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APPUNTI DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA

1 INTRODUZIONE

“Tutti gli uomini desiderano sapere”1 e oggetto proprio di questo desiderio è la verità. La stessa
vita quotidiana mostra quanto ciascuno sia interessato a scoprire, oltre il semplice sentito dire,
come stanno veramente le cose. L’uomo è l’unico essere di tutto il creato visibile che non solo è
capace di sapere, ma sa anche di sapere, e per questo si interessa alla verità reale di ciò che gli
appare. Nessuno può essere sinceramente indifferente alla verità del suo sapere. Se scopre che è
falso, lo rigetta; se può, invece, accertarne la verità, si sente appagato. E’ la lezione di
sant’Agostino quando scrive: “Molti ho incontrato che volevano ingannare, ma che volesse farsi
ingannare, nessuno”2 . Giustamente si ritiene che una persona abbia raggiunto l’età adulta quando
può discernere, con i propri mezzi, tra ciò che è vero e ciò che è falso, formandosi un suo giudizio
sulla realtà oggettiva delle cose. Sta qui il motivo di tante ricerche, in particolare nel campo delle
scienze, che hanno portato negli ultimi secoli a così significativi risultati, favorendo un autentico
progresso dell’umanità intera.3
La persona umana quindi non solo vuole conoscere, ampliare le proprie conoscenze, ma sa anche di
sapere e riflette sul proprio sapere cercando significati sempre più ampi, profondi e veri.

1.1 La scienza.

L’esperienza ordinaria generalmente non riesce a dare risposte soddisfacenti alle domande che
l’uomo si pone. E’ necessario ragionare, mettere in relazione le informazioni possedute, trarre delle
conseguenze. Fin dall’antichità è stato dato il nome di scienza a questo tipo di conoscenza dimostrata,
che utilizza ragionamenti, le deduzioni e ci consente di ottenere conclusioni irraggiungibili per altre vie.
Di fatto esistono oggi molte scienze. Non è agevole dare una definizione di «scienza» che si possa
applicare in modo adeguato a tutti gli ambiti della scienze contemporanee. Le definizioni della scienza
come «la conoscenza ordinata e mediata degli enti e delle loro proprietà, alla luce delle loro cause» 4 o
«conoscenza delle conclusioni, ottenuta dimostrativamente a partire dai principi», 5 pur nella loro
astrattezza hanno il pregio di affermare che qualunque lavoro scientifico non si accontenta di una
conoscenza vaga della realtà, ma tende a studiarne tutti gli enti nelle loro proprietà e alla luce delle loro
cause e principi, e si distingue dalla conoscenza spontanea per il suo procedere metodico, la sua
sistematicità e il suo carattere mediato 6. Queste definizioni inoltre recuperano l’accezione classica greca
e medioevale del termine «scienza», che comprende in primo luogo la filosofia (scientia communis) e
considera le altre conoscenze scientifiche come scientiae particularis.7 Nell’accezione oggi più comune
del termine, «scienza» designa le «scienze particolari», possibili sia come interpretazione della realtà in
un certo ambito dell’esperienza, sia come classificazione e catalogazione dei dati dell’esperienza stessa
1
ARISTOTELE, Metafisica, I, 1
2
Confessioni, X, 23, 33:
3
GIOVANNI PAOLO II, Enciclica Fides et ratio, n.3
4
J.J. Sanguineti, Logica filosofica, ed Ares (1985) p.159.
5
J.J. Sanguineti, Logica e Gnoseologia, p.317.
6
M. MORINI, Appunti di logica, p.115
7
In questo schema la filosofia considera le cause prime e radicali dell’universo. Le altre scienze invece ricercano le cause
prossime e particolari relativamente ad un tipo specifico di enti. Tale diversità specifica determina una suddivisione delle
scienze in base al loro campo di indagine (per esempio, la biologia studia gli esseri viventi, l’astronomia i corpi celesti, ecc.).
A volte il genere studiato può consistere in una proprietà comune a specie diverse, così come la quantità astratta è l’oggetto
formale della matematica.

1
(il che comporta sempre anche un’interpretazione, almeno secondo la logica dell’ordine e dei reciproci
rapporti razionali).
«Questa definizione mette in evidenza due caratteri della conoscenza che vogliamo chiamare
scientifica: la certezza e la motivazione... Il primo passo per la conoscenza scientifica è l’accertamento
dei fatti, dei fenomeni; ma se vi fosse soltanto questo, non vi sarebbe ancora conoscenza... Il puro
accertamento dei fatti, dei fenomeni, non accontenta; l’uomo non si limita ad accertare, ma vuole anche
spiegare i fatti, darne le ragioni, i fondamenti. Pare quindi che, ai fini del sussistere di una conoscenza
che si possa dire in qualche modo scientifica, sia essenziale che alla certezza (quale che sia il suo grado)
si accompagni anche una spiegazione dei fatti».8
Spiegazione significa, etimologicamente, passare dall’implicito all’esplicito, varia a seconda
dell’approccio metodologico del ricercatore e delle finalità che egli si è (consapevolmente o non)
proposto:9 «La spiegazione può essere di tipo puramente logico: per esempio, può essere la spiegazione
di un teorema matematico: il fatto è il sussistere del teorema, la spiegazione è la sua dimostrazione, il
procedimento che fonda la validità del teorema sulla validità di altri procedimenti dimostrati oppure su
quella di altri principi ammessi come veri. Nel caso della chimica e della fisica, la spiegazione dei
fenomeni che si osservano può consistere in una teoria che li giustifica, determinando la costituzione
della materia che stiamo osservando, che si comporta in un certo modo perché è costituita secondo certe
leggi. Persino una scienza che può essere considerata come puramente descrittiva, come la geografia,
non si accontenta di presentare le cose come sono, ma cerca di darne una descrizione sistematica e
ragionata, cioè di dare un embrione di spiegazione».10

1.2 Importanza della scienza nella cultura attuale.

La nostra civiltà è segnata dalla scienza, dai suoi progressi e soprattutto dalle applicazioni, che
modellano lo stile di vita e la cultura. E’ spontaneo considerare le scienze e le forme culturali da esse
proposte come un valore alto, indiscusso.
L’aggettivo “scientifico” suggerisce che una conoscenza è obiettiva, vera, rigorosa, ben dimostrata.
Invece, ciò che non è scientifico viene considerato come soggettivo, dipendente da circostanze mutevoli
e in genere poco affidabile. Sembrerebbe che ogni conoscenza che si presenta con pretese di obiettività
debba essere scientifica.
D’altra parte la nozione di scienza suole essere utilizza in un modo piuttosto ristretto: scienza è
arrivata ad essere, nella pratica, sinonimo di scienza sperimentale. Raramente si applica il concetto
di scienza alla filosofia o alla teologia, e si suole pensare che le scienze umane, se vogliono
progredire, devono utilizzare metodi simili a quelli che utilizza la scienza sperimentale.11
Da una parte quindi la scienza pervade la nostra cultura, è invocata da tutti, d’altra parte non sembra
che ci sia chiarezza sul senso di questo termine, su cosa sia scientifico, sul senso e sul valore di questo
termine. In realtà più che di scienza dovremmo parlare di scienze, moltiplicate e frammentate, con statuti
e conoscitivi diversificati. Nell’epistemologia attuale il termine scientifico è sinonimo di provvisorio, di
riformabile. Anche le stesse dimostrazioni scientifiche sono valutate in modo differente da studiosi
differenti. Per rispondere a interrogativi basilari nella cultura contemporanea è necessaria una riflessione
filosofica sulle scienze, che ne esamini i fondamenti, la portata e il valore conoscitivo. E’ importante
riconoscere e distinguere gli aspetti ideologici, che si mescolano con le affermazioni scientifiche,
costituendo una specie di surrogato della realtà, fortemente emotivo e orientato ai giudizi politici e
all’azione. Così come i pregiudizi antimetafisici e antireligiosi che serpeggiano acriticamente nel
pensiero moderno e contemporaneo.
8
C.F. Manara, Galileo contro Cartesio, in «Studi Cattolici», 1983, pp.515-516.
9
M. MORINI, Appunti di logica, p.116
10
Ibidem, p.517.
11
M. ARTIGAS, Filosofia de la ciencia, Eunsa (1999), p.14-15

2
La perdita di unità nelle scienze e nella cultura ha alimentato da una quarantina di anni un dibattito
sulle due culture12; sottolineando e lamentando le profonde differenze tra la cultura scientifica e la
cultura umanistica. Un problema che pur essendo stato ricomposto teoricamente da vari pensatori,
soprattutto nella prospettiva della tradizione filosofica e antropologica europea, continua a manifestarsi
nei fatti e nelle idee di coloro che professano forme di scientismo o di insufficiente comprensione
filosofica delle scienze.

1.3 La filosofia della scienza

Il grande sviluppo moderno delle scienze sperimentali ed i progressi scientifici e tecnologici hanno
richiesto una comprensione migliore della natura di questo sapere. Ma spesso l’incontro tra i filosofi e
gli uomini di scienza non è stato soddisfacente, per varie ragioni 13. In primo luogo, le polemiche che
hanno accompagnato lo sviluppo della scienza hanno distorto l’immagine stessa della scienza. Il
contesto polemico in cui la scienza sperimentale si sviluppa a partire dal sec. XVII ha contribuito a
deformare i fatti e i giudizi; da qui le posizioni scientiste, oppure gli atteggiamenti di svalutazione della
scienza, riducendola a pura utilità, senza una vera portata conoscitiva.
Inoltre, lo sviluppo delle scienze si è realizzato in modo molto frammentario, e la filosofia della scienza
è stata, nelle differenti epoche, troppo condizionata dallo stato di avanzamento delle scienze stesse. Gli
ultimi passi delle scienze, veri o presunti, hanno interpellato la riflessione filosofica, anche in termini
polemici. Per esempio il “trionfo della meccanica” nel secolo XVII, per effetto dei lavori di Galileo,
Keplero e Newton indusse una filosofia meccanicista, che venne ridimensionata dagli sviluppi della
fisica moderna, più che da ragioni teoretiche.
Infine lo sviluppo della filosofia delle scienze è stata in qualche modo ostacolata dalla mentalità
positivista. E’ infatti nel clima del “neopositivismo logico”, proprio del Circolo di Vienna, che a partire
dal 1920 si sviluppa sistematicamente la filosofia della scienza. Ma questa nascita è condizionata da un
difetto di origine, a causa dei pregiudizi positivisti e antimetafisici. Da qui quindi il perdurare
d’impostazioni scientiste, sia in uomini di scienza e in filosofi, sia soprattutto nella mentalità
contemporanea.
Per delimitare il valore e la portata della scienza, e situarla nel contesto più ampio della cultura
umana, è necessaria una riflessione di tipo filosofico, con eventuali apporti provenienti dagli studi di
storia e di sociologia. Si fa notare che una riflessione filosofica sulle scienze comporta una prospettiva
più ampia della scienza stessa, dovendosi porre al di fuori degli oggetti particolari delle scienze stesse.
La prospettiva filosofica si estende fino alle dimensioni più radicali degli oggetti propri delle scienze.
Anche se le discipline filosofiche hanno, in qualche modo, un carattere scientifico, poiché procedono
ragionando dalle premesse alle conclusioni, presentano anche, in diversi gradi, un carattere “sapienziale”
che trascende il livello propriamente scientifico.
La Filosofia della scienza, o meglio delle scienze, è una disciplina filosofica di recente
formalizzazione, ma con radici antiche. Il nome tuttora designa indagini che sono state compiute per
secoli e catalogate nell’ambito dei vari ambiti filosofici, quali: logica, teoria della conoscenza, etica
sociale, metafisica, ecc. Ove non indicato in modo diverso s’intenderà la filosofia delle scienze come
una teoria filosofica della scienza, una concezione sistematica di ciò che la scienza, in generale, o una
scienza particolare sia:14 riguardo ai suoi fondamenti, il suo oggetto, i suoi metodi e i suoi scopi. A volte
questa disciplina è denominata epistemologia, sia come sinonimo di filosofia delle scienze, sia per
indicare una teoria della conoscenza in quanto conoscenza scientifica.
Per riassumere e schematizzare, quindi:

12
C. P. SNOW, Le due culture e la rivoluzione scientifica, (1959)
13
M. ARTIGAS, Filosofia de la ciencia, Eunsa (1999), p.17
14
A. STRUMIA, Introduzione alla filosofia delle scienze, Edizioni Studio Domenicano (1992), pp. 9-10

3
 l’oggetto della filosofia delle scienze sono le scienze, nel loro complesso, ovvero una scienza in
particolare.
 Il punto di vista (l’oggetto formale quo) con cui sono analizzate le scienze è quello dell’indagine
delle loro connessioni con la filosofia, cioè con quelle discipline filosofiche, necessarie alla
scienza per fondarsi (problema dei fondamenti della scienza), per svilupparsi (problema del
metodo), per applicarsi (problema della tecnica e della finalità della scienza).

1.4 Relazione con le altre discipline

Nel quadro delle discipline filosofiche la filosofia delle scienze, come già accennato, si trova in
relazione con15
 La critica della conoscenza (Gnoseologia).
Se ne differenzia perché non tematizza la scienza come “forma di conoscenza”. La problematica
della filosofia delle scienze non è espressamente quella di fondare la verità di una conoscenza,
ma piuttosto di carpirne le condizioni di scientificità.
 La filosofia della natura.
Quest’ultima ha come oggetto l’essere in quanto sensibile, piuttosto che la scienza concernente
l’essere sensibile. La filosofia della scienza ha come oggetto le scienze, che, secondo una
concezione moderna, più ristretta si riducono a: le scienze empiriche, galileiane, della natura e le
scienze formali, matematiche (scienze delle quantità e delle relazioni tra le quantità). 16
 Le altre discipline filosofiche: Logica, Metafisica, ecc. sono naturalmente richiamate, in quanto
la filosofia adotta una prospettiva generale nei confronti dell’essere.
La Filosofia delle scienze si relaziona inoltre con la Storia delle scienze, con la Sociologia delle
scienze e con gli altri aspetti della cultura.

1.5 Temi e metodo della filosofia della scienza.

La disciplina in questione affronta il tema di determinare la natura delle scienze e di studiarne il


17
valore. La prospettiva si ampia se consideriamo non solo le scienze galileiane, matematizzate, ma
anche le scienze umane.
 Spesso ci si è domandati se il compito della filosofia delle scienze sia di tipo descrittivo o
normativo. La risposta prevalente è che si tratta di una disciplina descrittiva della natura delle
scienze, cioè del loro modo di funzionare, dei metodi e delle nuove prospettive. E’ da notare che
una descrizione delle scienze comporta forme di interpretazioni e di valutazioni, e non è mai una
semplice raccolta di dati.
 La scienza è conoscenza dimostrata razionalmente, di conseguenza la filosofia della scienza sarà
parte della filosofia della conoscenza. Dal momento che la conoscenza umana ha dimensioni
spirituali (è capace di riflettere su sé stessa), la filosofia della conoscenza si ricollega alla
metafisica, che studia l’essere in tutta la sua generalità e la conoscenza umana in quanto si
estende potenzialmente a tutto l’essere. La stessa possibilità di una scienza sperimentale significa
che abbiamo capacità al di sopra degli esseri naturali, per conoscere la verità, per esprimerla, per
manifestare un sapere riflesso e trascendente.

15
Ibidem, p.11
16
Ibidem, p.13
17
M. ARTIGAS, op. cit., p.19-21

4
 Esaminare il valore delle scienze, anche partendo da una prospettiva strettamente scientifica,
porta a trascendere l’ambito delle scienze, a adottare una prospettiva metascientifica, cioè
propriamente filosofica, così da esaminare la scienza come oggetto di analisi alla luce di una
razionalità più ampia e penetrante, che rende possibile l’esistenza e lo sviluppo della stessa
scienza.
 Anche il metodo impiegato dalla filosofia della scienza deve essere un metodo propriamente
filosofico, anche se gli elementi dello studio sono forniti dalle stesse scienze, dalla storia, dalla
sociologia, ecc. Queste riflessioni, prevalentemente descrittive dei metodi, rispettano il livello di
autonomia proprio di ogni scienza. Si fa notare che l’autonomia non può essere considerata
assoluta, altrimenti si può cadere in atteggiamento totalitari o soggettivistici. Quasi che la
scienza sia il bene supremo, o la forma esauriente di conoscenza della realtà. E’ logico quindi
che la scienza, come conoscenza, sia correlata con qualche norma conoscitiva che la preceda e
con qualche norma etica che le consente di esistere per uno scopo oltre se stessa.18
 Si segnala inoltre che le scienze sperimentali e le scienze umane hanno sia una dimensione
conoscitiva, sia una dimensione pratica. In quanto le scienze sono suscettibili di applicazione sia
in termini tecnici, sia in relazione ai valori morali. Se si considera che la scienza è soprattutto
una forma di conoscenza ne segue che la dimensione pratica è logicamente subordinata alla
dimensione conoscitiva.

2 SVILUPPO STORICO DELLA SCIENZA

2.1 Origine storica delle scienze in Grecia.

I frammenti di scienza empirica nell’antichità si trovano mescolati con riflessioni filosofiche e con
tentativi di comprensione più ampia. Sono note le ricerche sull’archè e sulla costituzione della materia.
L’acqua (Talete), i quattro elementi: acqua, aria, terra e fuoco (Empedocle), gli atomi (Democrito e
Leucippo).
Archimede (III sec. a.c.) fece importanti scoperte sulla meccanica (statica dei fluidi, leve e gravità).
Sembra che i suoi lavori siano stati ripresi nel XV sec. da Stevin e Galilei.
I pitagorici dal VI sec. a.c. introdussero la matematica nello studio della natura e l’uso della
dimostrazione. Eratostene, nel III sec., misurò il raggio terrestre e l’angolo di inclinazione dell’asse della
terra. Ecfanto propose la spiegazione della rotazione diurna del cielo mediante la rotazione della terra
attorno al proprio asse, ed Aristarco (III-IV sec.) la rotazione della terra attorno al Sole. Il modello
tolemaico (II sec. a.c.) perfeziona e rende più convincente il modello già proposto da Eudosso nel IV
sec. Aristotele sviluppò studi minuziosi di zoologia, botanica, astronomia, fisica, ecc. che rimasero
molto famosi nei secoli successivi.

2.2 La trasmissione della scienza greca nell’alto medioevo.

Dalla cultura ellenistica avviene un’importante trasmissione degli scritti scientifici e matematici alla
cultura araba; ponte per il medioevo e per l’età moderna. Sono tradotti e diffusi gli Elementi di Euclide e
l’Almagesto di Tolomeo, ma anche studi di alchimia, che costituirono base per la chimica e la
farmacologia. In particolare in Spagna e in Sicilia nel XII e XIII secolo si traducono in latino le opere
arabe, che si diffondono in occidente.
18
A. STRUMIA, op, cit. p.178

5
Dopo il X sec. si sviluppano le principali università, a Bologna, Parigi, Oxford dove si coltivano
studi di Teologia, Diritto, Filosofia, Medicina, Scienze naturali.
Nel Medio Evo questi centri universitari, animati da studiosi degli ordini mendicanti, non temono di
realizzare importanti sintesi tra elementi filosofici e scientifici dell’antichità (pagana), degli arabi e degli
ebrei con la teologia cristiana. Grazie agli arabi si riscopre Aristotele e altri studiosi greci ellenistici. Per
gli stessi motivi Roberto Grossatesta (XII-XIII sec.) invita a Oxford studiosi greci. Roger Bacon (XIII
sec.) francescano poté riprendere gli antichi studi di geografia, astronomia, ottica.

2.3 La sintesi della Scolastica.

S. Alberto Magno, nel XIII sec., in Germania e a Parigi, svolse importanti lavori enciclopedici di
sintesi, sulla filosofia e sulle scienze naturali, avvalendosi di precedenti studi arabi, aristotelici, ebrei. S.
Tommaso D’Aquino (1225-1274) produce una sintesi filosofico teologica di grande potenza, che rispetta
le autonomie dei vari ambiti del sapere. I suoi lavori stimolarono notevolmente i successivi lavori
intellettuali e scientifici, con l’idea di un mondo razionale e intelligibile.
La filosofia della scienza di S. Tommaso è contenuta principalmente nel Commento al De Trinitate
di Boezio e nel Commento agli Analitici Posteriori di Aristotele.
E’ da notare che S. Tommaso aveva compreso il carattere ipotetico delle teorie astronomiche
antiche, nel Commento al De Coelo di Aristotele, che “…permettono di salvare i fenomeni osservabili;
senza dubbio non è necessario affermare che (le teorie) siano vere, perché forse i fenomeni relativi alle
stelle si possono spiegare in qualche altro modo che ancora non conosciamo”. Il carattere ipotetico delle
teorie astronomiche è affermato anche in altri passi di S. Tommaso. L’espressione “salvare le
apparenze”, per designare le teorie proposte per rendere conto dei fenomeni osservati, senza pretendere
che siano vere, è una frase classica di Galilei, usata però fin dall’antichità.

