in un'unità dotata di significato. Il termine elaborazione indica che le sensazioni raccolte dagli
organi sensoriali ed inviate al cervello vengono codificate, organizzate, riconosciute ed interpretate.
Osservando alcune immagini è talvolta possibile organizzare le figure in modi diversi, questo indica che non
rispondiamo semplicemente agli stimoli visivi in modo passivo, al contrario cerchiamo di organizzare
attivamente e di comprendere ciò che vediamo. Questa osservazione permette di sfatare una convinzione
presente nella psicologia ingenua, secondo la quale ciò che noi percepiamo sarebbe la fotocopia dello
stimolo. Secondo questa convinzione denominata realismo ingenuo, ci sarebbe una completa coincidenza
tra il mondo come è ed il mondo come lo percepiamo.
Numerose esperienze visive, però, hanno dimostrato che può essere presente a livello fisico uno stimolo
che non compare a livello percettivo. Questa incongruenza viene definita assenza dell'oggetto fenomenico.
Un esempio opposto, invece, è costituito dalla concezione dalla condizione detta di assenza dell'oggetto
fisico, in cui è presente l'oggetto fenomenico nonostante sia assente l'oggetto fisico.
Parlando di percezione visiva è necessario distinguere vari tipi di percezione in base allo stimolo che
consideriamo, abbiamo:
o La percezione del colore;
o La percezione della forma;
o La percezione della grandezza;
o La percezione del movimento;
o La percezione della localizzazione e l'orientamento dello spazio.
 
I principi di organizzazione percettiva secondo la teoria della Gestalt.
 Legge della vicinanza, afferma che il nostro sistema visivo raggruppa gli elementi di uno stimolo in
base alla loro prossimità spaziale. La diversa percezione degli elementi cambia a seconda della
distanza degli elementi che costituiscono la figura;
 Legge della somiglianza, che si determina dalla somiglianza degli elementi della figura;
 Legge della chiusura, afferma che la nostra mente tende a completare delle figure incomplete [es.
abbiamo un cerchio e mancano delle parti della circonferenza, noi siamo propensi ad applicare la
nostra conoscenza dei cerchi e ad individuarne uno nella figura];
 Legge della continuità, si ha una configurazione di stimoli che può essere letta in maniera diversa, la
mente preferisce isolare dal suo campo visivo degli stimoli discontinui e predilige quelli continui;
 Legge della simmetria, in questo campo non solo opera la vicinanza ma anche la simmetria.
Questi principi permettono di descrivere alcuni fenomeni, tuttavia, la Gestalt studia un altro campo della
percezione visiva, il quale include due diverse realtà:
1. Realtà fisica, mondo fisico;
2. Realtà percettiva, mondo fenomenico (rappresentazione degli oggetti nella nostra mente).
Gli psicologi della Gestalt sono convinti del fatto che il modo in cui noi rappresentiamo un determinato
oggetto nella nostra mente non sia il modo in cui questo oggetto è nella realtà.
Per dimostrare ciò gli psicologi della Gestalt hanno utilizzato degli strumenti chiamati illusioni ottiche (si ha
una discrepanza tra realtà fisica e realtà oggettiva).
Queste illusioni possono essere distinte in:
o Illusioni di grandezza:
 Illusione di Oppel (1855);
 Illusione di Müller-Lyer (1889), sono state costituire anche alcune varianti di questa illusione;
 Illusione di Titchener;
 Illusione di Ponzo (1912);
o Illusioni di direzione:
 Illusione di Poggendorf (1860);
 Illusione di Hering;
 Illusione di Zöllner;
Altri metodi per dimostrare il funzionamento di questo meccanismo sono le figure reversibili o ambigue,
figure che si prestano ad una doppia interpretazione:
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Psicologia Generale

o Opere di Escher;
o Cubo di Necher;
o Triangolo di Kanizsa (fenomeno dell'assenza dell'oggetto fisico);
o Triangolo impossibile di Penrose;
o Tridente impossibile;
o Organizzazioni impossibili.
 
Ci sono due tipi di errore che si possono compiere se si è convinti che il percetto coincida con lo stimolo
fisico:
1. L'errore dello stimolo, quello che si compie nei fenomeni di illusione ottica, per cui noi descriviamo
non ciò che vediamo ma ciò che sappiamo;
2. L'errore dell'esperienza, per cui attribuiamo alla realtà fisica attributi che invece appartengono alla
percezione e quindi alla realtà fenomenica.
 
Teorie della percezione
Si definisce la percezione visiva come il susseguirsi di stadi progressivi:
o Stadio primario - descrizione, implica processi visivi deputati alla descrizione delle proprietà fisiche
dello stimolo (grandezza, forma, intensità…)
o Stadio secondario - confronto, consiste nel confronto tra le caratteristiche dello stimolo e le tracce
depositate in memoria, da questo confronto deriva l'identificazione dello stimolo che può avvenire
secondo le due seguenti modalità di elaborazione dell'informazione:
a. Bottom-up processing, elaborazione guidata dai dati. La nostra mente procede dai dati e
compie elaborazioni che riguardano singole componenti dello stimolo [es. elaborazioni di
significazione dello stimolo];
b. Top-down processing, elaborazione guidata dai concetti, da un alto livello di conoscenza, da
esperienza, aspettativa e motivazione. La nostra mente procede analizzando i concetti fissati
nella nostra memoria.
Queste forme di elaborazione agiscono in sinergia, la percezione si avvale di entrambe.
 
Sono state formulate molte teorie riguardanti questi due metodi di elaborazione.
Teorie del riconoscimento degli stimoli visivi: approcci bottom-up
o Teoria dell'analisi delle caratteristiche:
Modello pandemonium di Selfridge (1959), serviva per dimostrare la capacità di riconoscere dei
pattern, in particolare delle lettere. Questo processo di riconoscimento avviene grazie all'intervento
dei demoni della caratteristica che elaborano le informazioni per individuare la lettera.
Successivamente queste elaborazioni vengono confrontate con i demoni cognitivi. il demone della
decisione, poi, ricerca delle somiglianze tra gli stimoli presentati e quelli conservati in memoria.
o Teoria dell'integrazione delle caratteristiche (Treisman):
Treisman crede che il riconoscimento degli stimoli sia diviso in due stadi, un primo stadio automatico
nel quale vengono individuate le qualità primarie, ed un secondo stadio che implica attenzione e nel
quale vengono integrate le qualità primarie.
o Teoria del riconoscimento (Biderman):
Biderman parla di geoni. Ogni oggetto può essere scomposto in unità più semplici che egli chiama,
appunto, geoni. Dei solidi di forma geometrica che rappresentano l'unità di base della percezione.
Questi solidi hanno una forma ben specifica e possono essere identificati in oggetti più complessi. Gli
oggetti sono la somma di più geoni.
Teorie del riconoscimento degli stimoli visivi: approcci top-down
o Psicologia della Gestalt:
La scuola della Gestalt sostiene che la percezione non è preceduta da sensazioni ma è un processo
primario ed immediato come risultante dell'organizzazione interna delle "forze" che si vengono a
creare fra le diverse componenti di uno stimolo. In questo senso il processo è top-down, guidato

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Psicologia Generale

centralmente dalla visione gestaltica dell'insieme e non dalla composizione o somma delle singole
parti.
Importanti furono due teorie fornite da questa scuola:
1. Teoria di Gibson, secondo la quale la percezione consiste nella capacità di cogliere e
informazioni già contenute nello stimolo medesimo. La stimolazione offre un ordine intrinseco
grazie ad una precisa distribuzione spaziale e temporale di disponibilità, chiamate affordances
ed il soggetto deve limitarsi a cogliere queste informazioni percettive;
2. Teoria di Marr, secondo la quale la percezione avviene mediante l'applicazione di due schemi:
 Lo schema grezzo originario;
 Lo schema a due dimensioni e mezzo.
Neisser diede un contributo molto importante con alcuni modelli della percezione basati sul concetto
di elaborazione. Il processo inizia nella retina dove si forma l'immagine, che in seguito viene elaborata
e può, poi, essere interpretata. Questo processo Neisser lo contrappone al modello ciclico della
percezione.
 
Un approccio più recente alla questione della percezione, l'analisi delle caratteristiche essenziali, prende in
considerazione il modo in cui percepiamo una forma, un pattern, un oggetto o una scena reagendo prima di
tutto alle singole parti che lo compongono. Secondo questa teoria è solo successivamente che utilizziamo
queste componenti per comprendere la natura completa di ciò che stiamo percependo. L'analisi dei tratti
comincia dall'evidenza che i singoli neuroni celebrali sono sensibili a specifiche figure spaziali (angoli, curve,
bordi…). L'esistenza di tali neuroni significa che è possibile scomporre qualsiasi stimolo in una serie di
caratteristiche che lo compongono. Il modo in cui percepiamo oggetti complessi è simile al modo in cui
percepiamo lettere semplici, cioè vedendole secondo i loro elementi costituenti. Un numero ristretto di
componenti elementari, detti geoni, può riprodurre fino a 150 milioni di oggetti diversi. Questi tratti
elementari sono poi combinati nel cervello in una rappresentazione completa dell'oggetto.
Anche la cultura in cui siamo cresciuti ha chiare conseguenze nel modo in cui percepiamo il mondo. Una
prima differenza culturale si potrebbe osservare nel campo della percezione della profondità in quanto gli
occidentali utilizzando la differenza di dimensione per indicare una diversa distanza tra due oggetti.
 
I disturbi della percezione visiva
o Agnosia per i colori;
o Agnosia per le forme;
o Prosopagnosia, incapacità del cervello di riconoscere i volti a lui familiari.
 
Apprendimento
Con il concetto di apprendimento si intende un cambiamento relativamente permanente del
comportamento, si tratta di un cambiamento determinato dall'esperienza. I primi studi sull'apprendimento
sono basati sull'analisi del comportamento animale.
È possibile distinguere due tipi di cambiamenti comportamentali:
o Dovuti alla maturazione dell'individuo;
o Prodotti dall'esperienza (qui si sono concentrati gli psicologi).
Nell'analizzare l'apprendimento è necessario ricordare che questo è strettamente legato alla memoria,
apprendimento e memoria vengono quindi analizzati e trattati contemporaneamente.
 
Teoria del condizionamento classico
I primi studi che si sono approcciati all'apprendimento furono quelli di Pavlov, egli realizzò degli
esperimenti su dei cani, grazie ai quali formulò la teoria del condizionamento classico.
Il condizionamento classico è uno dei numerosi tipi di apprendimento che sono stati individuati dagli
psicologi.
Pavlov aveva studiato la secrezione dei succhi gastrici e la salivazione nei cani in risposta all'ingestione di
quantità e tipi variabili di cibo. Egli si accorse per caso che i cani emettevano saliva non soltanto durante
l'assimilazione di cibo ma anche semplicemente alla vista del cibo o all'udire dei passi dello sperimentatore
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Psicologia Generale

che preavvisavano l'arrivo del cibo. Egli vide, inoltre che i cani rispondevano non soltanto sulla base di un
bisogno biologico (la fame), ma anche in conseguenza all'apprendimento.
Il tipo di apprendimento scoperto da Pavlov è, appunto, quello del condizionamento classico nel quale uno
stimolo neutro (i passi dello sperimentatore) finisce per causare una risposta dopo che è stato abbinato ad
uno stimolo (il cibo) che effettivamente produce una risposta biologica. Associando un determinato stimolo
ad un altro stimolo, questo crea una relazione tra i due stimoli che implica un apprendimento.
Secondo gli esperimenti di Pavlov, come abbiamo detto, prima del condizionamento vi sono due tipi di
stimoli non correlati, uno stimolo neutro ed uno stimolo incondizionato. La risposta provocata dallo
stimolo incondizionato è chiamata risposta incondizionata, ossia una risposta che è naturale e non richiede
addestramento. Questo tipo di risposte è sempre determinato dalla presenza di uno stimolo
incondizionato.
Durante il condizionamento, invece, lo stimolo neutro viene presentato immediatamente prima della
presentazione dello stimolo incondizionato. Il condizionamento ha lo scopo di far sì che i due stimoli
vengano associati e che quindi lo stimolo neutro evochi lo stesso tipo di risposta che determina lo stimolo
incondizionato.
Dopo un certo numero di accoppiamenti tra i due stimoli la sola presentazione dello stimolo neutro
provoca una risposta.
Quando il condizionamento è completo lo stimolo neutro si è evoluto in quello che viene definito stimolo
condizionato. La risposta, quindi, che si presenta in corrispondenza a questi stimolo viene definita risposta
condizionata.
Importante è l'intervallo di tempo che intercorre tra lo stimolo incondizionato e lo stimolo neutro che, per
rendere il condizionamento più efficace, deve essere compreso tra 0,5 secondi ed alcuni secondi.
 
Nel processo utilizzato da Pavlov si possono distinguere varie fasi:
o Fase di acquisizione: si associa lo stimolo neutro e lo stimolo incondizionato;
o Fase di condizionamento: avviene l'apprendimento;
o Fase di estinzione: la risposta condizionata precedentemente acquisita diminuisce in frequenza fino a
scomparire;
o Fase di ri-apprendimento o di recupero spontaneo: ricomparsa di una risposta condizionata estinta
dopo un periodo di riposo e senza un ulteriore condizionamento.
Nel suo esperimento, inoltre, Pavlov notò che non solo i cani trasalivano al presentarsi dello stimolo neutro
ma anche al presentarsi di uno stimolo simile. Questo comportamento era dovuto alla generalizzazione
dello stimolo, ossia la tendenza a rispondere ad uno stimolo che è simile ad uno stimolo condizionato; più i
due stimoli sono simili, più è probabile che avvenga la generalizzazione.
Se due stimoli sono tanto diversi l'uno dall'altro quanto basta affinché uno di essi evochi una risposta
condizionata e l'altro no, si dice che è avvenuta la discriminazione degli stimoli, ossia la capacità di
distinguere tra stimoli.
 
Anche se gli esperimenti iniziali sul condizionamento furono condotti su animali, si scoprì che i principi del
condizionamento classico spiegavano molti aspetti del comportamento umano quotidiano.

LEZIONE 12
Il caso del piccolo Albert

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Psicologia Generale

In questa ricerca condotta da Watson, viene osservato un bambino, Albert, di 12 mesi durante
un'interazione con i diversi tipi di animali. Durante questa interazione il bambino si divertiva e non
dimostrava di avere paura. L'obiettivo di questo esperimento era quello di imporre al piccolo Albert di
spaventarsi di fronte ad un animale che naturalmente non avrebbe suscitato nessuna sensazione
negativa, il topo.
Watson, durante le interazioni tra il bambino e l'animale, produceva un rumore improvviso alle spalle del
bambino (stimolo incondizionato che innesca una risposta di trasalimento e di paura). Lo scopo della
procedura di condizionamento è, appunto, quello di fare in modo che la risposta di trasalimento venga
riprodotta di fronte ad uno stimolo che normalmente non la produrrebbe, in questo caso, appunto, il
topo.
Associando ripetutamente lo stimolo neutro (il topo) con lo stimolo incondizionato (il rumore) si
otteneva, così, la reazione di paura voluta. Il bambino provava paura verso degli stimoli verso i quali
naturalmente non avrebbe provato paura. La sua risposta era il risultato di un condizionamento.
Dopo il condizionamento, anche a distanza di giorni, il bambino presentava una reazione di paura non
solo di fronte al topo in sé, ma anche di fronte a tutti gli animali, con i quali interagiva, più simili a quelli
visti durante l'esperimento.
Questo esperimento suscitò molte polemiche ma Watson reagì spiegando che come era possibile
condizionare un bambino affinché egli provasse paura, era anche possibile fare il contrario, sostituendo,
cioè lo stimolo incondizionato del rumore con uno stimolo positivo.
 
Teoria del condizionamento operante
Negli anni successivi si affermò un altro paradigma, quello del condizionamento operante.
Il condizionamento operante è una forma di apprendimento in cui una risposta volontaria viene
rinforzata o indebolita a seconda che le sue conseguenze siano favorevoli o sfavorevoli. Il
condizionamento operante si applica alle risposte volontarie che un organismo emette deliberatamente
per ottenere un risultato desiderabile.
Questa teoria fu elaborata dagli psicologi neo-comportamentisti [es. Skinner], ma prese spunto da
esperimenti effettuati in precedenza da Thorndike, il quale studiò l'apprendimento per tentativi ed
errori.
Thorndike studiò in quanto tempo dei gatti inseriti in una gabbia rompicapo (puzzle box) riuscivano a
liberarsi ed i relativi tentativi effettuati prima di riuscire nell'intento.
Il grafico tracciato da Thorndike descrive l'apprendimento come un processo accompagnato da errori
attraverso i quali l'animale individua la soluzione.
In base a questo esperimento Thorndike elabora una prima legge, la legge dell'effetto.
 
 "Ogni atto che, in una data situazione, produce soddisfazione, finisce con l'essere associato a quella
situazione. In tal modo, quando si ripresenta la situazione in oggetto, l'atto relativo ha maggiori
probabilità di ripetersi rispetto al passato. Al contrario, ogni atto che in una data situazione genera
insoddisfazione, finisce con l'essere dissociato da quella situazione. In tal modo, quando si ripresenta la
situazione in oggetto, l'atto relativo ha minori probabilità di ripetersi rispetto al passato."
[Thorndike]
 
L'apprendimento, quindi viene regolato dalla capacità di associare i comportamenti ad una determinata
situazione.
 
Fu, quindi, questo primo esperimento a gettare le basi per la teoria del condizionamento operante e per
l'opera di uno dei più influenti psicologi di quel tempo, Skinner.
Questa forma di condizionamento, già dal nome, sottolinea l'operatività dell'individuo o animale che
partecipa alla situazione sperimentale.
Nel condizionamento operante furono utilizzati animali come ratti o piccioni. Skinner ideò una gabbia
chiamata Skinner box. All'interno di questa scatola si trovavano una leva ed un foro. L'animale, osservato
durante la permanenza nella gabbia, osservava tutto l'ambiente ed accidentalmente premeva la leva.
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Psicologia Generale

Ogni volta che compieva questa azione esso riceveva del cibo attraverso il foro, ma tutto ciò avveniva
casualmente.
Si vide, però, che dopo un certo numero di volte in cui l'animale premeva accidentalmente la leva, esso
cominciava a sviluppare un apprendimento di questa associazione tra stimolo e risposta. È il
comportamento casuale che poi porta a determinare uno stimolo.
L'apprendimento tra il comportamento e l'effetto del comportamento portava, quindi, gli animali a
premere volontariamente la leva.
La frequenza di pressione della leva aumenta in funzione della natura dello stimolo che segue il
comportamento.
 
Gli psicologi neo-comportamentisti analizzarono, quindi, anche delle situazioni in cui la risposta era
associata a delle condizioni sfavorevoli. Se l'animale all'interno della Skinner box premendo la leva
ottiene in cambio una scossa elettrica, esso tende a diminuire la frequenza di pressione della leva in
quanto consapevole dell'effetto negativo di questa azione.
Con questo metodo è, quindi, possibile aumentare o diminuire la frequenza di un determinato
comportamento.
 
Il rinforzatore è il concetto utilizzato per identificare lo stimolo, ciò che aumenta la probabilità che un
comportamento precedente venga ripetuto.
 
Il processo di rinforzo viene definito come il processo in cui uno stimolo [es. cibo] aumenta la probabilità
che un comportamento precedente [es. pressione della leva] venga ripetuto.
Nel paradigma del condizionamento operante possiamo distinguere varie categorie di rinforzi:
 Positivi, ossia la somministrazione di uno stimolo piacevole che determina un aumento della
risposta precedente;
 Negativi, ossia la rimozione dall'ambiente di uno stimolo spiacevole che fa aumentare la
probabilità che una risposta precedente si ripeta nel futuro.
Importante è distinguere il concetto di punizione. Il rinforzo negativo non è identico alla punizione.
La punizione è uno stimolo che diminuisce la probabilità che un comportamento si ripeta. La punizione è
in grado di indebolire una risposta mediante l'applicazione di uno stimolo spiacevole (punizione positiva)
o mediante la rimozione di qualcosa di piacevole (punizione negativa).
 
La punizione si presenta spesso come la via più rapida per modificare un comportamento che potrebbe
essere pericoloso per l'individuo. L'uso della punizione, inoltre, offre l'opportunità di rinforzare una
persona a comportarsi successivamente in un modo più desiderabile. Al contempo, nel metodo della
punizione, vengono riscontrati anche dei lati negativi. La punizione è spesso inefficace se non viene
impartita poco dopo il comportamento indesiderato o se l'individuo ha la possibilità di abbandonare la
situazione in cui la punizione viene impartita. La punizione fisica può trasmettere al ricevente l'idea che
l'aggressione fisica sia permessa e persino desiderabile. Infine, la punizione non trasmette alcuna
informazione su quale potrebbe essere un comportamento alternativo o più appropriato. Per essere
utile ad indurre un comportamento più desiderabile nel futuro, la punizione deve essere accompagnata
da informazioni specifiche sul comportamento che viene punito, insieme a suggerimenti riguardo ad un
comportamento più desiderabile.
 
I rinforzatori, invece possono essere dividi in:
 Primari, soddisfano qualche bisogno biologico e operano in modo naturale, indipendentemente
dalla precedente esperienza di una persona;
 Secondari, stimoli che diventano rinforzanti in virtù della loro associazione con un rinforzatore
primario.
 
Skinner ed i suoi collaboratori hanno condotto degli esperimenti sui programmi di rinforzo, ossia
differenti moduli di frequenza e timing di rinforzo dopo un comportamento desiderato.

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Psicologia Generale

Un primo schema utilizzato prevede una somministrazione di rinforzi continua chiamata programma di
rinforzo continuo e che consiste nel rinforzo di un comportamento ogni volta che viene emesso, a cui si
contrappone una somministrazione di rinforzi parziale o intermittente, chiamata programma di rinforzo
intermittente e che consiste nel rinforzo di un comportamento alcune volte ma non ogni volta che viene
emesso.
 
Come nel condizionamento classico, l'apprendimento operante implica i fenomeni della discriminazione
e della generalizzazione. Il processo con cui le persone apprendono a discriminare gli stimoli è noto
come addestramento al controllo degli stimoli. Un comportamento viene rinforzato in presenza di uno
stimolo specifico, ma non in sua assenza.
Uno stimolo discriminativo segnala la probabilità che una risposta sia seguita da un rinforzo.
Come nel condizionamento classico, il fenomeno della generalizzazione dello stimolo, in cui un
organismo apprende una risposta ad uno stimolo e poi presenta la stessa risposta a stimoli lievemente
diversi è presente anche nel condizionamento operante.
 
Esistono molti comportamenti complessi che non ci si attende siano naturali nell'ambito del
comportamento spontaneo di ognuno. Per questi comportamenti, per i quali potrebbe non presentarsi
altrimenti l'opportunità di fornire un rinforzo, si usa una procedura chiamata modellamento.
Il modellamento è il processo di insegnamento di un comportamento complesso mediante la ricompensa
di approssimazioni sempre più vicine al comportamento desiderato. Nel modellamento si comincia col
rinforzare qualsiasi comportamento che sia simile a quello che si vuole che la persona apprenda. Poi si
rinforzano soltanto le risposte che sono più vicine al comportamento che si vuole insegnare. Infine, si
rinforza soltanto la risposta desiderata. Ogni passo nel modellamento, quindi, procede soltanto
lievemente oltre il comportamento appreso precedentemente, permettendo alla persona di collegare il
nuovo passo al comportamento appreso precedentemente.
Per favorire l'apprendimento di comportamenti desiderati è stata introdotta una tecnica, chiamata
modificazione del comportamento. Questa tecnica è formalizzata per aumentare la frequenza dei
comportamenti desiderati e diminuire quella dei comportamenti indesiderati.
Vi sono, inoltre, dei vincoli biologici, ossia limitazioni innate alla capacità di apprendere particolari
comportamenti. In alcuni casi un organismo avrà una particolare predisposizione che faciliterà
l'apprendimento di un comportamento; in altri casi i vincoli biologici agiranno in modo da impedire ad
un organismo di apprendere un comportamento o da inibirlo. L'esistenza di vincoli biologici è
compatibile con le spiegazioni evolutive del comportamento.
 
Teoria dell'apprendimento latente
Non tutti i tipi di apprendimento sono dovuti al condizionamento operante e al condizionamento
classico, queste situazioni portano argomenti contro l'idea che l'apprendimento sia l'acquisizione
irriflessiva, meccanica e automatica di associazioni tra stimoli e risposte o la presentazione del rinforzo.
Alcuni psicologi considerano l'apprendimento in termini dei processi di pensiero su cui esso si basa, un
approccio noto come teoria dell'apprendimento cognitivo-sociale. Gli psicologi hanno sviluppato
approcci che si concentrano su processi mentali inosservati che si svolgono durante l'apprendimento,
invece di concentrarsi unicamente sugli stimoli esterni, sulle risposte e sui rinforzi.
Secondo la teoria dell'apprendimento cognitivo-sociale le persone sviluppano l'aspettativa che
riceveranno un rinforzo dopo aver emesso una risposta.
Un tipo di apprendimento cognitivo-sociale e l'apprendimento latente. Nell'apprendimento latente un
nuovo comportamento viene appreso, ma non viene manifestato finché non viene fornito qualche
incentivo per presentarlo. L'apprendimento latente, quindi, avviene senza rinforzo.
Intorno al 1930, Tolman cercò di dimostrare la non essenzialità di un rinforzo nella fase di
apprendimento con la teoria dell'apprendimento latente.
Questa teoria prevede di collocare dei topi all'interno di un labirinto che il topo poteva esplorare per
cercare di uscire, all'uscita poteva esserci una ricompensa o meno.
Tolman utilizzò tre gruppi di topi:

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Psicologia Generale

 Il primo gruppo di topi otteneva un rinforzo ogni qualvolta riusciva a raggiungere l'uscita del
labirinto. Su questi topi viene registrato un aumento dell'apprendimento e quindi una diminuzione
progressiva degli errori;
 Il secondo gruppo di topi era il gruppo che non otteneva nessun rinforzo al raggiungimento
dell'uscita e del quale non si è notato nessun miglioramento dal punto di vista degli errori. Dalla
comparazione di questi due gruppo è evidente che il cibo sembra essere fondamentale per
diminuire gli errori;
 Il terzo gruppo, invece, quello che non riceve rinforzi fino all'undicesimo giorno, inizialmente
questo gruppo commette un numero di errori simile a quelli degli altri gruppi, ma dall'undicesimo
giorno in poi gli errori diminuiscono drasticamente divenendo pari a quelli del primo gruppo.
Questo gruppo di topi, nei primi dieci giorni, pur non ricevendo ricompense, aveva trovato la via
d'uscita creandosi una mappa cognitiva del labirinto. Essi hanno, quindi, applicato il loro
apprendimento nel momento in cui è stata proposta loro una ricompensa.
L'apprendimento attuato da questo ultimo gruppo di topi viene chiamato apprendimento latente, un
nuovo apprendimento viene acquisito ma non viene manifestato finché non viene fornito qualche
incentivo (rinforzo) per presentarlo.
 
Teoria dell'apprendimento osservativo
Secondo alcuni psicologi gran parte dell'apprendimento umano è costituita dall'apprendimento
osservativo, definito come l'apprendimento attraverso l'osservazione del comportamento di un'altra
persona detta modello.
Attraverso l'apprendimento osservativo non vengono appresi soltanto comportamenti negativi.
Secondo Bandura, lo psicologo che si concentrò su questo tipo di apprendimento, l'apprendimento
osservativo avviene in quattro tappe:
 Prestare attenzione e percepire le caratteristiche più critiche del comportamento di un'altra
persona;
 Ricordare il comportamento;
 Riprodurre l'azione;
 Essere motivati ad apprendere e ad eseguire il comportamento nel futuro.
L'apprendimento osservativo è particolarmente importante nell'acquisizione di abilità in cui
inappropriata la tecnica di modellamento propria del condizionamento operante.

LEZIONE 13

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Psicologia Generale

La memoria
La memoria è il processo con cui codifichiamo, immagazziniamo e recuperiamo le informazioni. Questo
processo è caratterizzato, appunto, da tre fasi:
1. Codifica, consiste nell'acquisizione dell'informazione e nella sua trasformazione in un formato che
possa essere utilizzato e compreso dal nostro cervello;
2. Ritenzione, consiste nell'immagazzinamento e mantenimento dell'informazione in memoria;
3. Recupero, consiste nell'estrazione dell'informazione della memoria e la sua utilizzazione, esso può
essere:
o Volontario, lo sperimentatore chiede al soggetto di estrarre un ricordo, ciò implica un accesso
ai contenuti della memoria volontari;
o Involontario, si tratta dei ricordi che il soggetto recupera senza fare un procedimento
volontario. [es. flashback] Si è propensi a ritenere che il contenuto di questi ricordi sia negativo.
[es. esperienze traumatiche che si ripresentano attraverso ricordi involontari che si
intromettono nelle nostre attività quotidiane]
In realtà è stato verificato che larga parte di questi ricordi sono positivi.
 
Un modello che ha influenzato il dibattito in psicologia della memoria è il modello multi magazzino di
Atkinson e Shriffin (1968). Questi autori descrivono la memoria come un sistema diviso in tre magazzini,
quello della memoria sensoriale, quello della memoria a breve termine e quello della memoria a lungo
termine. L'informazione proveniente dall'esterno passa per questi tre magazzini ma non sempre raggiunge
l'ultimo, può succedere che essa decada già tra i primi due.
Questi tre magazzini o sistemi, possono essere analizzati singolarmente e si differenziano in particolare per
due parametri:
 La quantità di informazioni che essi possono trattenere;
 Il tempo di permanenza dell'informazione all'interno di ogni sistema.
 
La memoria sensoriale
La memoria sensoriale è il magazzino di memoria iniziale, temporaneo che immagazzina le informazioni
soltanto per qualche secondo. Le informazioni vengono registrate dalla memoria sensoriale di una persona
come una replica esatta dello stimolo.
Esistono varie forme di memoria sensoriale:
 Memoria iconica, che immagazzina le informazioni provenienti dal sistema visivo. Dura meno di 1
secondo;
 Memoria ecoica, che immagazzina le informazioni acustiche provenienti dal sistema uditivo.
Scompare entro 1 o 2 secondi;
 Sistemi di memoria sensoriale legati a tatto, gusto, olfatto.
Nonostante la sua breve durata, la memoria sensoriale ha un'elevata precisione: è in grado di
immagazzinare una replica quasi esatta di ciascuno stimolo a cui viene sottoposta. Se le informazioni non
passano per la memoria a breve termine vengono perdute per sempre.
Importante nell'analisi di questo sistema di memoria è il concetto di formato della traccia, cioè
l'informazione che viene immagazzinata. Essa sembra ripetere nella forma la sensazione originaria, le
caratteristiche dello stimolo che viene elaborato. A questo livello non si ha una trasformazione del formato
dello stimolo, la nostra mente lo riproduce così com'è.
 
