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L-3
1 ELETTROSTATICA
1.Fenomeni elettrostatici
Dall’osservazione di alcuni fenomeni naturali o da semplici esperimenti (per esempio,
strofinando una bacchetta di vetro o di plastica con un panno di lana, la bacchetta attrae una
pallina di sughero appesa a un filo) è possibile notare una forza che si contrappone alla forza
di gravità, definita forza elettrostatica. La forza che si è originata con lo strofinio del panno
di lana è dovuta all’elettrizzazione dell’oggetto, ossia all’acquisizione, da parte dell’oggetto
stesso, di carica elettrica; la forza può essere di tipo attrattivo oppure repulsivo. La carica
elet- trica acquisita può provocare due comportamenti opposti; quindi può essere considerata
posi- tiva oppure negativa, a seconda del comportamento: corpi elettricamente carichi dello
stesso segno si respingono, mentre corpi carichi di segno opposto si attirano. L’unità di
misura della carica elettrica è il coulomb [C].
2.Legge di Coulomb
Nel 1785 Charles-Augustin de Coulomb formalizzò l’interazione fra due corpi puntiformi
carichi elettricamente, pervenendo alla seguente legge fisica, nota come legge di Coulomb:
Q1
F K
Q2r2
=-----------
------
L’intensità della forza F tra due corpi elettrizzati è direttamente proporzionale al prodotto
delle cariche Q 1 e Q 2 presenti su ciascuno di essi e inversamente proporzionale al quadrato
della distanza r fra i due corpi carichi, purché essi siano estremamente piccoli rispetto alla
loro distanza (cariche puntiformi). La costante di proporzionalità K, detta costante di
Coulomb, dipende, oltre che dalle unità di misura scelte per le grandezze coinvolte, dal
mezzo nel quale avviene l’azione dovuta al fenomeno elettrostatico. Utilizzando il sistema
internazionale di misura (SI), si può scrivere la seguente relazione:
K ---
4
1---- =dielettrica, legata al mezzo interposto fra le
dove indica una nuova costante detta costante
due cariche. Nel vuoto, dove la forza elettrostatica è massima, si ha:
= 0 = 8,859 × 10–12 C2/Nm2
La costante dielettrica assoluta del mezzo può essere espressa dal prodotto della
costante dielettrica del vuoto 0 e della costante dielettrica relativa del mezzo r, che
risulta quindi essere un numero puro maggiore di 1. Pertanto = 0 · r .
Nella tabella L.1 sono riportati i valori della costante dielettrica relativa di alcuni
materiali, a temperatura ambiente.
E Q-F--= e F E
Di un campo elettrico si può Q=fornire una rappresentazione grafica, introducendo il
concetto di linee di forza del campo. Una carica, libera di muoversi e priva di inerzia,
immersa in un campo elettrico segue una traiettoria che può essere rappresentata con le linee
di forza. Le linee di forza risultano tangenti in ogni punto alla forza che viene esercitata dal
campo sulla carica e per ogni punto del campo passa una sola linea di forza. Dove l’intensità
E è maggiore, le linee di forza sono più dense, mentre si diradano per valori minori di E.
Un campo elettrico si dice uniforme quando possiede stessa intensità, direzione e stesso
verso in ogni suo punto; in questo caso, le linee di forza sono rette parallele. Due piastre
metal- liche parallele, aventi cariche di segno opposto e separate da un isolante (detto
dielettrico), producono al loro interno un campo elettrico uniforme. Questo sistema prende il
nome di con- densatore (fig. L.1).
L-5
Il luogo dei punti che hanno lo stesso potenziale viene detto superficie equipotenziale. In
un circuito elettrico sono sempre presenti punti a potenziali diversi; è utile riferire tutti i
poten- ziali a un potenziale scelto come riferimento, indicato come potenziale di massa o,
semplice- mente, massa. Se si indicano con VA e VB i potenziali dei punti A e B riferiti alla
massa, ossia la differenza di potenziale fra A e la massa e tra B e la massa, si stabilisce per
convenzione che:
VAB = VA – VB VBA = VB – VA e dunque: VAB = – VBA
Sovente nelle reti elettriche viene anche utilizzato come potenziale di riferimento il
poten- ziale di terra, a cui sono generalmente collegate le parti metalliche
dell’apparecchiatura e la messa a terra dell’impianto elettrico. La terra è considerata, per
definizione, a potenziale nullo, mentre la massa può essere anche a potenziale diverso da
zero; comunemente i potenziali di massa e di terra sono collegati e quindi coincidono (fig.
L.2).
esterna di un conduttore;
-il campo elettrico all’interno di un conduttore, dove siano presenti cariche in equilibrio, è
nullo;
-tutti i punti di un conduttore che si trova in equilibrio elettrico devono essere allo stesso
vivi e punte).
L-7
1.7 Condensatori
Se si applica una differenza di potenziale a un sistema costituito da due conduttori detti
armature, separati da un isolante (dielettrico), si depositano, sulle due armature, cariche elet-
triche uguali ma di segno opposto + Q e – Q, proporzionali alla tensione applicata V.
Il rapporto fra la carica Q che si accumula in questo sistema, detto condensatore, e la
diffe-
VQ---=tale carica, si chiama capacità C ed è una
renza di potenziale V, necessaria perCmantenere
caratteristica
L’unità di del condensatore
misura stesso:
della capacità [F] (F):
è il farad
1 F = 1 C/1 V
Essendo il farad una capacità molto grande, si utilizzano più comunemente i
sottomultipli, quali millifarad (1 mF = 103 F), microfarad (1 F = 106 F), nanofarad (1
nF = 109 F), pico- farad (1 pF = 1012 F).
La capacità dipende dalle dimensioni geometriche, dalla forma del condensatore e dalla
natura del dielettrico usato.
Per un condensatore piano, costituito da due armature piane (fig. L.4), la capacità è
legata
alla superficie S e alla distanza d delleC= S--dalla seguente formula:
armature
d
dove = 0 · r indica la costante dielettrica assoluta del materiale isolante interposto fra
le armature.
Per condensatori di forma diversa da quella piana, l’espressione della capacità è più com-
plessa, ma si può dimostrare che essa cresce all’aumentare della superficie delle armature e
della costante dielettrica, mentre diminuisce con l’aumento dello spessore del dielettrico
inter- posto fra le armature.
Per esempio, nel caso di un condensatore costituito da due armature cilindriche coassiali,
di lunghezza l e raggi r1 e r2, separate da un dielettrico con costante dielettrica , si ha:
C 2l =
ln r2
r1
--- per i condensatori sono gli stessi relativi
I valori più comuni disponibili in commercio
alla serie E12 delle resistenze (tab. L.4). Il valore nominale è in genere stampato
sull’involucro
L-8 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
1 =
Ceq
--1--- --1---
--1---+
con Ceq che indica capacità equivalente totale + di condensatori. Con due condensa-
della serie
tori si ha:
C1C1C2 C3
C eq
CC12 +
-----------------=
C2 (fig. L.5b), a tutti i condensatori è applicata
Nel collegamento in parallelo di condensatori
la stessa tensione VAB, mentre le cariche accumulate sulle armature di ogni condensatore
(Q1, Q2, Q3) saranno diverse, se diversi sono i valori di C1, C2 e C3.
CORRENTI CONTINUE E CIRCUITI L-9
ELETTRICI
La carica totale Qt accumulata, in questo caso, è data dalla somma aritmetica:
Qt = Q1 + Q2 +CQ3 = 1 CVAB 2 CVAB 3 +VAB = A+BV C1
+ Cla2capacità
e quindi, +C3 equivalente totale Ceq del parallelo di condensatori
vale:
Ceq = Qt-------- C= 1 + C2 +
C3 VAB
Si definisce rete elettrica l’insieme di più generatori e utilizzatori, collegati fra loro in
modo da costituire un insieme di più circuiti chiusi.
In una rete sono indicati con il nome di:
-nodo, la connessione di almeno tre conduttori percorsi da corrente;
-ramo, la parte di circuito (costituito da uno o più elementi percorsi dalla stessa corrente) che
congiunge due nodi contigui della rete;
-maglia, un insieme di più rami che, percorsi consecutivamente e una sola volta, riportano al
nodo di partenza.
3.Legge di Ohm
Il fisico tedesco Georg Simeon Ohm determinò una relazione che permette di ricavare la
resistenza di un conduttore, note le sue caratteristiche geometriche (lunghezza l e sezione S) e
fisiche (tipo di materiale), detta seconda legge di Ohm:
R
S
----l-
dove la costante è detta resistività o resistenza specifica e dipende dal materiale in esame
(oltre che ---=temperatura).
dalla
L’unità di misura della resistività si può dedurre dalla relazione precedente, in quanto:
2
R S
= ---------
-------------- =
= l
m m
m in ·cm oppure in · mm 2/m.
Sovente è più comodo esprimere la resistività
In base al valore della resistività è possibile suddividere i materiali in tre grandi categorie:
-isolanti: resistività compresa fra 10 8 e 1022 ·
-semiconduttori: cm; resistività compresa fra 1 e 10 8 ·
-conduttori: cm; resistività compresa fra 10 8 e 1 ·
cm.
CORRENTI CONTINUE E CIRCUITI ELETTRICI
L-11
Nella tabella L.3 sono riportati i valori della resistività, a temperatura ambiente 0, e il
Materiale
relativo coefficiente di temperaturaResistività ( · materiali
per i principali Coefficiente
utilizzati.di temperatura
cm) (°C1)
Tabella L.3 Resistività 0 a temperatura ambiente e coefficiente di temperatra dei
Argento 0,016
materiali 3,8 × 103
tatto mobile e uno dei due capi del resistore una frazione della tensione applicata ai capi del
resistore (fig. L.8b).
I principi di Kirchhoff sono l’estensione alle reti elettriche di leggi fisiche generali, quali
la conservazione della carica elettrica e la conservazione del campo elettrico. I due principi
di Kirchhoff permettono di impostare un sistema di equazioni di primo grado, dalla cui
risolu- zione si possono ottenere tutte le tensioni e le correnti della rete.
Primo principio di Kirchhoff (o delle correnti)
La somma algebrica delle correnti che confluiscono in un nodo è nulla, indipendente-
mente dalla natura degli elementi della rete, ovvero, in un nodo la somma delle correnti
entranti è uguale alla somma delle correnti uscenti.
Per esempio, applicando il principio al nodo A della figura L.9, si ha che I1 I2
I3 = 0.
CORRENTI CONTINUE E CIRCUITI ELETTRICI
L-15
Due o più resistenze sono collegate in parallelo quando sono sottoposte alla stessa diffe-
renza di potenziale (fig. L.10b). Applicando il primo principio di Kirchhoff al nodo A, si può
dire che la corrente totale I è data dalla somma delle correnti che scorrono nelle resistenze
R1, R2 e R3; quindi si avrà:
I = I1 + I2 + I3
Applicando la legge di Ohm alle singole resistenze si ottiene:
VAB
-------- V AB VAB
-------= -------- ++
R1 R2
R--------
VeqAB R3
e dividendo ambo i membri per VAB
si ha: -- --1---= --1---
Req 1- +
---1----si ottiene:
Infine, passando alle conduttanze,
--
Geq = G1 + G2++ G3
R1resistenze
Quindi la conduttanza equivalente di più R2 collegate
R3 in parallelo è uguale alla
somma delle conduttanze delle singole resistenze.
Se le resistenze sono solo due, la resistenza equivalente del parallelo può essere scritta
nella forma seguente:
R1
R eq R 1 // R 2 =
---------------- = RR12 +
Dalle formule esposte in precedenza, è possibile R 2 le seguenti considerazioni:
trarre
-la resistenza equivalente di più resistori in parallelo è sempre minore della resistenza più pic-
sono quelle a stella e a triangolo (fig. L.11a e L.11b); in questo caso è possibile ricorrere a
trasformazioni stella-triangolo e triangolo-stella, per cercare di semplificare la rete in ana-
lisi.
L-23
3 MAGNETISMO ED ELETTROMAGNETISMO
1. Generalità sui fenomeni magnetici
In natura esistono minerali di ferro, come la magnetite, che sono in grado di attirare altri
corpi ferrosi e sono comunemente denominati magneti naturali o calamite.
Se si colloca attorno a un magnete naturale della limatura di ferro, questa tende a disporsi
intorno alle estremità, dette poli. Ogni magnete presenta due polarità: una viene detta polo
Nord, perché tende a orientarsi in direzione del polo Nord magnetico della Terra; l’altra è
detta
polo Sud, in quanto si rivolge verso il polo Sud terrestre. Disponendo di due magneti si
può osservare che le estremità con la stessa polarità si respingono, mentre le estremità con
polarità opposta si attraggono.
Spezzando un magnete in elementi sempre più piccoli, si ottengono altrettanti magneti
dotati di entrambi i poli Nord e Sud, mentre non è possibile realizzare un dispositivo magne-
tico dotato di una sola delle due polarità. Questa caratteristica è dovuta alla natura stessa del
fenomeno magnetico, generato a livello atomico, dall’orientamento delle orbite
elettroniche dei singoli atomi che compongono il materiale magnetico (e quindi dal
movimento di cariche elettriche elementari).
