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LUDOVICO GEYMONAT

INDICE

A cura di

VITA E PENSIERO
LA LIBERTA'

LA VITA E IL PENSIERO
Ludovico Geymonat nato a Torino l'11 maggio 1908; si laureato in
quella universit in filosofia nel 1930 e in matematica nel 1932; fu per
alcuni anni assistente presso la scuola di analisi algebrica di Torino. Ha
rifiutato di iscriversi al partito fascista per cui gli fu preclusa ogni
possibilit di carriera accademica; scelse cos di insegnare in scuole
private. Nel 1943 partecip alla lotta di Liberazione nazionale e nel
dopoguerra entr nell'insegnamento universitario. Dal 1956 al 1978
tenne all'universit di Milano la prima cattedra di filosofia della scienza
istituita in Italia. Nel 1934 c' stato il decisivo incontro di Geymonat con
il Circolo di Vienna; ha seguito i corsi del leader del neopositivismo
Moritz Schlick, un orientamento che dominer per alcuni decenni la
scena filosofica europea. Gli scritti del decennio 1935-1945 si
concludono con l'importante opera Studi per un nuovo razionalismo
(1945) con cui Geymonat si pone esplicitamente il compito di aggiornare
la cultura italiana sui pi importanti problemi metodologici connessi con
la conoscenza scientifica, e di approfondire alcuni temi filosofici allora
affrontati in termini antiquati dalla cultura italiana. In quest'opera c'
una tesi di fondo: la riflessione filosofica deve essere strettamente
collegata con i risultati pi avanzati della ricerca scientifica. Questo
stato il motivo di fondo di tutta la sua attivit di filosofo, e in una
cultura come quella italiana, dove i maggiori orientamenti culturali
espressi dalla cultura laica idealistica, cattolica e marxista, hanno
sottovalutato, o emarginato, o espunto dall'autentica cultura la scienza,
avere difeso e approfondito la razionalit scientifica costituisce un
indubbio suo merito. Rispetto a un razionalismo tradizionale di stampo
dogmatico, egli rivendica " un razionalismo metodologico, in quanto si
propone espressamente di rivelarci un metodo razionale rigoroso, per
discutere con lucida chiarezza antichi problemi rimasti finora oscuri e

confusi, discernendo in tutte le questioni ci che fornito di senso da ci


che non lo , e separando il campo del discorso logico da quello del
discorso sentimentale e fantastico ". Negli anni successivi Geymonat ha
portato avanti il suo programma di ricerca approfondendo ulteriormente
il suo razionalismo, sia attraverso un esame critico dello stesso Circolo
di Vienna, sia con una serie di ricerche epistemologiche, matematiche e
di storia del pensiero filosofico e scientifico, inserendosi con una
posizione autonoma nella filosofia italiana. Uno degli aspetti pi
innovativi della ricerca geymonatiana costituito dal suo lavoro
storiografico, volto a rivalutare la nostra tradizione filosofico-scientifica,
trascurata nel periodo di dominio idealistico, cio nei primi trent'anni di
questo secolo. In una monografia su Galileo del 1957 Geymonat ha
proposto un'originale interpretazione del fondatore della scienza
moderna, di cui ha sottolineato la grande capacit di sperimentatore e
ideatore di teorie. Il punto d'approdo pi rilevante di questa attivit
storiografica rappresentato dai sette volumi della Storia del pensiero
filosofico e scientifico pubblicati nel corso degli anni Settanta e realizzata
con il contributo di alcuni collaboratori: essa costituisce, secondo
giudizio unanime, una pietra miliare nella storiografia filosofica italiana,
perch la tradizione filosofica e quella scientifica sono strettamente
intrecciate, e ci ha consentito una lettura nuova della tradizione
culturale dell'Occidente. Negli ultimi anni Geymonat si interessato di
problemi etico-politici, La libert del 1988 e I sentimenti del 1989
costituiscono il risultato di questa riflessione su fondamentali problemi
di ordine politico e etico. Non va infine dimenticato, accanto a questa
attivit, l'azione di organizzatore culturale svolta da Gaymonat per
rinnovare profondamente la cultura italiana. Nel primo dopoguerra
fonda a Torino con altri studiosi (scienziati e filosofi) il "Centro di studi
metodologici", che promuove incontri e organizza convegni di
metodologia, logica, storia della scienza; nel 1960 dirige il primo gruppo
di logica matematica del CNR italiano; nello stesso anno inizia a dirigere
la collana di Filosofia della scienza presso l'editore Feltrinelli. Nel 1963
dirige la collezione di classici della scienza della Utet di Torino, che ha
fornito il corpus fondamentale della tradizione scientifica europea.
Inoltre ha diretto per parecchi anni, insieme ad altri, la rivista "Scientia",
ed stato nel Comitato direttivo della Grande enciclopedia della scienza
e della tecnica (EST Mondadori), della giunta esecutiva della "Domus
galilaeana" di Pisa. Infine va ricordata quella che stata la sua attivit
maggiore: il lavoro svolto con grande scrupolo all'universit di Milano,