2.4 Radici tardo-medievali della scienza moderna.

Si può affermare che la scienza moderna ha radici tardo-medievali, evidenziate da Pierre Duhem
(1861-1916) e da altri. Costoro sostengono che la rivoluzione scientifica del XVII sec. fu possibile per i
numerosi studi realizzati da scienziati medievali, per esempio da Nicola di Oresme e Giovanni Buridano
alla Sorbona nel secolo XIV.
La riscoperta della logica e della fisica di Aristotele, insieme con l’astronomia e le matematiche dei
greci e degli arabi indusse un nuovo fervore di studi scientifici.
Lo stesso ardore con cui erano studiati i testi di Aristotele garantiva la rapida
evidenziazione delle incongruenze delle sue dottrine e dimostrazioni; incongruenze
che molte volte si trasformarono nel fondamento di nuove realizzazioni creative. Gli
eruditi medievali avevano appena intravisto le novità astronomiche e cosmologiche
che avrebbero posto in evidenza i loro successori dei secoli XVI e XVII. Senza
dubbio ampliarono il campo della logica aristotelica, scoprirono errori nei suoi
ragionamenti e rifiutarono molte delle sue spiegazioni a causa del disaccordo con le
prove fornite dall’esperienza. Parallelamente forgiarono un buon numero di concetti
e strumenti che si rivelarono essenziali per i futuri risultati scientifici di
uomini come Copernico o Galileo.19

Spesso si è fatto notare che il nominalismo medievale favorì anche la nascita della scienza moderna,
dal momento che insisteva sulla contingenza del mondo e, pertanto, sulla necessità dell’osservazione e
della sperimentazione per conoscerlo. L’insistenza sulla libertà di Dio nel creare un mondo contingente

19
T.S. KUHN, La rivoluzione copernicana

6
comportava che non possiamo dedurre per semplice ragionamento come è il mondo, prescindendo
dall’osservazione empirica, e quindi stimolò lo studio empirico della natura.
Naturalmente un’eccessiva insistenza sulla contingenza del mondo distrugge la possibilità di
formulare leggi generali (quasi che queste limitassero la libertà di Dio). La ricerca scientifica infatti
presuppone che esista una certa necessità nel mondo, anche se relativa, compatibile con la libertà divina
e con la contingenza del mondo.
Il cristianesimo favorì l’accettazione di questo presupposto; nel corso di molte generazioni esercitò
un influsso positivo perché fornì una matrice culturale che stimolava il lavoro scientifico: per esempio
con l’idea che il mondo, opera di Dio infinitamente sapiente, è razionale e possiede un ordine che può
essere studiato e compreso. L’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio è capace di conoscere
l’ordine naturale, anche per il mandato divino di conoscere e dominare la natura.20

3 LA FILOSOFIA E LA SCIENZA

3.1 Metafisica e scienze particolari in Aristotele

Abbiamo già detto che nell’antichità non vi è una chiara differenza tra filosofia e scienza. Il
paradigma più importante e che costituirà un riferimento normativo per secoli è quello teorizzato da
Aristotele. E’ già stata citata la definizione di scienza secondo Aristotele: una conoscenza certa
mediante le cause. Spiegare qualcosa significa determinare le cause della sua esistenza. Vi sono vari
modi concreti di essere, che danno luogo alle scienze particolari. Lo studio dell’essere in sé costruisce la
metafisica, la scienza più perfetta, perché attinge alle cause più radicali, alle cause ultime che danno
luogo alle conoscenze più universali e necessarie. La metafisica è anche sapienza, giacché studia i
principi comuni a tutte le scienze particolari e quindi esercita una funzione ordinatrice nella sintesi del
sapere. Secondo Aristotele la Fisica è principalmente lo studio della natura da un punto di vista
filosofico. E’ insieme logica, perché sapere dimostrato, e filosofia naturale, perché studia il modo di
essere e le strutture ontologiche degli enti soggetti al divenire.
Anche le ipotesi matematiche dell’astronomia erano considerate semplici ipotesi (non dimostrazioni)
dato che i fenomeni potevano essere spiegati anche con ipotesi differenti. Sono presenti le quantità, ma
si può affermare che si tratta essenzialmente di scienze qualitative; più potenti per la biologia e meno
per la meccanica e l’astronomia. Ciò non toglie che le scienze fisiche di Aristotele non sono semplici
conoscenze comuni, ma conoscenza ordinata e mediata: un corpo organizzato di conoscenze.

3.2 La dimostrazione in Aristotele21

Ecco il testo di Aristotele: «Per dimostrazione, intendo il sillogismo


scientifico, e chiamo scientifico un sillogismo il possesso stesso del quale
costituisce per noi la scienza».22 Si può dunque dire brevemente con san Tommaso:
syllogismus facens scire.23 Bisogna prendere qui la parola «scientifico» nel suo
senso letterale: un sillogismo che fa sapere, che genera la scienza (in ogni
intelletto che lo comprende).
Vi è dunque equivalenza, per Aristotele, fra scienza e dimostrazione. Le
conoscenze ottenute altrimenti che dalla dimostrazione non sono scientifiche.

20
M. ARTIGAS, op. cit. pagg. 33-34
21
tratto da M. MORINI op. cit. p.116-118
22
Aristotele, Analitici Secondi, I, 2.
23
San Tommaso, Post. Anal., I, 4, n.36.

7
Sono dunque escluse dalla scienza tutte le forme di conoscenza intuitiva, per
certe ed evidenti che siano, come la conoscenza che hanno i sensi del loro
oggetto proprio e la conoscenza che l’intelligenza ha dei primi principi. È al
tempo stesso esclusa dalla scienza l’induzione che dà le prime premesse immediate
al sillogismo. In una tale concezione la scienza è identificata con la
dimostrazione e la dimostrazione con la deduzione. Aristotele ammette che vi
siano forme imperfette di dimostrazione, ma per definire la dimostrazione, la
considera nella sua forma pura e perfetta.

Le condizioni della conoscenza scientifica


Aristotele pone tre condizioni perché si abbia scienza di qualcosa:
1. conoscere la causa di questa cosa,
2. sapere che questa causa è quella della cosa,
3. sapere che la cosa non può essere altrimenti da quello che è.

Scire aliquid est perfecte cognoscere ipsum. Oportet igitur, scientem, si est
perfecte cognoscens, quod cognoscat causam rei scitae. Oportet scientem
cognoscere etiam applicationem causam ad effectum. Ulterius oportet quod id quod
scitur non possit aliter se habere.24
La scienza, anzitutto, è una conoscenza mediante le cause; in altri termini, è
esplicativa. Bisogna prendere il termine «causa» in senso larghissimo senza
limitarlo alla sola causa efficiente, perché ci sono quattro cause reali che
danno origine ognuna a un certo tipo di spiegazione: la causa efficiente, ma
anche la causa finale, o il fine, e queste due cause sono estrinseche all’oggetto
considerato; poi la causa materiale e la causa formale, più semplicemente materia
e forma, che sono intrinseche all’oggetto e lo costituiscono. Ma per Aristotele
la scienza non è soltanto una spiegazione del reale mediante le sue cause reali,
perché essa racchiude ogni specie di spiegazione, in modo che la nozione di causa
si estende oltre le quattro cause reali e viene a ricoprire ogni specie di
principio e di ragione.
In secondo luogo, la scienza esige che si conosca il vincolo che unisce le
cause all’effetto: che si sappia dunque che questa causa produce questo effetto,
o viceversa che questo effetto dipende da questa causa. Se si conoscesse soltanto
la causa, non si conoscerebbe ancora la cosa che ne risulta; la si conoscerebbe
«in potenza», virtute, dice san Tommaso, in quanto contenuta virtualmente nella
sua causa, ma non «in atto» in quanto essa risulta dalla sua causa e se ne
distingue. Se si conoscesse la cosa senza scorgerne la dipendenza relativamente
alla causa, la si conoscerebbe senza dubbio in se stessa, ma non come effetto, e
in tal modo non sarebbe spiegata.
Finalmente, per avere la scienza di una cosa, occorre sapere che essa non può
essere altrimenti, cioè che è necessaria. Questo non significa evidentemente che
è un essere necessario privo di causa, ma che deriva necessariamente dalla sua
causa. Se può essere altrimenti, obietta san Tommaso, non può essere oggetto di
una conoscenza certa: «Quod autem contingit aliter se habere, non potest aliquis
per certitudinem cognoscere».25
Da ciò derivano alcuni importanti corollari. È escluso dalla scienza il
contingente in quanto contingente. La scienza non ignora gli esseri contingenti:
non verte però sulla loro contingenza, ma sugli aspetti di necessità che ognuno
di essi ha. Non vi è nulla contingente a tal punto da non comportare una parte di
necessità. Per la stessa ragione Aristotele esclude dalla scienza il variabile o
il mobile: la scienza verte solo sull’immobile e sull’immutabile. Ma si tratta
del mobile in quanto tale, e non vi è nulla che è variabile al punto tale da non
comportare una parte di immobilità. Infine, vi è scienza soltanto del generale e
non vi è scienza dell’individuo. Occorre precisare. Anzitutto che si tratta
dell’individuo materiale o sensibile che è mobile, poiché se esistono esseri
immateriali immobili, questi individui possono essere, in linea di principio,
conosciuti scientificamente. Inoltre, che si tratta dell’individuo in quanto
tale, o della sua individualità, poiché per tutto quello che esso ha in comune

24
San Tommaso, Post. Anal., I, 4, n.32.
25
San Tommaso, Post. Anal., I, 4, n.32.

8
con altri, è universale e dipende dalla conoscenza scientifica. E ciò non
significa che l’individuo sia inconoscibile, ma che è inesplicabile: può essere
constatato, ma non dedotto.
Da tutto ciò deriva che mezzo privilegiato della conoscenza scientifica per
Aristotele è il sillogismo, perché dà la ragione per la quale un predicato
appartiene necessariamente a un soggetto: quello che si cerca è una conclusione
nella quale una proprietà viene attribuita a un soggetto come propria della sua
essenza:

Sciendum est quod id cuius scientia per demonstrationem quaeritur est


conclusio aliqua, in qua propria passio de subiecto aliquo praedicatur; quae
conclusio ex aliquibus principiis infertur.26
Le premesse conterranno dunque come estremi l’essenza e la proprietà, e come
termine medio la ragione per la quale la proprietà appartiene all’essenza.
Una dimostrazione presuppone sempre una conoscenza antecedente, perché la
dimostrazione è un’argomentazione che va dal conosciuto all’incognito. Aristotele
precisa quindi a quali condizioni devono soddisfare i presupposti della
dimostrazione.27
Quanto ai principi, bisogna sapere che essi sono veri, o perché essi sono
evidenti, o perché sono stati precedentemente dimostrati.
Quanto al soggetto, bisogna sapere ciò che esso è (quid est), cioè conoscere
la sua essenza, e che esso è (quia est), cioè la sua esistenza. Poiché l’essenza
è conosciuta tramite la definizione, bisogna sapere di che cosa di parla e
definirlo esattamente. Quanto poi all’esistenza, non si tratta sempre
dell’esistenza reale, ma anche di un’esistenza ideale, come in matematica quando
si dimostrano le proprietà del triangolo: rimane però vero che nessuna scienza
dimostra l’esistenza del soggetto di cui tratta, ma la presuppone.
Quanto alle proprietà, non è richiesto, né possibile di conoscerne in anticipo
l’esistenza, perché è proprio quello che bisogna dimostrare. Si dà allora il
problema, precisa Aristotele, della conoscenza dell’essenza delle proprietà:
perché, parlando propriamente, non si può sapere ciò che una cosa è prima di
sapere se essa è (antequam sciatur de aliquo an sit, non potest sciri de eo quid
sit: non entium enim non sunt definitiones). Ora, si conoscerà l’esistenza della
proprietà solo alla conclusione della dimostrazione; si potrà dunque soltanto
allora conoscere la sua essenza. Tuttavia è bene averne dapprima una qualche idea
perché essa figura nelle premesse. La definizione nominale della proprietà
soddisfa a questa esigenza, ed è quindi uno dei presupposti della dimostrazione
(non potest ostendi de aliquo an sit, nisi prius intelligatur quid significatur
per nomen).

Gli elementi della dimostrazione


Le premesse di una dimostrazione devono soddisfare secondo Aristotele a sei
condizioni: devono essere vere, prime, immediate, anteriori alla conclusione, più
conosciute di questa, e cause della conclusione. Si ha quindi la seguente
definizione della dimostrazione: syllogismus constans ex veris, primis,
immediatis, prioribus, notioribus, causis conclusionis.
Le prime tre condizioni concernono le premesse considerate in se stesse: le
premesse devono essere vere perché la conclusione deve esserlo e perché il falso
non può essere causa del vero; e devono essere prime e immediate. Le premesse
prime sono quelle oltre le quali non si può risalire per via di dimostrazione
(che cioè sono indimostrabili), e sono dette immediate perché la loro verità non
risulta da un «termine medio», cioè da una dimostrazione: una dimostrazione può
essere valida senza partire da tali premesse, ma solo se le sue premesse sono
state dimostrate, e siccome non si può risalire all’infinito, ogni dimostrazione
deve, in ultima analisi, dipendere da premesse immediate.28
Le altre tre condizioni riguardano il rapporto delle premesse con la
conclusione. Le premesse devono essere cause della conclusione: ciò è richiesto

26
San Tommaso, Post. Anal., I, 2, n.14.
27
Cfr. san Tommaso, Post. Anal., I, 2, nn.15-17.
28
Et sic oportet quod demonstratio ex immediatis procedat, vel statim, vel per aliqua media.

9
dalla nozione stessa di scienza, perché la scienza è conoscenza mediante le
cause. Se le premesse non sono cause della conclusione, cioè ragione della sua
verità, questa potrà pure essere vera, ma non sarà conosciuta scientificamente.
Dal fatto che le premesse sono cause della conclusione, deriva che le sono
anteriori: non secondo l’ordine cronologico (la causa potrebbe essere simultanea
all’effetto) ma secondo l’ordine logico ed ontologico, o, come si dice anche, per
natura. E dal fatto che le premesse sono anteriori alla conclusione, deriva anche
che sono più conosciute di questa: infatti conosciamo la conclusione dai
principi, e dunque conosciamo i principi più e meglio della conclusione. Se non
fosse così, ne seguirebbe che conosceremmo ciò che non conosciamo più di quello
che conosciamo (o almeno altrettanto), il che è assurdo:

3.3 Dimostrazione e induzione29

I principi che servono come punto di partenza per la dimostrazione si ottengono per induzione, a
partire dall’esperienza (dimostrazione quia).

Dimostrazione «propter quid» e dimostrazione «quia»

La dimostrazione perfetta della quale abbiamo parlato finora è detta


dimostrazione propter quid, perché dà la causa propria e prossima della
conclusione; essa dice perché il predicato appartiene al soggetto. Essa è dunque
sempre a priori, perché il discorso va a priori ad posteriorem, da ciò che è
anteriore per natura a ciò che è posteriore, ossia dalla causa agli effetti, dal
principio alle conseguenze.
Ma vi sono anche delle dimostrazioni imperfette. Esse sono dette dimostrazioni
quia, perché mostrano che una cosa è così, senza dare la ragione per cui essa è
così.30
a) Una dimostrazione quia può essere a priori come una dimostrazione propter
quid. In questo caso la differenza consiste solamente nel fatto che la
dimostrazione perfetta dà la ragione prossima per la quale la conclusione è vera,
mentre la dimostrazione imperfetta dà una ragione remota che può valere anche per
altre conclusioni. La conclusione è dedotta correttamente, dunque vi è
dimostrazione; ma la conclusione non è la sola che si possa dedurre dai principi,
e per questo la dimostrazione è imperfetta. Aristotele dà questo esempio:
Anacarsi dice che gli Sciti non cantano perché non hanno vigne. È una causa molto
remota. La causa meno remota sarebbe: perché non hanno vino. La causa più
prossima ancora sarebbe: perché non bevono vino, ex hoc sequitur laetitia cordis
quae movet ad cantandum; la causa veramente prossima sarebbe dunque: perché non
hanno il cuore allegro.31
b) Ma il caso più interessante di dimostrazione imperfetta è la dimostrazione
a posteriori. Consiste nel dimostrare l’esistenza di una causa muovendo dai suoi
effetti. È una dimostrazione quia perché dimostra che la causa esiste. È una
dimostrazione a posteriori perché va a posteriori ad priorem, da ciò che è
posteriore per natura a ciò che è anteriore.
La dimostrazione a posteriori è una deduzione come la dimostrazione propter
quid, ma in senso inverso. Con vocaboli più moderni si direbbe che essa è
un’analisi, mentre l’altra è una sintesi. I termini adoperati da san Tommaso sono
equivalenti: la dimostrazione che va dalla causa all’effetto è detta compositio,
e quella che va dall’effetto alla causa resolutio. La giustificazione di questi
nomi è data dal fatto che la causa è più semplice dei suoi effetti, i quali
possono essere molteplici e assai diversi, in modo che andando dalla causa

29
tratto da M. MORINI op. cit. p.121-123
30
San Tommaso, Post. Anal., 1, 23-25.
31
San Tommaso, Post. Anal., 1, 24, n.205.

10
all’effetto si va dal semplice al complesso, e procedendo in senso inverso si va
dal complesso al semplice.

In omni inquisitione oportet incipere ab aliquo principio. Quod quidem si,


sicut est prius in cognitione, ita etiam sit prius in esse, non est processus
resolutorio, sed magis compositivus: nam causae sunt simpliciores effectibus. Si
autem id quod est prius in cognitione, sit posterius in esse, est processus
resolutorius: utpote cum, de effectibus manifestis, iudicamus resolvendo in
causas simplices.32
L’analisi è il solo metodo possibile quando la causa è sconosciuta, dunque
quando gli effetti soli ci sono noti. Essa è imperfetta non perché non sia
rigorosa, ma perché non dà la ragione d’essere della causa: si limita a provarne
l’esistenza. Il principio sul quale essa si basa, principio primo conosciuto di
per sé, è una forma del principio di causalità: posito effectu, necesse est
causam praeexistere, dato un effetto è necessario che la causa esista (preesista:
si tratta di un’anteriorità di natura e non di tempo).
In metafisica l’applicazione più importante di questo tipo di dimostrazione è
la prova dell’esistenza di Dio:

Duplex est demonstratio. Una quae est per causam, et dicitur propter quid, et
est priora simpliciter. Alia est per effectum, et dicitur demonstratio quia, et
haec est per ea quae sunt priora quoad nos. Cum enim effectus aliquis nobis est
manifestior quam sua causa, per effectum procedimus ad cognitionem causae: ex
quolibet autem effectu potest demonstrari propriam causam eius esse, si tamen
eius effectus sint magis noti quoad nos, quia, cum effectus dependeat a causa,
posito effectu, necesse est causam praeexistere. Unde Deum esse, secundum quod
non est per se notum quoad nos, demonstrabile est per effectus nobis notos.33
Ordinariamente si utilizza questo tipo di dimostrazione combinandolo con la
prova propter quid. Quando sono raggiunte le cause, a partire da queste si può
successivamente discendere alle proprietà rispettive o agli effetti, per
dimostrarli o prevederli. Per esempio, la natura del mondo creato permette di
inferire l’esistenza di Dio (dimostrazione a posteriori); e, analizzando la
natura di Dio come Causa prima, possiamo dedurre (dimostrazione propter quid)
l’intelligenza, l’eternità, l’infinitezza di Dio. Oppure: proviamo che l’anima
umana è spirituale, studiandone le operazioni (prova secondo l’effetto); possiamo
poi dimostrare che essa è immortale e creata immediatamente da Dio, partendo
dalla sua spiritualità (prova secondo la causa).
In generale, lo schema della dimostrazione secondo l’effetto è un sillogismo
categorico la cui premessa maggiore indica che un evento è segno di una causa. Ad
esempio, «colui che ha i sintomi X soffre di una malattia epatica; Tizio ha i
sintomi X; dunque Tizio soffre di una malattia epatica». La prova potrebbe anche
essere schematizzata secondo la forma di un sillogismo condizionale: «se vi sono
le sue impronte digitali, egli è stato qui; di fatto ce ne sono; dunque egli è
stato qui». Ovviamente si devono osservare le regole di questo sillogismo, le
quali permettono di inferire da un effetto una causa determinata, ma diversamente
a seconda che la causa sia sufficiente, necessaria, o sufficiente e necessaria
insieme.
La ricerca delle cause esige un insieme di tentativi, ipotesi, eliminazioni
progressive. Negli esempi proposti si presuppone che già si conosca il legame
esistente tra la causa e l’effetto; di solito però la ricerca scientifica si
trova di fronte ad un fenomeno la cui causa deve essere scoperta per poter
arrivare alla formulazione della premessa maggiore della prova a posteriori.
Questo problema ci rimanda a quello dell’induzione causale.