Vengono detti magneti permanenti i materiali che, una volta magnetizzati (ossia
sottoposti a un campo magnetico esterno, detto magnetizzante), mantengono questa
proprietà, mentre altri materiali, i magneti temporanei, la perdono non appena sono sottratti
all’azione di un altro
corpo magnetico.
Le forze di natura magnetica non sono in relazione né con la gravitazione né con l’intera-
zione elettrostatica. Vengono definiti, in maniera analoga all’elettrostatica, un campo di forze
magnetiche (ovvero la zone dello spazio in cui si risente l’effetto di forze magnetiche) e le
linee di forza del campo magnetico.
L’intensità del campo magnetico H ha la stessa direzione delle linee di forza del campo
magnetico ed è definita come la forza agente su una massa magnetica unitaria, in un punto.
F I · l · u =B
dove u è il vettore unitario tangente all’asse del conduttore.
Il legame fra induzione magneticaBB e campo magnetico H è di proporzionalità diretta:
=
dove la costante di proporzionalità è detta permeabilità magnetica e dipende dal mezzo in
H è l’henry al metro (H/m) e nell’aria, o nel
cui è immerso il conduttore. La sua unità di misura
vuoto, la permeabilità magnetica ha valore costante pari a 0 = 1256 × 106 H/m.
Il campo magnetico H viene misurato in ampere/metro (A/m) anche se è ancora in uso
l’oestered (Oe), unità non appartenente al SI.
L-25
L-27
Facendo un’analogia fra le linee chiuse del campo magnetico nello spazio e le correnti
che scorrono in un circuito, si definisce circuito magnetico la porzione di spazio occupato
dall’insieme di tutte le linee d’induzione generate da un dipolo magnetico (o da un
conduttore percorso da corrente). Il circuito magnetico è in genere costituito da un nucleo di
materiali fer- romagnetici che possono anche essere interrotti da zone in cui vi è presenza di
traferri (fig. L.22).
Se si realizza un avvolgimento (un solenoide) attorno al nucleo ferromagnetico, facendo
passare la corrente in questo avvolgimento, all’interno del materiale ferromagnetico si
produce un campo magnetico molto intenso, tale da poter ritenere trascurabili le linee del
campo esterne al nucleo.
Il flusso magnetico prodotto all’interno di un nucleo, di lunghezza media l e sezione S, da
un avvolgimento di N spire, percorso da una corrente I, vale:
L-28 ELETTROTECNICA ED
ELETTRONICA
B= S = -N--------I-
l -----
S =
-N-------I-f--m----m---
l----
Questa formula definisce la legge di Hopkinson, inS cui fmm = N · I viene detta forza
magnetomotrice ed essendo la causa che ha prodotto il flusso magnetico, rappresenta
nell’ana- logia con i circuiti elettrici la tensione (o forza elettromotrice). Invece:
-----
S
l---- =
viene definita come riluttanza magnetica e nell’analogia con i circuiti elettrici rappresenta la
resistenza. Il flusso è invece l’equivalente della corrente.
3.7 Legge di Faraday-Neumann-Lenz
Nel 1831 Faraday scoprì un fenomeno di fondamentale importanza per lo studio dell’elet-
tromagnetismo. Avvicinando un magnete permanente a un circuito composto da una bobina
(solenoide) e da un galvanometro (strumento molto sensibile per misurare la corrente), si
rileva una corrente nel circuito che è causata dal moto relativo fra magnete e spira. Questa
corrente viene chiamata corrente indotta e la tensione che la produce è definita forza
elettromotrice in- dotta. Il fenomeno viene denominato induzione elettromagnetica.
L’esperimento venne elabo- rato in forma matematica dal fisico tedesco Neumann per la
quale: “la f.e.m. indotta è direttamente proporzionale alla variazione del flusso di B
concatenato con il circuito e inver- samente proporzionale all’intervallo di tempo in cui
avviene tale variazione”.
Nel caso di un solenoide formato da N spire, il flusso concatenato risulta pari a N volte il
flusso di una singola spira: =N · B · S (supponendo cos = 1, ossia B
perpendicolare alla superficie delle spire).
Successivamente Lenz migliorò ancora questa formulazione, notando che la f.e.m.
indotta
e tende a opporsi alla variazione di flusso che la genera, cosa di cui si può tener conto
introdu- cendo un segno negativo. Da quie la = –legge detta di Faraday-Neumann-Lenz:
-----t
--
MAGNETISMO ED ELETTROMAGNETISMO
L-29
-N--------
C S N N2
i -N-------
i =
i= variabile pure il flusso concatenato, =sviluppando
-----------=
Essendo variabile la corrente, risulta
così una f.e.m. autoindotta nel solenoide, per la legge di Faraday-Neumann-Lenz. La f.e.m.
autoin- dotta si oppone alle variazioni di lflusso e quindi alle variazioni della corrente i,
costituendo una reazione della bobina su se stessa.
Il flusso concatenato con il solenoide stesso risulta essere:
Il termine N 2/ può essere considerato costante e viene indicato con il nome di coeffi-
ciente di autoinduzione o induttanza (L) del solenoide. L’induttanza dipende dalla forma e
dalle dimensioni dell’avvolgimento e dalla permeabilità del mezzo. L’unità di misura è
l’henry (H) pari a Wb/A.
Si può quindi scrivere che la f.e.m. autoindotta eai vale:
eai = – L ---i-
t = dt
–
d----i
La caduta di tensione ai capi diLuna bobina (detta induttore) è direttamente proporzionale
alla velocità di variazione della corrente nel tempo.
3.9 Induttori in serie e in parallelo
Due o più induttori sono in serie quando sono attraversati dalla stessa corrente. In questo
caso è semplice dimostrare che, essendo tutti sottoposti alle stesse variazioni di corrente, le
f.e.m. generate dai singoli induttori si sommano, quindi l’induttanza equivalente della
serie vale:
Leq = L1 + L2 + …+ Ln
Due o più induttori sono in parallelo quando sono sottoposti dalla stessa tensione. Le
variazioni di corrente generate nei singoli induttori si sommano nei due nodi che le congiun-
gono:
di 1 di2
---- = di------ ------... ------
dt
+ dt
di n +dt +dt
ed essendo tutti sottoposti alle stesse variazioni di tensione si
avrà:
---e----L--
1e-- --
= --
Ln
+ +
L eq
e-- ... L2 e-- +
da cui si ricava, in modo analogo alle
resistenze:
---1----L--
11-- -- Ln
= -- + +
L eq
1-- ... L2 1-- +
L-30 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
W L 0 i di --1--- L =I 2 =
La potenza può essere, invece, positiva o negativa
2 a seconda del segno di e quindi
del segno di i:
P = ----W----e= i =
t t
Se la potenza è positiva,------
l’induttore haiL= ----
assorbito energia dal generatore e l’ha immagazzi-
nata nel campo magnetico associato;t questa energia immagazzinata può essere ceduta al cir-
cuito in un secondo momento i- eirisulta quindiuna potenza negativa. Poiché l’energia totale
immagazzinata dall’induttore deve essere una quantità non negativa, in quanto esso è un
dispo- sitivo passivo, l’energia ceduta sarà sempre inferiore o al limite uguale a quella
assorbita.
3.11 Mutua induzione
In un circuito (una spira o un solenoide) in cui scorre la corrente i 1, si genera un flusso
magnetico, proporzionale a i1. Se una parte 2 di questo flusso attraversa un secondo
circuito, si può scrivere che 2 = M · i1, dove M è un coefficiente di proporzionalità che
rappresenta il flusso del campo magnetico, attraverso il secondo circuito, per unità di
corrente del primo cir- cuito (fig. L.23).
Considerando invece il caso in cui nel secondo circuito scorre una corrente i2, il primo
cir- cuito sarà attraversato da un flusso 1, proporzionale a i2 secondo la legge 1 = M ·
i2. Il coef-
ficiente M, detto mutua induzione, è lo stesso del caso precedente e dipende dalla forma
dei circuiti e dal loro mutuo orientamento. Se la corrente i1 è variabile, anche il flusso 2 è
e2 = – M
varia- bile, e nel secondo circuito viene indotta unadtf.e.m. e2 data dalla formula:
----- di1
1 B2
-- 0
F 2S
L’elettromagnete trova molte----------
applicazioni pratiche: dalle gru per il sollevamento di
--attuatori elettromeccanici alle suonerie.
rottami metallici ai relè, dagli
L-33
La tabella L.6 permette di ricavare il valore di r per diversi materiali in funzione del-
l’induzione magnetica B.
dove:
-V P rappresenta l’ampiezza o valore di picco o valore massimo;
- = 2 f viene detta pulsazione del segnale sinusoidale ed è espressa in rad/s;
-f è la frequenza del segnale, pari all’inverso del periodo (1/T);
-t è la variabile indipendente della funzione, ovvero il tempo;
- è la fase iniziale (o angolo di fase) del segnale.
= atan --y---
x
Le operazioni con grandezze sinusoidali possono, quindi, essere effettuate utilizzando le
regole dell’algebra dei numeri complessi.
La notazione vettoriale e quella simbolica non forniscono, però, alcuna informazione
sulla pulsazione e, quindi, sulla frequenza del segnale sinusoidale: esse permettono infatti di
espri- mere solo l’ampiezza e la fase iniziale. Risulta inoltre evidente che le operazioni
possono
essere effettuate tramite queste notazioni solo con segnali che abbiano la stessa
pulsazione (o frequenza).
In generale, per indicare una grandezza alternata si fa riferimento al valore efficace più
che al valore di picco: per esempio, la tensione di rete è comunemente indicata con 220 V,
facendo riferimento proprio alla tensione efficace, mentre la tensione di picco vale circa 310
V.
Nella rappresentazione vettoriale delle grandezze alternate, è consuetudine utilizzare il
valore efficace come modulo del vettore rotante anziché il valore di picco.
Sostanzialmente non cambia nulla, in quanto basta moltiplicare per il fattore di scala (pari a
2 ).
Il numero complesso V Veff =e j , che rappresenta il
vettore rotante tracciato nel- l’istante iniziale, viene chiamato vettore di fase o,
più sovente, fasore ed è molto utilizzato in elettrotecnica per la risoluzione di circuiti in
alternata.
4.3 Circuiti in alternata
Quando si applica una sorgente sinusoidale con pulsazione a un circuito costituito da
componenti lineari passivi resistori, induttori, condensatori, esaurito il transitorio tutte le
cor- renti e le tensioni rilevabili nel circuito sono ancora sinusoidali con la stessa pulsazione
.
Variano invece le ampiezze dei segnali (o meglio il valore efficace) e la relazione di fase
tra un segnale e l’altro.
Il regime stazionario in alternata può quindi essere studiato utilizzando solamente i
fasori,
che esprimono, con una formulazione matematica compatta, proprio il valore efficace e la
fase iniziale dei segnali sinusoidali.
Circuiti puramente resistivi
Se a un circuito, costituito solamente da resistori, si applica una tensione sinusoidale V ,
la corrente che scorre nel circuito è sinusoidale ed è in fase con la tensione V . Considerando
i valori istantanei di corrente e tensione, si ha, per la legge di Ohm, che i = v/R e, dato che i
fasori V e I sono in fase, si può scrivere vettorialmente (fig. L.31a):
I V-- =
R
Figura L.31 Applicazione di sorgente sinusoidale al circuito con componenti lineari passivi:
a) resistore; b) induttore; c) condensatore.
CIRCUITI IN CORRENTE ALTERNATA
L-37
V Z I=
in cui al posto di tensioni e correnti continue compaiono i fasori di tensione e corrente e la
resistenza viene sostituita dall’impedenza Z (che è un numero complesso);
l’impedenza Z Z
dei
R tre componenti
L passivi principali (resistenza, induttore e condensatore)
jL =Z C = -------1--------- j–=
-
C
L-38 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
da cui si ottiene:
V = R Ij L I -----
j + ----
+R j–
I = Z I
dove: 1------- I+ = C 1------
C
L
Z = R +RjL = jX+
–C-----
è l’impedenza totale della rete RLC serie, che tiene conto sia degli effetti ohmici, sia di quelli
reattivi dei componenti che1------ nel caso che L > 1/ C, la reattanza è positiva
la compongono:
e prevalgono gli effetti induttivi nel circuito (tensione in anticipo sulla corrente); viceversa,
si ha una reattanza negativa (prevalenza dell’effetto capacitivo: tensione in ritardo rispetto
alla cor- rente).
Nel caso particolare L = 1/ C (detto risonanza), si ha che l’impedenza raggiunge il
suo
valore minimo e il circuito si comporta in modo puramente resistivo, ossia i versori di
tensione e corrente sono in fase.
4.5 Potenza nei circuiti in corrente alternata
La potenza è data dal prodotto fra tensione e corrente, istante per istante:
p (t) = v (t) · i (t)
e risulta quindi una grandezza variabile nel tempo.
CIRCUITI IN CORRENTE ALTERNATA
L-39
Il termine costante corrisponde alla potenza effettivamente dissipata dal circuito e viene
detto potenza attiva P. Essa è composta dal prodotto dei valori efficaci di tensione e
corrente e del fattore cos , detto fattore di potenza.