ove ha posto all'attenzione e alla riflessione di alcune generazioni di


giovani i temi pi vivi della cultura contemporanea. Ne sono usciti
studiosi che pur seguendo autonomamente i propri orientamenti, hanno
compreso la centralit della scienza nella vita e nella cultura. Laureato
sia in matematica sia in filosofia, Ludovico Geymonat giustamente
considerato uno dei massimi promotori dello studio epistemologico in
Italia. Dopo un periodo di studio in Germania, ha pubblicato due saggi (
Il problema della conoscenza nel positivismo , 1931, e La nuova filosofia
della natura in Germania , 1934) coi quali, ancora giovanissimo, ha fatto
conoscere in Italia alcuni aspetti salienti del pensiero neopositivistico.
Del 1945 sono gli Studi per un nuovo razionalismo e del 1953 i Saggi di
filosofia neorazionalistica : due libri attraverso i quali lo studioso
delineava una sorta di manifesto teorico in favore di una prospettiva
appunto razionalistica, privilegiante in pi modi l'esperienza e le
prerogative del sapere scientifico, ma insieme sensibile anche ad istanze
pratico-politiche di emancipazione e trasformazione sociale. L'opera pi
organica di Geymonat resta ad ogni modo Filosofia e filosofia della
scienza (1960) che segue una monografia su Galileo (1957). Minor rilievo
ha avuto il pur ambizioso saggio Scienza e realismo (1977), in cui
Geymonat riafferma una prospettiva realistico-oggettivistica della verit
e del sapere. Un notevole successo ha riscosso, invece, l'ampia Storia del
pensiero scientifico e filosofico (1970-76): un'opera indubbiamente un p
sorda nei confronti di importanti indirizzi filosofici (l'idealismo, la
fenomenologia, l'esistenzialismo) e di ampi campi di riflessione (l'estetica,
la riflessione teologica, le scienze umane), e purtuttavia ricca di nuove
aperture storico-teoriche soprattutto nel settore delle scienze fisiche e
logico-matematiche. Il primo punto di approdo filosoficamente
significativo di Geymonat costituito dal volume del '45 Studi per un
nuovo razionalismo : in esso il filosofo torinese manifesta una matura
volont di rottura nei confronti della tradizione speculativa nazionale
(soprattutto di quella storicistico-idealistica) e propone con molta energia
un ideale di filosofia come indagine chiarificatrice dei princpi e dei
concetti impiegati dal pensiero conoscente: " il compito fondamentale
delle ricerche filosofiche consiste proprio nel liberare, con un'esatta analisi
logica, i nostri concetti dall'oscurit e imprecisione che li avvolge (esempio
classico l'analisi della causalit compiuta da Husserl), mentre il compito
caratteristico delle ricerche scientifiche consiste nella scoperta di nuove
proposizioni (leggi o teoremi) da aggiungersi a quelle gi note. In altre
parole: la ricerca scientifica si propone di decidere della verit o falsit di

un asserto: la ricerca filosofica diretta invece a qualcosa di molto pi


fondamentale, e cio il decidere, colla precisione dell'esatto significato dei
termini di un problema, se esso ha senso o non ha senso " ( Studi per un
nuovo razionalismo , cap. I). Come si pu evincere, il programma di una "
filosofia scientifica " promosso dalla tradizione neopositivistico-analitica
qui tenuto fortemente presente. Nello stesso tempo, per, gli Studi di
Geymonat esprimono anche interrogativi di tipo e di respiro diverso: ad
esempio egli si chiedeva con insistenza " lecito limitare a una pura e
semplice analisi logica, escludendo per principio ogni analisi di altro tipo?
Esaurisce essa, davvero, tutti i punti di vista, dai quali possono venir
studiati i sistemi di conoscenza? Non ci accadr mai di trovare dei campi
che sfuggono al rigoroso formalismo empirico? " Erano quesiti che
conducevano oltre l'orizzonte logico-linguistico del neopositivismo, pur
nel riconoscimento della validit critica e della capacit costruttiva del
suo programma. Geymonat guardava ormai in direzione di quel
neorazionalismo che verr ulteriormente definito nei Saggi di filosofia
neorazionalistica . In essi il filosofo torinese prende un'ancor pi
sensibile distanza dal primato della sintesi logica teorizzato dai
neopositivisti e dal loro richiamo a protocolli universali, per appellarsi
invece al concreto lavoro scientifico e alla concreta ragione storica quali
matrici profonde delle teorie: " La storia del pensiero assai pi
complicata di quanto non ci lasciano immaginare questi schemi [del
neopositivismo]: una storia che si attua per le vie pi diverse facendo
ricorso a tecniche sempre nuove, che escono fuori da qualsiasi barriera
preconcetta, unificate tra loro da un solo fatto: dallessere, tutte, attuazioni
del medesimo appello alla ragione (Saggi di filosofia neo-razionalistica).
Questa consapevolezza della complessit della ratio conoscitiva ben
presente anche in Filosofia e filosofia della scienza . Le due discipline o i
due ambiti di indagine evocati dal titolo stesso dellopera sono
differenziati anzitutto per il fatto che viene avvertita la non-coincidenza
tra filosofia e scienza: ci nel senso non che la prima abbia un contenuto
tematicamente diverso da quello della seconda, bens nel senso che il
sapere scientifico e la sua filosofia hanno bisogno di una riflessione
teorica che ne accerti i caratteri e i presupposti generali. Nel corso del
proprio lavoro tale riflessione perviene, in particolare, a due conclusioni:
a respingere uninterpretazione di tipo formalistico-convenzionalistico del
sapere (il quale pu e deve riguardare fatti e verit reali), e a valorizzare
unanalisi non statica e astratta ma dinamica e pratica delle conoscenze;
unanalisi che deve prendere tra laltro in serio esame la complessa

