Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
TERMODINAMIC
A
Q-3
1 . I PRINCIPI DELLA
TERMODINAMICA
Le particelle elementari che costituiscono un corpo sono caratterizzate da numerose coor-
dinate atomiche, che ne individuano posizione, stato di eccitazione e modo di interagire. Solo
poche di queste coordinate atomiche, però, sono osservabili macroscopicamente, in seguito a
operazioni di media statistica; tali operazioni portano alla determinazione di volume,
momento di dipolo elettrico, pressione ecc.
La termodinamica studia gli effetti prodotti da quelle coordinate atomiche non ottenibili
da equazioni di media statistica e quindi non osservabili macroscopicamente; essa evidenzia
l’esi-
stenza di modi atomici nascosti ai quali è possibile trasferire direttamente energia
sotto
forma di calore, mentre il lavoro è definibile come energia che agisce sul sistema in modo
meccanico operando sulle coordinate macroscopiche.
Grandezze termodinamiche caratteristiche
1.
La termodinamica è una teoria generale, applicabile a qualsiasi tipo di sistema avente qua-
lunque proprietà meccanica, elettrica o termica. Al fine di evidenziare proprietà ed eventi ter-
mici associati al sistema, quest’ultimo può essere immaginato come un corpo o un insieme di
corpi racchiusi da una superficie di controllo, chimicamente ed elettricamente inerte e non
sot- toposto a campi elettrici e gravitazionali.
Le grandezze che rappresentano le interazioni del sistema con l’esterno sono il calore
e il lavoro: il calore è la forma di energia legata alle coordinate atomiche nascoste; il
lavoro
agisce sulle coordinate macroscopiche.
La quantità di calore Q
Una trasformazione termodinamica si ha qando il sistema passa da uno stato di equilibrio
a un altro, e può avvenire con scambio di calore con l’ambiente o con altro sistema,
provocando ad esempio il passaggio dalla condizione (1) alla condizione (2), come
rappresentato nella figura Q.1.
Figura Q.1 Trasformazioni termodinamiche fra i punti 1 e 2 nel piano termodinamico (p,v).
Il calore è una grandezza che non è propria del sistema, ma è funzione della trasforma-
zione, cioè delle interazioni del sistema con altri sistemi o con l’ambiente; la sua entità
dipende dalle modalità con cui il sistema passa da (1) a (2). È, quindi, funzione del cammino
seguito (1-2) e non solo degli stati (1) e (2). Il passaggio da (1) a (2) implica peraltro una
varia- zione delle coordinate macroscopiche del sistema.
Il lavoro termodinamico L di una trasformazione
Il lavoro termodinamico di una trasformazione è dovuto alla variazione delle coordinate
macroscopiche di tipo meccanico del sistema. Dipende anch’esso dal modo in cui il sistema è
passato da (1) a (2), cioè dal cammino (1-2). Quindi una quantità di calore fornita a un
sistema lo fa evolvere dallo stato (1) allo stato (2), con l’intervento del lavoro L1-2, legato
alla varia- zione delle coordinate termodinamiche.
Q-4 TERMOTECNICA
Il calore e il lavoro sono forme di energia che, una volta immagazzinate dal sistema, non
sono più distinguibili fra di loro né da altre forme di energia e confluiscono tutte nell’energia
interna.
1.2 Il primo principio della termodinamica
Si consideri l’esperienza di Joule (fig. Q.2).
