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Popper e l'epistemologia del Novecento

Federica Sargolini

Popper e l'epistemologia del Novecento


Federica Sargolini

Popper e l'epistemologia del Novecento

Federica Sargolini

Introduzione a questo ebook


In questo piccolo ebook trovate diversi materiali che vi aiuteranno nel percorso di conoscenza della filosofia di Popper. Si parte da due documenti sul significato di epistemologia, in particolare quella del Novecento: origini, aspetti storici, protagonisti. Si passa poi a due documenti sul pensiero di Popper. Il primo ("Introduzione a Popper") un testo che riassume la sua filosofia in modo asistematico e nella modalit di una conversazione. Il secondo ("La vita e il pensiero") invece pi schematico e lineare. In quest'ultimo trovate numerosi link a testi in rete e a video. Seguono poi alcuni brani antologici e alcune interviste a Popper, ognuno dei quali corredato da apposite domande di verifica, cos come gli ultimi documenti sulle discussioni critiche. L'ultimo brano di Giulio Giorello e mi sembrata una sintesi adatta al concetto di verit scientifica. Buon lavoro!

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Aspetti storici dell'epistemologia del Novecento


Il Novecento stato certamente, per la storia della filosofia, il secolo in cui si verificata la pi grande divisione in molte e importanti aree di studio che si sono andate diversificando grazie allaffermarsi di numerose e spesso contrapposte tradizioni di ricerca ormai uiversalmente accettate e riconosciute (la filosofia del linguaggio, la logica matematica, lepistemologia, lo strutturalismo, la fenomenologia, lermeneutica, lesistenzialismo ecc.). Tra tutte queste correnti e tradizioni di analisi, una di quelle che riuscita ad attraversare tutto larco del novecento con un unico e coerente filone di dibattiti sin dalla sua origine, stata lepistemologia che, nel predetto secolo, cessa di essere collocata nellambito della teoria della conoscenza classica, in quanto rappresenta il tentativo di estendere i fondamenti problematici della filosofia ai problemi di difficile soluzione relativi alla fondazione teoretica della ricerca scientifica In ambito didattico si fa largo uso del termine epistemologia ma il suo significato non sempre appare chiaro. Epistemologia un termine coniato sulle parole greche episteme (scienza) e logos (discorso), con cui si indica quella branca della teoria generale della conoscenza che si occupa di problemi quali i fondamenti, la natura, i limiti e le condizioni di validit del sapere scientifico, tanto delle scienze cosiddette esatte (logica e matematica), quanto delle scienze cosiddette empiriche (fisica,chimica, biologia ecc; psigologia, sociologia, storiografia ecc.). Lepistemologia quindi lo studio dei criteri generali che permettono di distinguere i giudizi di tipo scientifico da quelli di opinione tipici delle costruzioni metafisiche e religiose, delle valutazioni etiche ecc. In questo senso, lepistemologia considerata parte essenziale della filosofia della scienza ( da: Enciclopedia Garzanti di filosofia). Lepistemologia in senso stretto nasce proprio con il problema della demarcazione tra ci che scienza e ci che non lo : questa la posizione del neopositivismo logico che attribuisce un senso al discorso scentifico e lascia alla filosofia il compito di chiarire i caratteri specifici della scienza identificando, pertanto, la filosofia con lepistemologia. In unaccezione ristretta, dunque, lepistemologia pu ritenersi coincidente con la filosofia della scienza e in questa accezione il suo compito primario quello di definire le condizioni per cui una data asserzione o modello o esperimento pu essere definito scientifico. Dallepistemologia escluso il contenuto della scienza, oggetto specifico della ricerca scientifica. E ovvio che lepistemologia presente in filosofia fin dalle origini in una accezione per pi generale, intesa cio come studio del problema della conoscenza (in Italia tale studio rientra nelle competenze della gnoseologia Dalla seconda met dell800 il dominio di validit dellepistemologia nella filosofia contemporanea

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diventa decisamente pi forte e alla fine tende a sostituire quello pi tradizionale di gnoseologia. Nel mondo anglosassone-americano invece con il termine epistemology si intende quella che in Italia la gnoseologia. Nella storia dellepistemologia del Novecento si possono individuare in linea generale tre fasi: 1. la fase caratterizzata dallo stato nascente che secondo lipotesi storiografica determinato dai cambiamenti venutisi a verificare nella storia delle scienze per le nuove teorie fisico-matematiche (geometrie non euclidee, teoria della relativit, termodinamica). 2. la fase della maturit nella forma prevalente della logica e della metodologia delle scienze cosiddette esatte, nellambito di quel quadro di rinnovamento generale filosofico e culturale venutosi a determinare negli anni trenta per i forti stimoli promossi dallempirismo logico; 3. la fase di una eventuale crisi dellepistemologia prodotta da fattori diversi tra cui si ricorda lo slittamento progressivo dallepistemologia alla storia delle scienze e il coinvolgimento sempre pi diretto dei filosofi nel linguaggio delle scienze. Si fa cenno qu di seguito alle principali correnti filosofiche che si sono succedute tra la seconda met dellottocento e la prima met del novecento ( fino alla nascita della epistemologia contemporanea). Le definizioni sono tratte da: E. Morselli-Dizionario di filosofia e scienze umane- Signorelli, 1978, Milano. Lempirismo: E considerato come il cuore del moderno metodo scientifico. Sostiene che le teorie devono basarsi sullosservazione del mondo piuttosto che sullintuizione o sulla fede (la ricerca empirica ed il ragionamento induttivo a posteriori piuttosto che la pura logica deduttiva). Lempirismo si oppone al razionalismo di Ren Descartes (Cartesio) che privilegia lintrospezione e il ragionamento deduttivo a priori. Comprende le dottrine che considerano lesperienza sensibile, le impressioni dei sensi come il fondamento e la fonte prima, essenziale, insostituibile del conoscere umano Lempirismo stato un precursore del neopositivismo o empirismo logico ed ha posto le basi del metodo scientifico. I nomi associabili allempirismo sono: Aristotele e San Tommaso dAquino (precursori) e Thomas Hobbes, Francis Bacon, John Locke, George Berkeley e David Hume (empirismo moderno) i quali non ammettono principi e idee innate e affermano che la conoscenza spunta soltanto dal contatto con le cose esterne o dei propri stati interni. Tra gli scienziati si citano Galileo, Newton, Leibniz. Con Galileo, che fu assertore del metodo sperimentale, si ha lapproccio matematico alla scienza e tale approccio alla descrizione del mondo consente di ragionare per modelli in quanto anche la descrizione matematica di un sistema fisico un modello che pu essere applicato in

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campi nuovi avendo un notevole potenziale predittivo. Il positivismo: Indirizzo filosofico che, sorto in Francia nella prima met del XIX secolo e sviluppatosi nella seconda met in tutti i paesi europei a cominciare dall Inghilterra, intendeva estendere il metodo delle scienze positive a tutti i settori dellattivit umana, in quanto fondava la conoscenza sui fatti e rigettava ogni forma di metafisica ( il massimo teorico francese del positivismo fu August Comte). Lempiriocriticismo: Indirizzo filosofico sviluppatosi nella seconda met del XIX secolo che intendeva eliminare ogni residuo di tipo metafisico limitandosi al riconoscimento e alla definizione dellesperienza pura. Si vuole liberare lidea di esperienza da tutte le aggiunte del pensiero, dalle idee della speculazione metafisica e anche della vita pratica (teoria economica della conoscenza). Lesperienza pura, per R.Avenarius ed E. Mach, sarebbe il semplice contenuto della percezione. Il neopositivismo o Empirismo logico o Neoempirismo o Positivismo logico. Rappresenta uno dei pi importanti indirizzi di pensiero della prima met del novecento ( Circolo di Vienna, Russell, Wittgenstein , Godel). Si continua ad avere una piena fiducia nella scienza positiva e il principale obiettivo quello di espellere la metafisica dalla scienza e di consentire il pieno dispiegamento della razionalit umana. I due pilastri della Scienza sono: il mondo reale dellesperienza e dellosservazione e il mondo dellastrazione, della matematica e della logica. Questo approccio trova la sua sintesi nel principio di verificazione che intende significare che sono dotate di significato solo le proposizioni verificabili empiricamente. Caratteristica di questo indirizzo filosofico la riduzione della filosofia ad analisi del linguaggio (quello scientifico e quello comune) sulla base appunto del presupposto che ogni enunciato metafisico privo di senso perch empiricamente non verificabile. Lapproccio contemporaneo: Tra i pi grandi esponenti dellepistemologia del novecento possono senza alcun dubbio annoverarsi Carl Gustav Hempel (grande continuatore dellempirismo logico del Circolo di Vienna), Karl R. Popper (padre della teoria del falsificazionismo e della teoria dei tre mondi, Thomas Kuhn (sostenitore della tesi delle rivoluzioni scientifiche) e Paul K. Feyerabend (sostenitore dellanarchismo metodologico). I predetti autori hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi levoluzione del pensiero epistemologico dal Positivismo logico e dal Falsificazionismo fino ai dibattiti contemporanei soprattutto con le loro critiche (spesso feroci ) rivolte non solo a colleghi filosofi ma anche verso paradigmi ( in senso Kuhniano) di alcune scienze umane come la psicoanalisi, il comportamentismo, il marxismo. Un contributo notevole allo studio approfondito dei concetti e delle teorie della filosofia della sciemza. stato dato dal filosofo e matematico italiano Ludovico Geymonat che, a partire dal 1956, ha tenuto allUniversit di Milano la prima cattedra di Filosofia della scienza Il filosofo austriaco Karl Popper tra coloro che mettono in evidenza e cercano di superare le contraddizioni dellEmpirismo logico e, per tracciare una demarcazione

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tra proposizioni scientifiche e non scientifiche, ha introdotto il criterio di falsificazione contrapponendolo al criterio di verificazione. Una sua celebre affermazione la seguente:una teoria scientifica nella misura in cui pu essere smentita. Questa frase sintetizza molto bene il criterio di demarcazione tra le discipline scientifiche e quelle pseudo-scientifiche (quali ad es.la psicoanalisi), perch, mentre le prime si basano su asserzioni che possono sempre essere sottoposte in linea di principio a falsificazione, le seconde sfuggono ad ogni tentativo di falsificazione. Per Popper, il criterio di demarcazione non pu essere il principio di verificazione perch un qualsiasi numero di verificazioni non ci autorizza a considerare vera una teoria. Attacca quindi il principio di induzione perch non possibile inferire teorie universali da singoli fatti osservabili. Vi proprio una discrasia logica tra esperimento e teoria perch il primo un evento che si pu ripetere un numero finito di volte mentre la seconda deve valere per un numero infinito di casi. Per Popper una sola falsificazione sufficiente per non ritenere valida una teoria. Il criterio di falsificazione ci induce a ritenere scientifico un sistema di asserzioni se e solo se lesperienza lo pu falsificare. Si pu sapere se una teoria falsa (quando viene falsificata) ma non si pu mai sapere se vera. Il concetto di teoria non pu dunque aspirare allo statuto di verit ma solo alla validit provvisoria: finch non viene falsificata rimane semplicemente una ipotesi, una congettura. Non esiste quindi per Popper un criterio generale di verit o di certezza. Il sapere scientifico congetturale, fallibile, falsificabile. La razionalit della Scienza poggia sulla scelta, non arbitraria, tra diverse teorie; esse sono criticabili (falsificabili) oggettivamente e propio lepistemologia ha il compito di indicare i criteri di falsificazione. Limportante , per, assumere questo atteggiamento critico nei confronti delle teorie. Si parla infatti di Razionalismo critico. Lapporto di Popper alla discussione sui presupposti della scienza fondamentale. La Scienza perde il valore di determinatezza e di assolutezza che il Circolo di Vienna tentava di salvare alla luce del neoempirismo logico. Anche le scienze naturali sono ipotetiche e limitate. Il problema ora quello della scelta tra teorie a volte del tutto contrapposte e non un problema da poco. Popper conscio che il suo criterio di falsificazione non pi dimostrabile del criterio di verificazione e che nella scelta tra teorie entrano in gioco fattori lontani sia dalla oggettivit che dalla scientificit. Con Popper viene sancito il carattere congetturale della scienza, limitandone laspirazione alla verit ma ricordiamo che tale aspirazione era gi scemata allinterno della geometria, della fisica e della matematica essendosi verificate in tali discipine profondi e radicali mutamenti. Si scosta dal neopositivismo anche lepistemologia genetica di J.Piaget che assume invece come tema fondamentale lo studio del passaggio dagli stati di minore conoscenza agli stati di conoscenza pi avanzata, e che si propone di individuare le connessioni tra gli stadi dello sviluppo dellintelligenza dellindividuo e levoluzione delle forme di pensiero nella storia dellumanit. Allepistemologia popperiana si contrappone la concezione di Thomas Kuhn che pone

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al centro del dibattito laspetto rivoluzionario delle scoperte scientifiche. Ad esso risale lintroduzione dei concetti di scienza normale, rivoluzione scientifica e soprattutto il termine di paradigmi. Per Kuhn con il termine di paradigmi vengono indicate conquiste scientifiche universalmente riconosciute le quali, per un certo periodo, forniscono un modello di problemi e soluzioni accettabili a coloro che praticano un certo campo di ricerca. Secondo l approcco di Kuhn, il progredire della scienza non pi lineare, ma ha bisogno ogni tanto di una rivoluzione scientifica e cio di un rovesciamento delle concezioni metodologiche o un nuovo paradigma concettuale. Numerose critiche sono state mosse a Popper anche da Paul Feyereband e Imre Lakatos. Feyereband nella sua opera Contro il metodo propone un anarchismo epistemologico e analizza e demolisce completamente le teorie di Popper dimostrando che gli scienziati non hanno mai applicato la falsificazione. E inoltre critica lapproccio classico degli epistemologi che tendono a ricostruire a posteriori un metodo che secondo lui non esiste. Per Feyereband un metodo, se esiste, pi complesso di quello illustrato dal Popper e la validit del metodo comunque legata alla storia ( sul piano pratico si associa il realismo al relativismo culturale). Lapproccio di Lakatos si differenzia moltissimo da quello di Popper in quanto il Lakatos sostiene che una teoria scientifica pu essere falsificata solo da una nuova teoria che includa la spiegazione dei fatti spiegati dalla teoria precedente ma che sia capace di ampliare la sua applicabilit a nuovi fenomeni. Infine, ricordiamo Rudolf Carnap, filosofo tefesco neopositivista (uno dei maggiori rappresentanti del Circolo di Vienna) che contrappone alla teoria di Popper la teoria della confermabilit secondo la quale ogni cigno bianco conferma che i corvi sono neri, ossia ogni esempio non in contrasto con la teoria, ne conferma una parte. Secondo quella della falsicabilit invece, nessuna teoria mai vera in quanto mentre esistono solo un numero finito di esperimenti a favore, ne esistono teoricamente un numero infinito che potrebbero falsificarla. .

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L'epistemologia nel XX secolo


Il Novecento stato sicuramente, per la storia della filosofia, il secolo della grande "divisione" in molte ed influenti, ormai tradizionalmente accettate, aree di studio. Questo diversificarsi ha avuto luogo grazie all'affermazione di diverse, numerose, molto spesso contrapposte, tradizioni di ricerca, che ormai, al volgere alla conclusione di questo secolo, vengono normalmente classificate in quasi tutte le monografie (e universalmente riconosciute su tutti i manuali) come la filosofia del linguaggio, il pragmatismo americano, la logica matematica, la filosofia della mente, l'epistemologia (solo per restare nel versante che ormai gli storici della filosofia hanno riconosciuto come appartenente o prossimo alla tradizione "analitica"), lo strutturalismo, la fenomenologia, lesistenzialismo, lermeneutica, il decostruzionismo, le scuole "post moderne", il cosiddetto "pensiero debole", (per rientrare in quello denominato dagli "analitici" come "continentale", sviluppatosi soprattutto in Germania e in Francia ). Tra tutte queste correnti e tradizioni di analisi, una di quelle che ha goduto il pregio di attraversare con un unico e coerente filone (ancora ininterrotto) di dibattiti, sin dai suoi primi albori ad oggi, tutto l'arco del secolo in questione, grazie anche allimpatto considerevole delle importanti scoperte e delle nuove teorizzazioni della fisica e della matematica contemporanea (si pensi solo alla nuova cosmologia relativistica e alla meccanica quantistica), stata, senzaltro, lepistemologia. Nel novecento l'epistemologia cessa di essere collocata al centro delle disamine della cosiddetta "teoria della conoscenza" classica, cos come le era imposto dalla sua pi classica accezione, diventando, in questo modo, un tentativo di estensione di fondamentali problematiche filosofiche ai dilemmi della fondazione teoretica dellimpresa scientifica, considerata sotto il triplice aspetto del cosiddetto contesto della scoperta (quali sono i meccanismi con cui la scienza "scopre" nuovi fenomeni o nuove leggi?) della giustificazione (come fanno gli scienziati a giustificare il risultato o l'esito teorico di una loro ricerca di laboratorio? Che forme di ragionamento e quali metodologia utilizzano?), e dal punto di vista del problema della demarcazione (come distinguere una genuina teoria scientifica da un tentativo non riuscito di elaborarne una, o da un approccio metafisico con pretese dimostrative di tipo empirico?). Il minimo comun denominatore, infatti, di tutti gli autori che si sono cimentati con questa tradizione di pensiero (che anche il decisivo punto di rottura con lepistemologia ottocentesca), che elaborare una qualsiasi forma di teoria della conoscenza significa, in un modo o in un altro, occuparsi di come lattivit scientifica (considerata come fenomeno o come sistema argomentativo "in s") proceda storicamente o logicamente nella sua prassi concreta di ricerca.

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Introduzione a Popper
BASTANO LE CONFERME A "VERIFICARE" LE TEORIE SCIENTIFICHE?ESISTONO DAVVERO I "FATTI"?
Introduzione a Karl Popper
Sulla stessa lunghezza d'onda Karl Popper, un autore che spesso ti ho anticipato. Popper (uno dei principali affossatori, con le sue critiche, del Circolo di Vienna) non solo rifiuta la tesi del non-senso delle proposizioni metafisiche, ma sostiene che delle dottrine metafisiche - se guardiamo la metafisica sotto il profilo storico - hanno avuto il grande ruolo di anticipare teorie che poi sono diventate scientifiche cio controllabili: si pensi, ad esempio, all'atomismo, l'idea di un "principio" dell'universo. Cosa dici di tale tesi di Popper?

Mi sembra di respirare un po' dopo tanto furore iconoclastico contro la metafisica: vero che l'idea metafisica di un "principio" (metafisica perch non scientificamente controllabile) ha spinto l'uomo alla ricerca di un principio (penso al Big Bang) in qualche modo controllabile; vero che il concetto di "atomo" degli atomisti - nato semplicemente sulla base di un ragionamento teorico - si trasformato in un concetto scientifico, controllabile.

E' proprio questo il senso dell'operazione di rivalutazione della metafisica da parte di Popper: per lui sono esistite teorie metafisiche (pensa ad Aristotele) che hanno ostacolato lo sviluppo della scienza e teorie che invece l'hanno favorito.

Popper arriva a dire che la stessa scoperta scientifica non pu fare a meno di idee "metafisiche", idee cio non controllabili. Cosa ne dici?

Mi pare una tesi accettabile: penso all'idea secondo cui il comportamento della natura uniforme.