 L'esperimento di Sperling (1960)
La memoria sensoriale è stata ben compresa soltanto in seguito agli studi di George Sperling.
Sperling valuta la memoria sensoriale presentando come stimolo delle righe di lettere. Egli
presentava lo stimolo ai suoi soggetti e valutava la capacità dei soggetti, dopo un tempo di
esposizione molto breve, di ripetere le lettere che componevano lo stimolo.
Sperling elaborò due procedure per valutare la risposta a questi stimoli:

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 Procedura a resoconto totale: si vide che in questa procedura i soggetti erano in grado di
riportare correttamente tra le 4 e le 5 lettere. Solo una parte delle informazioni veniva
rievocata nella maniera esatta;
 Procedura a resoconto parziale: Sperling associò un tono acustico ad ogni riga di lettere. Il
compito dei soggetti in queste versione dell'esperimento era quello di ricordare le lettere
associate allo specifico tono. Con questa procedura egli mostrò che i soggetti erano in grado di
rievocare correttamente tutte le lettere delle varie righe.
Questo risultato ci porta alla conclusione che la memoria sensoriale è in grado di contenere
numerose informazioni ma, trascorso un certo tempo, queste informazioni decadono rapidamente. Il
compito di rievocazione doveva essere richiesto subito dopo la sottoposizione allo stimolo.
Sperling ha anche stimato l'intervallo di tempo oltre il quale l'informazione decade e questo si aggira
intorno ai 2 secondi.
 
 Caratteristiche della memoria sensoriale
Quantità di informazione: grandissima.
Formato dell'informazione: letterale.
Durata dell'informazione: da alcuni millisecondi ad 1-2 secondi.
Perdita dell'informazione: avviene per decadimento.
Modalità d'ingresso dell'informazione: preattentiva, possiamo non prestare attenzione
volontariamente ma questo viene comunque elaborato.
 
La memoria a breve termine (MBT)
La memoria a breve termine conserva le informazioni per 15-25 secondi e le immagazzina secondo il loro
significato invece che come semplici stimoli sensoriali.
Per rendere significative le informazioni immagazzinate dalla memoria sensoriale è necessario che queste
passino per la memoria a breve termine, in cui le informazioni acquisiscono per la prima volta un
significato.
L'esperimento più importante è quello di Miller: il numero magico "7" (articolo The magical number seven
plus or minus two: some limits on our capacity for processing information. Psychological Review).
Grazie al lavoro di Miller è stato introdotto il concetto di span di memoria, ossia la quantità di informazioni
che possono essere trattenute, per la nostra specie pari a 7 unità di informazioni.
Studi successivi hanno permesso di dimostrare che la nostra mente può memorizzare più di 7 unità. Proprio
per indicare il concetto di unità di memoria è stato introdotto il termine "chunks", inteso come blocco di
informazioni.
[es. 1996200119971978198419611986, sarebbe impossibile memorizzare questo numero cifra per cifra,
per questo è possibile individuare in questo numero delle date 1996/2001/1997/1978/1984/1961/1986
questo metodo è chiamato chunking]
Per quanto riguarda gli effetti di posizione seriale sono stati effettuati degli esperimenti, ad esempio, si
chiedeva ad alcuni soggetti di ascoltare un lungo elenco di parole e riportarle correttamente. È stato
possibile notare che le parole che erano posizionate nella parte finale e nella parte iniziale dell'elenco
vengono meglio ricordate. Le prestazioni peggiori, invece, riguardano gli elementi centrali. La capacità di
ricordare i primi elementi di una lista è definita effetto di priorità (effetto primacy), al contrario, la capacità
di ricordare gli ultimi elementi di una lista è definita effetto di recenza (effetto recency). Una buona capacità
di ricordare gli ultimi elementi di una lista è data dal fatto che queste informazioni sono ancora oggetto di
elaborazione nella memoria a breve termine; la capacità di ricordare i primi elementi di una lista, invece, è
data dal fatto che queste informazioni sono, ormai, state elaborate e passate alla memoria a lungo termine.
Sempre riguardo la memoria a breve termine, Baddley teorizzò che una distinzione importante è quella tra
memoria a breve termine e memoria di lavoro. Quest'ultima è, sicuramente, una parte della precedente in
quanto in grado di mantenere informazioni per un periodo determinato di tempo ma, questa parte di
memoria rappresenta non solo un magazzino di contenimento per le informazioni ma un luogo in cui
vengono anche effettuate delle elaborazioni delle informazioni.
La memoria di lavoro, quindi, viene a sua volta divisa in ulteriori sottosistemi:

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1. Taccuino viso-spaziale, sistema per l'elaborazione delle informazioni visive;


2. Circuito articolato o fonologico, tratta informazioni verbali o acustiche
3. Sistema esecutivo centrale, organo cognitivo che distribuisce l'attenzione sulle varie caratteristiche
degli stimoli visivi o verbali.
L'elaborazione delle informazioni nella memoria di lavoro, quindi, avviene attraverso questi sistemi.
Invece che considerare la memoria a breve termine come una stazione secondaria attraverso cui viaggiano
le informazioni immagazzinate, alcuni teorici concepiscono la memoria a breve termine come un sistema di
elaborazione delle informazioni denominato memoria di lavoro. La memoria di lavoro è un insieme di
magazzini di memoria temporanei che manipolano e reiterano attivamente le informazioni.
Si pensa che la memoria di lavoro contenga un esecutivo centrale che interviene nel ragionamento e nel
processo decisionale. L'esecutivo centrale coordina tre distinti sistemi di immagazzinamento e reiterazione:
il magazzino visivo, il magazzino verbale ed il buffer episodico.
Il magazzino visivo specializzato in informazioni visive e spaziali, il magazzino verbale è responsabile della
ritenzione e manipolazione di informazioni attinenti al linguaggio, alle parole e ai numeri, il buffer episodico
contiene informazioni che rappresentano episodi ed eventi.
La memoria di lavoro ci permette di mantenere le informazioni in uno stato attivo per un breve intervallo di
tempo affinché possiamo utilizzarle in qualche modo.
 
 Caratteristiche della memoria a breve termine
Quantità di informazione: limitata.
Formato dell'informazione: elaborato (si possono trattare immagini, suoni…).
Durata dell'informazione: 15-20 secondi.
Perdita dell'informazione: avviene per decadimento, a causa del trascorrere del tempo.
Modalità d'ingresso dell'informazione: uso dell'attenzione.
 
La memoria a lungo termine (MLT)
La memoria a lungo termine immagazzina le informazioni in maniera relativamente permanente, ma può
essere difficile recuperarle.
Il trasferimento di informazioni dalla memoria a breve termine a quella a lungo termine procede per
reiterazione, ossia una ripetizione di informazioni che sono entrate nella memoria a breve termine. La
reiterazione svolge due funzioni, in primo luogo purché le informazioni vengano ripetute, esse vengono
conservate nella memoria a breve termine. Ciò che più importa, però, è il fatto che la reiterazione permette
di trasferire le informazioni nella memoria a lungo termine.
Se le informazioni vengono ripetute semplicemente più e più volte esse vengono mantenute nella memoria
a breve termine, ma non verranno necessariamente trasferite nella memoria a lungo termine. Per contro,
se le informazioni immagazzinate nella memoria a breve termine vengono reiterate mediante un processo
denominato reiterazione elaborativa, è molto maggiore la probabilità che vengano trasferite nella memoria
a lungo termine. La reiterazione elaborativa ha luogo quando le informazioni vengono considerate e
organizzate in qualche modo.
L'impiego di strategie organizzative, una tecnica nota come mnemotecnica, permette di migliorare
notevolmente la ritenzione delle informazioni. Le mnemotecniche sono finalizzate a organizzare le
informazioni in modo da aumentare la probabilità che vengano ricordate.
La memoria a lungo termine può essere distinta in due sistemi:
 Memoria procedurale, riguarda la conservazione di abilità e sequenze comportamentali. [es. andare
in bicicletta, guidare l'auto…]
A livello teorico, per descrivere l'uso di queste procedure comportamentali Schank e Abelson hanno
proposto il concetto di script. Questo concetto descrive come fare qualcosa e come è possibile
adattare l'azione alle circostanze particolari. Essi si sono avventurati in questa strada di ricerca
costruendo dei software che ricostruissero le conoscenze procedurali dell'individuo e studiarono
l'esperienza quotidiana. [es. "Gianni andò al ristorante. Ordinò una bistecca con dell'insalata. Pagò il
conto e se ne andò.", volendo arricchire questa scena si potrebbero descrivere dettagliatamente
alcuni particolari: "Gianni andò al ristorante. Si sedette ad un tavolo vicino alla finestra nella sala dei

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non fumatori. Ordinò una bistecca con dell'insalata. Ordinò pure dell'acqua, un dolce e un caffè.
Quando ebbe finito di mangiare, si alzò dal tavolo e si diresse verso la cassa. Pagò il conto con la carta
di credito, lasciò una mancia e se ne andò"]
Secondo Schank e Abelson, questo procedimento di arricchimento è dato da uno schema mentale
che ognuno di noi possiede. È un'attività apparentemente scontata ma in realtà è dovuta ad
un'organizzazione particolare della mente.
Ciò serve per far comprendere che, dietro ad una situazione naturale e quotidiana, c'è
un'organizzazione della mente che ci permette di ricordare delle procedure da effettuare. La capacità
di svolgere queste procedure è legata all'intelligenza, solo un sistema cognitivo integro è in grado di
effettuare queste azioni.
 Memoria dichiarativa o proposizionale, riguarda il cosa ricordiamo, le informazioni fattuali e si divide
in:
o Memoria episodica, conserva i ricordi riferiti ad aventi, situazioni e persone particolari che sono
parte della nostra vita individuale. [es. primo bacio, conseguimento del diploma, un dolce
mangiato a colazione, la notizia ascoltata al telegiornale…]
I ricordi di questa memoria rimangono bene impressi anche se si sono verificati una sola volta.
Ed hanno alcune caratteristiche particolari:
 Codifica multimodale (immagini, suoni, odori, sapori, sensazioni tattili e propriocettive), il
formato dell'informazione è lo stesso dello stimolo. Tutti i nostri sensi vengono coinvolti;
 
 Vividezza, la qualità dei ricordi è molto buona;
 Forte connotazione emotiva (le situazioni in cui abbiamo vissuto delle forti emozioni
possono essere più facilmente ricordate).
Parte della memoria episodica è approfondita dagli studi sulla memoria autobiografica, la
memoria degli eventi remoti. Spesso questi studi sono effettuati su persone anziane alle quali
viene chiesto di rievocare anni passati come l'adolescenza o l'infanzia. Anche questi ricordi
sono caratterizzati da una codifica multimodale, dalla vividezza e da una forte connotazione
emotiva. Riproducendo su una linea temporale i ricordi di una persona si verifica un incremento
molto alto della quantità dei ricordi in corrispondenza della seconda e della terza decade di vita
(15-30 anni), è in questa fase che si verificano eventi che potrebbero risultare più significativi in
quanto è in questo periodo che avvengono le transizioni più consistenti e rilevanti.
[es. passaggio da scuola a università, laurea, matrimonio…]
Mentre è molto facile chiedere ad una persona di effettuare un ricordo volontario, raccontando
un determinato momento o una determinata situazione, più complesso è rievocare un ricordo
in maniera involontaria. Grandi studi riguardanti i ricordi autobiografici involontari sono stati
condotti da Bernsten nel 1996.
Un'altra area di indagine riguarda le memorie flashbulb (ricordi fotografici), ossia memorie
incentrate su un evento specifico, importante o sorprendente, che sono così vivide da
rappresentare un'istantanea virtuale dell'evento. Eventi inattesi, rilevanti per la società ed
appresi in maniera indiretta lasciano delle tracce importanti ed i soggetti riferiscono una
capacità di ricordare abbastanza dettagliatamente le circostanze in cui hanno appreso la
notizia. Ovviamente le memorie fotografiche non contengono ogni particolare di una scena
originale ed i particolari rievocati da queste memorie sono spesso inaccurati.
Le memorie fotografiche illustrano un fenomeno più generale relativo alla memoria: le
memorie eccezionali sono più facili da recuperare rispetto a quelle attinenti a eventi che sono
frequenti. Più uno stimolo è distintivo, maggiore è la probabilità che questo venga ricordato.
Anche nel caso di uno stimolo distintivo, però, è possibile che non ci si ricordi da dove
provengano le informazioni. Si verifica in questo caso un'amnesia della fonte, quando un
individuo ha memoria per un certo materiale ma non è in grado di rievocare dove l'abbia
incontrato prima.
Altra area di indagine è quella dei ricordi di eventi emozionali e traumatici. Si differenzia dalla
precedente in quanto in questa categoria si tende a ricordare un evento emozionale o

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addirittura traumatico vissuto. Per evento traumatico si intende un evento che ha la capacità di
minacciare la sopravvivenza e l'integrità fisica dell'individuo.
[es. malattia, aggressione fisica, catastrofe naturale…]
In questo campo sono stati condotti molti studi per verificare se gli eventi traumatici siano
effettivamente più rilevanti rispetto a quelli emozionali.
o Memoria semantica, si tratta di una sorta di enciclopedia che la nostra mente può consultare
per orientarsi nel mondo. Questa memoria conserva tutte le nostre conoscenze, siano esse
acquisite attraverso lo studio sistematico o per mezzo dell'esperienza diretta.
La sua caratteristica principale è di essere altamente organizzata.
[es. Roma è la capitale d'Italia; Ebbinghaus può essere considerato il padre della psicologia della
memoria; 5 è maggiore di 4; la sedia appartiene alla categoria dei mobili…]
 
Differenze tra memoria episodica e memoria semantica
La memoria semantica è costituita da proposizioni generali indipendenti dal momento in cui sono
state apprese [es. Torino si trova in Piemonte]; la memoria episodica, invece, è costituita da
proposizioni ben collocate nel tempo [es. ieri sono andato al cinema].
 
La nostra capacità di rievocare informazioni particolareggiate ha indotto alcuni ricercatori a considerare la
memoria principalmente in termini di associazioni tra differenti informazioni. Secondo i modelli associativi
di memoria, la memoria è costituita da rappresentazioni mentali di gruppi di informazioni interconnesse.
Secondo i modelli associativi di memoria, il pensiero su un concetto particolare attiva la rievocazione di
concetti correlati.
I modelli associativi di memoria aiutano a spiegare il priming, un fenomeno in cui l'esposizione a una parola
o a un concetto facilita successivamente la rievocazione di informazioni correlate. Gli effetti del priming si
producono anche quando le persone non hanno memoria conscia della parola o del concetto originale.
Negli esperimenti di priming, i partecipanti vengono esposti rapidamente a uno stimolo come una parola,
un oggetto o il disegno di un volto. La seconda fase dell'esperimento viene eseguita dopo che è trascorso
un intervallo di tempo che va da alcuni secondi ad alcuni mesi. Trascorso questo intervallo di tempo i
partecipanti vengono esposti a informazioni percettive incomplete che sono correlate con il primo stimolo e
vengono invitati a dire se le riconoscono.
Il priming avviene anche quando i partecipanti non riferiscono alcuna consapevolezza conscia di essere stati
esposti precedentemente allo stimolo.
La scoperta del fatto che le persone abbiano memorie di cui sono inconsapevoli ha avuto conseguenze
importanti. Ha indotto a ipotizzare che possano coesistere due forme di memoria, la memoria esplicita e la
memoria implicita.
La memoria esplicita è il ricordo intenzionale o conscio di informazioni, la memoria implicita è costituita
dai ricordi di cui le persone non hanno consapevolezza conscia, ma che possono influenzare la prestazione
e il comportamento successivi.
 
A chiunque sarà capitato di sperimentare il famoso fenomeno "sulla punta della lingua", ossia l'incapacità
di rievocare le informazioni che si è persuasi di conoscere, una conseguenza della difficoltà di recuperare
informazioni dalla memoria a lungo termine.
Un motivo per cui la rievocazione non è perfetta è la quantità di ricordi che sono immagazzinati nella
memoria a lungo termine.
Un cue di recupero è uno stimolo che ci permette di rievocare più facilmente informazioni che sono
immagazzinate nella memoria a lungo termine. Può essere una parola, un'emozione o un suono che,
quando è presente, riporterà alla mente un ricordo specifico.
I cue di recupero riguardano la persona attraverso le informazioni che sono immagazzinate nella memoria a
lungo termine. Essi sono particolarmente importanti quando tentiamo di rievocare le informazioni, rispetto
a quando ci viene chiesto di riconoscere materiale immagazzinato nella memoria. Nella rievocazione deve
essere recuperata un'informazione specifica, nel riconoscimento, invece, quando si presenta uno stimolo
ad un soggetto gli si chiede se sia stato esposto precedentemente ad esso.

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Una determinante dell'accuratezza di rievocazione delle memorie è il modo in cui il materiale viene
inizialmente percepito, elaborato e compreso. La teoria dei livelli di elaborazione pone in risalto il grado a
cui il nuovo materiale viene analizzato mentalmente. Secondo questa teoria la quantità di elaborazione
delle informazioni che avviene quando il materiale viene incontrato inizialmente è fondamentale nella
determinazione di quanta parte delle informazioni venga ricordata alla fine. Ha importanza, quindi, il grado
a cui le informazioni vengono analizzate e considerate: maggiore è l'intensità di elaborazione iniziale delle
informazioni, più elevata è la possibilità che queste vengano ricordate.
La teoria procede ad ipotizzare che esistano notevoli differenze nei modi in cui le informazioni vengono
elaborate a vari livelli di memoria. A livelli poco profondi, le informazioni vengono elaborate
semplicemente in base ai loro aspetti fisici e sensoriali. A livelli di elaborazione più profondi, invece, le
informazioni vengono analizzate in base al loro significato.
Anche se si è dimostrato difficile verificare il concetto di profondità di elaborazione è chiaro che l'ipotesi
che il grado di elaborazione iniziale delle informazioni influenzi la rievocazione ha notevoli conseguenze
pratiche. È improbabile che la memorizzazione meccanica di una lista di termini produca il ricordo a lungo
termine di informazioni. Per contro, la riflessione sul significato dei termini e sulla loro relazione con le
informazioni che già si conoscono è una via molto più efficace per giungere alla ritenzione a lungo termine.
È evidente, quindi, che i nostri ricordi rispecchiano processi costruttivi, processi in cui ciò che rievochiamo è
influenzato dal significato che attribuiamo agli eventi.
L'ipotesi che la memoria si basi su processi costruttivi è dovuta allo psicologo inglese Bartlett, il quale
ipotizzò che le persone tendessero a ricordare le informazioni in termini di schemi, corpi organizzati di
informazioni immagazzinati nella memoria che distorcono il modo in cui le nuove informazioni vengono
interpretate, immagazzinate e rievocate. Questa dipendenza dagli schemi significa che i nostri ricordi sono
speso il risultato di una ricostruzione generale basata su esperienze precedenti. Le nostre aspettative e
conoscenze influenzano l'attendibilità dei nostri ricordi.
 
 

LEZIONE 14
 Caratteristiche della memoria a lungo termine

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Quantità di informazione: enorme.


Formato dell'informazione: elaborato.
Durata dell'informazione: indefinita.
Perdita dell'informazione: diverse cause.
Modalità d'ingresso dell'informazione: facilitata dai processi di MBT (memoria a breve termine).
 
Sempre all'interno della memoria a lungo termine esiste un altro sistema, quello della memoria
prospettica, una memoria di fatti futuri.
La nostra mente può non solo immagazzinare informazioni riguardo fatti già accaduti (memoria
retrospettiva) ma può anche trattare informazioni relative a fatti ed eventi che devono ancora accadere
(memoria prospettica o future thinking).
[es. ricordarsi di un evento futuro]
 
I ricordi repressi sono ricordi di eventi così scioccanti da essere spinti nell'inconscio della mente.
I sostenitori del concetto di memoria repressa ipotizzano che queste memorie possano rimanere nascoste
per tutta la vita dell'individuo, salvo che non vengano evocate da qualche circostanza, come l'indagine che
viene effettuata durante la terapia psicoanalitica. Secondo alcuni, però, queste memorie sono inaccurate e
persino false.
Quando la fonte del ricordo diventa oscura e ambigua, le persone possono cominciare a non essere sicure
se abbiano realmente vissuto l'evento o se lo abbiano semplicemente immaginato.
Gli stessi processi costruttivi che agiscono per farci rievocare in modo inaccurato il comportamento degli
altri riducono anche l'accuratezza delle memorie autobiografiche. Le memorie autobiografiche sono i
nostri ricordi di circostanze ed episodi della nostra vita e comprendono le memorie episodiche relative a
noi stessi.
 
Le informazioni che conserviamo in memoria possono essere perse. La perdita delle informazioni contenute
nella memoria a lungo termine viene riconosciuta con il termine di "oblio". L'oblio è essenziale per il
funzionamento appropriato della memoria. La capacità di dimenticare particolari inessenziali riguardanti
esperienze, persone e oggetti ci aiuta ad evitare di essere distratti da dati privi di significato. Inoltre l'oblio ci
permette di formare impressioni e ricordi. Dimenticare le informazioni inutili è tanto essenziale per il
funzionamento della memoria quanto ricordare le informazioni importanti.
Il primo studioso ad occuparsi di questo fenomeno fu Ebbinghaus nel 1895, egli grazie ad alcuni esperimenti
effettuati su sé stesso arrivò a rappresentare su un grafico, chiamato curva dell'oblio, la perdita di
informazioni. In questo grafico sull'asse delle ascisse abbiamo il tempo trascorso, misurato in giorni e
sull'asse delle ordinate si ha la percentuale degli stimoli che il soggetto è in grado di riportare
correttamente. Si può osservare che a pochi minuti dalla stimolazione il soggetto è in grado di rievocare
correttamente tutte le informazioni che ha recepito; dopo soli 20 minuti si ha già una perdita di quasi il 50%
delle informazioni e con il trascorrere del tempo questa perdita aumenta progressivamente. Questo grafico
dimostra che le informazioni sono esposte ad un fenomeno di decadimento.
Il decadimento è la perdita di informazioni a causa del non uso. Questa spiegazione dell'oblio presuppone
che, quando viene appreso nuovo materiale, compaia una traccia mnestica: una modificazione fisica
effettiva nell'encefalo. Nel decadimento, la traccia mnestica scompare semplicemente senza lasciarsi dietro
alcunché, a causa del semplice trascorrere del tempo.
Poiché il decadimento non spiega completamente l'oblio, gli specialisti nel campo della memoria hanno
proposto un altro meccanismo: l'interferenza. Nell'interferenza le informazioni immagazzinate in memoria
disturbano la rievocazione delle altre informazioni.
Infine, la dimenticanza può essere causata dall'oblio dipendente dai cue, l'oblio che avviene quando i cue
di recupero sono insufficienti per risvegliare le informazioni presenti in memoria.
La maggior parte delle ricerche indica che l'interferenza e l'oblio dipendente dai cue sono processi
essenziali dell'oblio.
 
 

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I fattori che determinano la perdita di informazioni nella memoria a lungo termine sono:
1. Tempo, all'aumentare del tempo trascorso da un dato evento aumenta la probabilità di perdere
informazioni riguardo a quest'ultimo;
2. Distrazione, che incide sia in fase di codifica, cioè durante l'esposizione alle informazioni, ma anche in
fase di recupero delle informazioni;
3. Mancato utilizzo di certi contenuti della memoria, la reiterazione è un fattore che rafforza ed
irrobustisce il ricordo;
4. Congruenza che c'è tra la situazione in cui il soggetto apprende le informazioni e la situazione in cui
le recupera (principio specificità di codifica), se c'è una buona congruenza tra le emozioni provate al
momento dell'esposizione ad un evento e quelle sperimentate nel momento del recupero delle
informazioni di quel momento il ricordo è più accurato, se invece vi è un'incongruenza il ricordo è
meno accurato. Questo principio afferma anche che sono importanti la congruenza e la discrepanza
tra il contesto in cui è stata vissuta una determinata situazione e quello in cui viene rievocata;
5. Interferenze di altri ricordi, il sistema della memoria a lungo termine è molto capiente e per questo si
possono creare delle interferenze.
Esistono due tipi di interferenze:
a. Proattive, informazioni apprese in passato interferiscono con informazioni apprese in presente
[es. durante l'infanzia si è appreso l'inglese ed in età adulta è stato studiato il francese, è
possibile che le nostre prestazioni di memoria relative alla seconda lingua studiata siano
compromesse dalla prima lingua studiata];
b. Retroattive, informazioni apprese nel presente interferiscono con informazioni apprese in
passato [es. durante l'infanzia si è appreso l'inglese ed in età adulta è stato studiato il francese,
supponendo di voler verificare la lingua inglese è possibile che questa sia compromessa dalla
seconda lingua appresa].
I concetti di interferenza proattiva e retroattiva non spiegano bene se l'oblio sia causato dalla
perdita effettiva o dalla modificazione delle informazioni. La maggior parte delle ricerche indica
che il materiale che apparentemente è andato perso a causa dell'interferenza può alla fine
essere rievocato se vengono presentati gli stimoli appropriati;
6. Disturbi della memoria, tra cui distinguiamo:
o Disturbi di memoria legati a patologie genetiche, come:
 Sindrome di Alzheimer, una malattia degenerativa che comprende, nella sua
sintomatologia, problemi di memoria di grado elevato. Nei suoi stadi iniziali la
sintomatologia dell'Alzheimer si manifesta come una semplice dimenticanza di eventi
quali gli appuntamenti ed i compleanni. Via via che la malattia progredisce, la memoria
diventa sempre meno profonda e vengono dimenticati anche i compiti più semplici. Alla
fine le persone affette da Alzheimer perdono la capacità di parlare o di comprendere il
linguaggio e subentra il deterioramento fisico. Le cause di questa malattia non sono
ancora state comprese completamente, tuttavia, dati sempre più numerosi indicano che
essa deriva da una suscettibilità ereditaria a un difetto nella produzione del peptide beta-
amiloide, che è necessario per il mantenimento delle connessioni neuronali;
 Morbo di Parkinson;
 Sindrome di Korsakoff, una malattia che affligge gli alcolisti a lungo termine. Gli individui
afflitti da questa sindrome presentano una strana sintomatologia, comprendente
allucinazioni e il ripetere più e più volte lo stesso racconto;
 Malattia di Creutzfeldt.
o Disturbi di memoria legati a traumi fisici o emotivi, come:
 Amnesia anterograda, il soggetto mantiene il ricordo dei fatti che hanno preceduto il
trauma ma non è in grado di trattenere informazioni degli eventi futuri ad esso;
 Amnesia retrograda, il soggetto è in grado di memorizzare eventi successivi al trauma ma
perde le informazioni degli eventi che hanno preceduto il trauma.
 

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Vi sono autori che credono che l'oblio non esista in quanto la nostra mente non perde informazioni ma
potrebbe avere solo delle difficoltà a recuperarle. Secondo questi studiosi la capacità di arrivare a questi
ricordi è legata a dei processi tramite i quali si creano le condizioni adatte che possono aiutare il soggetto
nel recupero delle informazioni.
 
 Ricadute applicative degli studi sulla memoria:
o Ricordi di abusi sessuali infantili e psicoterapia: gli psicologi clinici sostengono che alcuni
pazienti riferiscono di essere stati vittime di abusi ma raggiungono questa consapevolezza a
distanza di molti anni dall'avvenimento in quanto, utilizzando il meccanismo della rimozione,
essi hanno dimenticato temporaneamente l'accaduto (fenomeno delle memorie represse).
Altri studiosi, però, sostengono che queste affermazioni non siano attendibili in quanto la
nostra mente sarebbe in grado di fabbricare ricordi di eventi che non sono mai avvenuti
(dibattito dei "falsi ricordi").
A sostegno dell'ipotesi dei falsi ricordi ci sono delle prove in quanto è stato provato che,
fornendo informazioni false a dei soggetti, è possibile indurre il soggetto a recuperare falsi
ricordi;
o Psicologia della testimonianza: molto utilizzato in ambito di omicidi o incidenti. Al riguardo
sono emersi vari fenomeni:
 Fenomeno del focus sull'arma, coloro che sono stati aggrediti tendono a ricordare
perfettamente le caratteristiche dell'arma e non quelle dell'aggressore. La mente tende a
focalizzare l'attenzione sugli elementi centrali della scena, tralasciando la periferia;
 Fenomeno secondo il quale il modo in cui vengono poste le domande, da parte del giudice
o del poliziotto, può cambiare la ricostruzione dei fatti.
[es. dopo aver visto un video di un incidente d'auto sono state fatte diverse domande: 1)
a che velocità andavano le auto quando si sono schiantate? 2) a che velocità andavano le
auto quando si sono toccate? Il solo cambiamento di un verbo cambia la risposta sulla
velocità, nel primo caso è molto più alta che nel secondo];
 
È possibile trovare metodi pratici per migliorare la capacità di rievocazione delle informazioni. I migliori
sono:
 Tecnica della parola chiave, consistente nell'abbinare una parola estera con una parola italiana
comune che abbia un suono simile;
 Specificità della codifica, alcune ricerche indicano che ricordiamo meglio le informazioni apprese in
un ambiente simile a quello in cui sono state apprese;
 Cue di organizzazione, una tecnica sperimentata per il miglioramento della rievocazione di materiale
scritto consiste nell'organizzare il materiale nella memoria come se lo si leggesse per la prima volta;
 Prendere appunti efficaci, nel prendere appunti efficaci, riflettere sul materiale è più importante che
scriverli;
 Pratica e reiterazione, anche se la pratica non rende necessariamente perfetti, aiuta;
 Mnemotecnica dei loci, una tecnica che consiste nel collocare gli elementi da ricordare all'interno di
luoghi fisici, per rievocare il materiale appreso sarà sufficiente ripercorrere mentalmente il percorso,
recuperando ad ogni luogo fisico il concetto ad esso associato.
 
Linguaggio e comunicazione
Linguaggio
L'uso del linguaggio verbale è un'importante capacità cognitiva, indispensabile per la comunicazione con gli
altri. Per questo motivo gli psicologi hanno dedicato molta attenzione al suo studio.
Questo tema viene affrontato soprattutto dalla scuola del comportamentismo e del cognitivismo.
Per capire le peculiarità di questo aspetto del funzionamento psicologico occorre capire come il linguaggio
si è sviluppato nella nostra specie. Si stima che esso abbia fatto la sua comparsa tra i 50 ed i 100.000 anni fa
e questa nascita sembra essere legata d alcuni pre-requisiti come:
 Sviluppo della neocorteccia, presente come la conosciamo oggi solo a partire dall'homo sapiens;

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Psicologia Generale

 Conformazione adeguata dell'apparato vocale, compatibile con la produzione del linguaggio;


 Ipersocialità e ipercooperatività nei gruppi umani, ossia la formazione di grandi gruppi con più di 50
persone.
Sono state fatte varie ipotesi sull'emersione del linguaggio:
 Teorie del salto, l'emergere del linguaggio dipende da una variazione genetica improvvisa e
determina una ristrutturazione del cervello;
 Teorie gradualiste, il linguaggio è un'evoluzione graduale del nostro comportamento non verbale.
Oggi sappiamo che il linguaggio è un sistema simbolico ed i simboli utilizzati per comporlo sono
convenzionali. La convenzionalità dei simboli che compongono il linguaggio fa sì che esso cambi nel corso
della storia. Un aspetto molto studiato nel campo della psicologia del linguaggio riguarda lo sviluppo
ontogenetico, ossia l'evoluzione dall'infanzia all'età adulta.
 