Dall’esterno, mediante un’elica con pale M immersa nell’acqua contenuta (in quantità
nota) in un calorimetro avente setti fissi F, viene fornito al sistema il lavoro L svolto
dall’agita- tore e misurabile attraverso lo spostamento del peso P. Il sistema si riscalda e la
temperatura dell’acqua passa da T1 a T2; è quindi misurabile anche Q. Si fa raffreddare il
sistema da T 2 a T1: l’insieme delle due trasformazioni è ciclico. Pur variando il fluido, le
due temperature o altro, Joule osservò che:
J - -dL--= cost =
dQ
dQ +dL +
1A2
dL dQ = 2B1
1A2 2B1
1A2 +
dQ +dL dL
Sottraendo si ottiene:
dQ = 2C1
1A2 dQ 2Cd1L– dL–
2B1 = d
Q
Quindi le quantità (dQ dL), a differenza di d2CQ1 e di dL separatamente, non dipendono
dal cammino effettuato, ma solo dagli estremi di esso, cioè da (2) e da (1). Per questo, per il
prin- cipio di conservazione dell’energia, si può dire che, se Q è la quantità di calore fornita
al
I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA
Q-5
sistema, che tiene conto sia della variazione delle coordinate macroscopiche sia dell’energia
trasferita ai modi nascosti, L è il lavoro relativo alla variazione delle coordinate
macroscopiche del sistema:
Q L– E=
e, considerando un sistema chiuso agli scambi di massa e semplificato (macroscopicamente in
quiete e senza variazioni di energia potenziale), si ottiene la formulazione del primo principio
della termodinamica nell’enunciazione proposta da Mayer:
(Q.1)
Q
che, in forma differenziale, è:
L– dU= dL+
dQ (Q.2)
U=
Nelle relazioni (Q.1) e (Q.2) U è una grandezza chiamata energia interna, ma che, più
pro- priamente, dovrebbe essere detta calore interno; essa tiene conto della variazione di
energia relativa ai modi nascosti. Non è conoscibile in assoluto, ma ne sono conoscibili le
variazioni. È una funzione di stato, o anche di punto, cioè dipende solo dalle coordinate
termodinamiche che individuano il punto associato al sistema nello spazio a n dimensioni,
ove ne avviene la rappre- sentazione.
Tali espressioni esprimono il cosiddetto primo principio della termodinamica, in cui
si
considerano le grandezze termodinamiche alla luce del principio della conservazione del-
l’energia.
Per una corretta interpretazione di quanto sopra esposto, bisogna tenere conto che Joule
affermò che, dati due stati (1) e (2) di un sistema, si può sempre individuare una trasforma-
zione meccanica che consenta al sistema di passare da (1) a (2) oppure da (2) a (1), restando
le pareti adiabatiche (ossia il sistema è chiuso agli scambi di calore) e il numero di moli
costante (sistema chiuso agli scambi di massa). Poiché fra due stati del sistema esiste una sola
trasfor- mazione meccanica che consente di passare dall’uno all’altro, in questo enunciato
viene evi- denziata la dissimmetria fra le due trasformazioni diretta e inversa e, associato al
processo globale, appare il concetto di irreversibilità, che condiziona l’evoluzione dei sistemi
termodi- namici.
Variabili estensive
3.
TERMOTECNI
C
-chiuso, se pur interagendo con l’esterno non è permeabile
A ai flussi di materia e scambia con
l’esterno solo calore;
-isolato, se con l’esterno non avvengono scambi di nessun genere.
I vincoli, naturalmente, possono essere anche parziali o selettivi.
Il problema fondamentale della termodinamica è la determinazione dei valori delle varia-
bili estensive negli stati di equilibrio, nonché la determinazione dello stato di equilibrio verso
il quale il sistema tende quando i vincoli interni vengono rimossi.
1.5 Il secondo principio della termodinamica
L’enunciato del secondo principio della termodinamica può essere espresso nei modi
di
seguito riportati.
-Secondo Max Planck: è impossibile realizzare un motore funzionante secondo un
ciclo ter- modinamico chiuso, che estrae calore da una sorgente esterna e lo trasforma
integralmente in lavoro meccanico, senza che si generino ulteriori trasformazioni nei corpi
che costitui-
scono il sistema.
-Secondo Lord Kelvin: non è possibile eseguire una trasformazione ciclica chiusa, la
quale realizzi come unico risultato, la totale trasformazione in lavoro di tutto il calore
proveniente da una sola sorgente di calore a temperatura costante.