Questa l'ottica di Popper: lui parla della fede nell'ordine della natura, nel realismo (indipendenza della natura del pensiero), nella causalit.

La metafisica, quindi, per Popper, in qualche misura alla base della stessa ricerca scientifica. Popper arriva a dire che lo stesso neopositivismo che ha reintrodotto la metafisica sostenendo il principio di verificazione non solo perch lo stesso principio metafisico (non empiricamente verificabile), ma anche perch... Prova ad intuire.

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perch le stesse leggi scientifiche non sono empiricamente verificabili.

E' vero: per Popper - che si trova sulla stessa lunghezza d'onda di Hume - una legge non pu mai essere "verificata" sulla base dell'esperienza, perch anche un miliardo di conferme dall'esperienza non potrebbe mai dare un carattere di "necessit".

Per Popper, quindi, non esiste alcuna possibilit di "verificare", di provare come "vera" una teoria scientifica sulla base di fatti dell'esperienza. Allora cos' che distingue una proposizione scientifica da una non scientifica? Per Popper il criterio di distinzione il "criterio di falsificabilit". Cosa ne dici?

Mi pare un'idea geniale. Se non dato verificare una teoria scientifica, almeno possibile distinguere tale teoria da dottrine non scientifiche dicendo che si tratta di una teoria che pu essere falsificata: se, infatti, non bastano "n" fatti per confermare una teoria, ne basta solo uno per falsificarla.

E' questo il senso del principio di falsificabilit: per falsificare una teoria basta un solo fatto. Una teoria, quindi, se non pu essere verificata, pu essere falsificata: ed questo il "criterio di demarcazione" tra proposizioni scientifiche da quelle non scientifiche.

Il principio di falsificabilit - come tutte le opinioni dei poveri mortali - stato sottoposto a critica. Per ora vediamo, per, di comprenderlo meglio. In che senso le proposizioni metafisiche non sarebbero falsificabili?

Mi pare ovvio: non vi alcuna possibilit di trovare la prova della falsit di proposizioni metafisiche. Tali proposizioni, infatti, sono formulate in modo tale da non poter mai essere confutate.

Infatti: ad esempio "Dio c'" non sar mai confutato, mentre pu essere falsificabile la proposizione "Nel 2023 apparir la cometa X".

Le proposizioni metafisiche, quindi, sono tutt'altro che insensate (si capisce benissimo cosa vogliono dire), ma, proprio perch non sono confutabili (falsificabili), non possono essere considerate "scientifiche". Si pu definire scientifico il marxismo?

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Come no? Marx non ha scoperto la "legge" della storia? Marx non ha fatto altro - contro il socialismo utopistico - che estendere alla storia l'ottica della scienza.

Questa la convinzione di Marx e dei marxisti. Secondo il criterio popperiano si tratta di una teoria tutt'altro che scientifica: come pu essere confutabile (o falsificabile) una dottrina che predice la caduta del capitalismo senza precisare n dove n quando?

E la psicoanalisi? Si tratta di una dottrina scientifica?

Ovviamente no (ormai ho compreso bene la "carta" di Popper): come potrebbero essere falsificabili delle teorie - come quelle della psicoanalisi e della psicologia in generale che sono formulate in modo tale da non essere confutate? E' un caso che tutti gli analisti di tutte le scuole leggono i sintomi dei loro pazienti come conferme della loro teoria?

E' proprio questa l'ottica di Popper: la psicoanalisi (tutte le dottrine psicoanalitiche) un insieme di dottrine formulate in modo talmente generico da non essere mai confutate.

Falsificabili sono solo le teorie scientifiche. Solo queste, cio, sono confutabili perch tali teorie prevedono determinate conseguenze che sono controllabili: se un fatto smentisce la previsione, la teoria confutata, falsificata. Da qui il compito dello scienziato: non cercare ennesime "conferme", ma cercare la falsificazione. Cosa ne dici?

Non mi convince: mi pare strana questa figura di scienziato che, invece, di cercare prove a favore della teoria in questione, cerca in tutti i modi per confutarla.

Pu, infatti, sembrare strano. Per Popper, tuttavia, non vi alternativa: anche se si cercassero miliardi di prove, non si arriverebbe mai a "verificare la teoria in questione; tanto vale, quindi, cercare di confutarla in modo da sostituirla il pi presto possibile con una migliore.

Si potrebbe obiettare che - per verificare una teoria - basterebbe confutare tutte le teorie rivali. Popper, per, risponderebbe che non mai possibile eliminare tutte le alternative perch queste sono in linea di principio infinite (per lui ogni problema ha un'infinit di soluzioni logicamente possibili) anche se storicamente se ne presentano sempre in numero finito.

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Forse adesso hai delle idee pi chiare sul principio di falsificabilit. E' quindi il caso di riprendere l'approccio "critico". Ti convince?

Se gli scienziati nel passato avessero applicato tale principio, avrebbero abbandonato troppo presto delle teorie che - anche se confutate in qualche loro aspetto (si pensi alle celebri obiezioni fisiche contro l'ipotesi antica del moto della Terra) - si sono rivelate anticipatrici di grandi svolte scientifiche.

E' questa, indubbiamente, un'altra classica obiezione che stata rivolta al principio di falsificabilit di Popper: applicato rigorosamente, cio, avrebbe ostacolato lo sviluppo stesso della scienza.

Sono state formulate anche altre critiche. Alcune teorie - si obiettato - tanto generiche da considerarsi, sulla base del principio di falsificabilit, non scientifiche, hanno portato a scoperte scientifiche di grande rilevanza. Si , inoltre, affermato che anche le teorie scientifiche ricorrono ad ipotesi ad hoc, ad ipotesi, cio mirate a giustificare fatti che non sono compatibili con la teoria.

Al di l delle critiche (critiche in sintonia con la concezione anti-dogmatica di Popper) il principio di falsificabilit costituisce, indubbiamente, un momento importante della riflessione epistemologica contemporanea (o della cosiddetta "filosofia della scienza") e sicuramente un passo avanti rispetto al principio di verificazione del neopositivismo: la scienza non si basa sull"induzione" ("n" conferme - fossero anche miliardi - non rendono vera una teoria), il compito dello scienziato quello di confutare le teorie imperanti per sostituirle con delle migliori. Cosa ne dici?

Non mi convince del tutto: se ogni teoria dovesse essere confutata, non si saprebbe mai se una teoria vera. Cosa ne sarebbe, allora, della scienza? Non scivolerebbe al rango di romanzo?

E' vero che non si sapr mai quando avremo in mano la teoria vera (che corrisponde alla realt), ma anche vero che sotto l'incalzare del principio di falsificabilit, gli scienziati dovrebbero produrre teorie sempre migliori, cio pi "verosimili" come le chiama Popper. Popper crede nel progresso: per lui, per, il progresso non lo svelamento della verit, ma un avvicinamento progressivo (la "verit" sempre un ideale, mai qualcosa di raggiunto).

Popper rifiuta la concezione "convenzionalistica" (o "strumentalistica"). Lo "strumentalismo pu venire formulato come la tesi secondo cui le teorie scientifiche - le

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teorie delle cosiddette scienze 'pure' - non sono che regole di calcolo" (Congetture e confutazioni, Il Mulino, pag. 192). Per Popper la scienza non un semplice modello costruito dall'uomo, ma una ricerca della verit. Egli prende, per, le distanze anche dal cosiddetto "essenzialismo", dalla pretesa cio di scoprire definitivamente la verit del mondo. Cosa ne dici?

Mi sembra che Popper, nonostante le sue intenzioni, non riesca a staccarsi di fatto dalla posizione convenzionalistica: come non pu essere convenzionalistica la tesi - quella di Popper - secondo cui non si potr mai sapere la verit sul mondo?

La tua osservazione pertinente. Tu ritieni che la tesi secondo cui non mai possibile scoprire la verit definitiva sia equivalente alla tesi convenzionalistica. Popper convinto di essere pi vicino all'essenzialismo che al convenzionalismo. Cos scrive in "Congetture e confutazioni": "Concordo quindi con l'essenzialismo relativamente alla tesi secondo cui la scienza capace di scoperte reali [...] Poich sono convinto che la scienza pu compiere scoperte, mi schiero con Galileo contro lo strumentalismo (pag. 202).

Popper cos dice della sua "terza concezione": "Essa fa tesoro della dottrina galileiana secondo cui lo scienziato persegue una descrizione vera del mondo, o di alcuni dei suoi aspetti, ed un'effettiva spiegazione dei fatti osservabili; e combina inoltre questa dottrina con la concezione non galileliana secondo cui, bench tale resti lo scopo dello scienziato, egli non pu mai sapere con certezza se quanto ha trovato vero, anche se pu talora stabilire con ragionevole certezza una teoria falsa" ("Congetture e confutazioni", Il Mulino, pag. 198).

Abbiamo detto che per Popper il criterio di falsificabilit costituisce la linea di demarcazione tra proposizioni scientifiche e non. A spingerlo in questa direzione , indubbiamente, Hume per cui - come sai - tot fatti non possono mai fondare una "necessit". Va detto, tuttavia, che non tutta l'impostazione humiana sull"induzione" lo convince. Non lo convince "la spiegazione psicologica della induzione in termini di abitudine" (ib. pag. 77). Cosa ne dici?

Non vedo come possa essere criticata l'impostazione di Hume: noi "crediamo" che domani al fuoco succeder il fumo perch abbiamo visto ripetute volte tale rapporto. E', quindi, la ripetizione, che produce la credenza nel comportamento uniforme della natura.

Popper non convinto. A questo proposito fa una citazione: "Una sigaretta accesa fu avvicinata al naso dei cuccioli. Essi l'annusarono subito, ma scapparono e nulla li avrebbe pi indotti a riavvicinarsi alla sorgente dell'odore e ad annusarla ancora. Pochi giorni dopo, reagirono alla sola vista di una sigaretta, o anche di un pezzo di carta bianca arrotolata, scappando via e starnutendo" (ibid. pag. 79).

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E allora? Per Popper il "tipo di ripetizione concepito da Hume non pu mai essere perfetto: i casi cui egli si riferisce non possono mai essere identici: pu trattarsi solo di casi di similarit. Dunque, 'si tratta di ripetizioni soltanto da un certo punto di vista'. Ci che per me una ripetizione, pu non apparire tale a un ragno. Ma ci significa che, per ragioni logiche, deve esserci sempre un punto di vista - un sistema di aspettazioni, anticipazioni, assunzioni o interessi 'prima' che possa darsi una qualsiasi ripetizione; e questo punto di vista, di conseguenza, non pu essere semplicemente il risultato della ripetizione" (pagg. 80-81).

Popper prosegue: "Io proposi di rovesciare questa teoria humiana. Invece di spiegare la nostra propensione ad aspettarci delle regolarit come conseguenza della ripetizione, ho suggerito di spiegare la ripetizione-per-noi come risultato della nostra propensione ad aspettarci delle regolarit e a ricercarle" (ib. pagg. 82-83). Cosa ne dici?

Mi sconcerta: di questo passo - affermando una nostra propensione ad aspettarci delle regolarit prescindendo dalla ripetizione di fatti - si scivola nell'innatismo!

Non hai torto: Popper, in qualche modo, riprende una sorta di innatismo nel senso che per lui noi non percepiamo in modo passivo, ma attivo, selettivo, con schemi mentali, con aspettazioni.

Popper cita D. Katz (da Mensch und Tier, 1948): "Un animale affamato divide l'ambiente in cose commestibili e non commestibili. Un animale in fuga scorge vie per scappare e luoghi per nascondersi... In generale, gli oggetti cambiano... a seconda dei bisogni dell'animale". Questo vale, ovviamente, anche per l'uomo. E vale pure per lo scienziato. Cosa ne dici?

Infatti: gli uomini percepiscono in base all'interesse, agli schemi culturali (le stesse persone vedono cose diverse di una situazione, di un uomo). Lo stesso scienziato legge i fatti (le stelle) sulla base di congetture, di teorie, di aspettazioni.

E' questa l'ottica di Popper. Per lui ogni organismo possiede delle reazioni o risposte innate (non necessariamente consapevoli): il bambino neonato, ad esempio, si aspetta di essere nutrito. Si tratta di un'aspettazione che non deriva da esperienze precedenti, quindi innata. Come innata la nostra propensione a trovare delle regolarit (che per Bacone era un "idolo" da estirpare).

Gli uomini (gli stessi scienziati) non possiedono solo degli schemi innati (come la propensione ad aspettarsi delle regolarit), ma fanno uso anche - nel percepire

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l'esperienza - di schemi culturali quali teorie, ipotesi, congetture, modelli. Ad esempio lo scienziato "copernicano" vede gli stessi corpi celesti in modo diverso dallo scienziato tolemaico perch vede gli stessi fatti sulla base di schemi diversi. Cos una donna, per degli schemi culturali che ha appreso, pu vedere cose diverse dall'uomo.

Popper, quindi, in sintonia, con Kant e con l'idealismo sottolinea con forza il ruolo attivo del pensare umano: noi non siamo passivi neanche nella fase percettiva perch anche in questa fase siamo selettivi sulla base di schemi mentali. E' ovvio che le teorie o congetture con cui lo scienziato legge l'esperienza non sono schemi immutabili alla stregua delle categorie kantiane: sono teorie, schemi che possono mutare. Anzi - come abbiamo detto, compito specifico dello scienziato quello di confutare le teorie in modo da rimpiazzarle con delle migliori (maggiormente esplicative dei fatti dell'esperienza).

A proposito dei rapporti tra Popper e Kant ti consiglio di leggere due capitoli di "Congetture e confutazioni": "La critica kantiana e la cosmologia" e "Lo status della scienza e dell'esperienza".

Abbiamo richiamato il testo di Popper che stiamo esaminando: "Congetture e confutazioni". La scienza, per Popper, costituita proprio da congetture e da confutazioni di congetture. Da dove vengono le "congetture"?

Ovviamente dall'esperienza: come si pu formulare una congettura scientifica se non partendo dall'esperienza? La scienza non pura matematica!

Di norma, s. Secondo Popper, tuttavia, non esistono fonti "privilegiate" delle nostre congetture: queste possono avere le fonti pi svariate (dalla metafisica, dal mito, da un sogno... ). Non conta, per lui, la genesi della congettura, quanto la possibilit di controllare questa congettura.

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Federica Sargolini

Popper: la vita e il pensiero


VITA
Karl Raimund Popper (Vienna, 1902 - Londra, 1994) fece, ancor giovanissimo, diverse esperienze intellettuali (fisica, matematica, musica, politica), lavorando per un certo periodo presso la clinica per l'infanzia di Alfred Adler. Si laure in filosofia nel 1928, iniziando a lavorare come insegnante di matematica e fisica nella scuola media. Ebbe stretti rapporti con il Circolo di Vienna, anche se non ne fece mai parte e, anzi, ne prese ben presto le distanze, criticando molte posizioni da questo sostenute. Dopo l'occupazione nazista dell'Austria, fu costretto a emigrare in Nuova Zelanda, dove gli fu offerta una prestigiosa cattedra al Canterbury University College di Christchurch. Finita la guerra, gli fu offerta la possibilt di tornare in Europa grazie alla cattedra di logica e poi a quella di metodologia presso la London School of Economics. Abbandon l'insegnamento nel 1969; nel 1985 si trasfer a Kenley (Londra), dove rimase fino alla morte. Popper ha avuto numerosi riconoscimenti per la sua attivit di ricerca, come la nomina a membro della Royal Society o quella a membro dell'International Academy for Philosophy of Science, e ancora membro onorario della Royal Society della Nuova Zelanda, membro onorario della London School of Economics and Political Science. Fu nominato Sir nel 1965 e insignito di molte lauree ad honorem (Inghilterra, America, Nuova Zelanda). Le sue opere sono state tradotte nelle principali lingue del mondo.

PENSIERO
La distinzione tra scienza e metafisica Popper rifiuta il criterio neopositivistico di significanza e la stessa impostazione del problema del significato dato dal Circolo di Vienna (ogni proposizione dotata di significato se pu essere verificata empiricamente), mettendo in primo piano il problema della demarcazione tra scienza e non-scienza. Secondo Popper, il criterio di significato proposto dai neopositivisti come principio per distinguere la scienza dalla metafisica, riesce s, ad eliminare la metafisica, ma nello stesso tempo distrugge anche le proposizioni universali su cui si basa la scienza. Le teorie (in quanto formulazioni di valore universale) pretendono di valere per tutti i fatti, mentre gli eventi che possiamo raccogliere come prova della validit di una data teoria sono sempre di numero limitato. Quindi, applicando coerentemente il criterio di significato proposto dai neopositivisti, anche le teorie scientifiche dovrebbero essere respinte dal campo della scienza. Popper propone invece un criterio di demarcazione basato sulla falsificabilit. Poich, se vero che per quanti fatti esistano in favore di una teoria, non possiamo mai raggiungere la certezza della sua validit , vero anche che sufficiente un solo fatto in contrasto con la teoria per dimostrare la sua falsit. Il carattere distintivo della scienza quindi la possibilit di falsificazione empirica delle sue teorie; qualora manchi questa possibilit, si al di fuori della scienza. Critica all'induzione

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Dalla critica al criterio di significanza neopositivistico discende inevitabilmente il rifiuto del procedimento induttivo come metodo per giungere a conclusioni di valore universale (come lo sono le teorie scientifiche) partendo dall'analisi di un numero necessariamente finito di casi particolari. Popper osserva che il problema dell'induzione (o problema di Hume, come egli talvolta lo chiama) pu essere riassunto nella domanda: "siamo giustificati razionalmente a passare dai ripetuti esempi di cui abbiamo avuto esperienza agli esempi di cui non abbiamo avuto esperienza?" (1) Secondo Popper, del tutto illusorio sperar di costruire una logica di tipo induttivo che, a partire da un numero necessariamente finito di asserzioni singolari sia capace di condurre ad asserzioni di carattere universale, come le leggi e le teorie scientifiche . La credenza che la scienza proceda induttivamente da fatti empirici a teorie logicamente ingiustificata (2), poich non esiste alcuna regola che possa garantirci che "una generalizzazione inferita da asserzioni vere, per quanto ripetute spesso, sia vera". (3) Il rifiuto popperiano dell'induzione ha un'importante conseguenza: la scienza non pu partire dai fatti per costruire le sue teorie ma, al contrario, deve inventare le teorie con l'immaginazione e poi controllarle mediante i fatti. La crescita della conoscenza, quindi, non deriva da un accumulo di osservazioni, ma si presenta come uno sviluppo che scaturisce da un problema ( P1). Ad esso si tende di dare una soluzione mediante dei tentativi teorici (TT), i quali vanno corretti, soprattutto mediante la discussione critica, cercando di eleminare gli errori (EE), cosa che non porta alla teoria vera bens al sorgere di nuovi problemi (P2). La formula popperiana che esprime lo sviluppo della conoscenza :

P1 - TT - EE - P2
Tale modello ci costringe a riconoscere che la verit non pu essere raggiunta: essa deve quindi essere vista pi come un ideale regolativo che come traguardo da conseguire effettivamente. Noi ci avviciniamo sempre alla verit, proponendo teorie sempre migliori, cio che spiegano di pi e che sono meglio controllabili. (4) La critica alla dialettica