 Lo sviluppo del linguaggio nel bambino
I primi sei mesi di vita di un neonato sono caratterizzati da una sorta di collaudo che il bambino fa sui
suoi organi fonatori. Al primo mese egli risponde ai suoni (stadio fonatorio); al secondo egli sorride in
risposta a stimolazioni, suoni quasi vocalici, gutturali (stadio primitivo fonatorio); al quarto mese il
bambino produce le prime lallazioni, può essere in grado di dire "mamma" o "papà" ma quasi
accidentalmente (stadio di espansione); intorno all'undicesimo mese il bambino è in grado di
pronunciare le parole correttamente; al dodicesimo mese il bambino è in grado di utilizzare un
linguaggio olofrastico, ossia formato da una sola parola (stadio canonico); a diciotto mesi il linguaggio
olofrastico viene sostituito con il linguaggio telegrafico, formato cioè da due parole; a ventuno mesi il
vocabolario del bambino è circa di 50 parole; a ventiquattro mesi inizia l'inserimento della
grammatica; a trenta mesi il bambino usa i pronomi ed infine a trentasei mesi il vocabolario si
espande a 250 parole ed il bambino crea frasi da tre parole.
Si sono contrapposte due teorie sullo sviluppo del linguaggio, una prima teoria comportamentista
dell'apprendimento rappresentata da Skinner, secondo il quale lo sviluppo del linguaggio può essere
spiegato in base alla teoria del condizionamento operante, egli sostiene che l'acquisizione del
linguaggio dipende dal fatto che il bambino tende ad associare stimoli linguistici pronunciati da altri
ad una imitazione. L'associazione da parte dell'adulto di una parola ad un oggetto porta il bambino a
comprendere. Inoltre, un bambino che riceve approvazione ogni qualvolta emette un suono che si
avvicina al linguaggio, tenderà ad imparare prima a parlare.
La seconda teoria, la teoria della grammatica universale, invece, è proposta da Chomsky, egli
sostiene che lo sviluppo del linguaggio non sia il risultato di un procedimento di apprendimento per
condizionamento ma che esso sia derivante da una capacità innata. Egli asserisce che esiste una
creatività, governata da regole, per la quale vengono continuamente generate nuove frasi e,
pertanto, la capacità linguistica che ciascun parlante possiede non si compone solamente di un
insieme di parole, espressioni e frasi applicate mediante l'esperienza. Tale varietà espressiva dell'uso
linguistico implica che il cervello di chi impiega il linguaggio sia dotato di un modulo che lui definisce
language acquisition device, che non solo permette di comprendere la struttura del linguaggio, ma ci
garantisce anche delle strategie e delle tecniche per l'apprendimento delle caratteristiche uniche
della nostra lingua. Egli fa riferimento alle situazioni in cui il bambino sembra applicare
spontaneamente le regole grammaticali commettendo degli errori (ipercorrettismo o fenomeno
della sovrageneralizzazione della regola). Chomsky sostiene che se il bambino non ha mai sentito un
adulto pronunciare delle parole in maniera sbagliata, egli non ha ragione per ripeterle in quel modo,
per cui, lo studioso sostiene che questa sia una competenza innata.
 
Sono state, poi, analizzate le singole parti che formano la nostra lingua.
Fonema: unità sonora minima in grado di differenziare i significati [es. pera/mela];
Morfema: composto fonemico dotato di un significato minimo [es. "i" in un sostantivo plurale];
Parola: sequenza di morfemi dotata di significato in una certa lingua;
Frase: sequenza di parole dotata di significato in una certa lingua.
 

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Psicologia Generale

Il linguaggio è costituito da più componenti:


 I suoni, che possono essere descritti per le loro caratteristiche acustiche, oppure possono essere
considerati come fonemi, unità base del suono linguistico. La fonologia è lo studio delle unità base del
linguaggio e del modo in cui utilizziamo questi suoni per formare parole e produrre significato;
 La grammatica, che raccoglie una successione di regole necessarie alla corretta costruzione di frasi,
sintagmi e parole;
 La morfologia che indaga le più piccole parti di significato contenute nelle parole e nelle regole che
portano alla formazione delle parole;
 La sintassi, che si occupa di studiare le regole con cui le parole sono associate in modo ordinato per
generare delle frasi riconoscibili come ben formate. [es: giovani artisti dipingono alacremente]
Esistono delle frasi sintatticamente corrette ma prive di significato [es. verdi idee incolori dormono
furiosamente]. Le strutture della sintassi sono due:
o Struttura superficiale, corrisponde alla frase letta o pronunciata parola per parola;
o Struttura profonda, corrisponde alle singole parole raggruppate per sintagmi;
 La semantica, che si occupa della capacità della mente di rappresentare il significato delle parole e
delle frasi (triangolo semiotico);
 La pragmatica, che prende in esame le parole all'intero del loro contesto di utilizzo.
In particolare, gli ambiti studiati dagli psicologi sono gli ultimi tre.
 
In seguito a particolari studi concentrati sull'analisi delle diversità tra linguaggi di culture diverse, nacque
l'ipotesi della relatività linguistica, secondo la quale la lingua influenza il modo in cui le persone di una
determinata cultura percepiscono e comprendono il mondo. Il linguaggio fornisce le categorie usate per
costruire la propria comprensione delle persone e degli eventi esterni, quindi il linguaggio modella e
produce il pensiero. [es. gli eschimesi avranno un vocabolario più esteso per descrivere la neve, rispetto a
popolazioni che vivono in una zona dove il clima è più caldo]

LEZIONE 15
Comunicazione

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Psicologia Generale

Lo studio della comunicazione si è caratterizzato per la sua natura fortemente multidisciplinare, le


discipline che si occupano di comunicazione sono:
 Informatica,
 Cibernetica;
 Linguistica;
 Psicologia;
 Antropologia;
 Sociologia;
 Pedagogia.
 
Quando comunichiamo, costruiamo messaggi costituiti da segni. Il segno rappresenta una moneta
simbolica di scambio.
La capacità di comprendere e produrre segni apre la porta della realtà simbolica. Essa non è
direttamente vincolata alla realtà presente. Il segno offre la possibilità di agire sulle "cose" senza che vi
sia con esse alcun contatto fisico.
La natura composta del segno trova una sua rappresentazione nel triangolo semiotico, nel quale il
processo di significazione viene descritto come la relazione fra tre lati: l'espressione, ossia il significante
che utilizziamo per significare, il referente, ossia l'oggetto o l'evento o l'azione che viene rappresentato e
il contenuto, ossia l'idea mentale del referente.
Si distinguono due principali definizioni di segno. La prima è un'idea del segno come equivalenza in cui il
segno viene definito come l'unione di un'immagine acustica e di un'immagine mentale, così strettamente
unite da poter essere immaginate come le due facce della stessa realtà.
Il linguaggio assume un carattere di convenzionalità.
Il codice è un sistema regolato di segni i cui significati sono stati arbitrariamente stabiliti e posti per
convenzione. Ben diversi sono i presupposti teorici che regolano il rapporto tra segno e realtà nella
definizione di segno come inferenza.
La relazione del segno con il significato viene quindi posta da qualcuno dentro un contesto comunicativo.
La comprensione adeguata del rimandare del segno nell'intenzione di qualcuno, conduce alla
sostituzione del concetto di segno con la nozione di funzione segnica. Si ha una funzione segnica quando
un elemento del piano dell'espressione è correlato a un contenuto, ed entrambi gli elementi correlati
divengono funtivi della correlazione. Il medesimo funtivo può essere correlato anche con altri elementi,
dando così origine a un'altra funzione segnica.
 
Fin dagli inizi degli anni '40 alcuni studiosi hanno proposto teorie al riguardo. La prima di queste è
chiamata teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver (1949).
Il modello proposto da questa teoria è un modello sequenziale che prevede un processo in cui il
messaggio proveniente dall'esterno e che riesce a raggiungere il destinatario grazie ad un apparato di
codifica (encoding), un apparato trasmettitore. Secondo questo modello l'informazione è l'unità minima
che compone il segnale e consiste, appunto, nel passaggio di un segnale da una fonte, attraverso un
trasmettitore, lungo un canale più o meno disturbato, ad un destinatario.
 
Una prima definizione di comunicazione venne data da Anolli, il quale disse:
 
 "Scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di un certo grado di consapevolezza e
di intenzionalità reciproca, in grado di partecipare e di far condividere un certo percorso di significati
sulla base di sistemi convenzionali secondo la cultura di riferimento."
[Anolli]
 
Secondo Anolli questa definizione permette di tracciare una distinzione tra il concetto di comunicazione
ed altri due concetti con cui quest'ultima può essere facilmente confusa. Questi due concetti sono il
comportamento e l'interazione. Sia il comportamento che le interazioni possono essere sovrapposti al
concetto di comunicazione, ma non sempre questi corrispondono ad essa.
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Psicologia Generale

Un esempio sono i tic nervosi, quando un soggetto manifesta un tic nervoso, viene inviato uno stimolo
che è, però, involontario e pertanto non ritenuto comunicativo.
Tenendo in considerazione questa definizione è necessario escludere tutti quei comportamenti in cui è
assente la volontà del soggetto.
 
Le funzioni principali della comunicazione sono:
 Permettere la condivisione di esperienze;
 Favorire l'instaurarsi di relazioni e scambi con altre persone e con il contesto sociale nel suo
insieme;
 Permettere l'espressione di emozioni, sentimenti e stati d'animo.
 
Il punto di vista pragmatico considera la comunicazione come azione, Austin, nella sua opera più
importante, delinea la teoria degli Atti Linguistici nella quale afferma che dire qualcosa è sempre fare
qualcosa e distingue nell'atto tre livelli:
 L'atto locutorio: l'atto di dire qualcosa, l'azione che si compie per il fatto stesso di parlare;
 L'atto illocutorio: l'atto nel dire qualcosa, l'azione che si compie attraverso il parlare stesso;
 L'atto perlocutorio: l'atto che si compie con il dire qualcosa.
 
Intorno alla fine degli anni '60 alcuni autori molto famosi, Watzlawick, Beavin e Jackson scrissero un
testo che diede il via ad una prospettiva di studio chiamata sistemica che avrà un ruolo molto importante
in campo clinico e terapeutico (soprattutto ambito della psicoterapia familiare). In questo testo gli autori
formulano alcuni assiomi, ossia dei principi che regolano la comunicazione:
 Non si può non comunicare, anche il silenzio è comunicazione, pur non proferendo parola è
possibile fornire informazioni;
 I messaggi possiedono un aspetto di contenuto (contengono informazioni) e un aspetto
relazionale;
 Gli scambi comunicativi possono essere simmetrici (coinvolgono soggetti appartenenti allo stesso
stato sociale) o complementari (o asimmetrici, che coinvolgono soggetti appartenenti a diversi
status sociali [es. docente-studente, genitore-figlio]);
 La comunicazione avviene attraverso canali verbali e non verbali.
 
 La comunicazione non verbale
Per molti anni gli esseri umani hanno comunicato per mezzo di sistemi semiotici non verbali e,
anche con la comparsa del linguaggio verbale, la comunicazione non verbale è rimasta
fondamentale sul piano relazionale.
La comunicazione non verbale viene studiata in molti ambiti così suddivisi:
 Volto, espressioni facciali;
 Gesti;
 Comportamento spaziale;
 Voce e segnali paralinguistici: aspetti delle produzioni verbali che forniscono informazioni
non verbali [es. intonazione, intensità…].
 
 Espressioni facciali
Il nostro volto assume configurazioni ed esprime:
 Sforzi cognitivi;
 Stati psicofisiologici;
 Sforzi fisici;
 Emozioni.
 
Il più grande studioso in questo ambito fu Eichmann, il quale elaborò la teoria
dell'universalità delle espressioni facciali delle emozioni.
Eichmann studiò in particolare sei emozioni chiamate emozioni di base:

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Psicologia Generale

 Rabbia;
 Paura;
 Disgusto;
 Sorpresa;
 Gioia;
 Tristezza.
In alcuni casi, però, il volto fornisce informazioni parziali o non totalmente attendibili.
Per analizzare in modo più accurato la manifestazione delle emozioni, quindi, non è
sufficiente analizzare il volto, bisogna anche tener conto delle altre parti del corpo e del
contesto in cui si trova il soggetto.
 
 Gesti
I gesti sono azioni motorie coordinate e circoscritte, volte a generare un significato e
indirizzare un interlocutore al fine di raggiungere uno scopo. Essi possono essere divisi in:
 Gesti simbolici: gesti che hanno un particolare significato all'interno di un contesto
preciso;
 Gesti illustratori: hanno la funzione di accompagnare la comunicazione permettendo
al soggetto di illustrare ciò che sta dicendo;
 Gesti indicatori dello stato emotivo: esprimono un determinato stato emotivo;
 Gesti regolatori: hanno la funzione di stabilire i turni in una conversazione;
 Gesti di adattamento: tipicamente questi gesti implicano un'azione di auto
manipolazione, il soggetto si tocca una determinata parte del corpo. Generalmente
possono indicare uno stato ansioso o una caratteristica di personalità.
A questi gesti si possono aggiungere i gesti deittici o di indicazione, prevalentemente
emergenti nei bambini i quali utilizzano le mani per indicare degli oggetti che non possono
raggiungere.
Ci sono inoltre dei gesti detti rituali come, ad esempio, la stretta di mano o i baci quando si
incontra qualcuno. Questi variano da cultura a cultura ma anche, nella stessa cultura, da età
a età.
 
 Comportamento spaziale
 
d. Voce e segnali paralinguistici
La dimensione vocale non verbale è composta da diversi elementi:
 Riflessi vocali, vocalizzazioni e caratterizzatori vocali;
 Segnali extralinguistici: caratteristiche vocali a lungo termine, personali della voce di
ciascun interlocutore, che possono essere distinte in organiche e fonetiche;
 Caratteristiche paralinguistiche: effetti vocali a medio termine, proprietà acustiche
transitorie, variazioni delle caratteristiche acustiche del suono e delle loro
combinazioni.
La dimensione vocale non verbale assolve a diverse funzioni: ha un ruolo nella produzione
linguistica, permette di trarre una serie di inferenze rispetto a fattori biologici, sociali e di
personalità e rispetto alle emozioni.
 
Il sistema prossemico e aptico
 Prossemica
La prossemica si occupa dello studio della percezione e dell'uso dello spazio e della
distanza.
Esistono vari tipi di spazi, quello intimo, ad esempio, a cui possono accedere i partner,
quello personale, a cui possono accedere i familiari, quello sociale e pubblico
utilizzato generalmente in tutti i contesti al di fuori di quelli degli altri due spazi.
 

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Psicologia Generale

 Aptica
L'aptica studia il contatto corporeo con le altre persone e gli effetti delle azioni di
contatto sui soggetti coinvolti ed esterni alla situazione.
 
Da sempre gli studiosi si sono concentrati sulle peculiarità della comunicazione umana e di quella
animale.
Il linguaggio umano si distingue da quello animale per alcune caratteristiche:
 Comunicazione simbolica, capacità di utilizzare simboli e trasformarli in linguaggio;
 Processo della teoria della mente (mindreading o lettura della mente), capacità di rappresentare
gli stati mentali, le emozioni;
 Elaborazione di un sistema culturale, capacità di elaborare una cultura. L'emergere di un sistema
culturale è possibile perché l'uomo è caratterizzato dal possesso della teoria della mente.
 
Nella maggior parte della comunicazione, come è già stato detto, i centri del linguaggio sono collocati
nell'emisfero sinistro del cervello (ad eccezione dei mancini in cui si trovano a destra) e sono:
 Area di Broca: afasia di Broca, il paziente presenta dei deficit nella produzione del linguaggio ma è
in grado di comprendere.
 Area di Wernicke: afasia di Wernicke, il paziente presenta dei deficit nella comprensione del
linguaggio ma è in grado di articolare dei suoni sotto forma di parole.
Quando le fibre nervose che collegano le due aree (fascicolo arcuato) vengono danneggiate il paziente
avrà difficoltà nel ripetere le parole.
Se le lesioni riguardano tutte queste aree ci si trova in una situazione di afasia globale in cui il soggetto
non sarà in grado né di parlare né di comprendere.
 
La psicologia del concetto
I concetti sono rappresentazioni mentali, simboliche dell'esperienza di categorie di oggetti, eventi o
persone con caratteristiche comuni tra loro.
Questi hanno la funzione di ridurre la complessità del nostro ambiente.
 
 "Il concetto è una rappresentazione simbolica che si riferisce a più di un oggetto o evento della nostra
esperienza. I concetti condensano i dati di passate esperienze, trasportando in un simbolo tutto ciò che si
è appreso sulle proprietà di singole cose."
[Dalla Volta]
 
I concetti sono spesso indicati da parole ma non possiamo considerare il concetto come identico alla
parola in quanto un individuo può conoscere il concetto ignorandone il nome.
Una prima funzione dei concetti, appunto, è quella di semplificare il flusso percettivo. Riconoscere una
configurazione (o pattern) percettiva come esemplare di una categoria conosciuta consente di stabilire
una continuità tra l'esperienza presente e quella passata e di orientare l'azione futura.
La seconda funzione dei concetti è una funzione inferenziale, per cui assegniamo ad un oggetto molte
delle caratteristiche del concetto a cui appartiene.
 
Prima degli psicologi, ad interessarsi dei concetti, furono i filosofi ed in particolare quella disciplina
filosofica chiamata logica. Secondo la logica, il concetto può essere descritto da un insieme di tratti
definitori, cioè l'insieme delle Caratteristiche Necessarie e Sufficienti, per essere membro della categoria
corrispondente al concetto.
Ciò implica che nessun tratto può venire cancellato (criterio di necessità) e che nessun tratto può venire
aggiunto (criterio di sufficienza).
Il primo studio sperimentale, da parte di psicologi, fu condotto da Clark Hull nel 1920.
Egli si servì di un mazzo di carte che riproducevano degli ideogrammi cinesi ai quali era affiancata una
sillaba. Ad un certo punto della sperimentazione stava al soggetto ripetere il nome del concetto

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Psicologia Generale

corrispondente alla carta mostrata, distinguere gli elementi che hanno permesso di identificare quella
carta
 
Hull elaborò una teoria chiamata teoria dell'elemento comune, questa teoria analizzava il modo in cui il
soggetto riusciva a fornire il concetto. Emerse, quindi, che la formazione dei concetti è il risultato di un
processo di astrazione.
Hull affermò che ciò che permette al soggetto di individuare la carta è l'elemento della carta comune alle
altre che vengono rappresentate con la medesima sillaba. Quando un soggetto apprende un concetto,
egli tende ad associare quest'ultimo a tutti gli stimoli che presentano tratti comuni.
Secondo Hull quando un bambino apprende il concetto di cane, ciò avviene perché il bambino tende ad
emettere la parola cane con esemplari diversi ma che condividono un elemento comune.
 
Alcuni studiosi criticarono gli esperimenti di Hull in quanto questi riproducono semplicemente un
comportamento di labelling (etichettamento) e non simulano la formazione dei concetti nella vita
quotidiana. Non tutti i concetti, infatti, sono caratterizzati dalla presenza di un elemento comune.
In un esperimento molto famoso condotto da Bruner si valutava in che modo i soggetti fossero in grado
di apprendere dei concetti a partire da un materiale sperimentale che porta alla formulazione di alcuni
principi che si rifanno alla logica aristotelica dai quali, poi, ha preso spunto la teoria classica. I principi
fondamentali della teoria classica sono:
 Tutti i membri di un concetto condividono un insieme di attributi definitori necessari e sufficienti. Il
criterio della necessità implica che nessuna caratteristica può essere eliminata ed il criterio della
sufficienza indica che nessuna caratteristica può essere aggiunta;
 Sulla base dei principi definitori è possibile stabilire con esattezza se un esemplare appartiene o
meno ad una determinata categoria;
 I confini tra un concetto e l'altro sono ben definiti, si possono tracciare linee nette tra diversi
esemplari;
 Tutti i membri di un concetto hanno lo stesso grado di rappresentatività, non esiste un esempio più
buono di un altro.
Questo modo di intendere i concetti ha guidato buona parte della ricerca ma esso è stato fortemente
criticato a partire dall'inizio degli anni '70.
Nel 1975 Rosch sperimentò che, chiedendo ad un gruppo di soggetti di valutare su una scala da 1 a 7
l'idoneità di alcuni oggetti ad appartenere ad una categoria, si ottengono diversi risultati ma sempre in
ogni categoria è possibile giudicare alcuni esemplari tipici, che ben rappresentano la categoria ed alcuni
esemplari non tipici.
Le categorie semantiche quindi, possono essere descritte utilizzando due dimensioni, una orizzontale e
una verticale. Secondo Rosch la dimensione orizzontale riguarda la strutturazione della categoria
intorno ad un prototipo, ossia l'esempio migliore della categoria [es. auto, nel caso dei veicoli]. Il
prototipo può essere definito come l'esemplare che possiede il maggior numero degli attributi in
comune con gli altri esemplari del concetto ed il minor numero di attributi in comune con gli esemplari
appartenenti ad altri categorie. Alcuni oggetti, quelli non prototipici, possono essere inseriti anche in
altre categorie [es. il monopattino non è un oggetto prototipico dei veicoli in quanto può essere inserito
anche nella categoria dei giocattoli]. I membri del concetto, quindi, non sono più tutti ugualmente
rappresentativi.
Per quanto riguarda la dimensione verticale, invece, viene trattata l'analisi dei rapporti gerarchici tra
varie categorie. Rosch individua tre livelli di organizzazione:
 Livello sovraordinato;
 Livello di base;
 Livello subordinato.
[es. categoria sovraordinata: mobili, categoria di base: sedia, categoria subordinata: sedia a
dondolo, poltrona, sdraio]

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Psicologia Generale

Rosch, studiando la formazione dei concetti nei bambini, descrive il livello base come il più sfruttato,
poiché favorisce la decodifica della forma/funzione degli oggetti. La priorità cognitiva assegnata a questo
livello si incentra su alcuni criteri:
 Percettivi e morfologici: il livello base è il primo livello di astrazione in cui gli oggetti sono percepiti
come dotati di una forma generale unitaria che vale per tutti i membri della categoria;
 Funzionali: gli oggetti di base rimandano ad atti intenzionali, a sequenze di azioni o programmi
motori unitari ed eseguiti dal soggetto nell'ambiente contestuale ove gli oggetti sono collocati;
 Linguistici e comunicativi: i termini che designano gli oggetti di base tendono ad essere i lessemi
più corti e sono i più comunemente usati;
 Informativi: il livello di base è il più informativo, in quanto possiede il più alto numero di attributi
significativi in comune tra gli oggetti.
Secondo Rosch la correlazione degli attributi al livello base rende più facile apprendere i concetti e il
significato delle parole.
I bambini, quindi, tendono ad imparare prima i termini appartenenti al livello di base piuttosto che quelli
appartenenti agli altri livelli.
È stato poi verificato che i membri del livello subordinato condividono tra di loro diversi attributi, mentre
quelli del livello di base condividono un numero inferiore di attributi. A livello sovraordinato, invece, il
numero di attributi condivisi è ancora minore.
 
Alcuni modelli più recenti, però, si contrappongono a questa concezione. La categorizzazione non si
serve di un unico principio, invariante, oggettivo, fondato su criteri logici: l'organizzazione della
conoscenza è dinamica, mediata dai contesti, dagli scopi ed è influenzata dall'esperienza.
Nella vita quotidiana non ci basiamo soltanto o prevalentemente su regole logiche e sull'inclusione di
classi, ma siamo sensibili alle relazioni di somiglianza tra membri o esemplari di una categoria, che
osserviamo in situazioni specifiche. L'organizzazione in categorie sarebbe perciò non astratta ma
tematica e legata a contesti e a situazioni specifici.

LEZIONE 16

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Psicologia Generale

Nel proporre questo modello del prototipo Rosch è stata guidata da una teoria proposta da
Wietchenstein.
Egli definisce nella sua teoria cosa sono i giochi, chiedendosi se esistono degli attributi definitori
necessari e sufficienti affinché i giochi possano essere definiti come tali e se sia possibile identificare
degli aspetti ricorrenti tra diverse forme di gioco [es. in ogni gioco c'è il vincere o il perdere]. Il filosofo
austriaco arriva alla conclusione che è possibile raggruppare in una stessa categoria persone, pensieri o
eventi che si assomigliano.
I concetti, infatti, sono insiemi di oggetti che si assomigliano tra loro.
Questo modello ha influenzato la ricerca per molti anni ma intorno agli anni '80 anch'esso venne
criticato, soprattutto per i suoi grandi limiti:
 Non tutti i concetti hanno una struttura prototipica (Hampton);
 L'approccio del prototipo spiega la formazione delle categorie in base al "principio di somiglianza"
di Murphy e Medin: questa teoria si è avvalsa del metodo della somiglianza, Murphy e Medin
hanno invece fatto riferimento ad alcuni passi della bibbia in cui gli animali vengono suddivisi in
puri (rane, gazzelle) e in impuri (ratti, squali) e, non trovando degli elementi in comune tra gli
animali appartenenti alla medesima categoria, grazie ai quali questi ultimi possono essere
categorizzati rispettivamente come puri o impuri;
 La teoria del prototipo tratta i concetti come se fossero indipendenti dal contesto, si ritiene infatti
che tutte le persone elaborino un'organizzazione interna dei concetti nella medesima maniera.
 
Barsalou nel suo modello contrasta con la teoria prototipica di Rosch, egli ritiene che i concetti siano
delle entità instabili che variano in funzione del contesto e degli scopi del soggetto.
Barsalou distingue due tipi di categorie:
 Categorie tassonomiche, categorie naturali che il soggetto tende a formare automaticamente [es.
veicoli, mobili…];
 Categorie derivate da scopi, categorie che il soggetto si forma per conseguenza di uno scopo [es.
regali di compleanno]. In questo caso non esiste la prototipicità definita, essa varia a seconda degli
scopi e del contesto in cui l'individuo si trova. L'individuo, posto in situazioni diverse, organizzerà la
propria conoscenza concettuale in maniera diversa.
Esistono prove empiriche per valutare questo concetto, la prima di queste è un esperimento
condotto negli anni '80 da Roth e Shoben che ha permesso di verificare l'instabilità della struttura
con gradazioni, quest'ultima, infatti, può cambiare in funzione del concetto.
Una seconda prova empirica si ebbe dallo stesso Barsalou nel 1987, egli propose ai soggetti di
assumere di volta in volta un punto di vista diverso riguardo la medesima categoria [es. rispetto
alla categoria uccelli, assumere il punto di vista di un cittadino cinese o americano, nel primo caso
gli animali che venivano maggiormente citati erano, ad esempio il cigno o il pavone, nel secondo il
passerotto].
Oltre a questa indagine sulla struttura interna e sull'organizzazione dei concetti Barsalou si occupò anche
di studiare il processo di costruzione dei concetti. Egli afferma che le informazioni che un individuo
incorpora in un concetto variano da un contesto ad un altro. Persone diverse si formano concetti diversi
della stessa categoria.
La formazione dei concetti è un processo che coinvolge sia la memoria a breve termine che la memoria a
lungo termine.
 
 "Invece di considerare i concetti come strutture invarianti che vengono richiamate intatte dalla memoria
a lungo termine quando ce n'è bisogno, può avere più senso considerare i concetti come costrutti
temporanei nella memoria operativa che vengono confezionati su misura per le situazioni presenti."
[Barsalou]
 
Memoria a lungo termine e memoria a breve termine intervengono nel modellamento dei nostri
concetti.
 
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Psicologia Generale

Pensiero
La rappresentazione dei concetti viene detta embodied, cioè collegata all'esperienza percettiva e
motoria dell'individuo.
Le teorie embodied (incorporare), sono teorie secondo le quali la rappresentazione dei concetti è
collegata all'esperienza percettiva e motoria dell'individuo e che intendono i nostri processi psicologici
come delle attività incorporate.
Questo approccio è basato sull'idea di simulazione situata. Secondo questa proposta un concetto non è
una rappresentazione astratta di una categoria ma è l'abilità di costruire rappresentazioni che si adattino
agli obiettivi delle azioni situate, cioè ripetitori d'azione che è opportuno eseguire in determinate
situazioni.
Questa prospettiva è stata applicata anche allo studio dei concetti dallo stesso Barsalou il quale definisce
il sistema concettuale come un simulatore in grado di costruire un insieme virtualmente infinito di
simulazioni specifiche.
Le informazioni di cui il sistema concettuale si avvale per costruire queste simulazioni sono molto varie e
provengono dai sistemi di elaborazione coinvolti nel percepire e nell'usare oggetti di quella categoria.
Questo approccio, quindi, ipotizza che il sistema concettuale e quello sensomotorio non siano separati,
ma piuttosto si basino entrambi su un unico sistema di elaborazione.
I concetti derivano da pattern di parziale riattivazione neurale di sistemi sensoriali e motori che sono
attivi durante la percezione.
 
o Formati del pensiero: pensare parole e pensare immagini
Il pensiero può assumere diverse forme di rappresentazione. In questi ultimi anni la psicologia
cognitiva si è occupata in particolare di due formati: il pensiero proposizionale e le immagini
mentali. Vengono, però, considerati parte della nostra capacità di conoscere e pensare anche due
altre forme di rappresentazione: il pensiero procedurale e il pensiero narrativo.
 
La conoscenza dichiarativa
La conoscenza dichiarativa è la mappatura della realtà e dell'insieme delle esperienze fatte da un
soggetto nel corso della sua vita, viene definita come l'insieme delle conoscenze sul mondo
disponibili in modo permanente nella memoria a lungo termine. Essa comprende anche la
conoscenza situazionale, ossia le conoscenze relative al contesto attuale e alle nuove informazioni
che vengono elaborate continuamente nella memoria di lavoro.
La conoscenza dichiarativa svolge una funzione referenziale e predicativa, ci permette cioè di
denotare e predicare qualcosa riguardo a un oggetto e di porre queste informazioni in relazione
tra loro.
 
La conoscenza proposizionale
La conoscenza proposizionale è relativa ai fatti, si può formare anche solo dopo un'esperienza. Al
suo interno vengono distinte:
o La conoscenza episodica, che riguarda proposizioni relative a esperienze o episodi accaduti
nel passato in cui sono esplicitate le coordinate spazio-temporali;
o La conoscenza semantica, che comprende proposizioni in cui le coordinate spazio-temporali
non sono più considerate.
 
Le immagini mentali
I primi psicologi che studiarono queste tematiche definirono le immagini mentali come
rappresentazioni all'interno della mente in cui l'oggetto o l'evento viene riprodotto. Non si tratta
solo di rappresentazioni visive ma anche uditive, olfattive…
 
I primi esperimenti furono condotti negli anni '70 da Shepard e Metzler, questi studiosi
proponevano ai soggetti dell'esperimento delle immagini chiedendo se queste fossero uguali. Il
procedimento per individuare l'uguaglianza richiedeva una rotazione mentale dell'immagine. Si

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Psicologia Generale

scoprì che, tanto maggiore era l'ampiezza della rotazione da svolgere mentalmente, tanto più
tempo il soggetto impiegava prima di dare una risposta.
 