L’induzione causale
La dimostrazione a posteriori si distingue dall’induzione. Quest’ultima risale
dagli eventi singoli ad una legge universale (ad esempio, le leggi del pendolo,

32
San Tommaso, S.Th., I-II, 14, 5.
33
San Tommaso, S.Th., I, 2, 2.

11
dei vasi comunicanti, ecc.). La dimostrazione che procede dagli effetti inferisce
invece l’esistenza di una causa concreta (ad esempio, essa ricerca il perché
delle maree e lo trova nell’attrazione lunare). Comunque essa è collegata con
l’induzione. L’induzione empirica è un procedimento logico fondamentalmente
statistico, basato su un inventario numerico. L’inventario però non è fine a se
stesso, ma serve per cogliere, sia pure imperfettamente, il modo di essere delle
cose. Ore, la generalizzazione empirica richiede una spiegazione. Nessuno si
domanda perché il nonno sia il padre del padre di qualcuno, perché comprende che
tale è la natura di nonno. Invece, ci si può chiedere perché l’acqua incomincia a
bollire a 100°, perché il sole sorge tutti i giorni, perché vi siano le maree...
Allora l’induzione empirica si apre alla ricerca causale, e ciò che prima si
conosceva empiricamente può essere conosciuto causalmente.
La dimostrazione a posteriori è quindi basata sul principio di causalità. Il
termine medio della prova è un fatto di esperienza, del quale per induzione si
rileva la connessione essenziale con un certo tipo di causa. Evidentemente in
questo ragionamento si utilizza sempre, come premessa universale, il principio di
causalità: tutto ciò che avviene ha una causa, attuale o passata. Le premesse
prossime esprimono comunque una causalità più concreta: ad esempio, Keplero, per
giungere a determinare l’orbita ellittica dei pianeti, partì da una serie di
osservazioni della volta celeste e dalla semplice legge per cui se un oggetto si
presenta prima nel punto M e poi in N, avrà percorso la distanza che va da M a N.
L’ascesa alla causa spesso si attua partendo dalla costanza di certi effetti (ad
esempio, si ammalano tutti coloro che mangiano un determinato tipo di funghi), o
da un’eccezione che infrange la regolarità di certi fenomeni e deve perciò essere
spiegata (ad esempio, durante un’epidemia pochi individui non contraggono la
malattia, perché posseggono nel proprio organismo delle difese particolari).
Non è esatto affermare che le argomentazioni delle scienze partono dal
principio di causalità inteso come semplice successione temporale costante: A è
causa di B, quando regolarmente A è seguito da B. Spesso ciò è vero, ma vi sono
anche delle successioni temporali che non manifestano un rapporto causale (ad
esempio, quella di giorno e notte), e vi sono causalità non successive ma
simultanee (ad esempio, un’automobile che ne sta spingendo un’altra). Piuttosto
bisogna dire che quando A e B si presentano sempre uniti, o l’uno è causa
dell’altro, oppure essi hanno una causa comune.34
L’induzione causale a cui ci stiamo riferendo qui ha una caratteristica
peculiare, che conviene adesso evidenziare. Gli esempi che abbiamo presentato
trattando l’argomento dell’induzione riguardavano fatti di esperienza, che
venivano generalizzati e dichiarati veri universalmente (da alcuni casi, si
passava a tutti). Qui, invece, passiamo ad una nuova entità. Sotto la guida del
principio di causalità, ora si tratta di scoprire un legame universale
intercorrente tra una serie di eventi e la loro causa esplicativa. Sul terreno
filosofico, tale causa viene conosciuta ad un livello metafisico (così arriviamo
alla conoscenza dell’anima, dell’intelligenza, della libertà, dell’esistenza di
Dio). Nelle scienze sperimentali a volte la causa indotta è un’entità osservabile
posteriormente (ad esempio, un nuovo pianeta, o il virus che provoca una
malattia), ma in altre circostanze tale causa non è osservabile direttamente,
bensì solo nei suoi effetti.

3.4 Caratteristiche classiche della nozione di scienza.

Affronteremo adesso lo studio della nozione di scienza, sia nella concezione classica, nel quadro del
sapere aristotelico-tomista, sia nella concezione moderna, o galileiana. Seguiremo la trattazione
proposta da Maritain che utilizza strumenti concettuali e filosofici adatti per far risaltare gli elementi di
continuità e di discontinuità tra le due concezioni.35

34
Cfr. san Tommaso, Met., 11, 8; C.G., 2, 6.
35
J. MARITAIN, Distinguere per unire. I gradi del sapere, ed Morcelliana cap.II

12
Definizione di scienza
Quale idea farci della scienza in generale, presa secondo la forma-limite che
lo spirito ha di mira quando ha coscienza di sforzarsi verso quello che gli uomini
chiamano sapere? L'idea che Aristotele e gli antichi se ne facevano è molto
differente da quella che se ne fanno i moderni, giacché per costoro è la dignità
eminente delle scienze sperimentali, scienze positive, scienze della natura, scienze
dei fenomeni, o come dir si voglia, che attrae in sé la nozione di scienza; mentre
per gli antichi è la dignità eminente della metafisica ad orientare tale nozione.
Bisogna, dunque, guardarsi dall'applicare, cosi come è, e senza precauzioni, la
nozione aristotelico-tomista di scienza a tutto l'immenso materiale noetico che i
nostri contemporanei sono soliti chiamare col nome di scienza si incorrerebbe nei
più gravi errori. Tuttavia per gli antichi e per i moderni, in ciò concordi, il tipo
di scienza più chiara, più perfezionata, e più perfettamente a nostra portata, è
fornito dalle matematiche; e si può pensare che a condizione, non dico di essere
corretta e adattata, bensì sufficientemente approfondita ed epurata, la teoria
intellettualistico-critica o realistico-critica della scienza, i cui principi sono
stati stabiliti dai metafisici antichi e medievali, è la sola che ci dia un mezzo
per veder chiaro nei problemi epistemologici, divenuti, ai giorni nostri, un vero
caos.
Come dunque, definire la scienza in generale e secondo il suo tipo ideale? Noi
diremo che la scienza è una conoscenza di modo perfetto, più precisamente una
conoscenza in cui, sotto la costrizione dell’evidenza, lo spirito assegna le ragioni
d'essere delle cose, giacché lo spirito non è soddisfatto che quando
attinge non solo una cosa, un dato qualsiasi, ma anche ciò che fonda quel dato
nell'essere e nell'intelligibilità. Cognitio certa per causas dicevano gli antichi,
conoscenza per dimostrazione (o, in altre parole, mediatamente evidente) e
conoscibilitá esplicativa.36

Necessità e contingenza nelle scienze


La definizione classica di scienza quindi continua ad essere applicabile. Se si tratta di conoscenza
certa dovrà essere conoscenza del necessario. Il contingente, come tale, non è oggetto di scienza.
Noi vediamo subito che è una conoscenza fondata in modo tale da essere
necessariamente vera, da non poter non essere vera o conforme al reale. Giacché non
sarebbe una conoscenza di modo perfetto, una conoscenza non cassabile, se le potesse
accadere di risultare falsa. Ciò vale per il tipo puro della scienza, checché ne
sia, nello sviluppo della scienza stessa, della funzione dell'ipotesi e della
immensa parte di congetturale e di probabile che le scienze più concrete addossano
alle loro certezze, e che del resto determinano con rigore.
Ma se tale conoscenza è necessariamente vera, l'oggetto alla cui presa si
volge deve a sua volta essere necessario? Come potrebbe un oggetto variabile e
contingente offrire una presa ad una conoscenza stabile e che non può essere falsa?
Analogamente una cosa non sarebbe spiegata, non ce ne renderemmo ragione, se la sua
ragion d'essere, una volta posta quella cosa, potesse essere altrimenti. Ecco il
problema che sin dalle origini si è imposto alla riflessione filosofica e che ha
portato Platone a drizzare, di fronte al sapere, un mondo di Idee divine: non
cerchiamo di sfuggirvi con qualche timida risposta, in cui siano oscurate le
esigenze primarie della conoscenza scientifica. Concediamo fin da principio -
vedremo tosto come va compreso e limitato questo asserto - che non v’è scienza se
non del necessario o che il contingente in quanto tale non è oggetto di scienza. La
scienza concerne direttamente e per natura un oggetto necessario.
Si vede subito la difficoltà. L'oggetto della scienza è necessario, ma il
reale, il corso concreto delle cose, implica la contingenza: questo tavolo oggi
potrebbe non essere qui, io che scrivo potrei non essere qui a quest'ora. Allora la
scienza non concerne il reale? No, la scienza non riguarda direttamente il reale
nudo e crudo, il reale preso nella sua esistenza concreta e singolare... Ma neppure
concerne un mondo platonico separato dalle cose. E’ indispensabile distinguere la

36
ibidem, pp. 44-45

13
cosa di cui si occupa la scienza (questo tavolo, per esempio) e l'oggetto del tutto
preciso (“oggetto formale”) su cui si fonda e da cui riceve la sua stabilità (per
esempio le proprietà geometriche di questo tavolo considerato nella sua forma, o le
proprietà fisico-chimiche del legno di cui è fatto, o le leggi della sua
fabbricazione); oggetto che non esiste separato dalla cosa (se non nel nostro
spirito) e che tuttavia non si confonde con essa. La scienza, direttamente e per sé,
concerne l'astratto, le costanze ideali e le determinazioni che stanno al di sopra
del momentaneo, intendo dire gli oggetti intelligibili che il nostro spirito va a
cercare nel reale per scioglierli dal reale stesso. Tali oggetti ci sono, esistono
nel reale, ma non allo stato di astrazione e di universalità che essi hanno nello
spirito, ma, anzi allo stato di concretezza e singolarità. La natura umana esiste in
ciascuno di noi, ma solo nello spirito è natura universale: in ciascuno di noi è la
natura di Paolo o di Giovanni.
Notiamo che la legge scientifica non fa mai altro che esprimere (in modo più o
meno diretto, o più o meno indiretto) la proprietà o l'esigenza di un certo
indivisibile ontologico che per se stesso non cade sotto i sensi (non è osservabile)
e resta per le scienze della natura una x (d'altronde indispensabile), e che altro
non è se non ciò che i filosofi designano con il nome di natura o essenza. In virtù
dell'ontologia (o filosofia spontanea) immanente alla nostra ragione, noi, sappiamo
in anticipo che il complesso di fenomeni o di relazioni scelto come oggetto della
nostra osservazione ha come supporto tali nature o essenze, tali x ontologiche. Le
scienze sperimentali non penetrano queste essenze nella loro costituzione
intelligibile, ed anche la questione se le categorie, più o meno provvisorie o
instabili che esse costruiscono e su cui operano il loro lavoro razionale,
corrispondano esattamente alle nature o essenze, resta il più delle volte dubbia. E,
tuttavia, è in questi non-osservabili ontologici presupposti, che risiede la ragion
d'essere della necessità delle relazioni stabili formulate dalla scienza tra gli
elementi che lo spirito sceglie nei fenomeni o che esso costruisce, assumendo
quest'ultimi come fondamento. La necessità delle leggi deriva dal fatto che esse
concernono propriamente, e in ultima analisi, le essenze o nature, e dal fatto che
le essenze o nature sono il luogo delle necessità intelligibili: giacché ogni natura
o essenza, in virtù della sua costituzione intrinseca, possiede necessariamente
determinate proprietà (per esempio la diagonale dei quadrato è incommensurabile al
lato), o tende necessariamente in determinate condizioni a produrre un determinato
effetto (per esempio, il calore a dilatare i solidi).37

Astrazione nelle scienze


La necessità espressa dalle leggi scientifiche, quindi, deriva dal fatto che queste riguardano le
nature o le essenze degli enti su cui si fa scienza, sia che si usi la matematica, sia che si ragioni in
termini filosofici. Parlare di necessità delle leggi, tuttavia, non significa ignorare la contingenza degli
eventi particolari, ma semmai astrarre da questi. La realtà esistente risulta quindi composta di natura e
di casualità. Essa ha un senso nel tempo ed è conoscibile tramite un processo di astrazione.

Come si vede è la giusta nozione di astrazione e di universale a fornirci la


spiegazione che cerchiamo. Se non si distingue la cosa individuale dall'essenza
universale non si può capire come l'evento possa essere contingente mentre la legge
riconosciuta dalla scienza è necessaria, come le cose divengano e mutino, mentre
l'oggetto della scienza è in se stesso immutabile e costante. Le cose stanno così,
perché la contingenza dipende dal singolare come tale (e in ultima analisi, in
questo mondo visibile, dalla materia, Principio di individuazione), mentre la
scienza, si riferisce non al singolare in quanto tale, ma alle nature universali che
sono attuate nel singolare e che lo spirito trae dal singolare stesso per
astrazione.
La scienza si riferisce alle cose, ma considerandone a parte, grazie
all'astrazione le percepisca con chiarezza o le colga ciecamente - le nature
universali che si attuano nelle cose e -le necessità tipiche di queste nature. Ed è
proprio ciò -e non il flusso del singolare- a costituirne l'oggetto. La contingenza

37
ibidem, pp. 46-47

14
riguarda propriamente gli eventi singolari, ed è soltanto "secondo le ragioni delle
nature universali" che le necessità riconosciute dalla scienza si applicano alle
cose singolari. Per questa ragione le leggi necessarie della scienza non impongono
alcuna necessità a ciascuno degli eventi singolari del corso della natura. Questo
operaio ha tagliato la pietra a forma di cubo, è quindi, necessario che la pietra
risponda alle proprietà geometriche del cubo; d'altronde avrebbe potuto essere
tagliata diversamente. Questo ponte è stato costruito in modo errato perché
l'ingegnere ha mal calcolato le resistenze, o perché sono stati impiegati cattivi
materiali, in quanto l'imprenditore ha rubato allo Stato. E’ fatale che, in ragione
della natura del ferro o della pietra, questo ponte un giorno crolli; ma che
l'ingegnere abbia calcolato male o che l'imprenditore abbia mancato di onestà, o che
un prudente ispettore non abbia dato ordine di consolidare l'opera, o che un
passante attraversi il ponte al momento dell'incidente, tutto ciò è completamente
indipendente da tale necessità naturale ed è contingente. Tali contingenze dei
singolare sfuggono alla scienza, mentre le necessità dell'universale sono l'oggetto
che la scienza considera.
Cosi l'universalità dell'oggetto di conoscenza è la condizione della sua
necessità, condizione a sua volta della conoscenza perfetta o della scienza: per la
stessa ragione per cui non v'è sapere che del necessario, non v'è sapere che
dell'universale. 38
Questa dottrina è ben condensata da san Tommaso, nel passo seguente:
“L’intelligenza conosce le ragioni universali e necessarie delle cose contingenti.
Per questa ragione, se si considerano le ragioni universali degli oggetti del
sapere, ogni scienza è del necessario”, ancorché considerando le cose materialmente
e “considerando le cose stesse su cui si esercita la scienza, alcune scienze” (per
esempio, le matematiche) “abbiano come materia delle cose necessarie, ed altre” (per
esempio, la fisica) “delle cose contingenti”.39

Scienze deduttive e scienze induttive


Viene quindi ripresa la distinzione classica di scienze della spiegazione o deduttive (metafisica,
matematica) e scienze della constatazione o induttive (scienze empiriche naturali).

Abbiamo detto che la scienza in quanto tale, dunque ogni scienza, per effetto dei
suo movimento diretto verso le nature o essenze universali, per sua natura ha di
mira queste nature. Distinguiamo adesso:
Vi sono scienze che concernono queste essenze in quanto conosciute, non certo in
maniera esaustiva, giacché noi non conosciamo nulla per intero, ma in quanto
conosciute o manifestate (dal loro esterno): sono le scienze deduttive scienze
filosofiche o scienze matematiche; deduttive a titolo, d'altronde, ben diverso.
Giacché nel sapere matematico lo spirito coglie nei loro elementi costitutivi, e
costruisce o ricostruisce, sullo stesso livello, per cosi dire, delle entità che
esso ha precedentemente ricavate dal dato sensibile, o che esso edifica su queste
stesse; queste entità nel reale (quando siano entia realia) sono accidenti o
proprietà dei corpi, ma lo spirito le tratta come se fossero enti sussistenti e come
se la nozione che se ne forma fosse scevra da ogni origine sperimentale. Al
contrario nel sapere filosofico lo spirito coglie delle essenze sostanziali non per
se stesse, ma mediante i loro accidenti propri, e procede deduttivamente solo
traendo sempre alimento dall'esperienza (metodo «analitico-sintetico»).
Queste scienze sono propriamente scienze della ESPLICAZIONE (propter quid est,
secondo la terminologia degli antichi), esse ci rivelano le necessità intelligibili
immanenti all'oggetto, ci fanno conoscere gli effetti mediante i principi o ragioni
d'essere, mediante le cause, prendendo questo termine nel senso dei tutto generale
che gli davano gli antichi. Può accadere, è vero, che, affrontando una realtà troppo
elevata e la cui essenza non può essere conosciuta che per analogia, esse debbano
limitarsi (è il caso della metafisica di fronte a Dio) ad una conoscenza di semplice
certezza di fatto (sovraempirica), ma è proprio allora che esse sfociano, per cosi

38
ibidem, pp. 49
39
Sum. Theol. I, q.86, a. 3.

15
dire, al di là dell'esplicazione, e rimane che, per se stesse, esigono di scoprire
l'essenza.
E vi sono delle scienze che concernono le essenze in quanto nascoste, senza poter
mai svelare in sé stesse le necessità intelligibili immanenti al loro oggetto. tali
sono le scienze induttive, scienze che (almeno in quanto restano puramente
induttive, e non è il caso della fisica e delle scienze sperimentali dei moderni;
Bacone e Stuart Mill si sono appunto ingannati a questo proposito) per se stesse si
limitano ad essere scienze della CONSTATAZIONE empirica (caso particolare della
conoscenza nella semplice linea di fatto, quia est) e restano al di qua della
esplicazione vera e propria. Esse ci fanno conoscere le cause, o ragioni d'essere,
attraverso gli effetti, e non in se stesse, ma nei segni che ne sono per noi il
sostituto. Noi sappiamo che il calore dilata i metalli, che i ruminanti hanno
l'unghia fessa: noi cogliamo in questi casi, in maniera cieca, una necessità di cui
non vediamo la ragione, essendo una costanza sperimentale ben constatata il segno di
una necessità, e questa, a sua volta, di qualche connessione essenziale. La legge
stabilita induttivamente è, pertanto, ben più che un semplice fatto generale, essa
avviluppa l'essenza, ma senza rivelarla: essa è l'equivalente pratico dell'essenza o
causa, che in se stessa ci resta nascosta.40

 In entrambi i tipi di scienze si ha una conoscenza di tipo dimostrativo e, per questo motivo,
esplicativa, perché riconduce a principi noti, alcune conoscenze le cui cause resterebbero altrimenti
sconosciute

Le prime, le scienze esplicative, pongono dinanzi allo spirito degli


intelligibili svincolati dall'esistenza concreta che rivestono in questo mondo,
delle essenze sciolte dall'esistenza nel tempo: quand'anche nessun triangolo
esistesse, sarebbe sempre vero che la somma degli angoli interni di un triangolo
euclideo è pari a due retti. In questo senso si può dire che queste scienze ci
rivelano delle verità eterne. Le altre, le scienze della constatazione, tendono, si,
a tali verità, ma non riescono a emergere sopra l'esistenza nel tempo, proprio
perché non attingono le nature intelligibili se non nei segni e sostituti che ne
fornisce l'esperienza, e, quindi, in un modo inevitabilmente dipendente dalle
condizioni esistenziali. Di conseguenza, le verità enunciate da queste scienze
affermano, si, un legame necessario tra il predicato e il soggetto, ma suppongono
anche l'esistenza stessa dei soggetto: la necessità che esse manifestano, non
essendo vista in se stessa, resta immersa nell'esistenza nel tempo, e pertanto, se
cosi posso dire, rivestita di contingenza.
Riassumendo, possiamo dire che la scienza in generale si riferisce alle necessità
immanenti alle nature, alle essenze universali attuate negli individui,, nel mondo
dell'esistenza concreta e sensibile. Noi abbiamo distinto le scienze esplicative o
deduttive, che attingono queste nature scopertamente (costruttivamente nel caso
delle matematiche, dall'esterno all'interno nel caso della filosofia) e le scienze
della constatazione o induttive che attingono queste nature solo nei segni o
sostituti, alla cieca, se cosi può dirsi. Queste ultime hanno, appunto, un certo
valore esplicativo, senza di che non sarebbero scienze, ma esso consiste
nell'individuare, per mezzo dell'esperienza sensibile, delle necessità nelle cose, e
non nell'assegnarne le ragioni per via intelligibile.
La distinzione tra queste due categorie di scienze è assolutamente netta, ed esse
non sono riducibili l'una all'altra.41

 L’organizzazione scientifica delle conoscenze tende a razionalizzare questo sapere, a formalizzarlo,


ad assumere cioè in qualche modo la forma delle scienze deduttive; a subirne l’attrazione, anche
quando si tratta di scienze della constatazione o induttive
Ma è evidente che le scienze della seconda categoria, scienze della
constatazione, quelle descrittive o induttive, essendo meno perfettamente scienze, e
non giungendo ad attuare il tipo perfetto della conoscenza scientifica, non bastano
a se stesse e tendono per natura alle scienze della prima categoria, alle scienze
esplicative, o deduttive: ne subiscono necessariamente l'attrazione. In virtù
40
ibidem, pp.55-56
41
ibidem, pp. 56-57

16
proprio della loro natura di scienze, esse tendono invincibilmente a
razionalizzarsi, a divenire più perfettamente esplicative, in altre parole, ad
assumere un tipo deduttivo, e in questa stessa misura, a subire la regolazione da
parte di qualcuna tra le discipline che propriamente appartengono a tale tipo, e
cioè o dalla filosofia o dalle matematiche. E un punto, questo, che va sempre tenuto
presente.42

3.5 Tre livelli conoscitivi: fisico, matematico, metafisico

Per conoscere, cioè per cogliere aspetti essenziali degli enti, e quindi per sviluppare i vari livelli
delle scienze, è necessario un processo di astrazione dalla materia. La scienza è possibile soltanto:
- isolando un aspetto dagli altri (a livello fisico o matematico),
- ricavandone un certo elemento intelligibile,
- smaterializzandolo dalla materia sensibile.