dialettica, teorica e tecnico-sperimentale, che spinge lo scienziato a


generalizzazioni sempre pi ardite dei suoi risultati . A tale fine per
Geymonat opportuno ricongiungere pi intimamente la filosofia della
scienza al concreto modus operandi della ricerca scientifica e riconoscere
la costitutiva storicit del sapere (in modo tale da giungere, tra laltro, ad
una concezione fondata e attendibile del progresso scientifico). Anche lo
statuto delle teorie viene, entro questo orizzonte, a mutare: esse non
risultano costruite da soli asserti logico empirici accertabili in abstracto
una volta per tutte, poich la loro verit si rivela al contrario come un
atto essenzialmente storico, legato in modo indissolubile a un livello della
civilt umana e quindi a un livello dei nostri strumenti di conoscenza e di
azione . Come si vede, lepistemologia matura di Geymonat si
allontanata non poco da certi assunti del neopositivismo canonico. Tale
distanza stata poi accentuata dallinsistenza con cui il filosofo torinese
ha cercato di inserire la propria concezione del sapere entro un orizzonte
filosofico di tipo realistico-materialistico. In questa prospettiva, egli ha
voluto riabilitare non solo le note tesi espresse da Lenin in Materialismo
e empiriocentrismo ma anche il materialismo dialettico di Engels. E per
un fatto che questo tentato rilancio del materialismo marxista ha
suscitato non poche perplessit. Indubbiamente di maggiore consistenza
sono le considerazioni epistemologiche contenute in Scienza e realismo .
La tesi di fondo sostenuta qui da Geymonat (anche attraverso un
complesso confronto con Karl Popper e la sua scuola) che il sapere
procede in maniera sostanzialmente continuistica, attraverso il graduale
approfondimento delle conoscenze e il connesso avvicinamento a una
verit sempre pi oggettiva perch sempre meglio rispecchiante
loggettiva articolazione del reale. Alla luce di ci viene anche
fermamente difesa dellesistenza di un oggettivo progresso storico delle
conoscenze. E la scienza gioca in questo un ruolo fondamentale: occorre,
dice Geymonat, che il valore culturale della scienza venga finalmente
riconosciuto. Perch l'impresa scientifica costituisce il prodotto pi
caratteristico dell'era moderna. Perch nessun'altra impresa umana, in
questi ultimi quattro secoli, ha contribuito di pi a modificare la
percezione che l'uomo ha di se stesso e del mondo che lo circonda. E
nessun'altra impresa umana, in questi ultimi quattro secoli, ha
contribuito di pi a modificare la nostra vita quotidiana. La scienza da
almeno quattrocento anni il fattore culturale pi dinamico della societ,
in un'era, il Novecento, che la pi dinamica nella storia dell'uomo e
delle sue relazioni sociali. Non riconoscere l'intrinseco valore culturale

della scienza significa, semplicemente, non capire la modernit.


L'ammonimento di Geymonat era rivolto, certo, all'accademia. O meglio,
a quella cultura idealista di impronta gentiliana e crociana di cui era
intrisa l'accademia e, pi in generale, la classe dirigente italiana. Ma
l'ammonimento era rivolto, anche, alla sinistra italiana. Alla sinistra cui
Geymonat faceva riferimento, la sinistra comunista. Da noi il marxismo
non ha mai avuto interesse per i problemi scientifici , sosteneva. Ed era
un'analisi spietata, perch significava che da noi il marxismo non aveva
gli strumenti essenziali per capire la modernit. Questa analisi fu causa
di polemica tra l'ex comandante partigiano Ludovico Geymonat e il
partito cui fu, per un certo tempo, iscritto: il partito Comunista. Forse
era un p ingenerosa, perch se c' stato un partito in Italia sensibile ai
problemi scientifici almeno nella loro prassi, questo stato il PCI. Ma
Geymonat era un analista severo, e richiedeva un interesse teoretico
prima e oltre che pratico. Nell'accademia, nel corpo della societ e nella
sinistra italiana, Ludovico Geymonat non si limitava a indicare il
problema. Ma proponeva le sue soluzioni. Ed erano soluzioni lucide e,
appunto, severe. Per far riconoscere l'intrinseco valore culturale della
scienza ruppe con il neopositivismo logico e con la sua pretesa di
espungere ogni elemento metafisico dalla scienza. Geymonat credeva
nell'alleanza tra scienza e filosofia. Credeva nella necessit di
interpretare con un nuovo razionalismo, un razionalismo critico, le
nuove conoscenze prodotte dalla ricerca scientifica. Questa nuova
filosofia, razionale e critica, della scienza doveva tuttavia basarsi su un
grande rigore. Il razionalista critico doveva avere le competenze e del
filosofo e dello scienziato. E al pi alto livello possibile. Lui stesso se le
era date queste competenze e le aveva pretese, con successo, dai suoi
collaboratori. Geymonat ha contribuito a fondare non solo la filosofia
della scienza in Italia, ma ha contribuito a riscoprire anche la logica.
Credeva nella scienza nel suo contenuto di verit, sia pure provvisorie.
Ma non credeva nella neutralit della scienza. La scienza uno
strumento potente, il pi potente che si dato l'uomo. E non
indifferente quale gruppo sociale la possegga: se la scienza
appannaggio di quelle che una volta si chiamavano le classi dominanti
diventa un potente strumento di coercizione. Se la scienza diventa
appannaggio anche delle classi subalterne, allora diventa il pi potente
strumento di liberazione e di progresso civile. Questa visione, di classe,
della politica e della scienza aveva, nel lucido e coerente discorso di
Geymonat, due precise conseguenze. La socializzazione del discorso