Il fattore di potenza è unitario quando tensione e corrente sono in fase (carico
resistivo),
mentre risulta nullo quando la tensione è in anticipo o in ritardo sulla corrente di 90°
(carico puramente reattivo). Infatti gli elementi reattivi (come induttori e condensatori) non
dissipano potenza, ma immagazzinano temporaneamente l’energia nel campo elettrico o
magnetico, per restituirla in istanti successivi al circuito.
Il termine che varia sinusoidalmente tiene invece conto di questi scambi di energia che
avvengono fra il generatore e i componenti reattivi del circuito: in alcuni momenti c’è un tra-
sferimento di energia dal generatore verso il circuito (e quindi la potenza istantanea è
maggiore di zero), mentre in altri, tale energia, accumulata nei componenti reattivi, viene
restituita al generatore (la potenza istantanea è minore di zero).
Questi scambi di energia fra generatore e circuito sono legati al termine Veff Ieff sin ,
che viene detto potenza reattiva Q. La sua unità di misura, pur essendo sempre il watt, viene
indi- cata come VAR (volt-ampere reattivi).
Si definisce infine potenza apparente A il prodotto dei valori efficaci di tensione e cor-
rente:
A = Veff Ieff
e si esprime in VA (volt-ampere). Essa tiene conto sia della potenza “palleggiata” fra genera-
tore e circuito, sia di quella
=QAP 2+
dissipata dal circuito e quindi=rappresenta
csoinsAP; la potenza totale
erogata dal generatore al circuito, anche se non tutta questa potenza viene utilizzata.
facilmente dimostrabili
Si possono scrivere considerando il cosiddetto
le seguenti relazioni triangolo
fra potenza delle
attiva
Q2 Q(fig.
potenze
P, reattiva e apparente A:
L.33).
L-40 ELETTROTECNICA ED
ELETTRONICA
L-41
5 SISTEMI TRIFASE
Generalità sui sistemi trifase
1.
E1 E 0 E=
= 2
0 5E–j 0
3 cosjE 3–--- 866E–
E2 = E 120– = E
E3 = E240–E = -- si=n
4--cosjE –- 0 5–E j 0
--2--- 886E+
4-si=n
3 3
L-42 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
Le tensioni concatenate si possono ricavare dalla differenza fra le due tensioni di fase che
ne costituiscono gli estremi, come rappresentato nella figura L.34b:
V12 = E1 – E2 = 1 5j 0 =
886+ 30E3E
V23 = E2 –jE– 3 1=732E3E = 270
tre31
Quindi le V = E3concatenate
tensioni – E1 = –1formano
5j 0 ancora= una terna simmetrica, sfasata di 30° in
886+
anticipo rispetto a quella delle tensioni stellate (fig. L.34b).
150E3E
Normalmente la rete di distribuzione è del tipo a stella con neutro (detta anche a quattro
fili), permettendo così l’utilizzo delle tensioni stellate (220 V in Italia) per utenze domestiche
di piccola potenza e le tensioni concatenate per uso industriale (380 V = 3 × 220 V).
5.2 Collegamenti a stella e a triangolo
Le connessioni che si possono effettuare nei dispositivi trifase sono essenzialmente
due:
connessione a stella e connessione a triangolo.
Connessione a stella
Nella connessione a stella i dispositivi hanno un nodo in comune detto centro stella,
men- tre l’altro estremo di ogni elemento è collegato a una fase (fig. L.35a). Quando i
collegamenti fra generatore e carico prevedono quattro connessioni (le tre fasi più il centro
stella), si parla di connessione a stella con filo neutro e in questo caso, le tre fasi sono
indipendenti, ossia pos- sono essere pensate come tre circuiti monofase indipendenti e la
corrente che scorre nel neutro è la somma delle tre correnti di ritorno delle singole fasi. Se il
sistema è simmetrico ed equili- brato, è facile verificare che la corrente che scorre nel filo
neutro è nulla, quindi questo colle- gamento può essere tolto senza influire sul sistema.
I 12 =I V – 12 23 =I – V 31 = –V
Z1
23 Z3
31
------- Z2la convenzione
con i segni negativi per rispettare
-------degli -------
utilizzatori.
SISTEMI L-43
TRIFASE
Scrivendo le equazioni ai nodi si ottiene:
I 1 =I I 12 – I 31 2
=I I 23 – I12
3 = I 31 –
I 23
S= P2 + Q2
Con il carico equilibrato la potenza istantanea complessiva è costante nel tempo e coinci-
dente con la potenza P attiva. Infatti le tre correnti formano una terna equilibrata, sfasata
dell’angolo rispetto alla
V1terna
= V2delle
= V3tensioni
= E stellate.
e Essendo
I1 = I2quindi:
= I3 = I
risulta:
P3E Icos= e Q3E
Isin=
L-44 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
fp cos =
S
5.4 Rifasamento nei sistemi trifase
P-- =
Come già visto nei sistemi monofase, è conveniente effettuare il rifasamento quando la
potenza reattiva è troppo rilevante.
Il rifasamento può essere effettuato con una batteria di condensatori collegati a triangolo,
che riportano il fattore di potenza dal valore iniziale cos 1 al valore cos 2 dopo il rifasa-
mento. La potenza capacitiva necessaria per il rifasamento è:
Qda
c cui si ricava:
3 c2 3 = ---------------1---
Ct = -------------------- 2
0----1---6---4---------------
V 250220 223[F]
STRUMENTI DI MISURA
L-45
6 STRUMENTI DI MISURA
Generalità sugli strumenti di misura
1.
-Strumenti elettromagnetici (fig. L.38a): sono costituiti da una bobina fissa, nel cui interno
vengono poste due lamine ferromagnetiche (in ferro dolce) A e B che subiscono una
magne- tizzazione nel senso del campo. Fissando B alla carcassa dello strumento e
rendendo A mobile, i poli omonimi si respingono, facendo ruotare la lamina mobile A. La
deviazione angolare dell’indice è una funzione quadratica della corrente che percorre la
bobina; quindi la scala di questi strumenti è di tipo quadratico. Gli strumenti realizzati su
questo principio funzionano sia in corrente continua sia in corrente alternata.
-Strumenti elettrodinamici: sono costituiti da due bobine: una fissa e una mobile (fig. L.38b).
Quando le due bobine sono percorse da corrente (If e Im) la deviazione angolare dell’indice
è
proporzionale al prodotto (If · Im), sia per correnti continue che alternate. In genere, su
questo principio, si realizzano strumenti da laboratorio di notevole precisione. La loro
scala, per un artificio costruttivo, è pressoché uniforme sia in corrente continua sia
alternata.
-Strumenti a induzione: si basano sui fenomeni di induzione elettromagnetica; quindi funzio-
nano solo con correnti alternate. Vengono quasi esclusivamente impiegati come contatori di
energia (ossia come integratori, in quanto fanno il prodotto della grandezza in esame per il
tempo).
-Strumenti termici: si basano sull’effetto termico del passaggio di corrente attraverso un ele-
mento resistivo. Possono essere di due tipi: strumenti a filo caldo, nei quali la dilatazione di
un filo metallico riscaldato dal passaggio di corrente causa lo spostamento dell’indice;
stru- menti a termocoppia, nei quali il calore prodotto dall’elemento riscaldatore è
convertito tra- mite una termocoppia in una f.e.m., che viene misurata con un voltmetro.
-Strumenti numerici o digitali: danno direttamente in cifre decimali il valore della grandezza
da misurare e consentono una lettura più rapida e semplice degli strumenti analogici.
-Oscilloscopi e dispositivi con tubi a raggi catodici: consentono non solo di misurare i para-
metri di un segnale periodico, ma di visualizzarne anche la forma d’onda. Altri strumenti uti-
lizzano tubi a raggi catodici, per la possibilità di descrivere caratteristiche della grandezza
in misura in modo particolareggiato, come i tracciatori di curve dei dispositivi discreti e
l’ana- lizzatore di spettro.
RS r+
I = I m RS da cui si ricava: Im = I
RS RS
-----------r+ ------------
Nel caso di correnti molto piccole, da 1010 A a 107 A, gli strumenti di misura sono
detti galvanometri e-impiegano equipaggi mobili dal peso molto ridotto, con sospensioni a
filo e indici ottici; questi strumenti non sono però facilmente trasportabili.
Per le misure in corrente alternata possono essere utilizzati strumenti elettromagnetici, a
raddrizzatore o a termocoppia.
Gli strumenti elettromagnetici danno un’indicazione che è funzione del valore medio
qua- dratico della corrente e la scala può essere tarata in modo da indicare il valore efficace;
sono detti amperometri a vero valore efficace, in quanto forniscono una misura del valore
efficace
indipendentemente dalla forma d’onda del segnale.
Presentano il limite di utilizzo a frequenze inferiori a 100 Hz, sia a causa delle correnti
parassite che si formano nel ferro dolce sia perché il comportamento induttivo
dell’amperome- tro non è più trascurabile a frequenze superiori.
Gli strumenti a raddrizzatore sono strumenti magnetoelettrici che utilizzano un raddrizza-
tore a ponte per produrre una tensione pulsante con valore medio non nullo. In questo modo
si
misura il valore medio della tensione raddrizzata, che nel caso di segnali sinusoidali può
essere ricondotto al valore efficace con opportuna taratura della scala.
La misura risulta però errata se il segnale presenta una forma d’onda diversa. Il limite
di
utilizzo in frequenza dipende dalle caratteristiche dei diodi utilizzati ed è in genere
dell’ordine di 10 kHz.
Gli strumenti a termocoppia misurano il vero valore efficace della corrente e possono
essere utilizzati fino alla frequenza di qualche MHz. La portata minima è in genere di 10
mA, dato che per valori inferiori si ha uno sviluppo di energia termica non apprezzabile.
6.3 Misure di tensione
Gli strumenti misuratori di tensione sono detti voltmetri e devono essere inseriti in paral-
lelo al circuito in modo da essere sottoposti alla tensione da misurare (fig. L.40). Per
perturbare in misura minima il circuito in prova devono presentare una resistenza di ingresso
molto ele- vata.
La misura di tensione viene effettuata tramite un milliamperometro (per esempio, di tipo
magnetoelettrico) in serie a una resistenza di elevato valore. Il valore della resistenza in serie
può essere variata in funzione della portata scelta per la misura.
L-48 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
Per rendere possibile la misura di tensioni molto piccole, senza diminuire la resistenza di
ingresso del voltmetro, esistono strumenti elettronici che utilizzano gli amplificatori in conti-
nua, in modo da portare la tensione a un livello ottimale per lo strumento di misura.
Figura L.42 Misura di resistenze: a) molto piccole con circuito partitore di tensione;
b) molto precise con il ponte di Wheatstone.
STRUMENTI DI MISURA
L-49
In questo caso il ponte è in una condizione di equilibrio (si dice che è bilanciato) in cui
risulta che VR1 = VR2 e VR3 = VRx; da queste condizioni si ottiene:
R1 · I1 = R2 · I2 e R3 · I3 = Rx · I4
e, inoltre, dato che non scorre corrente nell’amperometro:
I1 = I2 e I3 = Ix
R 3 I3 R 3 I 2 R 3
Rx = = ha:=
R1I4 quindi si
I1
La buona precisione è dovuta al R 2 che la misura dipende esclusivamente dai valori
fatto
delle resistenze campione inserite nel ponte e non dalla tensione di alimentazione E o dalla
preci- sione e resistenza interna dell’amperometro.
Nelle misure di resistenze piccole (inferiori ai 10 ), non sono più trascurabili le resi-
stenze dei contatti e dei collegamenti, per cui vengono utilizzati altri tipi di ponte apposita-
mente studiati.
Multimetri
5.
Wattmetri
6.
Le misure di potenza effettuate a bassa frequenza possono essere realizzate in due modi:
con il metodo volt-amperometrico o tramite un wattmetro elettrodinamico.
Metodo volt-amperometrico
Si utilizzano un voltmetro e un amperometro e la potenza è misurata in modo indiretto
tra- mite il prodotto di tensione per corrente (fig. L.43). L’inserzione degli strumenti produce
però errori sistematici di cui bisogna tenere conto.
L-50 ELETTROTECNICA ED
ELETTRONICA
L-51
7 MACCHINE ELETTRICHE
1. Generalità sulle macchine elettriche
Si definisce macchina un’apparecchiatura in cui avviene la trasformazione di un tipo di
energia in un altro tipo di energia. Quando uno dei due tipi di energia in gioco è quella elet-
trica, si parla di macchine elettriche.
Le macchine elettriche possono essere suddivise in statiche, quando sono senza organi in
movimento, o rotanti, quando hanno organi in movimento.
La principale macchina elettrica statica è il trasformatore, mentre le macchine elettriche
rotanti possono ancora essere suddivise in generatori elettrici, che trasformano un’energia di
tipo meccanica in energia elettrica, e motori elettrici, che attuano invece la trasformazione di
energia elettrica in meccanica.