Tentiamo ora di entrare più avanti nell'ambito delle scienze, di scoprire le


loro divisioni essenziali e la loro gerarchia. A questo scopo bisogna considerare i
diversi gradi di intelligibilità degli oggetti di conoscenza. Se si pone mente che
ciò che i filosofi chiamano materia (il non-essere esistente di Platone) non è, in
ultima analisi, che il principio ontologico di inintelligibilità relativa (o di
irrazionalità, usando il linguaggio moderno), che tocca (afficit) la sostanza stessa
delle cose della natura, e, per cosi dire, manifesta la distanza che le separa
dall'intelligibilità in atto puro, propria dell'Essere increato: se si tiene
presente ciò, si comprende immediatamente la tesi fondamentale sviluppata con tanta
forza da san Tommaso d'Aquino: l'intelligibilità si accompagna all'immaterialità.
Sarà, dunque, secondo i diversi modi o gradi in cui gli oggetti di pensiero,
scoperti nelle cose mediante l'operazione intellettuale, saranno liberi dalla
materia, che dovranno essere stabilite le divisioni essenziali delle scienze.43

Questo processo di astrazione, secondo la filosofia aristotelico-tomista avviene per tre gradi:

L’intellezione fisica

E’ l’astrazione con cui si costituiscono le scienze della natura. I concetti fisici riflettono aspetti di
realtà esistenti nella materia sensibile, che sono sempre compresi in associazione alla materia sensibile.
Viene tralasciata soltanto la materia individuale (che è il principio di individuazione). Le nozioni che ne
derivano contengono elementi osservabili e sperimentali, sottoposti al controllo sperimentale. I corpi
quindi sono considerati nella loro realtà mobile e sensibile; non potrebbero esistere e nemmeno essere
concepiti senza la materia e le qualità connesse. Si tratta tuttavia sempre di concetti universali: corpo,
atomo, pianeta…
Il filo conduttore ci è fornito dalla dottrina dei tre gradi di astrazione, o
dei tre gradi secondo cui le cose offrono allo spirito la possibilità di cogliere in
esse un oggetto più o meno astratto e immateriale, quanto all'intelligibilità stessa
che discende dalle premesse alle conclusioni e, in ultima analisi, quanto al modo di
definire.44 Lo spirito può considerare oggetti astratti e purificati solamente dalla
materia, in quanto è fondamento della diversità degli individui in seno alla specie,
in quanto, cioè, è principio di individuazione; l’oggetto resta, così, e anche in
quanto presentato all’intelligenza, impregnato di tutte le note derivanti dalla
materia, eccettuate solamente le particolarità contingenti e strettamente
42
ibidem, pp.57
43
ibidem, pp.57
44
GIOVANNI DI S. TOMMASO, Curs. Philos., Log.II P., q. 27, a. 1 ; ed. Reiser pp.822-823

17
individuali che la scienza trascura. Lo spirito, allora, considera i corpi nella
loro realtà mobile e sensibile, i corpi rivestiti dalle loro qualità e proprietà
sperimentalmente constatabili: un tale oggetto non può né esistere senza materia e
senza le qualità che le sono connesse, né essere concepito senza di essa. E’ il
grande ambito di quella che gli antichi chiamavano Physica: conoscenza della Natura
sensibile, primo grado di astrazione.45

L’intellezione matematica

Con questo processo si astraggono concetti che prescindono dagli aspetti sperimentali e significano
le strutture quantitative e relazionali in astratto, concepite senza alcuna qualità sensibile (peso, colore,
resistenza..)e per questo come tali non sperimentabili.
La quantità considerata non è solo molteplicità numerica, ma anche estensiva e topologica (che
implica le categorie di relazione tra quantità e di situs, cioè di disposizione delle parti in un insieme).
La quantità individuata è astratta: cioè è intesa sia come come realizzabile nella realtà, sia solo come
ente di ragione. Non tutti gli enti matematici quindi trovano corrispondenza con la realtà.

Oppure lo spirito può considerare degli oggetti astratti e purificati dalla


materia in quanto essa, in generale, fonda le proprietà sensibili, attive e passive,
dei corpi. Allora lo spirito considera soltanto una proprietà che isola dai corpi -
quella che resta quando tutto il sensibile è caduto - la quantità, numero ed
estensione considerati in sé: oggetto di pensiero che non può esistere senza la
materia sensibile, ma che può essere concepito senza di essa: nulla infatti di
sensibile o di sperimentale entra nella definizione di ellisse o di radice quadrata.
E’ il grande campo della Mathematica: conoscenza della quantità in quanto tale,
secondo le relazioni di ordine e di misura che le sono proprie; secondo grado di
astrazione.46

L’intellezione metafisica

E’ il livello di astrazione proprio della filosofia. I concetti metafisici sono aspetti della realtà
compresi senza la materia sensibile e realizzati anche negli esseri immateriali. Vengono anche
denominati intelligibili puri.
Se la matematica nell’ambito logico trascende la materia, la metafisica la trascende nell’ordine reale
e può elevarsi alla conoscenza delle realtà completamente astratte, aldilà di ciò che è fisico (anima
spirituale, Dio,..).
Questi tre gradi si manifestano già nella conoscenza spontanea e non si escludono a vicenda.

Infine lo spirito può considerare oggetti astratti e purificati da ogni


materia, non conservando nelle cose altro che l’essere stesso di cui sono penetrate,
l’essere come tale e le sue leggi: oggetti di pensiero che non soltanto possono
essere concepiti senza materia, ma che anche possono esistere senza di essa, sia che
non abbiano mai l’esistenza nella materia, come Dio e i puri spiriti, sia che la
loro esistenza si dia nelle cose tanto materiali quanto immateriali, come la
sostanza, la qualità, l'atto e la potenza, la bellezza, la bontà ecc. E’ il grande
ambito della Metapbysica: conoscenza di ciò che sta oltre la natura sensibile, o
dell'Essere in quanto essere; terzo grado di astrazione.
Bisogna, qui, notare, con il Gaetano e Giovanni di San Tommaso, che questi tre
gradi di astrazione si riferiscono all'astrazione chiamata dagli scolastici
abstractio formalis.47 Vi sono, in effetti, due tipi di astrazione: l'abstractio

45
J. MARITAIN, Distinguere per unire.., pp. 58
46
ibidem, p. 58
47
GAETANO, Comm. In de Ente et Essentia, proemium, q. I

18
totalis, diciamo astrazione o estrazione di tutto l'universale, con la quale traiamo
«uomo» da «Pietro» e «Paolo», «animale» da «uomo», ecc., passando cosi ad universali
sempre più vasti. Questo tipo di astrazione, per cui lo spirito si eleva al di sopra
della conoscenza semplicemente animale del singolare percepito hic et nunc dai
sensi, e che in realtà inizia con le nozioni più generali e più indeterminate è alla
base di tutto il sapere umano ed è comune a tutte le scienze, poiché ogni scienza
procede in questo ordine, verso la più grande determinazione, ed esige che l'oggetto
sia chiuso, per cosi dire, in una nozione propria e non inviluppato in una nozione
comune più o meno fluttuante. E vi è anche un secondo tipo d'astrazione,
l'abstractio formalis, diciamo astrazione o estrazione del tipo intelligibile,
mediante la quale noi separiamo dai dati contingenti e materiali ciò che è della
ragione formale o dell'essenza di un oggetto di sapere. Secondo i gradi appunto di
questa abstractio formalis le scienze speculative differiscono l'una dall'altra, gli
oggetti della scienza superiore essendo come una forma o tipo regolatore rispetto
agli oggetti della scienza inferiore. Senza dubbio gli oggetti della metafisica sono
più universali di quelli della fisica. Ma il metafisico non li considera a questo
titolo, non li considera, cioè, come nozioni più comuni sul medesimo piano; ma
piuttosto a titolo di forma o di tipo intelligibile su un piano più elevato, come
oggetto di sapere d'una natura e di un'intelligibilità specificamente superiori, e
di cui il metafisico acquista una conoscenza propria, scientifica, con mezzi che
trascendono in modo assoluto quelli dei fisico a del matematico.48

3.6 Classificazione delle scienze

La dottrina dei tre gradi di astrazione consente una classificazione delle scienze, non solo per i
rispettivi oggetti materiali, ma anche per il grado di immaterialità, cioè di astrazione, e per la scienza
deduttiva da cui sono regolate

Dove classificare ora le scienze che poco addietro chiamavamo scienze della
constatazione, e che non riescono a raggiungere scopertamente le nature cui mirano?
P, chiaro che esse si trovano al grado di astrazione meno elevato: esse fanno parte
della Physica. Noi possiamo, fin d'ora, distinguere in questa Physica, come termini
estremi, due classi di scienze: una che contiene queste scienze della constatazione,
scienze prima di tutto induttive, che possiamo chiamare scienze empiriche della
Natura sensibile, e un'altra che contiene una scienza dell’essere corporeo
propriamente esplicativa, la Filosofia della Natura sensibile.
Per precisare, notiamo che, poiché tutti i nostri concetti si risolvono
nell'essere, che è il primo oggetto raggiunto (in confuso) dall'apprensione
intellettuale, i concetti della METAFISICA si risolvono nell'essere come tale, ens
ut sic, quelli della MATEMATICA in quella sorta d'essere (isolato dal reale) che è
la quantità ideale, quelli della FISICA nell'essere mobile o sensibile, ens
sensibile. Ma, per la filosofia della natura, bisognerà, in questa espressione ens
sensibile, mettere l'accento su ens: scienza esplicativa, essa rivela la natura e le
ragion d'essere del suo oggetto. E, se è vero che la natura delle sostanze inferiori
all'uomo non ci è scopertamente accessibile nella sua diversità specifica, bisogna
dire che l'oggetto proprio della filosofia della natura non si estende a questa
diversità specifica dei corpi né a tutta la moltitudine dei loro fenomeni ed è
costituita solo dall'essere trascendentale in quanto determinato e particolarizzato
nel mondo corporeo, mobile e sensibile. Con ciò noi vediamo due cose: anzitutto che
la filosofia della natura, nonostante l'essenziale differenza di ordine che le
separa, è in una certa continuità con la metafisica, e che in ciò è superiore alle
matematiche. Secondariamente, che la filosofia dà luogo si, ad una scienza deduttiva
dell'essere corporeo, ma che è incapace di dare luogo ad una scienza deduttiva dei
fenomeni della natura.
Per la scienza empirica della natura, invece, quando diciamo ens sensibile,
essere sensibile, non sarà su ens, bensì su sensibile che bisognerà porre l'accento.

48
J. MARITAIN, Distinguere per unire…, p.59-60

19
Proprio nel sensibile, nel visibile, nelle determinazioni osservabili, essa tende a
risolvere tutti i suoi concetti, nella misura al meno in cui tenderà a costituirsi
come scienza autonoma dei fenomeni…
Per aiutare la nostra attenzione in una materia così complessa ed astratta,
disegneremo in una tavola sinottica le nozioni acquisite fino a questo momento.
I. Il secondo grado di astrazione non si trova solamente rappresentato, come
si conviene, ad un livello intermedio tra il primo ed il terzo, ma è stato anche
rappresentato su un'altra verticale, spostata a destra della tavola.
Perché? Perché l'astrazione matematica è di tipo affatto particolare. Benché
differiscano per specie, la physica e la metaphysica hanno in comune questo: che
esse si riferiscono ad oggetti intelligibili che possono esistere nelle cose, cioè
ad enti reali, secondo il significato di questo termine che designa non soltanto
l'esistenza attuale, ma anche possibile fuori dello spirito. Le matematiche, al
contrario, si riferiscono ad un oggetto che non è necessariamente reale ma che può
essere (permissive, dicevano gli antichi) tanto un essere immaginario o fittizio, un
essere di ragione, quanto un essere reale.

20
Risoluzione scienza
3°grado nell’essere METAPHYSICA regolatrice Metafisica F
in quanto I
essere L
O
S
in quanto Filosofia della Filosofia O
essere natura della F
sensibile risoluzione natura I
nella A
Scienza MATEMATICA quantità 2°grado
Regolatrice in quanto Matematiche
Risoluzione tale S
1°grado nell’essere PHYSICA Fisica- C
sensibile Physico- matematica I
matematica E
In quanto Scienze Scienze N
essere empiriche empiriche Z
sensibile non ancora A
matematizz.

attrazione attrazione Esperienza


Moderni: verso la Antichi: verso la infra-
Mathematica Metaphysica scientifica

Questa differenza capitale fa sì che i tre gradi d'astrazione non siano sulla
stessa scala, e che il primo e il terzo grado da una parte, il secondo dall'altro,
determinano opposte maniere di accostarsi alle cose.
Al contrario, scienza empirica, filosofia della natura e metafisica si trovano
lungo la stessa linea gerarchica. Benché differenti per specie, la luce del primo
grado di astrazione è come una partecipazione della luce del terzo grado, luce
inferiore e divisa, capace ancora, con la filosofia della natura, di penetrare
all'interno delle cose, limitata, con la scienza empirica, alla superficie delle
cose e ai segni.
.
3.6.1. La disciplina regolatrice delle scienze empiriche nell’antichità.

Si comprende come, seguendo la grande legge dell'attrazione dell'inferiore da


parte dei superiore, le scienze empiriche della natura abbiano subito presso gli
antichi l'attrazione della filosofia della natura e della metafisica. Non potendo
costituirsi come scienze se non mutuando la loro forma da una scienza deduttiva,
esse chiesero tale forma alle nozioni elaborate dalla filosofia della natura e dalla
metafisica.

3.6.2. La scientia rectrix nelle moderne scienze della natura.

Ogni disciplina superiore è regolatrice rispetto a quelle inferiori. La


metafisica, poiché considera le supreme ragioni d'essere, sarà, dunque, la scienza
regolatrice Per eccellenza: scientia rectrix. Ma anche la matematica è una scienza
deduttiva, una scienza del propter quid: essa tenderà quindi a regolare le parti
inferiori del sapere, se non usurpare il campo della metafisica stessa. Comprendiamo
cosi il conflitto per la sovranità tanto spesso verificatosi nel corso della storia
di queste due scienze.
La grande scoperta dei tempi moderni, preparata dai dottori parigini del XIV
secolo e da Leonardo da Vinci, attuata da Descartes e da Galilei, è la scoperta
della possibilità di una scienza universale della natura sensibile, informata non
dalla filosofia, ma dalle matematiche; alludiamo alla scienza fisico-matematica.
Questa prodigiosa scoperta - senza poter, evidentemente, portare alcun mutamento
all'ordine essenziale delle cose dello spirito, quale tentiamo in questa sede di
individuare – ha cambiato la faccia al mondo e ha dato luogo, come abbiamo cercato

21
di mostrare altrove, al terribile malinteso che ha messo in disaccordo per tre
secoli la scienza moderna e la philosophia perennis. Questa scoperta ha suscitato
grandi errori metafisici, nella misura in cui si è creduto che essa apportasse una
vera filosofia della natura. In se stessa, da un punto di vista epistemologico, è
una scoperta ammirevole, cui possiamo assegnare facilmente. il suo posto nel sistema
delle scienze.
E’ una scientia media, i cui esempi tipo, erano, presso gli antichi, l'ottica
geometrica e l'astronomia. una scienza intermedia, a cavallo tra la matematica e la
scienza empirica della natura, una scienza cui il reale fisico fornisce la materia
in virtù delle misurazioni che vi possiamo raccogliere, ma il cui oggetto formale e
il cui procedimento di concettualizzazione restano matematici: intendiamo dire una
scienza materialmente fisica e formalmente matematica.49

3.6.3. La nuova scientia media.

Con la scientia media fisico-matematica, materialmente fisica e formalmente


matematica, si è resa possibile una scienza dei fenomeni in quanto tali. Non più una
scienza della natura sensibile che vada, in qualche modo, a cercare, sotto i
fenomeni, i legami intelligibili di cui si nutre la filosofia, e che spieghi i
fenomeni trascendendole ma piuttosto una scienza della natura sensibile che applica
al particolare dei fenomeni stessi, come sono coordinati nello spazio e nel tempo, i
legami formali delle relazioni matematiche, e che si avvicina, grazie alla scienza
della quantità ideale, al carattere deduttivo cui aspira, e senza il quale non
sarebbe scienza perfetta. Ad un tempo, dunque, sperimentale (quanto alla materia) e
deduttiva (quanto alla forma, ma soprattutto, quanto alle leggi di variazione delle
grandezze in gioco): questo è l'ideale della scienza moderna. In grado di fornire
una conoscenza di tipo scientifico e un meraviglioso strumento per utilizzare la
natura sensibile, dal punto di vista della quantità, però, non dal punto di vista
dell'essere, conoscenza che rinuncia alla ricerca diretta e in se stesse delle cause
reali, per tradurre anzitutto in un sistema di equazioni le misurazioni delle cose,
si vede bene che la scienza fisico-matematica doveva venire ad inserirsi come un
cuneo tra la scienza puramente empirica e la filosofia della natura sensibile,
rompendo la continuità di cui si compiaceva l'ottimismo degli antichi.
Per costoro erano la filosofia della natura e la metafisica che drenavano, se
cosi posso dire, tutto il materiale della scienza empirica e dell'esperienza
infrascientifica, e si sforzavano di condurre quel materiale al grado e alla natura
di scienza. Tutto ciò noi rappresentiamo sulla tavola mediante una freccia rivolta
verso la metafisica.
Per i moderni, invece, questo compito è assolto dalla matematica. Bisogna,
dunque, disegnare una freccia la cui direzione è di senso completamente opposto, e
il cui tracciato segnerà una rottura, un taglio nettissimo, irrimediabile, tra la
scienza e la filosofia. L'incrociarsi di queste due frecce è il simbolo dei dramma
epistemologico dei tempi moderni.

4 LA FILOSOFIA DELLE SCIENZE NELL’ETA’ MODERNA

4.1 La scienza galileiana.

La scienza galileiana è dunque questa nuova scientia media, che si caratterizza per l’estensione
della fisica matematizzata all’universo corporeo; con l’unificazione della cinematica con la dinamica,
della fisica terrestre con la celeste.

49
S. TOMMASO D’AQ., In Boet. De Trinit., q. 5, a. 3, ad 6.

22
Con la matematica si può considerare la realtà cogliendola sotto l’aspetto della materia
intelligibile. In quanto intelligibile la realtà corporea viene colta nelle sue connotazioni universali e
astratte (al secondo grado di astrazione, secondo la terminologia della Scolastica), quindi non puramente
individuali e contingenti. Da qui deriva la potenza della scienza moderna, in grado di fare previsioni in
quanto le sue leggi sono formulate come principi universali.
La realtà corporea viene colta non tanto come ente corporeo sostanziale, ma sotto l’aspetto della
quantità (e della relazione), astrattivamente separata e ipostatizzata nella materia intelligibile.
Quando si considera la scienza galileiana come unico tipo di scienza possibile, si è tentati di
sostanzializzare la quantità e la relazione, come se in ciò si esaurisse l’oggetto. Di conseguenza
considerare la matematica come sostituto della metafisica comporta una riduzione dell’essere come tale
a quantità e relazione.

La Nuova Scienza

Galileo dunque, sulla base di precedenti filoni culturali ha instaurato un nuovo tipo di sapere, la
scienza come sapere distinto dalla filosofia. Questo fatto ha già una rilevanza filosofica, come si è visto
in precedenza, e lo ha anche il metodo di sviluppo di questa nuova scienza. Occorrono “nuovi precetti
d’architettura” per risolvere problemi dinnanzi ai quali la filosofia aristotelica aveva fallito. Un metodo
che Galileo non teorizza esplicitamente ma applica con frutto.
Ritiene di non aver nulla da rimproverare al procedimento sillogistico, ma fa notare che questo è
inutile nel ragionamento matematico.
Perciò paragonava i logici ai fabbricanti di organi, che non sanno suonarli,
mentre i matematici son quelli che sanno suonare gli organi. Inoltre gli organi
fabbricati dai logici contenevano molti tasti inutili; ossia, per uscire di
metafora, le regole della sillogistica servono solo per argomentazioni fatte di
proposizioni predicative, i cui predicati esprimano proprietà inerenti all’essenza
delle cose o loro qualità: quella meta-teoria che è la sillogistica non è dunque
applicabile al ragionamento matematico, fatto di proposizioni che esprimono
relazioni quantitative. D’altra parte Galileo riconosce che la teoria aristotelica
della dimostrazione (quella esposta nei Secondi Analitici) nata da una riflessione
sul procedimento geometrico, è valida. Ma tutta la teoria sulle figure e i modi dei
sillogismi, pur non essendo falsa, è inutile alla costruzione di una scienza della
natura. E questo perché una fisica che faccia presa sul reale deve essere
matematizzata.
Ma, se il procedimento di Aristotele è corretto, perché le conclusioni della sua
fisica contraddicono i dati dell’esperienza? O in termini galileiani, quali sono i
“precetti d’architettura” che devono essere mutuati nella costruzione della scienza?
50

La metodologia della nuova scienza, in sintesi, viene sviluppata su queste linee:

- In Aristotele manca una teoria dell’induzione, anche per un’eccessiva fiducia di poter cogliere le
definizioni (cosa è un oggetto), gli assiomi (le premesse generali, immediatamente evidenti per
ogni genere di cose), le ipotesi e i postulati (proposizioni vere per un determinato ambito di
oggetti). Questo genera una serie di equivoci sulle cause reali che determinano i fenomeni fisici.