scientifico, con conseguente attenzione alla comunicazione della scienza


al grande pubblico. E l' impegno sociale dello scienziato. In un articolo
scritto il 2 aprile del 1963 sull'Unit a commento della prima della Vita
di Galileo di Bertolt Brecht al Piccolo Teatro di Milano, richiama le parole
dello scienziato fiorentino e la necessit che anche le grandi masse e
soprattutto i giovani scoprano la potenza della ragione. Io ho scritto in
volgare, sostiene Galileo, per farmi capire da tutti, soprattutto dai
giovani. Perch Dio ha dato anche ai giovani del popolo, come a quelli dei
ricchi, non solo gli occhi per vedere la natura e le opere sue, ma anche il
cervello da poterle intendere e capire . Ludovico Geymonat non la
pensa diversamente sul valore strategico della comunicazione della
scienza a tutti : e si impegna dunque a scrivere in volgare, che non
esattamente la stessa cosa di divulgare. Il suo impegno editoriale nel
campo della comunicazione al grande pubblico vasto, ma sempre di
grande livello. Basti citare il coordinamento dell'Enciclopedia della
Scienza e della Tecnica e la Storia del pensiero filosofico-scientifico:
sono proposte scomode per il lettore, perch richiedono seriet e
impegno. In cambio sono proposte che entrano nel vivo dei problemi
scientifici aperti, che non possono essere appannaggio dei soli esperti.
Ma Geymonat non scomodo solo per gli accademici e i politici. E
neppure per i suoi allievi e i suoi lettori. E' scomodo anche e, forse,
soprattutto per gli scienziati. Perch proprio a loro agli scienziati, che
Geymonat chiede l'impegno pi stringente: riconoscere che la loro
scienza non neutrale. Che le conoscenze che essi producono hanno
enormi effetti sulla societ. E, pertanto, gli scienziati non possono
pensare di dedicare tutte le proprie attivit alla ricerca pura senza venir
distratti da altre preoccupazioni. Gli scienziati hanno il dovere morale e
politico di puntare il telescopio sugli aguzzini della societ per svelare
la verit sociale, proprio come Galileo aveva puntato il telescopio verso il
cielo per svelarne la verit fisica. Gli scienziati devono impegnarsi ad
affrontare con la massima seriet il problema urgentissimo di dare un
senso umano, filosofico, etico-politico alla scienza . Perch se la scienza
non riuscir ad allargare e approfondire i propri compiti, se non riuscir
ad assumere la posizione di altissima responsabilit che le compete nel
mondo odierno, se non sapr diffondere ovunque lo spirito critico, finir
per tradire la propria missione. In tal caso diventer ben presto un fattore
non di progresso, ma di autentica rovina: di sempre pi pericolosa
disumanizzazione della societ . La scienza sottoposta a grandi
pressioni: i tentativi di asservirla a interessi particolari restano

fortissimi. Geymonat indica con grande chiarezza qual' il compito degli


scienziati: evitare che la scienza da fattore di progresso diventi fattore di
rovina. Da strumento di emancipazione dell'intera societ, diventi
strumento di potere per piccole oligarchie. Il compito immane e
oltremodo scomodo. Ma Geymonat non davvero tenero verso quegli
scienziati qualunquisti che si sottraggono allo scomodo impegno, perch
ritengono di potersi disinteressare delle sorti dell'umanit : li chiama,
semplicemente, traditori. Volevo una filosofia capace di ripensare i modi
con cui scienziati e artigiani, teorici e tecnici hanno concettualizzato il
mondo, la natura, la storia costruendo visioni in cui le acquisizioni
specialistiche acquistano via via il loro senso ", cos dichiarava nel 1979
Geymonat. Ed anche per questo che egli si fece difensore di un nuovo
razionalismo. " Il razionalismo, cui aspira la cultura moderna deve esser
ben pi agguerrito e penetrante di quelli che caratterizzarono i secoli
passati; esso deve contemporaneamente essere: critico, ossia capace di
tener nel dovuto conto le obiezioni mosse contro la pura ragione delle
filosofie mistiche e decadenti, fiorite negli ultimi anni; costruttivo, cio in
grado di soddisfare le esigenze di ricostruzione e di logicit caratteristiche
della nuova epoca; aperto; cio capace di affrontare i problemi sempre
nuovi che la scienza e la prassi pongono innanzi alla spirito umano ": cos
egli scriveva nel 1945. E il suo materialismo dialettico lo respingere fino
alla fine l'epistemologia di Popper. Nel 1983 apparve sulla rivista
sovietica Voprosi Filosofi un suo articolo nel quale criticava le tesi
epistemologiche popperiane. Tra la filosofia di Popper e il marxismo vi
era, egli dichiara, la " pi manifesta e totale incompatibilit ". Non un
caso allora che in occasione del convegno in onore di Geymonat, tenutosi
a Milano nell'estate dell'85, il filosofo della "societ aperta" invi un
messaggio piuttosto polemico: " i nostri intellettuali cercano di persuadere
se stessi e gli altri, specialmente la generazione pi giovane, che viviamo
in un mondo terribilmente ingiusto, in una specie di inferno. Gli
intellettuali hanno causato danni terribili... E ora dicono ai giovani che
vivono in un inferno, mentre di fatto questo mondo non stato, fin da
Babilonia, mai cos vicino al paradiso come lo ora il mondo occidentale.
Per contrasto, in Unione Sovietica, si dice alla gente che vivono in
paradiso, e tanti lo credono e sono moderatamente contenti ( questo,
credo, l'unico aspetto per il quale la societ sovietica migliore della
nostra) ", disse Popper in merito. Pur non mancando di apprezzare
l'epistemologia popperiana ed il suo anti-idealismo, Geymonat accus
Popper di essere il " filosofo ufficiale dell'anticomunismo " per la sua

ostinata difesa del regime liberale; un " filosofo dei regimi


socialdemocratici ", oramai campioni del " moderatismo se non del
conservatorismo ".