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Il saggio Che cos' la dialettica? (5) costituisce nell'evoluzione del pensiero di Popper il punto di transizione da interessi esclusivamente rivolti alla metodologia delle scienze naturali a quelli che si allargano anche alla metodologia delle scienze sociali. La presa di posizione contro la dialettica deve essere considerata come una preparazione, un affilare le armi per la critica maggiormente impegnativa delle tesi storicistiche. Poich, il bersaglio finale di Popper non la dialettica in se stessa, bens ci che questa rappresenta per l'affermazione delle concezioni totalitarie che su di essa si basano: concezioni caratterizzate, secondo Popper, da forti componenti storicistiche. A tale proposito, vale la pena ricordare che tale saggio viene alla luce negli anni in cui due forme di totalitarismo incombevano sull'Europa: quello nazista e quello stalinista. Nella ricostruzione popperiana, la dialettica "una teoria che afferma qualcosa pi in particolare il pensiero umano - si sviluppa secondo un procedimento caratterizzato dalla cosiddetta triade dialettica: tesi, antitesi e sintesi" (6). Popper riconosce che la triade dialettica "descrive abbastanza bene certi tratti della storia del pensiero e soprattutto taluni sviluppi di idee e teorie, e dei movimenti sociali che su queste sono basati" (7), ma rifiuta decisamente la pretesa dei dialettici di accettare le contraddizioni in ragione della loro proficuit. Popper concorda con i dialettici sul fatto che le contraddizioni sono molto importanti per lo sviluppo del pensiero umano, poich "senza le contraddizioni, senza la critica, non vi sarebbe alcun motivo razionale per cambiare le nostre teorie". Quello che egli rifiuta la posizione dei dialettici, per i quali, visto che le contraddizioni sono fertili, costituiscono una spinta al progresso, non c' alcun bisogno di evitarle. (8) Tale posizione nega la validit del principio di non-contraddizione aristotelico, che sta alla base di tutti i nostri procedimenti razionali: "principio secondo il quale due asserzioni contradditorie non possono essere entrambe vere, ovvero un'asserzione consistente nella congiunzione di due asserzioni contradditorie, deve sempre essere respinta come falsa sul piano puramente logico". (9) In polemica con i rappresentanti della Scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse), i quali sostengono che il metodo non pu rifiutare le contraddizioni quando l'oggetto di indagine (ad esempio, la societ) in s contradditorio, Popper sottolinea la fondamentale importanza metodologica del principio di non-contraddizione. Secondo il filosofo austriaco, infatti, non esistono contraddizioni nel mondo reale, bens soltanto nelle rappresentazioni che l'uomo si fa di esso. Proprio nel disconoscimento della fondamentale differenza esistente tra i contrasti e i conflitti che caratterizzano la realt e le contraddizioni rilevabili nelle elaborazioni del pensiero umano starebbe, secondo Popper, l'errore fondamentale dei sostenitori del metodo dialettico. (10) Dalle tesi antistoricistiche alla "societ aperta" Le opere popperiane dedicate alle scienze sociali sono principalmente Miseria dello storicismo e La societ aperta e i suoi nemici. Nella prima Popper conduce una critica serrata alle dottrine storicistiche mantenendosi su un piano prettamente metodologico: egli cerca cio di dimostrare che le pretese e i procedimenti messi in atto dagli storicisti sono lontani e spesso in aperta opposizione a quelli che sono i presupposti di un corretto metodo scientifico (11). In particolare, Popper critica la convinzione degli storicisti secondo la quale lo sviluppo della societ sarebbe guidato da leggi inesorabili che regolano gli eventi degli uomini e a cui del tutto vano opporsi. In tale prospettiva, compito dello scienziato sarebbe quello di studiare il passato per scoprire tali leggi di sviluppo, mediante le quali diverrebbe possibile prevedere il futuro, cos da armonizzare le scelte politiche con gli eventi sociali che sono ritenuti inevitabili. Tutto questo rischia di portare, secondo Popper alla pretesa di pianificare la societ, studiarla e controllarla nella totalit dei suoi aspetti. In particolare, le incertezze legate alle variabilit del fattore umano costringono il politico "a cercar di dominare l'elemento personale con mezzi istituzionali, e ad allargare il suo programma fino a comprendere non solo la trasformazione della societ secondo un piano, ma anche la trasformazione dell'uomo". (12) Alla rigida pianificazione della societ basata sulla convinzione di leggi inesorabili di sviluppo (societ chiusa), Popper contrappone la sua concezione di societ aperta , organizzata in maniera da poter intervenire, in qualsiasi istante, con piccole correzioni, costantemente soggette ad essere modificate e migliorate. Una tale societ tende a incoraggiare la critica piuttosto che scoraggiarla e punirla. Essa permette a tutti i suoi membri di prender parte attivamente alle decisioni che riguardano la collettivit; soprattutto rende possibile ai governati di sostituire i governanti qualora il loro operato venga giudicato insoddisfacente. (13)

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Conoscenza oggettiva e Mondo 3 Secondo Popper, il mondo consiste di tre sottomondi antologicamente distinti: 1) il mondo fisico o il mondo degli stati fisici 2) il mondo degli stati mentali 3) il mondo delle idee in senso oggettivo, ossia il mondo degli oggetti possibili del pensiero: in particolare, il mondo delle teorie scientifiche e le loro relazioni logiche; degli strumenti in s e delle situazioni problematiche in s. Uno dei problemi fondamentali di tale concezione pluralistica riguarda la relazione tra questi 3 mondi. Essi sono infatti correlati in modo tale che i primi due possono interagire; amnche gli ultimi due possono interagire. Cos il Mondo 2, il mondo delle esperienze soggettive, interagisce con ciascuno degli altri due. Il Mondo 1 e il Mondo 3 non possono interagire, tranne che attraverso la mediazione del Mondo 2, il mondo delle esperienze soggettive. (14) Cosa significa, per Popper, che il Mondo 3 (come, del resto, gli altri due) esiste oggettivamente? Vuol dire che tale mondo "sebbene sia un prodotto umano, una creazione umana, esso successivamente, al pari di altri prodotti umani, mostra un suo ambito di autonomia". (15) A titolo esemplificativo, Popper osserva che la successione dei numeri naturali una costruzione umana. "Per, sebbene siamo noi a creare questa successione, essa, a sua volta, crea i suoi propri problemi autonomi. La distinzione tra numeri pari e numeri dispari non creata da noi: essa piuttosto una non intenzionale ed inevitabile conseguenza della nostra creazione. I numeri primi, ovviamente, sono, in maniera analoga, fatti autonomi non intenzionali ed oggettivi; e nel loro caso ovvio che ci sono molti fatti per noi da scoprire: ci sono congetture come quella di Goldbach. E tali congetture, quantunque riguardino indirettamente gli oggetti della nostra creazione, si riferiscono a problemi e fatti che in un modo o nell'altro sono emersi dalla nostra creazione e che noi non possiamo controllare o influenzare". (16) La conoscenza in senso oggettivo, secondo Popper, consiste in "problemi, teorie ed argomentazioni in quanto tali. La conoscenza in questo senso oggettivo totalmente indipendente dall'affermazione o pretesa di conoscere avanzata da chicchessia; come anche essa indipendente dall'opinione, dalla disposizione ad assentire, ad affermare o ad agire di qualsivoglia individuo. La conoscenza in senso oggettivo conoscenza senza soggetto conoscente". (17) ------------NOTE (1) Popper, "Replies to My Critics", in P. A. Schilpp (a cura di), The Philosophy of Karl Popper, La Salle (Ill.), Open Court, 1974, pag. 1018 (2) Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna, 1972, pagg. 325-7 (3) Op. cit., pag. 95 (4) Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, pag. 200 (5) Popper, "Che cos' la dialettica?", in Popper, Congetture e confutazioni, cit., pagg. 531-570 (6) Popper, Congetture e confutazioni, cit., pag. 533 (7) Op. cit., pag. 534 (8) Op. cit., pag. 537 (9) Op. cit., pag. 538 ( 10) Popper, "Sulla logica delle scienze sociali", in AA.VV., Dialettica e positivismo in sociologia , Einaudi, Torino, 1972 (11) Popper, Miseria dello storicismo, pag. 60 (12) Op. cit., pagg. 71-2 (13) Popper, La societ aperta e i suoi nemici, Armando, Roma, 1974, vol. I, pag. 179 (14) Popper, Conoscenza oggettiva, cit., pag. 211. Cfr. anche pag. 150 (15) Op. cit., pagg. 164-5 (16) Op. cit., pag. 165. Cfr. anche pag. 216. (17) Op. cit., pag 153 Da: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Popper.html

Video: Popper sul Circolo di Vienna e sulla filosofia del linguaggio Video: Popper contro la televisione

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Schede di lavoro sui testi


A) La conoscenza "dall'ameba a Einstein"
Lo sviluppo della nostra conoscenza il risultato di un processo strettamente rassomigliante a quello chiamato da Darwin "selezione naturale"; cio, la selezione naturale delle ipotesi : la nostra conoscenza consiste, in ogni momento, di quelle ipotesi che hanno dimostrato il loro (relativo) adattamento sopravvivendo fino ad ora nella lotta per l'esistenza; una lotta concorrenziale che elimina quelle ipotesi che sono inadatte. [...] Ci che peculiare alla conoscenza scientifica questo: che la lotta per l'esistenza resa pi dura dalle critiche consapevoli e sistematiche delle nostre teorie. Cos, mentre la conoscenza animale e la conoscenza prescientifica si sviluppano per lo pi attraverso l'eliminazione di coloro che sostengono le ipotesi inadatte, la critica scientifica spesso fa perire le nostre teorie al nostro posto, eliminando le nostre credenze errate prima che tali credenze portino alla nostra eliminazione. [Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, pagg. 346-7] 1. Cosa distingue, per Popper, il processo di selezione naturale darwiniano e la conoscenza scientifica?

B) La comparsa della mente Al primo livello si trova la teoria della comparsa dei nuclei atomici pesanti al centro delle grandi stelle e, a un livello superiore, l'evidenza dell'apparizione di molecole organiche in qualche parte dello spazio. Al livello successivo emerge la vita. Anche se un giorno l'origine della vita dovesse diventare riproducibile in laboratorio, la vita crea qualcosa di totalmente diverso nell'universo: la peculiare attivit degli organismi, in particolare le azioni degli animali molto spesso tese ad uno scopo, e il loro risolvere problemi. Tutti gli organismi sono continui risolutori di problemi, pur non essendo consapevoli della maggior parte dei problemi che tentano di risolvere. Ad un livello ancora pi alto c' il grande passo della comparsa degli stati coscienti. Con la distinzione fra stati coscienti e stati incoscienti qualcosa di totalmente nuovo e della massima importanza entra a far parte dell'universo. Si tratta di un mondo nuovo: il mondo dell'esperienza cosciente. [Karl Popper, "La selezione naturale e la comparsa della mente" in Id., Tre saggi sulla mente umana, Armando, Roma, 1994, pag. 7] 1. Cosa accomuna i vari organismi? Cosa li differenzia?

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C) Terzo mondo e conoscenza oggettiva La successione dei numeri naturali una costruzione umana. Per, sebbene siamo noi a creare questa successione, essa, a sua volta, crea i suoi problemi autonomi. La distinzione tra numeri pari e numeri dispari non creata da noi: essa piuttosto una non intenzionale ed ineliminabile conseguenza della nostra creazione. I numeri primi, ovviamente, sono, in maniera analoga, fatti autonomi non intenzionali e oggettivi; e nel loro caso ovvio che ci sono molti fatti per noi da scoprire: ci sono congetture come quella di Goldbach. E tali congetture, quantunque riguardino indirettamente gli oggetti della nostra creazione, si riferiscono a problemi e a fatti che in un modo o nell'altro sono emersi dalla nostra creazione e che noi non possiamo controllare o influenzare. [Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, pag. 165] 1. Fai almeno tre esempi di mondo3.

D) Ruolo dei problemi nella scienza [La scienza] non pu cominciare con delle osservazioni, o "raccogliendo dei dati", come pensano alcuni studiosi del metodo. Prima di poter raccogliere dati, necessario che sorga un nostro interesse rispetto a dati di una certa sorta: prima di tutto si presenta sempre un problema. Il problema a sua volta pu essere suggerito da necessit pratiche, o da credenze scientifiche o prescientifiche che per una ragione qualsiasi sembrino aver bisogno di una revisione. [Popper, Miseria dello storicismo, Editrice l'Industria, Milano, 1954, pag. 111] 1. Qual il metodo che parte da osservazioni? Da chi stato usato nella storia della filosofia?

E) Dalla verificazione al falsificazionismo Il problema della demarcazione (il problema kantiano dei limiti della conoscenza scientifica) pu essere definito come il problema di trovare un criterio che possa distinguere tra asserti [...] che appartengono alla scienza empirica e asserti che si possono descrivere come "metafisici". Stando a una soluzione posta da Wittgenstein, questa demarcazione deve ottenersi con l'aiuto dell'idea di "significato" o di "senso": ogni proposizione significante o sensata dev'essere una funzione di verit di proposizioni "atomiche", cio, dev'essere completamente riducibile da un punto di vista logico ad [...] asserzioni singolari di osservazione. Pu sembrare che tracciando questa linea di demarcazione i positivisti siano riusciti a distruggere la metafisica [...]. Per questi metodi non distruggono soltanto la metafisica: distruggono anche la scienza naturale. Infatti le leggi di natura non sono riducibili alle asserzioni di osservazione pi di quanto non lo siano gli enunciati metafisici. [...] Il dogma del significato o del senso, e gli pseudo-problemi a cui esso ha dato origine, possono essere eliminati adottando, come criterio di demarcazione, il criterio di falsificabilit [...]. Secondo questo criterio le asserzioni, o i sistemi di asserzioni, trasmettono informazioni intorno al mondo empirico solo se sono capaci di collidere con l'esperienza, o, pi precisamente, solo se possono essere controllati sistematicamente, cio a dire se possono essere sottoposti [...] a controlli che potrebbero mettere capo alla loro confutazione. [Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino, 1970, pagg. 346-7] 1. Spiega l'espressione "capaci di collidere con l'esperienza" in questo contesto.

F) I fatti sono "carichi" di teorie L'epistemologia classica, che prende le nostre percezioni sensoriali come "date", come o "dati" da cui debbano venir costruite le nostre teorie attraverso un qualche processo di induzione, pu venir descritta come pre-darwiniana. Essa non riesce a tener conto della circostanza che i presunti fatti sono in realt reazioni di adattamento, e perci interpretazioni che incorporano teorie e pregiudizi e che, al pari delle teorie, sono carichi di aspettazioni congetturali; non riesce a tener conto del fatto che non ci pu essere nessuna percezione pura, nessun dato puro; esattamente come non ci pu essere nessun linguaggio che sia un linguaggio osservazionale, dal momento che tutti i linguaggi sono impregnati di teorie e miti.

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Popper e l'epistemologia del Novecento [Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, pag. 197] 1. Che vuol dire che i fatti sono "carichi di aspettazioni congetturali"? 2. Delinea il rapporto che, secondo Popper, intercorre tra fatti e interpretazioni.

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Intervista a Popper (1)


Interviste Karl Raimund Popper Il metodo scientifico in Keplero, Newton, Whewell e Einstein 25/7/1989 1 Professor Popper, Lei noto per aver sostenuto che la scienza non si basa sul metodo induttivo. Di solito si attribuisce a Francesco Bacone il merito del prestigio ottenuto da tale metodo. Ma Lei sarebbe giunto alla conclusione che sarebbe stata l'immensa autorit di Newton a convincere quasi tutti della correttezza e della validit del metodo induttivo. Ci pu illustrare meglio le sue idee riguardo a questo punto? Non credo che il metodo induttivo avrebbe raggiunto il prestigio che di fatto ha conseguito se Newton non avesse appoggiato questa concezione del metodo della scienza con il peso della sua impressionante autorit. Penso anche che Bacone oggi sarebbe quasi dimenticato se Newton non si fosse espresso in favore del suo metodo. Enunciando la legge di gravitazione, Newton non si propose soltanto di risolvere uno specifico problema - quello di spiegare dinamicamente le tre leggi di Keplero - bens pretese anche di far vedere come questa legge fosse non solo vera, ma dimostrabilmente certa, cercando d'introdurre un metodo di dimostrazione di tale certezza legato all'induzione. Ma, per prima cosa, dobbiamo capire bene da quale problema fosse partito Newton. Il problema gli fu posto dal suo contemporaneo Robert Hooke, il quale, com' noto, gli sugger anche alcuni indizi di possibile soluzione. Una possibile soluzione che per era - come Newton ben comprese - non soltanto ipotetica, ma anche non pienamente soddisfacente. Vediamo meglio le cose. Ci sono le tre leggi di Keplero, che riguardano il movimento dei pianeti: un problema che si era posto sin dall'antichit. Probabilmente, gi mille anni prima della nascita di Cristo l'uomo aveva notato che certe stelle avevano un movimento differente da quello di tutte le altre stelle. C' un piccolo gruppo di stelle che non prendono parte al movimento solidale dei cieli sopra di noi: diversamente da tutte le altre stelle, si muovono invece per conto proprio. Sono i pianeti. Per questa ragione tali pianeti vennero considerati entit divine, dotate di libera volont. Di quelle divinit, in effetti, presero appunto il nome: Giove un dio, Marte un dio (il dio della guerra), e cos via. Sin dall'antichit il problema consisteva nell'esser capaci di predire e, se possibile, spiegare il movimento di questi pianeti in termini di moto regolare e non a caso. All'osservazione, infatti, esso appariva estremamente irregolare: per un certo tempo i pianeti andavano in una certa direzione, poi la mutavano e ne prendevano un'altra, e cos di seguito. Ebbene, questi loro movimenti vennero descritti con chiarezza da Keplero, il quale formul tre leggi che risultarono molto soddisfacenti. Newton, da parte sua, and ben oltre la semplice descrizione del movimento dei