2. Trasformatori
Il trasformatore è una macchina elettrica statica a induzione, utilizzata per trasformare a
potenza costante valori di tensione e corrente, oppure trasferire energia elettrica fra due o più
circuiti che risultano però elettricamente isolati (non hanno conduttori in comune). Esso è
costituito da un nucleo ferromagnetico formato da un pacco di lamierini di spessore 0,3 mm
circa, isolati fra loro con sottili strati isolanti; le parti verticali del nucleo sono dette colonne e
le parti orizzontali gioghi. Attorno alle colonne sono sistemati avvolgimenti elettricamente
separati, ma accoppiati dal circuito magnetico costituito dal nucleo.
Trasformatore monofase
Nei trasformatori monofase si hanno solo due avvolgimenti che vengono denominati pri-
mario (circuito di ingresso) e secondario (circuito di uscita).
Nel primario entra una potenza elettrica P 1 = v1i1, mentre dal secondario si ottiene una
potenza elettrica P2 = v2 i2.
Nel caso ideale si ha che P1 = P2, ovvero non ci sono perdite di potenza e tutta l’energia
viene trasferita dal primario al secondario. Il trasformatore funziona solamente in corrente
alternata e la frequenza di ingresso è uguale a quella d’uscita.
La struttura di un trasformatore è rappresentata nella figura L.45.
La corrente totale del primario i1 è data dalla somma della corrente primaria di reazione e
della corrente magnetizzante. Quest’ultima risulta in genere molto più piccola, e quindi si
può trascurare con buona approssimazione:
i---
1 N2
i2
i1 N1 +iim =1r
i1r
Nel caso reale, bisogna tenere conto di-----
alcuni fattori che introducono delle perdite nel tra-
e si ottiene: sformatore e ne diminuiscono il rendimento:
-il flusso magnetico non è perfettamente concatenato con i due avvolgimenti;
-la resistività del conduttore che costituisce gli avvolgimenti introduce una resistenza in serie
agli stessi;
-le perdite di energia nel nucleo dovute al ciclo di isteresi e alle correnti parassite;
Per quantificare questi aspetti si utilizza un circuito equivalente, in cui vengono aggiunti
al trasformatore alcuni componenti fittizi: le resistenze, per tener conto delle perdite e le
indut- tanze per tener conto dei flussi dispersi (fig. L.46).
Questo schema è valido per qualsiasi tipo di trasformatore e può essere utilizzato per cal-
colare il rendimento nel caso reale. Bisogna però sottolineare che i valori da attribuire a ogni
MACCHINE ELETTRICHE
L-53
componente fittizio sono specifici per ciascun trasformatore e possono variare con la fre-
quenza e la forma d’onda del segnale applicato al primario.
Le principali grandezze che caratterizzano un trasformatore sono:
-tensione secondaria nominale V 2n: è definita come la tensione del secondario a vuoto;
quando è connesso un carico al secondario, la tensione è inferiore alla tensione nominale,
dell’ordine di qualche punto percentuale;
-corrente secondaria nominale I n: è la corrente erogata dal secondario a pieno carico;
-potenza nominale: è la potenza apparente A n = |V2n| |In|;
-rendimento : è definito come rapporto fra la potenza attiva P 2, fornita al carico, e la
potenza attiva P1, assorbita dalla linea.
= P2/P1
Nel caso ideale il rendimento dovrebbe essere unitario. In realtà bisogna considerare che
la potenza trasferita al secondario è inferiore a quella assorbita dal primario, in quanto
bisogna considerare le perdite di potenza nel ferro del nucleo, dovute alle correnti parassite,
al ciclo di isteresi, ai flussi magnetici dispersi e alle perdite di potenza nel rame per la
resistenza dei fili che costituiscono gli avvolgimenti.
Autotrasformatori
Quando non è necessario avere una separazione fisica del circuito del primario dal secon-
dario, è conveniente utilizzare l’autotrasformatore, ossia un trasformatore avente una parte
del suo avvolgimento comune al circuito primario e secondario (fig. L.47).
Trasformatore trifase
In una rete trifase si potrebbero utilizzare, per la trasformazione di tensione, tre trasforma-
tori monofase, con le bobine dei primari e dei secondari collegate a stella. Gli avvolgimenti
relativi a una stessa fase sono in realtà realizzati su un’unica colonna del circuito magnetico
mentre la seconda colonna serve solo per la chiusura del flusso.
Se si raggruppano i nuclei dei tre trasformatori, in modo che la colonna che non presenta
avvolgimenti sia una sola (al centro del nucleo), quest’ultima sarà percorsa dai tre flussi delle
singole fasi (fig. L.48).
La somma vettoriale di questi flussi è nulla in ogni istante, per cui la colonna centrale può
essere eliminata senza alterare il funzionamento del trasformatore. Ciò comporta un evidente
vantaggio, rispetto ai tre trasformatori monofase: la riduzione di ingombro e di materiale per
i
nuclei.
Inoltre, a parità di potenza, vengono ridotte le perdite nel ferro e la riluttanza del circuito
magnetico risulta minore, rendendo minore anche le correnti magnetizzanti.
I trasformatori trifase sono quindi caratterizzati da un migliore rapporto peso/potenza e da
un migliore rendimento rispetto ai trasformatori monofase.
L-55
Nel funzionamento come dinamo l’albero, solidale con il rotore, viene mantenuto in rota-
zione con dispendio di potenza meccanica, permettendo una produzione di energia elettrica
ai morsetti della macchina.
Lo statore è costituito, in linea di principio, da due espansioni polari di un magnete
perma-
nente, che creano al loro interno un campo magnetico costante, e per questo motivo è
detto anche induttore.
Il rotore, o indotto (fig. L.49), può essere invece schematizzato come una spira (o una
serie di avvolgimenti) collegata a due semianelli che costituiscono il commutatore, sui quali
stri- sciano due spazzole fisse, ai cui morsetti viene inserito l’utilizzatore.
Il compito delle spazzole è quindi quello di stabilire un collegamento con la coppia di
semianelli in rotazione, con cui formano il cosiddetto collettore, raccogliendo la tensione che
si genera ai capi della spira.
Facendo riferimento alla figura L.50, il flusso magnetico che attraversa la spira, la quale
ruota con velocità costante dalla posizione (a) alla posizione (b), diminuisce gradualmente
causando una f.e.m. indotta che diminuisce fino ad annullarsi quando la spira risulta parallela
alle linee del campo magnetico.
Nella rotazione da (b) a (c), bisogna tenere conto che i contatti fra le spazzole e i due
semianelli si sono scambiate, e quindi la f.e.m. ha sempre la stessa polarità e aumenta. Si
ottiene quindi un andamento pulsante della tensione simile a quella illustrata nella figura
L.50d.
carico, genera un flusso magnetico che si oppone al flusso dell’induttore, dando origine alla
cosiddetta reazione d’indotto che provoca una diminuzione Vr della tensione generata. In
defi- nitiva la tensione V generata sotto carico è:
V = E – R i · I – Vr = Eg – R i · I
dove Eg = E – Vr è la f.e.m. complessiva generata con un carico collegato alla dinamo. La
dinamo può quindi essere considerata come un generatore reale di tensione, avente f.e.m. Eg
e resistenza interna Ri.
7.4 Motori a corrente continua
Le macchine a corrente continua sono macchine reversibili; se al rotore si applica una
ten- sione continua, esse generano energia meccanica funzionando come motori.
Una spira, immersa in un campo magnetico costante e percorsa da una corrente I, si pone
in rotazione, in quanto ai due lati della spira, disposti lungo l’asse, viene applicata una coppia
di forze. Le componenti di questa coppia di forze hanno direzione perpendicolare al piano
individuato dalla corrente e dalle linee del campo magnetico, e verso individuato dalla
regola della mano sinistra (paragrafo 7.3). La coppia di forze risulta massima quando la
spira è di- sposta perpendicolarmente alle linee di forza del campo magnetico indotto, mentre
si annulla
quando la spira è parallela alle linee.
Anche nei motori, per ottenere una coppia pressoché costante, si utilizza un numero di
avvolgimenti (o fasi) molto elevato, suddividendo il collettore in tante lamelle collegate, a
cop- pie opposte, ai due capi di ogni avvolgimento. In questo modo il collegamento stabilito
con le spazzole permette il passaggio di corrente in una fase solo per pochi gradi della
rotazione.
Nei conduttori attivi che costituiscono gli avvolgimenti del rotore, detti anche armatura,
quando il motore gira, viene indotta una f.e.m. Eg, che si oppone al passaggio della corrente.
Tale f.e.m., è detta forza controelettromotrice poiché ha verso opposto alla tensione applicata
all’armatura ed è proporzionale alla velocità angolare secondo la costante di proporzionalità
KE:
Eg = K E ·
Nella figura L.51 è riportato il circuito equivalente di un motore a corrente continua,
dove V è la tensione applicata al rotore, Ri e La sono la resistenza e l’induttanza degli
avvolgimenti e I indica la corrente che scorre in essi. Nel funzionamento a regime
sull’induttanza La non vi è caduta di tensione, essendo I una corrente continua. Si può
quindi scrivere:
V = E g + Ri · I
Parametro Valore
Corrente di spunto IS 4A
Resistenza di armatura Ri 8
Induttanza di armatura La 12 mH
L-59
perdite per eccitazione Pecc negli avvolgimenti di statore (solo nei motori a campo avvolto).
-
rente di indotto è:
Ii = Ia Iecc = 10 – 0,3 = 9,7 A
-La potenza assorbita dall’alimentazione è:
PCC = Va · Ia = 60 V · 10 A = 600 W
-Le perdite per effetto Joule nell’indotto valgono:
Pecc = Recc · I2 cc = 18 W
e
La potenza resa dal motore risulta essere:
-
Figura L.57 Effetto del campo magnetico rotante sul rotore di un motore
asincrono.
L-62 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
Il rotore acquista velocità sotto l'azione della coppia e, quindi, diminuisce la velocità con
la quale il campo rotante taglia i conduttori attivi di rotore e con essa diminuiscono le
correnti rotoriche e la coppia motrice.
La velocità di rotazione del rotore non può però essere uguale alla velocità del campo
rotante: infatti, in questo caso, si annullerebbero le correnti indotte che producono la
rotazione. Per tale ragione il motore viene detto asincrono. La differenza, espressa in
percentuale, fra la velocità di sincronismo ns e quella effettiva di rotazione del rotore n,
prende il nome di scorri- mento percentuale s% ed è data dal rapporto:
ns n–
s% 100
ns =
----------
A vuoto il motore gira a una velocità molto vicina a quella del campo rotante; introdu-
cendo una coppia resistente, il rotore -rallenta. Quindi il motore asincrono non ruota a velocità
costante e non permette una facile regolazione della velocità di rotazione.
È possibile realizzare avvolgimenti multipli di statore che, percorsi da un sistema equili-
brato trifase di correnti, producano campi magnetici di tipo multipolare; in questo caso, indi-
cando con p il numero di coppie polari fittizie dello statore, si ha che ns = 60 f/p.
Il grafico riportato nella figura L.58 riproduce la caratteristica meccanica del motore
asin- crono, che rappresenta l’andamento della coppia C sviluppata in funzione del numero
di giri al minuto n. Per n = 0 (motore fermo) si ha la coppia di spunto CS. Quindi la coppia
aumenta fino a un valore massimo di coppia CM; infine diminuisce fino a annullarsi per la
velocità di sincro- nismo ns.
Il funzionamento nel tratto di caratteristica A-B è instabile: infatti un aumento della
coppia resistente causa un rallentamento del motore e una conseguente diminuzione della
coppia svi-
luppata, portando a un ulteriore rallentamento, fino all’arresto del motore. Il motore ha invece
un funzionamento stabile nel tratto B-C: se il carico aumenta, il motore rallenta con conse-
guente aumento della coppia motrice.
L-63
ruotare, perché è trascinato da uno dei due campi, mentre il campo inverso produce un’azione
resistente molto minore rispetto a quella diretta.
Per ottenere l’autoavviamento, il motore monofase è provvisto di un avvolgimento
ausilia- rio che occupa circa un terzo delle cave di statore, ed è collocato a 90° rispetto
all’avvolgimen-
to principale. L’avvolgimento ausiliario è alimentato dalla stessa rete, tramite un
condensatore che produce uno sfasamento fra le correnti, prossimo a 90°, anche se di
ampiezza diversa. In
questa situazione si ha un campo rotante ellittico, che permette un buon funzionamento
del motore, anche se con un rendimento circa del 60% rispetto a quello ottenibile da un
motore tri- fase di pari dimensione e peso.
Per migliorare le prestazioni si può disinserire l’avvolgimento secondario quando si è
rag- giunta la velocità di regime, tramite un interruttore centrifugo o un relè amperometrico
(ad avviamento avvenuto, la corrente di alimentazione si riduce). Dato che l’avvolgimento
secon-
dario è attivo solo per brevi periodi, il dimensionamento degli avvolgimenti può essere
fatto con conduttori di sezione minore.
Per applicazioni di piccola potenza, come negli apparecchi elettrodomestici, il
condensa-
tore e l’avvolgimento secondario sono sempre inseriti, e in questo caso il motore è
definito
motore a condensatore.