LA LIBERTA'
CONCETTO DI LIBERTA' : Caduti tutti i miti delle verit assolute, anche
nel campo dei valori etico politici, nell'impossibilit di stabilire, ad
esempio: "ad azione giusta corrisponde conseguenza giusta" per i valori
che richiedono tempi a volte vicini, a volte lontani, vedi i soggiorni coatti
durante la repressione fascista (comportamenti divenuti dopo vent'anni
azioni giuste ed eroiche), diviene indispensabile il ricorso ad un valore
accettato universalmente, col quale commisurare la validit delle nostre
azioni, le quali, tanto pi saranno compatibili con esso, tanto pi
saranno giuste. Non esiste al mondo persona, popolo, oppure Stato, che
alla domanda: -vuoi la libert? Ami la libert? Operi per la libert? - non
risponda affermativamente. Ecco perch, oggi, il valore universalmente
accettato, porta il nome di Libert. Ma dietro questo nome, soprattutto
in campo politico-sociale,si nasconde, assai spesso, un grande vuoto
teorico. Con questi pensieri, da noi appena accennati, Geymonat
esprime, appunto, il suo concetto di Libert. E per una seria e corretta
analisi di questo concetto, l'autore sviscera i molteplici aspetti della vita
dell'individuo, sia singolarmente, sia come entit sociale.
LIBERTA' COME INDIPENDENZA : Dimostrando come non sia possibile
parlare d'indipendenza assoluta, in relazione allo Stato, pur avendo
confini e leggi proprie, ma di come sia di per s arduo parlare di Libert
relativa sia per la emulazione od al contrario, per la eccessiva
differenziazione, che si instaura nei popoli, oltre che tra differenti
Governi, considerando, inoltre, l'adesione data d questi ad organismi
internazionali, per le rappresentanze diplomatiche, eccetera, Geymonat
afferma che, in ogni caso, l'analisi del livello di Libert di un popolo, non
sia possibile, senza tener conto di tutta la sua storia.
LA LIBERTA' DEGLI INDIVIDUI : In questa analisi, Geymonat considera
tre elementi fondamentali:
a) lo stato delle cose (da dove prendere le mosse)
b) l'insieme delle iniziative (o linee di condotta)

c) l'atto di volont con cui si decide di prendere l'iniziativa. E'


impossibile, quindi, fare dei confronti fra Paesi diversi, ed epoche
diverse, anche in seno ad uno stesso Paese. Affrontando, poi, il tema
della scelta autonoma, anche in un Paese cosiddetto "democratico",
Geymonat scrive: " la scelta autonoma paragonabile al nodo di una rete,
nodo in cui pervengono parecchi fili della rete stessa, i quali si fanno
equilibrio gli uni con gli altri, senza che l'uno sia prevalente sui restanti ".
E' quindi impossibile ridurre la Libert individuale ad un processo
soggettivo. E' necessario pertanto, porsi la domanda: - Libert per chi? Ed ancora: - Libert per cosa? Per lo sfruttamento? Oppure, per imporre
il proprio predominio? - Se noi sapremo inserire queste risposte in un
quadro di valori morali, noi sapremo anche individuare quali siano le
forze che ci avversano o che ci ostacolano in questa ricerca. Il tentativo
interrotto di superare tali ostacoli, e la lotta contro di essi,
l'espressione pi piena della Libert. Se ne deduce, perci, come sia
insostenibile che: Libert significhi fine della lotta, fine dello spirito
combattivo. Su questo concetto Geymonat scrive: " La tesi contraria per
cui la Libert non sarebbe lotta, sostenuta di fatto da coloro che, avendo
lottato e vinto in un passato pi o meno lontano, hanno tutto l'interesse
che non si lotti pi, onde vengano conservati i loro privilegi ."
LIBERTA' DI PENSIERO : In relazione a questo aspetto, Ludovico
Geymonat, mettendo in evidenza l'analisi del pensiero espresso, quindi
attraversa la parola, che, a sua volta richiama la libert di stampa,
afferma come sia impossibile parlare di reale Libert lo scrivere ci che
viene suggerito ed imposto dal Potere. E, per questo concetto, Geymonat
scrive: " in realt, chi esalta la Libert di stampa senza riflettere sul
diverso significato che questo termine assume nelle condizioni concrete in
cui viviamo, e senza riflettere sui limiti che esso incontra nelle cosiddette
"societ borghesi libere", presta il fianco alle pi gravi e perniciose
confusioni ". Geymonat continua mettendo sotto accusa la "moda
culturale" secondo cui il Marxismo non avrebbe pi nulla da insegnarci.
Asserisce quindi che Libert di pensiero significa: Lotta contro i
pregiudizi, lotta contro le superstizioni (con riferimento preciso anche
alle religioni), lotta contro le "mode culturali". Lo storicismo scientifico,
continua Geymonat, afferma la necessit di lottare contro il passato, ma
nel contempo, l'esigenza di mantenere un legame effettivo con esso, sia
per le azioni del presente, quanto per le giuste basi del futuro.

LIBERTA' DEI SENTIMENTI : In questa analisi, Geymonat mette in


evidenza i due tipi fondamentali di sentimento che possono essere
sentimenti individuali (molto importanti perch determinano i nostri
comportamenti) e sentimenti collettivi, i quali, a loro volta, possono
essere spontanei o condizionati. Ci che oggi condiziona e trasforma i
nostri sentimenti la Propaganda, senza la quale la nostra societ non
potrebbe mantenere il suo Status. Geymonat fa poi cenno alle epoche di
propaganda della religione cattolica, con le prediche continue, le
rappresentazioni terrificanti della vita ultraterrena ed i racconti dei
miracoli, pi o meno credibili, e comunque martellanti. Geymonat
ribadisce la necessit di lotta nei sentimenti affinch prevalga, di volta in
volta, il sentimento migliore ma, nel contempo, ribadisce la necessit di
lottare contro la cristallizzazione del sentimento stesso. Per una
puntuale identificazione del sentimento migliore necessario ricorrere
alla "morale", con le sue leggi oggettive, anche se, ovviamente, non sono
le stesse in tutti i Paesi. Per questo delicato aspetto dell'analisi
Geymonat scrive: " il sentimento morale contribuisce alla nostra Libert
perch vivacizza la dinamica di tutti i nostri sentimenti acutizzando la
lotta fra sentimenti diversi e rendendola via- via pi radicale ".
LIBERTA' NELLA FANTASIA Su questo tema Geymonat spiega la
differenza tra il sogno e la fantasia, asserendo che nella fantasia vi una
"logica" Ed proprio nella logica che subentra il criterio di "lotta".
Continua poi, asserendo come sia possibile sostituire il termine
"fantasia", col termine creativit. Noi pensiamo che senza la sublime
dote della fantasia, non esisterebbero discipline artistiche.
LIBERTA' E VIOLENZA Abbiamo visto nei due capitoli precedenti che il
concetto di libert (sia dei popoli sia degli individui) rinvia a quello di
lotta, e quindi, direttamente o indirettamente, a quello di violenza. E' su
quest'ultimo quindi che dobbiamo ora dirigere la nostra analisi, nel
modo pi spregiudicato possibile, superando quel falso pudore per cui si
preferisce fingere che la violenza sia un aspetto marginale della nostra
societ, agevolmente cancellabile. Gi sappiamo che il problema della
Libert dei popoli coinvolge quello della guerra (di conquista o di
liberazione) e la guerra non neanche concepibile senza violenza,
esercitata con mezzi primitivi o con sofisticatissime armi moderne. Ma la
via migliore per analizzare in tutti i suoi aspetti il concetto di violenza
non sembra quella che parte dall'esame del concetto di guerra fra popoli,