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pianeti, arrivando a spiegare i loro movimenti in base ad alcuni principi generali. La prima legge riguarda la forma delle orbite e dice che: "tutti i pianeti, compresa la Terra, si muovono lungo orbite a forma di ellisse aventi tutte il Sole come uno dei fuochi". Per questo il sistema chiamato eliocentrico: perch il Sole (Elios) ne occupa il centro. La seconda legge concerne la velocit orbitale dei pianeti. Immaginiamo di avere sott'occhio l'orbita ellittica di un pianeta, in cui il Sole occupa uno dei fuochi. La legge ci dice che, se tiriamo una linea retta tra il pianeta che si muove lungo la sua orbita ellittica e il Sole, la velocit del pianeta risulter minore quando esso si trova lontano dal Sole, maggiore se il pianeta, invece, vicino al Sole. Keplero tent in vari modi di descrivere questo fatto; alla fine giunse a formulare la legge, molto astratta, secondo cui la linea che congiunge il pianeta al Sole (il cosiddetto vettore radiale) copre o spazia su aree uguali in tempi uguali. Cos, per esempio, nell'intervallo di tempo di un'ora, se il pianeta lontano dal Sole, si muover lentamente, percorrendo un tratto piuttosto breve della sua orbita, mentre, se pi vicino al Sole, ne coprir uno pi lungo. L'area cos coperta possiamo calcolarla con buona approssimazione: essa equivarr al prodotto della met del tratto di orbita percorso dal pianeta per la sua distanza dal Sole. Se sappiamo che quest'ultima grande, allora la legge ci dice che il pianeta dovr percorrere un tratto di orbita pi piccolo che nel caso in cui fosse vicino al Sole. Se invece ci troviamo di fronte ad aree uguali, allora sapremo che il pianeta percorrer un tratto di orbita pi lungo quando pi vicino al Sole. La terza legge mette in relazione i diversi pianeti. Essa afferma che pi grande la distanza del pianeta dal Sole, pi tempo impiegher il pianeta a compiere un'intera rivoluzione, non solo perch la sua orbita pi grande, ma anche perch esso si muove pi lentamente. Avremo cos anni astronomici diversi: l'anno di Marte, quello di Giove e cos via. Dopo molte ipotesi e molti controlli, Keplero riusc a mettere insieme i due parametri in questione (distanza dal sole e durata dell'anno astronomico dei singoli pianeti) scoprendo che erano regolate dalla seguente legge: "i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti sono nello stesso rapporto dei cubi delle rispettive distanze dal Sole"- delle distanze medie, s'intende. Tale rapporto costante, lo stesso per tutti i pianeti. Questa legge implica che il pianeta che si trova pi lontano dal Sole non solo percorrer una distanza maggiore, la qual cosa scontata, ma si muover altres pi lentamente lungo la sua orbita. 2 Ma queste tre leggi sono tutte descrittive: descrivono il movimento dei pianeti, senza per fornirne una vera e propria spiegazione. Esse non ci dicono perch i pianeti si muovono secondo quanto da esse previsto. Fu esattamente questo il problema che Robert Hooke pose a Newton? S, Hooke convinse Newton a spiegare, grazie alla sua superiore e avanzatissima conoscenza della matematica, l'intera questione per mezzo di una forza di attrazione tra i pianeti ed il Sole. Ma non si limit a questo: gli sugger anche che la forza di attrazione decresce con il quadrato della distanza del Sole. Si pu, dunque, dire che Hooke giunse vicino alla soluzione del problema, fornendo a Newton una grande quantit di informazioni, ma dichiarando altres che la sua proposta era una mera

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ipotesi, che egli non sarebbe stato in grado n di controllare, n di confermare in alcun modo, tanto meno derivandone una qualsiasi delle leggi di Keplero. Ci nonostante, Hooke pensava che, una volta assunta l'esistenza di una forza di attrazione che decresca con il quadrato della distanza, un matematico pi preparato di lui avrebbe potuto spiegare non una, ma tutte e tre le leggi di Keplero. I fatti gli diedero ragione, ma egli non potette mai provarlo. Newton, infatti, riusc effettivamente a dimostrare la tesi di Hooke, ma non sulla base dell'ipotesi originaria che costui gli aveva suggerito, bens proponendo ulteriori assunzioni. In altri termini, egli costru un interessantissimo sistema di ipotesi che, con l'aiuto della geometria, gli permise davvero di dedurre tutte e tre le leggi di Keplero. A questo proposito, particolarmente significativo il modo in cui Newton arriv a stabilire, o a confermare, la seconda legge di Keplero, quella delle aree, stando la quale i pianeti spazzano aree uguali in tempi uguali. Si tratt davvero di una dimostrazione meravigliosamente semplice e meravigliosamente potente. Nei Principi matematici di filosofia naturale c' una bellissima illustrazione che mostra il procedimento logico di Newton. Egli si bas, oltre che sul principio d'inerzia, su alcuni semplici metodi euclidei, in particolare quello tramite il quale Euclide dimostra l'equivalenza delle aree di due triangoli, ovvero il principio per cui, se due triangoli hanno basi e altezze uguali, allora hanno anche aree uguali. Usando questo metodo e gli assunti del principio d'inerzia, Newton trov che il movimento dei pianeti completamente spiegato supponendo l'esistenza di una legge di attrazione verso un unico centro: che cio agisca, per esempio, dal Sole, che nel nostro sistema al centro del movimento planetario. Questa semplice assunzione, assieme a quella del principio d'inerzia, ci porta direttamente alla legge delle aree uguali. Del principio d'inerzia esistono parecchie possibili formulazioni. La pi semplice questa: se un corpo in movimento e niente agisce su di esso - cio, non c' alcuna forza che intervenga ad alterarne il movimento - allora il corpo si muove in linea retta con velocit costante. Talch, se un corpo non si muove in linea retta con velocit costante, allora sappiamo che qualche forza agisce su di esso, alterandone il movimento. Potrebbe anche trattarsi di una forza centripeta, come appunto nel caso che stiamo discutendo. Questa , dunque, la situazione: possiamo effettivamente spiegare tutte e tre le leggi di Keplero assumendo l'esistenza di una forza centrale che influenza il movimento dei pianeti. questa forza che li porta a compiere un movimento chiuso a forma di ellisse; queste diverse ellissi, disposte a distanze variabili dal centro di forza, vanno poi tutte soggette alla legge che mette in rapporto i quadrati dei periodi di rivoluzione dei pianeti con i cubi delle distanze di questi ultimi dal Sole. In altri termini, il nostro sistema solare si spiega assumendo che il Sole abbia lo strano potere di attrarre i pianeti, o piuttosto assumendo che essi si attraggano reciprocamente, che agiscano l'uno sull'altro: ogni pianeta attrae il Sole, questo a sua volta attrae il pianeta e ci conduce alle tre leggi di Keplero, sempre ammesso che la forza centrale di attrazione sia soggetta alla legge per cui essa diminuisce con il quadrato della distanza. 3 E questo come fu dimostrato da Newton?

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Attraverso quelli che Newton stesso consider due distinti metodi di dimostrazione. Il primo quello geometrico, consistente nel dedurre quel che voleva dimostrare da certi assunti universali, come il principio d'inerzia e la legge di attrazione e di gravitazione. Questo tipo di dimostrazione si riduceva al ragionamento deduttivo, alla deduzione logica effettuata a partire da determinate premesse. Ma, a questo punto, sorgeva il problema di come queste premesse potessero essere effettivamente stabilite: di come si poteva, ad esempio, stabilire l'assunzione dell'esistenza di una forza centrale, capace di attrarre un pianeta in movimento verso il centro del sistema. Ebbene, Newton afferm che siffatti assunti si basavano su di una prova induttiva, pur asserendo esplicitamente di non amare le ipotesi, secondo la sua celebre espressione: "Hypotheses non fingo". E qui arriviamo al secondo metodo che Newton impieg per dimostrare la propria teoria che spiegava le leggi di Keplero. Abbiamo detto che Newton credeva di aver dimostrato la propria teoria con metodi geometrici, attraverso il metodo deduttivo. Il metodo geometrico parte da certe assunzioni e deriva da queste assunzioni determinate conclusioni per mezzo della deduzione logica. Ma c'erano, per, da dimostrare le assunzioni da cui partiva. Come potevano venir stabilite queste assunzioni? Newton pensava proprio di poterle stabilire. Egli non considerava come ipotesi le assunzioni che aveva fatto per procedere alla dimostrazione geometricodeduttiva, perch era convinto che, almeno nella versione finale di una teoria scientifica, le ipotesi non giocassero alcun ruolo. Egli pensava infatti di lavorare con premesse dimostrate, la cui dimostrazione riteneva fosse una prova induttiva. Ma che cos' una dimostrazione induttiva? In che cosa consiste? Me lo domando anche perch, come si sa, non credo affatto nelle dimostrazioni induttive, in prove che, a partire dall'osservazione, stabilirebbero induttivamente e in maniera definitiva un'assunzione o legge generale. Cosa pensava dunque Newton sull'induzione e come giunse a credervi? Egli riteneva che le sue premesse di partenza si basassero essenzialmente sulle leggi di Keplero. Se - egli pensava - la seconda legge di Keplero vera, allora evidente che esistono forze centrali, nonch il cosiddetto movimento centrale, determinato dall'azione congiunta della legge di inerzia e di una forza centrale, agente da un punto preciso, che coincider sempre col centro del sistema. Newton credeva inoltre che Keplero avesse stabilito le sue tre leggi a partire dalle osservazioni di Tycho Brahe una convinzione in perfetto accordo con l'opinione, allora generale e diffusa, che si fondava sull'importante libro dedicato da Keplero al movimento di Marte. Quest'ultimo s'intitola infatti Astronomia nova, ma in realt parla - com' specificato nel sottotitolo dei movimenti del pianeta Marte ("de motibus stellae Martis") secondo le osservazioni di Tycho Brahe ("ex observationibus Tychonis Brahe"), il quale, in effetti, aveva compiuto un enorme numero di osservazioni dei pianeti. Tutto ci indusse la maggior parte degli studiosi a credere che Keplero avesse semplicemente calcolato le posizioni di Marte osservate da Tycho e le avesse poi congiunte con una linea continua, sino ad ottenere un'ellisse. Ma, naturalmente, la massa dei dati disponibili era talmente

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esorbitante che un'operazione cos diretta non si sarebbe mai potuta fare. Analogamente si riteneva poi che Keplero, osservando le velocit, avesse ottenuto la sua seconda legge, e in modo del tutto simile anche la terza - il che, per, soltanto un'incredibile caricatura del lavoro di Keplero. In realt la situazione era molto pi complicata e Keplero lavor indefessamente con il metodo delle ipotesi, procedendo per tentativi ed errori. Ben sappiamo, infatti, che egli avanz numerose e svariate ipotesi alternative, prima di giungere a quella dell'ellisse. E sappiamo anche che le sottopose a controllo in modo piuttosto complicato, cercando di vedere se spiegavano o meno le osservazioni di Tycho; sennonch, uno dopo l'altro, tutti questi controlli dimostrarono che nessuna di quelle ipotesi riusciva a spiegare realmente le osservazioni di Tycho. Di conseguenza furono tutte scartate. Bisogna dunque ammettere che il metodo effettivo di Keplero era, dunque, proprio quello delle ipotesi e della loro eliminazione o falsificazione: era, come ho detto, il metodo del tentativo e dell'errore. Certo, la sua pratica applicazione, cio il controllo delle ipotesi, era davvero difficile, perch le osservazioni di Tycho erano state fatte dal pianeta Terra, che anch'esso in movimento lungo un'orbita allora sconosciuta. Non si sapeva che quest'orbita era un'ellisse: nessuna ipotesi del genere era mai stata avanzata in precedenza. Ci accadde per la prima volta con il pianeta Marte. Sul conto della Terra, dalla quale erano state effettuate tutte le osservazioni, si sapeva soltanto che ruotava attorno al proprio asse. Ma non se ne conosceva affatto l'orbita come, naturalmente, non si conosceva l'orbita di Marte. Solo dopo aver modificato pi volte le sue congetture Keplero giunse all'ipotesi dell'ellisse, la quale risult funzionare molto bene. Non c' proprio nessuna induzione nel lavoro di Keplero, e l'ipotesi che risult funzionare molto bene non fu dimostrata. Anzi, oggi siamo in grado di affermare che era indimostrabile, giacch, alla fine, con l'aiuto della teoria di Newton, si vide che l'ipotesi dell'orbita ellittica era soltanto una buona approssimazione, non il vero movimento reale, qual quello descritto da una ipotesi migliore, per l'appunto quella newtoniana. Qui ci troviamo di fronte a un importantissimo esempio storico di scienza in cui sono avvenute delle falsificazioni. Questa la vera storia, una storia descritta per la prima volta dal pi grande ammiratore di Newton: William Whewell. 4 Vediamo allora pi attentamente la ricostruzione storica che Whewell ha fatto di tutta questa vicenda. Stando agli studiosi pi autorevoli della vita di Newton, il fisico inglese non lesse mai Keplero: ne aveva solo sentito parlare. Sulla base di questa conoscenza generica di Keplero, di queste voci che allora correvano sulla sua opera, ci si poteva ritenere ragionevolmente giustificati a dire che Keplero aveva lavorato con il metodo induttivo, mentre vero il contrario. Newton ignorava tutto questo, ma Whewell rivolse la sua attenzione a Keplero, lo lesse e questa fu per lui - lo stesso Whewell a dircelo - una lettura affascinante. Whewell, per, era un grande ammiratore di Newton: il suo obiettivo era di giustificare Newton, non solo perch credeva che la teoria di Newton

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fosse vera, ma anche perch era d'accordo con Newton nel ritenere che quest'ultimo l'avesse effettivamente dimostrata sia per via deduttiva sia per via induttiva. Whewell credeva queste cose, nonostante ci che sapeva di Keplero e nonostante la sua consapevolezza che il metodo kepleriano fosse basato sulle ipotesi. Anzi, per giungere l dove voleva arrivare, cio a giustificare Newton, Whewell propose una nuova interpretazione dell'idea di induzione. Questa non sarebbe consistita in una semplice collezione di osservazioni collegate insieme. L'induzione era piuttosto una dimostrazione ottenuta in base all'esperienza, e nient'altro. Una dimostrazione che potremmo conseguire stabilendo, col metodo del tentativo e dell'errore, una ipotesi dopo l'altra, finch non arriviamo ad una ipotesi davvero soddisfacente che spiega tutto. Quest'ultima a sua volta si consoliderebbe cammin facendo, attraverso esperienze e controlli successivi e, se, nel corso del tempo, avr retto a tutti questi esperimenti e controlli successivi, allora diremo che essa stata dimostrata induttivamente: che non pi un'ipotesi, bens una legge o una teoria dimostrata. Inoltre, pur dichiarando che noi archiviamo sempre gli errori fatti, subito dopo Whewell aggiunge che, per, Keplero fu straordinario nel non dimenticare i suoi errori e nell'annotarli tutti, raccontandoci cos l'intera storia. La maggior parte degli studiosi, invece, se anche commettono degli errori, poi amano dimenticarsene, sicch a noi resta solo la conclusione finale, quella proposta in pubblico con senso di piena soddisfazione. 5 L'eccezionalit di Keplero starebbe dunque nel fatto che dei suoi errori non si vergognava affatto. D'altra parte, direi che anche Whewell ebbe un'idea del metodo ipotetico forse migliore di quella avuta da Kant prima di lui. In realt, forse fu proprio Whewell il primo a parlare con tanta chiarezza del metodo ipotetico. Lo penso anch'io. Whewell aveva compreso che il metodo scientifico il metodo per tentativi ed errori, delle ipotesi e delle confutazioni o falsificazioni - anche se lui non lo chiam cos. Un metodo che aspira alla verit, la quale, secondo Whewell, talvolta verrebbe effettivamente raggiunta: se un vero scienziato e un bravo sperimentatore applicano correttamente il metodo, alla fine, secondo lui, potrebbero stabilire la verit, cio dimostrare induttivamente una verit o una teoria. Ma per dare un'idea di come si possa effettivamente giungere a questa dimostrazione induttiva, Whewell propose solo alcune idee, del tutto retoriche. In altri termini, egli si limita a fare appello all'intuizione degli scienziati dell'epoca, senza aggiungere altro. In verit, fa anche appello agli accordi che dovrebbero intercorrere fra una teoria, o una verit stabilita, e le altre osservazioni - accordi da lui chiamati "coincidenze induttive". Si tratta certamente di una idea molto importante; tuttavia, in nessuna pagina dei suoi scritti, assolutamente mai - bene ricordarlo - Whewell sostiene che noi dobbiamo essere critici nei confronti delle nostre ipotesi, sebbene ci sia davvero ovvio. Il perch evidente: per essere critici non dobbiamo dimenticare gli errori, anzi dobbiamo analizzarli bene e imparare consapevolmente da essi - questo mi sembra, d'altronde, l'unico metodo valido per apprendere. Senonch per Whewell il metodo normale della scienza, invece, consisterebbe - stando alle sue descrizioni - nel dimenticarsi gli errori,

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nascondendoli. Solo Keplero - egli dice - non si sarebbe comportato in questo modo. Quindi, in sostanza, Whewell non fu critico nei confronti del metodo da lui descritto, precisamente perch - ripeto - voleva conciliare l'affermazione di Newton di aver dimostrato la propria teoria attraverso l'induzione, con il metodo di Keplero, che era invece il metodo delle congetture e delle confutazioni. In poche parole: Whewell non dice che il cardine di tutta l'impresa scientifica sta proprio in questo: nell'essere critici nei confronti delle nostre stesse ipotesi, come, ovviamente, non dice che persino la teoria pi consolidata pu essere sempre sottoposta a controllo e risultare un giorno sbagliata. Al contrario, egli crede che, se una teoria ben consolidata, allora la si possa considerare dimostrata. 6 Nonostante ci, penso si che si possa ugualmente simpatizzare con Whewell, pensando al tremendo prestigio di cui la teoria di Newton godeva verso la met del XIX secolo. Non solo questione di prestigio: quella di Newton era una meravigliosa teoria, che, in certo senso, sopravvive persino a quella di Einstein. Se la teoria di Einstein ha convinto me come tanti altri, non stato solo perch era una splendida teoria, bens perch tutti i successi e i controlli gi superati dalla teoria di Newton ci permettevano di dire che anche la teoria di Einstein era una buona teoria, che superava con successo i controlli - sebbene le due teorie fossero molto diverse, anzi, in realt, contraddittorie (la qual cosa viene spesso negata). Quanto alle predizioni, infatti, la teoria di Newton faceva le medesime previsioni osservative controllabili della teoria di Einstein. Nella maggior parte dei casi, le differenze osservative fra le due sono nulle; nulle se l'eccentricit dell'ellisse sufficientemente piccola; nulle se la velocit non troppo elevata, ecc. Solo nel caso del pianeta Mercurio c' una differenza, ed una differenza cos incredibilmente piccola (pochi secondi per secolo!) che, in effetti, non valeva nemmeno la pena di fare tanto chiasso su di essa. In breve: le due teorie danno per lo pi gli stessi risultati. Tuttavia, esse si contraddicono, sia pure di pochi secondi per secolo; pertanto impossibile che esse siano entrambe vere. Volendo, si pu dire che la teoria di Newton costituisce un'eccellente approssimazione della teoria di Einstein - ma, in ogni caso, restano in disaccordo, seppure di poco. Inoltre, si discostano anche sotto altri aspetti, in quanto la teoria di Einstein pi ricca di conseguenze. Ebbene, una situazione come questa per me mostra soltanto che entrambe le teorie sono nostre ipotesi. Mi chiedete quale delle due vera? Per quel che ne sappiamo, quella di Einstein pare vera o forse pi vicina alla verit, qualsiasi cosa ci voglia dire. Ma, sulla pura e semplice base delle osservazioni non possiamo dire con certezza che lo sia. Potremmo anche dire che ambedue le teorie, quella di Newton e quella di Einstein, siano false. La teoria di Einstein, per esempio, spiega il movimento di Mercurio meglio di quella di Newton. Ci, tuttavia, non un fatto decisivo, poich si tratta una deviazione cos piccola che, in linea di principio, potrebbe anche essere diversamente spiegata, restando all'interno della teoria di Newton, per esempio ipotizzando delle protuberanze dovute alla rotazione del Sole, che conferirebbero a quest'ultimo la forma di un ellissoide. Ma non qui il caso di proseguire su questa linea. La cosa principale che noi consideriamo le teorie di Einstein come nostre ipotesi, ma chiaramente non