7.6 Macchine sincrone
Per macchina sincrona si intende una macchina elettrica rotante, nella quale la velocità di
rotazione è in rapporto definito e costante con la frequenza della corrente applicata o
generata. La macchina sincrona può funzionare come generatore e viene chiamata
alternatore, o come motore. Essa è solitamente trifase, ma esiste anche la versione monofase
che viene utilizzata per piccole potenze.
L’energia elettrica prodotta dalle centrali è generata da alternatori di notevole potenza,
sono azionati da turbine idrauliche, a vapore o a gas.
Lo statore delle macchine sincrone è identico a quello delle macchine asincrone: è
costitui- to da un pacco di lamierini magnetici, dotato di scanalature nelle quali vengono
inseriti gli avvolgimenti statorici.
Il rotore può essere di tre tipi:
-a magneti permanenti: realizzati in ferrite, per macchine di piccola potenza;
-a poli salienti avvolti: è costituito da un mozzo da cui sporgono i poli realizzati in ferro
dolce ed eccitati da bobine percorse da correnti continue; usato nelle macchine a piccola e
media velocità;
-a rotore scanalato: il rotore cilindrico ha scanalature simili a quelle di statore, in cui sono
posti gli avvolgimenti di rotore eccitati in corrente continua; utilizzato nei veloci turboalter-
natori (alternatori azionati da turbine a vapore) a due o quattro poli.
Negli ultimi due casi, per fornire l’eccitazione in continua agli avvolgimenti di rotore, gli
estremi di ogni bobina sono collegati a due anelli, su cui strisciano contatti detti spazzole. Il
sistema di spazzole e anelli è detto collettore.
A differenza delle macchine in corrente continua, nelle macchine sincrone il campo
magnetico induttore è collocato sul rotore, mentre l’avvolgimento indotto è posto sullo
statore. Inoltre il collettore non comprende il commutatore (che nelle macchine a corrente
continua
raddrizza la corrente indotta negli avvolgimenti di rotore, scambiando i contatti fra le
spazzole e i morsetti della bobina).
Alternatore
Indipendentemente dalla tecnica costruttiva utilizzata, il rotore produce un campo magne-
tico costante che, per via della rotazione a cui è sottoposto, causa un campo variabile
conca- tenato con l’induttore e induce nel circuito di statore una f.e.m. sinusoidale. Questo è
evidente nel caso di rotore e statore costituiti da una sola coppia di poli: a una rotazione
completa del
L-64 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
f -p-------n- =
60
f
oppure
2
dove è la velocità angolare del rotore. p---
-------
Indicando con BM l’induzione massima sulla superficie dei poli
= del rotore, con l la lun-
ghezza della porzione di conduttore statorico investita dall’induzione BM e con r il raggio
del rotore, il valore massimo eM della tensione indotta in un singolo conduttore vale:
e M = BM · l · v = BM · l · · r
Poiché la tensione indotta del conduttore statorico risulta sinusoidale, la sua
espressione è:
e = eM sin (p · t) = BM · l · · r sin (p · t)
con p coppie di poli.
Quindi la tensione generata è direttamente proporzionale alla velocità angolare del
rotore. Se gli avvolgimenti di statore sono composti da più bobine, disposte fra loro con
un angolo
, le tensioni generate in ognuna di esse saranno sfasate dell’angolo .
Per esempio, nella figura L.59 è riportato lo schema di principio di un alternatore trifase:
l’indotto è costituito da tre bobine disposte sul giogo dell’alternatore, con un angolo di
120° e il rotore è composto da una sola coppia di poli (p = 1).
Se esso ruota con una velocità di 3000 giri al minuto, genera una tensione trifase con fre-
quenza di 50 Hz.
L-65
90° rispetto al caso precedente: le forze fra i poli risultano quindi radiali e non causano
alcuna coppia, ma producono invece un’azione smagnetizzante (o magnetizzante) sul rotore.
Non è quindi necessario applicare alcuna potenza meccanica all’albero, a meno delle per-
dite dovute ad attriti e alla ventilazione: non viene infatti erogata potenza attiva ai morsetti,
dato che il carico è puramente reattivo.
Motore sincrono
La struttura del motore sincrono è la stessa dell’alternatore, ma gli avvolgimenti di statore
vengono alimentati con la tensione di rete (monofase o più comunemente trifase), per
erogare potenza meccanica all’albero del rotore.
Quando lo statore è collegato alla linea di rete, le correnti che scorrono nei suoi avvolgi-
menti generano un campo magnetico rotante che interagisce con il campo magnetico del
rotore, mantenendone la rotazione con velocità
n n-6
p(espressa
-- in giri al minuto) pari a:
dove f è la frequenza di rete e p è il numero0---fdi-coppie
--- di poli presenti sul rotore. Il motore
sin- crono non è però autoavviante: esso=richiede l’utilizzo di un motore ausiliario di lancio
che lo porti alla velocità di rotazione n, altrimenti non si stabiliscono le interazioni fra i
campi magnetici di statore e di rotore che trascinano il rotore.
Brusche variazioni della coppia resistente possono generare nel motore oscillazioni
pendo- lari, causate dalla reazione necessaria per raggiungere un nuovo equilibrio dinamico
nell’inte- razione fra i due campi magnetici, e dall’inerzia del rotore alle variazioni di
velocità. Queste oscillazioni provocano vibrazioni dannose dell’albero e producono correnti
pulsanti sulle linee di alimentazione.
Per smorzare queste oscillazioni pendolari è possibile inserire nella periferia del rotore
una
gabbia di scoiattolo, detta gabbia di smorzamento, in cui si producono correnti indotte
dalle oscillazioni pendolari, che tendono a opporsi alla causa che le ha generate.
La gabbia di smorzamento può essere utilizzata anche per l’autoavviamento del
motore
sincrono: inizialmente il rotore non è eccitato e lo statore viene connesso alla rete
producendo una rotazione per effetto della gabbia di scoiattolo; quando raggiunge una
velocità prossima al sincronismo, viene applicata l’eccitazione e il motore incomincia a
lavorare in modo sincrono, annullando l’effetto della gabbia di scoiattolo, la quale interviene
solo per smorzare eventuali oscillazioni pendolari.
I motori sincroni vengono utilizzati quando è necessario avere velocità rigorosamente
costanti. Essi possono essere inoltre utilizzati come rifasatori: infatti i motori sincroni
possono assorbire dalla rete sia corrente in fase sia in anticipo o in ritardo.
Se si varia l’eccitazione, riducendo per esempio la corrente di rotore
(sottoeccitazione),
diminuisce anche il flusso al traferro e, per mantenere costante la coppia motrice, è
necessario che la corrente di statore assorbita sia in ritardo con la tensione corrispondente.
Al contrario, se si aumenta la corrente di eccitazione (sovraeccitazione) e
conseguente-
mente il flusso al traferro, la macchina assorbirà dalla rete corrente in anticipo rispetto
alla ten- sione, per mantenere costante il flusso.
Potenza e rendimento delle macchine sincrone
Nel funzionamento sia come alternatore, sia come motore, le macchine sincrone presen-
tano le seguenti perdite di potenza:
-perdite meccaniche e per ventilazione P m, dovute ad attriti e alle ventole di raffreddamento
calettate sull’albero;
-perdite nel ferro di statore P fe per isteresi e correnti parassite;
-perdite di eccitazione P ecc, dovute alla dissipazione per effetto Joule negli avvolgimenti
roto- rici;
L-66 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
-perdite variabili con il carico nello statore P j, dovute all’effetto Joule nella resistenza degli
avvolgimenti.
Nel funzionamento come alternatore, la potenza di ingresso coincide con la potenza mec-
canica Pmec, mentre quella di uscita coincide con la potenza elettrica Pel; quindi si ha:
Pr
= Pel =
Pr + Pm + Pfe + Pj +
Pme Pecc
c
dove Pr è la potenza reale resa ai morsetti.
Nel funzionamento come motore, la potenza di ingresso coincide con la potenza elettrica
Pel, mentre quella di uscita coincide con la potenza meccanica Pmec; quindi, indicando con
Pa la potenza elettrica reale assorbita, si ha:
Pa –PPm –P fe –P ecc
Pme =
= c
j– Pa
L-67
-circuito di pilotaggio;
-tipo di sensori.
Motori passo-passo
I motori passo-passo, detti anche step-motor, sono alimentati da segnali impulsivi (fig.
L.61): a ogni impulso il motore ruota di un angolo fisso, detto passo.
Il fatto che questi motori permettano posizionamenti veloci e precisi ne ha determinato
un’ampia diffusione:
-nella robotica;
-nelle stampanti e macchine per scrivere (posizionamento del carrello o della cartuccia, avan-
Il motore è costituito da due avvolgimenti statorici, che fanno capo ai terminali AB e CD,
e da un rotore a magneti permanenti con due poli.
Applicando ai terminali AB e CD gli impulsi rappresentati nella figura L.62 e
supponendo che inizialmente il motore si trovi nella posizione (a) indicata nella figura L.63,
il primo
impulso fornito ai terminali AB determinerà un campo magnetico con il polo Sud sul
giogo connesso al terminale A, costringendo il rotore a compiere una rotazione in senso
antiorario, fino a fargli assume la posizione (b). Il secondo impulso, relativo ai terminali CD,
farà ruotare
il rotore fino a raggiungere la posizione (c) e così via.
Occorrono quattro impulsi per ottenere una rotazione completa del motore (un giro) e
ogni fase è percorsa da una corrente bipolare (cioè da impulsi alternativamente positivi e
negativi).
Figura L.63 Posizioni assunte dal rotore a causa degli impulsi di pilotaggio della figura
L.62.
Tipo di alimentazione
1.
-Tipo di sistema: in c.c. (corrente continua) o in c.a. (corrente alternata); numero di fasi;
frequenza.
-Tensione e frequenza di esercizio.
MACCHINE L-69
ELETTRICHE
-
8 IMPIANTI ELETTRICI
Centrali di produzione
1.
L-71
Nella tabella L.9 si riporta un raffronto della produzione di energia elettrica in ragione
dei sistemi produttivi.
Tabella L.9Sistemi di produzione
Raffronto Produzione
della produzione dell’energia elettrica dei2]sistemi
[kW/m
in ragione
produttivi
Termoelettrica nucleare 650
Idroelettrica 108
LeEolica
macchine sincrone presentano un’importante applicazione
0,13 con vento 6 negli impianti
m/s, 1,04 idroelettrici
con vento 20 m/s
di pompaggio: durante il giorno, quando la richiesta di energia elettrica è maggiore, queste
macchine lavorano come normali alternatori di centrali idroelettriche,
Solare da 0,12nelle
a 0,26quali il flusso di
acqua, travasato da un bacino superiore a uno inferiore, aziona le turbine; di notte, quando il
consumo è minore e la produzione di energia è esuberante (perché le centrali termoelettriche
non possono essere spente), vengono utilizzate come motori per azionare le pompe che prele-
vano l’acqua dal bacino inferiore trasferendola nuovamente a quello superiore.
La necessità di ridurre l’impatto ambientale (dovuto alle centrali di produzione di energia
elettrica) e lo sviluppo di migliori e più avanzate tecnologie, conducono alla realizzazione di
nuovi impianti di tipo policombustibile.
Questi impianti sono progettati per impiegare indifferentemente sia il carbone, sia l’olio
combustibile o il gas, in piena compatibilità ambientale.
L’adozione di tali impianti consente anche di perseguire l’obiettivo strategico di non
vinco- larsi a un solo tipo di combustibile, cosa che potrebbe rivelarsi non conveniente nel
futuro.
L’insieme delle misure da adottare per i nuovi impianti policombustibili sono le
seguenti:
-utilizzare sistemi di combustione di tipo avanzato a bassa emissione di ossidi di azoto, adot-
dell’anidride solforosa (SO2) con il nuovo sistema calcare/gesso, che offre più ampie
garan- zie;
-prevedere la possibilità di inserimento di sistemi di denitrificazione dei fiumi, peraltro oggi
non ancora industrialmente maturi; adottare sistemi con precipitatori elettrostatici, che
hanno capacità di abbattimento superiori al 99,7%; i sistemi di abbattimento e
contenimento delle polveri utilizzati negli impianti a combustibili liquidi e solidi
costituiscono una buona solu- zione per le nuove centrali policombustibile;
-utilizzare sistemi di movimentazione del carbone per garantire sicurezza ed elasticità di
Queste nuove linee vengono poi dirottate alle cabine di trasformazione che servono zone
industriali o artigianali, oppure nei centri abitati mediante cavi sotterranei per motivi di sicu-
rezza, con tensioni di 380/220 V (bassa tensione) per usi civili.
8.3 Sicurezza elettrica
Quadro normativo
La rete di distribuzione dell’energia elettrica ha una diffusione capillare. La presenza di
un impianto di distribuzione dell’energia elettrica implica però problemi di sicurezza, in
quanto la non corretta esecuzione dell’impianto può provocare incidenti anche mortali.
Il quadro tecnico-legislativo, rivolto a disciplinare il settore impiantistico a tutela della
sicurezza degli utenti, in Italia risulta particolarmente funzionale.
Esso è basato sulle tre leggi elencate di seguito.