-Secondo Carnot: il rapporto fra la quantità di calore trasformata in lavoro (Q 1 Q0 ) e
la quantità di calore prelevata dalla sorgente superiore (Q1) non dipende dalla sostanza gas-
sosa, ma dalle temperature delle due sorgenti (T1 e T0) e tutti gli scambi di calore
devono avvenire con differenze infinitesimali.
Si è posto come problema fondamentale della termodinamica la determinazione, per un
sistema in evoluzione, dello stato di equilibrio finale. In base alle esperienze nei vari settori
della fisica teorica, si può allora pensare che la forma più semplice da dare a un criterio di
equilibrio sia quella di postulare l’esistenza di un massimo relativo, vale a dire che i valori
delle variabili estensive all’equilibrio siano tali da rendere massima un’opportuna funzione di
stato. Tale funzione è detta entropia e, dato che la sua esistenza è stata postulata matematica-
mente, possiamo anche pensare che goda di semplici proprietà analitiche.
Postulato S1
L’entropia S è una funzione delle variabili estensive di ogni sistema; è definita negli stati
di equilibrio e, in assenza di vincoli interni, i valori delle variabili estensive sono tali da farle
raggiungere il valore massimo.
Alla luce di quanto detto, il problema fondamentale si riduce alla ricerca della relazione
che lega l’entropia alle grandezze estensive del sistema, poiché mediante l’entropia si
possono individuare gli stati di equilibrio verso i quali il sistema tende spontaneamente.
Quindi:
Postulato S2 S -U---
= S (U, V, N)
è l’espressione analitica del problema S-fondamentale della termodinamica ed è detta
equazione fondamentale. La conoscenza di questa equazione consente di avere tutte le
informazioni di tipo
Dato che, per termodinamico sul sistema.
la definizione fornita:
LE
TRASFORMAZION
I
Q-7
Dalla meccanica sappiamo che, in uno stato di equilibrio, l’energia di un sistema mecca-
nico è minima. Questa considerazione è estendibile anche al dominio della termodinamica,
ottenendo la riformulazione in termini energetici dei postulati sull’entropia e l’inversione
dell’equazione fondamentale:
U = U (S, V, N)
2. LE TRASFORMAZIONI
Allo scopo di scritte
precedentemente individuare - --
leUtra=le
si definiscono o r Vmazion
sf variabili U
1.Le variabili intensive
-iN--t erm--o-dina--md-
intensive:
U---
si pone:
+icNhe, dall+e equazioni dell’energia
dS--S-U-
U--- S
con T che indica la temperatura; ricordanddV-o- leTp=roprietà dell’entropia la temperatura
T è, per definizione, una grandezza non negativa;
--V-U--
con p che indica la pressione. Si ha infine:-= p–
--N-U-
dU= Tdudn–qSuep: d V d N+
Il termine (p · dV) esprime il lavoro termodinamico o della trasformazione dL, ottenuto in
condizioni quasi statiche (in condizioni, cioè, di una successione continua di stati di equili-
brio); se confrontiamo questa equazione con l’espressione:
dQ = dU + dL
si ha, in caso di sistema chiuso:
dQ = T · dS
Il termine (T · dS) indica, quindi, una quantità di calore scambiata in condizioni
quasi stati- che, che produce una variazione di entropia nel sistema.
2.2 Equazioni di stato
T =derivate
Le variabili intensive, in quanto T (S, U, di
V,una
N) funzione delle variabili estensive,
(Q.3)
sono anch’esse funzioni di variabili estensive, per cui: (Q.4)
p = p (S, U, V, N)
Si noti che, nelle relazioni (Q.3) e (Q.4), solo tre delle quattro variabili indicate sono fra
di loro indipendenti. Le relazioni che legano i parametri intensivi ai parametri estensivi sono
dette equazioni di stato.