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come ipotesi dimostrate. Lo stesso Einstein, d'altronde, non pretese mai che la sua teoria fosse vera o dimostrata, come invece pensava Newton della propria teoria. Al contrario, in pi di una occasione, afferm che si trattava solo di una approssimazione, di una teoria migliore; come a dire: niente di pi che una buona ipotesi. Ecco cosa mi porta a dire che la teoria di Keplero consisteva di ipotesi, non di leggi dimostrate tramite l'induzione, sebbene tali ipotesi vengano talvolta chiamate proprio cos. Sta di fatto che, secondo la teoria newtoniana, i pianeti si attraggono l'un l'altro e ci porta a certe piccole deviazioni dalle cosiddette leggi di Keplero. Quindi le leggi di Keplero, considerate le premesse induttive delle leggi di Newton, sono invece corrette dalla teoria di Newton. Ci implica che le leggi di Newton dovrebbero venir dedotte da premesse induttive che, per, in effetti, le contraddicono, sebbene di poco. Ritengo, pertanto, che non ci possano essere connessioni logiche tra le cosiddette leggi di Keplero e le leggi di Newton, per cui queste ultime sarebbero conseguenze logiche delle prime. Si tratta di una situazione non proprio identica, ma simile a quella esistente tra la teoria di Newton e quella di Einstein: tutte e tre sono teorie meravigliose, ma non dimostrate, la cui verit, cio, sia stata dimostrata con certezza. Anzi, forse, non sono neppure probabili, contrariamene a quanto sostiene una poderosa tradizione, sviluppatasi sin dai tempi di Einstein e anche prima, che tenta di spiegare l'induzione non come una vera e propria dimostrazione definitiva - perch nelle previsioni scientifiche cui essa porta resta sempre qualche elemento di incertezza - bens come un procedimento che assegnerebbe alle teorie scientifiche un altissimo grado di probabilit, molto vicino ad 1 e quindi alla certezza. Io sostengo invece la possibilit di dimostrare, con una sia pur sommaria ispezione dei termini del problema, che le probabilit di ipotesi di legge come queste sono molto basse, di fatto forse uguali a zero, e comunque mai superiori a 1/2. In sostanza, le leggi scientifiche risultano pi improbabili che probabili. Di conseguenza, se certo che l'induzione ben lontana dal costituire una dimostrazione, altrettanto certo che la probabilit non pu essere un sostituto della mancante dimostrazione induttiva, perch potrebbe riuscirvi solo se fosse molto vicina a 1. In realt, abbiamo un risultato ancora pi significativo, vale a dire che il calcolo della probabilit funziona in modo opposto all'induzione. Di questo, per, non il caso di discutere ora. 7 Quali riflessioni metodologiche si possono ricavare dai casi storici che abbiamo preso in esame? Diciamo che al discorso sulla dimostrazione, sia essa vista come conclusiva o inconclusiva, preferisco sostituire il discorso sul metodo critico, che consiste nel tentativo di criticare le nostre teorie, poich esse vanno considerate sempre e comunque incerte. Dobbiamo, in altri termini, applicare sempre il metodo che consiste nel tentativo di eliminare tutti i possibili errori, scoprendo dov' che la teoria potrebbe essere falsa e sotto quali circostanze potrebbe venir confutata, anche se poi, magari, seguiteremo comunque a sperare che, a dispetto di queste circostanze, essa non sar confutata. Ma questa pu essere solo una nostra speranza personale, mentre i controlli dovranno essere i pi severi che si possano immaginare, come se noi stessi fossimo i peggiori nemici delle nostre creature, ovvero delle nostre teorie. Tuttavia, nel metodo per tentativi ed errori, esiste una differenza cruciale tra il livello

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umano e quello biologico; ovvero, come mi sono espresso altrove, c' un solo passo dall'ameba ad Einstein, ma c'. Sia l'ameba che Einstein, infatti, lavorano con lo stesso metodo, che quello dei tentativi e degli errori, ma c' una caratteristica distintiva in Einstein: egli critico nei confronti della propria teoria. A dire il vero, egli afferm esplicitamente di non considerarsi completamente soddisfatto della propria teoria della gravitazione, e ne forn le ragioni. Non a caso, spese buona parte della sua vita (pressappoco a partire dal 1916 - anno in cui venne formulata la sua teoria della gravitazione, la cosiddetta teoria generale della relativit - sino al 1952 circa, che fu l'anno della sua morte) cercando di trovare una versione migliore della teoria generale della relativit. Il che dimostra come egli sia stato per tutta la vita severamente critico verso le sue ipotesi che avrebbe volentieri rimpiazzato con altre migliori. L'ameba certamente incapace, invece, di un simile atteggiamento critico: qui che sta tutta la differenza. In altre parole, l'atteggiamento critico caratterizza il nostro modo tipicamente umano di adattarci all'ambiente, che potremmo chiamare il modo scientifico di realizzare il nostro compito biologico principale.

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Qui importante notare che questa critica deve essere praticata nell'interesse esclusivo della ricerca della verit, che deve mirare alla scoperta delle teorie false, cio degli errori, solo per eliminarli e per imparare da essi come avvicinarsi di pi alla verit. Questo atteggiamento critico tipicamente umano ci possibile solo perch noi abbiamo il linguaggio. il nostro linguaggio, infatti, a permetterci di formulare le nostre teorie come un qualcosa che sta fuori di noi, fuori della nostra testa: qualcosa di oggettivo che sta, per cos dire, qui in mezzo a noi, ad esempio in questo libro. qui che possiamo trovare la teoria di cui stiamo discutendo e che critichiamo, cui guardiamo come se fosse un oggetto da migliorare. Per arrivare a tanto con le teorie, dobbiamo essere in grado di formularle, sia verbalmente, sia per iscritto, sia, meglio ancora, con parole stampate. Solo cos, quando sono state scritte e stampate, le teorie possono essere sottoposte al vaglio di un ampio numero di persone, ciascuna delle quali, in linea di principio, pu criticarle. grazie alla loro oggettivit che le nostre teorie possono venir criticate - ci che l'ameba non potrebbe mai fare. Come l'ameba, noi risolviamo i nostri problemi e ci adattiamo all'ambiente. Ma, grazie al linguaggio, il nostro modo di procedere diventato consapevolmente critico: esso ci permette di sottoporre le nostre teorie a una critica oggettiva, e, nel contempo, ci offre l'importantissima possibilit di lasciarle morire al posto nostro, come ad esempio fece Keplero. Gli animali, invece, muoiono se sono portatori di teorie false circa il loro ambiente. Con la loro morte la teoria falsa viene eliminata. Noi, invece, abbiamo il privilegio di poter eliminare le teorie senza morire, anche se tuttora ci sono persone che muoiono assieme alle loro teorie - non per difenderle (e, sin qui, niente da obiettare: chi mai crede veramente, infatti, che vi sia qualcosa per cui valga la pena morire?), bens a causa loro. Un tipico esempio, tratto dalla lettura di un libro sull'India, quello di una comunit indiana che viveva nella giungla e credeva nella sacralit di ogni forma di vita, tigri comprese. Ovviamente i membri di questa comunit furono sterminati dalle tigri: morirono con la loro particolare teoria. Ma qualcosa di simile si potrebbe forse affermare - basta guardare i loro scritti - di Baldwin e Chamberlain, che in effetti morirono a causa, almeno in parte, di un profondo sconforto. Morirono infatti con la loro teoria, secondo la quale la tigre Hitler non sarebbe stata una vera tigre. Ci port alla catastrofe e li fece morire nello sconforto e nel dolore, assieme alle loro personali teorie politiche. 8 In conclusione, professor Popper, Lei non scorge proprio alcun ruolo per l'induzione? Non riesco a scorgere alcun ruolo per l'induzione. L'induzione un mito. Esiste un solo metodo col quale procedere, ed quello, ripeto, per tentativi ed errori, che equivale al proporre ipotesi e a controllarle criticamente. Non abbiamo altri mezzi e, sebbene per questa via, se siamo fortunati, potremmo anche arrivare a teorie vere, mai potremo tuttavia conseguirne la certezza. C' una netta e fondamentale distinzione, infatti, tra teorie vere e teorie certamente vere: il secondo tipo di teorie qualcosa che non possiamo assolutamente conseguire. La vera certezza non esiste per noi. Molto spesso conseguiamo teorie vere, anzi: ci sono tante teorie non troppo astratte che, in effetti sono, direi, praticamente vere con certezza.

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1. Riassumi le vicende narrate nellintervista in un testo di 30 righe. Da: http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?tabella=abstracts&id=79

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Intervista a Popper (2)


1 Professor Popper, Lei molto conosciuto per le sue idee sul metodo scientifico, che sono diametralmente opposte alla concezione, ancora oggi prevalente, secondo la quale il metodo scientifico consisterebbe nel metodo induttivo. Pu illustrarci le Sue vedute sul metodo della scienza? Secondo la mia personale concezione del metodo scientifico, non c' effettivamente alcun bisogno di ricorrere all'induzione o a cose del genere. Per illustrare il metodo che io considero il vero metodo che usiamo per indagare la natura, partirei da Kant, il quale nella seconda edizione della Critica della ragion pura, pi esattamente nella "Prefazione" alla seconda edizione, dice cose che trovo eccellenti. Cito: "Allorch Galilei fece rotolare lungo un piano inclinato le sue sfere, il cui peso era stato da lui stesso prestabilito, e Torricelli fece sopportare all'aria un peso, da lui precedentemente calcolato pari a quello di una colonna d'acqua nota [...] una gran luce risplendette per tutti gli indagatori della natura. Si resero allora conto che la ragione scorge soltanto ci che essa stessa produce secondo il proprio disegno, e compresero che essa deve procedere innanzi coi princpi dei suoi giudizi secondo leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle proprie domande, senza lasciarsi guidare da essa, per cos dire, colle dande. In caso diverso le nostre osservazioni casuali, fatte senza un piano preciso, non trovano connessione in alcuna delle leggi necessarie di cui invece la ragione va alla ricerca ed ha impellente bisogno" (Critica della ragion pura, B XII-XIII, tr. it. Torino, UTET, 1967, p. 42). una citazione abbastanza lunga, ma importante soprattutto l dove Kant parla di Galilei e Torricelli e degli esperimenti da loro architettati, affermando che i filosofi della natura - cio quelli che noi oggi chiamiamo fisici - compresero che noi dobbiamo costringere la natura a rispondere alle nostre domande, liberamente scelte da noi, piuttosto che aggrapparci alle gonne di madre natura e aspettare che sia lei a guidarci. Osservazioni fatte a casaccio, senza un piano elaborato in anticipo, non possono essere infatti connesse da leggi, mentre sono proprio le leggi ci di cui la ragione va alla ricerca.

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Questa concezione l'ho chiamata "teoria del faro", in quanto siamo noi a gettare, per cos dire, dei fasci di luce sulla natura, ed del tutto differente da quella che suppone che sia la natura a darci informazioni secondo il suo piacere. In breve, il metodo che tale teoria prefigura il metodo ipotetico. Non per altro, la mia precedente citazione da Kant dimostra quanto bene egli avesse compreso che dobbiamo presentarci davanti alla natura armati delle nostre ipotesi, cercando risposte alle nostre domande, o, meglio ,ai nostri problemi. Infatti, noi lavoriamo sempre con ipotesi e con problemi. Senza il loro aiuto, potremmo solo fare osservazioni casuali, fuori da qualsiasi piano, incapaci pertanto di condurci alla formulazione di una legge naturale. In altre parole, gi Kant vide con estrema chiarezza che la storia della scienza ha confutato quell'idea del metodo - che un dogma infondato - stando alla quale noi dovremmo partire dalle osservazioni e derivare poi da esse le nostre teorie. In realt, facciamo qualcos'altro: partiamo da un problema, con l'aiuto di un'ipotesi. questo - io credo - il punto decisivo. 2 Ma, se questo il metodo della ricerca scientifica, non potremmo spingerci ancor oltre, affermando che tutti coloro che apprendono qualcosa - anche la gente comune e persino gli animali o i bambini - di fatto adottano esattamente lo stesso metodo ipotetico che usano gli scienziati? Possiamo cio sostenere che esso sia il metodo con cui in generale si arriva ad apprendere? esattamente ci che penso: cio che il metodo per tentativi ed errori, il metodo ipotetico-deduttivo, sia un metodo universale. Se osserviamo un coleottero alla ricerca di cibo, lo vediamo muovere tutt'intorno le sue antenne: ogni movimento corrisponde all'ipotesi di poter trovare cibo, o qualsiasi altra cosa stesse cercando, in una certa direzione; quando poi muove le sue antenne in un'altra direzione, questa una nuova ipotesi, cio che quanto esso cerca si trovi in quest'altra direzione, che esplora, come se avvertisse che quella la via giusta per trovare qualcosa. Talvolta ho fatto ricorso alla famosa storiella dell'uomo nero che cerca in una stanza buia un cappello nero che potrebbe non essere l. Che cosa pu fare? Pu solo muovere la mano in una certa direzione e vedere se per caso il cappello l. Oppure muovere l'altra mano in un'altra direzione: ognuna di queste azioni corrisponde a un'ipotesi: precisamente che il cappello nero si trovi proprio in un punto o nell'altro. Il coleottero, in altre parole, deve essere attivo: non pu aspettarsi che quel che cerca gli venga incontro o gli si mostri da solo. Tutto ci che pu fare cercare attivamente, sfruttando il movimento. Quest'ultimo, infatti, estremamente importante: ancora pi importante della vista. Ad esempio, un cieco, muovendosi, pu trovare degli oggetti. Anche il guardarsi intorno equivale a muovere gli occhi in certe direzioni, che sono quelle in cui si cerca. La storiella dell'uomo nero rappresenta dunque bene la situazione in cui si trova chiunque non conosca gi, ma voglia conoscere. La stessa situazione vale per tutti noi quando cerchiamo qualcosa e, soprattutto, per gli scienziati. Anche i bambini che imparano la loro lingua madre, si comportano sostanzialmente nello stesso modo, ovvero per tentativi. Fanno delle congetture e, quando sbagliano, vengono corretti dalle persone che insegnano loro la lingua. Da bambini, infatti, tutti abbiamo dovuto imparare la lingua dagli adulti, in quanto essa esisteva gi e non c'era altro da fare che impadronirsene. Per riuscirvi, bisogna prima di tutto imparare a

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produrre i suoni. Solo successivamente - e qui cominciano i primi tentativi e la conseguente selezione - proviamo a riprodurre precisamente i suoni emessi dai genitori - o comunque dagli adulti che ci parlano attorno. Nel cercare di riprodurre questi suoni, commettiamo degli errori che, in parte, correggeremo da soli, in parte verranno corretti dalle persone con le quali parliamo, che ci ripetono in forma esatta le parole che stiamo tentando di pronunciare. Altrettanto vale per lapprendimento delle regole della grammatica. Immaginiamo un bambino che stia imparando il participio passato dei verbi. Sa gi che il participio del verbo "sedere" "seduto" e del verbo "vendere" "venduto"; pertanto, dinanzi al verbo "ledere", dir "leduto" (invece di "leso") e dinanzi al verbo "fondere" dir "fonduto" (invece di "fuso"). Gli adulti aiutano i piccoli a eliminare questi errori. Il nostro modo di apprendere mediante tentativi ed errori consiste proprio in questo, vale a dire nell'eliminare gli errori commessi. I tentativi sono ipotesi e l'eliminazione degli errori il modo in cui ci adattiamo, nel nostro esempio, alla lingua esistente oppure, come avviene in altri casi, all'ambiente circostante, e cos via. In tutti i casi, si parte sempre proponendo soluzioni ipotetiche e si passa quindi alla prova di queste ipotesi, al loro controllo attraverso la prova. Non a caso, l'ho chiamato il metodo per tentativi ed errori, giacch qui l'errore gioca un ruolo molto importante: proprio l'errore, infatti, a farci eliminare determinate ipotesi. Anche per questo, non solo un metodo fra tanti, bens il metodo per risolvere tutti i problemi in generale: quando si ha un problema, ci si riflette sopra, si ha un'idea, un'ipotesi che va sottoposta a controllo. Questo pu risultare negativo: in tal caso, dobbiamo proporre una nuova ipotesi e sottoporla ancora a controllo, che potr essere a sua volta negativo, e cos via, finch non troviamo un'ipotesi che regga alla prova. Ovviamente, se siamo fortunati! Ripensiamo al coleottero: l'eventuale insuccesso delle sue ricerche puntualmente espresso dal perdurante movimento delle sue antenne. Cos pure nel caso della storiella dell'uomo nero: forse costui trover davvero un cappello e, nell'indossarlo, penser: "questo deve essere il mio cappello nero". Tuttavia non potr esserne ancora certo: nel buio di quella stanza tale potrebbe apparire, infatti, anche un cappello bianco. Pertanto, il metodo di procedere per congetture, porta in un certo senso solamente ad ipotesi, o, forse, ad ipotesi migliori. Il movimento fondamentale anche nel caso dell'apprendimento della lingua. Qui i movimenti riguardano la lingua, le labbra e cos via. Solo con il tempo apprendiamo che si tratta di movimenti di un genere diverso da quelli che facciamo con le mani, sebbene anch'essi costituiscano, comunque, delle ipotesi conoscitive sull'adeguatezza di quei suoni, in quanto reazioni appropriate a ci che i genitori dicono e indicano. 3 Qualcuno per potrebbe sostenere che un metodo del genere non abbia molto a che vedere con la scienza, che dopotutto l'oggetto della nostra conversazione. Esso non sembra affatto una procedura particolarmente metodica: noi non pensiamo, infatti, a un coleottero, e nemmeno a un bambino, come ad animali eminentemente razionali, che aggrediscono i loro problemi mediante un pensiero metodicamente strutturato ed un piano ben organizzato. Di loro si direbbe, piuttosto, che si affannano sui problemi sino a ottenere graduali miglioramenti, ma solo se - come ha detto anche lei - sono fortunati! Cos',

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dunque, che caratterizza in modo specifico la scienza? Innanzitutto, se siamo scienziati sul serio, i nostri problemi ce li scegliamo con cura tra quelli che abbiamo ricevuto dalla cosiddetta situazione problematica della scienza. In altri termini, generalmente partiamo da problemi gi affrontati da altri. A volte, invece, capita la fortuna dimbattersi in un problema completamente originale: un'esperienza davvero molto eccitante, che rappresenta di per s una specie di scoperta. Vi dunque qualcosa di inconscio nel tentativo di formulare, di non mollare od inseguire un problema. Va detto, naturalmente, che molto spesso il problema da noi affrontato cambia aspetto proprio mentre ci stiamo lavorando: capita allora di rendersi conto che non esattamente il problema che dovremmo indagare, o quello pi promettente, e cos via. In realt, persino nella scelta del problema noi adottiamo il metodo per tentativi ed errori. A volte, lo ricaviamo dalla nostra esperienza di insegnamento. Spesso capita poi, come s' detto, che il problema muti mentre ci stiamo lavorando sopra: cos lo capiamo meglio, sempre procedendo per tentativi ed errori. L'altro elemento che, a mio avviso, realmente decisivo nella scienza - e molto spesso anche in ambito prescientifico - l'atteggiamento mentale di critica consapevole. Il coleottero non ama sbagliare, non ama muovere le proprie antenne verso il muro che impedisce la sua esplorazione. Il vero metodo critico, ossia consapevolmente critico, consiste, invece, nel proporsi di stabilire se un'ipotesi non sia per davvero errata. Abbiamo, dunque, un problema; formuliamo un'ipotesi e cerchiamo di scoprirne i punti deboli, sempre procedendo per tentativi ed errori. Cos vi riflettiamo su e ipotizziamo certe situazioni in cui, forse, la nostra ipotesi non funzioner. Poi tentiamo di realizzare tali circostanze attraverso esperimenti opportuni. Riusciamo cos a scoprire se la nostra ipotesi non sia, per caso, estremamente debole. Come? Lasciando che condizioni sperimentali sempre nuove mettano alla prova la nostra ipotesi, "torturandola" - per cos dire - attraverso tentativi ed errori. Ecco in cosa consiste il metodo critico che esiste, credo, solo a livello umano: nel mettersi alla ricerca dei propri errori attraverso un severo e consapevole controllo. 4 Dunque, nella scienza, come in altri ambiti, noi andiamo alla ricerca della verit attraverso l'eliminazione degli errori. Ma in quale senso preciso il metodo per tentativi ed errori legato alla ricerca della verit? Noi aspiriamo alla verit, e poich non possiamo mai essere sicuri di averla davvero trovata, andiamo alla ricerca dei punti deboli delle nostre ipotesi, cercando di eliminare i possibili errori, i quali ci mostrano che quanto abbiamo raggiunto non la verit, che la nostra ipotesi non vera, ma falsa. In altri termini, tentiamo di falsificare le nostre stesse ipotesi, cio di dimostrarne la falsit, di confutarle. In questo consiste il metodo consapevolmente critico. Lo scienziato serio, che sempre critico, non assume un'ipotesi sperando che sia vera, ma con la determinazione di controllarla per stabilire se non sia invece falsa. 5 Ma alcuni potrebbero obiettare che piuttosto strano parlare di verit quando si tratta di indovinare per mezzo di ipotesi, perch tentativi del genere vengono considerati di solito speculativi e non conclusivi, mai comunque veri.