1. Legge 1.3.1968, n. 186: disposizioni concernenti la produzione di materiali, apparecchia-
ture, installazioni e impianti elettronici ed elettrici. L’art. 1 dispone che: “Tutti i materiali,
le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettronici ed elettrici
devono essere realizzati e costruiti a regola d’arte”. L’art. 2 dispone invece che: “I mate-
riali, le apparecchiature, i macchinari, le installazioni e gli impianti elettronici ed elettrici
realizzati secondo le norme del Comitato Elettrotecnico Italiano si intendono costruiti a
regola d’arte”.
IMPIANTI ELETTRICI
L-73
2.Legge 18.10.1977, n. 791: attuazione della Direttiva del Consiglio della CEE, riguardante le
garanzie di sicurezza che deve possedere il materiale elettrico destinato a essere utilizzato
entro determinati limiti di tensione. Tale legge corrisponde alla direttiva CEE 72/73 del
19.2.1973, detta direttiva sulla bassa tensione.
3.Legge 5.3.1990, n. 46: norme per la sicurezza degli impianti, con particolare riferimento alle
modalità di collaudo. Essa si riferisce agli impianti elettrici, ma anche agli impianti
elettronici, termotecnici, idraulici, per gas, per sollevamento e antincendio in edifici per usi
civili.
Elemento qualificante della legge è il fatto che stabilisca che l’installazione degli impianti
debba essere affidata esclusivamente a imprese autorizzate e iscritte alla Camera di Com-
mercio. A impianto ultimato l’impresa installatrice deve rilasciare al committente la di-
chiarazione di conformità dell’impianto alle norme CEI. Fa parte integrante di tale
dichiara- zione la relazione contenente la tipologia dei materiali impiegati. Senza la
dichiarazione di conformità e, ove previsto, del certificato di collaudo, il sindaco non può
rilasciare il certifi- cato di abitabilità.
Il committente, pertanto, è obbligato a rivolgersi esclusivamente a un’impresa abilitata, in
grado di eseguire l’impianto a regola d’arte, dotato di tutte le opere necessarie per la sicu-
rezza degli utenti. Il mancato rispetto delle norme è sanzionato dall’articolo 16 della stessa
legge e non consente il rilasco del certificato di abitabilità.
Il rinvio alle norme è il criterio ispiratore delle leggi citate. Tale procedura permette di
non richiamare nella legge una particolare prescrizione tecnica, ma di rimandare a una norma
ema- nata da un ente tecnico normatore.
Il vantaggio è evidente: non è necessario adeguare la legge a ogni progresso tecnologico,
ma è sufficiente cambiare la norma (con un iter molto più agevole e rapido).
Effetti della corrente elettrica sul corpo umano
L’effetto della corrente elettrica sul corpo umano dipende dal valore dell’intensità di cor-
rente, dal tempo di esposizione, dal percorso seguito all’interno del corpo, oltre che dalla fre-
quenza della corrente applicata. In particolare risulta pericolosa la frequenza di 50 Hz, tipica
della rete di distribuzione, perché può provocare la fibrillazione ventricolare.
Il valore dell’intensità di corrente si può calcolare ricorrendo al generatore equivalente di
tensione (Thevenin) visto dai due punti di contatto della persona con il sistema (fig. L.65):
Iu ETH =
ZTH +
Zu
L’impedenza Zu dipende dal percorso attraverso il corpo e dalle impedenze di contatto,
che possono essere influenzate dal grado di umidità, dalla pressione di contatto e dalla
temperatura della pelle.
Il valore di corrente pericolosa si ricava dalla curva di pericolosità della corrente. Per
averne un’idea, si può ricordare che in c.a. una corrente di valore efficace Iu = 50 mA non
può essere sopportata senza pericolo per più di 1 secondo.
-effetti patofisiologici reversibili, che aumentano con 1’intensità della corrente e con il tempo,
Facendo ipotesi esemplificative sulla resistenza del corpo umano e sulle impedenze di
con- tatto, si può ricavare la curva di sicurezza (fig. L.67), così sintetizzabile: una tensione
inferiore a VL, denominata tensione di contatto limite, può essere sopportata per un tempo
illimitato, una tensione di valore più alto può essere sopportata per un tempo che è tanto più
breve quanto più elevato è il suo valore. Si può osservare che in alternata una tensione di 50
V (25 V in partico- lari condizioni) indicata con VL (tensione limite) non può essere tollerata
per più di 5 secondi.
L-75
L’isolamento delle parti attive, necessario per assicurare la protezione contro la folgora-
zione, è detto isolamento principale e va realizzato con materiale isolante, scelto in relazione
al valore di tensione di lavoro e deve essere in grado di resistere a sollecitazioni meccaniche,
chimiche, elettriche e termiche, a cui il sistema può essere sottoposto durante l’esercizio.
Talvolta, per garantire la sicurezza elettrica anche in caso di cedimento dell’isolamento
principale, viene aggiunto un secondo isolamento, detto isolamento supplementare, che impe-
disce il contatto delle parti attive con le masse. In questo caso si parla di doppio
isolamento.
In alcuni ambienti di lavoro bisogna assicurare che gli elementi attivi siano protetti e non
vengano raggiunti da corpi estranei solidi, polveri e acqua.
Le norme IEC definiscono il grado di protezione di involucri e barriere, mediante una
sigla costituita dalle lettere IP (Internal Protection) seguite da due cifre indicative del grado
Cifra Descrizione prima cifra Descrizione seconda cifra
di pro- tezione, riassunto nella tabella L.10.
0 Non protetto Non protetto
Tabella L.10 Grado di protezione di involucri e barriere
1 Protetto contro corpi solidi Protetto contro caduta verticale di
estranei di diametro maggiore di gocce d’acqua
50 mm
2 Protetto contro corpi solidi Protetto contro caduta di gocce
estranei di diametro maggiore di d’acqua con inclinazione massima di
12,5 mm 15°
La protezione dal contatto indiretto può essere di tipo attivo o passivo: la prima prevede
la rapida interruzione del circuito in caso di guasto; la seconda è rivolta a limitare la tensione
che può essere applicata al corpo umano in caso di guasto.
La protezione attiva contro i contatti indiretti consiste nel collegamento a terra di tutte le
masse tramite un conduttore di protezione. Nel caso di guasto si genera una corrente
verso terra che, rilevata da un apposito dispositivo di protezione, causa un’interruzione del
circuito.
Le norme CEI prevedono l’utilizzo di un conduttore di protezione, distinto dal conduttore
di neutro dell’impianto, che connetta le masse dell’impianto all’impianto di terra.
Inoltre l’interruzione del circuito deve essere realizzata in un tempo massimo di 5
secondi,
se la tensione di contatto è pari a 50 V, in modo da rimanere nelle prescrizioni della curva
di sicurezza.
L’impiego dei dispositivi di massima corrente, quali fusibili e interruttori
magnetotermici,
per interrompere il circuito è praticamente impossibile, poiché si dovrebbe realizzare un
impianto di terra di resistenza quasi nulla, in modo da trasformare il guasto verso terra in un
corto circuito.
Nelle applicazioni pratiche è più conveniente ricorrere, come nel caso di contatti diretti,
agli interruttori differenziali, che garantiscono l’intervento anche con valori di resistenza di
terra realizzabili con minori costi.
La protezione passiva contro i contatti indiretti si può realizzare con:
-uso di apparecchi con doppio isolamento o isolamento rinforzato, tale da rendere pratica-
mente impossibile il contatto delle parti attive con la massa per deterioramento dell’isolante;
-uso di una tensione ridotta di sicurezza (per esempio, tensione ridotta E = 24 V);
L-77
9 SEMICONDUTTORI E GIUNZIONI PN
Materiali semiconduttori
1.
Nella figura L.69a sono rappresentati i nuclei di silicio e gli elettroni di valenza; poiché
le coppie lacuna-elettrone libero, che si formano a temperatura ambiente a causa
dell’agitazione termica sono molto poche, la resistività del semiconduttore puro (detto anche
intrinseco) è abbastanza elevata.
Le caratteristiche dei materiali semiconduttori vengono sfruttate e controllate inserendo
nella struttura cristallina di Si e Ge atomi trivalenti o pentavalenti. Questo consente di aumen-
tare sensibilmente la loro conduttività e di avere correnti apprezzabili anche con
l’applicazione di campi elettrici piuttosto deboli.
10 DIODI A SEMICONDUTTORE
I diodi
1.
L-81
Essa è l’equazione di una retta nel piano i,v con pendenza –1/RL, retta che prende il
nome di retta di carico (fig. L.73b).
La relazione tra i e v è descritta dalla caratteristica del diodo; l’intersezione fra la retta
di
carico e la caratteristica individua il punto di funzionamento o di lavoro statico Q 1, cioè il
punto che fornisce i valori di i e v per quel particolare diodo, in quel circuito, con quel valore
di RL e con una data tensione vi = V1.
Figura L.74 Modello semplificato del diodo: rappresentazione grafica e circuiti equivalenti
in polarizzazione diretta e inversa.
Data una rete con diodi, per determinare il punto di funzionamento di ciascun diodo, e
conseguentemente correnti e tensioni sugli altri elementi della rete, è consigliabile la seguente
procedura:
-si valuta, avendo come riferimento i valori dei componenti, se la tensione ai capi del diodo è
-si effettuano i calcoli necessari a determinare tensioni e correnti su ogni elemento della rete.
(fig. L.76), si vede che il condensatore si carica attraverso il diodo, fino al valore di picco
della tensione di uscita, ma può scaricarsi solo sul carico RL, dato che nel diodo la corrente
può cir- colare in un solo senso.
La scarica avviene quindi con un andamento esponenziale e costante di tempo = RL ·
C. Il
diodo torna in conduzione, interrompendo la scarica del condensatore, solo quando la
tensione sul secondario del trasformatore supera la tensione di uscita del valore di soglia
V .
La tensione applicata al carico risulta, quindi, la somma di una componente continua e di
un’ondulazione residua, detta ripple, tanto più piccola quanto maggiore è la costante di
tempo
= RL · C.
Si noti che il diodo risulta in conduzione solo in una piccola porzione della semionda,
durante la quale è percorso da un impulso di corrente che ripristina la carica ceduta dal con-
densatore al carico e che può raggiungere un valore di picco notevole.
L-85
-breakdown con effetto valanga, quando, in diodi con drogaggi relativamente bassi, la ten-
sione esterna applicata accelera i portatori provocando collisioni con gli atomi circostanti e
una conseguente moltiplicazione a valanga di portatori liberi; la VZ è maggiore di 6 V e al
crescere della temperatura aumenta il numero delle collisioni con il reticolo cristallino,
facendo diminuire la probabilità che le cariche libere acquistino energia a sufficienza per
innescare il processo a valanga; la tensione di Zener aumenta con la temperatura.
11 TRANSISTOR
Il BJT (Bipolar Junction Transistor)
1.
L-87
Nel simbolo elettrico la freccia individua il terminale di emettitore e il suo verso è con-
corde con il verso della corrente di emettitore, caratterizzando il BJT npn quando è uscente, e
il BJT pnp se entrante.
Per il transistor sono possibili due diverse applicazioni: come amplificatore di segnale,
quando lavora in linearità, oppure come interruttore elettronico, in funzionamento on/off.
Il funzionamento in linearità si ha quando la giunzione JE è polarizzata direttamente e la
giunzione JC inversamente. In questo caso, se il comportamento del transistor fosse simile a
quello di due diodi affacciati, si dovrebbe avere solamente una corrente che interessa
emetti- tore e base, mentre la giunzione tra base e collettore dovrebbe essere interdetta. In
realtà, la
situazione è molto più complessa, a causa delle particolarità della zona di base e
dell’intera- zione tra le due giunzioni.
Facendo riferimento per la spiegazione al BJT pnp, rappresentato nella figura L.80, si
può
notare che, a causa della polarizzazione diretta della giunzione JE, si ha una corrente di
porta- tori di carica maggioritari che scorre dall’emettitore verso la base, costituita
principalmente dalle lacune che si spostano da E a B e in misura molto minore dagli elettroni
liberi che dalla base vanno verso l’emettitore.
La notevole dissimmetria fra i due contributi è dovuta al fatto che la base è poco drogata
e quindi presenta una bassa concentrazione di elettroni liberi, mentre l’emettitore presenta un
drogaggio elevato. Giunte nella base, le lacune hanno poche probabilità di ricombinarsi
con gli elettroni liberi presenti in numero relativamente scarso e, vista la sottigliezza della
regione, esse giungono nelle vicinanze di JC che attraversano sotto l’effetto del campo
elettrico causato
dalla batteria VCB.
A titolo indicativo si può pensare che solo una lacuna su cento si ricombini nella base,
dando luogo alla componente principale della corrente di base IB, mentre le lacune che
prose- guono il loro cammino attraverso JC, danno origine alla componente principale della
corrente di collettore IC.
La componente principale di IC risulta quindi essere costituita da una frazione legger-
mente inferiore a 1 (per esempio 0,99) della corrente di emettitore IE. Il coefficiente tiene
conto del fatto che alla corrente di emettitore contribuiscono anche gli elettroni liberi, che si
spostano dalla base all’emettitore e le lacune che si sono ricombinate alla base.