bens quella che prende le mosse dall'esame del concetto di guerra civile,
ammettendo che oggi si possa fare una netta distinzione fra i due tipi di
guerra (cosa assai difficile in quanto la guerra civile fra due fazioni di un
popolo rinvia sempre alla guerra, aperta o mascherata, fra gli Stati che
proteggono l'una o l'altra fazione, come gi si accennato nel primo
capitolo). Fin dalla preistoria dell'umanit, noi troviamo numerosi
esempi di guerra civile, quasi sempre molto feroci. Va osservato per che
il concetto di guerra civile va oggi notevolmente ampliato. Mentre, fino a
qualche tempo addietro si parlava di guerra civile solo se le due fazioni in
lotta si combattevano con squadre di uomini armati, formanti battaglioni
abbastanza regolari, oggi si pu parlare di guerra civile anche a
prescindere da tale convinzione. Esistono infatti anche altri modi di
lottare, e aspramente, non con le armi ma con altri mezzi (per esempio,
con lo sfruttamento economico, con il sabotaggio, con la propaganda,
con l'embargo, eccetera). Se usiamo il concetto di guerra civile in questo
senso ampliato - e tutto ci suggerisce di farlo - allora anche le lotte di
classe, di cui Marx aveva giustamente sottolineato l'importanza decisiva
nello sviluppo dell'umanit, diventano guerre civili. E non si tratta solo
di un cambiamento di nome, perch questo cambiamento comporta
anche molte conseguenze pratiche: per esempio, comporta il dovere di
trattare gli arrestati come prigionieri di guerra e non come volgari
delinquenti, e comporta il diritto di rifiutare certi mezzi di forzata
persuasione in uso contro i partecipanti alle lotte di classe. Da questo
punto di vista, il dilemma che talvolta viene sollevato di fronte a certi
eventi di storia, e che consiste nell'essere " o si tratta di mera lotta di
classe o invece si tratta di autentica guerra civile", non pi sostenibile,
in quanto i due corni del dilemma non si escludono a vicenda o
perlomeno si escludono soltanto in astratto se definiamo le due
espressioni "lotta di classe" e "guerra civile" come le si definiva nel secolo
scorso. Basta per guardare gli avvenimenti che giorno per giorno si
susseguono nei Paesi del cosiddetto "terzo mondo" per accorgersi che in
tali Paesi non si pu fare una netta distinzione tra lotta degli sfruttati
contro gli sfruttatori e la guerra dei popoli per raggiungere la propria
indipendenza. In parecchi di questi casi si direbbe che il risultato di tale
groviglio di lotte e di violenze non sia, a rigore, un incremento della
Libert degli individui che vi partecipano, ma ci accade solo perch si
giudicano simili eventi dall'esterno, in base a criteri validi per noi e non
per loro. Il giudizio sarebbe invece diverso se si tenesse conto delle
esigenze di quei popoli, della loro storia, delle loro condizioni di Libert,

dei loro costumi, delle loro religioni. Il fatto che i Paesi cosiddetti civili,
essendo nettamente pi forti dal punto di vista economico e da quello
bellico, possono pretendere di imporre che sia universalmente accettato
come lecito il tipo di violenza da essi praticato e regolamentato dalle loro
leggi nazionali ed internazionali. Secondo loro, questo tipo di violenza
sarebbe perfettamente compatibile con la Libert, mentre non lo sarebbe
il tipo di violenza praticato dai popoli detti incivili. Ma su quale base
possiamo distinguere i "popoli civili"? Nessuno pu mettere in dubbio il
carattere relativo del concetto di civilt che, ad un esame oggettivo un po
accurato, si rivela profondamente diverso da un'epoca ad un'altra e da
un popolo all'altro. Se noi, malgrado la nostra consapevolezza critica,
continuiamo a ritenere che la nostra sia la "vera" civilt, e che perci
unicamente la violenza consentita in nome di questa civilt sia
compatibile con la Libert, chiaro che ci rendiamo colpevoli di gretto
immobilismo. La nostra fede nel carattere civile delle nostre istituzioni e
del nostro modo di vivere non meno dogmatica della fede che avevano i
nostri avi nella verit assoluta della loro religione. Esso ci ricorda il
famoso detto del re di Prussia "Got mit uns (Dio con noi). Oggi noi
possiamo ridere di questo detto, ma dovremmo ridere con pari sicurezza
della tesi, per tanto diffusa, secondo cui "la civilt e la Libert sono con
noi". Quanto ora esposto ci permette a questo punto di affrontare il
delicatissimo problema del terrorismo. In genere il ricorso ad esso viene
considerato un fatto estremamente incivile; il terrorismo infatti
un'arma che colpisce l'avversario in forma insidiosa, senza rispettare
alcun confine, senza il ben che minimo tentativo di distinguere tra
colpevoli ed innocenti. Cos almeno viene descritto (o, pi recentemente,
demonizzato) da coloro che ne sono il bersaglio. Inoltre esso viene
accusato di richiedere una forte dose di fanatismo, perch in molti casi il
terrorista sa che anche la sua stessa persona potr venire travolta dal
disastro che egli si accinge a provocare. Non per nulla, quando il
terrorismo viene usato in modo sistematico da uno Stato in guerra
contro un altro Stato, si parla non tanto di terroristi quanto di
"battaglioni suicidi". Senza dubbio il fanatismo riprovevole, ma a ben
riflettere, non facile stabilire una netta differenza tra il fanatismo del
battaglione suicida ed il cosiddetto eroe, da tutti ammirato ed esaltato.
Basti ricordare alcune delle azioni che fin da ragazzi siamo abituati a
chiamare "eroiche": per esempio, il famoso sacrificio di Pietro Micca. Se
ci chiediamo che cosa distingue tali azioni da quelle compiute dai
cosiddetti battaglioni suicidi (siano essi vietnamiti o giapponesi o