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Se ipotizzo che domani piover, questa ovviamente una congettura incerta. Pu accadere che domani piova, nel qual caso la congettura sar vera; ma pu anche accadere che domani non piova, e allora la mia ipotesi sar falsa. Qui tutto molto semplice, dall'inizio sino al momento in cui la congettura cessa di essere tale: domani, infatti, o piover o non piover, ma, prima di allora, l'ipotesi rester incerta. Consideriamo ora un'ipotesi pi generale: per esempio, quella secondo la quale "piove sempre quando io ho qualche giorno di vacanza". Questa ipotesi, non solo un'ipotesi pi generale, ma contiene in s il termine "sempre". davvero molto difficile che io, controllandola, possa stabilire che vera; ma, ci nonostante, potrebbe anche darsi che piova davvero ogni qualvolta ho qualche giorno di vacanza. Anche ammesso che ci sia vero, l'ipotesi in quanto tale non lo sar ugualmente, perch talmente generale da non potersi confermare come vera dopo un numero finito qualsiasi di osservazioni (una, due, tre, non importa quante), cessando di essere una semplice congettura. Esiste, dunque, una differenza tra ipotesi (e tentativi) che consistono di asserti singolari e altre ipotesi che hanno un carattere pi universale. Ma, per l'appunto, quel che cerchiamo nel fare scienza sono leggi generali, ipotesi universali. 1. Spiega cosa intende Popper con "teoria del faro" 2. Qual stato il merito di Kant? 2. In questo contesto definisci e indica l'uso delle seguenti parole ed espressioni: ipotesi; metodo ipotetico-deduttivo; esperienza; controllo; metodo critico.

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Intervista a Popper (3)


Il problema della pace perpetua nel mondo Intervista a Sir Karl Popper, di David Miller La filosofia politica Professor Popper quale il significato per l'uomo della dottrina dell'indeterminismo in fisica? In altri termini: il nostro futuro e quello della societ sono davvero aperti nello stesso identico modo in cui lo il mondo fisico per questa teoria ? In realt, quando parlo di "futuro aperto", ho in mente soprattutto l'uomo e la societ e questa mia tesi intendo rivolgerla soprattutto contro una certa concezione che io chiamo storicismo. Secondo tale concezione il futuro non sarebbe aperto e noi potremmo effettivamente prevederne il corso. Lo storicismo asserisce infatti che esistono leggi dello sviluppo storico, che se conosciute permettono di prevedere, a grandi linee ci che accadr. Gli storicisti pi importanti della nostra epoca sono i marxisti. La teoria marxista sostiene che vi sar necessariamente uno sviluppo verso una societ senza classi, che si dimostrer meravigliosa. Questo sviluppo comporta per un passaggio attraverso la dittatura del proletariato, preceduta a sua volta dalla rivoluzione sociale in tutto il mondo. In tal modo, con lo Stato socialista, ovunque avremmo il paradiso di una societ senza classi. Nel suo famoso libro, Il capitale, Marx, dopo aver analizzato le tendenze evolutive generali della societ umana, prese in esame soprattutto quelle inerenti alla societ capitalista e su questa base svilupp le sue predizioni. Il fondamento teorico della sua concezione va rintracciato nel determinismo. Ci significa che l'idea basilare di Marx che noi non siamo liberi. A dire il vero, per Marx neppure i capitalisti sono liberi, bens presi, al pari di qualsiasi altro individuo, dentro il meccanismo della societ e del suo sviluppo storico. Mentre Lei, Professor Popper, di parere ben diverso. Infatti, contro siffatta concezione io affermo che il futuro aperto nel senso che in ogni momento vi sono infinite possibilit di sviluppo per l'immediato futuro. Alcune di queste possibilit sono molto remote e si pu dire che giochino un ruolo davvero irrilevante; ma altre sono molto reali - e non sono poche! Gli eventi futuri dipenderanno in parte da fatti accidentali, in parte da quel che di fatto gi esiste. Per secondo gli storicisti i fatti accidentali, anche quando si verificano, non influenzano comunque la direzione fondamentale della storia.

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Vero. Ma contro questo determinismo si potrebbe obiettare che gli eventi accidentali sono talvolta complessi e importanti, anche se, naturalmente, il loro peso maggiore nelle societ pi piccole. Cosa intendo infatti per "eventi accidentali"? Ad esempio, quel che capit nella guerra del Peloponneso tra Atene e Sparta, un episodio storico le cui conseguenze avvertiamo ancora oggi, poich l'esito di quella guerra cambi il destino della democrazia in Grecia. Ebbene, l'andamento della guerra del Peloponneso risent certamente dell'accidentale scoppio della peste in Atene. Durante l'assedio la peste uccise Pericle, il faro politico ateniese, sicch, da quel momento, la citt rimase senza una guida davvero forte. A questo proposito, vorrei ricordare un libro molto interessante: Ratti, pidocchi e storia, che, attraverso la storia del tifo, illustra quale forza tremenda le malattie abbiano sempre avuto sul corso degli avvenimenti. Qual il punto di maggiore debolezza del modo di intendere la struttura sociale proposto dagli storicisti? Lo storicismo assume come date una gran variet di cose, che sono in realt sicuramente importanti, per andrebbero analizzate. La questione di fondo sta, a mio avviso, nell'essere consapevoli dell'esistenza di molteplici possibilit aperte. Tra queste figura anche la nostra capacit di influire su quel che avviene, attraverso le nostre speranze, le nostre valutazioni e le nostre scelte. Tutte queste cose non sono perfettamente prevedibili. Si tratta dunque di distinguere tra quel che una teoria storicosociale pu effettivamente prevedere e le concezioni religiose della prevedibilit assoluta sostenute da molti storicisti. Ma c' anche dell'altro. Quando si predicono certe cose, si finisce con l'alterare la situazione di partenza, perch qualcosa lo si esclude sempre, dando maggior peso a qualcos'altro. Capita pertanto che, mentre talvolta le nostre previsioni possono diversamente facilitare il prodursi dell'effetto previsto, in alte occasioni potranno spingere invece i nostri avversari a sforzarsi d'impedire in tutti i mondi che ci accada. In ogni predizione sono implicite entrambe le possibilit (cos, non affatto escluso che una previsione non conduca all'effetto opposto rispetto a quello previsto). Si pu dire anche che le dottrine della pianificazione scaturiscano dalle concezioni storicistiche ? S, verissimo e di grande interesse. In effetti lo storicismo conduce a quella che si potrebbe chiamare pianificazione su larga scala: visto che conosciamo il futuro, pianifichiamolo. In un mio vecchio libro, Miseria dello storicismo - cos intitolato per allusione a un famoso libro di Marx, Miseria della filosofia - avanzai la critica a questa pretesa dello storicismo marxista. Inoltre, nei due volumi de La societ aperta e i suoi nemici, ho cercato di spiegare come la politica sia in un certo senso simile all'ingegneria sociale, poich essa cerca di raggiungere certi fini mettendo in opera determinati mezzi. Ci nonostante, la politica non potr mai essere quel tipo di pianificazione del futuro su scala globale che gli storicisti hanno in mente; essa dovr contentarsi piuttosto di

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essere una forma di ingegneria che ho chiamato "a spizzico": proprio a sottolineare la relativa modestia di ci che possiamo fare nell'ingegneria sociale. Ci che conta in questa idea che, soltanto se facciamo certe cose, cercando di soddisfare un certo bisogno sociale per mezzo di una determinata misura politica, solo allora si potr constatare se, per caso, le nostre misure non portino a un risultato di fatto opposto a quel che intendevamo conseguire. Ecco perch andrebbero fatti unicamente dei tentativi modesti. Ma sia chiaro: tentativo modesto non significa necessariamente piccolo; vuol dire per che non dobbiamo mai farci catturare da una ideologia totalizzante, ingurgitandola, mettendoci al suo servizio e costringendo la gente ad accettarla a sua volta, e cos via, fino a diventare completamente incapaci di liberarcene. Se, invece, vogliamo fare riforme anche importanti, come quella del parlamento, o dei tribunali, o delle istituzioni finanziarie, sar opportuno ricorrere all'ingegneria a spizzico, il che significa non farle tutte insieme, perch altrimenti non potremmo vedere ci che effettivamente producono, e si confonderebbero le cause con gli effetti. L'espressione "utilitarismo negativo" che compare in Miseria dello storicismo, vuol dire che dovremmo soprattutto individuare e correggere le cose sbagliate ? La cosa pi facile sempre identificare i mali, visto che nessuno sa effettivamente quale sia il bene. Quindi, anzich cercare d'instaurare il bene perfetto, a rischio di rendere l'umanit del tutto infelice, faremmo meglio a combattere i mali che abbiamo sotto gli occhi. Del resto, l'utilitarismo, come si sa, consiste nell'idea di conseguire la massima felicit per il maggior numero di persone possibile. Ebbene: io ritengo che, a tal fine, si debbano in primo luogo eliminare le disgrazie pi grandi, poi quelle un po' meno grandi, e cos via. Questo esattamente il contrario dell'utopismo, ossia dell'aspirazione a costruire il paradiso in Terra. In realt, molto gi stato fatto in questa direzione utilitaristica e antiutopica, solo che la gente non se ne rende conto, perch tende a prendere qualsiasi miglioramento sociale per garantito - il che poi finisce per ostacolare il miglioramento sociale stesso. Io penso che a suscitare una autentica rivoluzione sociale siano stati l'aspirapolvere e, soprattutto, la lavatrice. Questa rivoluzione ha toccato davvero tutti: uomini e soprattutto donne, fornendo una libert che prima godevano solo pochi. Alcuni per considerano questi beni di consumo piuttosto espressione di valori borghesi, sostanzialmente superflui.

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Cose veramente superflue potranno anche essercene, non lo nego; ma sono questi i beni personali che si associano all'idea della libert. Qualcuno potrebbe far osservare, invece, che i valori borghesi, sebbene comportino maggiore libert personale, certamente non portano sempre alla felicit. Essi dunque non dovrebbero essere accettati in modo acritico. Per tutta risposta vorrei ricordare che l'"apertura" del futuro va intesa, nel suo senso pi ampio, anche come libert di scegliersi quei valori ritenuti importanti per s e la propria vita. Per questa via giungiamo alla questione dell'origine dei valori. La valutazione caratteristica della vita, sin dalle sue prime origini. Tutti gli organismi viventi risolvono problemi, ricercando qualcosa di meglio della loro situazione del momento. Ma l'idea di miglioramento, in realt, richiama implicitamente quella di valore, di valutazione. Cos, sin dagli inizi, questi valori si sono evoluti insieme con la vita. E uno dei pi grandi, che tutti gli esseri viventi hanno caro, la libert: la libert di azione, la libert di migliorare la propria situazione. Il futuro aperto non solo perch non possiamo predire quel che accadr, bens anche perch gli avvenimenti saranno influenzati da noi e dai nostri valori. I valori sono nostre invenzioni - e spesso grandi invenzioni! Ma non sono invenzioni arbitrarie. Tuttavia, com' ovvio, anche della libert si pu abusare. Infatti, il problema fondamentale della vita sociale mi sembra proprio quello di far s che - come per primo cap Kant - ognuno abbia tanta libert quanta compatibile con la libert degli altri. In altri termini, la libert dovrebbe essere pi o meno uguale per tutti. Per questo la convivenza pacifica implica una certa restrizione della libert di ciascuno, perch tutti possano del massimo grado di libert concepibile nella convivenza sociale. Ovviamente, per riuscire davvero a conseguirlo, oltre alla pace interna, che comunque viene sempre al primo posto, anche la pace esterna avr un'immensa importanza. Infatti, solo se avremo conquistato la pace tra le nazioni, potremo liberarci del problema militare, dalla mancanza di libert determinata dalla crescita degli armamenti. La paura scatena il senso di insicurezza, che a sua volta conduce a crescenti limitazioni delle libert. Kant era ben consapevole che, se la sua idea di libert fosse stata abbracciata e avesse vinto, ci avrebbe significato la pace sulla terra. Ecco perch, tra altre cose, scrisse un libro sulla pace perpetua. Il futuro aperto DOMANDA N. 1 Il titolo della nostra odierna conversazione reca: il futuro aperto. Che cosa intende con questa affascinante espressione e quali sono, se cos si pu dire, i suoi obiettivi polemici? L'idea molto semplice. In ogni momento ci sono cose possibili e cose invece impossibili. L'ambito delle possibilit stupendamente grande. Per esempio, Gorbaciov

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pu rimanere al potere, come presidente della Russia, diciamo per i prossimi sei anni, ma questo pu anche non accadere. Ed esistono molte possibilit del genere e queste possibilit sono del futuro. Le possibilit sono possibilit aperte e il futuro , pertanto, aperto. Il tuo futuro aperto, il mio futuro aperto. Certo, il mio futuro meno aperto del tuo, poich io ho 87 anni; tuttavia io faccio ancora le mie scelte e ho ancora, penso, la giusta sensazione che quanto mi capiter domani dipende in parte da me stesso. Il futuro aperto e pu in parte venir modellato da noi stessi. infatti una delle mie pi radicate convinzioni quella per cui il nostro mondo attuale davvero molto migliore di qualsiasi altra epoca della storia passata e che tutto questo sia dovuto in misura davvero considerevole ai nostri sforzi. A questa ipotesi si contrappone la concezione deterministica. Essa pu venir formulata nella maniera pi semplice dicendo: Dio onnisciente, conosce ogni cosa, e dunque ogni cosa gi stabilita e determinata. Dal momento che Egli sa cosa accadr domani, gi stabilito che questo o quello, e nient'altro, avr luogo. Io invece difendo con forza l'idea secondo cui la concezione deterministica falsa, difendo l'idea che il mondo aperto, che il futuro aperto. ben vero che la concezione deterministica una concezione molto antica, gi discussa al tempo dei Greci, e incentrata sul contrasto fra la potenza degli dei e l'impotenza o la debolezza dell'uomo. Questa deprimente visione venne accantonata con grande sforzo - naturalmente non da tutti - con Lucrezio, che nel suo famoso poema De rerum natura cerc di liberare le menti degli uomini dalla paura degli dei. Ma la dottrina dell'onniscienza divina produsse anche una paura diversa, ovvero la convinzione che il nostro destino sia determinato. Siffatta idea particolarmente forte nell'islamismo, mentre nella fede cristiana coesistono una visione deterministica - impersonata da Calvino - e una visione incentrata invece sulla libert dell'uomo - quella di Erasmo. Con l'avvento della scienza moderna si impose poi la teoria fisica newtoniana, in base alla quale si potevano predire con un altissimo grado di precisione i movimenti futuri delle stelle. Questo grande risultato di Newton condusse all'adozione di una concezione scientifica del determinismo. Da un punto di vista filosofico, Kant comprese immediatamente che la teoria newtoniana una teoria deterministica; allo stesso tempo si rese conto che essa era fatale per noi. Kant capiva che in un mondo deterministico non esiste spazio alcuno per l'azione umana libera e responsabile. E questo contrasto tra l'idea della morale e la concezione di un universo newtoniano deterministico, che Kant fece propria, port effettivamente ai grandi problemi - in un certo senso insolubili - della sua filosofia, che vede contrapporsi il mondo dei fatti e il mondo morale delle azioni e della responsabilit individuale. DOMANDA N. 2 Quarant'anni dopo Kant, Laplace svilupp la sua teoria rigorosamente deterministica, che postula un'intelligenza simile a quella umana, ma molto pi possente, la quale, con l'aiuto della teoria newtoniana, disponendo di tutte le informazioni necessarie, potrebbe predire in anticipo, date le condizioni iniziali, tutte le posizioni e i movimenti delle particelle dell'intero universo. Quali ragioni si possono opporre a questa dottrina? La dottrina del determinismo scientifico, quale venne sviluppata a partire da Laplace, , a mio avviso infondata, e ho cercato di dimostrarlo. Ho lavorato intorno a questo problema per molti, molti anni. Me ne occupai per la prima volta nel 1950, con una conferenza all'Universit di Princeton dal titolo L'indeterminismo nella fisica dei quanti e nella fisica classica