 La teoria di Kosslyn
Un modello di spiegazione del funzionamento dell'attività immaginativa fu quello di Kosslyn
definito analogico-computazionale, egli proponeva ai soggetti dell'esperimento una mappa
sulla quale erano rappresentati dei punti. Si richiedeva, quindi al soggetto di compiere uno
spostamento da un punto all'altro della mappa. Si scoprì che anche in questo caso esiste una
relazione tra la struttura dell'immagine fisica e dell'immagine mentale.
Egli propose una visione della percezione delle immagini mentali molto simile ai programmi
grafici studiati per i computer. L'immagine mentale è costituita da una struttura o
rappresentazione superficiale e da una struttura o rappresentazione profonda.
L'informazione è conservata in formato digitale/proposizionale nella memoria a lungo
termine (rappresentazione profonda), ma viene dispiegata su uno schermo mentale (visual
buffer) formato da pixel nella memoria a breve termine (rappresentazione superficiale). Essa
funziona come uno spazio fisico, per cui l'immagine mentale è una mappa che specifica una
configurazione di punti nello spazio.
Nel visual buffer vengono rappresentati quattro ordini di informazioni: informazione visiva
come forma, colore, luminosità; informazione spaziale come dimensioni, posizioni in
coordinate basate sul corpo e su oggetti; informazione dinamica relativa a oggetti in
movimento; informazione motoria relativa al sé in movimento.
 
Questi esperimenti portarono ad un dibattito. Da un lato si trovava un'ipotesi proposizionalista
dall'altro un'ipotesi analogica. Secondo la prima ipotesi le informazioni sono immagazzinate sotto
forma di proposizioni astratte. Nel secondo, invece, esistono due codici di elaborazione delle
informazioni:
o Il codice proposizionale-linguistico;
o Il codice analogico.
È stato anche studiato che le aree del lobo occipitale che si occupano della percezione visiva sono
anche responsabili della percezione delle immagini mentali.
 
Il pensiero narrativo
Il pensiero narrativo viene oggi considerato come una delle modalità di funzionamento mentale
dell'uomo. Gli studi effettuati ne mettono in luce due lati principali:
 Il primo è costituito dalla sua dimensione interpretativa. Il pensiero narrativo svolge la
funzione di mediazione tra l'esperienza e colui che la narra;
 Il secondo tratto risiede nella sua dimensione episodica. Il pensiero narrativo riguarda eventi,
fatti, episodi e per questo possiede un'organizzazione spazio-temporale e causale.
Il pensiero narrativo si basa su una logica diversa da quella del pensiero scientifico. Non è
finalizzato all'individuazione di leggi ma alla comprensione e interpretazione dell'esperienza
umana.
 
Il pensiero procedurale
Il pensiero procedurale è relativo non al cosa ma al come fare. Di solito la sua acquisizione è lenta,
perché richiede esperienza ed esercizio. La conoscenza procedurale guida il nostro operare sul
mondo, in quanto concerne l'uso funzionale degli oggetti e l'acquisizione di procedure di azione
efficaci.
 
Il ragionamento
Il ragionamento è la capacità di porre in relazione conoscenze e fare delle inferenze. È grazie alla nostra
attitudine al ragionamento che siamo in grado di agire in modo sufficientemente coerente nel nostro
ambiente.

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Psicologia Generale

Il ragionamento si divide in due forme:


 Ragionamento deduttivo, indica quelle attività di pensiero che partono da premesse generali ed
arrivano a conclusioni particolari. Le inferenze deduttive non aumentano la quantità di
informazione semantica contenuta nelle premesse.
La conclusione di un ragionamento deduttivo è necessariamente vera se tutte le premesse lo sono.
La forma più tipica di ragionamento deduttivo è il sillogismo. Un sillogismo è una forma di
ragionamento che prevede due premesse, una maggiore e una minore ed una conclusione. Le
premesse possono essere particolari, in cui è un individuo singolo a possedere un attributo o
generali, delle premesse in cui tutti gli individui posseggono un tipo di attributo.
Molti compiti vennero proposti per valutare il ragionamento deduttivo. Uno degli esperimenti più
famosi è il compito di Wason, un esperimento in cui Wason utilizza uno schema di ragionamento
pragmatico di regole pratiche riferite ad eventi quotidiani. In questo esperimento si dà ad un
soggetto una regola e si chiede di verificarla. Vengono presentate ai soggetti 4 carte. Nella prima
visione del problema ogni carta ha su un lato una cifra e sull'altro un numero. Al soggetto viene
chiesto di decidere quale carta deve girare per decidere se la seguente affermazione è vera: "se su
un lato della carta c'è una vocale, allora sull'altro c'è un numero pari".
Grazie a questo esperimento è emerso che i soggetti sono propensi a cercare delle conferme e non
a smentire la regola, la maggior parte dei soggetti, quindi, tende a scegliere la carta con il numero
pari cercando di trovare una vocale sull'altro latro, mentre solo pochi voltano la carta con il
numero dispari per accertarsi che sull'altro lato non ci sia una vocale;
 Ragionamento induttivo, che riguarda tutti quei processi che vanno dal particolare al generale.
Quando ci si forma un concetto si procede da casi particolari a casi generali. [es. ci si forma il
concetto di cane in quanto si incontrano degli esemplari di cani e grazie al pensiero induttivo ci si
crea un'idea generale di cane]
Questo tipo di ragionamento permette di individuare regolarità nei fatti e negli oggetti con cui
abbiamo a che fare. Tali regolarità vengono poi generalizzate in ipotesi che, se applicate,
consentono di fare previsioni sull'ambiente. In modo simile uno scienziato che elabora una legge
compie un ragionamento induttivo, da particolari valutazioni giunge ad una conclusione generale.
La quasi totalità dei ragionamenti induttivi si basa su due funzioni:
 L'individuazione di regolarità, ossia la ricerca di regolarità nell'ambiente o nel nostro
patrimonio di conoscenze;
 La generalizzazione, che nasce dal fatto che in alcuni casi sviluppiamo una certa fiducia che
altre regolarità si presenteranno, estendendo quindi l'osservazione relativa a un
determinato evento anche ad altri eventi che riteniamo analoghi o associati.
 
Spesso il nostro pensiero opera seguendo delle scorciatoie. Questo potrebbe portare a delle
valutazioni erronee. Gli studi di Kanheman e Tversky hanno dimostrato che gli individui violano
alcune leggi basilari della teoria della probabilità utilizzando le euristiche, forme abbreviate di
ragionamento.
Le euristiche vengono contrapposte agli algoritmi. Un algoritmo è una sequenza di regole che, se
applicate correttamente, conducono alla soluzione di un problema. Anche l'euristica è una
scorciatoia cognitiva che permette di arrivare alla soluzione dei problemi. Viene definita come una
strategia semplice ed economica per arrivare alla soluzione di problemi, tenuto conto che il
sistema cognitivo umano è un sistema a risorse limitate. Sono stati studiati due tipi di scorciatoie
euristiche utilizzate nel ragionamento probabilistico:
 Euristica della rappresentatività e la fallacia del giocatore d'azzardo [es. la roulette: R-N-R-
N-R-N (sequenza ritenuta più rappresentativa delle estrazioni) vs R-R-R-N-N-N, in realtà
entrambe le sequenze hanno la stessa probabilità di verificarsi.]. La fallacia consiste nel fatto
che, nel valutare una serie causale, le persone agiscono come se attribuissero agli ultimi esiti
una probabilità di ripresentarsi minore rispetto agli esiti meno recenti;
 Euristica della disponibilità. Si tratta di un'ulteriore euristica molto utilizzata che consiste nel
prevedere la probabilità di un evento sulla base della facilità con cui l'evento riesce a essere

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Psicologia Generale

ricordato. Secondo questa teoria tendiamo a pensare che eventi che ricordiamo facilmente
siano accaduti più frequentemente nel passato e possono quindi accadere più facilmente nel
futuro, rispetto ad eventi che ricordiamo meno facilmente. Importante in questo ambito è
l'esperimento di Lichtenstein in seguito al quale si vide che le persone attribuivano delle
probabilità più alte ad eventi che erano più disponibili a livello cognitivo. La nostra mente
segue delle scorciatoie, semplifica le informazioni che dovrebbe valutare in favore di quelle
che sono più disponibili e per questo definiamo la mente come fallibile, in quanto può
commettere degli errori.
 
Questi esperimenti hanno messo in luce delle distorsioni nell'attività del pensiero.
 
La produzione di soluzioni
Gli psicologi hanno dimostrato che la risoluzione dei problemi coinvolge tre stadi principali: la
preparazione a creare la soluzione, la produzione della soluzione e la valutazione della produzione.
Di solito un problema rientra in una delle tre categorie seguenti:
 Sistemazione. I problemi di sistemazione richiedono che la persona ridisponga o ricombini gli
elementi in un modo che soddisfi un certo criterio. Normalmente diverse disposizioni possono
essere attuate ma solo una o poche portano alla soluzione;
 Induzione di una struttura. Nei problemi di induzione di una struttura una persona deve
identificare la relazione tra gli elementi e successivamente costruire nuove relazioni tra loro. In tali
problemi bisogna determinare anche la struttura e la misura degli elementi;
 Trasformazione. Sono problemi composti da uno stato iniziale, uno stato finale e un metodo che
conduca dal primo al secondo stadio.
Indipendentemente dal tipo di problema la fase preparatoria di comprensione e diagnosi è cruciale per
la risoluzione del problema. È possibile suddividere il problema in varie parti o ignorare alcuni dati nel
tentativo di semplificare il nostro compito. La nostra capacità di rappresentare un problema e il tipo di
soluzione a cui giungiamo dipende dal modo in cui il problema è presentato o formulato.
Dopo la fase preparatoria, la fase successiva nella risoluzione di problemi è quella della produzione di
soluzioni possibili. Se si tratta di problemi relativamente semplici, potremmo avere a nostra disposizione
una soluzione diretta nella nostra memoria a lungo termine. Se, invece, non riusciamo a recuperare la
soluzione dobbiamo generare delle soluzioni possibili e confrontarle con le informazioni che abbiamo
nella nostra memoria a lungo e breve termine.
Alcune analisi delle produzioni di possibili soluzioni si concentrano sulle intuizioni improvvise. Köhler
analizzò apprendimento e processi di risoluzione di problemi negli scimpanzé.
In uno dei suoi studi gli animali erano tenuti in gabbia ed egli studiò il modo in cui questi cercavano di
arrivare al cibo, posto in alto.
Inizialmente le scimmie tentarono la strada dei tentativi ed errori. Successivamente, però,
interrompevano quello che stavano facendo e salendo su di una scatola arrivavano al cibo con un
bastone. Köhler chiamò questo processo cognitivo insight, una improvvisa realizzazione della relazione
esistente tra vari elementi che prima sembravano tra loro scollegati.
La pratica tentativo-errore è necessaria affinché avvenga l'intuizione.
Esistono numerosi ostacoli alla soluzione dei problemi.
Il primo di questi è la fissità funzionale, ossia la tendenza a non assegnare funzioni diverse agli oggetti
restando fermi sulla loro funzione classica. Un altro ostacolo è l'assetto mentale, ossia la persistenza di
vecchie forme di risoluzione di problemi. Ed infine si ha l'errata valutazione delle soluzioni.
Nonostante spesso ci si trovi ad affrontare questi ostacoli, molte persone riescono a trovare soluzioni
creative.
I fattori che determinano la creatività, ossia la capacità di organizzare idee o risposte in modo originale,
sono molti. Uno di questi è il pensiero divergente, l'abilità di generare risposte inusuali. Questo tipo di
pensiero contrasta con il pensiero convergente, che produce risposte basate su conoscenza e logica.
Un altro aspetto della creatività è la complessità cognitiva, ossia una predilezione per stimoli e forme di
pensiero elaborati.

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Psicologia Generale

Gli studiosi hanno dimostrato che le regole astratte della logica e del ragionamento si possono imparare
e che tale conoscenza può migliorare il nostro modo di ragionare su casi di eventi quotidiani della nostra
vita.
 
Intelligenza
Il concetto di intelligenza può cambiare significativamente a seconda del contesto culturale in cui ci si
trova. Essa può coincidere con le abilità logiche o con alcune abilità sul piano personale.
In psicologia si propone una definizione di intelligenza che tiene in considerazione tutte le abilità del
soggetto ed è definita come la capacità di comprendere il mondo, di pensare razionalmente, di usare con
efficacia le risorse disponibili in caso di difficoltà, la capacità di adattarsi.
In un primo tempo gli psicologi hanno ritenuto che fosse possibile individuare un unico fattore di abilità
mentale, alla base di qualsiasi manifestazione di intelligenza.
Il metodo statistico utilizzato per ottenere informazioni circa le abilità che sottostanno al costrutto di
intelligenza fu l'analisi fattoriale. Questa analisi permette di ottenere una riduzione della complessità del
numero di fattori che spiegano un fenomeno. Questa tecnica esamina le intercorrelazioni esistenti tra
diversi test o prove.
Dal punto di vista teorico la concettualizzazione dell'intelligenza ha visto alternarsi nel dibattito dei
modelli in cui l'intelligenza è trattata come una dimensione unica che ciascun individuo può possedere in
maniera diversa. È questo il caso della proposta teoria di Spearman il quale ipotizzò l'esistenza del
fattore "g" come l'unico e generico fattore di abilità mentale.
Un esempio di teoria bidirezionale si deve allo studioso Cattel che negli anni Sessanta teorizzò l'esistenza
di due tipi di intelligenza: l'intelligenza fluida e quella cristallizzata. L'intelligenza fluida riflette la capacità
di elaborazione delle informazioni, il ragionamento, la memoria, al contrario, l'intelligenza cristallizzata,
ossia l'insieme delle conoscenze acquisite dall'individuo attraverso l'esperienza che si applicano nelle
situazioni di risoluzione dei problemi.
Mentre la prima riflette per lo più un tipo di intelligenza generale, la seconda riflette la cultura nella
quale una persona cresce.
Un contributo innovativo nello studio dell'intelligenza viene dalla prospettiva della psicologia cognitiva,
la quale sostiene il modello dell'elaborazione dell'informazione. Secondo tale modello, la misura di
valutazione dell'intelligenza è costruita dall'osservazione delle modalità con cui gli esseri umani
memorizzano informazioni e le utilizzano per risolvere problemi.
Questo approccio esamina i processi coinvolti nella produzione di comportamenti intelligenti.
I ricercatori cognitivisti tengono conto di tre sotto teorie dell'intelligenza.
La prima è la sotto teoria delle componenti in cui rientrano meccanismi di base di elaborazione delle
informazioni. In essa vengono considerati processi come la capacità di pianificare e valutare le
informazioni per risolvere un problema.
La seconda sotto teoria è quella dell'esperienza in cui viene considerata l'esperienza individuale in un
compito o in una situazione, per cui la facilità di risoluzione può essere dovuta alla maggiore o minore
familiarità del compito stesso.
La terza sotto teoria è quella di contesto, che esplora la relazione tra l'ambiente esterno e l'intelligenza
individuale.
Lo psicologo Gardner ha sviluppato la teoria delle intelligenze multiple. Egli sostiene che si posseggano
otto diversi tipi di intelligenza, ciascuno relativamente indipendente dall'altro e sono: l'intelligenza
musicale, corporeo-cinestetica, logico-matematica, linguistica, spaziale, interpersonale, intrapersonale,
naturalistica. Gardner sostiene che tutte le persone possiedono tutti gli otto tipi di intelligenza ma in
gradi diversi.
Secondo lo psicologo Sternberg, il tipo di intelligenza più utile è l'intelligenza pratica.
Egli evidenziò che le misurazioni di livelli di intelligenza più tradizionali non sono particolarmente adatte
a misurare un successo professionale in quanto questo richiede un tipo di intelligenza ben diverso da
quello del successo accademico.

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Psicologia Generale

Alcuni psicologi hanno considerato l'intelligenza che riguarda le emozioni, l'intelligenza emotiva, un
insieme di abilità che determinano un'accurata decisione, valutazione, espressione e regolazione delle
emozioni proprie e altrui.
L'intelligenza emotiva regola l'abilità di stare bene con gli altri, fornisce una comprensione di cosa gli altri
sentono e sperimentano e ci permette di rispondere alle loro esigenze.
Mayer e Salovey descrivono quattro componenti dell'intelligenza emotiva:
 La capacità di riconoscere, valutare ed esprimere con accuratezza le emozioni proprie e altrui;
 La capacità di accedere e generare emozioni in quanto facilitatori del pensiero;
 La capacità di comprendere e analizzare le proprie emozioni;
 La capacità di regolare le emozioni.
 
Gli psicologi che si sono dedicati allo studio dell'intelligenza, si sono concentrati sullo sviluppo dei test di
intelligenza e hanno preso questi come base per valutare il livello di intelligenza di una persona.
I primi veri test di intelligenza furono formulati dallo psicologo Binet. Egli redasse il primo test di
intelligenza ufficiale, ideato al fine di indentificare gli studenti meno dotati nel sistema scolastico e poter
offrire loro un aiuto supplementare.
Sulla base dei test di Binet ai bambini furono assegnati risultati legati alla loro età mentale, l'età media di
individui che raggiungono una particolare prestazione in un test.
Assegnare un'età mentale agli studenti non fornisce un adeguato mezzo di confronto tra persone di età
cronologiche diverse.
La soluzione al problema venne da un'elaborazione successiva del test di Binet effettuata da Terman.
Terman conservò il concetto di età mentale ma lo completò utilizzando un indice di intelligenza
precedentemente formulato dallo psicologo tedesco Stern: quoziente di intelligenza o QI. Il QI è un
indice che tiene conto del rapporto tra età mentale e cronologica di un individuo.
 
QI = MA/CA × 100
 
MA= età mentale;
CA= età cronologica.
 
Non esistono solo i test d'intelligenza, vi sono altri due tipi di test:
 Test di profitto, viene ideato per determinare il livello di conoscenza di una persona in un'area
d'interesse specifica e si concentra sul materiale specifico acquisito da un individuo;
 Test attitudinale, ha l'obiettivo di predire la capacità di una persona in uno specifico campo di
lavoro.
Un test per essere utile deve essere attendibile alla riapplicazione, ossia fornire gli stessi dati ogni volta
che il test viene sottoposto alla stessa persona, valido, ossia misurare ciò che deve misurare e
standardizzato, ossia uniforme nella somministrazione e nella determinazione dei punteggi.
 
Gruppi di persone dotati di un QI molto basso o sorprendentemente alto richiedono un trattamento
speciale se le si vuole mettere in condizione di esprimere il loro massimo potenziale.
Il ritardo mentale è un disturbo caratterizzato da significative limitazioni, sia delle funzionalità
intellettuali, sia del comportamento di adattamento che coinvolge abilità intellettuali, concettuali e
pratiche.
Da parte degli specialisti, tuttavia, vi è una mancanza di uniformità nella definizione del ritardo mentale.
Questo ha determinato che, all'interno della stessa categoria, vi sia una variabilità concernente le abilità
degli individui che ne fanno parte. Si passa da chi ha bisogno di poca attenzione centralizzata nel
processo di apprendimento, per un cosiddetto ritardo mite o moderato, fino ad arrivare a chi non è
assolutamente in grado di ricevere l'insegnamento e richiede una cura continua nel corso della vita, per il
cosiddetto ritardo grave e profondo.
Le cause del ritardo mentale sono varie, esso può dipendere da una causa biologica come la sindrome di
Down o la sindrome fetale da alcool, oppure dalla categoria chiamata ritardo familiare dove rimane

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Psicologia Generale

impossibile determinare se il ritardo sia dovuto a circostanze ambientali o dalla presenza di un fattore
genetico.
Nel tentativo di redarre un test di QI culturalmente equo, gli psicologi hanno provato a formulare
domande che si basino su esperienze comuni a tutte le culture oppure a fare maggiormente affidamento
su voci che non richiedessero l'uso del linguaggio.
Nel tentativo di arrivare a questo obiettivo gli psicologi si sono trovati ad affrontare una questione ben
più ampia: stabilire quanto contribuiscano i fattori genetici e l'esperienza nel determinare l'intelligenza.
In generale l'intelligenza dimostra una grande percentuale di ereditabilità, più vicino è il legame genetico
tra due persone tra loro imparentate, maggiori sono le corrispondenze tra punteggi di QI.
È fondamentale ricordarsi che i test di QI sono rilevanti nell'analisi di casi individuali, non di gruppi.

LEZIONE 17
La motivazione
Il concetto di motivazione comprende l'insieme dei fattori che direzionano e danno energia al
comportamento umano e a quello degli altri organismi viventi. Essa può essere definita come l'insieme
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Psicologia Generale

dei processi di attivazione e di orientamento del comportamento verso un oggetto-meta, ovvero verso la
realizzazione di uno scopo.
Emozioni e motivazione sono sicuramente strettamente collegate.
Lo studio della motivazione riguarda lo studio delle cause e degli scopi del comportamento.
Nello studio della motivazione, per spiegare i fattori sottostanti al comportamento umano, si è fatto
riferimento alla "spinta" derivante da stati interni all'organismo. In questa prospettiva le teorie che
inizialmente cercarono di spiegare la motivazione rivolsero la loro attenzione agli istinti, ovvero pattern
di comportamento innati, integrati nel sistema nervoso e biologicamente determinati.
Secondo tale approccio le persone e gli animali nascono pre-programmati, dotati di schemi di azione su
base genetica. Negli animali, e quindi anche nell'uomo, è possibile individuare molteplici sistemi
comportamentali finalizzati a base genetica come il comportamento sessuale, l'allevamento dei piccoli o
il comportamento sociale.
 
 "Il concetto di motivazione indica un processo di attivazione dell'organismo finalizzata alla realizzazione
di scopi e piani comportamentali in relazione alle condizioni ambientali e sociali presenti in un dato
momento."
[Anolli e Legrenzi]
 
Nel campo della motivazione sono stati distinti:
 Riflessi ed istinti, ossia dei comportamenti determinati biologicamente. Gli istinti si attivano in
modo automatico di fronte a determinati stimoli dell'ambiente. Il concetto di istinto fu
inizialmente proposto da Darwin, secondo il quale gli istinti, sequenze di singole unità riflesse
innate, soggiacciono al principio di selezione naturale poiché rappresentano schemi di
comportamento che avvantaggiano e favoriscono l'adattamento degli organismi di una specie. La
diffusione del concetto di istinto nella psicologia della motivazione si deve principalmente a
McDougall. Egli sostiene che gli istinti rappresentano i motori di ogni condotta.
L'analisi degli istinti è stata condotta principalmente in maniera etologica, è stato, infatti, spiegato
come gli animali soddisfano i propri istinti ed i propri bisogni. Il concetto di istinto fu utilizzato per
indicare schemi innati di comportamento, a carattere automatico e involontario, innescati da
stimoli specifici. Questi studi, quindi, descrissero i comportamenti istintivi come sequenze di
movimenti regolate da schemi fissi di azione e sensibili a un determinato stimolo attivante detto
stimolo-chiave;
 Pulsioni, il concetto di istinto è stato, poi, sostituito dal concetto di pulsione. Per Freud le pulsioni
sono rappresentazioni psichiche dei bisogni biologici.
Le pulsioni si dividono in:
 Primarie, legate ai bisogni biologici del corpo;
 Secondarie, legate ai bisogni che nascono da esperienze passate e dall'apprendimento.
 
È stata inoltre proposta una distinzione tra:
 Motivazioni primarie o biologiche [es. fame, sete, riproduzione…];
 Motivazioni secondarie, psicologiche e sociali.
Entrambe queste motivazioni comportano l'elaborazione di un sistema di desideri che a sua volta è
associato ad un sistema di valori.
 
Un modello molto utile per classificare questi bisogni è la piramide dei bisogni di Maslow. Questo
modello classifica i bisogni secondo una gerarchia e sostiene che, affinché i bisogni più sofisticati possano
sorgere, è necessario prima soddisfare i bisogni di base.
Alla base della piramide troviamo quei bisogni che sono fisiologici, di base come l'acqua, il cibo, il sonno
ed il sesso.
Al secondo livello troviamo i bisogni di sicurezza, la necessità di un ambiente sicuro e al riparo.
Al terzo livello troviamo i bisogni di appartenenza, la necessità di avere e dare affetto.
Al quarto livello vi sono i bisogni di stima, la necessità di sviluppare un senso di stima di sé stessi.
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Psicologia Generale

In cima alla piramide troviamo quei bisogni che sono definiti di autorealizzazione o di appagamento del
sé.
Secondo Maslow i bisogni situati nei livelli più alti della piramide possono essere realizzati solo se sono
già stati soddisfatti i bisogni dei livelli inferiori, principalmente i primari o fisiologici.
Il livello dei bisogni di sicurezza, di appartenenza e di stima vengono anche chiamati bisogni di carenza,
mentre i bisogni di autorealizzazione sono definiti anche bisogni di crescita. L'autorealizzazione è uno
stato di auto-soddisfazione per cui le persone riescono a realizzare il proprio potenziale.
Studiare la felicità significa studiare il modo in cui gli individui hanno la possibilità di realizzare sé stessi.
Questo modello teorico è molto importante in quanto propone una definizione dei processi che regolano
il soddisfacimento dei bisogni.
 
Le motivazioni sociali e cognitive sono:
 Motivazione al successo;
 Motivazione al potere;
 Senso di auto-efficacia (self-efficacy), le persone che hanno un basso senso di auto-efficacia hanno
poco potere di modificare la propria vita.
 
 
 Teorie della motivazione
Le teorie della motivazione sono molte:
o Teorie dell'istinto, le quali ritengono che il nostro organismo sia guidato da fattori biologici;
o Teorie della riduzione delle pulsioni. Respingendo il concetto di istinto, furono elaborate
delle teorie fondate sulla riduzione delle pulsioni. Secondo il modello della riduzione delle
pulsioni, la mancanza di requisiti biologici fondamentali produrrebbe una pulsione allo
scopo di ottenere quella determinata risorsa.
Il primo a suggerire l'ipotesi che il comportamento fosse regolato dalla necessità di
mantenere un equilibrio nel funzionamento fisiologico fu Cannon, secondo il quale il nostro
organismo tende ad una situazione di omeostasi o equilibrio. Lo scopo del comportamento
umano, quindi, è quello di ricercare l'equilibrio;
o Teorie dell'arousal, le quali cercano di spiegare comportamenti il cui obiettivo è quello di
mantenere o incrementare l'attivazione. Secondo queste teorie ciascun individuo cerca di
mantenere un livello ottimale di stimolazione e di attività, qualora i livelli di stimolazione ed
attività diventino troppo bassi, l'organismo cerca di innalzarli andando alla ricerca di altri
stimoli. [es. sport estremi, l'individuo ricerca emozioni forti]
All'interno di queste teorie è stata elaborata una legge motivazionale che descrive la
relazione tra attivazione fisiologica e comportamento
Questa legge, detta legge di Yerkes-Dodson, è rappresentata da un grafico che mostra una
curva a forma di U invertita. Questo grafico mostra che ad alti e bassi livelli di arousal
(emozioni intense e forti), la prestazione è bassa. La prestazione raggiunge dei livelli ottimali
in presenza di un arousal medio. [es. se preparandosi per un esame si ha troppa o toppo
poca ansia il soggetto non si attiverà nella maniera corretta, in presenza, invece, di un giusto
livello d'ansia l'individuo potrà attivare il proprio comportamento nella maniera corretta];
o Teorie dell'autodeterminazione e socio-cognitive, all'interno di questi modelli teorici si
distinguono due concetti di motivazione:
Motivazione intrinseca, ad esempio quando un soggetto attua un determinato
comportamento in quanto ottiene un appagamento ed una certa soddisfazione nello
svolgere una determinata attività. Il comportamento avviene in virtù di sé stesso [es.
studio perché mi piace];
Motivazione estrinseca, un individuo attua un comportamento in quanto riceve qualcosa
in cambio. Il movente del comportamento è posto dall'esterno. [es. studio perché
vengo pagato]

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Psicologia Generale

Quello che si sono chiesti gli psicologi della felicità riguarda il grado di felicità di ciascuno dei
due soggetti.
Si è visto che dei bambini che venivano ricompensati per svolgere attività generalmente viste
come attività piacevoli, ad esempio disegnare, dopo aver ricevuto una ricompensa,
tendevano a svolgere l'attività meno frequentemente dei bambini che non ottenevano
alcuna ricompensa.
 
Motivazione e processi di attribuzione
Nei processi di attribuzione causale l'individuo si impegna nella ricerca delle cause all'origine di un
determinato evento o comportamento.
I processi di attribuzione giocano un ruolo fondamentale nelle motivazioni, soprattutto in quelle legate al
successo e all'apprendimento.
Sono state rilevate delle componenti dei processi di attribuzione della causalità del successo e
dell'insuccesso. Secondo il modello di Weiner esistono tre dimensioni nel processo di rappresentazione
delle cause di un successo o di un insuccesso:
 Locus of control (localizzazione delle cause), quando le persone interpretano un successo o un
insuccesso cercano un luogo di controllo che può essere interno o esterno, interno se dipende
dall'individuo, esterno se non dipende dall'individuo;
 Stabilità temporale del fattore causale individuato;
 Controllabilità, le cause possono essere controllabili o incontrollabili.
Il modo in cui un individuo valuta un evento secondo queste tre dimensioni è in grado di influenzare la
situazione. [es. se si considera un successo scolastico come frutto di fortuna, ciò comporta uno studio
molto limitato. Se, invece, si valuta un successo scolastico come frutto di un impegno, ciò comporta un
maggiore studio. Quindi le persone con un locus of control interno hanno maggiore propensione ad
impegnarsi di più.]

LEZIONE 18 
L'emozione è ciò che si prova in un determinato momento, di fronte ad un evento o ad una situazione e
che comporta reazioni fisiche e psicologiche da parte dell'organismo.
 