Questi due contributi risultano però molto più piccoli rispetto a quello delle lacune che
dall’emettitore transitano nella base per andare nella regione di collettore.
L’altra componente di IC, molto minore come intensità, è costituita dalla corrente
inversa
di saturazione ICB0 dovuta ai portatori minoritari presenti nella base e nel collettore, che
ven- gono messi in movimento dalla polarizzazione inversa della giunzione JC.
L-89
Si osserva che a una data IB corrisponde una IC molto maggiore e si può quindi pensare
di assumere IB come corrente di ingresso e IC come corrente di uscita, collegando il BJT
come nella figura L.81, ossia nella configurazione che riveste maggiore interesse applicativo.
La configurazione è detta a emettitore comune (CE, Common Emitter), in quanto l’emetti-
tore risulta collegato sia alla maglia di ingresso, sia a quella di uscita.
11.2 Caratteristiche di ingresso e di uscita del BJT
Risultano importanti le curve che rappresentano le relazioni fra i parametri della maglia
di ingresso I B, VBE e quelli della maglia di uscita I C, VCE che sono chiamate,
rispettivamente caratteristiche di ingresso e caratteristiche di uscita del BJT in
configurazione a emettitore comune. Nella figura L.82a sono riportate le caratteristiche di
ingresso che, rappresentando il legame tra la corrente (IB) e la tensione (VBE) di una
giunzione in polarizzazione diretta, sono influenzate minimamente dal valore della tensione
di uscita VCE, e sono quindi curve simili a quella di un diodo; la tensione VBE di lavoro
può variare fra 0,6 V e 0,8 V, a seconda di IB, e si assume convenzionalmente un valore di
0,7 V per effettuare un’analisi approssimata della maglia di base. Si deve evitare una
polarizzazione inversa troppo elevata di JE, che porterebbe alla rottura irreversibile
(breakdown) della giunzione. La tensione di breakdown non supera normalmente i 7 V.
L-91
funzionamento è legato a due particolari stati del BJT: quello di saturazione (on) e quello di
interdizione (off). Notevole importanza assume, inoltre, il tempo impiegato dal dispositivo
per il passaggio da uno stato all’altro.
Saturazione
Esaminando le caratteristiche di uscita del BJT, è già stato rilevato che, per bassi valori di
VCE, le curve per IB costante tendono a confondersi. In questa regione del piano IC , VBE
(zona di saturazione), la corrente IB perde il controllo di IC , il cui valore dipende
essenzialmente da VCE. Ciò significa che non è più valida la relazione di proporzionalità IC
= hFE IB, ma si può piuttosto scrivere che IC < hFE IB.
Questa situazione si verifica quando entrambe le giunzioni JE e JC si trovano polarizzate
direttamente e si ha quindi: VCE < VBE.
Per un transistor al silicio di piccola potenza (di segnale), il valore tipico della tensione di
saturazione VCEsat può essere 0,1 ÷ 0,2 V e VBEsat = 0,7 ÷ 0,8 V.
Interdizione
IB = IC =
IC = se IE = 0. Imponendo
Un transistor si dice interdetto
ICB0
questa condizione, nelle equazioni
Considerato il basso
si ricava immediatamente: ICB0 valore di I CB0 , la zona di interdizione, nel piano delle
caratteristiche di uscita, coincide praticamente con l’asse VCE. L’interdizione si verifica se
entrambe le giun- zioni sono polarizzate inversamente.
Da V;
0 uninfatti
puntoperdiVBE
vista= applicativo,
0 si ha: IB = un transistor
0, quindi: IC =npn al .silicio
ICB0 Bisognapuò
fareconsiderarsi
attenzione
V BEinterdetto se
valore di
cheVBE
il non diventi troppo negativo (non deve scendere sotto 5 V), per evitare che si
abbia il breakdown della giunzione.
Tempi di commutazione
Appare ora chiaro come il BJT possa essere considerato un interruttore controllato dalla
corrente di base. Infatti, visto dai terminali C-E, risulta con buona approssimazione un corto
circuito (VCE circa 0) nello stato on (saturazione) e un circuito aperto (IC circa 0) nello stato
off (interdizione).
In questi due stati la potenza dissipata dal dispositivo è pertanto piccola e di molto infe-
riore a quella che, come interruttore, è in grado di controllare. Le commutazioni fra i due
stati non avvengono istantaneamente, ma impiegano un certo tempo per concludersi: si
distingue fra tempo di commutazione diretta (t on), composto da un tempo di ritardo e da un
tempo di salita, e tempo di commutazione inversa (toff), composto da un tempo di
immagazzinamento e da un tempo di discesa (fig. L.83).
Il tempo di ritardo (delay time, td) è il tempo necessario al transistor per passare dalla
pola-
rizzazione inversa a quella diretta della giunzione VBE, e viene misurato come
l’intervallo tra l’istante di commutazione all’ingresso e il momento in cui IC raggiunge il
VCC/
10% del suo valore finale: ICsat = (VCC –
Il tempo di salita (rise time, tr) è il tempo che impiega
RCIC a passare dal 10% al 90% del
VCEsat)/RCall’attraversamento della zona lineare per arrivare in
suo valore finale ICsat, corrispondente
satura- zione.
Il tempo di immagazzinamento (storage time, ts) è definito come il tempo necessario per
spazzare dalla zona di base l’eccesso di portatori di carica minoritari che si era
immagazzinato in saturazione; questa operazione termina con il rientro in zona lineare
quando; convenzional- mente si ha IC = 0,9 ICsat.
Il tempo di discesa (fall time, tf) è definito come il tempo che impiega la corrente IC a
scen- dere da 0,9 ICsat a 0,1 ICsat.
L-92 ELETTROTECNICA ED
ELETTRONICA
L-95
Applicando il principio della sovrapposizione degli effetti (cosa possibile perché si sta
considerando il funzionamento del BJT nella zona attiva dove risulta un componente presso-
ché lineare) è possibile sommare gli effetti del segnale sinusoidale a quelli della batteria in
continua VCC. La variazione sinusoidale introdotta nella maglia di base si ripercuote in
un’ana- loga variazione del punto di funzionamento sulla caratteristica di ingresso (fig.
L.88a) fra Q1 e Q2, attorno alla sua posizione di riposo Q.
L’equazione alla maglia di uscita del circuito della figura L.87 è:
VCC = VCE + RC · IC
corrispondente all’equazione di una retta, detta retta di carico statica, di pendenza
–1/RC. In realtà per le variazioni sulle caratteristiche di uscita (fig. L.88b) bisogna tenere
conto anche del carico RL che per il circuito del segnale risulta in parallelo a RC, cambiando
la pendenza della retta al valore:
– 1
RC//RL
che è la pendenza della retta di carico dinamica. Al variare di ib, il punto di lavoro si
sposta su questa retta fra le posizioni estreme Q1 e Q2. Se in questa zona le caratteristiche
sono sufficien- temente parallele ed equidistanti per uguali variazioni di ib, il funzionamento
potrà conside- rarsi lineare e ic e vce avranno andamento sinusoidale.
L-97
corrente risulta quindi dell’ordine di grandezza del centinaio di milliampere. Analoghe consi-
derazioni possono essere fatte per quanto riguarda l’amplificazione di tensione Av =
vce/vbe, che risulta però negativa (a causa dello sfasamento di 180°).
11.5 Transistor a effetto di campo (FET)
I FET (Field Effect Transistor) sono dispositivi a semiconduttori a tre terminali (drain,
source e gate), detti anche transistor unipolari, in quanto la conduzione avviene in un semi-
conduttore drogato di un solo tipo, senza attraversare giunzioni, ed è quindi dovuta principal-
mente ai portatori di carica maggioritari.
Il principio di funzionamento dei FET si basa sulla possibilità di controllare la
corrente IDS
che scorre tra drain e source mediante un campo elettrico generato dalla tensione VGS,
appli- cata fra gate e source. I FET si dividono in JFET (Junction Field Effect Transistor) e
MOSFET (Metal Oxide Semiconductor FET)
JFET
I JFET possono essere “a canale n” o “a canale p” (fig. L.89). Il funzionamento nei due
tipi è analogo, anche se cambia il tipo di portatori maggioritari che causano la conduzione
nel canale (elettroni liberi e lacune, rispettivamente) e quindi anche il verso delle correnti e
delle tensioni in gioco.
La seguente spiegazione del funzionamento è riferita a un JFET a canale n, ma è applica-
bile anche al caso di canale p, avendo l’accortezza di invertire i versi di tutte le tensioni e cor-
renti e di sostituire il termine lacune a quello di elettroni liberi.
Il JFET è costituito da un substrato di semiconduttore drogato di tipo n, detto canale, ai
cui estremi sono realizzati i terminali di source e drain. Sulla faccia superiore e inferiore del
semi- conduttore sono ricavate due zone fortemente drogate di tipo p, entrambe collegate al
termi-
nale di gate.
Per un funzionamento corretto del dispositivo le giunzioni gate-canale non devono mai
essere polarizzate direttamente.
Figura L.89 JFET a canale n: a) modello ideale; b) simbolo elettrico; c) simbolo elettrico del
JFET a canale p.
Quando vengono polarizzate inversamente, attorno a entrambe le giunzioni si crea una
zona di svuotamento (in cui non sono più disponibili portatori di carica maggioritari), la cui
dimensione dipende dalla tensione VGS che deve essere negativa per fornire la
polarizzazione inversa.
L’allargamento di queste zone di svuotamento provoca un restringimento del canale, con
un conseguente aumento della resistenza complessiva fra drain e source.
In questo caso il dispositivo lavora in zona ohmica, ossia può essere considerato come un
resistore variabile controllato in tensione (VCR, Voltage Controlled Resistor), dato che il
valore resistivo visto fra drain e source cambia al variare della tensione di gate VGS.
L-98 ELETTROTECNICA ED
ELETTRONICA
L-99
Presentando un’elevata resistenza di ingresso (dato che la corrente assorbita dal gate è
pic- colissima) e un basso livello di rumore (perché la conduzione avviene in un canale di un
unico tipo di drogaggio, senza l’attraversamento di giunzioni), i JFET sono particolarmente
adatti a realizzare gli stadi di ingresso di apparati audio e a radiofrequenza, o di circuiti
integrati analo- gici come gli amplificatori operazionali.
MOSFET
L’acronimo MOS deriva dalla particolare struttura costruttiva che presenta il dispositivo
nella zona del gate: la metallizzazione del terminale di gate è realizzata su uno strato di bios-
sido di silicio, che ha la proprietà di essere un ottimo isolante, sotto al quale vi è il
semicondut- tore che costituisce il canale (Metal Oxide Semiconductor). I MOS si
suddividono in due tipi: MOS ad arricchimento (enhancement) e MOS a svuotamento
(depletion); entrambi i tipi pos- sono essere a canale n o a canale p. La figura L.92 riporta la
struttura e i simboli elettrici dei vari tipi. Si noti che il substrato è in genere collegato al
terminale di source.
Per spiegare il funzionamento del MOS enhancement bisogna tener conto del fatto che fra
source e drain, quando al gate non è applicata una tensione, non c’è conduzione (IDS = 0) in
quanto sono interposte tra i terminali due giunzioni p-n. In questo caso il dispositivo è
equiva- lente a due diodi connessi back to back, e quindi applicando una VDS, sia essa
positiva o nega- tiva, una delle due giunzioni risulta polarizzata inversamente (zona di
interdizione).
Applicando una tensione VGS positiva fra gate e source, il dispositivo si comporta come
un
condensatore, le cui due armature sono costituite dalla metallizzazione di gate e dal
substrato, mentre l’ossido di silicio realizza il dielettrico. Sotto l’effetto della differenza di
potenziale applicata alle armature, vengono attratte cariche positive nel metallo collegato al
gate, mentre nella zona di semiconduttore sottostante alla metallizzazione di gate si
accumulano delle cari- che negative (elettroni liberi).
Per valori di VGS maggiori di una certa soglia Vth (th sta per threeshold, “soglia”), la
con- centrazione di elettroni liberi in quest’ultima zona è tale da realizzare un’inversione di
drogag- gio: nel substrato debolmente drogato di tipo p si forma un canale di tipo n che
collega il pozzo (la diffusione n+) di source con quello di drain, permettendo la conduzione
di una corrente IDS. Per bassi valori di VDS il canale si comporta in modo resistivo e il
relativo valore di resi- stenza dipende dalla concentrazione di elettroni liberi attratti nella
zona sottostante il gate, e
quindi dalla VGS applicata (zona ohmica).
Quando il valore di VDS diventa dello stesso ordine di grandezza della VGS il canale si
deforma, a causa dell’interazione fra i due campi elettrici, allargandosi verso il source e
restringendosi fino a strozzarsi in prossimità del drain.
In questo caso la corrente IDS aumenta con VDS in modo molto meno sensibile (zona di
saturazione).
Nella figura L.93 sono rappresentate le caratteristiche di uscita di un MOS ad arricchi-
mento a canale n, che evidenziano il comportamento del dispositivo nelle tre zone di
funziona- mento.