2.3 La trasformazione quasi statica
Tale trasformazione si realizza mediante una sequenza di stati di equilibrio. Il sistema
cioè, passa dallo stato iniziale (1) allo stato finale (2) attraverso un insieme di stati
infinitamente
Q-8 TERMOTECNICA
vicini fra loro. Per quanto è stato detto a proposito delle quantità di calore scambiate in
condi- zioni quasi statiche, è valida la relazione:
-d--T
Il tempo di rilassamento
4.
Q--
Il passaggio di un sistema da uno dst-aSt=o (1) a uno stato (2) può avvenire mediante
rimozione graduale dei vincoli, che deve essere effettuata con opportuna lentezza, affinché il
sistema possa continuare a essere considerato in condizioni quasi-statiche.
Tuttavia, affinché il tempo necessario non sia infinito, si considerano quasi-statiche le tra-
sformazioni che avvengono in un tempo superiore al tempo di rilassamento ; le trasforma-
zioni che avvengono in un tempo inferiore non possono essere considerate quasi-
statiche.
Il tempo di rilassamento è il tempo di propagazione di una perturbazione nel
sistema,
pro-
porzionale al rapporto l / c, ove l è una lunghezza significativa del sistema e c è la
velocità del suono nel mezzo.
5.La trasformazione reversibile
Questo tipo di trasformazione può svolgersi fra lo stato (1) e lo stato (2) ma, rimossi i vin-
coli interni, che impediscono il passaggio di calore e di materia fra i vari sottosistemi costi-
tuenti il sistema, questo può spontaneamente ripercorrere il cammino inverso dallo stato (2)
allo stato (1). Perché questo sia possibile, è necessario che nel passaggio dallo stato (1) allo
stato (2) non si generi entropia. Se fosse:
2
1
dS 0
la trasformazione non potrebbe spontaneamente ritornare indietro. La trasformazione reversi-
bile è quindi caratterizzata dalla relazione:
dS = 0
6.La trasformazione irreversibile
-le quantità di calore da cui non è possibile ottenere lavoro, a causa di attriti interni.
Q-13
3. IL LAVORO E L’ENTALPIA
1. Il lavoro di trasformazione
È il lavoro che tiene conto dell’effetLtopdi una tdravsformazione termodinamica e si
esprime nel modo seguente se la trasformazione è quas1i-stat=ica:
L1 = F1 · x1 = p1 · A1 · x1 = p1 · v1
per il lavoro compiuto dal fluido per uscire dal volume V attraverso la sezione 2:
-
L2 = F2 · x2 = p2 · A2 · x2 = p2 · v2
Volume V
L* = L – p2v2 + p1v1
Di seguito saranno utilizzate le lettere maiuscole (H, U, V ecc.) per variabili estensive e le
lettere minuscole (h, u, v ecc.) per variabili estensive specifiche, cioè riferite all’unità di
massa.
3.4 L’entalpia
Ogni grandezza, funzione delle variabili di stato, è una grandezza di stato. Tale è anche
l’entalpia H:
H=U+p·V
da cui si
ottiene:
dH = dU + p ·
dV + V · dp
oppure, usando grandezze
normalizzate:
dh = du + p · dv + v · dp
Q-21
5 LE MACCHINE TERMICHE
Una macchina termica è un dispositivo atto
a trasformare il calore in lavoro (fig. Q.5).
La macchina termica deve essere a funzionamento ciclico e a contatto con almeno due
sor- genti di calore a temperature diverse; in caso contrario non sarebbe possibile ottenere
lavoro (si vedano i vari enunciati del secondo principio della termodinamica).
Se le trasformazioni sono quasi statiche si possono scrivere due equazioni:
a)equazione di bilancio energetico:
L = Q1 Q2
--L--- =
Q1
Nel caso di una macchina termica, considerando le quantità di calore in gioco, ove Q1
la quantità
scritto nelladi calore
forma seguente: 1
Qnè tit–à di calore in uscita, il rendimento può
in ingresso e Q 2 la qua----------
-
e(sQse.5re)
1
=2Q non sono fra di loro omogenee, dato che
Si noti che le due quantità di caloreQconsiderate
le due sorgenti operano a temperature notevolmente diverse, per cui il loro rapporto, d’ora in
poi, sarà indicato con e sarà più propriamente chiamato efficienza.