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Psicologia Generale

All'interno dello studio psicologico delle emozioni, sono prevalse due prospettive antitetiche circa la loro
funzione. Una prima concezione concepiva le emozioni come eventi disfunzionali che irrompono
nell'esperienza interrompendo e interferendo con ogni altra attività. Da un'altra prospettiva, la ricerca
contemporanea ha sottolineato il ruolo positivo delle emozioni per l'adattamento dell'organismo
fondando un approccio funzionale allo studio del processo emotivo. Secondo tale approccio, le emozioni
sono concepite come mediatori nella relazione tra l'organismo e l'ambiente.
Nel definire il ruolo delle emozioni sono state descritte alcune funzioni fondamentali:
 Valutazione dell'ambiente, una delle principali funzioni delle emozioni è quella di valutare
costantemente gli stimoli interni ed esterni;
 Regolazione dello stato di attivazione del sistema, le emozioni costituiscono risposte coordinate in
diversi sistemi biologici, così da generare lo stato fisiologico più adatto all'azione o comportamento
da attuare;
 Preparazione all'azione, le emozioni sono cambiamenti nella preparazione all'azione in risposta a
eventi rilevanti per gli interessi dell'individuo;
 Modellare il nostro comportamento futuro, le emozioni aiutano ad apprendere risposte che ci
aiuteranno a predisporre reazioni appropriate nel futuro;
 Aiuto per un'integrazione migliore con gli altri, spesso comunichiamo le emozioni provate tramite
la comunicazione verbale o con il comportamento non verbale, rendendole esplicite agli altri.
Le emozioni sono dei processi pluri-componenziali.
Klaus Scherer ideò un modello processuale-componenziale composto da 5 componenti. La prima
componente è una componente cognitiva, che permette di valutare gli stimoli e gli eventi, secondo la
terminologia anglosassone il processo di valutazione è indicato con la parola "appraisal". La seconda
componente è una componente neurofisiologica che richiama il comportamento dell'organismo, ossia la
regolazione degli stati corporei da parte del nostro sistema nervoso, centrale e periferico. La terza
componente è una componente motivazionale, ossia lo studio dei fattori che spingono l'individuo
all'azione, tutte le emozioni, infatti, implicano una preparazione dell'organismo ad agire e ad intervenire
sull'evento. La quarta componente è una componente espressivo-motoria (mimica facciale, postura…),
la funzione di questi cambiamenti è quella di comunicare all'esterno l'emozione vissuta dal soggetto.
L'ultima componente è la componente soggettiva che riguarda i sentimenti soggettivi che un individuo
prova in una determinata situazione.
Rispetto agli altri processi psicologici il quadro che ci si presenta trattando i processi emozionali è molto
più complesso. Le emozioni implicano l'attivazione dell'organismo e in particolare dei suoi sistemi e
sottosistemi.
 
 Che cos'è un'emozione?
Alcuni autori hanno affermato che non è possibile definire con chiarezza le emozioni, poiché il concetto
stesso di emozione manca di caratteristiche definitorie precise, e cioè di attributi necessari e sufficienti
per individuare le condizioni di appartenenza ad esso di singoli elementi.
In generale si può dire che le emozioni sono dei processi psicobiologici costituiti da una serie di
componenti inter-correlate ed interdipendenti. Queste componenti spesso si attivano, infatti,
simultaneamente.
Le emozioni, dunque, sono associate ad un'ampia gamma di modificazioni cognitive e neurofisiologiche,
le quali hanno come finalità primaria quella di promuovere e sostenere dei piani di azione idonei a
garantire il benessere e la sopravvivenza dell'individuo, le emozioni sono, quindi, dei processi di
adattamento all'ambiente di cui l'uomo dispone per permettersi il benessere e la sopravvivenza.
 
Parlando di emozioni abbiamo tre diversi concetti (stati affettivi) che nel nostro linguaggio vengono
utilizzati in maniera interscambiabile ma che, a livello scientifico, vengono definiti in maniera diversa, e
sono:
 Emozioni [es. delusione, paura…];
 Stati dell'umore [es. irritabilità, tranquillità, malinconia];
 Sentimenti [es. amore, odio…].

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Emozioni VS Stati dell'umore
Una prima differenza rilevante è la durata. Si ritiene che le emozioni abbiano durata breve,
limitata, al contrario degli stati dell'umore che indicano degli stati di lunga durata, protratti nel
tempo.
Un'altra differenza sostanziale riguarda la causa, gli stimoli che innescano queste situazioni. Nel
caso delle emozioni è possibile individuare una causa (antecedente emozionale), nel caso, invece,
degli stati dell'umore questo processo di individuazione è molto più difficile, si dice quindi che le
emozioni hanno un oggetto, mentre gli stati dell'umore non ne hanno.
Differente è anche l'intensità (vissuto, sentimento…), le emozioni sono stati ad alta intensità,
mentre gli stati dell'umore sono stati a bassa intensità.
Per cui è possibile dire che un'altra differenza è l'osservabilità delle risposte comportamentali che
nel caso delle emozioni sono volto visibili, al contrario degli stati dell'umore in cui esse non
appaiono così evidenti.
 
 
I sentimenti
Il concetto di sentimento è un concetto complesso che per certi versi è molto affine al concetto di
emozione e per altri al concetto di stati dell'umore.
I sentimenti hanno una durata minore rispetto a quella delle emozioni ma maggiore rispetto a quella
degli stati dell'umore.
Come le emozioni i sentimenti hanno un oggetto, si ama una persona, si odia una persona.
Al contrario delle emozioni i sentimenti sono molto legati all'apprendimento sociale. Ad esempio, il
modo in cui un individuo esprime il proprio amore nei confronti del partner è molto condizionato dalla
società e dalle esperienze che l'individuo compie all'interno del contesto sociale in cui si trova.
 
La distinzione tra sentimenti, emozioni e stati dell'umore è molto sfumata. Le emozioni talvolta possono
trasformarsi in sentimenti o in stati dell'umore.
 
Un ulteriore concetto riguardante le emozioni è quello del temperamento. Ci sono, infatti, degli individui
che hanno una propensione a vivere certe emozioni.
 
Nel trattare le emozioni gli studiosi si sono trovati a dover dare una definizione del concetto stesso di
emozione.
Questi si sono concentrati sull'individuare degli attributi necessari e sufficienti che definiscano
chiaramente la categoria concettuale di emozione.
Il primo a creare un modello di questo tipo fu, come detto, Klaus Scherer. Egli individuò 7 attributi:
 Focalizzazione su un oggetto, le emozioni hanno sempre una causa;
 Valutazione cognitiva dell'antecedente emozionale;
 Sincronizzazione dei diversi aspetti della risposta emozionale, questa risposta deve essere
coordinata e sincronizzata, tutti gli aspetti che caratterizzano la risposta emozionale si attivano
immediatamente;
 Rapidità dei cambiamenti nei diversi sottosistemi dell'organismo;
 Impatto sul comportamento, a differenza degli stati dell'umore le emozioni permettono di cogliere
delle ricadute immediate nel comportamento dell'organismo;
 Intensità della risposta emozionale relativamente alta;
 Breve durata.
Il modello di Scherer è molto utile e permette di individuare ciò che sono le emozioni ma anche di
escludere sentimenti e stati dell'umore.
 
Plutchik, autore americano protagonista nella ricerca psicologica delle emozioni fornì la seguente
definizione di emozione:

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 "Un insieme complesso di interazioni tra fattori soggettivi e oggettivi, mediate da sistemi
neurali/ormonali, che possono:
 Dare origine a esperienze affettive come sensazioni di attivazione e di piacere/dispiacere
(componente soggettiva);
 Generare processi cognitivi come effetti percettivi emotivamente rilevanti, valutazioni, processi di
etichettamento (componente cognitiva);
 Attivare aggiustamenti fisiologici di vasta portata alle condizioni elicitanti, l'organismo partecipa
alla risposta emozionale;
 Portare ad un comportamento che è spesso, ma non sempre, espressivo, finalizzato e adattativo
(componente motivazionale ed espressivo-motoria)."
[Plutchik]
 
Un'ulteriore definizione molto utile è quella data da Keltner e Gross, i quali sostengono:
 
 "Episodic, relatively short-term, biologically-based patterns of perception, experience, physiology,
action, and communication that occur in response to specific physical and social challenges and
opportunities."
[Keltner e Gross]
 
 "Le emozioni sono episodiche, circoscritte nello spazio e nel tempo e di breve durata.
Le emozioni si verificano in risposta a sfide e opportunità sociali e fisiche, esse non si attivano solo per far
fronte a stimoli negativi, ma anche quando ci troviamo in situazioni ed opportunità positive.
Le emozioni sono pattern radicati nella biologia che attivano percezioni (componente cognitiva),
esperienze, azione e comunicazione (componente motivazionale ed espressivo-motoria)."
 
Esiste un sistema di strutture specializzato nelle emozioni, si tratta del sistema limbico, il quale
comprende il bulbo, l'ipotalamo, l'amigdala, ippocampo e fornice, strutture situate nella sezione centrale
del nostro cervello.
Vi sono poi altre strutture come il setto, un piccolo nucleo responsabile del piacere fisico.
Non è solo il cervello ad intervenire nella regolazione della componente neurofisiologica delle emozioni
ma anche il sistema nervoso autonomo (simpatico e parasimpatico) apporta un contributo importante.
 
I metodi di ricerca utilizzati dagli psicologi per studiare questi procedimenti così complessi sono molti:
 Ricerche di laboratorio, bisogna però tener presente che la riproduzione di emozioni in laboratorio
è molto diversa da ciò che si vive quotidianamente provando delle emozioni. Nonostante questo
gli studiosi hanno individuato alcuni strumenti in grado di attivare le emozioni come:
o Fotografie e disegni;
o Stimoli filmici, utilizzati per innescare emozioni in situazioni controllate. Si tratta di estratti,
videoclip in cui si visualizzano scene tratte da film che hanno una grande capacità di attivare
una risposta emozionale positiva o negativa;
o Stimoli musicali;
o Stimoli olfattivi, il nostro sistema olfattivo è strettamente collegato al sistema limbico e per
questo gli odori hanno una grande capacità di rievocare le emozioni;
o Ricordi di esperienze emotive, ossia la richiesta di rievocare un momento emozionale della
propria vita. Queste ricerche possono essere effettuate con uno strumento chiamato
poligrafo, il quale permette di monitorare e registrare tutte le risposte del sistema nervoso
autonomo, oppure con la risonanza magnetica funzionale.
Tutte queste ricerche vedono il soggetto come un individuo passivo, talvolta è anche richiesta
l'immobilità della persona, utilizzando particolari strumenti o tecniche. [es. risonanza magnetica];
 Ricerche sul campo, queste indagini possono avvalersi di vari strumenti come:
o Studi con questionari;
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o Studi con diario, anziché raccogliere una sola esperienza per individuo viene chiesto di
tenere un diario su cui poter scrivere più esperienze, ad esempio può essere chiesto di
riportare un'esperienza emotiva ogni qualvolta essa si presenta (experience sampling
method= metodo di campionamento dell'esperienza). Il tempo di analisi di questa ricerca
può essere variabile, di solito va da una giornata a qualche mese.
[es. riportare le proprie emozioni ogni volta in cui suona un oggetto di cui sono dotate come
un campanello o un telefono, il soggetto non conosce il momento preciso in cui dovrà fornire
le proprie informazioni.].

LEZIONE 19
L'evoluzione delle teorie e delle ricerche psicologiche sulle emozioni
La psicologia delle emozioni si è sviluppata con un grande ritardo rispetto a tutti gli altri settori della
psicologia. Gli psicologi hanno approfondito questo argomento con un certo ritardo, nonostante questo sia
un concetto molto importante e strettamente collegato al soggetto.

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Prima degli anni sessanta, infatti, le emozioni non suscitavano grande interesse da parte degli psicologi,
erano considerate un tema di ricerca riconducibile alla motivazione o alla personalità. Anche oggi,
effettivamente, la preparazione di uno psicologo è soprattutto legata all'approfondimento della conoscenza
di argomenti come la sensazione, la percezione o il pensiero, mentre la conoscenza nell'ambito dei processi
emozionali e affettivi è considerata di minore importanza.
Le ragioni che stanno alla base di questo ritardo sono principalmente dei problemi che gli studiosi hanno
incontrato e che hanno influenzato lo sviluppo di queste ricerche:
 Problema di carattere etico ed ontologico → si ponevano quando ad essere al centro della ricerca
erano gli aspetti emozionali. Fin dagli inizi suscitare delle risposte emozionali in un individuo è sempre
stato molto difficile, soprattutto dal momento in cui non è possibile mettere in pericolo l'equilibrio
psicologico del soggetto. Era quindi necessario ricercare delle procedure di indagine che garantissero
al soggetto uno stato di non pericolo per la sua integrità;
 Problema metodologico → agli inizi della psicologia non era ancora chiaro cosa fosse un'emozione ed
era difficile identificare quelle che in un esperimento classico sono le variabili dipendenti, ossia quelle
che lo sperimentatore vuole spiegare. Era inoltre difficile identificare le variabili indipendenti, ossia gli
stimoli che dovevano essere presentati ai soggetti in modo da innescare una risposta emozionale;
 Problemi ideologici e culturali → legati al modo di definire le emozioni a livello sociale e culturale. A
livello culturale le emozioni sono state per molto tempo considerate dei fenomeni negativi che
interferiscono con il buon andamento dell'individuo. Le emozioni erano considerati come elementi
perturbatori dell'armonia e dell'equilibrio psichico dell'individuo e che, pertanto, dovevano essere
cancellati. Si ritiene, infatti, che l'esperienza emozionale sia talmente soggettiva e personale da
rendere impossibili quei processi di generalizzazione induttiva su cui si fonda la scienza.
Questa concezione negativa delle emozioni è giunta fino alla nascita della psicologia. Proprio a motivo
di questa identificazione delle emozioni con fenomeni negativi per un certo periodo lo studio di
questi fenomeni è stato affidato a dei settori particolari come la psichiatria e la psicologia clinica.
Nell'ottica psichiatrica la regolazione dei processi emozionali è di tipo farmacologico, sono i farmaci a
dover eliminare questi pericolosi elementi perturbatori. Nell'ambito della psicologia clinica, invece,
questa regolazione è affidata allo psicologo clinico il quale deve cercare di contenere le emozioni del
paziente. Il modello di emozione a cui lo psicologo clinico fa riferimento è molto vicino a quello
psichiatrico. L'attenzione dello psicologo non è attratta in modo preferenziale dagli aspetti domatici
dell'emozione e dalla componente di dispendio energetico che essa può comportare, ma piuttosto
dai suoi aspetti esperienziali e soggettivi.
Per indicare le emozioni, infatti, lo psicologo usa termini come ansia, angoscia o depressione, termini
di uso comune anche nel linguaggio dello psichiatra. Come lo psichiatra, anche lo psicologo, considera
l'emozione come un fenomeno di rottura di un equilibrio e, quindi, potenzialmente patogeno. Vi è,
però, una differenza fondamentale tra l'approccio dello psichiatra e del medico, alle emozioni, e
quello dello psicologo. Spesso il medico viene a contatto con le emozioni del paziente grazie ad uno
strumento di mediazione, lo psicofarmaco. Li psicologo, invece, non dispone di questo strumento ed
entra, quindi, in un rapporto diretto con gli aspetti emozionali del paziente, offrendo sé stesso come
contenitore per essi.
Tuttavia il modello medico ed il modello psicologico hanno anche alcuni aspetti comuni, entrambi
sostengono, infatti, che le emozioni siano fenomeni da contenere perché sono forme di esperienza
che sfuggono al controllo del paziente; hanno un carattere negativo e creano disagio; hanno un
carattere irrazionale e turbano il buon funzionamento delle attività di pensiero.
 
 
Storicamente questa diffidenza ha generato due diversi atteggiamenti operativi da parte degli psicologi
sperimentalisti:
1. Riduzionismo, atteggiamento volto a spiegare le emozioni nei termini di variabili oggettive e
osservabili per poterle ricondurre nell'ambito della sperimentazione classica;
2. Delega, atteggiamento che consiste nel delegare lo studio delle emozioni alla competenza di altre
figure di ricercatori come gli psicologi clinici, gli psichiatri o i medici. Sembrava, infatti, che il metodo

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più adeguato per studiare le emozioni fosse il metodo clinico, quello più spesso utilizzato da queste
figure professionali. Con questa delega si riconosceva implicitamente che l'interesse per le emozioni
era riconducibile ad un ambito in cui la ricerca è più orientata alla gestione e alla risoluzione di
problemi pratici attraverso l'uso di modelli operativi.
 
La prima condizione che favorisce l'interesse degli studiosi per le emozioni è la riscoperta delle opere di
Darwin: "L'origine delle specie" e "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali". Tale riscoperta
non fu casuale, fu probabilmente legata al riaccendersi dell'interesse per gli aspetti biologici del
comportamento animale ed umano. Secondo questo punto di vista il comportamento umano è quasi
totalmente modellato dalla cultura e dall'apprendimento, e in esso gli aspetti biologici e universali sono
irrilevanti. Le scoperte degli etologi contrastavano con questa opinione e mettevano in luce l'esistenza di
pattern comportamentali innati fondati su informazioni genetiche. Successivamente, nel corso degli anni
'70 i vincoli biologici del comportamento furono ulteriormente sottolineati dalla nuova prospettiva
sociobiologica. Questi nuovi orientamenti teorici e di ricerca restituivano credibilità all'opera di Darwin
sull'eredità e universalità dei comportamenti di espressione delle emozioni.
Le emozioni non vengono più considerate come fenomeni negativi per l'individuo ma come strumenti di
adattamento all'ambiente.
Esistono, però, altre importanti condizioni che hanno favorito lo studio delle emozioni.
Un primo fenomeno fu la crisi del comportamentismo e l'emergere del paradigma cognitivista, che
approfondisce lo studio degli aspetti cognitivi dell'esperienza psichica, finora ritenuti inaccessibili. Anche ciò
che è puramente mentale, come il pensiero, è considerato degno di attenzione.
Un altro fenomeno che contribuì a portare al centro della scena le emozioni riguarda un particolare clima
sociale e politico che caratterizzò gli anni '60, gli anni della rivoluzione studentesca. Le emozioni sono
sempre state contrapposte alla razionalità e per questo sempre respinte. In questa fase storia l'irrazionalità
acquisisce un certo alone e questo permette alle emozioni di riemergere in molti ambiti, compreso quello
scientifico.
A risvegliare questo interesse per le emozioni contribuì anche un altro fattore: la diffusione della
psicoanalisi a livello di cultura di massa. Tale diffusione fu resa possibile dalla nuova atmosfera culturale che
si veniva a creare.
In quegli anni le opere di Freud cominciarono ad essere studiate nelle università: la psicoanalisi acquisì una
nuova dignità diventando materia di insegnamento accademico.
Il riconoscimento ufficiale della dottrina di Freud implicò l'accettazione dei suoi contenuti e dei sui
presupposti teorici, e cioè una nuova antropologia, non più fondata sulla razionalità ma sui bisogni e
sull'affettività. La ragione è per Freud, una meta da raggiungere piuttosto che una base da cui partire. Il
primum che caratterizza l'essenza dell'uomo sono i bisogni, gli impulsi e gli affetti che da essi si generano; la
ragione costituisce una fase evolutiva ultima, mai completamente raggiunta e realizzata.
Tuttavia, la psicoanalisi non giunse ad elaborare una vera e propria teoria delle emozioni perché il suo
interesse principale era rivolto ai processi psichici patologici e di conseguenza alle manifestazioni
patologiche delle emozioni.
 
 
Riguardo alle emozioni è possibile distinguere due gruppi di teorie:
1. Teorie classiche, che si sviluppano dalla seconda metà dell'800 fino al 1960;
2. Teorie contemporanee, che si sviluppano dagli anni '60 fino ad oggi.
 

 Le teorie classiche
Le prime teorie formulate in campo psicologico a proposito delle emozioni hanno riguardato la
definizione del ruolo di queste risposte fisiologiche nell'esperienza emotiva. Da un lato è stato
affermato che specifiche reazioni corporee causano l'esperienza di particolari emozioni. Al contrario,
altre teorie hanno sostenuto che la reazione fisiologica sia un risultato dell'esperienza emotiva.
 

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Le teorie classiche sono il frutto di contributi di vari studiosi e comprendono:


o Teoria di Darwin sull'evoluzione delle emozioni.
1859- pubblicazione "L'origine delle specie"
1872- pubblicazione "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali"
1971- pubblicazione "L'origine dell'uomo"
 
Darwin aveva proposto questa teoria per spiegare come le varie specie animali si erano
differenziate sulla terra e per dimostrare la continuità che vi è tra la specie umana e le altre
specie animali. Per fare ciò egli analizzò i comportamenti, i gesti e le posture utilizzate da
uomini e animali per esprimere le emozioni.
Lo scopo dell'opera "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali" è quello di
presentare ed utilizzare dati osservativi che riguardano unicamente gli aspetti espressivi delle
emozioni ed assumere questi dati come prove a sostegno della teoria generale dell'evoluzione
delle specie.
L'attenzione particolare alle espressioni delle emozioni dipende dal fatto che questi aspetti, tra
gli elementi che costituiscono le emozioni, sono i più accessibili all'osservazione, i più oggettivi,
e dunque i più adeguati a dimostrare empiricamente la teoria dell'evoluzione delle specie.
Quest'opera si sviluppa con l'intento di dimostrare l'adeguatezza dei principi secondo i quali le
espressioni delle emozioni possono essere spiegate in chiave evoluzionistica. Questa
dimostrazione è considerata da Darwin utile per confermare l'ipotesi che le espressioni delle
emozioni si sono evolute per assolvere a certe funzioni adattative e che i risultati di questo
processo evolutivo sono analoghi in tutte le specie umane e nelle specie animali superiori.
Molti dei comportamenti espressivi osservabili nel mondo animale sono, quindi, presenti anche
nella nostra specie. Ad esempio, l'erezione del pelo nei cani o nei gatti si verifica quando questi
stanno per attaccare altri soggetti della propria specie. Ciò accade anche negli umani, nel
momento in cui due soggetti si scontrano.
Queste somiglianze portarono Darwin a definire le emozioni come dei segnali comunicativi
universali e transpecifici individuabili in tutte le razze.
La dimostrazione della transpecificità delle espressioni emozionali prova inoltre che queste
derivano da un'acquisizione progressiva da parte dei progenitori dell'uomo nel corso
dell'evoluzione, e dunque, indirettamente, prova la continuità tra le specie umane.
Per questo "L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali", va letta in stretta relazione
a "L'origine delle specie", e soprattutto a "L'origine dell'uomo", di cui in un primo momento era
stata concepita come un capitolo nell'ambito dell'espressione delle emozioni, elementi empirici
a sostegno della teoria della continuità evolutiva animale-uomo.
Le espressioni facciali sono atti motori che avevano originariamente una funzione adattativa e
che oggi assumono una funzione comunicativa e sociale.
Darwin condusse delle ricerche empiriche sui processi emozionali.
Egli osservò soggetti adulti e bambini e soprattutto si concentrò sui soggetti con malattie
mentali in quanto in questi individui la presenza di espressioni facciali era accentuata. Inoltre,
Darwin studiò le espressioni emozionali rappresentate nell'arte cercando di comprendere se le
espressioni cambiassero a seconda del periodo storico. Grazie a questa ricerca egli riuscì a
dimostrare come le espressioni siano costanti e permanenti nel tempo. Inoltre egli utilizzò degli
studi comparati in modo da osservare le emozioni negli animali e nell'uomo.
Infine egli condusse degli studi transculturali. In questi studi egli si avvalse sia di materiale
fotografico sia di fotografie raccolte da missionari con cui egli era in contatto e che
rappresentavano popolazioni di razze diverse. Il suo scopo era quello di capire se gruppi
appartenenti a razze diverse esprimessero le emozioni nella stessa maniera.
Tre furono i principi utilizzati da Darwin per spiegare origine, natura e funzione dell'emozione:
1. Principio delle abitudini utili associate, questo principio significa che quelle che noi
chiamiamo espressioni delle emozioni sono atti motori che nella storia della specie hanno
accompagnato o sono stati parte di comportamenti di valore adattivo, che avevano lo

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scopo di soddisfare un bisogno o alleviare una sofferenza. Questi atti restano associati a
quei bisogni, a quelle sensazioni e a quegli stati psicologici in relazione ai quali avevano
una chiara funzione [es. digrignare i denti nella rabbia, questo atteggiamento si riscontra
sia nell'uomo che nell'animale. Un tempo era associato al sentimento di rabbia e poteva
concludersi con lo sbranamento della presa. Oggi questa conclusione è pressoché
sparita];
2. Principio dell'antitesi, questo principio è spiegabile richiamando l'esempio della rabbia:
questa emozione è associata ad una grande tensione muscolare e a comportamenti
aggressivi, al contrario un sentimento opposto come l'amore sarà, per antitesi, associato
a rilassamento muscolare e a comportamenti di avvicinamento amichevole;
3. Principio degli atti determinati dalla costituzione del sistema nervoso totalmente
dipendenti dalla volontà e entro certi limiti anche dall'abitudine, spesso le espressioni
emozionali sono costituite da movimenti di scarica dell''energia nervosa che percorrono
determinate vie, quelle più abituali, e che offrono percorsi di scarica facilitati. Queste
scariche di energia nervosa sono mobilitate da certi stati d'animo e danno luogo a
comportamenti motori.
Secondo questi principi le espressioni delle emozioni sono tracce di antiche azioni o
comportamenti adattativi la cui utilità, soprattutto a livello umano, è andata in gran parte
perduta ed è stata sostituita dal loro valore espressivo, da cui deriva però, una nuova funzione:
quella comunicativa.
Le ricerche di Darwin furono, però, criticate per due ragioni: innanzitutto egli aveva un
campione limitato, somministrava dei questionari solo ai missionari con cui era in contatto;
secondariamente egli fu criticato per le domande che erano presenti nei suoi questionari.
[es. "La sorpresa e lo stupore sono espressi da apertura pronunciata della bocca e degli occhi
nonché da un innalzamento delle sopracciglia?"
"Quando un uomo è indignato corruga la fronte?"
"Il terrore è espresso in generale con gli stessi modi che usano gli europei?"
"Quando un uomo è allegro i suoi occhi brillano e hanno intorno e sotto una leggera
increspatura della pelle, mentre gli angoli della bocca sono un po' tirati indietro?"
Questa domande sono scorrette in quanto forniscono già una risposta che potrebbe influenzare
il soggetto, il quale si può solo limitare a confermare o a non confermare la domanda dello
sperimentatore];
 
o Teoria periferica di James. (approfondita anche da Lange)
James, padre fondatore del funzionalismo, si ispirò alle idee di Darwin per costituire un
paradigma secondo il quale le emozioni sono dei processi selezionati per le loro funzioni
adattative.
Nel 1884 James pubblicò un articolo scientifico interamente dedicato alle emozioni, intitolato
"What is an emotion?". In questo articolo egli espone la sua teoria che pur essendo definita
"periferica", è forse la più centralista delle teorie evoluzionistiche e funzionalistiche delle
emozioni perché identifica totalmente l'emozione con uno stato mentale cosciente, e cioè con
il sentimento soggettivo che la caratterizza.
L'emozione per James e il sentimento cosciente, soggettivo e qualitativo che la caratterizza. È
un fatto di esperienza, e non un comportamento o una modificazione somatica o un processo
cognitivo. Tutti questi elementi sono necessari perché un'emozione si attivi ma non coincidono
con l'emozione stessa.
Per James l'emozione ha la sua origine in una reazione istintiva a stimoli chiave riconosciuti a
livello di immagine percettiva. La percezione di questi stimoli causa modificazioni somatiche
specifiche per ogni emozione e la percezione di queste modificazioni è l'emozione.
James si interroga sulla sequenza di eventi cha danno luogo ad una risposta emozionale.
Nell'elaborare la sua teoria egli parte dalla psicologia del senso comune, ossia dal modo in cui le
persone interpretano un'emozione, secondo la quale una persona prima sperimenta un vissuto

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emozionale e successivamente a questo l'individuo ha una risposta comportamentale e


somatica.
James, però, attraverso i sui studi, ribalta questa teoria.
Per James la percezione di uno stimolo innesta dei cambiamenti nel nostro sistema nervoso
autonomo, l'esperienza emozionale corrisponde al sentire queste stesse modificazioni nel
momento in cui si verificano. (Questi cambiamenti possono prevedere, ad esempio, l'aumento
della frequenza cardiaca, la dilatazione della pupilla, l'inibizione dell'attività digestiva e così via.)
Questi cambiamenti secondo James provocherebbero delle risposte espressive e
comportamentali. Per James l'emozione è la modificazione soggettiva delle modificazioni
corporee.
Le emozioni sono, quindi, innescate dalla percezione di stimoli nell'ambiente che producono
dei cambiamenti di tipo fisiologico e la percezione di questi cambiamenti è ciò che per James
rappresenta l'emozione.
Questa teoria è chiamata periferica in quanto attribuisce un'enorme importanza al sistema
nervoso periferico.
La differenza tra James e Darwin sta nel fatto che Darwin definisce gli elementi del processo
emozionale come parte di ciò che si definisce emozione, mentre per James questo termine va
riferito al solo risultato del processo che egli ritiene essere l'esperienza soggettiva
dell'emozione.
Per gli psicologi contemporanei le emozioni sono dei processi multi componenziali, l'emozione
non coincide con una sola componente ma è un insieme di varie componenti. Nello schema di
James tutte le componenti sono presenti ma egli identifica l'emozione solo nella componente
soggettiva. Le altre componenti hanno solo ruolo di attivazione.
 
 "Il senso comune dice che se ci accade qualcosa di brutto, siamo dispiaciuti e
singhiozziamo (…) [la mia ipotesi] (…) è che ci sentiamo dispiaciuti perché piangiamo,
arrabbiati perché ci accaloriamo, impauriti perché tremiamo"
[James]
 
La teoria di James fu criticata in primis da Cannon e Bard i quali, negli anni '20, sostennero che
la mancanza di feedback dai visceri non ha un effetto evidente sull'espressione emotiva.
Cannon e Bard si riferiscono a degli esperimenti su alcuni animali che implicavano delle lesioni
a livello del midollo spinale dell'animale e che interrompevano la via di comunicazione tra
sistema nervoso periferico e centrale. Nonostante questo, l'interruzione non interferiva con la
generazione di una risposta emozionale.
La seconda critica di Cannon e Bard riguardava i cambiamenti fisiologici associati alle emozioni,
i quali si attivano anche in altri comportamenti a cui non corrispondono dei cambiamenti
emozionali nell'ambito dell'esperienza soggettiva. I cambiamenti fisiologici possono non essere
sufficienti a provocare una reazione emotiva. [es. aumento di sudorazione nel fare le scale]
Una terza critica da parte di questi autori riguardava la velocità con cui i cambiamenti fisiologici
si verificano, secondo Cannon e Bard i cambiamenti viscerali accadono con troppa lentezza
perché tali modificazioni corporee possano essere la causa di un'esperienza emotiva
immediata, vista la quasi istantaneità dell'esperienza di alcune emozioni. [es. modificazioni
come il piangere o il sudare hanno un processo di insorgenza molto lento, ma quando ci
emozioniamo questo tempo tende a diminuire]
La sequenza ipotizzata da James, quindi, non viene ritenuta veritiera in quanto alcuni
comportamenti hanno bisogno di tempo per dimostrarsi.
 
A partire da queste critiche Cannon e Bard fondano la loro teoria.
 
o Teoria centrale di Cannon-Bard.