- Aristotele affermava che l’esperienza sta alla base del sapere. Per Galileo questa esperienza deve
avere caratteristiche specifiche. Intanto bisogna eliminare ciò che i commentatori hanno aggiunto
ad Aristotele, non per effetto di nuove esperienze, ma per glosse, citazioni autorevoli, dispute di
scuole da discutere dialetticamente, non da controllare con l’esperienza.

50
S. VANNI ROVIGHI, Galilei - Antologia, pagg. XLI.

23
- L’esperienza, inoltre, deve essere fatta direttamente; quindi non immaginata o raccontata.51

- L’esperienza deve essere non solo diretta, ma precisa e ripetuta in circostanze diverse. Non basta
cogliere un fatto una volta sola. Per esempio la semplice percezione visiva potrebbe essere
fuorviante.

- L’esperienza galileiana inoltre si avvale della tecnica, di strumenti di laboratorio progettati allo
scopo. Ricostruisce la bilancia idrostatica di Archimede 52, il piano inclinato, la clessidra ad acqua,
il telescopio, ecc.

- Tuttavia l’esperienza costituisce soltanto una base della conoscenza della natura; per fare scienza è
altrettanto necessario il ragionamento, il discorso. Anzi a volte quest’ultimo può decidere da solo
su una questione se si basa su principi sicuri (come il principio d’inerzia). In ogni caso l’esperienza
deve essere razionalizzata, così da poter pervenire a premesse universali da cui dedurre
conseguenze sicure.
- Per poter operare questa razionalizzazione conviene che le esperienze possano essere idealizzate:
corpi perfettamente sferici, piani inclinati privi di irregolarità, punti, rette, parabole, movimenti
senza attrito. Questo procedimento utilizza soprattutto la geometria, una scienza dimostrativa che
consente di porre le definizioni, poi le prime proposizioni “dalle quali, come da fecondissimi semi,
pullulano e scaturiscono conseguentemente le cause e le vere dimostrazioni” 53.
Il modo in cui Galileo concepisce un metodo scientifico corretto implica una
predominanza della ragione sulla semplice esperienza, la sostituzione di
modelli ideali (matematici) ad una realtà empiricamente conosciuta, il primato
della teoria sui fatti. Un metodo in cui la teoria matematica determina la
struttura stessa della ricerca sperimentale, o per riprendere i termini stessi
di Galileo, un metodo che utilizza il linguaggio matematico (geometrico) per
formulare le proprie domande alla natura e per interpretarne le risposte.54

- Infine gli esperimenti e le misure riguarderanno le “affezioni misurabili” (le grandezze fisiche)
riducibili a rapporti di grandezze, non le essenze. Nel saggio Le macchie solari indica il nuovo
metodo per arrivare alle definizioni: “Il tentar l’essenza, l’ho per impresa non meno impossibile e
per fatica non meno vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti”.
La legge (quantitativa) prende in qualche modo il posto dell’essenza del fenomeno e, nei suoi
limiti, ha il pregio di un’assoluta evidenza. 55

51
E’ famoso l’esempio citato nel Dialogo sopra i due massimi sistemi, che serviva da obiezione al moto di rotazione della
Terra: una pietra che cade dalla cima dell’albero di una nave in movimento non cadrebbe ai piedi dell’albero, ma lontana da
questo di tanto quanto è lo spazio percorso dalla nave durante la caduta; dunque anche una pietra che cade dalla cima di una
torre non dovrebbe cadere ai piedi della torre per via della rotazione terrestre. E’ un esempio di affermazione falsa perché non
è stata controllata sperimentalmente.
52
Ne La bilancetta (1586), ricostruisce il procedimento usato da Archimede per svelare la presenza di argento nella corona
di Ierone.
53
Galilei, Le mecaniche (1593).
54
A. KOYRÉ, Études d’Histoire de la pensée scientifique, Gallimard, p. 83.
55
“Per poter dedurre, infatti, le definizioni devono essere precise, e nessuna nozione qualitativa è precisa. Qui sta la
differenza fra Bacone e Galileo, e qui sta il colpo di genio di Galileo. Mentre Bacone sogna ancora una fisica qualitativa, che
afferri la struttura profonda (latens schematismus) della forma dalla quale si generano i fenomeni, Galileo afferma che
bisogna limitarsi a descriverli in termini matematici”. S. Vanni Rovighi op. cit. pag. L

24
Platonismo e aristotelismo
Koyré ed altri storici del pensiero scientifico considerano l’opzione di Galileo per il modello ideale
(l’iperuranio delle matematiche), a scapito dell’osservazione qualitativa del metodo aristotelico, come
una vittoria del platonismo sull’aristotelismo.56

Se tu reclami per la matematica uno stato superiore, se per lo più le attribuisci


un valore reale e una posizione dominante nella fisica, sei platonico. Se invece
vedi nella matematica una scienza astratta che ha perciò un valore minore di
quelle – fisica e metafisica – che trattano dell’essere reale, se in particolare
affermi che la fisica non ha bisogno di altra base che l’esperienza e deve essere
costruita direttamente sulla percezione, che la matematica deve accontentarsi di
una parte secondaria e sussidiaria, sei un aristotelico. In questo dibattito non
si pone in discussione la certezza –neppure gli aristotelici avrebbero dubitato
della certezza delle dimostrazioni geometriche– ma l’Essere; e neppure l’uso
della matematica nella scienza fisica –nemmeno gli aristotelici avrebbero mai
negato il nostro diritto di misurare ciò che è misurabile e contare ciò che è
numerabile- bensì la struttura della scienza e quindi la struttura dell’Essere….
E’ evidente che per i discepoli di Galileo, come per i suoi contemporanei e
predecessori, matematica significa platonismo. …
Il Dialogo sui massimi sistemi e i Discorsi e dimostrazioni sopra due nuove
scienze ci narrano la storia della scoperta o meglio della riscoperta del
linguaggio parlato dalla Natura. Ci spiegano la maniera di interrogarla, cioè
contengono la teoria di quella ricerca sperimentale in cui la formulazione dei
postulati e la deduzione delle loro conseguenze precede e guida l’osservazione.
Questa poi, almeno per Galileo, è una prova “di fatto”. La nuova scienza è per
lui una prova sperimentale del platonismo.57

Questa connotazione si riferisce ad una rivalità di scuola, tipica della scolastica medievale.
In una visione schematica le due scuole possono essere così caratterizzate:
a) Scuola platonica, francescana, a prevalenza inglese. Oxford è la sede universitaria di maggiore
prestigio, fondata da Roberto Grossatesta nel XII secolo. Vi si sviluppano le scienze del quadrivio e le
matematiche. Esponente di rilievo è Ruggero Bacone (1214 – 1292), autore di ampie indagini nelle
scienze naturali e nelle matematiche. A questo proposito così si esprimeva:
Ora nella matematica ci è possibile giungere ad una verità completa senza errore
e ad una certezza universale senza ombra di dubbio, poiché ad essa conviene
procedere per dimostrazioni a priori, per causas proprias e necessarie. E la
dimostrazione, si sa, porta alla verità…
Soltanto nella matematica ci sono dimostrazioni nel vero senso della parola per
causas proprias; e perciò soltanto nell’ambito e in virtù della matematica l’uomo
può giungere alla verità…
Perciò nella sola matematica si raggiunge la certezza piena. Per la qual cosa
risulta che nelle altre scienze vogliamo, com’è nostro dovere, arrivare ad una
certezza che escluda ogni dubbio, e ad una verità, che escluda ogni errore, è
necessario che la matematica diventi il fondamento del nostro conoscere, in
quanto da essa preparati possiamo giungere alla piena certezza e alla verità
anche nelle altre scienze.58

b) Scuola aristotelica, domenicana. Gli esponenti di maggiore spicco sono S. Alberto Magno e S.
Tommaso d’Acquino. Parigi è la sede universitaria più famosa per la teologia (Bologna per il diritto).
E’ caratterizzata da una impostazione teologica potente che fornì le basi dottrinali per gli sviluppi
successivi della teologia e per il magistero del Concilio di Trento e del Vaticano I.
Anche gli aristotelici avevano riconosciuto un ruolo privilegiato alla matematica e alle “scientiae
mediae”; la fisica-matematica, come si può leggere, per esempio nel commento di S. Tommaso al De
56
A. STRUMIA op. cit., p.22.
57
A. KOYRÉ, Introduzione a Platone, Vallecchi, pp.160, 163, 167.
58
R. BACONE, Opus Maius

25
Trinitate di Boezio59. E’ proprio della scuola aristotelica una visione astrattiva dei concetti della
matematica, a partire dagli enti reali. Per contro la scuola platonica considera gli enti matematici come
frutto di una pura ideazione mentale. E questo giudizio è condiviso da parecchi matematici moderni, tra
cui Lobacevskij (XIX sec.), fondatore delle geometrie non-euclidee.
In questo contesto, con Bacone e la scuola inglese si viene formulando un giudizio negativo
verso le discipline non matematizzate. Si prepara quindi la riduzione del modello di scienza alle scienze
certe per eccellenza (la matematica) e alle scienze medie matematizzate.
Da un punto di vista filosofico questo potrebbe collegarsi con la perdita della consapevolezza della
analogia del vero, non raggiungibile soltanto per via matematica.
Negli sviluppi della tarda scolastica infatti si assiste una deriva nominalistica. Con Duns Scoto l’ente è
divenuto fondamentalmente univoco, in quanto di esso si può conoscere con certezza. Ciò che vi fosse di
analogo nell’ente sarebbe inconoscibile e quindi trattato come se non esistesse. Con Guglielmo
D’Occam il concetto significa (indica) la cosa, ma non la esprime nella sua intimità metafisica. E’ segno
naturale della cosa, ma non la rivela. Le conseguenze filosofiche più appariscenti sono:
- L’atteggiamento soggettivistico: ciò che è noto quoad nos non mi aiuta a ricavare per analogia
conoscenze di ciò che è quoad se.
- L’accento è sull’individuale, sul singolare (unico dato reale). L’universale diventa un ente di
ragione; un puro nome.
- La filosofia si sposta dalla metafisica alla logica, più dominabile e certa.

Nelle scienze viene di fatto bandita la nozione di qualità, in quanto non riducibile alla quantità. Si
rinuncia di fatto alla percezione dei sensi come fonti di conoscenza, fino a dichiarare, come Galileo, che
la conoscenza intellettuale aprioristica è la nostra base e l’unico mezzo per conoscere l’essenza della
realtà: un’affermazione tipicamente “platonica”.

La tesi di Koyré sul platonismo di Galileo non è pienamente condivisa da altri filosofi della
scienza. S. Vanni Rovighi fa notare in proposito:
Mi sembra che Galileo affermi la necessità di leggere geometricamente il libro
della natura perché questa lettura è riuscita, perché è verificata
dall’esperienza. Le esperienze per verificare se i corpi cadono realmente con
la velocità prevista dalla formula del moto uniformemente accelerato sono
tanto importanti quanto i ragionamenti per arrivare a quella formula…

Galileo geometrizza per poter formulare leggi precise, ossia, in ultima


analisi, intelligibili. Solo partendo da tali leggi si può dedurre, ossia
prevedere ciò che deve accadere, e si potrà verificare la previsione solo se
ci si limita a constatare dati misurabili. Non direi dunque, come Koyré, che
bisogna essere già platonici per ammettere che le realtà fisiche siano
approssimate ad enti geometrici, ma che si diventa necessariamente platonici
se si vuol fare una scienza della natura che possa essere verificata
nell’esperienza, ossia che faccia presa sul reale.
Ma per Galileo essere platonico non vuol dire fare una metafisica, come fece
Cartesio, per giustificare questa presa sul reale delle nozioni matematiche:
una metafisica e una teoria della conoscenza nelle quali la corrispondenza fra
le nozioni matematiche e il mondo reale è giustificata dalla tesi che l’idea
di estensione è la sola idea innata, la sola vera idea –per ciò che riguarda
il mondo corporeo- e che perciò essa corrisponde alla realtà, poiché ci è data
dallo stesso Dio che ha creato l’universo; una metafisica nella quale la
riduzione della natura a estensione ha come contrappeso il totale distacco
dello spirito, della res cogitans, dalla natura. Galileo non ha mai escogitato
una metafisica platonica, nella quale l’anima sia assolutamente staccata dal
corpo. E mi sembra anche che non abbia mai negato il carattere “astratto”
delle nozioni matematiche, come vorrebbe Koyré. Il platonismo di Galileo

59
cfr nota 47

26
consiste nella convinzione che la natura sia intelligibile per l’uomo e che il
solo modo di cogliere tale intelligibilità è la conoscenza matematica.60

4.2 Il modellarsi della filosofia sulla scienza

E’ stato detto che con Galileo si instaura un nuovo sapere, quello che oggi chiamiamo scienza e
distinguiamo dalla filosofia. Per gli aristotelici il sapere era fondamentalmente di un unico tipo, con
differenti gradi di astrazione. La nuova scienza di Galileo e Keplero si presentava come un sapere
superiore alla “filosofia della natura” classica; nonostante che questo termine compaia anche nel titolo
della principale opera di Newton (1642-1727) “Principi matematici della filosofia naturale”, opera che
segna la nascita definitiva della scienza moderna.
Questo conflitto pone un preciso problema filosofico:
la fisica come scienza (e le altre scienze che la presuppongono) è l’unico
tipo di sapere sulla natura?
Se si risponde affermativamente, si può intendere la risposta in due modi:
1) la fisica matematizzata ci dice tutto sulla natura, sul mondo corporeo;
2) la fisica non dice tutto ciò che è la natura, ma ci dice tutto quello che
l’uomo ne può sapere.
La prima risposta è quella di Cartesio (1596-1650). La natura corporea è
soltanto estensione in movimento; la sostanza dei corpi si risolve in
estensione. C’è si una metafisica in Cartesio, anzi una metafisica che deve
fondare la sua fisica perché, separando totalmente la res cogitans dal mondo
corporeo, permette appunto di risolvere quest’ultimo in res extensa. La
metafisica cartesiana si costruisce interamente sull’intuizione dello spirito
che è in me, o piuttosto sullo spirito che io sono.61

Cartesio metodologicamente tenta di costruire un pensiero filosofico totalmente nuovo, con lo


stesso metodo con cui si era strutturata la scienza. Un razionalismo unitario, costruito more geometrico e
matematico; in cui però non è chiaro il ruolo dell’esperienza.
Nessuna meraviglia se già in Cartesio si trova l’idea di una matematica
universale. Naturalmente ebbero in questo senso un certo peso quei successi
teoretici e pratici a cui già Galileo era giunto. Così il mondo e già la
filosofia assumono un volto completamente nuovo. Il mondo deve essere in sé un
mondo razionale, razionale nel senso nuovo, proprio della matematica e della
natura matematizzata; corrispondentemente la filosofia, la scienza universale
del mondo deve poter essere costruita “more geometrico” come una teoria
unitariamente razionale.62

Il problema della corrispondenza tra sensazioni (soggettive) e qualità dei corpi, che in Galileo è
trattato in modo confuso e contraddittorio viene affrontato da Cartesio affermando che l’idea di
estensione ha un valore oggettivo perché è “chiara e distinta”; un’idea innata che Dio ha messo nel
nostro spirito; quello stesso Dio che ha creato il mondo e che non ci può ingannare; mentre le idee delle
qualità sensibili sono oscure e confuse. Quindi ammette due fonti di conoscenza: Dio, che ci dà le idee
innate e la possibilità di ricavare qualità oggettive, e i sensi, che ci danno solo le nostre modificazioni e
le confuse qualità soggettive.
Si viene quindi preparando la graduale sostituzione della matematica alla metafisica e della
categoria di quantità alla categoria di sostanza. La sostanza corporea è infatti res extensa: un attributo
quantitativo.

60
S. VANNI ROVIGHI, Galilei - Antologia, pagg. LIII e sg.
61
S. VANNI ROVIGHI, op. cit. pag.LVI
62
E. HUSSERL La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il saggiatore, pp.33-36

27
Anche gli empiristi inglesi sostanzialmente affermano che la fisica matematizzata ci dice tutto ciò
che è la natura. Francesco Bacone (1561-1626), con Locke e Hume mettendo molto l’accento
sull’esperienza, unica fonte di conoscenza, e sul metodo induttivo non riescono a render conto della
componente razionale per la costruzione dei concetti e perché questi siano guidati dalle nostre
interpretazioni. Se si ammette solo l’esperienza allora non si può parlare di “oggettività” per le idee. Si
percepisce solo la sensazione; l’essere del percepito si risolve nel suo essere percepito (esse est percipi).
La seconda risposta al problema sopra accennato è quella di Kant (1724-1804). Matematica e fisica
come scienze sono possibili; non dicono tutto ciò che è la natura, ma tutto quello che l’uomo ne può
sapere. Non è possibile quindi una metafisica, come scienza, così come non è possibile una cosmologia.
Alla metafisica, conoscenza speculativa razionale, affatto isolata, che si
eleva assolutamente al di sopra degli insegnamenti dell’esperienza, e mediante
semplici concetti (non come la matematica, per l’applicazione di questi
concetti all’intuizione), nella quale dunque la ragione deve essere scolara di
se stessa, non è sinora toccata la fortuna di potersi avviare per la via
sicura della scienza; sebbene essa sia più antica di tutte le altre scienze, e
sopravviverebbe quando le altre dovessero tutte quante essere inghiottite nel
baratro di una barbarie che tutto devastasse. Io dovevo pensare che gli esempi
della matematica e della fisica, che sono ciò che ora sono per effetto di una
rivoluzione attuata tutta d’un colpo, fossero abbastanza degni di nota per
riflettere sul punto essenziale del cambiamento di metodo, che è stato loro di
tanto vantaggio, e per imitarlo qui, almeno come tentativo, per quanto
l’analogia delle medesime, come conoscenze razionali, con la metafisica ce lo
permette.63

Per Kant, se si va oltre le leggi della fisica newtoniana non si elabora più una vera scienza. Si può
avere immediata conoscenza della legge morale, si può avere una fede razionale nei postulati della
ragione pratica, ma non sapere dimostrato.
Le caratteristiche dello spazio e del tempo assoluti di Newton furono elevati da Kant a livello di
condizioni che rendono possibile ogni conoscenza sensibile. In definitiva la teoria kantiana pretendeva
di giustificare filosoficamente la validità della meccanica di Newton. Kant rivendicava per la nuova
fisica l’universalità e la necessità richieste alla scienza classica, a costo anche di costruire tutta una
teoria della conoscenza adattata a questo fine.
La stessa razionalità, ricondotta al modello della ragione scientifica galileiana, non è ritenuta capace di
conoscere la verità delle cose, ma al più aspetti accidentali (quantitativi e relazionali) inseriti nella
rappresentazione delle cose che la mente stessa si costruisce
Sarà necessario prima di tutto spiegare più chiaramente che sia possibile,
quale sia il nostro pensiero sulla natura della conoscenza sensibile in
generale, per evitare intorno ad esso ogni equivoco. Noi dunque abbiamo voluto
dire che ogni nostra intuizione non è se non la rappresentazione di un
fenomeno; che le cose, che noi intuiamo non sono in se stesse quelle per cui
noi le intuiamo, ne i loro rapporti sono cosiffatti come ci appariscono, e
che, se sopprimessimo il nostro soggetto o anche solo la natura soggettiva dei
sensi in generale, tutta la natura, tutti i rapporti degli oggetti, nello
spazio e nel tempo, anzi lo spazio stesso e il tempo sparirebbero, e come
fenomeni non possono esistere in sé, ma soltanto in noi. Quel che ci posa
essere nei soggetti in sé e separati dalla ricettività dei nostri sensi ci
rimane interamente ignoto. Noi non conosciamo se non il nostro modo di
percepirli, che ci è peculiare, e che non è neanche necessario che appartenga
ad ogni essere, sebbene appartenga a tutti gli uomini.64

Esistono anche risposte negative al problema posto sopra, se la nuova scienza sia l’unico tipo di
sapere sulla natura:
63
E. KANT, Critica della ragion pura, prefazione alla seconda edizione
64
E. KANT, op. cit. II, §8

28
è la risposta di Leibniz il quale, in pieno secolo XVII, non ha paura di dire
di aver trovato più verità nella Fisica di Aristotele che nelle Meditazioni di
Cartesio. Bisogna però completare quest’affermazione con ciò che Leibniz dice
nel Discorso di metafisica: “Mi sembra che gli antichi non siano così lontani
dalla verità e così ridicoli come se li figurano i più (le vulgaire) dei
filosofi moderni. Sono d’accordo che la considerazione di queste forme
sostanziali non serve a nulla nelle dottrine particolari della fisica e non
deve essere usata per spiegare i fenomeni in particolare. E in questo hanno
sbagliato gli scolastici ... credendo di spiegare le proprietà dei corpi col
ricorrere a forme e qualità, senza esaminare il modo dell’operazione, come se
uno si accontentasse di dire che un orologio ha la qualità orodittica che
proviene dalla sua forma, senza considerare in che cosa consista tale qualità.
Ma questo cattivo uso delle forme non deve farci negare una cosa la cui
conoscenza è così necessaria in metafisica, che senza di essa non si
potrebbero conoscere i primi principi della realtà ne elevare lo spirito alla
conoscenza delle nature incorporee e delle meraviglie di Dio.65

In sintesi si può considerare che le scienze sperimentali combinano in modo peculiare la teoria e
la sperimentazione. Il razionalismo e l’empirismo classici insistevano in modo eccessivamente
unilaterale su uno di questi due elementi, non riuscendo a fornire un’immagine adeguata alla nuova
scienza. La sintesi kantiana proponeva una giustapposizione del razionale e dell’empirico che risultava
poco soddisfacente e che, inoltre, si trovava troppo condizionata dallo stato della fisica in quel momento.
Nei secoli XVII e XVIII quindi la filosofia della scienza non riuscì a formulare un’immagine obiettiva
delle scienze sperimentali.