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, una conferenza alla quale intervennero - lo ricordo con orgoglio - Albert Einstein e Niels Bohr. In generale si usava contrapporre la fisica classica - determinista - alla teoria fisica quantistica, considerata, come fu sottolineato per la prima volta da Heisenberg, indeterministica. L'intento della mia conferenza era dimostrare che neppure la teoria fisica classica veramente deterministica. Il cosiddetto determinismo scientifico della teoria classica dovrebbe piuttosto venir chiamato una teoria prima facie deterministica. Essa appare deterministica ad una prima ispezione, ma se l'esame viene condotto pi a fondo, allora essa si rivela non scientificamente deterministica: ossia, essa non tale da permettere di predire per principio il futuro. Da questo punto di vista il grande conflitto fra deteminismo del mondo fisico ed esigenze della morale, quale si era delineato nel sistema kantiano, viene a cadere. Per confutare il determinismo della teoria fisica classica ho proposto due tipi di argomenti. Il primo era questo: solo se assumiamo che l'intelligenza super-umana di Laplace sia fuori del mondo, nel senso che non necessiti di alcuna informazione su di esso, solo allora possiamo dire che il mondo sarebbe prevedibile in linea di principio. Se per noi sostituiamo questa super-intelligenza con un computer o un predittore ci accorgiamo che il mondo non prevedibile in linea di principio. E ci vale non solo per un mondo aperto, ma anche per un sistema chiuso. Se il mondo non un sistema chiuso, esso, ovviamente, non prevedibile, per la semplice ragione che nuovi elementi entrano di continuo in esso, cos come ne escono. Ma anche nell'ipotesi di un mondo completamente chiuso dobbiamo escludere che esso sia prevedibile, assumendo che noi in qualche modo dobbiamo interagire con esso per guadagnare le informazioni necessarie e fare le nostre previsioni. Lo si pu dimostrare con esperimenti molto semplici. Consideriamo questa stanza. Ora, io cerco di rappresentarla disegnandone una mappa, riportando tutti i corpi in essa presenti sulla mappa. In tal modo costruisco, diciamo cos, un modello del mondo, o una mappa del mondo: il mondo questa stanza. Chiuse le porte, chiuse le finestre, niente pu entrare o uscire. Il mondo chiuso e io cerco ora non di predirlo - cosa che troppo difficile -, ma unicamente di fissarlo disegnandone una mappa, facendone un modello. Ora, per, nel momento in cui includiamo la mia mappa, che qui in questa stanza, tra i corpi presenti nella stanza e che devono venir rappresentati nella mappa, ci accorgiamo allora che il mio compito - consistente nel descrivere il mondo - infinito e che non pu mai venir completato. Io non potr mai conoscere o annotare tutte le cose sul mondo, perch io debbo includere nella mappa di questo mondo anche me stesso e il modo in cui io disegno questo mondo, e devo mettere nella mia rappresentazione un disegno della mappa e quel che nella mappa. E allorch ho disegnato tutto questo, guardo di nuovo alla mappa e mi rendo conto che essa incompleta, perch non contiene l'intero quadro: i miei ultimi colpi di pennello non sono contenuti nella mappa, e cos io debbo andare avanti, e avanti ancora, e ancora ... e mai giunger alla fine. Questa fu la prima linea argomentativa della mia conferenza. Il secondo tipo di argomenti riguardava pi strettamente la teoria newtoniana. Sappiamo che essa offre predizioni esatte per problemi come questi: data la posizione del sole e dati la posizione e la velocit di un pianeta relativamente al sole, in un preciso momento, allora noi possiamo predire il suo movimento futuro attorno al sole con una precisione a piacere per ogni istante di tempo nel futuro. Questo il cosiddetto problema dei due corpi, che pu venir calcolato in maniera soddisfacente all'interno della teoria newtoniana. Daltra parte occorre notare che non c nessunissima ragione per credere che otterremmo soluzioni analoghe per

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un problema di tre o pi corpi, o che si possa arrivare a una soluzione generale. DOMANDA N. 3 In che termini questa interpretazione, che nega il carattere deterministico della stessa teoria newtoniana, influisce sulla concezione del libero arbitrio e sul problema della libert morale? Pu proporsi, da questo punto di vista, un'opzione nell'antitesi fra determinismo e indeterminismo in sede metafisica? Per rispondere a questa domanda mi riferisco ancora una volta ad avvenimenti della mia vita. Doveva essere il 1946: il filosofo Alfred Ayer, che divenne in seguito Sir Alfred Ayer, costitu una specie di club filosofico che si riuniva nel suo appartamento in Whitehorse Street, vicino a Piccadilly, a cui partecipavano famosi filosofi, fra i quali Bertrand Russell. Fra le altre cose, si discusse anche il tema del libero arbitrio. Fu posto in particolare il problema della creativit artistica. Dal mio punto di vista, mi chiesi in che modo il determinismo affronterebbe la spiegazione del genio musicale di Mozart. Sarebbe sufficiente che un fisico e un matematico, completamente al di fuori del mondo della musica, avessero sufficienti informazioni sul cervello di Mozart, oltre che su quanto Mozart ha mangiato oggi, per predire che le sue dita metteranno questi e questi altri segni neri su carta bianca e per arrivare essi stessi a scrivere, per quanto completamente ignoranti di musica, la Jupiter-Sinfonie di Mozart. In altre parole, lo sforzo creativo di Mozart non esiste affatto, secondo una visione deterministica. Contano solo le condizioni fisiche degli atomi del cervello di Mozart. Questo problema, sollevato nel club del professor Ayer, trov una risposta tipicamente filosofica, ovvero: di fronte a una mia scelta, per valutare se essa sia libera o dettata da necessit, occorre che io mi rimetta esattamente nella situazione in cui ho preso la mia decisione, per vedere se agirei esattamente nella stessa maniera in cui agii allora. Questa la risposta che essi diedero al problema del determinismo. Io sono determinato, dal momento che non avrei altra scelta: se tornassi indietro, esattamente nella stessa situazione, sceglierei esattamente cos come ho scelto allora. Questo modo di affrontare il problema non mi piacque. Gi parlare di esattezza, e per di pi in un ambito come quello psicologico, significa parlare a vanvera. Neppure nel pi evoluto dei laboratori possibile riprodurre esattamente la stessa situazione. Stando cos le cose, io non dissi nulla sul caso discusso. Obiettai soltanto: Il vero problema questo: si tratta di capire se l'attivit creativa di Mozart sia predicibile in linea di principio, a patto che si conosca in maniera sufficiente lo stato del mondo, ivi incluso lo stato del cervello di Mozart. Gli altri partecipanti alla discussione mi guardarono, lasciando intendere che non avevo compreso di cosa si stesse parlando. Russell, invece, non proffer parola, fino a quando, dopo una mezzora, venne fuori improvvisamente dicendo: penso che Popper abbia ragione. Quello che pone Popper il problema del determinismo. Ci di cui si discute non se io avrei potuto agire diversamente da come ho agito, dovremmo piuttosto comprendere se possibile predire l'opera darte. (Sia detto per inciso, sono dell'avviso che Russell fosse l'unico dei filosofi presenti che avesse realmente fatto del lavoro creativo in matematica). Sin dai suoi inizi la vita ha dimostrato di essere creativa. Tutti gli organismi viventi hanno fra loro una singolare somiglianza, hanno tutti lo stesso metodo di riproduzione tramite il DNA, e ci forse in ragione del fatto che essi procedono dallo stesso organismo originario. Che ci sia stato necessariamente solo un organismo, oppure no, questo un problema differente. In

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ogni caso, in un brevissimo periodo di tempo, vediamo nascere infinite forme viventi, molto diverse l'una dall'altra, ma tutte con la stessa struttura del DNA. cos che la vita stessa ha in qualche modo inventato la creativit. E la creativit di Mozart esattamente una di queste meravigliose cose in cui la vita si prodotta, qualcosa che non poteva affatto venir previsto prima che la vita iniziasse. Quanto alla seconda parte della domanda, devo precisare che l'attributo metafisico indica, all'interno del mio pensiero, qualcosa di non controllabile in linea di principio. Pertanto, da questo punto di vista, n il determinismo metafisico, n la sua negazione, l'indeterminismo metafisico, sono controllabili, poich la controllabilit di uno dei due sarebbe sufficiente per renderli controllabili entrambi. Se, poniamo, l'indeterminismo metafisico fosse controllabile e noi potessimo falsificarlo, avremmo con ci stesso stabilito il determinismo metafisico. In questo senso sarebbe bene cercare di eliminare la questione e ammettere di non conoscere la soluzione metafisica del problema. Personalmente, ovvio che io credo nell'indeterminismo metafisico. Infatti, non solo io lo ritengo un risultato scientifico, ma inoltre avverto l'indeterminismo come qualcosa di soddisfacente e sono dunque incline a credere in esso. Cos, io posso essere un sostenitore dei diritti di verit dell'indeterminismo in sede metafisica. Ma non posso asserire che il determinismo metafisico sia falso, giacch anch'esso, al pari dell'indeterminismo metafisico, incontrollabile. Io sento che l'indeterminismo, specialmente riferito a noi stessi e al mondo vivente, nella ricchezza delle sue possibilit, sia capace di liberarci da una sorta di angoscia, quel tipo di angoscia che inquietava Kant, in considerazione della sua credenza nella libert e nella responsabilit e dall'altra parte della sua convinzione che l'universo newtoniano fosse deterministico - una convinzione che secondo me si pu dimostrare errata -. Da questo punto di vista Kant potrebbe respirare liberamente, potrebbe restare newtoniano ed essere anche un indeterminista. DOMANDA N. 4 Professor Popper, abbiamo visto come l'apertura del futuro venga da Lei interpretata nel senso di una dottrina dell'indeterminismo in fisica. Abbiamo anche brevemente accennato alle applicazioni di questo argomento nellambito della biologia e della teoria dell'evoluzione. Ora, qual l'importanza di questa dottrina nella concezione dell'uomo e della societ? Quando dico che "il futuro aperto" in realt ho in mente soprattutto il futuro dell'uomo e il futuro della societ. E questa tesi, secondo cui il futuro aperto, particolarmente diretta contro quella visione che io chiamo storicismo. Lo storicismo la concezione secondo la quale il futuro non aperto e nella quale si sostiene che noi possiamo effettivamente prevedere il futuro. Lo storicismo asserisce che esistono leggi dello sviluppo storico e che se solo conoscessimo queste leggi noi potremmo, almeno a grandi linee, prevedere ci che accadr. Nella nostra epoca gli storicisti pi importanti sono i marxisti. La loro teoria afferma che possibile predire quel che accadr nella storia, che ci sar uno sviluppo verso una societ senza classi, la quale sarebbe meravigliosa. Naturalmente, questo sviluppo, secondo il marxismo, la via verso la dittatura, la dittatura del proletariato, che non affatto una buona cosa. Questa predizione storica si fonda sull'analisi compiuta da Marx della tendenza inerente sin dagli inizi alla societ e specialmente della tendenza insita nella societ del suo tempo,

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che egli chiam "capitalismo". Nel Capitale Marx, dopo aver analizzato le tendenze generali dell'evoluzione della societ umana, studi soprattutto le tendenze evolutive inerenti alla societ capitalista e l'esame di tali tendenze lo port alle sue predizioni. E il fondamento di questa sua concezione da trovare appunto nel determinismo. L'idea di fondo sta nel sostenere che noi non siamo liberi. Secondo Marx, neppure i capitalisti sono liberi; costoro sono catturati, al pari di qualsiasi altro individuo, all'interno del meccanismo della societ e del suo sviluppo storico. Essi sono costretti ad agire come agiscono. E, pertanto, sebbene debbano venir combattuti e distrutti, i capitalisti in realt non possono esser biasimati, perch trascinati essi stessi dalle forze storiche e sociali. Ora, contro una siffatta concezione, io dico che il futuro aperto nel senso che in ogni momento esistono infinite possibilit di quanto accadr nell'immediato futuro. Alcune di queste possibilit sono molto remote e si pu dire che giochino un ruolo davvero irrilevante. Ma altre possibilit sono davvero reali e ne esistono moltissime. Ci che accadr dipende in parte da fatti accidentali, in parte da ci che effettivamente ed attualmente esiste. Noi dobbiamo essere consapevoli del fatto che esistono possibilit aperte. E tra tutte queste possibilit ci sono le possibilit per noi di influire su quel che avviene. Le nostre speranze, le nostre valutazioni influiscono su quel che avverr in futuro. Prendiamo quanto accade in questi giorni con l'esodo della gente dalla Germania Orientale. Oggi il 28 novembre 1989 e il grande esodo dei giovani si pi o meno concluso. Non si pu negare che, in esso, la speranza e i valori delle persone che lasciano la Germania Orientale abbiano giocato un ruolo immenso. Le loro speranze e i loro desideri sono stati la forza sociale principale di quanto accaduto. Qualcuno potrebbe obiettare che, con una migliore conoscenza della situazione, il governo della Germania Est avrebbe potuto prevedere quel che sarebbe successo. Forse vero. Non dico che talvolta non si possano fare previsioni, ma nessuno avrebbe potuto prevedere un fatto del genere con certezza. Qui sta la grande differenza. Le possibilit sono prevedibili, ma le certezze non esistono. Inoltre bisogna tener presente che la stessa predizione altera la situazione, modificando le possibilit in gioco. Le tue predizioni possono produrre ci che hai predetto; ma esse possono anche far s che quanti sono contrari a quello che tu predici compiano un pi grande sforzo per impedire che questo accada. In tal modo possibile che la tua predizione di fatto porti all'evento opposto rispetto a quello che tu avevi predetto. In una predizione sono implicite ambedue le possibilit. per esempio del tutto evidente che la predizione marxiana della rivoluzione influenz Lenin e dette un grande contributo alla rivoluzione in Russia. Ma, naturalmente, vero pure l'opposto, e cio che la predizione marxiana rese pi serio lo sforzo di Bismarck per cogliere di sorpresa i marxisti tedeschi. Si pu dunque vedere che le predizioni giocano un ruolo, e che possono giocare il loro ruolo in un modo o in un altro. E se le predizioni possono giocare un ruolo, allora anche le nostre speranze e i nostri sforzi giocano un ruolo. DOMANDA N. 5 Lo storicismo dunque caratterizzato dalla convinzione di poter individuare le leggi di sviluppo della storia. Come viene concepito, da questo punto di vista, l'intervento dell'uomo in tale corso storico e quale atteggiamento assume invece colui che muove piuttosto dall'idea che il futuro aperto? Il marxismo non si limita ad affermare che noi possiamo predire la storia; il marxismo

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sostiene che noi possiamo abbreviare e rendere meno dolorose le doglie del parto della storia; che noi possiamo sistemare le cose in modo tale che quel che deve accadere accada pi facilmente. In questo senso lo storicismo port all'idea di pianificazione. Pensiamo, per fare un esempio, ai piani quinquennali in Russia. Nel mio libro Miseria dello storicismo - il cui titolo allude a quello di un libro di Marx, Miseria della filosofia - ho sviluppato appunto questa critica. In un altro testo, La societ aperta e suoi nemici, ho cercato invece di spiegare che la politica potrebbe essere qualcosa di simile all'ingegneria sociale, nel senso che essa cerca di raggiungere certi fini grazie a determinati mezzi. La politica, per, non pu essere quel tipo di pianificazione per il futuro su scala totale, che gli storicisti hanno in mente, ma deve essere quel che io descrivo come "ingegneria a spizzico". Proposi questo termine come una sfida, una provocazione per sottolineare una certa modestia in quello che possiamo fare nell'ingegneria sociale. Tale termine stato criticato moltissimo e moltissimo discusso. Le parole, per, non contano. Importante, in questa idea, era che solo se cerchiamo di soddisfare un certo bisogno sociale per mezzo di una determinata misura politica, possiamo constatare se le nostre misure abbiano portato o meno al risultato che si voleva ottenere. Molto spesso infatti le nostre azioni producono il risultato opposto rispetto a quello che intendevamo raggiungere. Unicamente tentativi modesti possono venire sufficientemente controllati e ispezionati nelle loro conseguenze al fine di essere ragionevolmente sicuri del fatto che esse corrispondano almeno approssimativamente ai nostri intenti. Non sono contrario alla passione che i riformatori hanno per le riforme, sono piuttosto contrario al sogno di onnipotenza dei riformatori: al sogno stando al quale noi possiamo davvero cambiare la societ cos che tutto sia meraviglioso. questo tipo di passione che io considero molto pericolosa e seriamente irrealistica. Quei riformatori che hanno cercato di realizzare il paradiso in terra in realt hanno sempre costruito qualcosa di simile all'inferno. Ed appunto da un inferno che i giovani tedeschi della Germania-Est cercano di scappare. DOMANDA N. 6 L'idea che il futuro sia anche il risultato dei nostri tentativi di realizzare le speranze e le aspirazioni che guidano il nostro agire non riporta forse in primo piano il problema dei valori? Quando affermo che il futuro aperto, con "apertura" intendo, in senso ampio, che noi possiamo scegliere quei valori che sentiamo come valori importanti per noi e per la nostra vita. La valutazione caratteristica della vita, sin dalle sue prime origini. I primi organismi hanno problemi di sopravvivenza. Affrontare i problemi significa andare alla ricerca di soluzioni, ovvero ricercare qualcosa che migliori la situazione in cui ci troviamo. Se un organismo unicellulare fugge da un luogo molto caldo e si dirige verso un posto pi fresco esso sta cercando di migliorare la sua situazione vitale. L'idea di miglioramento contiene, in realt, l'idea di valore. Se parliamo di miglioramento, noi allora parliamo di qualcosa di meglio e qualcosa di peggio, e queste sono valutazioni. cos che la vita, fin dai suoi primissimi inizi, ha creato i valori in questo mondo, mondo che prima della vita non aveva valori. Problemi e valori appaiono nel nostro universo soltanto attraverso la vita, e assumono una importanza immensa per tutti gli esseri viventi. Noi tutti siamo solutori di problemi; e sempre, ad ogni istante, ci troviamo in situazioni problematiche da risolvere. E risolvere i problemi significa compiere delle

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valutazioni. Tali valori si sono evoluti insieme con la vita. E uno dei pi grandi valori, caro a tutti gli esseri viventi, la libert: la libert di azione, la libert di migliorare la propria situazione, di risolvere i propri problemi. Poi, una volta che l'umanit ebbe sviluppato il linguaggio, l'altro valore importante divenne la verit. I valori, dunque, hanno una immensa rilevanza. Quando parlo del futuro aperto, io con ci non solo intendo semplicemente affermare che non possibile predire quel che accadr; intendo dire piuttosto che quello che accadr sar influenzato da noi e dai nostri valori. Da: http://www.filosofico.net/intervistapopper.htm 1. Qual la posizione di Popper nei confronti dello storicismo? 2. Qual la posizione di Popper nei confronti del determinismo scientifico? 3. Che relazione intercorre tra lapertura del futuro di cui parla Popper e lindeterminismo in fisica?