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Questa teoria rifiutò l'idea che cambiamenti fisiologici da soli potessero portare alle emozioni, e
sostenne invece che l'attivazione fisiologica e l'esperienza emotiva fossero
contemporaneamente causati dallo stesso stimolo nervoso, Cannon e Bard individuarono il
centro delle emozioni nel talamo. La percezione di uno stimolo emotigeno, infatti, innesca
soprattutto dei cambiamenti in quest'area del cervello e dall'attivazione di questa struttura
dipenderebbero le risposte espressive, comportamentali, i cambiamenti fisiologici del sistema
nervoso periferico e le risposte soggettive, che si attivano simultaneamente in risposta alla
richiesta del talamo. Questa attivazione fisiologica del sistema nervoso simpatico è chiamata
arousal simpatico.
La teoria di Bard e Cannon spostò, quindi, la sede dei centri di elaborazione e di controllo degli
stati emotivi a livello neurofisiologico, così che non venivano più localizzati in sedi periferiche
come i visceri, ma si attribuì un ruolo centrale alla struttura sottocorticale.
Importante è osservare che alcuni commentatori del dibattito tra sostenitori della teoria
centralistica e sostenitori della teoria periferica riposizionano il contributo di James in quanto la
sua visione non è totalmente periferica ma anch'essa riflette l'attivazione del sistema nervoso
centrale.
 
 Le teorie contemporanee
A partire dagli anni '60 tre sono principalmente le prospettive che caratterizzano il dibattito sulle
emozioni:
a. Teorie neoevoluzionistiche o evoluzionistico-funzionalista, che riprendono la teoria
dell'evoluzione di Darwin e rivedono la prospettiva funzionalista di James. Tra i teorici
neoevoluzionisti ricordiamo Tomkins, Izard, Ekman, Plutchik, Frijda;
b. Teorie cognitive, all'interno di questo gruppo distinguiamo:
 Teorie attivazionali-cognitive: Schacter e Singer, Mandler, Pribram, Simonov;
 Teorie dell'appraisal: Arnold, Lazarus, Roseman, Smith e Ellsworth, Scherer.
c. Teorie socio-costruzionistiche, all'interno di questo gruppo distinguiamo:
 Teorie relazionali e comunicative;
 Teorie sociali: Averill.
 
Tutte queste teorie hanno cercato di rispondere a degli interrogativi fondamentali come:
 Che cos'è un'emozione?
 Che cosa produce le emozioni?
 Quali funzioni svolgono le emozioni?
 Possono esserci emozioni che si attivano al di fuori della consapevolezza?
 Quante sono le emozioni?
 Le emozioni sono apprese o innate?
 I neonati provano emozioni?

LEZIONE 20
a. Le teorie neoevoluzionistiche:
o La teoria di Paul Ekman.
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Ekman si propose di sottoporre a nuove verifiche empiriche l'ipotesi dell'universalità delle


espressioni delle emozioni annunciata da Darwin, contrastando in modo esplicito le
posizioni del relativisimo culturale allora prevalenti.
La teoria di Ekman rappresenta il principale riferimento per il costrutto delle emozioni
primarie.
Tutta la complessa esperienza emozionale umana è riconducibile ad alcune famiglie di
emozioni di base o primarie che hanno a che fare con la gestione delle situazioni
fondamentali dell'esistenza e della sopravvivenza individuale e della specie.
Ekman preferisce parlare di famiglie di emozioni di base e non semplicemente di emozioni
di base, poiché ritiene che le forme primarie dell'esperienza emozionale non siano
emozioni specifiche, ma gruppi o insiemi di emozioni, accomunate all'interno di ciascun
gruppo o famiglia, da una stretta parentela e somiglianza. Ciascuna famiglia di emozioni di
base è costituita da un tema comune e da numerose variazioni su questo tema. Ciascuna
di queste è caratterizzata da un tema comune, un nucleo ricorrente nelle diverse forme e
da variazioni intorno ad esso. Le sei emozioni primarie, come sappiamo, sono:
a. Gioia;
b. Paura;
c. Rabbia;
d. Tristezza;
e. Disgusto;
f. Sorpresa.
Le emozioni più complesse derivano dalla mescolanza di più emozioni di base. Le
possibilità di combinazione sono naturalmente numerosissime.
Per Ekman ognuna delle emozioni primarie può essere considerata come un programma
di risposta innato, geneticamente determinato che si attiva di fronte a delle categorie di
stimoli che hanno una rilevanza particolare per il benessere e la sopravvivenza
dell'individuo.
Le caratteristiche di queste forme primarie di risposte emozionali sono rintracciabili in
individui appartenenti a diverse razze e diversi contesti culturali.
Ognuna di queste sei emozioni svolge una funzione specifica per l'individuo, una funzione
adattativa. [es. la paura ha un valore adattativo nella misura in cui attiva una serie di
comportamenti e risposte volte a mettere in sicurezza l'individuo di fronte ad una
situazione di minaccia o pericolo. La rabbia ha la funzione di rimuovere gli ostacoli posto
dall'ambiente. La tristezza attiva dei comportamenti che richiamano l'attenzione e l'aiuto.]
Le emozioni negative aiutano l'individuo a risolvere e gestire dei problemi che egli può
incontrare nella sua relazione con l'ambiente.
Le emozioni positive, invece, aiutano l'individuo ad accogliere delle possibilità offerte
dall'ambiente.
Ekman non si accontenta di accogliere le teorie e le ipotesi di Darwin ma compila un
elenco contenente gli attributi delle emozioni di base, delle condizioni necessarie e
sufficienti per capire se una determinata emozione appartiene o meno alla categoria delle
emozioni di base.
Questi 9 attributi sono:
 Segnali espressivi e non verbali distinti ed universali, ognuna delle emozioni di
base ha un profilo espressivo distinto, le modificazioni espressive associate ad
un'emozione sono diverse da quelle associate ad un altro tipo di emozione. Questi
pattern espressivi sono universali in quanto vengono ritrovati in tutti gli individui di
tutte le razze;
 Presenza in altri primati, le emozioni di base non sono comportamenti specie-
specifici ma trans-specifici. È possibile individuarle tutte nei primati;

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Psicologia Generale

 Distinte reazioni fisiologiche, la paura, ad esempio è caratterizzata da un aumento


della frequenza cardiaca, la tristezza, al contrario, è caratterizzata da una
diminuzione della frequenza cardiaca;
 Antecedenti situazionali distinti ed universali, è possibile identificare le cause delle
emozioni, ma queste sono universali, ossia valide per diverse razze e culture;
 Coerenza tra i vari aspetti della risposta emozionale, vi è coerenza tra le
modificazioni espressive e quelle fisiologiche;
 Rapida insorgenza;
 Breve durata, limitata ad alcuni minuti;
 Valutazione cognitiva automatica (automatic apprisal), le emozioni sono associate
alla valutazione automatica di forme dello stimolo che svolgono una funzione
secondaria;
 Occorrenza spontanea, le emozioni non solo insorgono rapidamente ma l'individuo
non ha il controllo delle emozioni di base, egli le subisce passivamente.
Siamo in presenza di un'emozione primaria solo se sono presenti tutti questi attributi.
Ekman, successivamente, aggiunse ulteriori attributi. Nel precedente elenco, infatti, viene
a mancare qualsiasi riferimento alla componente soggettiva delle emozioni, poiché questa
non viene considerata da Ekman un attributo fondamentale dell'emozione in quanto non
si hanno sufficienti conoscenze su come si formi questa esperienza. Essa dipende,
probabilmente, dal feedback che segue alle modificazioni fisiologiche delle emozioni.
Nell'elenco più recente, invece, Ekman aggiunge questo attributo affermando che le
emozioni primarie sono caratterizzate da pattern dell'esperienza soggettiva distinti ed
universali.
Il concetto di emozione primaria, allora, si espande negli anni successivi alla pubblicazione
del primo articolo in cui Ekman espone i primi 9 attributi.
Nell'ultima edizione delle emozioni di base di Ekman vi è anche una settima emozione di
base, ossia il disprezzo. Per Ekman anche il disprezzo è un'emozione di base in quanto si
possono individuare i 9 attributi validi per le emozioni di base.
 
Per verificare la validità delle sue tesi Ekman cerca conferme della sua teoria analizzando
l'elenco degli attributi e focalizzandosi sui punti 1 e 3. Egli intraprende due filoni di
indagini:
 Ricerca transculturale sulle espressioni facciali.
In seguito a questa indagine è possibile osservare che in ogni emozione ci sono delle
varianti di tipo mimico e motorio. Le aree che si modificano sono le aree della
fronte, il naso e la bocca. A muoversi e a permettere ciò sono i muscoli zigomatici.
Ekman si avvalse di due metodologie di analisi del comportamento facciale:
a. Metodi oggettivi (FACS, Facial Action Coding System= sistema di codifica delle
azioni facciali), attraverso questo metodo egli scompone tutti i movimenti
facciali in una serie di unità di azioni. Egli parte da un'espressione
emotivamente neutra ed aggiunge pian piano delle unità di espressione che
possono combinarsi tra loro e dare origine ad espressioni più complesse. Egli
rileva dei pattern di espressione specifici e diversificati l'uno dall'altro. Questo
tipo di analisi richiede uno studio dettagliato di variazioni che riguardano
specifiche aree del volto che sono la fronte, gli occhi, il naso e la bocca ed il
mento. Ekman attraverso il FACS ha dimostrato la sua ipotesi secondo la quale
ogni emozione di base sia caratterizzata da pattern specifici e diversi;
b. Metodi soggettivi basati sul giudizio, per questo metodo di ricerca Ekman
selezionò delle fotografie e le mise a disposizione di gruppi di studenti
universitari di diverse culture chiedendo loro di associare alle immagini di
espressioni facciali un'etichetta emozionale. A differenza della ricerca di
Darwin, nella ricerca di Ekman il soggetto doveva semplicemente compiere
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un'associazione tra l'immagine ed una delle 6 emozioni di base (rabbia,


disgusto, gioia, sorpresa, paura, tristezza). Questo compito è stato proposto,
appunto, ai soggetti stessi che rappresentavano diverse culture, quella
statunitense, quella brasiliana, quella cilena, quella argentina e quella
giapponese. Dall'esperimento si può osservare che vi è un accordo molto
elevato tra i giudizi formulati all'interno di questi diversi gruppi, i giudizi dei
soggetti erano, quindi identici in particolare per le emozioni della felicità, del
disgusto, e della sorpresa; una diminuzione dell'accordo si ebbe, invece per le
emozioni della paura, della tristezza e della rabbia. Tuttavia, questo dimostrò
che le espressioni delle emozioni hanno carattere universale. Il fatto che le
espressioni delle emozioni siano universali prova il loro carattere innato ed
ereditario, ma ciò non esclude che siano influenzate dall'apprendimento e
dalla cultura. Un limite della ricerca di Ekman sta nella differenza di
partecipanti di ciascuna nazione, nella condizione ottimale, infatti, sarebbe
stato opportuno scegliere dei campioni perfettamente omogenei.
Le emozioni, essendo di rapida insorgenza, mobilitano l'organismo a rispondere a
situazioni di emergenza dove c'è poco tempo per pensare e pianificare la risposta.
Le emozioni di base, infatti, implicano un processo di valutazione dello stimolo
molto semplice, che avviene automaticamente a livello subcorticale, senza implicare
l'intervento della coscienza.
 
Successivamente Ekman condusse studi sulle popolazioni preletterate, al fine di
valutare la capacità del soggetto di riconoscere il significato di un'espressione
emozionale, a questo gruppo di soggetti non era possibile applicare gli stessi
questionari applicati agli studenti universitari in quanto si trattava di culture non in
possesso della scrittura, pertanto egli perseguì due diversi approcci di ricerca:
 Racconto di storie e scelta di immagini, lo sperimentatore raccontava brevi
storie in cui un protagonista viveva una data emozione ed il compito del
soggetto era il compito di indicare, scegliendo un'immagine, il significato
emozionale di quella storia. Ekman verificò che, nonostante i soggetti
appartenessero a popolazioni preletterate, essi dimostravano una buona
capacità di associare un'espressione facciale alla vicenda emozionale
raccontata;
 Racconto di storie e riproduzione mimica, in questo caso il soggetto doveva
riprodurre attraverso il volto l'emozione raccontata nella storia dallo
sperimentatore.
 
Russel fu il primo studioso ad elaborare delle critiche metodologiche riguardo le
ricerche di Ekman. La prima critica riguardava il metodo utilizzato da Ekman nelle
sue ricerche. Russel ritiene che le immagini di espressioni utilizzate da Ekman siano
molto diverse dalle espressioni che le persone producono durante la vita quotidiana
in quanto riprodotte da attori addestrati ad accentuare alcuni movimenti che non si
presentano in maniera così evidente nella vita quotidiana.
La seconda critica riguarda il disegno della ricerca seguito da Ekman. Negli
esperimenti di Ekman sul riconoscimento delle espressioni facciali delle emozioni
egli utilizzò un metodo di ricerca entro i soggetti, i partecipanti dovevano, quindi,
esprimere un giudizio sulle emozioni a loro presentati. Secondo Russel questa
tipologia di ricerca potrebbe aver aiutato i soggetti che, nel corso dell'esperimento
potevano aver capito quali fossero le diverse categorie di stimoli e pertanto essere
guidati nel riconoscere le differenze tra di essi, potendo dare delle risposte per
esclusione. Russel, quindi, sostiene che sarebbe stato più efficace utilizzare un

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Psicologia Generale

disegno di ricerca tra i soggetti, presentando a ciascun gruppo di partecipanti una


diversa emozione.
La terza critica, invece, riguardò il fatto che Ekman non diede la possibilità ai
soggetti di formulare liberamente un giudizio, essi potevano solo compiere una
scelta tra più elementi dell'elenco delle emozioni di base.
Secondo Russell, quindi, se fossero applicate tutte le sue critiche, le percentuali di
risposte corrette diminuirebbero notevolmente non riuscendo più a confermare
l'ipotesi dell'universalità delle emozioni e del loro carattere innato.
 
 Ricerca sui pattern fisiologici differenziali.
Per questo tipo di ricerche Ekman utilizzò delle indagini di laboratorio, diversamente
dalle ricerche precedenti. Ekman convocò in laboratorio degli attori, istruiti a
sollecitare particolari muscoli del volto e, quindi, a ricreare determinate espressioni
facciali.
Oltre ad eseguire volontariamente i movimenti richiesti, i soggetti che
partecipavano all'esperimento erano collegati a degli apparecchi che monitoravano
e registravano le varie modificazioni dei parametri considerati. Attraverso questi
apparecchi Ekman notò che in corrispondenza di determinate mimiche facciali si
presentavano delle variazioni a livello fisiologico associate allo specifico tipo di
emozione attivata.
 
Molti altri autori hanno contribuito ad effettuare studi sull'universalità della mimica facciale.
Furono infatti condotti vari esperimenti seguendo principalmente due tipi di studi:
 Studi sui neonati;
 Studi sui soggetti ciechi dalla nascita, queste indagini furono condotte su varie categorie di
soggetti in varie fasce d'età.
 Lo sviluppo della competenza espressiva emozionale dipende dall'apprendimento
(visivo) o si tratta invece di un processo innato determinato biologicamente? I
pattern espressivi
 
Un altro autore che condusse esperimenti al riguardo fu Plutchik, il quale propose una teoria
chiamata teoria multidimensionale di Plutchik. Egli in questa teoria individuò 8 emozioni
primarie, aggiungendo alle 6 proposte da Ekman l'accettazione e l'attesa. Queste otto emozioni
di base si sarebbero evolute per gestire otto fondamentali situazioni di adattamento:
incorporazione, rifiuto, protezione, distruzione, riproduzione, reintegrazione, orientamento,
esplorazione. Questi otto prototipi comportamentali hanno alcune interessanti caratteristiche:
 Sono funzionali alla sopravvivenza dell'individuo, hanno un valore adattativo;
 Corrispondono a diversi processi psicologici che sono le emozioni di base.
Dalle otto emozioni primarie derivano tutte le altre emozioni, le quali altro non sono se non
mescolanze e combinazioni in proporzioni diverse di due o più emozioni di base. Dalle emozioni
di base derivano anche i tratti di personalità di ogni individuo, che dipendono dal fatto di essere
più o meno portati, per fattori genetici, a sperimentare una certa emozione di base piuttosto
che un'altra.
 
Un altro autore che può essere ricondotto alla prospettiva evoluzionistica è Frijda, il quale,
invece, aggiunse ulteriori emozioni come il desiderio, l'interesse, l'indifferenza, l'arroganza e
l'umiltà.
I capisaldi della sua teoria delle emozioni richiamano da vicino i concetti presi in considerazione
in tutta la tradizione evoluzionistico-funzionalista. Per Frijda ogni emozione di base è
caratterizzata da una specifica tendenza all'azione di cui l'evoluzione della nostra specie ci ha
dotati per renderci capaci di affrontare e risolvere rapidamente problemi importanti. Le
tendenze all'azione rappresentano degli schemi potenziali di comportamento che hanno una
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funzione specifica per l'individuo, ossia quello di prepararlo per reagire correttamente alle
minacce e possibilità presenti nell'ambiente e si riferiscono a tutti gli aspetti comportamentali
che accompagnano e caratterizzano le emozioni. Non è detto che queste tendenze si
trasformino in comportamenti, tutte le tendenze, però, svolgono funzioni preziose per il
benessere e la sopravvivenza dell'individuo.
I processi di valutazione che caratterizzano le emozioni di base sono semplici ed elementari, ma
a questi possono affiancarsi processi più complessi che intervengono quando già l'emozione è
attivata ed è possibile modificarla e modellarla.
 
b. Le teorie cognitive:
Nella prospettiva cognitivista il punto di vista è molto diverso, diventa centrale l'interesse per gli
aspetti cognitivi, intesi non solo come sentimenti soggettivi ma soprattutto come processi di
valutazione ed elaborazione mentale dell'informazione. Questi aspetti non sono più considerati
piccole scatole nere inaccessibili, si tenta, invece, di aprirle attraverso la costruzione di modelli
teorici adeguati a spiegarne il contenuto.
In questa prospettiva il ruolo causale è attribuito ai processi cognitivi, poiché il significato e la
rilevanza degli stimoli alleviatori non sono considerati come dati e dunque come caratteristiche
intrinseche degli stimoli stessi, ma come attribuiti ad essi da processi cognitivi di valutazione.
Le teorie cognitive si svilupparono a partire dagli anni '70 secondo due categorie:
 Teorie attivazionali-cognitive, in cui vi è un legame molto forte con la prospettiva
evoluzionistico-funzionalistica.
Queste teorie ebbero inizio da un esperimento condotto nel 1962 da Schacter e Singer, i
quali formularono una teoria chiamata, appunto teoria bifattoriale di Schacter e Singer.
Questo esperimento implicava l'iniezione di una sostanza chiamata epinefrina la quale
comporta un'attivazione del sistema nervoso simpatico. Secondo questa teoria sono due i
fattori che portano all'esperienza soggettiva di un'emozione e sono: l'attivarsi di un
processo di valutazione cognitiva ed il prodursi di cambiamenti fisiologici.

LEZIONE 21

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Basandosi su questa teoria è possibile tracciare un parallelismo con la teoria di William James.
Nella teoria di James, ogni emozione è associata a dei pattern di attivazione che caratterizzano
il comportamento dell'individuo.
Secondo, invece, Schacter e Singer, i fattori che incidono sulla risposta emozionale sono in
particolare due:
 Attivazione fisiologica generalizzata, che è il primo momento del processo emozionale e
dei processi cognitivi di attribuzione di significato attraverso i quali l'individuo identifica le
cause da cui dipende l'attivazione stessa;
 Etichetta cognitiva dell'attivazione.
Da questo principio generale sono dedotte alcune conseguenze:
a. Dato uno stato di attivazione fisiologica, di cui l'individuo non ha una spiegazione
immediata, egli etichetterà questo stato nei termini delle conoscenze per lui disponibili;
b. Se si verifica uno stato di attivazione fisiologica in cui l'individuo ha una completa
spiegazione di ordine non emozionale, non si creerà il bisogno di valutare ulteriormente
la situazione, e all'attivazione non sarà attribuita una valenza emozionale;
c. Un individuo può reagire emotivamente solo se il suo organismo è in stato di attivazione
fisiologica.
 
L'esperimento condotto da Schacter e Singer fu condotto su degli studenti universitari. Lo scopo
dell'esperimento era verificare l'efficacia di un farmaco ed i suoi effetti sull'acuità visiva.
L'iniezione praticata, però, non conteneva alcun farmaco che permetteva di incrementare le
capacità visive ma conteneva l'epinefrina, una sostanza che innesca il funzionamento del nostro
sistema simpatico. Si trattava, quindi, di una sorta di inganno.
I ricercatori vollero introdurre un cambiamento dell'attività fisiologica dei loro pazienti.
I soggetti dell'esperimento furono divisi in due gruppi, un primo gruppo ai quali venne iniettata
l'epinefrina ed un secondo gruppo ai quali non venne iniettata l'epinefrina ma una sostanza
salina che non avrebbe avuto alcun effetto. Una variabile che i ricercatori manipolarono fu
l'informazione fornita ai soggetti sull'effetto dell'epinefrina. Al primo gruppo, gli informati,
furono fornite informazioni corrette sull'azione del farmaco. Al secondo gruppo, i male
informati, furono fornite informazioni scorrette sull'azione del farmaco, indicandone gli effetti
opposti. Al terzo gruppo, i non informati, non vennero fornite informazioni sull'azione del
farmaco. I ricercatori, inoltre, vollero aggiungere un ulteriore gruppo a cui veniva
somministrata una sostanza inerte. Successivamente i partecipanti furono divisi in due
sottogruppi e gli sperimentatori manipolarono un'altra variabile, ossia la condizione
emozionale a cui i soggetti erano sottoposti. Il primo sottogruppo era sottoposto ad una
condizione di euforia, il secondo, invece, ad una condizione di rabbia.
Dopo l'iniezione i soggetti vennero condotti in una sala d'attesa in cui si trovava un complice
degli sperimentatori. In un primo caso il complice tendeva a comportarsi in maniera scherzosa
ed euforica, il soggetto sperimentale, quindi, si trovava in un'atmosfera di gioia. Nel secondo
caso, invece, il complice degli sperimentatori tendeva ad assumere comportamenti di rabbia.
Gli sperimentatori, durante l'esperimento, utilizzarono una serie di indicatori per valutare le
risposte emozionali dei soggetti come questionari auto valutativi in cui i soggetti valutavano le
intensità delle risposte emozionali. Una seconda variabile dipendente fu data dall'osservazione
dei comportamenti che i ricercatori osservarono attraverso uno specchio oscurato.
 
I risultati dell'esperimento confermarono l'ipotesi iniziale di Schachter.
I risultati dimostrarono che i gruppi nei quali si verificarono dei risultati emozionali più intensi
furono i gruppi 3, 4 e 5, ossia quei gruppi che erano stati male informati o per niente informati.
Questi soggetti sperimentarono, quindi, dei vissuti emozionali più intensi dei gruppi che si
trovavano in una condizione di informazione e in una condizione di placebo. I soggetti
informati, infatti, riuscendo ad attribuire la causa delle loro modificazioni fisiologiche,
tendevano a sperimentare un vissuto emozionale meno intenso in quanto non bisognosi di

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Psicologia Generale

ricercare le cause dei loro cambiamenti nell'ambiente esterno, allo stesso modo i soggetti nella
condizione di placebo non sperimentavano particolari stati emozionali in quanto non era
presente l'attivazione fisiologica.
 
Alcuni autori criticarono il fatto che replicare delle emozioni fosse in qualche modo motivo di
influenza sull'esperimento. Le emozioni, infatti, vanno studiate naturalmente, senza bisogno di
produrre modificazioni artificiali;
 Teorie della valutazione o dell'appraisal, in cui il legame con i processi di attivazione fisiologica
è meno forte. Il denominatore comune di queste teorie è l'interesse per il processo di
valutazione cognitiva degli stimoli attivatori delle emozioni, che vengono considerati la causa
delle emozioni. Le emozioni vengono definite come l'esito di un processo di valutazione
cognitiva.
In questo gruppo di teorie ricordiamo:
a. La teoria di Lazarus;
b. La teoria di Scherer.
 
La teoria cognitivo-relazionale-motivazionale di Lazarus.
Per Lazarus l'emozione è interessata a conoscere l'ambiente in relazione ai bisogni
dell'organismo. Le valutazioni emozionali dell'individuo sono continue e molto varie, e possono
essere distinte in due tipologie di appraisal:
i. Apprisal primario, ossia una serie di processi cognitivi tramite i quali un individuo valuta
il grado di rilevanza dell'evento o dello stimolo;
ii. Apprisal secondario, il quale si riferisce alla valutazione che l'individuo compie sulle
possibilità che lui ha di far fronte all'evento emozionale, di intervenire su di esso e di
gestirlo al meglio. Il processo attraverso cui un individuo fronteggia le conseguenze di un
evento emozionale viene definito coping.
 
Secondo Lazarus il sistema cognitivo contiene altri sottosistemi di valutazione cognitiva.
Lazarus ha compilato un elenco di emozioni primarie molto più lungo di quello compilato da
Ekman, egli aggiunge, infatti, emozioni come colpa, vergogna, invidia, gelosia, tutte quelle che
nel modello di Ekman sono emozioni secondarie. Al contrario di come sostenuto da Ekman,
però, queste sono forme di attivazione emozionale presenti solo nella specie umana e, quindi,
solo in questa specie possono essere considerate primarie.
Per Lazarus ciascuna delle emozioni è associata ad un tema. Egli parla di core relational
themes. I temi consistono in interpretazioni del significato delle situazioni ambientali in
relazione al benessere dell'individuo.
L'emozione, quindi, è l'esito di antecedenti emotivi associati a loro volta con processi di
reazione cognitiva. Le emozioni rappresentano dei processi che mediano la relazione
dell'individuo con l'ambiente, sono strumenti che l'individuo utilizza per rapportarsi con
l'ambiente.
Anche per Lazarus, quindi, le emozioni sono processi pluri componenziali.
 
La teoria di Scherer
La teoria di Scherer viene definita la teoria dei controlli valutativi dello stimolo.
Questa teoria presenta i processi valutativi degli stimoli emozionali non come un insieme di atti
cognitivi indipendenti, ma come un insieme di controlli tra loro articolati.
Anche per Scherer l'emozione è prodotta da un processo di valutazione cognitiva ma egli
distingue diverse dimensioni (controlli valutativi dello stimolo), all'interno dell'appraisal. Questi
controlli si attivano attraverso un certo ordine.
Il primo controllo che si attiva è il controllo della novità. Il nostro sistema valuta quanto gli
stimoli con cui entriamo in contatto siano nuovi, attesi o inattesi. Questo controllo si attiva in
maniera automatica.

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Psicologia Generale

Il secondo controllo valutativo è il controllo della piacevolezza o spiacevolezza intrinseca detto


anche controllo della valenza edonica, anche questo controllo si attiva in maniera automatica.
Di fronte ad uno stimolo il nostro sistema formula dei giudizi edonici.
Il terzo controllo è chiamato controllo della rilevanza in relazione agli scopi e ai bisogni
dell'individuo.
L'insieme di questi tre controlli coincide con l'appraisal primario, si tratta della valutazione di
uno stimolo in relazione agli scopi perseguiti dall'organismo.
Il quarto controllo è il controllo delle potenzialità di coping o adattamento. L'individuo sposta
la sua attenzione dallo stimolo alle sue risorse per fronteggiare le conseguenze dell'evento.
Questa forma di valutazione non è automatica ma richiede l'intervento della coscienza.
L'ultimo controllo è il controllo della compatibilità dell'evento con le norme sociali e
l'immagine di sé. Anche questo controllo implica l'attivarsi di processi coscienti e valuta la
conformità dell'evento o delle azioni ad esso connesse con le norme sociali o l'immagine ideale
che ciascuno ha di sé.
 
Non in tutte le situazioni tutti i controlli si attivano, l'emozione, infatti, può essere il risultato di
alcuni o di tutti questi controlli.
La teoria dell'appraisal sostiene che persone diverse possono valutare lo stesso evento
emozionale in maniera diversa. In modo analogo, uno stesso individuo, sottoposto ad uno
stimolo, potrà reagire in maniera diversa a seconda del modo in cui valuta lo stimolo.
La causa delle emozioni, quindi, è da ricercarsi nel modo in cui gli individui valutano il vissuto
emozionale.
Ciò che determina, allora, una diversa risposta emozionale è il tipo di valutazione attuata.
Secondo Scherer, però, si può parlare di emozione in senso proprio solo quando, a seguito di
una valutazione cognitiva e cioè di una modificazione del sistema cognitivo, si ha una
modificazione organizzata e strutturata negli altri sistemi (cognitivo, fisiologico, esecutivo, di
espressione motoria, che produce sentimenti soggettivi).
 
Per Scherer il nostro corpo svolge vari tipi di controlli:
 Rilevanza, il nostro sistema valuta la novità dell'evento, la piacevolezza intrinseca e
l'attinenza con scopi o bisogni;
 Implicazioni, il nostro sistema attribuisce una causa all'evento, calcola la probabilità
dell'esito, la sua discrepanza rispetto alle attese, la sua rilevanza rispetto a scopi o bisogni
e la sua urgenza;
 Potenziale di coping, il nostro sistema determina il grado di controllo, di potere e di
adattamento dell'individuo rispetto all'evento;
 Compatibilità con le norme, il nostro sistema individua delle norme interne e delle
norme esterne all'evento.
Secondo Scherer se i primi tre controlli portano a definire l'evento come poco rilevante non si
attiveranno i controlli successivi e soprattutto non si scatenerà una risposta emozionale.
 
Secondo la teoria di Scherer, quindi, l'attivazione della risposta emozionale avviene nel
seguente modo: in seguito alla percezione dell'evento, all'interno del nostro sistema si attiva un
processo di natura cognitiva. A seguito di questo processo possono intervenire dei
cambiamenti motivazionali, reazioni fisiologiche, espressioni e comportamenti. Secondo
Scherer tutte le modifiche che avvengono nelle prime quattro componenti vengono
rappresentate nel nostro sistema nervoso centrale e solo quando queste informazioni sono
integrate fra loro può emergere la componente soggettiva dell'emozione che porta alla
categorizzazione ed all'etichettamento verbale.
Per Scherer le emozioni sono processi ricorsivi e dinamici, sistemi che si organizzano e
modificano nel tempo in virtù delle relazioni che si hanno tra tutte le componenti.

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Psicologia Generale

L'aspetto fondamentale della proposta di Scherer, però, sta nell'aver identificato la causa delle
emozioni nei processi di valutazione cognitiva.
Un ulteriore schema che chiarisce la natura ricorsiva delle emozioni riporta in una prima cella la
componente cognitiva che si articola nei 4 diversi tipi di controllo (rilevanza, implicazioni,
potenziale di coping, compatibilità con le norme), successivamente si ha la componente
somato-viscerale, successivamente la componente della tendenza all'azione, la componente
espressivo motoria e la componente emotiva e soggettiva. Questi cambiamenti avvengono in
maniera coordinata. Ciò che avviene in una determinata componente può influenzare ciò che
avviene nelle altre componenti.
Dare un tempo a questi cambiamenti è complicato, certo è che per Scherer le emozioni sono
episodi di breve durata.
Il processo innescato dalla componente cognitiva dà luogo a cambiamenti che interagiscono tra
loro dando luogo alla componente emotiva.
 