4.3 Nascita dell’epistemologia moderna.

Riprendendo alcune considerazioni fatte in precedenza si può dire che il grande successo della
scienza moderna, con tutti i riflessi sul pensiero e sulla cultura, si è accompagnato alla crisi della
metafisica e del pensiero filosofico classico, con la relativa perdita di unità del sapere, sia in senso
orizzontale, in quanto le discipline sono forme di conoscenza della stessa realtà, sia in senso verticale,
come livelli di lettura più profondi e generali. Una scienza sganciata gradualmente dalla filosofia, cioè
da un insieme di discipline gerarchizzate e organicamente strutturate, come nel quadro del pensiero
medievale, necessitava di una riflessione sui suoi metodi e fondamenti. Questa riflessione ha avuto due
scopi:
a) da Cartesio in poi, costruire un pensiero filosofico totalmente nuovo, con lo stesso metodo con
cui si era strutturata la scienza.
b) Più recentemente: conoscere e controllare i metodi, i fondamenti, e gli scopi extrascientifici,
senza i quali non si può fare scienza in senso moderno.

Da quest’ultima esigenza è nata l’epistemologia contemporanea; una disciplina in funzione della


scienza; una sorta di ancilla scientiarum.
E’ stato già accennato nei paragrafi 1.3 -1.5 che esistono vari tipi di analisi epistemologiche delle
scienze, operati da autori diversi, con problematiche variegate. Tali differenti punti di vista possono
essere sostanzialmente interni o esterni alla scienza; approcci non necessariamente in contrapposizione,
anzi per lo più complementari e in grado di arricchirsi a vicenda.

Dal punto di vista interno le scienze vengono esaminate come un sapere a se stante, prescindendo dai
contesti culturali, storici, sociali in cui si sono sviluppate, analizzandone:
 i contenuti; cioé la materia oggetto di apprendimento e indagine.

65
S. VANNI ROVIGHI, op. cit. pag. LVII

29
 I metodi: il linguaggio formale, le tecniche e in generale le metodologie. Con linguaggio
proprio della filosofia realista si potrebbe denominare l’oggetto formale proprio di una
scienza.
 La storia interna delle scienze, cioè delle scoperte scientifiche e degli scienziati.

Da un punto di vista esterno, una scienza può essere studiata in un’orizzonte più ampio:
 in rapporto con altre discipline, scientifiche o filosofiche;
 in relazione con fattori storici e culturali (filosofici, economici, sociali).

“Si vengono così ad aprire alcuni ordini di problemi riguardanti il rapporto tra una scienza e ciò che
è esterno ad essa, ma ad essa indispensabile:
a) il problema del valore conoscitivo dei suoi risultati teorici, ovvero del suo senso in quanto forma
di conoscenza;
b) il problema dei fondamenti di una scienza, in quanto ogni scienza dimostrativa, per svilupparsi
necessita di punti di partenza che essa non può dimostrare al suo interno;
c) il problema dello scopo (finalità) delle sue applicazioni.

...... In particolare siccome il soggetto, così come il destinatario della scienza è l’uomo, parlare del
luogo della scienza presuppone un discorso sull’uomo, un’antropologia, una teoria della conoscenza,
un’etica, e così via.66

Husserl descrive lucidamente il senso di crisi che si determina quando si perde di vista questo
orizzonte di relazioni e di significati.
Adottiamo come punto di partenza il rivolgimento, avvenuto allo scadere del
secolo scorso nella valutazione generale delle scienze. Esso non investe la
loro scientificità, bensì ciò che esse, le scienze in generale hanno
significato e possono significare per l’esistenza umana. L’esclusività con
cui, nella seconda metà del XIX secolo, la visione complessiva dell’uomo
moderno accettò di venir determinata dalle scienze e con cui si lasciò
abbagliare dalla prosperity che ne derivava, significò un allontanamento da
quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica. Le mere scienze dei
fatti creano meri uomini di fatto. Il rivolgimento dell’atteggiamento generale
del pubblico fu inevitabile, specialmente dopo la guerra, e sappiamo che nella
più recente generazione esso si è trasformato addirittura in uno stato d’animo
ostile. Nella miseria della nostra vita – si sente dire – questa scienza non
ha niente da dirci. Essa esclude di principio proprio quei problemi che sono i
più scottanti per l’uomo, il quale nei nostri tempi tormentati, si sente in
balia del destino; i problemi del senso o del non-senso dell’esistenza umana
nel suo complesso. Questi problemi nella loro generalità e nella loro
necessità, non esigono forse, per tutti gli uomini, anche considerazioni
generali e una soluzione razionalmente fondata? In definitiva essi concernono
l’uomo nel suo comportamento di fronte al mondo circostante umano ed extra-
umano, l’uomo che deve liberamente scegliere, l’uomo che è libero di plasmare
razionalmente se stesso e il mondo che lo circonda. Che cosa ha da dire questa
scienza sulla ragione e sulla non ragione?, che cosa ha da dire su di noi
uomini in quanto soggetti di questa libertà? Ovviamente la mera scienza dei
fatti non ha nulla da dirci a questo proposito: essa astrae appunto da
qualsiasi soggetto.67

Il successo della scienza galileiana le fece attribuire un valore eccedente rispetto al suo statuto di
scienza particolare: una visione quasi totalizzante, fino alla pretesa di fondare su di essa il canone
epistemologico di ogni conoscenza.
66
A. STRUMIA op. cit. p.36.
67
E. HUSSERL, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il saggiatore, pp.33-36

30
Questo successo è all’origine di un’illusione scientista, della convinzione di poter fondare sul
metodo delle scienze matematizzate l’intera conoscenza di ogni aspetto della natura e dell’uomo.

4.4 L’epistemologia positivista


I grandi scienziati dei secoli XVI e XVII (Keplero, Galileo, Newton) sostituirono una nuova
fisica (concepita ancora come una filosofia) alla filosofia naturale aristotelica. Allo stesso tempo alcuni
filosofi (Cartesio, Gassendi, Bacone) proposero una visione meccanicista del mondo. Questa evoluzione
della concezione della scienza proseguì nel corso del XVIII secolo con la diffusione, da parte dei filosofi
dell’Enciclopedia, dell’idea scientista, secondo la quale l’unica conoscenza valida è quella fisico-
matematica, che porterebbe a superare i «miti» religiosi e le idee filosofiche troppo astratte. Avviene
così una duplice rottura (tra scienza e fede, e tra scienza e filosofia) che arriva a dominare gli ambienti
scientifici, mentre ci si aspetta dalla scienza la soluzione di tutti i problemi umani. Kant considera
illegittima la metafisica dell’essere e attribuisce il valore di vere conoscenze oggettive soltanto alla fisica
e alla matematica: le convinzioni metafisiche rimangono quindi fuori dal campo scientifico. Si arriva
così al positivismo classico del XIX secolo.68

Auguste Comte
Il modellarsi della filosofia sulla scienza ha un’espressione estrema nel positivismo. A. Comte
(1789-1857), erede della razionalismo francese e dell’empirismo inglese, ritiene di aver individuato una
“grande legge” nello sviluppo del pensiero.
Studiando lo sviluppo dell’intelligenza umana... dal suo primo manifestarsi ad
oggi, io credo di aver scoperto una grande legge fondamentale, alla quale essa
è assoggettata per necessità invariabile, e che mi sembra si possa solidamente
stabilire, sia per le prove razionali fornite dalla conoscenza di noi stessi,
sia per la verifica storica, che ciascuna delle nostre concezioni principali,
ciascun ramo delle nostre conoscenze passa necessariamente per tre stati
teorici differenti: lo stato teologico, o fittizio; lo stato metafisico, o
astratto; lo stato scientifico, o positivo... Di qui tre tipi di filosofia, o
di sistemi concettuali generali, sull’insieme dei fenomeni, che si escludono
reciprocamente. Il primo è il punto di partenza necessario per l’intelligenza
umana; il terzo è il suo stato fisso e definitivo; il secondo è unicamente
destinato a servire come tappa di transizione.69

Nello stadio teologico i fenomeni sarebbero visti come «prodotti dall’azione diretta e continua di agenti
soprannaturali, più o meno numerosi»; nello stadio metafisico essi vengono spiegati ad opera di essenze,
idee o forze astratte (i corpi si unirebbero grazie alla «simpatia»; le piante crescerebbero a motivo della
presenza dell’»anima vegetativa»; l’oppio addormenta perché possiede la «virtù soporifera»); ed è
soltanto «nello stadio positivo, che lo spirito umano, riconoscendo l’impossibilità di ottenere conoscenze
assolute, rinuncia a domandarsi qual sia l’origine e il destino dell’universo, quali siano le cause intime
dei fenomeni, per cercare soltanto di scoprire, con l’uso ben combinato del ragionamento e
dell’osservazione, le loro leggi effettive, cioè le loro relazioni invariabili di successione e di
somiglianza».

La pretesa di Comte è di costruire una filosofia “scientifica”, nel senso della scienza moderna: una
filosofia “positiva”.

68
M. MORINI, Appunti, p.148.
69
A. Comte, Corso di filosofia positiva, 1830-1842.

31
Poiché l’espressione “filosofia positiva” è stata costantemente usata nel giro
di tutto questo corso, in un’accezione invariata, mi sembra superfluo
definirla in termini diversi dall’uso che sinora se n’è fatto. Tanto più che
la prima lezione può considerarsi una prima messa a punto di ciò che si
intende per filosofia positiva. Mi rincresce tuttavia di aver fatto uso, in
mancanza di meglio, di un termine come quello di filosofia, così spesso
impegnato abusivamente, e in un numero imprecisato di accezioni diverse. Ma
l’aggettivo positiva, che subito ne chiarisce il senso, mi sembra sufficiente
ad eliminare, sin da principio ogni equivoco essenziale, almeno per chi ne
conosca bene il valore. Certo vi è molta analogia tra la mia filosofia
positiva e ciò che gli scienziati inglesi chiamano filosofia naturale. Ma ho
scartato quest’ultima denominazione, come del resto quella di filosofia delle
scienze, che sarebbe stata forse più precisa, perché l’una e l’altra non
abbracciano la totalità dei fenomeni, mentre la filosofia positiva, in cui
comprendo lo studio dei fenomeni sociali e dei fenomeni di ogni altro tipo,
indica una maniera di ragionare applicabile a tutti gli argomenti sui quali lo
spirito umano può esercitarsi.70

Per Comte quindi lo scopo della scienza sta nella ricerca delle leggi. Si distingue dagli empiristi
del secolo precedente che badavano solo alla raccolta di dati di fatto. Per Comte la pura erudizione
consiste di fatti senza leggi; la vera scienza consiste, invece, di leggi controllate sui fatti. Tale controllo
sui fatti esclude però dalla scienza ogni ricerca di essenze o cause ultime metafisiche. Bisogna
aggiungere che per Comte lo scopo della scienza sta nella ricerca delle leggi, perché «solo la conoscenza
delle leggi dei fenomeni, il cui risultato costante è di farceli prevedere, può evidentemente condurci
nella vita attiva a modificarli a nostro vantaggio». Col passare del tempo Comte irrigidì questa sua
posizione, arrivando a condannare qualsiasi ricerca scientifica la cui utilità non sia evidente. 71 Lo
sviluppo successivo della scienza ha smentito queste idee di Comte. Tra l’altro, una conoscenza che oggi
sembra inutile può diventare necessaria domani.
Si è notato che in questa filosofia la scienza viene utilizzata ideologicamente; riducendo i suoi
compiti a mettere in relazione fenomeni osservabili e rinunciando alla conoscenza di cause. Se gli
scienziati avessero preso alla lettera queste limitazioni così drastiche, si sarebbe dovuto abbandonare la
nascente teoria atomica e non si sarebbe sviluppata la microfisica, che attualmente è alla base di molte
scienze sperimentali.72

John Stuart Mill


In Inghilterra lo sviluppo del positivismo si innesta nella tradizione empiristica ed utilitaristica.
Nell’ambito di questa tradizione John Stuart Mill (1806-1873) sviluppò lo studio della logica della
scienza. Il punto di partenza di Mill è la critica del sillogismo, con la pretesa di sviluppare proposizioni
universali che ricaviamo dall’esperienza. E l’esperienza ci fa osservare solo casi singoli. Per questo la
tesi fondamentale di Mill è che «ogni inferenza è da particolari a particolari», in quanto la sola
giustificazione del «questo sarà» è il «questo è stato», e la proposizione «generale» è solo un espediente
per conservare nella memoria molti fatti particolari. Tutte le nostre conoscenze sarebbero dunque di
natura empirica.73
Il problema è quindi quello dell’induzione, che per Mill «è quell’operazione della mente con cui
inferiamo che ciò che sappiamo vero in uno o più casi singoli sarà vero in tutti i casi rassomiglianti ai
primi per certi determinati aspetti. In altre parole, l’induzione è il processo con cui concludiamo che
quello che è vero di certi individui di una classe è vero dell’intera classe, o che quello che è vero in certi
momenti sarà vero in circostanze simili in ogni momento». La si può definire per Mill «come una
generalizzazione dell’esperienza. Essa consiste nell’inferire, da alcuni singoli casi in cui s’osserva che

70
A. COMTE, Corso di filosofia positiva, I , avvertenza dell’autore.
71
Cfr. A. Comte, Sistema di politica positiva, 1851-1854.
72
M. ARTIGAS, op.cit. p.68.
73
Cfr. J.S. Mill, Sistema di logica raziocinativa e induttiva, 1843.

32
un fenomeno si verifica, ch’esso si verifica in tutti i casi di una certa classe, ossia in tutti quelli che
rassomigliano ai precedenti in quelle che si considerano circostanze essenziali».
Proprio per distinguere le circostanze essenziali da quelle non essenziali Mill propose i quattro metodi
dell’induzione
Il metodo di Stuart Mill è detto «delle esclusioni» e contiene quattro canoni:
1) canone della concordanza: se due o più casi del fenomeno sotto esame hanno
una sola circostanza in comune, questa circostanza è causa (o effetto) del
fenomeno considerato; 2) canone delle differenze: se un caso in cui il
fenomeno sotto esame si produce e un altro in cui non si produce hanno tutte
le circostanze in comune, tranne una che si dà solo nel primo caso, questa
circostanza è effetto, o causa, o parte indispensabile della causa del
fenomeno; quindi, la concordanza da sola porta alla causa sufficiente, e le
differenze da sole alla causa necessaria; i due metodi insieme hanno una
maggiore efficacia, e portano alla causa necessaria e sufficiente; 3) canone
delle variazioni concomitanti: se due o più casi in cui il fenomeno si
verifica hanno una sola circostanza in comune, mentre due o più casi in cui lo
stesso fenomeno non si verifica non hanno nulla in comune salvo l’assenza di
quella circostanza, essa è effetto, o causa, o parte indispensabile della
causa del fenomeno; 4) canone dei residui: sottratta da un fenomeno la parte
che attraverso precedenti induzioni causali è riconosciuta come effetto di una
parte dell’insieme di antecedenti, tra il residuo dell’insieme di antecedenti
e il residuo del fenomeno esiste un nesso di causa ed effetto.74

Il senso di tali «tavole» o «canoni» consiste nella pretesa di orientare


l’esperienza o la conoscenza dei fenomeni perché sia scientificamente feconda
e non si limiti all’osservazione ordinaria e non controllata. Questa
esperienza così diretta mostrerebbe le relazioni costanti tra i fatti e le
cause (Bacone la chiama experientia liberata). Nella maggior parte dei casi
concreti, però, non si riescono ad escludere diverse cause possibili. Se ne
può allora assumere in modo ipotetico una che spieghi sufficientemente i
fenomeni, anche se non in modo necessario. Tale scelta in queste circostanze
generalmente non è arbitraria, perché quasi sempre vi è un’ipotesi più
probabile, per la maggior semplicità o per la capacità di spiegare un maggior
numero di fatti: semplicità e fecondità esplicativa sono infatti criteri
plausibili per il riconoscimento della verità di un’ipotesi. Nelle situazioni
più difficili la scelta ricade sulle ipotesi più verosimili. Altre volte è
possibile scartare con sicurezza tutte le ipotesi tranne una, o provando la
verità di quest’ultima, o dimostrando la falsità delle altre.

Va inoltre tenuto presente che procedimenti come quelli individuati da Bacone


e Stuart Mill non possono essere considerati come metodi che portino
infallibilmente alla scoperta delle cause, ma più semplicemente
all’individuazione di regolarità. Soltanto la comprensione intellettuale degli
influssi concreti può sceverare in un insieme di antecedenti le cause per se
dalle semplici condizioni sempre successive (e a volte ciò non sarà
possibile). L’impronta digitale lasciata da un delinquente può essere un
antecedente costante, ma l’esperienza più ampia e le conoscenze che già
possediamo ci impediscono di confonderla con la causa del delitto. La
regolarità non implica che l’antecedente sia la causa, anche se rimanda a una
certa causalità.75

La questione più importante è però quella del fondamento dell’induzione: qual è la garanzia di
tutte le nostre inferenze dall’esperienza? Questa garanzia è da vedersi, per Mill, nel principio secondo
cui «il corso della natura è uniforme»: l’universo è governato da leggi, il futuro rassomiglierà al passato,
o, in altre parole, il principio di causalità espresso comunque in termini di pura regolarità. 76 Questa è la
premessa maggiore ultima di ogni induzione. Per Mill, però, anche il principio di uniformità della natura
74
J. Stuart Mill, A System of Logics..., III, c.8.
75
M. MORINI, appunti cit. p.128

33
è solo una «grande generalizzazione». «Le più oscure leggi della natura furono scoperte per suo mezzo,
ma le più ovvie sono state probabilmente intese ed accettate come verità generali prima che di essa si sia
mai sentito parlare». In altri termini, le più ovvie generalità scoperte all’inizio (il fuoco brucia, l’acqua
bagna) suggeriscono il principio di uniformità della natura; tale principio, una volta formulato, è posto a
fondamento delle generalizzazioni induttive; queste, infine, quando vengono scoperte attestano il
principio di uniformità.
Si vede quindi come tutto il problema stia, da una parte, nel fatto che Mill non abbia ben inquadrato la
vera natura dell’induzione, e, dall’altra, non abbia considerato l’esistenza di quell’insieme di evidenze
prime che abbiamo indicato come «certezze del senso comune» (tra cui troviamo anche il principio di
causalità) e che si distinguono dalle certezze «empiriche» per il fatto che derivano come queste
dall’esperienza, ma dalla sua totalità piuttosto che dalla considerazione di un numero limitato di fatti
particolari.