Q-22 TERMOTECNICA
L =
Lmax
indica
Saranno il rendimento
considerati, exergetico,
adesso, Qat1ivi=–aunmacchine
i casi relconsiderato vero e proprio rendimento,
cicliche operanti perché
diretto o inverso.
mediante ciclo Q2Q dal rapporto di due grandezze omogenee.
ottenuto
5.2 Cicli diretti
cioè:
1
Per la già nota equazione di bilancio energetico, l’efficienza è data da:
Lu
=
Q1
in cui Q1 e Q2 indicano rispettivamente le quantità di calore in ingresso e in uscita dal ciclo,
mentre Lu è il lavoro utile.
Q-23
I cicli frigoriferi
In un ciclo frigorifero che opera fra le temperature estreme T i e Ts (in cui Ti è la tempe-
quan- tità di calore Q2 da asportare allaf = sor-g-Le--n-te a temperatura inferiore e il lavoro di
compressione
ratura
Se inferiore
Lefornito dall’esterno:
Ts quella
il ciclo frigorifero superiore)
è un ciclo di l’efficien
Carnot (indicato 2
Qz a frigorifera
dal pedice fc),
è data dal rapporto fra la
l’efficienza
può frigorifera
essere scritta in funzione delle sole temperature estreme:
Ti
fc
------= T – T s i
Come si può vedere, l’efficienza aumenta all’avvicinarsi delle temperature estreme del
ciclo. L’efficienza frigorifera è legata al rendimento del ciclo diretto mediante un rapporto di
proporzionalità inversa; per un ciclo di Carnot si può
Ti scrivere:
c ----
fc Ts
Per un ciclo qualunque si ha: =
Q2
f -----
= Q1
Nelle macchine reali le efficienze risultano minori di quelle calcolate con le relazioni
soprascritte, perché queste operano secondo cicli sicuramente diversi da quello di Carnot e
seguono solo con approssimazione il ciclo termodinamico di riferimento.
Un esempio è dato dalla sostituzione, che comunemente avviene, dell’espansione
isoentro- pica con una espansione isoentalpica, che causa una diminuzione del calore Q2
sottratto alla
sorgente fredda e una perdita del lavoro di espansione.
Pompe di calore
riore TsNel
devecaso delle
essere pompe di con
confrontata calore, la quantità
il lavoro di calore QL1
di compressione c. da erogare alla temperatura
supe- Q1
L’efficienza del ciclo, detta anche pfattorL-ce---d-i moltiplicazione termica, o COP, è
da: =
data
Se si considera il ciclo di Carnot che evolve fra la temperatura ambiente Ta e la tempera-
tura superiore Ts, si ottiene:
Q1
pc ---
-- =Lc TsT–
s T
=
Se fossero utili entrambe le quantità di calore Q 1 e Q2, l’efficienza globale sarebbe data
a da:
Q1 +
tot
-------=
cioè:
Q2Lc
tot = f + p
Q-24 TERMOTECNICA
T-
2
--1-
S = -TQ2 --
- c
ove c rappresenta l’efficienza del ci clo d i Carnot che opera fra le
temperature estreme.
6. I SISTEMI CHIUSI: CICLI TERMODINAMICI
1.Premessa
in cui il termine dSe è dovuto alle variazioni di entropia che si hanno a causa degli scambi di
calore fra il sistema e le sorgenti esterne, mentre il termine dS i è dovuto alle variazioni di
entropia che si hanno per le trasformazioni all’interno del sistema.