Scherer ha anche descritto come le emozioni si sviluppano dalla nascita fino all'età adulta
proponendo un modello riguardante lo sviluppo ontogenetico dei controlli valutativi dello
stimolo.
All'interno di questo schema creato da Scherer si ha un elenco di espressioni emotive che
vengono rapportate al periodo in cui esse tendenzialmente si presentano. Alla nascita il
neonato non dispone di un sistema di valutazione sofisticato.
Scherer, quindi, identifica un tempo di comparsa per tutti e 5 i controlli.
 
Scherer e tutte le teorie dell'apprisal sostenevano che il numero delle emozioni che gli individui
possono sperimentare è virtualmente infinito, come lo è il modo in cui si possono combinare gli
esiti di queste diverse forme di associazione ma, alcune emozioni, tendono a verificarsi più
spesso e vengono chiamate emozioni modali.
Per Scherer la funzione principale delle emozioni non è una funzione adattativa ma si tratta di
una funzione legata al atto che le emozioni sono strumenti di conoscenza dell'ambiente.
 
c. Le teorie socio-costruzionistiche:
Secondo questi studiosi le emozioni sono prodotti dell'apprendimento, della cultura e della società. In
quanto tali le emozioni variano da un contesto culturale all'altro. Questo ambito si occupa dello
studio delle emozioni partendo da teorie e da ricerche che attribuiscono un ruolo primario all'aspetto
relazionale e comunicativo delle emozioni.
Questa concezione è stata dimostrata secondo due tipi di teorie:
 Teorie relazionali e comunicative, secondo le quali le emozioni sono il frutto dei rapporti
e delle relazioni.
Queste teorie sono state elaborate soprattutto nell'ambito della psicologia dello sviluppo,
partendo dalle numerose ricerche condotte sulle relazioni primarie tra madre e bambino.
Queste ricerche empiriche sono state spesso condotte con il metodo dell'osservazione
infantile e con l'ausilio di strumenti di registrazione del comportamento espressivo,
vocale, facciale e posturale di madre e bambino;
 Teorie sociali, in cui le emozioni vengono viste come prodotto sociale.
Secondo questi autori le emozioni sono influenzate dalle interazioni, dalle relazioni e dal
contesto culturale in cui gli individui si trovano. Le emozioni sono costruite all'interno di questi
micro e macro contesti affettivi, relazionali ed ambientali, sono il risultato delle relazioni che
l'individuo stabilisce nella vita quotidiana all'intero di un contesto socio-culturale.
 
a) Teoria di Averill.
Averill, come Scherer, non nega che le emozioni siano legate a vari tipi di situazioni, ma la
causa dei processi emozionali non è né l'attivarsi di un processo neurale, né l'attivarsi di

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un processo di valutazione. Le emozioni sono viste come sindrome costituita socialmente,


è, cioè, costituita da vari elementi che ricorrono abitualmente, che sono:
 Valutazione cognitiva. I sistemi di valutazione sono considerati processi cognitivi
appresi a partire dall'infanzia, sono gli adulti che insegnano ai bambini ad
interpretare in determinati modi le situazioni in cui si trovano. Questi processi
consistono, quindi, nell'attribuire agli stimoli determinati significati che si fondano
su regole morali apprese;
 Reazioni espressive. Le espressioni facciali delle emozioni sono codici comunicativi
convenzionali appresi durante l'infanzia;
 Reazioni fisiologiche. Le reazioni fisiologiche emozionali dipendono
dall'apprendimento sociale, poiché sono arrivate dall'organismo per sostenere
determinati comportamenti socialmente appresi;
 Comportamenti strumentali. I comportamenti strumentali sono anch'essi routine
comportamentali tipiche che l'individuo impara ad attivare in modo adeguato in
determinate circostanze;
 Sentimenti soggettivi. I sentimenti emozionali sono interpretabili come
atteggiamenti oggettivabili, culturalmente determinati.
 
 "L'emozione è "a transitory social role (a socially constituted syndrome) that
includes a individual's appraisal of the situation and that is interpreted as a passion
rather an action (…) there is no single response or subset of responses, which is
essential to an emotional syndrome."
[Averill]
Costruzionismo sociale radicale:
1. Variazioni linguistiche nei processi emotivi:
 Amae: giapponese. Ossia il comportamento di una persona che cerca di indurre
un'altra persona a prendersi cura di lel;
 Fago: lingua degli Ifaluk-Micronesia. Ossia una sensazione di sofferenza;
 Schadenfreude: tedesco. Ossia quella sensazione che si prova di fronte alla disfatta
del proprio nemico.
Tutti questi termini non trovano un corrispondente nelle altre lingue;
2. Variazioni culturali nei processi emotivi. Le esperienze emozionali sono influenzate dalla
società in cui vive l'individuo. Vi sono, infatti, delle esperienze emozionali che tendono a
verificarsi di più in un contesto individualistico ed altre che tendono a verificarsi di più in
un contesto collettivistico:
 Sé indipendente: società individualistiche;
 Sé interdipendente: società collettivistiche.
3. Variazioni storiche nei processi emotivi:
 Accidia.
 
Rimé, autore belga che studiò il fenomeno della propagazione emozionale, propose un modello
della condivisione sociale delle emozioni. Il fenomeno della condivisione è un fenomeno molto
diffuso. Si stima che il 90-95 % degli episodi emozionali venga condiviso con altri individui.
 
Rispetto all'origine dei processi emozionali si hanno due visioni antitetiche:
 Teorie evoluzionistiche, secondo le quali le emozioni hanno un'origine biologica e sono, quindi, innate
e universali;
 Teorie socio-costruzionistiche, secondo le quali le emozioni hanno un'origine sociale e culturale.

LEZIONE 22
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Psicologia Generale

PSICOLOGIA DELLA FELICITÀ E DELL'INFELICITÀ


 
Tutta la psicologia del '900 ha focalizzato i suoi studi su tutti quei processi psicologici che possono essere
definiti negativi e che sono legati alla sofferenza psicologica, ad esempio le emozioni negative, situazioni di
disagio e si è poco incentrata sullo studio delle emozioni positive.
Viene considerato negativo ciò che provoca sofferenza dal punto di vista psicologico. Al contrario, i processi
psicologici positivi, sono quell'insieme degli stati psicologici e dei comportamenti associati ad esperienze di
benessere.
Lo studio dei processi psicologici negativi viene ritrovata in numerosi campi della psicologia:
 Psicologia clinica che, per tutto il '900, ha studiato l'uomo non come un soggetto dotato di punti di
forza ed in grado di raggiungere buoni livelli sotto l'aspetto psicologico ma nei suoi aspetti di
vulnerabilità e fragilità psicologica. Privilegiati, quindi, sono stati gli aspetti negativi;
 Psicologia sociale, affronta temi che riguardano il funzionamento psicologico negativo come
devianza, pregiudizio, stereotipi. Il prevalere di studi legati al funzionamento psicologico negativo ha
messo in ombra i suoi aspetti positivi, ostacolando la possibilità di comprenderne le importanti
funzioni da essi svolte;
 Psicologia applicata:
o Psicologia dell'educazione;
o Psicologia del lavoro;
o Psicologia ambientale.
 Psicologia generale, questo campo ha una prospettiva piuttosto neutrale che non privilegia né lo
studio dei processi psicologici positivi né di quelli negativi, a differenza delle altre aree di ricerca. La
psicologia generale si concentra nello studio delle caratteristiche e delle funzioni dei processi
psicologici di base quali la sensazione, la percezione, la memoria, il linguaggio e l'emozione. Anche in
questo campo, però, in alcuni studi, c'è una tendenza a preferire i processi psicologici negativi, ad
esempio, nel campo della psicologia della memoria viene approfondito lo studio dei ricordi
traumatici, piuttosto che lo studio dei fattori che promuovono delle buone performance. Lo stesso
vale per lo studio delle emozioni, per Ekman, ad esempio, le emozioni sono prevalentemente
negative, solo una, la felicità, è positiva.
Studiando anche la struttura della lingua italiana e di molte altre lingue, è facile notare che si ha un lessico
molto ricco e vario riguardo alle emozioni negative, al contrario si ha un lessico molto poco vasto sul
versante delle emozioni positive. Una prima ipotesi per spiegare questo fenomeno dice che dal punto di
vista evoluzionistico è stato, infatti, vantaggioso per la specie umana di disporre di termini che
consentissero di etichettare qualcosa come dannoso e pericoloso per l'individuo. Definire nella stessa
maniera gli stati positivi, invece, non sarebbe stato altrettanto vantaggioso.
Una seconda ipotesi, invece, valuta il contesto culturale nel quale le lingue si sono sviluppate. Alcuni autori
hanno ipotizzato che potrebbe essere la cultura ad aver determinato questa sproporzione. Lo spazio
linguistico associato alle esperienze negative è maggiore in quanto questo tipo si esperienze viene tenuto
maggiormente in considerazione. L'ipotesi culturale può essere smentita estendendo le indagini linguistiche
a contesti culturali molto diversi dai nostri.
Ad oggi, però, non si hanno risposte certe a questo fenomeno.
Il concetto di salute, nella nostra lingua, non ha un plurale, come a significare che ci sia solo un modo per
stare bene, al contrario si può parlare di malattia in molti modi e sotto molti aspetti, come a dire che si
possa stare male in tanti modi.
Anche a livello sociale e culturale, quindi, la psicologia deve aiutare i soggetti a risolvere i loro problemi.
 
Solo 17 anni fa, nel 2000, sulle pagine di una rivista molto prestigiosa venne pubblicato un articolo dal titolo
"Positive Psychology", in seguito al quale venne fondato un nuovo movimento, il movimento della
psicologia positiva. Autori di questo articolo furono Martin Seligman e Mihaly Csikszentmihalyi. Questi due
autori hanno un background molto diverso ma entrambi si pongono come obiettivo la creazione di un
movimento che ribalti la concezione del soggetto avuta fino ad allora. Dalla visione di un soggetto debole
sul quale intervenire per evitare malattie, essi passano ad una visione in cui la psicologia si pone come

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Psicologia Generale

obiettivo lo studio del benessere dell'individuo a livello di gruppo, sociale, culturale ed individuale, la
psicologia deve inaugurare, quindi, un nuovo campo di studi.
I due autori, tuttavia, riconoscono a personalità autorevoli della psicologia del '900 il merito di essersi
accostate per la prima volta a temi riguardanti la psicologia positiva. Questi approcci, però, non sono stati
ritenuti abbastanza forti da riuscire ad influire sul pensiero comune di quel tempo. Secondo i fondatori della
psicologia positiva, quindi, tutti coloro che sono interessati a costruire una società prospera e felice
dovrebbero mettere al centro della loro ricerca lo studio dei fattori che promuovono il benessere dei singoli
e della comunità.
 
In un primo momento si è ritenuto che il benessere coincidesse con il possesso di condizioni di vita
sufficientemente agiate e quindi che fosse misurabile e direttamente correlabile con indicatori oggettivi
quali lo status sociale, la salute fisica, il reddito o il lavoro.
Numerosi studi hanno dimostrato che questi indicatori non riescono a spiegare in modo corretto benessere
e soddisfazione di un individuo.
La qualità della vita ed il benessere si presentano come fattori irriducibilmente soggettivi: ogni individuo ne
elabora un'interpretazione personale.
Rifacendosi agli studi della psicologia cognitiva, il presupposto è che ogni individuo elabori una valutazione
personale del concetto di benessere e che le stesse condizioni di vita possano essere percepite in maniera
diversa sulla base delle proprie caratteristiche individuali e del proprio stile di interazione con l'ambiente.
Diviene, pertanto, importante provare a definire il concetto di benessere soggettivo. Il benessere soggettivo
è la condizione di raggiungimento di un equilibrio inter e intra individuale.
La felicità viene percepita come:
 Soggettiva;
 Temporale;
 Transitoria.
Risultati di ricerche condotte sul tema del benessere soggettivo mostrano che il livello di benessere è
stabile. Una spiegazione di questo fenomeno è che le persone abbiano un set point, o punto di stabilità,
che viene mantenuto da un sistema di regolazione che favorisce l'adattamento al variare delle condizioni
ambientali.
 
La psicologia positiva ha assunto come focus di interesse il concetto di benessere soggettivo come
esperienza psicologica positiva e non come assenza di emozioni negative o sintomi. Essa si focalizza sul
ruolo delle risorse e potenzialità dell'individuo.
 
 "Il nostro messaggio è ricordare a tutti quelli che fanno parte del nostro settore che la psicologia non
è soltanto lo studio della patologia, della debolezza e del danno; essa è anche lo studio della forza e
della virtù…la psicologia non è soltanto una branca della medicina riguardante la malattia o la salute.
Essa è molto di più: ha a che fare con il lavoro, l'educazione, l'intuizione, l'amore, la crescita e il
gioco".
[Seligman e Csikszentmihalyi]
 
A questo si può aggiungere che la psicologia ha a che fare con la felicità che, da questo momento,
diviene il pilastro portante della psicologia positiva, la quale si concentra completamente verso
questo tema.
 
Così come non è vantaggioso concentrarsi solo sul lato negativo delle emozioni, trascurando quello
positivo, non è vantaggioso nemmeno il contrario. Dalla nascita della psicologia positiva, però, si è verificata
una tendenza a propendere per le emozioni positive, penalizzando le negative. È importante ricordare che
la psicologia positiva non nasce con l'intento di sostituirsi agli studi già precedentemente in atto.
Inoltre, se la psicologia vuole spiegare la mente, il comportamento e le emozioni nella loro complessità,
dovrà necessariamente adottare una prospettiva integrata nella quale emozioni positive ed emozioni
negative sono egualmente importanti.
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Psicologia Generale

 
Oltre ad essere forme di esperienza, la felicità e l'infelicità sono anche dei concetti e dunque forme di
conoscenza che codificano i termini astretti e simbolici quanto accade nella realtà psicologica e
nell'ambiente in cui si muove l'individuo. In quanto unità di base del pensiero i concetti svolgono alcune
funzioni importanti per l'individuo, in particolare il loro impiego permette di ridurre la complessità
dell'ambiente in cui si svolge la vita del soggetto.
Attingendo alle definizioni date dai vocabolari della lingua italiana possiamo dire che:
 Felicità: «condizione, stato d'animo di chi è felice e pienamente appagato»; «circostanza, cosa che
procura contentezza». In queste due definizioni compaiono riferimenti ai cambiamenti emozionali
causati dalla felicità, nel concetto di felicità, quindi, vi è sicuramente una componente emozionale.
Nella seconda definizione si mette in luce che l'emergere della felicità possa essere legata anche ad
avvenimenti esterni su cui il soggetto potrebbe non avere il controllo;
 Infelicità: «stato di sofferenza, di afflizione di chi non è felice»; «caratteristica di ciò che è
inopportuno, sfavorevole».
In tutte le definizioni citate vi è un riferimento diretto alle conseguenze emotive legate alle esperienze
soggettive di felicità ed infelicità. Nel linguaggio comune, infatti, le parole felicità ed infelicità vengono
usate in maniera interscambiabile con altri termini quali: gioia, contentezza, soddisfazione, oppure dolore,
tristezza, sofferenza.
In alcune lingue questi concetti sono legati anche ai concetti di fortuna e sfortuna. [es. francese, tedesco,
inglese]
 
Uno dei tratti qualificanti della psicologia positiva è spostare l'attenzione dal riparare ciò che non funziona
al costruire qualità positive per potenziare le capacità personali di resistenza ed adattamento.
 
È possibile, quindi, chiedersi il ruolo svolto dalle emozioni nei concetti di felicità ed infelicità.
Alcuni studi, infatti, si impegnano a capire se felicità ed infelicità possano essere definite emozioni.
Un primo insieme di studi diede origine alla creazione di mappe semantiche nelle quali i termini felice ed
infelice sono collocati alle polarità opposte dell'asse orizzontale, il quale indica la valenza edonica positiva o
negativa dei termini, inoltre il termine felice viene posizionato vicino a termini della famiglia emozionale
della gioia, al contrario il termine infelice appartiene alla famiglia emozionale della tristezza. La valenza
edonica permette di distinguere i termini che indicano emozioni positive da quelli riferiti ad emozioni
negative.
L'asse verticale, invece, riporta il grado di attivazione fisiologica. I termini collocati nella parte superiore
dell'asse indicano stati di alta attivazione fisiologica e viceversa.
Questo tipo di indagini offre informazioni su come è organizzato il nostro lessico emozionale, ossia l'insieme
di termini che in una data lingua indicano termini emozionali.
 
Ci si può chiedere a questo punto, se i concetti di felicità possano essere considerati esempi rappresentativi
della categoria semantica più generale di emozione o se invece debbano essere ricondotti ad altre categorie
concettuali di significato affine. Per rispondere a questa domanda è necessario considerare tre studi
condotti da Fehr e Russell nel 1984 riguardo al concetto di emozione:
 Primo studio: questo si basava su un compito di produzione di esemplari concettuali, esso fu
sottoposto ad un gruppo di 200 studenti e gli sperimentatori valutarono la frequenza con cui i termini
venivano ripetuti nei vari elenchi.
Da questo esperimento emerse che la parola più citata fu "Happiness", felicità, citata da 152 studenti,
al secondo posto ci fu rabbia, al terzo tristezza, al quarto amore, al quinto paura, al sesto odio, al
settimo gioia. Tutte queste emozioni, più o meno, rappresentano le emozioni di base.
L'infelicità, invece, risultava citata da sole 4 persone.
Considerando i risultati di questi studi, sapendo che questi sono stati condotti solo sulla lingua
inglese, è possibile dire che il termine felicità è un termine molto rappresentativo del concetto di
emozioni, al contrario dell'infelicità che non lo è;

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Psicologia Generale

 Secondo studio: gli sperimentatori citarono alcuni termini (tra i quali era presente il termine "felicità"
ma non il termine "infelicità") proposti nel primo studio e chiesero ai soggetti di individuare quali
fossero emozioni e quali non lo fossero. Emerge chiaramente che la maggior parte dei partecipanti
affermò che la felicità appartiene alla categoria delle emozioni e che insieme all'amore, alla tristezza e
all'odio era uno dei termini che più facilmente veniva ricondotto alla categoria delle emozioni. Altri
termini come noia, calma e rispetto furono ricondotti a categorie concettuali diverse come stato della
mente, sentimento o stato dell'essere.
Secondo questi risultati l'emozione è una categoria concettuale sovraordinata rispetto al concetto di
felicità;
 Terzo studio: gli sperimentatori chiesero ai soggetti, sempre studenti universitari, di valutare su una
scala da "1= Esempio molto cattivo" ad "6= Esempio molto buono" quelle che per loro
rappresentavano al meglio il concetto di emozione. I termini che hanno dei giudizi di tipicità più alti
sono amore, odio, rabbia, tristezza e felicità, giudicati come termini maggiormente rappresentativi
del concetto di emozione. Anche in questo caso il termine felicità può essere considerato come un
buon esempio della categoria delle emozioni. Il sostantivo "infelicità", nemmeno in questo
esperimento faceva parte della lista di termini.
I risultati ottenuti nei tre studi possono essere interpretati alla luce della teoria del prototipo di Rosch, che
descrive l'organizzazione interna dei concetti. L'idea centrale di questo approccio è che i concetti sono
caratterizzati da un insieme di attributi necessari e sufficienti, i quali permettono di distinguere chiaramente
gli esemplari che appartengono al concetto da quelli che non vi appartengono.
La teoria di Rosch ipotizza che i concetti non siano caratterizzati da un insieme di attributi necessari e
sufficienti ma che siano strutturati attorno ad un prototipo. Quest'ultimo può essere descritto come
l'esemplare migliore del concetto, quello che possiede il maggior numero di attributi in comune con gli altri
membri del concetto.
Applicando le indicazioni di Rosch agli studi condotti da Russell emerge che la felicità occupa una posizione
centrale nell'ambito della categoria sovraordinata di emozione, di cui può essere considerata un esempio
tipico. L'infelicità, invece, sembrerebbe costituire un esempio meno tipico di emozione, collocabile solo in
prossimità dei bordi esterni di questa categoria e riconducibile anche ad altre categorie sovraordinate.
 
Un altro studio che è andato ad indagare i rapporti di somiglianza dei termini emotivi, effettuato da Storm,
Jones e Storm nel 1996. questo studio fu condotto su un gruppo di studenti universitari canadesi, che
parlavano l'inglese.
In questo studio furono considerati 16 termini che avevano chiare affinità con il concetto di felicità, questi
termini vennero divisi in quattro gruppi:
 Bliss, ecstasy, elation, joy (emozioni accompagnate da reazioni soggettive e fisiologiche ad alta
intensità);
 Merriment, serenity, cheerfulness, peacefulness (stati dell'umore positivi);
 Amusement, contentment, gladness, jubilatioin, satisfaction (stati che innescano la reazione di
felicità);
 Hope, pride, triumph (emozioni complesse, secondarie).
Il metodo utilizzato dai ricercatori nella loro indagine che voleva indagare la relazione tra questi gruppi di
termini ed il termine di felicità, fu quello di porre delle domande. Le domande furono:
1. "X è un tipo di felicità?", questa domanda volle valutare se la felicità è una categoria ampia all'interno
della quale si possono individuare alcune altre emozioni;
2. "La felicità è un tipo di X?", questa domanda volle valutare se la felicità è un sottosistema di qualche
altra emozione.
Questi studi portarono alla conclusione che la felicità è un grande insieme che trova al suo interno tutte le
tipologie di emozioni e stati dell'umore di diversa complessità citati inizialmente. I diversi termini vengono
giudicati come concetti subordinati della felicità in misura maggiore di quanto la felicità è considerata
concetto subordinata di questi termini.
 

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Psicologia Generale

Una seconda fonte di informazioni per comprendere cosa siano felicità ed infelicità è rappresentata
dall'analisi delle concezioni ingenue, ossia delle rappresentazioni soggettive che le persone comuni hanno
di questi concetti. Esistono 4 studi che hanno usato questo approccio per definire la felicità. Tutti questi
studi mettono a confronto gruppi di partecipanti di nazionalità diverse in quanto si ritiene che la cultura
possa costituire un fattore in grado di modellare le rappresentazioni concettuali della felicità e dell'infelicità
che gli individui si formano nel corso delle interazioni quotidiane con altre persone.
Il primo studio, quello di Lu e Gilmour, mise a confronto studenti cinesi e studenti statunitensi che
dovettero costruire un breve saggio spiegando cosa fosse per loro la felicità. La scelta di questi due gruppi
non fu casuale, gli Stati Uniti, infatti, presentano un orientamento culturale individualistico, la Cina, invece,
presenta un orientamento culturale collettivistico.
Individualismo e collettivismo sono considerati due poli opposti di uno stesso continuum, tali costrutti
implicano sistemi di organizzazione sociale, valori, credenze, convinzioni, comportamenti e concezioni del
sé molto diversi.
I partecipanti di entrambi i gruppi definirono la felicità come uno stato di profondo appagamento che
deriva dalla valutazione positiva, da parte del soggetto, delle proprie condizioni di vita attuali. Tale stato era
frequentemente ricondotto, da entrambe le parti, al fatto di vivere nel corso della propria quotidianità,
emozioni piacevoli (gioia, amore…). La maggior parte degli studenti americani, però, riteneva che la felicità
fosse un obiettivo il cui conseguimento dipende solo dall'impegno personale dell'individuo, al contrario, gli
studenti cinesi, tendevano a riconoscere una maggiore importanza nel raggiungimento della felicità, alle
altre persone, al contesto sociale e al destino.
Il secondo studio, condotto da Pflug, mise a confronto studenti tedeschi e sudafricani. Questo autore chiese
agli studenti di comporre un testo partendo dalla domanda "Cos'è la felicità per te?".
Dall'analisi dei testi emerse che tanto gli studenti tedeschi, quanto quelli sudafricani, consideravano la
felicità come uno stato di soddisfazione ed appagamento legato ad esperienze affettive positive, vissute
soprattutto nell'ambito delle relazioni interpersonali. Gli studenti tedeschi, però, tendevano ad attribuire
una maggiore importanza a stati di gioia ed esperienze edoniche legate alle relazioni con gli amici, gli
studenti sudafricani, invece, consideravano la felicità come uno stato quasi contemplativo di pace interiore
e serenità, che deriva principalmente dal vivere in armonia con i membri della propria famiglia.
Il terzo studio, condotto da Chiasson, Dubé e Blondin, mise a confronto studenti provenienti dal Canada,
dagli Stati Uniti e da El Salvador. Ai soggetti venne chiesto di rispondere ad una delle seguenti domande:
"Che cosa ti rende felice?", "Di che cosa ha bisogno una persona per essere felice?", "Che cos'è una persona
felice?", che vennero equamente distribuite tra i gruppi.
Come risultato dell'analisi furono identificate 18 categorie di fattori della felicità, sei delle quali riferivano a
fattori definiti dagli autori come interpersonali, sette a fattori intrapersonali e cinque a fattori che non
avevano specifiche caratteristiche in comune tra loro. Nel commentare i risultati del loro studio, gli
sperimentatori sottolinearono come le rappresentazioni ingenue del concetto di felicità elaborate dai
gruppi indagati condividessero alcuni elementi fondamentali, una proporzione rilevante era, infatti,
d'accordo nel considerare come fattori rilevanti della felicità le relazioni con altre persone, l'avere degli
obiettivi nella vita e l'avere un concetto positivo di sé stessi.
Il quarto mise a confronto persone appartenenti alla popolazione adulta, residenti in Italia e residenti a
Cuba.
Negli ultimi due casi si trattava di uno studio per componenti.

LEZIONE 23
Analizziamo il quarto studio, condotto da Galati, Manzano e Sotgiu: questo studio mise, appunto, a
confronto individui appartenenti alla popolazione italiana con individui appartenenti alla popolazione
cubana. Al tempo dell'esperimento, ossia l'anno 2006, l'economia italiana era basata sul modello
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capitalista, il PIL per persona era intorno ai 30.073$ ed il grado di individualismo era molto alto, pari a
76/100. L'economia cubana, invece, era basata sul modello socialista, il PIL per persona era intorno ai
2.863$, circa un decimo di quello italiano. Sul piano culturale Cuba incarna il modello collettivistico, viene
attribuita particolare importanza ai gruppi nei quali l'individuo conduce la propria vita. Il livello di
individualismo, quindi, risultava molto basso, circa pari a 12/100.
Mettere a confronto due realtà così diverse è molto interessante per capire il modo in cui le persone si
rappresentano la felicità, lo scopo, quindi, dell'esperimento fu quello di individuare il concetto di felicità
presente all'interno delle due diverse culture.
Il campione italiano dei partecipanti aveva una numerosità di 133 persone con età media di 32 anni, metà
uomini e metà donne, per lo più non sposati e con un livello di educazione medio, gli individui variavano da
studenti a casalinghe, da insegnanti a disoccupati.
Ci si pose, quindi, il problema di confrontare campioni che fossero più o meno simili in quanto, se fosse
avvenuto il contrario, i risultati sarebbero stati influenzati.
Per questo motivo il campione cubano rispecchiava quasi perfettamente il campione italiano, aveva una
numerosità di 132 persone con età media di 33 anni, metà uomini e metà donne, per lo più non sposati e
con un livello di educazione medio.
La prima parte del questionario utilizzato in questo esperimento conteneva una domanda aperta con la
quale i partecipanti dovevano indicare 5 cose o elementi che li rendevano felice, collocandole in una lista
seguendo uno specifico ordine di importanza (dalla più importante alla meno importante). La seconda
parte, invece richiedeva di valutare da 0 a 10 ognuna delle componenti scelte, in base a quanto esse erano
state raggiunte nel corso della vita.
Raccolti i questionari vennero analizzate le risposte date dai partecipanti, le risposte con un contenuto
simile sono state raggruppate nella medesima categoria. Sono state individuate 21 categorie di componenti
della felicità comuni ad entrambi i contesti culturali:
 13 si riferivano ad interessi individuali (salute, sesso, denaro, lavoro, successo, autorealizzazione,
eventi piacevoli, assenza di eventi spiacevoli, emozioni positive, serenità e benessere, casa, hobby,
cultura e conoscenza);
 5 si riferivano ad interessi relazionali (famiglia, amore, amicizia, partner, buone relazioni affettive);
 3 si riferivano ad aspetti morali e valoriali (valori, fede, aiutare gli altri).
Successivamente è stata calcolata la frequenza di citazione delle diverse componenti per poter capire se
questa veniva modificata a seconda della cultura.
Osservando la tabella le componenti più citate in entrambi i paesi sono state la salute e la famiglia, citate da
più del 50% del campione. Alcune di queste componenti erano citate in maniera diversa nei due contesti ad
esempio il denaro, il lavoro e gli eventi piacevoli, la fede ed aiutare gli altri, citati in misura più frequente dal
campione italiano. Si può notare che tutte le componenti citate dal campione italiano rappresentano molto
bene l'impostazione individualistica dell'Italia, eccetto la fede ed aiutare gli altri.
Il campione cubano, invece, ha citato solo due componenti più frequentemente degli italiani, il partner e la
cultura e la conoscenza. Anche qui si ritrova il rapporto tra l'individuo ed il suo macro contesto.
È stato, quindi scoperto che le componenti più rilevanti erano le stesse in entrambi i paesi ed erano salute,
amore, famiglia e denaro. Tutte queste componenti si riferiscono al soddisfacimento dei bisogni primari.
 
Le conclusioni che si possono trarre da queste ricerche sono:
 Le persone comuni considerano la felicità come una categoria concettuale molto ampia e tendono ad
associarla ad una serie di stati affettivi positivi e piacevoli; l'infelicità, invece, viene ricondotta a stati
effettivi negativi e spiacevoli;
 L'importanza attribuita alle diverse componenti di significato della felicità varia in funzione della
cultura:
o Concezioni individualistiche VS concezioni collettivistiche;
 Un ruolo importante potrebbe essere che svolto dall'età, non esistono ancora studi che abbiano
indagato sull'esistenza o meno di differenze sul concetto di felicità a seconda delle età.
Questo campo di studi riguardante le concezioni ingenue della felicità si può sviluppare ulteriormente,
appunto, concludendo studi che includano individui appartenenti a diverse fasi del ciclo vitale. Per ora

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Psicologia Generale

queste ricerche evidenziano che le rappresentazioni soggettive di questo concetto sono strutturate attorno
ad alcune componenti di significato principali (emozioni positive, relazioni familiari e di amicizia, salute,
amore, lavoro…).
Si potrebbero estendere le indagini a nuovi contesti socio-culturali e approfondire i confronti tra gruppi
culturali che risiedono nello stesso paese (immigrati VS autoctoni).
Importante sarebbe anche studiare le concezioni ingenue della infelicità, questo tema, infatti, è poco
trattato se non da alcuni studi effettuati su 178 studenti del primo anno dell'Università di Bergamo con età
media 20 anni.
Da questo studio è emerso che famiglia, amicizia ed amore restano ai primi posti e viene aggiunta una
componente non citata prima, la conoscenza di sé. Parlando, invece dell'infelicità ai primi posti si trovano i
problemi di salute, la solitudine, la morte, le cattive relazioni sociali, l'insuccesso, i problemi di denaro e
scendendo nella classifica si trova la scarsa conoscenza di sé.
Considerando complessivamente gli studi sul linguaggio e sulle concezioni ingenue di felicità ed infelicità si
deve concludere necessariamente che ci troviamo in un campo di ricerca ancora inesplorato e che lascia
senza risposta diversi interrogativi.
 