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Discussioni critiche
Critica al concetto di "conoscenza oggettiva" in Karl Popper (I): le propriet dei numeri di Astro Calisi
Illustrando la propria teoria della conoscenza oggettiva, Popper osserva che, sebbene siano gli uomini a inventare la successione dei numeri naturali, essa, a sua volta, da origine a problemi autonomi, che non dipendono dall'uomo. Ad esempio, la distinzione tra numeri pari e numeri dispari non creata da noi, ma piuttosto una conseguenza non intenzionale e inevitabile della nostra creazione. In maniera analoga, i numeri primi costituiscono un risultato autonomo, non intenzionale e oggettivo, con le relative propriet e problemi che sono del tutto indipendenti da noi e che non possiamo in alcun modo influenzare. (1) Pur se senz'altro eccessivo sostenere, in un'ottica spiccatamente psicologistica o - in una prospettiva pi attuale - costruttivistica, che tutte le propriet dei numeri sono il risultato delle caratteristiche mentali dell'uomo o dell'uso che l'uomo stesso fa dei numeri, si possono tuttavia fare delle osservazioni critiche in merito alla posizione di Popper. Cominciamo con il rilievo che la distinzione tra numeri pari e dispari, lungi dall'essere oggettiva, vale a dire indipendente dall'uomo, probabilmente legata alla necessit di dividere in due parti uguali (senza resti) quantit determinate di oggetti. Anche la nozione di numero primo (divisibile solo per se stesso e per l'unit) ha, con tutta probabilit, un'origine simile. Tali nozioni prendono forma e si affermano a livello concettuale in quanto connesse alla necessit di soddisfare precisi bisogni dell'uomo. Se non fosse cos, esse risulterebbero del tutto oziose e inutili, tanto che nessuno si prenderebbe il disturbo di degnarle di una qualche considerazione. Possiamo per spingere ben pi in l la nostra analisi, osservando che la distinzione tra numeri pari e dispari ha senso (o addirittura resa possibile) all'interno di un sistema di numerazione come quello decimale (quest'ultimo, del resto, rispecchia il fatto che le mani dell'uomo possiedono complessivamente 10 dita). All'interno di tale sistema, la definizione di numero pari quella di numero divisibile per 2, ossia che termina per le cifre 2, 4, 6, 8 e 0. In base a tale definizione siamo in grado di riconoscere immediatamente un numero pari da uno dispari:

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
Se adottiamo un sistema di numerazione con una base diversa, ad esempio quello binario, la situazione cambia notevolmente. Intanto non possiamo pi definire pari un numero divisibile per 2, perch la cifra 2 non esiste nel sistema binario: il suo corrispondente infatti 10 (uno-zero). Possiamo allora definire pari tutti i numeri che terminano per 0. Cos:

1 10 11 100 101 110 111 1000 1001 1110


Cosa succede per se ci muoviamo all'interno di un sistema di numerazione con base dispari? Se scriviamo i primi 10 numeri nel sistema con base 3, avremo ad esempio la seguente successione:

1 2 10 11 12 20 21 22 100 101

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Cosa rimasto qui delle caratteristiche degli originari numeri pari e dispari? Ben poco. Certo, probabilmente possibile trovare nuove regole per riconoscere i numeri pari da quelli dispari, ossia i numeri che rappresentano quantit esattamente divisibili a met da quelle che non ammettono questa possibilit, e forse anche per distinguere i numeri primi da quelli che non lo sono. Bisogna per ammettere che almeno una parte del mondo delle nostre certezze matematiche, che derivano in ultima analisi, dal fatto di essere dotati di 2 mani provviste di 5 dita ciascuna, subisce un duro colpo. ------------- NOTE (1) Karl Popper, Conoscenza oggettiva, Armando, Roma, 1975, pag. 165

Da: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=Popper03.html
Osservazioni critiche sullo scritto di Astro Calisi, Critica al concetto di conoscenza oggettiva in Karl Popper: le propriet dei numeri di Vincenzo Mega

Nel suo articolo su Il Diogene, lei parla del concetto di numero pari come di un concetto derivante dal fatto di essere dotati di 2 mani provviste di 5 dita ciascuna, cio dal fatto che luomo abbia incominciato a contare in base decimale e non binaria, ottale, ecc. perch in possesso di 10 dita e non 2, 8, ecc. Nel sostenere questo, lei pone lesempio di una numerazione binaria nella quale la successione dei numeri naturali 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, diventa 1, 10, 11, 100, 101, 110, 111, 1000, 1001, 1110. In questo caso lei sostiene che non possiamo pi definire pari un numero divisibile per 2, perch la cifra 2 non esiste nel sistema binario: il suo corrispondente infatti 10 (unozero) e che occorrerebbe trovare in questo ambito unaltra definizione per i numeri pari, come ad esempio definire pari tutti i numeri che terminano per 0. Lei va ancora oltre, facendo lesempio dei numeri naturali in base dispari, ad esempio su base 3: 1, 2, 10, 11, 12, 20, 21, 22, 100, 101 chiedendosi Cosa rimasto qui delle caratteristiche degli originari numeri pari e dispari? e rispondendosi Ben poco.

Ora, mi deve scusare se Le faccio osservare che lei in questarticolo ha confuso i numeri naturali con le loro diverse possibili rappresentazioni. Il suo problema di dover definire i numeri pari nei diversi sistemi di numerazione potrebbe essere facilmente risolto considerando che il numero 2 decimale corrisponde esattamente al numero 10 binario ed al numero 2 ternario. Conseguentemente, lei pu definire i numeri pari nel sistema binario come i numeri divisibili per 10 (6:2=3 in decimale come 110:10=11 in binario), nel sistema ternario come i numeri divisibili per 2 (6:2=3 in decimale come 20:2=10 in ternario), e cos via. Si tratta in ultima analisi di un semplice problema di traduzione. Il numero che in decimale indichiamo con 2, in binario 10, ecc. Se un altro popolo, invece del simbolo 2, per indicare il corrispondente numero naturale usasse il simbolo , lei sosterrebbe che nella cultura di quel popolo il concetto di numero pari non comunque intuitivo?

Se poi il problema che lei pone, come mi sembra di intuire, quello della crescente difficolt, modificando il sistema di numerazione, a riconoscere al volo i numeri pari da

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quelli dispari (nel sistema decimale i numeri pari finiscono per 0 2 4 6 8 e i dispari per 1 3 5 7 9), be, proprio per questo che la matematica definisce i numeri pari come i numeri divisibili per 2 e non come i numeri che finiscono per 0 2 4 6 8.

Sono perfettamente daccordo con lei che la distinzione tra numeri pari e dispari. probabilmente legata alla necessit di dividere in due parti uguali (senza resti) quantit determinate di oggetti. Anche la nozione di numero primo (divisibile solo per se stesso e per l'unit) ha, con tutta probabilit, un'origine simile. Tali nozioni prendono forma e si affermano a livello concettuale in quanto connesse alla necessit di soddisfare precisi bisogni dell'uomo . Ma questo problema e la sua soluzione diventano oggettivi nel momento che si debba dividere una quantit intera in due parti uguali senza resto, qualunque sia il sistema di numerazione da lei prescelto, il nome convenzionale da lei dato ai numeri, il numero di dita a sua disposizione.

Vincenzo Mega - agosto 2009

Da: http://www.ildiogene.it/EncyPages/Opere/MegaV-Obiezioni01.pdf

1. Riassumi le due discussioni critiche.

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Intervista a Giulio Giorello


Giulio Giorello: La verit scientifica Redazione Istituto Referendario - 07.06.11 Giulio Giorello: La verit scientifica Giorello: Insegno Filosofia della Scienza all'Universit degli Studi di Milano. "Filosofia" un termine che significa "amore del sapere". Forse non c' sapere cos importante per noi, cos incisivo sulle nostre esistenze, come la scienza. Parleremo di cosa si intende per verit in campo scientifico: la verit scientifica, la verit nella matematica, la verit nella fisica, nella chimica, nella biologia, nelle discipline poi che normalmente si insegnano anche nella Scuola Media Superiore e che poi si riprendono, con altra veste e altri aspetti, nell'Universit. Non un tema facile. Cosa sia mai la verit scientifica pu spaventare; forse per il modo migliore per accostarsi tener presente che questa verit non soltanto "di parole", ma qualcosa "di fatti", anzi di manufatti, di congegni, di artifici, di apparecchi.. Che cosa si intende oggi per verit scientifica? La risposta pi naturale sarebbe quella di dire che la verit scientifica ci che abitualmente gli scienziati credono e accettano. Naturalmente questa risposta lascia aperto il campo a una serie di ulteriori domande. Facciamo un esempio. La comunit scientifica di un tempo, o almeno quelli che allora si chiamavano i "filosofi della natura", credeva che il vuoto non esistesse: il vuoto il "non essere", e quindi non c'. Per cambiare idea ci vollero degli eretici (in un qualche modo), cio dei contestatori di quello che veniva insegnato. Noi potremmo dire che la verit scientifica quello che viene controllato in un qualche modo dalla comunit scientifica. Non soltanto quello che viene creduto, ma proprio quello che viene controllato con l'esperimento o con il ragionamento intellettuale. Galileo Galilei parlava di "sensate esperienze e certe dimostrazioni". Le certe dimostrazioni sono quelle della geometria e pi in generale della matematica, mentre le sensate esperienze sono le esperienze dei nostri sensi, e anche quelle che facciamo in laboratorio. Forse le verit scientifiche non sono cos definitive come spesso si crede. Tante volte quello che noi riteniamo una verit scientifica ben controllata qualcosa che, con una strumentazione pi raffinata, viene ridotta di portata, e diventa meno universale. Questa "verit" sostituita da una verit un po' pi profonda. Noi riteniamo che una verit scientifica non sia altro che un enunciato che in un qualche modo noi possiamo controllare e che pu essere anche scartato e sostituito da un altro, che ci permette di capire meglio le esperienze che facciamo, le osservazioni che vengono registrate. In questo senso, quello che ci importa non tanto il possesso di un qualche cosa, ma la tensione, lo sforzo che facciamo. Ci che io ho controllato lo puoi controllare anche tu, perch - come dicevano giustamente Galileo, Cartesio, Pascal, e tutti i grandi padri fondatori della

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scienza moderna - qualunque persona che sia in grado di intendere e di volere, e che abbia volont di applicarsi, in grado di fare e controllare quell'esperienza. La scienza pubblica e controllabile da chiunque. Se controllabile e pubblica, anche insegnabile. Che rapporto c' tra verit e realt? Ogni persona sarebbe portata a credere che una cosa vera se "fotografa bene", "rispecchia bene" la realt che ci circonda. Ma la realt ha pi d'una faccia, ha pi d'un aspetto che pu essere analizzato. Faccio un esempio, perch meglio sempre che parlarsi per esempi. Tutti conoscono il modello dato da Galileo della caduta dei gravi. Tutti i corpi cadono secondo la stessa cinematica, con la stessa accelerazione. Quindi la stessa equazione descrive tanto la caduta d'una piuma quanto la caduta di una palla di cannone. Tuttavia, se guardiamo l'esperienza comune, non succede cos. Perch? Perch la legge di Galileo, cos come l'ho enunciata, incompleta. Bisogna aggiungere, per esempio: "nel vuoto". E' cosa interessante che torniamo ancora al vuoto, perch questa intuizione di Galileo stata sviluppata prima che la generazione successiva, quella dei Pascal o dei Boyle o del nostro italiano Torricelli, facessero gli esperimenti con le pompe aspiranti. Bisogna allora dire: "Attenzione, questa legge di Galileo vale soltanto, soltanto se si tolto via il mezzo" (il mezzo sarebbe la sostanza appunto attraverso la quale la palla di cannone e la piuma cade), per esempio l'aria. "Rendere il pi possibile rarefatta l'aria", diceva Galileo. Che vuol dire? Che la nostra immagine scientifica della realt non rispecchia mai completamente la realt, perch bisogna dimenticare qualche fattore di perturbazione: in questo caso, l'aria. Le nostre leggi, in realt, sono molto pi approssimate che esatte, perch bisogna sempre tener presente che ci sono un mucchio di fattori perturbanti. Questo vale gi per una scienza come la matematica. Pensiamo a cosa succede a studiare, ad esempio, un processo del vivente, lo sviluppo di un embrione per esempio, oppure pensiamo a quella che si chiama la "dinamica di una popolazione", per esempio come si equilibrano prede e predatori in una situazione geografica. Oppure pensiamo a una situazione economica costruita dall'uomo o a una situazione sociale. Man mano che si prendono in considerazione oggetti sempre pi complessi, i fattori di perturbazione diventano tantissimi. La realt forse infinitamente pi complessa e non smette mai di sorprenderci. La gente che si esaltava con le grandi conquiste della meccanica newtoniana, aveva delle informazioni sul nostro universo molto diverse da quelle che noi abbiamo ora. Per esempio, aveva delle idee diverse sul numero dei pianeti, non riteneva che l'universo fosse grande o vecchio quanto noi oggi lo riteniamo, ecc. La natura ha continuato a sorprenderci. Questo senso di sorpresa della natura, che ci mostra come le nostre immagini siano in qualche modo anche sfocate e vadano continuamente corrette, forse quello che rende l'impresa scientifica un'avventura, un'avventura affascinante. Che rapporto c' oggi giorno tra verit scientifica e verit filosofica? Ossia come si pongono gli scienziati rispetto alla filosofia? Io credo che ormai ci sia una sostanziale differenza fra filosofia e scienza, anche se esse sono nate insieme con l'antica Grecia. La differenza questa: molti scienziati hanno la sensazione di una crescita del loro sapere, anche drammatica, anche

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segnata da rivoluzioni scientifiche. Il filosofo ha piuttosto la sensazione di riproporre gli eterni interrogativi. Oggi non facciamo pi un esperimento per dimostrare l'esistenza di Dio, e forse nemmeno ci lasciamo convincere da una dimostrazione dell'esistenza di Dio, anche se in passato se ne sono fatte alcune, che erano argomenti logicamente anche molto interessanti. Forse ogni scienziato ha la sua personale filosofia o forse, come diceva Albert Einstein, lo scienziato un opportunista, che, quando ha bisogno di una filosofia particolare, se la prende e la usa, salvo poi passare ad un'altra, a seconda di dove lo sta guidando la propria ricerca. Lei pensa che la verit scientifica si tramuti in progresso per l'umanit? Dipende da cosa si intende per progresso. Se per progresso s'intende la crescita della conoscenza, credo che sia indubbio che oggi ne sappiamo un po' di pi dei tempi di Newton, e che Newton ne sapeva di pi di Galilei. Se come progresso s'intende il successo tecnologico, anche qui credo che il mondo in cui noi viviamo stia a dimostrare che il progresso c' stato. Il buon vecchio Bacone diceva che Aristotele stato importante, per tre invenzioni hanno cambiato il mondo, ai suoi tempi: la bussola, la stampa e la polvere da sparo. Il mondo cambiato in meglio, secondo le nostre speranze e i nostri auspici? Qui ritorna il problema del codice morale. Pu darsi che, dal nostro punto di vista, il progresso tecnologico non sia un progresso in assoluto; pu darsi che noi siamo terrorizzati dalle grandi capacit della tecnica, pi che della scienza, di uccidere. Enrico Fermi diceva che, dopo tutto, la comparsa della bomba atomica e poi di ordigni sempre pi potenti aveva in qualche modo frenato almeno le grandi potenze dallo scatenarsi in conflitti locali. Dipende da che cosa intendiamo noi come progresso a livello morale. Per il benessere dell'umanit non meglio in certi campi fermare la ricerca, la ricerca della verit scientifica? Mi riferisco, in particolare, alla genetica. S, ci sono degli scienziati che la pensano cos. C' stato un genetista che ha rinunciato a lavorare nel campo della sperimentazione genetica. Anche queste sono scelte molto legate, io credo, alla coscienza individuale. Stiamo attenti che questo non diventi una filosofia di Stato, perch ci sono anche esempi di societ che, per paura dell'innovazione scientifica e tecnologica, hanno fermato la ricerca e poi sono state sopraffatte. Attualmente qual il rapporto tra scienza e religione? Io credo che oggi il rapporto tra scienza e religione sia un rapporto di neutralit, come diceva, tra l'altro, un filosofo scomparso di recente, Paul Feyerabend. Oggi cerchiamo di invadere il meno possibile i campi reciproci. Non stato sempre cos. Coloro che sostenevano che la terra rotonda, che concezione gi greca per molti versi, furono osteggiati dalle autorit religiose, che invece pensavano a una terra piatta, per un lungo periodo di tempo. Poi per sono venute le navi di Colombo. Colombo era convinto di fare la volont di Dio, e che uno dei rilievi che egli vede in uno nei suoi viaggi fosse la montagna del Purgatorio. Per queste montagne del Purgatorio son

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state poi sfruttate e economizzate. Quindi, in un qualche modo, si ha l'impressione che la religione si sia un po' ritirata nelle sue pretese. Noi sappiamo che il Sommo Pontefice ha chiesto "scusa" a Galileo Galilei per la condanna del 1633, quando Galilei fu condannato per aver sostenuto, in scienza, qualcosa di diverso da quello che volevano i suoi censori francescani e domenicani. Pu darsi che questo divario sia destinato ad aumentare. Noi non lo sappiamo. Oppure possibile che la scienza ritorni a riproporre proprio quei temi che possono accendere una nuova religiosit. Si pu dire che parlare di verit scientifica e di verit in genere un parlare di convenzioni, di convenzioni che nascono da una necessit di intendersi? Il momento delle convenzioni importantissimo, ma non l'unico. Prendiamo il caso appunto della matematica. Noi matematici fissiamo i postulati di partenza, di Euclide per esempio, ma poi i problemi che vengono fuori sfuggono al nostro controllo. Non che noi siamo dei padroni assoluti. Il fatto che il quinto postulato di Euclide - quello secondo il quale per un punto, fuori da una retta data, passa una e una sola retta parallela alla retta assegnata - non sia deducibile dagli altri, un fatto contro cui il matematico sbatte i denti, esattamente come sbatte i denti anche lo scienziato empirico quando ha un'anomalia o qualche cosa che non gli torna. Quindi noi siamo padroni delle nostre convenzioni, ma fino a un certo punto. Le convenzioni lavorano per conto loro. Anche il matematico si trova di fronte a problemi oggettivi. Non c' solo convenzione, ma c' anche una resistenza della materia: questa che rende la questione cos affascinante perch, se tutto fosse convenzione ed arbitrio, la scienza sarebbe solo un giochetto. Invece non un gioco, una sfida continua dell'intelligenza: con i numeri, con i laboratori, e qualche volta con i laboratori e con i numeri insieme. Non si pu parlare allora di una verit immortale, universale, visto che ogni epoca ha le sue scoperte? Io penso che, proprio perch una teoria scientifica ha una "pretesa di universalit", essa potr essere superata nel futuro. Quando Newton formula la legge della gravitazione universale, egli convinto che valga per tutte le masse e a qualunque distanza. La meccanica newtoniana doveva valere per qualunque velocit. Poi noi abbiamo capito che, per le velocit vicine a quelle della luce, ci vuole una meccanica pi sofisticata. L'aspirazione sempre verso qualcosa di universale, anche se Newton e Einstein sono persone nate in un contesto culturale ben preciso, con un certo tipo di credenze, con un certo tipo di educazione, che senza dubbio ha influito sullo stile con cui hanno comunicato le loro scoperte. Quindi io credo che noi dobbiamo riconoscere da una parte la relativit delle teorie scientifiche, ma anche prendere sul serio la loro pretesa di universalit: altrimenti sarebbero una semplice espressione culturale. Invece la scienza vuole essere qualcosa di pi, vuole essere anche il fondamento, per esempio, di una tecnologia di successo e vuole spiegare appunto come fatto il mondo, anche in casi molto difficili. Quali sono i presupposti necessari per trovare una verit scientifica? Si pu rispondere soltanto in questo modo: avere una societ abbastanza illuminata dal finanziare molti programmi di ricerca, magari in concorrenza: lasciare che cento

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fiori fioriscano, e che il dibattito corra nella maniera pi libera e pi spregiudicata possibile. Quando dico "pi libera e pi spregiudicata" volevo riprendere proprio una cosa che dicevano loro prima, e cio che c' un momento della comunicazione scientifica, che va oltre quello che semplicemente per "gli addetti ai lavori" e arriva a largo pubblico. Il largo pubblico recepisce certe cose, forse non certe altre. Quindi si pone un problema anche di educazione alla scienza. Professore, il fatto che in alcuni campi esistono pi verit scientifiche, a volte in contraddizione tra di loro, non pu indurci a pensare che non esiste una verit assoluta, cio una verit assoluta scientifica? Io non riesco bene a capire che cosa s'intenda per verit assoluta. Io credo che abbiamo punti di vista sempre pi sofisticati e raffinati che si confrontano. Se questi punti di vista arrivassero all'assolutezza e alla perfezione, non avremmo pi la ricerca. Io credo che la verit assoluta sarebbe quieta e tranquilla come la pace dei cimiteri. Io invece ritengo che noi viviamo proprio per metterci continuamente in discussione. Quello che ci interessa non il possesso: la ricerca. 1. In che senso Giorello afferma che la realt non smette mai di sorprenderci? 2. Delinea in un testo unico il rapporto della ricerca scientifica con la filosofia e con la religione. 3. Per Giorello esiste una verit assoluta? Confronta la sua posizione con quella di Popper. Da: http://www.emsf.rai.it/scripts/documento.asp?tabella=trasmissioni&id=51

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