iraniani) ci troviamo in grave difficolt per dare una risposta


soddisfacente. N si ha il diritto di rispondere che l'azione eroica
dettata da motivi razionali, mentre l'altra dettata da motivi irrazionali.
Con quale criterio infatti si pu giudicare la razionalit di un'azione?
Solo esaminando se l'azione, di cui intendiamo parlare, rientra o no in
un piano espressamente delineato al fine di raggiungere un certo scopo.
Ma l'esito di tale esame dipende in modo essenziale dal punto di vista in
cui si pone colui che si accinge a compierlo. Potr pertanto accadere che
la medesima azione sia giudicata razionale o no, frutto di eroismo o di
mero fanatismo, a seconda del punto di vista dal quale ci collochiamo.
N va dimenticato che in tutti i conflitti sempre ritenuto valido il
giudizio pronunciato da chi sta dalla parte del vincitore. Parlare di
razionalit o irrazionalit di un'azione semplicemente un segno di
ignoranza o di grave superficialit. Non ha quindi senso la pretesa di fare
riferimento a tale presunta razionalit per decidere se un atto di violenza
sia o no espressione di Libert. 3) La parola fanatismo un termine
spregevole col quale noi "civili" miriamo a gettare discredito sulle persone
che ci combattono. Secondo il linguaggio comune, il fanatico colui che
non riflette criticamente sui motivi delle proprie azioni, cio agisce per
istinto, lasciandosi guidare da un'infatuazione cieca o da un odio
altrettanto cieco. Ma a ben considerare le cose, il comportamento (per lo
meno in guerra) delle persone non fanatiche non pare differenziarsi
molto dal comportamento delle persone fanatiche. Per esempio, il
comandante militare che decide freddamente di bombardare una citt,
senza preoccuparsi se le sue bombe andranno a colpire soltanto i soldati
nemici o anche degli innocenti, pu non agire per odio (pu anche agire
per il trionfo della Libert) ma chi subisce gli effetti della sua azione non
far differenza a seconda delle intenzioni che hanno ispirato il
bombardamento stesso. La differenza tra il freddo e cinico generale che
ordina il bombardamento a tappeto di una citt ed il fanatico capobanda
che guida i suoi uomini al saccheggio del Paese nemico, soprattutto
una differenza di eleganza, non di contento civile. A rigore, ci che fa
ritenere pi civile il comportamento del generale soltanto la superiorit
dell'esito al quale conduce. Apparentemente l'azione bellica
razionalmente organizzata meno violenta dell'azione mossa dal
fanatismo, anche se produce un maggior numero di morti (si pensi agli
effetti dell'uso dei gas tossici nella prima guerra mondiale); proprio
perci l'attacco di soldati fanatici che si scatenano in un corpo a corpo
crudele viene guardato con una certa aria di superiorit da chi in

grado di combattere con armi automatiche che non insanguinano le


mani. Ma si tratta di varianti della violenza, che non ne mutano il
carattere di fondo. L'aspetto pi o meno cruento di uno scontro armato
non qualcosa che possa interessarci. La cosa che ci interessa
l'abbinamento tra violenza e Libert, che si intrecciano l'una con l'altra
cos strettamente da non poter venire prese in esame separatamente, per
lo meno nel concreto della storia. Diversamente si cade nella "utopia".
Tutti conoscono il significato del termine utopia: Ma non si riflette a
sufficienza sui nessi tra utopia e Libert. Questi nessi consistono nel
fatto che, se vogliamo parlare della Libert senza riferimento alla
violenza, ci troviamo nel mondo dell'utopia. Qualcuno potrebbe
obiettarci che ci non necessario, bastando a tale scopo riferirci ad
una societ ben ordinata, in cui la vita sia regolata da leggi precise,
approvate da tutti. Rispondiamo che una societ siffatta non esiste in
realt. Senza dubbio possiamo sognare una societ che si approssimi ad
essa, ma un esame spregiudicato delle societ effettive ci dimostra che la
realt ben diversa. Chi afferma il contrario, lo fa intenzionalmente,
perch vuole nascondere a se stesso e agli altri gli aspetti violenti della
societ in cui vive; lo fa perch, sentendosi a proprio agio in essa, e
nutrendo un'infinit di pregiudizi contro la violenza, vuole sostenere che
una societ libera, in cui non alberga alcuna violenza. Ma si tratta di
una illusione, di un inganno preparato contro la ragione. Si tratta di
un'illusione particolarmente pericolosa perch ci distoglie dall'esaminare
i caratteri concreti dell'autentica Libert, di quella Libert per cui si
sono compiuti tanti sacrifici nel corso dei secoli, per cui si tanto
combattuto, si versato tanto sangue, spesso in buona fede. Senza
dubbio l'utopia ha espletato funzioni assai importanti nello sviluppo
delle idee, mostrando di volta in volta quali erano i punti pi difettosi
delle societ vigenti nelle varie epoche storiche, ma ha pure avuto non di
rado una funzione negativa, in quanto ha distratto gli studiosi dal
prendere atto della realt in cui viviamo. Nel presente caso essa ha il
merito di mostrare che la Libert senza violenza realizzabile solo in
una societ perfetta, ben diversa da quella in cui ci tocca vivere. Come in
geometria non si pu parlare di punti senza parlare anche di rette e
piani, trattandosi di concetti che non si possono definire se non tutti
insieme, cos accade nei problemi di cui ci stiamo occupando, nei quali
non si pu parlare di Libert senza parlare nel contempo della societ
perfetta nella quale essa si esplicherebbe. L'esame dello sviluppo del
concetto di Libert ci insegna che non solo filosofi ma anche uomini