4.5 Strumentalismo e convenzionalismo


All’inizio del secolo XX si manifestano diversi filosofi della scienza che, in contrasto con il
positivismo, evidenziano gli aspetti della scienza introdotti dalla mente umana.
Lo strumentalismo afferma che è compito della scienza realizzare un’economia di pensiero, ossia
enunciare leggi e teorie che consentono di evitare molto lavoro sperimentale, senza poter affermare se
sono vere o false.
Per il convenzionalismo le costruzioni scientifiche sono solo convenzioni utili per il dominio della
natura. Secondo Eduard Le Roy (1870-1954) le leggi e le teorie scientifiche hanno carattere
convenzionale, risulta dunque vana ogni verifica per accertare una presunta oggettività della teoria
stessa. Lo stesso fatto, tanto centrale nel positivismo, sarebbe un qualcosa elaborato e costruito dalle
categorie dello scienziato stesso.
Henri Poincaré (1854-1912) e Pierre Duhem (1861-1916) elaborarono un convenzionalismo
moderato, che riconoscendo l’elemento convenzionale nella scienza non eliminava il carattere
conoscitivo ed oggettivo delle teorie scientifiche.
Ogni legge fisica è una legge approssimata, di conseguenza, per pura logica, non
può essere ne vera ne falsa; qualunque altra legge che rappresenti gli stessi
esperimenti con la stessa approssimazione può pretendere, con altrettanto diritto
come la prima, il titolo di legge vera, o, per meglio dire, di legge accettabile77

Quindi «una teoria vera non dà una spiegazione delle apparenze fisiche conformi alla realtà; essa
rappresenta in modo soddisfacente un insieme di leggi sperimentali; una teoria falsa non è un tentativo
di spiegazione fondata su supposizione contrarie alla realtà, ma un insieme di proposizioni che non
concordano con le leggi sperimentali». La teoria fisica pertanto è un insieme convenzionale ed
economico di proposizioni matematiche che tanto più è potente quanto più vasto è il numero delle leggi
da esso derivabile. La teoria fisica è una costruzione dell’intelletto umano, ed essa «non ci dà mai la
spiegazione delle leggi sperimentali, non ci rivela in nessun caso le realtà che si nascondono dietro le
apparenze sensibili. Ma più si perfeziona, più avvertiamo che l’ordine logico nel quale essa dispone le
leggi sperimentali è il riflesso di un assetto ontologico».
Le leggi della fisica, dice Duhem, si basano sui risultati degli esperimenti. Proprio a proposito
dell’esperimento Duhem ha dato uno dei suoi contributi più notevoli, avanzando l’idea dei controlli
olistici (ripresa ai nostri giorni dal logico William Quine, tanto che si dice «tesi Duhem-Quine»), e la
teoria conseguente all’idea dei controlli olistici, secondo cui non si danno experimenta crucis:78

76
Mill non parla di causalità. Le sue formulazioni del principio di uniformità sono «è una legge che ogni evento dipenda da
qualche legge», «per ogni evento esiste qualche combinazione di oggetti o di eventi... il cui accadere è sempre seguito da quel
fenomeno».
77
P. DUHEM, La théorie physique. Son object. Sa structure, Riviére, Parigi 1914.
78
M. MORINI, appunti cit. p. 152

34
soltanto tutto un insieme di ipotesi. Quando l’esperienza è in disaccordo con
le sue previsioni, essa Un fisico si propone di dimostrare l’inesattezza di
una proposizione; per dedurre da tale proposizione la previsione di un
fenomeno, per allestire l’esperimento che deve dimostrare se il fenomeno si
produce o no, per interpretare i risultati di tale esperienza e constatare che
il fenomeno previsto non si è prodotto, non si limita a fare uso della
proposizione in discussione. Egli usa ancora tutto un insieme di teorie
accettate senza riserve. La previsione del fenomeno, la cui mancata previsione
deve troncare il dibattito, non scaturisce dalla proposizione in contestazione
presa isolatamente, ma da quella collegata a tutto l’insieme delle teorie. Il
fisico non può mai sottoporre al controllo dell’esperienza un’ipotesi isolata,
ma gli insegna che almeno una delle ipotesi costituente l’insieme è
inaccettabile e deve essere modificata, ma non gli indica quale dovrà essere
cambiata». «Il solo controllo sperimentale della teoria fisica che non sia
illogico consiste nel confrontare l’intero sistema della teoria fisica con
tutto l’insieme delle leggi sperimentali e nel valutare se il secondo insieme
è rappresentato dal primo in modo soddisfacente.79

Da tutto ciò deriva secondo Duhem l’impossibilità di fare in fisica l’experimentum crucis, secondo il
quale date due ipotesi incompatibili si dovrebbe decidere in maniera irrefutabile ed inequivocabile la
verità dell’una o dell’altra, realizzando una condizione che, in connessione con la prima, dovrebbe dare
un certo risultato e che invece, in connessione con la seconda, ne dovrebbe dare un altro. Questo non è
possibile perché in fisica due ipotesi non costituiscono mai un dilemma rigoroso: «il fisico non è mai
sicuro di aver effettuato tutte le supposizioni immaginabili».
Si potrebbe aggiungere che, se è vero che un esperimento cruciale non dà una verità definitiva, può
dare risultati accettabili anche se solo provvisoriamente. Il controllo di un’ipotesi non coinvolge tutto il
sapere, perché dovremo sempre accettare quella parte di sapere che l’ipotesi presuppone.

Bisogna notare che posizioni di convenzionalismo e di strumentalismo epistemologico, nelle varie


versioni in cui viene messa tra parentesi, o negata la nozione di verità scientifica, sono frequenti nel
secolo XX. In effetti, nei rami più sviluppati della scienza, soprattutto nelle grandi teorie della fisica
matematica, vi è la necessità di ricorrere a modelli e a costruzioni molto astratte, la cui relazione con la
realtà è piuttosto indiretta. Sembrerebbe logico, quindi, negare che queste costruzioni teoriche siano una
semplice traduzione della realtà. D’altra parte la scienza sperimentale fornisce conoscenze autentiche
della realtà; e il grande sviluppo della biologia e di altre discipline scientifiche che studiano i sistemi
naturali organizzati fornisce nuovi modelli e costruzioni che hanno un senso realista più diretto delle
costruzioni della fisica matematica. Da qui quindi il dibattito sul realismo nell’epistemologia attuale.80

4.6 Il neopositivismo

Ernst Mach
Ernst Mach (1838-1916), fisico e storico della scienza, è erede della tradizione empirista e
caposcuola a Vienna di studiosi di filosofia della scienza. La posizione filosofica di Mach può essere
denominata fenomenista: dal momento che la scienza dovrebbe trattare solo i veri e propri fenomeni,
così come si presentano nell’esperienza. Ogni pretesa di cogliere realtà al di la delle apparenze sarebbe
una pretesa “metafisica” impossibile da realizzare. Per questo motivo Mach si rifiutò fino alla fine della
sua vita di dar credito alla teoria atomica, considerando gli atomi entità metafisiche, non sperimentabili.

79
P. DUHEM, La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura, 1906.
80
M. ARTIGAS, op. cit. p. 79

35
Mach è anche strumentalista, perché sarebbe compito della scienza realizzare un’economia di
pensiero, ossia enunciare leggi e teorie che consentono di evitare molto lavoro sperimentale, senza poter
affermare se sono vere o false.
La tesi di Mach è che la scienza si riduce ad analisi delle sensazioni, che l’uomo riunisce in strutture
per adattarsi al mondo nel contesto della lotta per la vita. Le cose e la natura di cui parla la scienza sono
ben lontane dalla cosa in sé e per sé, dal «vero» dato oggettivo:
Il mondo non consiste dunque per noi in essenze misteriose le quali,
interagendo con un’altra essenza, altrettanto misteriosa, l’io, generano le
“sensazioni”, che solo ci sono accessibili. I colori, suoni, spazi, tempi...
sono per noi provvisoriamente gli elementi ultimi... di cui dobbiamo indagare
la concezione data. In ciò consiste appunto l’investigazione della realtà».
«Colori, suoni, calore, pressioni, spazi, tempi, ecc. sono connessi fra loro
in modo molteplice e ad essi sono legati disposizioni, sentimenti, volizioni.
Da questo tessuto emerge ciò che è relativamente più stabile e durevole,
imprimendosi nella memoria ed esprimendosi nella parola. Come relativamente
più durevoli si segnalano innanzitutto complessi coordinati (funzionalmente)
nello spazio e nel tempo di colori, suoni, pressioni, ecc., i quali proprio
perciò assumono nomi specifici e vengono indicati come corpi (Körper). Tali
complessi non sono affatto persistenti in assoluto... Come relativamente
persistenti ci si presenta inoltre quel complesso di ricordi, disposizioni,
sentimenti, legato a un determinato corpo (Leib), che viene designato come
‘io’.81
La sensazione per Mach è una forma di adattamento dell’organismo vivente all’ambiente, che è risultato
dell’evoluzione della specie: «una psicologia nel senso spenceriano-darwiniano, ispirata alla teoria
dell’evoluzione ma fondata su ricerche positive particolareggiate, promette risultati più ricchi di quelli
ottenuti da tutte le speculazioni anteriori». Ora, ciò che per Mach sta alla base della scienza non sono i
fatti, ma le sensazioni, e la ricerca scientifica continua e perfeziona quel processo vitale di adattamento
all’ambiente: «il compito biologico della scienza è quello di offrire all’individuo umano dalla sensibilità
pienamente sviluppata un orientamento il più possibile compiuto».
La scienza sorge sempre attraverso un processo di adattamento delle idee a un
determinato settore di esperienza. Risultato di questo processo sono gli
elementi di pensiero che hanno la capacità di rappresentare l’intero settore.
Se il settore di esperienza si amplia, oppure se si riuniscono vari settori
finora separati, gli elementi di pensiero abituali, quali ci sono stati
tramandati, non sono più sufficienti a rappresentare il settore più esteso.
Nella lotta fra l’abitudine acquisita e lo sforzo di adattamento sorgono i
problemi, che svaniranno poi una volta compiuto l’adattamento per lasciar
posto ad altri che emergeranno nel frattempo.82
Il problema è quindi «il disaccordo tra i pensieri e i fatti, o il disaccordo tra pensieri». Tentiamo
di risolvere i problemi attraverso le ipotesi: «il ruolo essenziale di un’ipotesi è quello di condurci a fare
nuove osservazioni e delle nuove ricerche, in grado di confermare, contraddire o modificare la nostra
congettura». Le ipotesi sono quindi come dei tentativi di adattamento ad un «ambiente» che presenta
qualcosa di nuovo e quindi di strano. E mentre «l’adattamento dei pensieri ai fatti è... l’osservazione;
l’adattamento dei pensieri tra di loro è la teoria». La scienza va infine intesa per Mach come economia
di pensiero, nel senso che le conoscenze scientifiche permettono di conseguire la conoscenza di un vasto
dominio di fatti con il minor sforzo intellettuale:
Compito della scienza è ricercare ciò che è costante nei fenomeni naturali,
gli elementi di questi, il modo del loro rapporto e la loro reciproca
dipendenza. Mediante la descrizione chiara e completa la scienza cerca di
rendere inutile il ricorso a nuove esperienze, di risparmiare esperienze. Una
volta che si conosca la dipendenza reciproca di due fenomeni, l’osservazione
di uno rende superflua quella dell’altro che è condeterminato e predeterminato
81
E. MACH, L’analisi delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico, 1900.
82

36
dal primo. Anche nella descrizione può essere risparmiato lavoro, usando
metodi che permettono di descrivere in una sola volta e nel modo più breve il
maggior numero di fatti.

Quello che la scienza ci può far conoscere sono quindi solo interdipendenze tra fenomeni.
«Quando le scienze sono molto sviluppate, esse sempre più raramente impiegano i concetti di causa ed
effetto. La ragione di ciò è che questi concetti sono provvisori, incompleti e imprecisi», mentre «la
nozione di funzione permette di rappresentare molto meglio le relazioni degli elementi tra di loro». Mach
non critica solo il concetto di causa, ma anche quello di sostanza: «Rimane un solo tipo di persistenza
della connessione (o relazione). Neppure la sostanza, la materia è un persistente incondizionato. Ciò che
noi chiamiamo materia è una certa connessione regolare degli elementi (sensazioni). Le sensazioni dei
vari sensi di un uomo, così come le sensazioni di vari uomini sono di norma reciprocamente dipendenti.
In ciò consiste la materia».
Come critica alla concezione di Mach, basta riportare l’attacco di Lenin, che senza mezzi termini scrive
che, mentre Engels segue la via del materialismo, Mach segue quella dell’idealismo: «Nessun
sotterfugio, nessun sofista... può eliminare il fatto chiaro e indiscutibile che la dottrina di Ernst Mach, la
dottrina delle cose considerate come complessi di sensazioni, è idealismo soggettivo, è una semplice
rimasticatura della dottrina di Berkeley».83

I lavori di Mach contribuirono a criticare i concetti newtoniani di spazio e tempo assoluti, in quanto
“metafisici”, non sperimentabili e come tali da espungere dalla scienza. Questa critica fu ripresa da
Einstein per elaborare la teoria della relatività. Tuttavia la prospettiva complessiva della scienza risulta
piuttosto povera, ed ancora di più quando se ne traggono conseguenze filosofiche di carattere sul valore
della conoscenza umana. In questa prospettiva è escluso qualunque riferimento ad una realtà sottostante
i fenomeni, nonché ogni giudizio di valore sulla conoscenza umana

Neopositivismo logico del Circolo di Vienna84

Il Neopositivismo è la filosofia del Circolo di Vienna. Nel 1922 il fisico e filosofo Moritz Schlick
(1882-1936) venne chiamato all’Università di Vienna per ricoprirvi la cattedra di filosofia delle scienze
induttive, cattedra che era già stata di Ernst Mach. Il Circolo di Vienna prese l’avvio due anni più tardi
quando Herbert Feigl e Friedrich Waismann proposero a Schlick di formare un gruppo di discussione su
questioni di filosofia della scienza. Iniziarono colloqui periodici (tutti i venerdì sera) a cui partecipavano
tra gli altri il matematico Hans Hahn, il sociologo ed economista Otto Neurath (1882-1945), il
matematico Kurt Reidermeister, che propose di leggere e discutere il Tractatus logico-philosophicus di
Wittgenstein, e dal 1926 il filosofo Rudolph Carnap (1891-1970). Nel 1929 venne pubblicato, a firma di
Neurath, Hahn e Carnap, il «manifesto» del Circolo viennese: La concezione scientifica del mondo.
Sempre nel 1929 si tenne a Praga un convegno, organizzato dal gruppo viennese, a cui seguirono altri
convegni in diverse località fino al 1939, e nel 1930 iniziò la pubblicazione della rivista filosofica del
gruppo, «Erkenntnis» (Conoscenza), diretta da Carnap e da Hans Reichenbach.

Le linee essenziali del programma neopositivistico, formulate nello scritto programmatico, erano le
seguenti:
1) la formulazione di una scienza unificata, comprendenti tutte le conoscenze fornite dalla fisica,
dalle scienze naturali, dalla psicologia, ecc.;
2) il mezzo per tale fine doveva consistere nell’uso del metodo logico di analisi elaborato da Peano,
Frege, Whitehead e Russell;

83
LENIN, Materialismo ed empiriocriticismo: note critiche su una filosofia reazionaria, 1908.
84
Tratto da M. MORINI, appunti cit. p. 154

37
3) i risultati dell’applicazione di tale metodo al materiale delle scienze empiriche venivano
prospettati: a) nell’eliminazione della metafisica; b) nei contributi alla chiarificazione dei concetti e delle
teorie della scienza empirica e alla chiarificazione dei fondamenti della matematica.

Per quanto concerne le tesi di fondo della filosofia dei neopositivisti, c’è da dire che costoro, pur
nelle discordanze, a volte anche profonde, hanno affermato:
1) che il principio di verificazione costituisce il criterio di distinzione tra proposizioni sensate e
proposizioni insensate, talché tale principio si configura come un criterio di significanza
delimitante la sfera del linguaggio sensato dal linguaggio senza senso che porta all’espressione il
mondo delle nostre emozioni e delle nostre paure;
2) che, in base a tale principio, hanno senso unicamente le proposizioni passibili di verifica
empirica o fattuale, vale a dire le asserzioni delle scienze empiriche;
3) che la matematica e la logica costituiscono soltanto complessi di tautologie, convenzionalmente
stipulate e incapaci di dire alcunché sul mondo;
4) che la metafisica, assieme all’etica e alla religione, non essendo costituite da concetti e
proposizioni fattualmente verificabili, sono un insieme di questioni apparenti che si basano su
pseudo-concetti;
5) che il lavoro che rimane da fare per il filosofo serio è l’analisi della semantica (rapporto tra
linguaggio e realtà cui il linguaggio si riferisce) e della sintattica (relazione dei segni di un
linguaggio tra di loro) dell’unico discorso significante, cioè del discorso scientifico;
6) per questo, la filosofia non è dottrina, ma attività: attività chiarificatrice del linguaggio.

L’atteggiamento antimetafisico fu una costante della filosofia neopositivista. Wittgenstein sostenne


che «la maggior parte delle proposizioni e delle questioni che sono state scritte in materia di filosofia
non sono false, ma prive di senso», e Schlick nel saggio Positivismo e realismo (1932) scriverà che
«asserzioni quali “realtà assoluta” o “essere trascendente” o altre del medesimo genere non significano
null’altro che alcuni determinati stati d’animo». Ora, abbiamo visto come alla base della filosofia
neopositivista vi sia il principio di verificazione. Esso però apparve ben presto a molti come un principio
metafisico che in nome di una scienza condannava aprioristicamente il senso di qualsiasi altro discorso.
Inoltre nella formulazione stessa del principio di verificazione si trovava una contraddizione: o il criterio
è un’asserzione fattuale, e allora non è più una norma assoluta con cui giudicare il linguaggio come
significante o insignificante; ovvero si afferma come norma e allora si cade in un’impasse, in quanto la
norma, per il suddetto principio, non ha senso.
Nel tentativo di superare questa situazione difficoltosa prima Neurath e poi Carnap cercarono di
capovolgere l’orientamento semantico del neopositivismo in una direzione sintattica, affermando la
necessità di porsi in un linguaggio dove tutte le proposizioni debbano già dall’inizio risultare
intersoggettive. Per Neurath non bisogna partire dalla concezione viziata dalla metafisica che assume il
linguaggio nella sua funzione di rappresentazione proiettiva dei fatti, ma il linguaggio deve essere preso
come un fatto fisico, come un insieme di suoni e di segni (fisicalismo). La scienza è la totalità delle
asserzioni empiriche pronunciate o scritte ed esse (tracce d’inchiostro o sistemi di onde aeree) sono allo
stesso tempo ciò di cui la scienza parla e ciò con cui essa si esprime. Noi aumentiamo la scienza
aumentando la quantità delle sue proposizioni, confrontando le nuove proposizioni con quelle già in uso
e creando un sistema privo di contraddizioni adatto a fare con successo delle predizioni:
Le proposizioni vanno confrontate con proposizioni e non con “esperienze”, né con
un “mondo”, né con “qualcos’altro”. Tutte queste duplicazioni senza senso
appartengono a una più o meno raffinata metafisica e devono perciò essere
eliminate. Ogni nuova proposizione viene confrontata con la totalità delle
proposizioni presenti, già accordate le une con le altre. Pertanto si dirà che
una proposizione è corretta solo se può essere inserita entro tale sistema. Ciò
che non può essere inserito in esso viene rifiutato come scorretto. Invece di
rifiutare le nuove proposizioni, si può alterare l’intero sistema (cosa a cui ci

38
si decide molto difficilmente) fino a che le nostre proposizioni possano venire
inserite in esso…85
Queste idee radicali sul fiscalismo verso cui evolve il movimento neopositivista, e soprattutto
Neurath, legate all’incapacità del principio di verificazione di tener conto della scienza, portarono ad un
acceso dibattito all’interno del Circolo di Vienna e alla crisi delle idee neopositiviste.
R. Carnap, in Controllabilità e significato (1936) fa evolvere il principio di verificabilità, facendo
ricorso alla nozione di controllabilità e di confermabilità, e, così come Neurath, scivolarono verso il
convenzionalismo, finendo quasi per abbandonare l’empirismo e dimenticando che lo scopo delle parole
è occuparsi di cose diverse delle parole. La scienza non è un gioco di segni, più o meno come una favola
ben strutturata; può essere non contraddittoria senza per questo essere ritenuta scientifica.

4.7 Considerazioni sul positivismo


Nei filosofi della scienza che sono stati citati e soprattutto con neopositivismo logico del Circolo di
Vienna, le riflessioni epistemologiche continuano a restare nell’ambito delle coordinate del razionalismo
classico e soprattutto dell’empirismo.
Emerge un problema di fondo: in che modo la nuova scienza sperimentale si adegua all’ideale
classico della scienza come sapere dimostrato, mediante vere cause?