Prospettive teoriche
I modelli teorici sulla felicità, proposti all'inizio di questo millennio sono stati forniti da più discipline.
Secondo la prospettiva filosofica, fin dall'antichità, i filosofi non eludono l'interrogativo principale
riguardante la felicità. Tutti i sistemi filosofici hanno approdato ai quesiti "Cos'è la felicità?" e "Come può
l'individuo raggiungere la felicità o sfuggire all'infelicità?".
Le correnti che si sono impegnate a rispondere a questi quesiti sono principalmente due:
1. Eudemonismo, secondo il quale la felicità è vista come una virtù, l'infelicità come un vizio. Questa
corrente comprende non solo la soddisfazione individuale, ma anche un percorso di sviluppo verso
l'integrazione con il mondo circostante. L'eudemonia implica un processo di influenza tra benessere
individuale e collettivo, tale per cui la felicità individuale si realizza nell'ambito dello spazio sociale.
Eudemonismo significa buon demone ed anticamente significava anche godere del favore degli dei.
Questo significato, poi, è stato abbandonato e nella teoria di Aristotele questo termine è finito per
coincidere con la felicità intesa come la realizzazione di sé, il fine ultimo verso cui devono tendere
tutte le azioni compiute dagli uomini. La felicità non è più associata alla buona sorte o alla fortuna.
Per Aristotele l'individuo felice è colui che ispira la propria condotta alle virtù. Esistono due tipi di
virtù:
o Virtù morali che comprendono coraggio, temperanza, generosità, magnificenza, fierezza,
mitezza, sincerità, arguzia;
o Virtù intellettuali che comprendono scienza, arte, saggezza, sapienza, intelletto.
Aristotele elabora, su questa base, una teoria chiamata teoria del "giusto mezzo". In base a questa
teoria, l'uomo che vive in modo virtuoso è colui che sperimenta emozioni e compie azioni assumendo
un atteggiamento di equilibrio e moderazione. Tutte queste virtù per Aristotele rappresentano un
punto di equilibrio tra polarità comportamentali ed emotive opposte. Nel caso del coraggio, ad
esempio, l'individuo dovrà trovare una giusta via di mezzo tra la temerarietà, la quale implica che egli
non valuti correttamente i pericoli e la viltà. Il virtuoso è colui che evita un eccesso o un difetto di
virtù. Nel caso della generosità, un eccesso si traduce in azioni di prodigalità, un difetto porta
all'avarizia. Egli non svaluta completamente le emozioni purché queste non siano vissute in modo
estremo.
Il gruppo ritenuto più importante tra questi, per Aristotele, è quello delle virtù intellettuali, quelle
guidate dall'anima. Solo l'esercizio di queste virtù, infatti, può condurre l'individuo alla felicità
perfetta.
Per Aristotele, il piacere non è un male, se esperito con moderazione esso può contribuire in modo
significativo a rendere felice la vita dell'uomo.
Aristotele sostiene che sono due i principali tratti della natura umana che conducono al
perseguimento del piacere: il vizio e la mancanza di autocontrollo. Il primo indica la tendenza
dell'individuo a ricercare stati emotivi e a mettere in atto comportamenti estremi. La seconda, invece,

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Psicologia Generale

si riferisce all'incapacità dell'uomo di dominare i propri impulsi e desideri nei confronti degli oggetti e
delle esperienze considerati fonti di piacere. Vizio e mancanza di autocontrollo possono essere
definiti le cause più importanti dell'infelicità umana.
 
 "[…] l'attività che deriva dalla sapienza è la più piacevole fra le attività che derivano dalle virtù:
quanto meno, la filosofia ha fama di racchiudere piaceri meravigliosi per purezza e per
saldezza, ed è ragionevole che coloro che sanno passino il loro tempo in modo più piacevole di
coloro che ricercano."
[Aristotele]
 
Le idee di Aristotele furono riprese tempo dopo da Seneca, egli, come Aristotele è convinto che un
individuo che aspira ad essere felice deve essere guidato dalla razionalità. Anche Seneca, come
Aristotele, identifica la felicità con la virtù e l'infelicità come il vizio, egli non ritiene però che
l'esercizio della virtù consista nel perseguimento di una via di mezzo fra tendenze affettive e
comportamentali di valenza opposta.
 
 
 "È felice […] colui che giudica rettamente; è felice chi è contento della sua condizione attuale,
qualunque essa sia; ed ama i suoi beni; è felice colui che vede approvata dalla ragione tutta
l'impostazione della sua vita."
[Seneca]
 
L'uomo che aspira ad essere felice deve aspirare alla condizione di atarassia, ossia una
condizione di imperturbabilità, di neutralità che potrà garantire all'individuo la felicità.
Per Seneca l'agire in maniera virtuosa implica la capacità di rimanere impassibili di fronte a tutti
gli eventi che possono turbare la nostra armonia interiore.
 
 "L'uomo non deve lasciarsi corrompere né sopraffare dalle cose esterne, deve puntare
esclusivamente su sé stesso […]. La sua fiducia sia accompagnata dal sapere, il suo sapere dalla
fermezza; resti, cioè, ben fermo quanto ha
[Seneca]
 
2. Edonismo, secondo la quale la felicità corrisponde con l'esperienza del piacere e l'infelicità al dolore.
Edonismo deriva dalla parola "edonè" che significa piacere, godimento. La felicità viene considerata
come il risultato del raggiungimento degli obiettivi rilevanti per il soggetto in vari contesti. Le prime
concezioni edonistiche si devono principalmente a due correnti:
o La scuola dei Cirenaici, fondata da Aristippo che può contare su esponenti come Egesia,
Anniceride, Teodoro l'Ateo. Tutti i principali esponenti di questa scuola sostengono che la vita
dell'uomo sia regolata da due tendenze fondamentali: la ricerca del piacere e l'evitamento del
dolore. Queste due tendenze possono essere paragonate a degli istinti. In particolare Aristippo
è convinto che la felicità corrisponda con il soddisfacimento dei bisogni;
o Epicuro, il quale definisce la felicità come assenza di dolore ed il piacere come un bene
fondamentale che può condurre l'uomo verso la felicità. Egli riprende l'idea secondo cui il
cammino verso la felicità debba essere guidato dall'esercizio di virtù ma ritiene che piacere e
felicità non derivino in modo esclusivo da esperienze sensoriali.
 
Il dibattito sulla felicità nella psicologia contemporanea
Il percorso teorico seguito dagli psicologi riguardo il concetto di felicità non è stato particolarmente
originale.
Dall'esame della letteratura psicologica risulta evidente che il concetto di felicità è stato e viene tuttora
usato in maniera interscambiabile con altri concetti come benessere soggettivo e soddisfazione per la vita.

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Psicologia Generale

Si è visto che mentre negli anni novanta l'attenzione degli psicologi per i temi collegati alla felicità era
contenuta, nel decennio 2001-2010 si registra una crescita significativa dei lavori scientifici pubblicati al
riguardo. Va sottolineato che la compresenza di molteplici concetti teorici nel campo della psicologia della
felicità è un fatto incontestabile.
La riflessione teorica sulla felicità da parte degli psicologi è stata profondamente influenzata dalle teorie
elaborate in campo filosofico.
Il dibattito che si sta svolgendo negli ultimi anni vede contrapposte due tipologie di concezioni della felicità,
quella edonistica e quella eudemonistica, quindi si hanno:
 Teorie eudemonistiche, le quali mettono al centro della loro ricerca le virtù e che comprendono:
o Waterman, egli definisce la felicità come espressività personale, la persona felice è la persona
che sperimenta nell'ambito della vita quotidiana dei sentimenti di espressività personale.
Questi sentimenti vengono vissuti quando l'individuo è alle prese con attività nelle quali si ha:
 Un coinvolgimento molto intenso;
 Una sensazione di fusione psicologica con quello che si sta facendo, il soggetto è
completamente immerso in ciò che fa;
 Un sentimento di vitalità;
 La sensazione di essere totalmente appagati;
 L'impressione di fare esattamente ciò che si vuole fare;
 La percezione di autenticità.
 
Questa idea, secondo cui sia possibile vivere questi sentimenti in condizioni e contesti precisi,
ha portato Waterman a contrapporre il concetto di espressività personale con quello di
esperienza di flusso di Csikszentmihalyi, ossia quella sensazione psicologica di totale
assorbimento che il soggetto sperimenta durante lo svolgimento di un'attività da lui
considerata stimolante e gratificante.
Egli sostiene che le persone che vivono esperienze di flusso focalizzano completamente
l'attenzione su ciò che fanno e hanno l'impressione che l'attività nella quale sono impegnate
scorra in maniera fluida. Le esperienze di flusso si associano costantemente ad un ampio
insieme di emozioni e sentimenti positivi.
Il modello di Csikszentmihalyi spiega quali sono le condizioni che favoriscono questo tipo di
esperienze, queste sono ben spiegate un uno schema nel quale vengono riportati due assi,
orizzontalmente le capacità e verticalmente le sfide. Nel quadrante in alto a destra nel grafico si
individuano quelle condizioni caratterizzate da alte sfide ed alte capacità. Se l'individuo ha
capacità sufficienti per gestire questa situazione si potrà determinare un'esperienza di flusso.
Nel quadrante in alto a sinistra, se le sfide sono alte e le capacità sono basse l'individuo
sperimenterà una condizione di ansia. Nel quadrante in basso a sinistra, se le sfide sono basse e
le capacità sono basse l'individuo sperimenterà una condizione di apatia. Nell'ultimo caso, nel
quadrante in basso a destra, se le sfide sono basse e le capacità sono alte il soggetto
sperimenterà una condizione di noia.
Waterman, quindi, ha raccolto alcune evidenze empiriche che confermano che il costrutto di
espressività personale e quello di esperienza di flusso sono strettamente collegati tra loro. In
particolare egli ha condotto una ricerca su un gruppo di studenti americani, nella quale fu
somministrato un questionario che conteneva domande sulle attività più importanti svolte nel
corso della vita dei partecipanti e sugli stati psicologici vissuti in relazione a queste attività. I
risultati mostrarono che l'intensità dei sentimenti di espressività personale riferiti dai
partecipanti era correlata positivamente al livello di concentrazione che essi raggiungevano
durante lo svolgimento delle attività.
Entrambi questi studiosi, quindi, sostengono che nelle situazioni di alte sfide ed alte capacità si
manifestano delle modificazioni positive.
o Ryan, Huta e Deci, questi autori elaborano una teoria dell'autodeterminazione e del
conseguimento della felicità, un modello teorico elaborato per descrivere le motivazioni, i

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bisogni e gli scopi che guidano e sostengono il comportamento dell'individuo in diversi contesti
di vita. Secondo questi autori esistono due tipi di attività:
 Motivate intrinsecamente, le quali permettono all'individuo di soddisfare alcuni bisogni di
base come l'autonomia, la competenza e le relazioni sociali. Il bisogno di autonomia si
riferisce al fatto di poter gestire in maniera indipendente la propria vita scegliendo cosa
fare e come farlo, il bisogno di competenza indica la percezione soggettiva di poter
esercitare un'influenza diretta sul proprio ambiente fisico e relazionale, il bisogno di
relazioni sociali, invece, riguarda la sensazione di essere in contatto diretto con altre
persone e di poter dare e ricevere sostegno affettivo;
 Motivate estrinsecamente, che danno all'individuo minori probabilità di sperimentare stati
di felicità.
Gli individui che perseguono obiettivi motivati intrinsecamente avranno maggiore probabilità di
sentirsi felici rispetto agli individui che perseguono obiettivi motivati estrinsecamente in quanto
nel primo caso il soggetto acquisirà competenze (autonomia, competenza, relazioni sociali) che
potrà attuare in modo autonomo e che gli permetteranno di intervenire sulla situazione in cui si
trova.
Un altro aspetto di questa teoria che merita di essere affrontato è quello della mindfulness,
questo termine significa letteralmente "pienezza della mente" e indica quella particolare
condizione psicologica che deriva dal prestare attenzione in maniera intenzionale agli oggetti e
ai contenuti della propria esperienza soggettiva, così come essi si presentano nella vita
quotidiana. Gli individui che riescono a sperimentare questa condizione mentale tendono a
ricercare un senso in tutte le attività che svolgono e sviluppano un sentimento di apertura verso
gli eventi che caratterizzano la vita interiore e sociale. La mindfulness rappresenta, quindi, una
modalità di funzionamento psicologico che consente al soggetto di regolare in maniera ottimale
il proprio rapporto con l'ambiente;
o Ryff, la quale, grazie al modello a sei dimensioni, ha identificato sei componenti del concetto di
felicità che sono:
a.Avere scopi nella vita (purpose in life), ossia l'idea secondo cui il nostro percorso nella vita
non sia casuale ma abbia un senso ed una direzione;
b.Padronanza dell'ambiente (environmental mastery), ossia l'idea secondo cui il soggetto
attraverso le sue azioni possa modificare il contesto in cui vive ed adattarlo ai suoi bisogni
(anche chiamato autoefficacia);
c. Relazioni positive (positive relations with others), l'individuo sperimenta sentimenti di
fiducia ed attaccamento con altri individui e da queste relazioni ricava sensazioni di gioia,
benessere e soddisfazione;
d.Crescita personale (personal growth), questa componente è quella che più richiama l'idea
aristotelica di eudemonia, intesa, infatti, come autorealizzazione delle proprie
potenzialità e dei propri talenti. È rivolta prevalentemente al futuro e ad un continuo
sviluppo del proprio potenziale;
e.Autonomia (autonomy), intesa come autodeterminazione, indipendenza e capacità di
regolazione del comportamento dall'interno, degli obiettivi della vita e dei mezzi più
idonei per raggiungerli;
f. Accettazione di sé (self-acceptance), ossia la capacità dell'individuo di accettare e
riconoscere sia i propri punti di forza che le proprie debolezze.
Ryff ha tratto ispirazione dai punti di convergenza tra studi di vari autori come Maslow, Rogers,
Allport, Jung, Jahoda e Erickson.
Considerate nel loro insieme, le diverse componenti, sottendono una visione dell'uomo che è
tipica del mondo occidentale e che è fortemente influenzata dall'orientamento culturale
individualistico delle società che fanno parte di questo mondo.
Importante è sapere che alcune di queste componenti ricorrono in tutti i modelli che abbiamo
visto, l'autonomia e le relazioni positive, ad esempio, sono ricorrenti anche nel modello di Ryan,
Huta e Deci.

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 Teorie edonistiche, le quali mettono al centro della loro ricerca il concetto di piacere e che
comprendono:
o Brickman e Campbell, per questi autori l'individuo si trova in una condizione di neutralità
affettiva, questa condizione è interrotta da eventi che possono essere positivi o negativi.
Queste interruzioni, però, sono transitorie, di breve durata in quanto l'individuo tende ad
adattarsi alle condizioni, sia positive che negative, e a ritornare alla sua condizione di partenza,
quella di neutralità.
In assenza di stimolazioni particolari, quindi, il tono affettivo dell'individuo sarà pari a zero.
L'accadimento di eventi emotivamente salienti, sia piacevoli che spiacevoli, determina
oscillazioni significative nel tracciato del soggetto. Queste oscillazioni, però, sono solo
temporanee e non modificano l'andamento globale dal grafico.
Seguendo questo modello possiamo percepire la vita affettiva quotidiana dell'individuo come
una sorta di linea di base piatta con dei picchi positivi e negativi che ne interrompono
l'andamento orizzontale.
 
 "The point cannot be overstated: every desirable experience - passionate love, spiritual
high, the pleasure of a new possession, the exhilaration of success - is transitory."
[David Myers]
 
La felicità è una meta irraggiungibile in quanto transitoria.
In questo modello viene ipotizzato che questo carattere transitorio dipenda dal fatto che gli
individui si adattano alle esperienze emotive, ovvero si abituano velocemente alle stimolazioni
ricevute nel corso di queste esperienze;
o Diener, Lucas e Scollon, questi autori hanno, invece, affermato che il tono affettivo
dell'individuo non è neutro ma è positivo. Quando questo viene interrotto l'individuo non torna
ad una condizione di neutralità ma ad una situazione di moderata positività.
Novità significative sono introdotte grazie all'attenzione rivolta alle differenze individuali. A
questo riguardo questi tre studiosi ipotizzano che il livello del tono affettivo di base che
caratterizza la vita quotidiana non sia uguale per tutti gli individui, ma cambi in funzione di
variabili specifiche legate al singolo soggetto. Tra queste un ruolo importante viene
riconosciuto alla personalità dell'individuo, influenzata a sua volta da fattori di tipo genetico,
distribuiti in modo diverso in ciascun soggetto.
Secondo questi autori, specifici tratti della personalità incidono sulla modalità con cui ciascuno
si pone di fronte ad eventi che alterano il tono della vita quotidiana. Essi sostengono inoltre che
esistano degli eventi negativi [es. perdita del coniuge] che hanno la capacità di modificare in
modo stabile i livelli di felicità e soddisfazione dell'individuo.

LEZIONE 24
Ci sono autori che hanno sostenuto che benessere edonico ed eudemonico siano correlati tra loro.
Una studiosa in questo ambito è Antonella delle Fave che nel 2011 condusse un esperimento nel quale
chiese ai partecipanti di definire apertamente il concetto di felicità.

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In seguito sono stati analizzati i dati prodotti da tutti i partecipanti, soggetti appartenenti a diversi culture
(Australia, Croazia, Germania, Italia, Portogallo, Spagna, Sudafrica). Alla luce di questo esperimento si può
affermare che nell'individuo sono presenti entrambe le componenti e che queste sono correlate tra loro.
 
Dal punto di vista psicologico si è sempre parlato molto di felicità e molto poco di infelicità.
Nel 1929, a seguito della prima guerra mondiale e durante la crisi economica degli Stati Uniti, Sigmund
Freud pubblica il testo "Il disagio della civiltà".
Freud in quest'opera incomincia ad approfondire tematiche di carattere sociale e culturale e da qui nasce
l'applicazione della teoria psicoanalitica a fenomeni generali culturali più complessi come quelli sociali,
culturali e religiosi che coinvolgono le comunità ed i gruppi all'interno dei quali le persone conducono la
propria vita.
Inizialmente, Freud, aveva intitolato la sua opera proprio "L'infelicità nella civiltà".
Secondo Freud tutto il comportamento umano è regolato dal principio del piacere secondo il quale l'uomo
tende per sua natura ad inseguire la felicità cercando di trarre il massimo piacere dalle esperienze che
compie ed evitando tutto ciò che può essere per lui fonte di dolore, dispiacere e sofferenza. Egli concepisce
la felicità come una meta irraggiungibile per l'individuo, che l'uomo insegue affannosamente e che
velocemente scompare.
Il nostro apparato psichico non prevede forme di felicità durature ed individua cause ben specifiche
nell'infelicità umana, ossia la civiltà umana. L'uomo civilizzato, infatti, risulta essere infelice al contrario
dell'uomo primordiale. L'infelicità scaturisce dall'adattamento dell'individuo all'insieme di norme e valori
che caratterizzano la vita comunitaria.
Alcune strutture della società imitano la felicità dell'individuo e sono, ad esempio, la famiglia.
Sebbene Freud non si soffermi ad analizzare gli stati di neutralità affettiva che potrebbero caratterizzare
larga parte della vita dell'uomo, egli non ha dubbi sul fatto che l'infelicità sia una condizione psicologica che
si verifica in modo più frequente rispetto alla felicità.
 
Un altro studioso che si è impegnato a parlare di infelicità fu Mihaly Csikszentmihalyi. Egli individuò come
argomento di critica l'orientamento materialistico della società contemporanea.
Mihaly, infatti analizzò la condizione di individui molto ricchi che spesso si ritrovano ad essere anche molto
infelici.
Come Freud, anche Csikszentmihalyi ricerca le cause dell'infelicità nella società e, più in particolare, nella
cultura e nei valori che la caratterizzano. Egli, però, focalizza la sua attenzione sui possibili effetti negativi
determinati dall'eccessiva attribuzione di importanza al denaro ed ai beni materiali.
Egli parte dall'assunzione secondo la quale nonostante i cittadini dei paesi ad alto sviluppo industriale
abbiano raggiunto condizioni di vita estremamente confortevoli, essi non sembrano più felici di persone
che non hanno potuto beneficiare di queste condizioni.
Questo paradosso, detto paradosso della felicità, scaturì vari studi:
 Brickman, Coates e Janoff-Bulman hanno misurato il livello di benessere psicologico di 22 individui
vincenti un'ingente somma di denaro alla lotteria confrontandolo con quello di 22 individui non
vincenti. In seguito a questa analisi non si sono riscontrate particolari differenze. A distanza di tempo
il livello di benessere era addirittura diminuito negli individui vincenti, i quali riferirono di ricavare un
piacere significativamente inferiore dallo svolgimento di attività quotidiane (leggere una rivista, fare
colazione…);
 Myers, invece, analizzò l'evoluzione di indicatori di benessere psicologico dalla metà degli anni '50
alla fine degli anni '90 in relazione al reddito pro capite. Con l'aumento del reddito non si sono
riscontrati aumenti consistenti della felicità, anzi, secondo le statistiche di Myers la percentuale dei
cittadini che si riferiscono "molto felici" passò dal 35% nel 1967 al 33% nel 1998. inoltre la
percentuale di divorzi era raddoppiata, i suicidi fra gli adolescenti erano triplicati e gli episodi di
violenza criminale erano quadruplicati.
Gli economisti hanno definito questo fenomeno come un paradosso ma Bertini osservò che per le scienze
psicologiche questo non è un paradosso ma risulta evidente, un fenomeno atteso.

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Mihaly teorizza tale paradosso criticando il materialismo della cultura occidentale. Egli individua tre
possibili ragioni per rendere conto del paradosso della felicità: la prima ha a che fare con le attese che,
tipicamente, gli individui sviluppano nei confronti del denaro. Csikszentmihalyi sostiene che, una volta
raggiunto un certo stipendio, le persone si abituano velocemente al tenore di vita associato ad esso; la
seconda riguarda il fatto che nella nostra società la ricchezza non è distribuita in modo uguale fra le
persone, ciò fa sì che le persone siano portate continuamente a giudicare la loro situazione economica in
riferimento a quella di altri e questo porta ad una continua insoddisfazione, frustrazione ed invidia.
La cultura materialistica secondo Mihaly è basata su ricchezza, fama e successo sociale e potenza. Per
liberarsi da questa concezione le persone dovrebbero dedicare le proprie energie allo svolgimento di
attività che hanno particolare significato per sé stessi: esperienza di flusso.
La psicologia deve educare le persone ad interpretare correttamente gli effetti della cultura materialistica,
esortare i giovani a vivere una vita virtuosa basata su motivazioni psicologiche e non materialistiche.
Le aree di ricerca nel tema della felicità hanno la finalità soprattutto di misurare il benessere psicologico e la
felicità e si dividono in:
1. Fattori associati alla felicità e all'infelicità, la quale raccoglie il maggior numero di studi;
2. Le emozioni della vita quotidiana, area che è a cavallo tra la psicologia delle emozioni e la psicologia
della felicità;
3. Eventi di vita stressanti e traumatici, come ad esempio il lutto o l'aggressione.
 
I fattori associati alla felicità e all'infelicità sono:
 Fattori genetici. Gli studi di questo ambito di fattori hanno concentrato le loro ricerche sulla
popolazione dei gemelli, i gemelli monozigotici, ossia coloro che si sono sviluppati nel medesimo
ovulo e che condividono tutto il loro patrimonio genetico e i gemelli dizigotici, ossia coloro che si sono
sviluppati in due diversi ovuli e condividono, come i fratelli, circa il 50% del loro patrimonio genetico.
Gli studiosi hanno in particolare concentrato la loro attenzione su gemelli che erano cresciuti insieme
e su gemelli che, per vari motivi, erano stati allevati in ambienti diversi. È emerso che il livello di
felicità provato dai gemelli monozigotici era pressoché uguale e anche che i gemelli cresciuti nello
stesso ambiente tendevano ad assomigliarsi di più. Geni ed ambiente, secondo queste ricerche,
hanno un peso circa del 50% l'uno sulla felicità;
 Fattori culturali, economici, politici e storici. Per studiare questi fattori sono stati confrontati i livelli
di felicità presentati analizzando popolazioni di diversi paesi. Nell'arco di un decennio di studi che
hanno coinvolgo 149 paesi, dal 2001 al 2010, è emerso che il paese più felice al mondo è la Costa Rica
con una felicità media di 8,5, seguito dalla Danimarca e dall'Islanda. Il paese più infelice è Togo, con
una felicità media di 2,6, insieme al Burundi e alla Tanzania. Generalmente verso il fondo della
classifica si trovano i paesi dell'Africa.
Una prima osservazione è lo scarto che si ha tra il primo paese (8,5) e l'ultimo paese (2,6). Questo
sicuramente dipende dall'orientamento culturale del paese. Si nota, infatti, che i paesi più felici sono
quelli che hanno un orientamento culturale di tipo individualistico, al contrario i più infelici sono
quelli che generalmente hanno un orientamento culturale collettivistico. I paesi più felici, inoltre,
sono tendenzialmente più ricchi di quelli più infelici. Con un punteggio di 6,7 l'Italia occupa la
43esima posizione nella graduatoria complessiva.
Influenzano i giudizi delle persone anche gli eventi storici. Anche i fattori politici possono avere
un'influenza, i paesi con regimi totalitari o non democratici tendono ad essere meno felici di quelli
con un regime democratico;
 Fattori psicologici: la personalità. Numerosi ricercatori hanno deciso di allargare il proprio campo di
indagine ai fattori di natura psicologica ed in particolare alla personalità, chiamata anche carattere.
Uno dei fattori principali è la correlazione positiva tra felicità ed estroversione, le persone più
estroverse sono quelle più felici. Esiste anche una correlazione negativa tra felicità e nevroticismo,
ossia i tratti di instabilità emotiva, le persone più nevrotiche sono quelle più infelici.
Peterson e Seligman hanno individuato dei punti di forza del carattere che influenzano la felicità.

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Psicologia Generale

Con il termine "punti di forza" si intende un insieme di disposizioni motivazionali, cognitive e affettive
che fanno sì che l'individuo conduca una vita virtuosa, ovvero persegua importanti valori etici e
morali.
Questi 24 punti di forza sono raggruppati nelle 6 categorie seguenti:
a. Saggezza e conoscenza, punti di forza cognitivi che implicano l'acquisizione e l'uso della
conoscenza e comprendono:
 Creatività;
 Curiosità;
 Pensiero critico;
 Passione per l'apprendimento;
 Prospettiva;
b. Coraggio, punto di forza emotivo che comporta l'esercizio della volontà al fine di raggiungere
obiettivi in situazioni di conflitto e che comprende:
 Onestà/autenticità;
 Audacia;
 Tenacia;
 Vitalità/vigore;
c. Umanità, punto di forza interpersonale che implica rapporti di vicinanza con altre persone e
che comprende:
 Gentilezza;
 Amore;
 Intelligenza sociale;
d. Giustizia, punto di forza civico che sta alla base di una vita comunitaria sana e che comprende:
 Correttezza;
 Leadership;
 Lavoro di gruppo;
e. Temperanza, punto di forza che protegge dagli eccessi e che comprende:
 Indulgenza;
 Modestia/umiltà;
 Prudenza;
 Autoregolazione/autocontrollo;
f. Trascendenza, punto di forza che connette l'individuo ad una sfera di vita più compia e ricca di
significato e che comprende:
 Apprezzamento della bellezza e dell'eccellenza;
 Gratitudine;
 Speranza;
 Umorismo;
 Religiosità/spiritualità.
Gli autori sostengono che questi sei punti siano rintracciabili in culture e tradizioni molto diverse tra
loro. Tra questi punti di forza ve ne sono alcuni che compaiono più spesso e sono:
 Curiosità;
 Vitalità;
 Amore;
 Speranza;
 Gratitudine;
 Fattori socio-demografici (età, sesso…). Per valutare questo fattore gli studiosi hanno valutato il
grado di felicità di soggetti con diverso stato civile e diversa condizione lavorativa. A livello
metodologico vi sono state delle ricerche trasversali e delle ricerche longitudinali. Nel secondo caso,
quindi, è stato possibile monitorare i cambiamenti e l'evoluzione nel tempo nei processi psicologici e
comportamentali. Generalmente le prime ricerche hanno valutato che le persone non sposate sono
meno felici di quelle sposate, non si sa, però, se sia stato l'atto in sé del matrimonio ad aumentare la
felicità dei soggetti o se essi fossero già felici prima. A rispondere a questa domanda sono Stutzer e

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Psicologia Generale

Frey che analizzando un campione della popolazione tedesca hanno cercato di capire se è il
matrimonio a creare la felicità o se sono le persone felici a sposarsi. Per i gruppi analizzati, gli sposati
e i non sposati. In età giovane, circa 20 anni, coloro che si sposeranno, partono già con un livello di
felicità abbastanza alto, al contrario di coloro che non si sposeranno. Si può dire, quindi, che sarebbe
il fatto di sentirsi felice a spingere i soggetti a ricercare un partner e, quindi, il matrimonio.
Diversamente, invece, è per la condizione lavorativa. In questo caso è l'evento specifico che modifica
la condizione di benessere. Considerando il divorzio e la perdita di lavoro, entrambi generano una
forte decadenza della felicità. Anche in seguito agli eventi, i soggetti sembrano non aver ancora
recuperato del tutto il livello di felicità. Infatti questi eventi potrebbero influenzare il soggetto in
modo permanente.
 
Questo campo di indagine, quindi, ha studiato come felicità ed infelicità siano legate a questi fattori.
L'indagine di questi fattori è stata attuata grazie all'uso dei questionari che consentono di misurare la
felicità. Ciò che gli psicologi si sono limitati a fare è stato raccogliere dei giudizi soggettivi dei partecipanti.
Sono stati utilizzati vari strumenti:
 Strumenti self-report:
o Domande singole, ossia domande con alternative pre-codificate dallo sperimentatore. [es.
considerando le cose nel loro insieme, puoi dire di essere: A) Molto felice; B) Abbastanza felice;
C) Non molto felice; D) Per nulla felice]
Nel trattare i risultati di queste indagini gli psicologi hanno considerato sinonimi il termine
soddisfatto ed il termine felice. Questa supposizione potrebbe essere considerata come poco
attendibile. [es. immagina una scala con gradini numerati da 0 a 10. supponiamo che la parte
superiore della scala rappresenti quella che per te è la migliore vita possibile, mentre quella
inferiore rappresenti quella che è la peggiore vita possibile. Se il gradino più alto è 1' e il più
basso è 0, su quale gradino della scala ti senti di stare in questo momento?
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10];
o Questionari, inventare, scale e batterie di item, ossia insiemi di domande.
 

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