d'azione hanno parlato di Libert in termini astratti, come se si trattasse


di un concetto definibile isolatamente, senza riferirlo all'ambiente storico
in cui tale Libert dovrebbe esercitarsi. Ma cos facendo, essi non hanno
dato alcun contributo serio all'analisi del concetto in questione.
Altrettanto pu ripetersi del concetto di violenza, che a rigore non pu
venire analizzato e valutato (con una soluzione o con una condanna) se
non in stretto collegamento con il concetto di societ. E' sulla base di
questa situazione parallela che qui abbiamo sostenuto l'inscindibile
rapporto fra Libert e violenza. Molte esaltazioni, per lo pi retoriche,
della non violenza intesa come bene indiscutibile, sono un segno di
ignoranza pi che un frutto di raffinata sensibilit e di alta civilt.
LIBERTA' E POTERE : Risulta che l'Ordine Vigente, obbedisca ad un
principio d'inerzia fino a che forze esterne non vengano a mutare il suo
equilibrio. Noi riteniamo che se tutto "dinamica", tutto "movimento",
questo "ordine delle cose", non potendo progredire, in alcun modo,
proprio per la dialettica delle cose, vada progressivamente a ritroso,
rendendo chiari, in tal modo, i motivi di tutte le perdite subite dal nostro
popolo, anche rispetto alle conquiste pi significative, costate aspre e
tenaci lotte. La forza delle armi, le leggi, la propaganda secondo cui,
questo, sarebbe il migliore degli Stati possibili: sono i mezzi di difesa dell'
"Ordine delle cose" e si chiama: il potere. Geymonat scrive: " se noi
chiediamo ad un rivoluzionario quali cose vorrebbe cambiare in
quest'Ordine egli risponder: voglio cambiare tutto. Se invece ci rivolgiamo
ad un conservatore, pi o meno dichiarato, egli dir: voglio apporre
qualche modifica, applicare qualche riforma. Il che semplicemente
impossibile e quindi come voler dire: io non voglio cambiare nulla .
Geymonat scrive ancora: " un semplice esame di quanto accaduto e
continuamente accade nello sviluppo della societ, ci dimostra che le
iniziative di riformare l'ordine vigente o investono la totalit di tale ordine o
falliscono ". Geymonat sostiene di schierarsi dalla parte dei rivoluzionari,
proprio perch i loro aneliti, sono scientificamente giusti. Geymonat
afferma, inoltre, quando la lotta per la totale trasformazione della
societ, vittoriosa, le conseguenze sono effettive e concrete. Anche in
base a quanto sopraddetto possiamo affermare, quindi, che la Libert
non uno status da difendere, ma, al contrario, essa il frutto di una
conquista quotidiana. Geymonat scrive ancora: " i progetti di
destabilizzazione vanno difesi, quando mirino alla conquista della Libert
". Noi possiamo agire in questo senso, anche introducendo i principi

della filosofia materialista dialettica che comporta la valorizzazione del


movimento e della sua antitesi. Possiamo inoltre, partecipare con la
persona fisica a quei movimenti che contestano ordine vigente.
Geymonat scrive ancora: " la destabilizzazione dell'ordine vigente, non
costituisce soltanto un'espressione di autentica Libert ma anche una
porta aperta verso un'avventura di cui non si pu prevedere l'esito ". Ed
proprio per questo ignoto che fa leva il potere, per esercitare il "Terrore"
nei cambiamenti e conservare il proprio status. Da parte di molti, pur
riconoscendo i difetti di "questo potere", viene l'affermazione di preferirlo
al "salto al buio", vecchio slogan, tuttora utilizzato. Geymonat, si esprime
con estrema chiarezza quando afferma: " ci che noi cerchiamo di
combattere non l'esistenza di un potere, bens la sua trasformazione in
qualcosa di intoccabile, cio della sua entit metafisica - ed ancora difendere la Libert significa difendere il cambiamento o almeno, la
possibilit di cambiamento ". La Libert, in qualunque modo la si voglia
intendere, ha una sua dinamicit, che ha il carattere di lotta. Libert
significa il perenne ampliamento, approfondimento, analisi critica,
discussione, potenziamento della creativit Noi ci auguriamo che
queste importanti tesi, al di l delle diverse maniere d'intendere e di
accettarle, siano uno spunto efficace per un serio dibattito, soprattutto
tra coloro che intendano collocarsi fuori dal pernicioso individualismo
oscurantista, per fornire alla societ "moderna e scientifica", elementi
utili al civile progresso politico, culturale e quindi sociale, di tutta
l'umanit.

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