Altre caratteristiche della nuova epistemologia, più o meno segnata dal positivismo, sono già
state accennate come riconducibili all’opzione per la scienza galileiana operata all’interno del pensiero
filosofico, caratterizzate da:
 riduzione del concetto di razionalità alla razionalità matematico-galileiana e la corrispondente
riconduzione di ogni scienza a scienza matematizzata, o alla matematica pura;
 tendenza alla sostituzione della metafisica con la matematica; ovvero la sostituzione della
categoria di sostanza con le categorie di quantità e relazione, ipostatizzate. 86

a) Sulla riduzione del concetto di razionalità è interessante un’osservazione di Husserl:


Sono persuaso che la crisi europea affonda le sue radici in un
razionalismo erroneo. Ma ciò non significa che la razionalità come tale sia
una calamità o che rivesti un’importanza soltanto subordinata per l’umanità.
La razionalità: nel senso più autentico e più alto in cui ne parliamo, nel
senso di quell’ideale originario che si delineò nell’epoca classica della
filosofia greca, la razionalità esigeva indubbiamente molti chiarimenti, molte
riflessioni; nella sua forma matura essa è chiamata a guidare tutti gli
sviluppi successivi. D’altra parte noi ammettiamo volentieri (e da questo
punto di vista l’idealismo tedesco ci ha preceduti di molto) che lo stato di
sviluppo della ratio costituito dal razionalismo del periodo illuministico era
un errore, per quanto un errore comprensibile.
Il termine ragione è un titolo molto ampio. (...)
Esiste continuamente il pericolo di cadere in unilateralità e di darsi troppo
in fretta per soddisfatti; ma l’ubbidienza a queste tentazioni porta a
contraddizioni. Da ciò i contrasti tra i grandi sistemi filosofici che
affacciano grandi pretese e che sono pure inconciliabili. A ciò si aggiunge
poi la necessità ed il pericolo della specializzazione. Così una razionalità
unilaterale può diventare pericolosa.
Oppure si può dire: l’essenza stessa della ragione implica che i filosofi
possano dapprima intendere il loro compito e accingersi ad assolverlo soltanto
in una unilateralità assolutamente necessaria. Non si tratta di una
deviazione, di un errore; come abbiamo detto l’unica via che essi possono e
debbono imboccare, propone loro dapprima soltanto un aspetto del loro compito

85
O. NEURATH, Fisicalismo, 1931
86
A. STRUMIA, op, cit. p.41

39
e impedisce loro di riconoscere che il compito di indagare teoreticamente la
totalità dell’essere ha ancora altri aspetti.87

In sintesi, il criterio che definisce la scientificità di una disciplina non è altro che il criterio che
definisce la sua razionalità. Se il canone di scientificità si identifica con il modello delle scienze fisico-
matematiche allora ne segue una riduzione del concetto di razionalità al solo ambito delle conoscenze
scientifiche così intese. “Ciò che non è scientifico (nel senso predetto) non è neppure razionale. Rispetto
al modello medievale della conoscenza scientifica organicamente strutturata in discipline caratterizzate
da oggetti formali differenziati e da diversi gradi di universalità, la sfera della razionalità viene
drasticamente limitata, ridotta al solo ambito che ha come oggetto di indagine gli aspetti qualitativi e
relazionali della realtà. E’ una riduzione all’interno della quale non è possibile, di fatto, ricondurre tutte
le proprietà dell’essere e tantomeno dell’uomo”.
“Con la riduzione del concetto di razionalità si viene di conseguenza a relegare nella sfera
dell’irrazionalità tutta l’area della conoscenza e dell’esperienza umana che non è riducibile in maniera
esauriente in termini quantitativi e relazionali. Nasce così una contrapposizione (non una distinzione, ma
una vera e propria conflittualità) tra scientifico e umanistico, razionale ed emozionale, scienza e arte,
scienza e fede, ove si intende che il secondo termine di ogni coppia è perdente rispetto al primo, e in
ogni caso, ha diritto di cittadinanza o in tanto in quanto si lascia ridurre e integrare nel primo oppure
accetta di essere ad esso subordinato come fenomeno culturale di secondo rango.”88
E’ quanto afferma anche E. Agazzi, che parla di un vero e proprio monismo metodologico:
si è disposti a riconoscere che ogni scienza ha il diritto di occuparsi del
proprio oggetto specifico, a condizione, però, che il metodo da essa seguito
sia il vero metodo scientifico. E qual’è il vero metodo scientifico? La
risposta abituale suona più o meno così: le scienze sono riuscite a
costituirsi come forme specifiche di sapere da quando si è deciso di limitare
a certi aspetti soltanto della realtà lo sforzo di ricerca: cioé alle
quantità, alla misura, al ragionamento matematico, all’impiego di calcoli
esatti, ecc.89

b) La sostituzione della metafisica con la matematica


E’ stata già esaminata nel paragrafo 3.6 la tendenza a considerare le categorie di quantità e di
relazione come unici caratteri essenziali dell’oggetto studiato da una scienza. La naturale tendenza
dell’intelligenza umana a conoscere le cose e a rappresentarsi in termini metafisici la realtà ha condotto
a “ipostatizzare” le formule matematiche e a attribuire a queste proprietà accidentali (quantità e
relazione) la categoria di sostanza. Quasi il vero ed esclusivo essere delle cose, e non solo nel paradigma
delle scienze della natura.
Si tratta di un’interpretazione della fisica da parte dei fisici che sembrava
un’ “ovvietà” (…) e che rimase dominante fino a poco tempo fa. La natura è nel
suo “vero essere in se” matematica. Di questo in-se la matematica pura dello
spazio-temporalità coglie uno strato di leggi che godono di un’evidenza
apodittica in quanto sono incondizionatamente e generalmente valide: coglie
immediatamente le leggi elementari assiomatiche delle costruzioni a priori, e
in una mediatezza finita le altre leggi.90

La sostituzione della matematica come nuova scientia rectrix delle scienze della natura, al posto
della metafisica (cfr. paragrafo 3.6), ha in se le premesse per rendere progressivamente priva di valore
conoscitivo la scienza stessa.

87
E. HUSSERL, La philosophie du non, P.U.F. pp. 349-350
88
A. STRUMIA, op, cit. p. 43.
89
E. AGAZZI, in AA.VV., Scienza e filosofia oggi, Massimo p. 9
90
E. HUSSERL, op. cit. p. 73

40
“Infatti la matematica tenderà a svilupparsi come scienza formale, valida in quanto coerente, non
contraddittoria, indipendentemente dal contenuto materiale al quale viene applicata. Essa non è capace
di definire il vero o il falso in rapporto alla realtà, ma solo il contraddittorio o il non contraddittorio
all’interno di se stessa. Di conseguenza la tendenza… alla riduzione della logica a logica formale, con la
graduale scomparsa della logica materiale, e alla riduzione della nozione di verità a quella di non
contraddittorietà.”
“La matematica può fondare le scienze naturali …solo quanto alla conoscenza delle relazioni tra
grandezze, non può invece fondarla come conoscenza di verità. Di qui viene a originarsi la crisi della
scienza quanto al valore che essa ha come forma di conoscenza, come teoria.”91

Critica al positivismo in occidente


L’epistemologia positivista (e neo positivista) rappresenta uno sbocco di una crisi del pensiero
moderno, costituitosi sulla pregiudiziale antimetafisica, che ha la sua origine nel nominalismo del tardo
medio evo, prima ancora dello sviluppo della scienza moderna, fino alle teorizzazioni della filosofia
empirista e razionalista. Si assiste al cambiamento della stessa teoria della conoscenza, negando alla
ragione la possibilità di conoscere le cose, ma solo delle rappresentazioni delle cose (cfr. Kant § 4.2),
che essa stessa si costruisce.
Si assiste dunque ad un paradosso. Attribuendo alla scienza moderna più valore, erigendola quasi a
fondamento della conoscenza e dell’agire umano, le si sottrae il suo stesso punto di consistenza e la
molla che la fa veramente progredire. Infatti la razionalità, ridotta al modello della ragione scientifica,
entra in crisi perché non è più capace di conoscere delle verità attorno al suo oggetto. L’impossibilità di
attingere verità oggettive tramite la scienza, apertamente dichiarata dal positivismo, insinua una
progressiva sfiducia nel potere conoscitivo della ragione.
La crisi della filosofia equivale sa una crisi di tutte le scienze moderne in
quanto diramazioni dell’universalità filosofica; essa diventa una crisi,
dapprima latente e poi sempre più chiaramente evidente dell’umanità europea,
del significato complessivo della sua vita culturale, della sua complessiva
“esistenza”. La scepsi rispetto alla possibilità di una metafisica, il crollo
della fede in una filosofia universale capace di guidar l’uomo nuovo, indica
appunto il crollo della fede nella “ragione”, nella ragione intesa nel senso
in cui gli antichi contrapponevano l’episteme alla doxa. E’ questa ragione che
in definitiva conferisce senso a tutto ciò che si suppone esistente, a tutte
le cose, ai valori, ai fini, che conferisce loro un riferimento normativo con
ciò che agli inizi della filosofia è indicato dal termine verità-in-sé.92

Se la scienza non è più capace di conoscere le cose, e verità oggettive attorno ad esse, il suo
valore passa dal rango di conoscenza di verità a quella di conoscenza utile, per manipolare la realtà, per
fare previsioni: diviene una sorta di tecnica teorica.
Questi elementi di crisi hanno prodotto una critica diffusa al positivismo e allo scientismo, pur
non approdando, nella cultura occidentale, a una riproposizione di uno spazio teorico per la nozione di
verità, con la stessa pienezza di significato con cui la si trova nel pensiero classico e soprattutto nel
pensiero cristiano.93

Sono state fatte alcune osservazioni sulla concezione positivista della scienza, sui seguenti
aspetti:
a) la constatazione che ogni scienza necessita di qualche elemento extra-scientifico (meta-fisico nel
senso etimologico del termine) per costruirsi, fondarsi e svilupparsi:
Schematicamente, è differente il modo di affrontare questi problemi da parte del pensiero classico e dal
pensiero moderno
91
A. STRUMIA, op.cit. p. 46
92
E. HUSSERL, op. cit., pp. 41-42.
93
A. STRUMIA, op. cit. p.49-52.

41
PROBLEMI Pensiero moderno Pensiero classico
Fondamenti delle scienze: Ammessi per convenzione, o per Ammessi per evidenza e recepiti
principi al di fuori della pregiudizio ideologico. Le grazie ad una scientia rectrix,
disciplina che la scienza non scienze più universali (mate- più universale, che coglie la
dimostra, o perché dimostrati da matica e logica) sono concepite verità delle cose.
un’altra scienza, o perché come puramente formali.
ammessi con criteri extra-
scientifici
Aspettative o ipotesi con cui si Aspettative a priori, che non Corrispondono a leggi uni-
strutturano gli esperimenti e si rientrano nell’ambito della versali, che si ricavano per
interpreta l’esperienza scienza particolare. Alterano induzione, astraendole da molti
l’oggetto da conoscere, esperimenti ripetuti.
costituendo una rappresen- Costituiscono l’oggetto formale
tazione modificata dal soggetto. in base al quale indagare
realisticamente.

PROBLEMI Pensiero moderno Pensiero classico


Dal modello galileiano di razionalità Le scienze sono organizzate
scientifica segue un unico modello di gerarchicamente, con scienze più
scienza. Non è possibile fondare una universali e scienze subalterne. Le
scienza su di un’altra più universale. une sono fondate sulle altre secondo
Rapporto tra I fondamenti extra-scientifici dunque un rapporto di analogia reale.
razionalità nelle vanno considerati come irrazionali. Danno origine ad una pluralità di
scienze e fondamenti modelli epistemologici
delle scienze. Superando l’impostazione positivista si Con l’analogia dell’ente si fonda
cerca un nuovo spazio teorico, per il l’analogia della razionalità. E’
recupero dell’irrazionale, anche per il possibile stabilire modi differenziati
suo valore conoscitivo: per es. per via di una stessa razionalità, punti di
psicanalitica o per via dialettica vista diversi, gradi di scienza
(bipolarità razionale-irrazionale, organizzati attorno ad uno stesso
rinunciando al principio di non oggetto materiale.
contraddizione).
Prospettiva soggettivistica. Fondazione oggettiva delle scienze e
rapporto con la verità

A proposito di questa contrapposizione dialettica razionalità-irrazionalità, così commenta T. Tyn:


La dialettica è proprio agli antipodi dell’analogia, dell’analettica, in
quanto in essa l’univoco afferma la sua prepotenza annientando l’equivoco dei
singoli momenti finiti i quali non sono in grado di opporgli resistenza
alcuna, perché sono privi di ogni consistenza propria ed hanno senso solo in
vista del risultato del cui divenire fanno parte. L’unità analogica non
annienta, ma suppone la diversità essenziale dell’identità e della differenza
proprio perché relativa e accidentale; l’unità dialettica annulla i suoi
momenti, brucia le sue tappe, giacché essa è essenzialmente la stessa identità
dell’identità e della differenza.94

Altre cause di crisi del positivismo


Lo sblocco della pregiudiziale antimetafisica, in alcuni casi, proviene da cause culturali più generali
indotte da situazioni sociali e politiche. La mentalità scientista che ha impregnato la cultura occidentale,
94
T. TYN, Metafisica della sostanza, E.S.D. p. 355

42
insieme al rifiuto pregiudiziale della metafisica, ha disatteso le domande più profonde, ispirando anche
le grandi ideologie atee ed i sistemi politici realizzatisi ed entrati in crisi nel secolo XX. Si riporta un
brano di V. Solov’ёv relativa alla sua analisi della filosofia occidentale:
E’ evidente che la scienza fisica deve spiegare i fenomeni, deve ridurli a
qualcosa che sia più vero e più certo dei fenomeni stessi. La verità e la
certezza hanno due aspetti: innanzitutto quello relativo e condizionale,
quello che esiste soltanto in altro e per altro, in secondo luogo si
presentano come verità e certezza in se stesse. La realtà che esiste per noi,
la realtà data e fenomenica ha una verità e una certezza relative. Se la
scienza considerasse questa verità e questa certezza sufficienti, non vi
sarebbe alcun bisogno di spiegazioni ulteriori, e la scienza stessa, intesa
come scienza teorica, non avrebbe alcuna ragione di esistere. Ma dato che la
scienza fisica cerca e dà queste spiegazioni, è evidente che esse possono
avere un significato solo quando sono ridotte a un principio che non esiga
un’ulteriore spiegazione, che racchiuda cioè in se la propria verità e
certezza, un principio, insomma, incondizionatamente necessario o assoluto; è
infatti evidente che un principio la cui certezza sia dubbia non può servire a
spiegare nulla. Ora, siccome il principio assoluto sta al di fuori della sfera
della scienza fisica, in quanto scienza particolare o relativa, è evidente che
anche essa deve trarre la conoscenza di questo principio da un’altra scienza.
E questa scienza – la scienza dell’essere autentico o assoluto- è appunto la
metafisica.95
Si è creata, soprattutto nell’Est europeo una crisi storica, di vivibilità, prima che teoretica. E ne è
scaturita una forte domanda sulla verità, non solo riguardo alla scienza o alla filosofia ma sulla cultura
intera e sulla globalità della vita dell’uomo nella società.
Anche in Occidente c’è in atto una crisi di vivibilità della società fondata sulla scienza e sulla
tecnica, ma non c’è lucidità nell’individuarne i motivi di fondo, le ragioni filosofiche, e quindi la via per
uscirne. E’ più diffusa la tentazione si rifugiarsi nell’irrazionalismo, giudicando che la crisi di un
modello di razionalità si identifichi con la crisi della razionalità come tale. 96
All’Est europeo la crisi di vivibilità ha portato ad una perdita di credibilità dell’ideologia dominante
e più in generale dell’ideologia come forma di cultura, sulla quale fondare la convivenza sociale. Si
riapre quindi lo spazio per ripensare le domande fondamentali dell’uomo (momento filosofico) e
riaffermare il bisogno di verità, contro le parzialità dell’ideologia-menzogna.
La critica mossa dai dissidenti al potere comunista s’identifica anzitutto con la
riscoperta della questione del diritto naturale e della natura umana.97

Se la società è invivibile perché fondata sull’ideologia, intesa come censura della verità, allora si pone il
problema di riesaminare i presupposti filosofici della modernità e ritrovare nel pensiero antico una
filosofia in cui la nozione di verità sia ancora pensabile ed il realismo della conoscenza sia possibile.

INDICE

1. INTRODUZIONE
1.1 La scienza.
1.2 Importanza della scienza nella cultura attuale.
1.3 La filosofia della scienza.
1.4 Relazione con le altre discipline filosofiche
1.5 Temi e metodo della filosofia della scienza.
95
V. SOLOV’EV, La crisi della filosofia occidentale, La casa di Matriona, pp. 247-248
96
A. STRUMIA, op. cit. p. 55
97
V. BELOHRADSKY, Il mondo della vita: un problema politico. L’eredità europea nel dissenso e in Charta ’77. Jaca
Book, p.16.

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 La natura
 Il valore
 Il metodo

2. SVILUPPO STORICO DELLA SCIENZA


2.1 Origine storica delle scienze in Grecia.
2.2 La trasmissione della scienza greca nell’alto medioevo.
2.3 La sintesi della Scolastica.
2.4 Radici tardo-medievali della scienza moderna.

3. LA FILOSOFIA E LA SCIENZA
3.1 Metafisica e scienze particolari in Aristotele
3.2 La dimostrazione in Aristotele
3.2.1 Le condizioni della conoscenza scientifica
3.2.2 Gli elementi della dimostrazione
3.3 Dimostrazione e induzione
3.3.1 Dimostrazione propter quid e dimostrazione quia
3.3.2 L’induzione causale
3.4 Caratteristiche classiche della nozione di scienza.
3.4.1 Definizione di scienza
3.4.2 Necessità e contingenza nelle scienze
3.4.3 Astrazione nelle scienze
3.4.4 Scienze deduttive e scienze indutttive
3.5 Tre livelli conoscitivi: fisico, matematico, metafisico.
3.5.1 L’intellezione fisica
3.5.2 L’intellezione matematica
3.5.3 L’intellezione metafisica
3.6 La classificazione delle scienze
3.6.1 La disciplina regolatrice delle scienze empiriche nell’antichità
3.6.2 La scientia rectrix nelle moderne scienze della natura
3.6.3 La nuova scientia media

4. LA FILOSOFIA DELLE SCIENZE NELL’ETA’ MODERNA


4.1 La scienza galileiana.
4.1.1 Osservazione e matematizzazione
4.1.2 Platonismo e aristotelismo
4.1.3 La nuova scienza
4.2 Il modellarsi della filosofia sulla scienza.
 La risposta di Cartesio
 La risposta di Kant
 Razionalismo ed empirismo
4.3 Nascita dell’epistemologia moderna
 Punto di vista interno
 Punto di vista esterno
4.4 L’epistemologia positivista.
 Critica al positivismo
 La domanda sulla verità nell’Est europeo
4.5 Il fenomenismo di Mach.
4.6 Il Circolo di Vienna e il neopositivismo logico.
4.7 Lo strumentalismo epistemologico.

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5. LE MATEMATICHE
5.1 Premesse storiche ed epistemologiche.
5.2 Separazione della matematica dalla metafisica e dalla fisica.
5.3 Le geometrie non euclidee.
5.4 Il formalismo di Hilbert e Russel.
5.5 I teoremi di Gödel.
5.6 Insiemi e antinomie.

6. AUTORI CONTEMPORANEI
6.1 Premessa.
6.2 Il razionalismo critico di Karl Popper
6.2.1 Teoria della conoscenza scientifica
 Verità e libertà
 Pessimismo e ottimismo epistemologici
 Critica all’essenzialismo
 Critica allo strumentalismo e forme di realismo
6.2.2 Fondamenti extra-scientifici e scopo della scienza
 Criterio di falsificabilità.
 Scopo della scienza.
6.2.3 Osservazione e aspettativa
 Critica all’induzione
6.2.4 Osservazioni

6.3 Gaston Bachelard


6.3.1 Una teoria della conoscenza scientifica
 Il movimento dialettico del conoscere scientifico
 Oggettività e oggettivazione
 Riduzione della sostanza a relazione
6.3.2 Fondamenti extra-scientifici della scienza
 Scienza e filosofia
 Duplice funzione della filosofia
 Psicanalisi della conoscenza scientifica
 Scienza e immaginazione
6.3.3 Osservazione e aspettativa.
 Materialismo tecnico
 La città scientifica
 Oggettività e rettifica
6.3.4 Osservazioni

6.4 Alexandre Koyré


6.4.1 Il metodo storiografico
 Storia del pensiero scientifico
 Tesi fondamentali
 Il metodo della ricerca
 Opzione discontinuista
6.4.2 Presupposti epistemologici
 La teoria della conoscenza
 Fondamenti extra-scientifici

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 Aspettativa e osservazione

6.5 Filosofia e storia della scienza in Thomas Kuhn


6.5.1 Il metodo storico-epistemologico
 Continuiamo o discontinuismo?
 Approccio interno o esterno?
 La scienza normale
 La scienza straordinaria
6.5.2 Presupposti epistemologici
 La teoria della conoscenza
 Fondamenti extra-scientifici: scienza e filosofia
 Aspettativa e osservazione

6.6 Anarchismo epistemologico in Paul Feyerabend


 Una teoria della conoscenza
 Scienza e filosofia: fondamenti e scopo della scienza
 Teoria ed esperienza: aspettativa e osservazione
 Conseguenze

6.7 Valutazioni
 Metodologia descrittiva o normativa?
 Rapporto scienza-metafisica
 Realismo e strumentalismo
 Matematizzazione e univocità del linguaggio
 Critiche allo scientismo e all’utilitarismo tecnologico nelle filosofie del secolo XX.

7. PROBLEMATICHE ATTUALI DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA


7.1 L’interpretazione della meccanica quantistica
7.2 Indeterminazione classica e quantistica
7.3 Causalità meccanica e causalità filosofica
7.4 Il concetto di quantità
7.5 Metafisica e matematiche
7.6 L’analogia

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