Nei MOS depletion invece il canale è già precostituito, ossia viene realizzato in fase di
pro- duzione del componente, tramite una sottile diffusione (o un’impiantazione ionica) di
droganti di tipo n nella zona del substrato sottostante il gate.
In questo caso, applicando una tensione positiva V GS tra gate e source, si ottiene un
aumento di elettroni liberi nel canale n, con conseguente diminuzione della resistività del
canale (quindi la corrente IDS aumenta).
Con una tensione VGS negativa si ha invece uno svuotamento di portatori di carica
maggio- ritari nel canale e, quindi, una diminuzione della conducibilità e della corrente che
scorre nel canale, fino ad arrivare all’interdizione del componente.
I MOS a svuotamento presentano il vantaggio di lavorare con tensioni di ingresso sia
posi- tive, sia negative.
L-101
12 DISPOSITIVI DI POTENZA
BJT di potenza
1.
I transistor di potenza (BJT o anche MOS) sono utilizzati in tutti i sistemi analogici di
amplificazione di potenza. Inoltre essi sono usati in commutazione al posto dei tiristori, per
esempio, per il comando di motori, per controllare potenze massime fino a 100 kW.
Nelle applicazioni di potenza, i limiti dei BJT sono determinati dai seguenti
parametri:
-corrente massima di collettore I Cmax: è determinata dall’uniformità di distribuzione della
corrente nel semiconduttore e dalla densità di corrente sopportabile da metallizzazioni di
contatto e dai reofori del componente;
-tensioni massime: possono essere applicate al componente prima che avvenga la rottura delle
giunzioni per effetto valanga (breakdown); i data sheet riportano le tensioni di rottura appli-
cate fra due terminali con il terzo aperto (BVEB0, BVCB0, BVCE0, dove la lettera B
indica appunto breakdown);
-massima potenza dissipabile P Dmax: dipende principalmente dalla capacità del contenitore
di smaltire il calore prodotto nell’area di collettore; per questo motivo i BJT di potenza
sono realizzati con geometrie che estendono al massimo la zona di collettore e la superficie
di
contatto con la parte metallica del contenitore;
-SOA (Safe Operating Area): è l’area nel diagramma I C,VCE delimitata dalla retta
orizzontale definita da I Cmax, dalla retta verticale di BVCE0 e dall’iperbole di PDmax,
all’interno della quale è garantito il corretto funzionamento del transistor (fig. L.94). Si noti
che viene esclusa dalla SOA anche una zona tratteggiata, dove può verificarsi un fenomeno
detto secondary breakdown, dovuto al concentrarsi del passaggio di corrente in punti
localizzati del cristallo (punti caldi), con conseguente surriscaldamento che porta a un
breakdown di tipo termico. Il breakdown secondario si manifesta in modo particolare con
carichi induttivi durante la com- mutazione on/off; per proteggere il BJT possono essere
adottati circuiti smorzatori RC o un diodo di ricircolo in parallelo al carico induttivo;
-tempi di commutazione diretto e inverso: hanno lo stesso significato di quelli già visti per i
BJT di piccolo segnale ed è importante che siano i più brevi possibile nelle applicazioni di
potenza: infatti solo durante le commutazioni il BJT è soggetto contemporaneamente a ten-
sioni e correnti elevate, con potenze dissipate notevoli.
Figura L.94 Safe Operating Area (SOA) nel diagramma I C, VCE: a) con assi lineari;
b) con assi logaritmici.
Dal punto di vista strutturale, i BJT di potenza devono avere la base piuttosto spessa per
sopportare tensioni elevate; le giunzioni devono essere di dimensioni notevoli per ridurre la
densità di corrente distribuendo la corrente su una superficie di giunzione maggiore; il sub-
strato del BJT, su cui è poi realizzata la zona di collettore, deve essere fortemente drogato per
ridurre la resistività di questa zona e quindi la relativa dissipazione di potenza. In
conseguenza della prima caratteristica, il guadagno di corrente hFE risulta piuttosto basso.
L-102 ELETTROTECNICA ED ELETTRONICA
estesa (invece di essere dislocate dallo stesso lato del chip, quella di drain è sulla faccia infe-
riore), con conseguente diminuzione della densità di corrente;
-
bassa resistenza di conduzione RDS, perché il rapporto fra lunghezza e spessore del canale
può essere molto elevato.
I MOS di potenza sono commercializzati con diversi nomi, a seconda della casa costrut-
trice: VMOS (Siliconix), SIPMOS (Siemens), TMOS (Motorola), HEXFET (International
Rectifier), POWERMOS (Philips).
DISPOSITIVI DI POTENZA
L-103
3. IGBT
I transistor bipolari a gate isolato o IGBT (Insulated Gate Bipolar Transistor) sono
dispo- sitivi di potenza che abbinano il vantaggio dell’alta impedenza d’ingresso dei MOS
con quello della bassa tensione di saturazione tipica del BJT. Il dispositivo è costituito da un
MOS di ingresso che pilota un BJT di potenza, integrati sullo stesso chip. Il MOS è
interessato solo dalla corrente di base del BJT e quindi da basse potenze, con un risparmio di
area sul chip, per- tanto un minore costo del componente.
Gli IGBT sono utilizzati sia in funzionamento lineare, per esempio negli amplificatori
finali audio, sia in commutazione per i controlli industriali di potenza.
4. Tiristori
I tiristori costituiscono una famiglia di dispositivi che lavorano in commutazione per il
controllo di potenze anche molto elevate; sono caratterizzati da una struttura a
semiconduttore, che presenta più di tre giunzioni. La famiglia è composta da SCR, TRIAC,
GTO e sono, in genere, inclusi anche DIAC e UJT che, pur non essendo dispositivi di
potenza, sono utilizzati per l’innesco dei tiristori di potenza.
DIODI SCR
Gli SCR (Silicon Controlled Rectifiers) sono particolari diodi che presentano tre giunzioni
p-n e un ulteriore terminale di controllo, chiamato gate. In polarizzazione inversa si compor-
tano come normali diodi, ossia risultano equivalenti ai circuiti aperti; in polarizzazione diretta
il comportamento è diverso, in quanto la conduzione è controllata dal terminale di gate. Il
pas- saggio alla conduzione (innesco) può avvenire solo in due circostanze: portando la
tensione oltre il valore di rottura VBO (breakover voltage), che assume valori elevati, oppure
fornendo al gate un impulso di corrente IG. In quest’ultimo caso il dispositivo va in
conduzione per valori di tensione VAK tanto minori, quanto più elevato è il picco della
corrente IG. In conduzione la tensione si riduce bruscamente al valore di 1 ÷ 1,5 V e la
corrente corrispondente prende il nome di corrente di aggancio IL.
Una volta innescata, la conduzione si autosostiene anche se la corrente nel gate viene
annullata e, per interdire il componente bisogna riportarlo in polarizzazione inversa o ridurre
la
corrente anodica IA al di sotto del valore IH, detto corrente di mantenimento.
Il comportamento del dispositivo viene sintetizzato dalla caratteristica tensione-corrente
rappresentato nella figura L.96, dove è anche riportato il simbolo elettrico.
Il diodo SCR viene utilizzato soprattutto in alternata, per realizzare un controllo della
potenza trasferita al carico tramite una parzializzazione della forma d’onda. Infatti maggiore
è il ritardo degli impulsi di innesco, rispetto all’inizio della semionda positiva, minore risulta
l’angolo di conduzione e l’area sottesa alla forma d’onda, come si vede nella figura L.97;
conseguentemente la potenza trasferita al carico diminuisce.
L’utilizzo di SCR in continua è possibile inserendo opportuni circuiti di disinnesco in
grado di interrompere la corrente che circola nel diodo (o almeno portarla a un valore al
di sotto della corrente di mantenimento IH).
Figura L.97 Circuito di controllo di fase e relativa forma d’onda parzializzata con gli
impulsi di comando.
TRIAC
Sono dispositivi analoghi agli SCR, ma operano in modo bidirezionale, presentando mag-
giori giunzioni e struttura più complessa. In pratica il TRIAC (fig. L.98) può essere pensato
come una coppia di SCR collegati in antiparallelo e con il gate collegato assieme. La condu-
zione può essere innescata, tramite impulsi di gate, sia nella semionda positiva, sia nella
semionda negativa e si autosostiene fino a quando la tensione VMT non si annulla per
cambiare verso.
Gli impulsi di innesco possono presentare la stessa polarità rispetto alla tensione VMT fra
i due terminali principali; oppure polarità opposta, nel qual caso però sono necessari impulsi
di
ampiezza maggiore, a parità di VMT.
Sono utilizzati in alternata per circuiti di controllo di potenza di tipo switching.
L-105
GTO
Un inconveniente degli SCR è la difficoltà di utilizzo in continua perché richiedono
circuiti di disinnesco molto complessi.
Il GTO (Gate Turn-Off) è un tiristore di potenza unidirezionale, che può essere spento tra-
mite un comando di gate negativo. Un impulso di corrente entrante nel gate lo porta in
condu-
zione, mentre uno uscente lo interdice.
Bisogna dimensionare opportunamente il circuito di comando, perché gli impulsi negativi
necessari per lo spegnimento devono essere di valore elevato.
Come per gli SCR, la conduzione è possibile solamente quando l’anodo è a un potenziale
maggiore del catodo.
I GTO sono in genere utilizzati in continua, per il controllo di potenze anche molto
elevate
(correnti fino a 2000 A e tensioni fino a 2 kV).
UJT
L’UJT (UniJunction Transistor) è un dispositivo a semiconduttore a tre terminali, formato
da una barretta di silicio debolmente drogato di tipo n, alle cui estremità sono collegati i
termi- nali, chiamati basi B1 e B2. Sulla barretta, in prossimità di B2, viene effettuata una
giunzione con una zona di tipo p fortemente drogata, collegata al terzo terminale, detto
emettitore (fig. L.99b).
DIAC
Il DIAC è un tiristore bidirezionale di piccola potenza, privo di gate, ed è utilizzato
princi- palmente per l’innesco del TRIAC.
Il DIAC si comporta come un circuito aperto per entrambi i versi di tensione, finché la
dif- ferenza di potenziale fra i due terminali resta al di sotto della tensione di breakover VBO
(com-
presa tra 28 e 40 V). Superata questa soglia il DIAC passa bruscamente alla conduzione,
consentendo il passaggio di una corrente di qualche decina di milliampere, abbassando imme-
diatamente la tensione ai suoi capi di alcuni volt. Questo comportamento si manifesta sia per
tensioni e correnti entrambe positive, che entrambe negative (I e III quadrante della
caratteri- stica tensione-corrente).
Il DIAC viene utilizzato nel classico circuito di innesco del TRIAC (fig. L.100):
quando il
condensatore C, caricandosi attraverso R, raggiunge la tensione di breakover V BO, il
DIAC passa bruscamente in conduzione, scaricando il condensatore con un impulso di
corrente che provoca l’innesco del TRIAC. Esaurita la scarica del condensatore sul terminale
di gate del TRIAC, il DIAC torna a interdirsi fino alla semionda successiva (positiva o
negativa).
13 AMPLIFICATORI OPERAZIONALI
1. Caratteristiche degli amplificatori operazionali ideali e reali
Amplificatori operazionali ideali
Un amplificatore operazionale è fondamentalmente un amplificatore a più stadi, con
accoppiamento in continua (ossia in grado di amplificare anche grandezze continue), che pre-
senta nel caso ideale: amplificazione di tensione (AOL) infinita, resistenza di ingresso (Ri)
infi- nita, resistenza di uscita (R0) nulla, larghezza di banda (BW) infinita.
Nella figura L.101a è illustrato il simbolo circuitale in cui si evidenzia la presenza di due
ingressi, detti ingresso invertente (indicato con ) e ingresso non invertente (indicato con
+), e un terminale di uscita.
L’operazionale è in sostanza un amplificatore differenziale, ossia un dispositivo che
ampli-
fica la differenza dei due ingressi. La relazione fra la tensione di uscita e le tensioni
applicate agli ingressi è quindi espressa dalla seguente formula:
v0 = AOL (v1 – v2 )
dove AOL è il guadagno dell’amplificatore operazionale ad anello aperto (open loop
gain),
ovvero in assenza di qualsiasi collegamento esterno fra uscita e ingressi.
Nella figura L.101b è illustrato un modello circuitale che evidenzia la resistenza di
ingresso Ri, la resistenza di uscita R 0 e il generatore equivalente di uscita dell’amplificatore
operazionale.
AMPLIFICATORI OPERAZIONALI
L-107
L’amplificatore operazionale deve essere alimentato: nella maggior parte dei casi si
richiede un’alimentazione duale, ossia costituita da due tensioni uguali in valore assoluto, ma
di polarità opposta; nella figura L.101a le due alimentazioni sono indicate con +VCC e –
VCC.
Sovente viene indicata con vd (tensione differenziale di ingresso) la differenza di poten-
ziale fra il morsetto non invertente (+) e il morsetto invertente (), come nella figura
L.101b. Si può quindi scrivere:
v0 = AOL · vd
I valori che si assegnano al modello ideale dell’amplificatore operazionale hanno una
implicazione importante per i circuiti in cui è utilizzato.