Nel caso di un processo ciclico, in mancanza di produzione di entropia da parte del
sistema, il termine dSi è nullo, poiché dopo ogni ciclo tutti i parametri di stato, siano essi
esten-
Q-25
termostati;
dS
-le traPseforrqmuaznitonsiitèerdmeottsT
S=i
-oQ 1
1ta--stu-=
oi---cicl
Qo--i
rseovneorsqibuialsi,i stSaiti=ch0ee. , pertanto,
da cui:
2 T
- – =per0 le isoterme del ciclo di
Carnot, si può scrivere:
i Q1
---
------
T- =
L’area racchiusa tra le
2
linee 1
di trasfor Q 2
mazioneTsul piano (p, v) di figura Q.7,
un lavoro unitario, mentre l’area racchiu 2sa fra le
rappresenta
isoterme e le adiabatiche sul piano (T, S) della stessa figura rappresenta
un calore.
dS e
---- S= 1
T-1Q=- ---
e–Q+ -2
che, per la relazione precedente, risulta nulla.
In queste conTdizioni:
Stot = 02
Questo è vero, però solo per il ciclo di Carnot, poiché gli scambi di calore fra sistema ed
esterno avvengono a temperatura costante e le variazioni di entropia che si hanno nelle
singole trasformazioni del sistema sono di uguale entità, ma di segno opposto rispetto a
quelle che si registrano negli scambi delle corrispondenti quantità di calore fra il sistema e i
termostati. Il ciclo di Carnot, quindi, come tutti i cicli, ha rendimento inferiore all’unità, ma è
l’unico ciclo in cui la generazione di entropia totale è nulla.
6.3 Cicli termodinamici simmetrici
Come già fatto in precedenza, si supponga che le temperature estreme del ciclo
coincidano con le temperature dei rispettivi termostati. La variazione di entropia totale è data
da:
Stot = Se + Si
Q-26 TERMOTECNI
C A
Essendo Si nulla, la relazione diventa:
Q1
-=---- – -
S tot QTs
Dal primo principio della termodinamica
2+ si ha:
T
Q1 –LQ=2i
s
T- --- dell’entropia,
Ricavando la quantità di caloreQQ22 dall’espressione
tot
si ottiene:
Q= 1 Ti
i
In quest’ultima espressione coTm pare+Suna quantità di calore che sarà indicata con
Qr; essa equivale a quella porzione di Q2 che, in uscita da un ciclo di Carnot, viene trasferita
a un ter- mostato, a temperatura inferiore, e costituisce
Ti la quantità di calore comunque non
disponibile:
Q1
Il termine: Qr = T- ---s
Ti tot
rappresenta, invece, la quantità di calorSe non disponibile per irreversibilità intrinseca del
ciclo. Tale valore è nullo solo nel ciclo di Carnot. Combinando l’espressione della quantità di
calore Q2 del ciclo generico con quella del primo principio, si ottiene, per l’entropia e per il
Ti
lavoro:
Stot Q=1 - Ti
1
1-- Ts
-- -- –
Ti
Ti – S Q1=-L-- –-1-- --1-- –
L
s
T
tL1 ot
Ti –S
=TiT-s---
tot
In un ciclo di trasformazioni–Q
termodinamiche
1 il lavoro varia fra zero e un massimo,
come riportato di seguito.
- Se L = 0 si ha pura trasmissione del calore (caso dello scambiatore di calore); in questo
caso, in assenza di perdite, Q1 = Q2 e la produzione di entropia è massima:
Q-31
ove v1 e v2 sono i volumi massici, rispettivamente, all’inizio e alla fine della fase di
compres- sione.
Per i motori a combustione interna (ciclo Otto) tale valore è compreso, normalmente, fra
9
e 11, al fine di evitare fenomeni di accensione anticipata e, nei casi più gravi, di detonazione
della miscela aria-benzina; per i motori a combustione per compressione, invece, il valore
di è normalmente superiore a 20, perché il fluido compresso è soltanto aria.
Per questa ragione ha poco senso, dal punto di vista pratico, l’espressione ricorrente
secondo la quale l’efficienza del ciclo Otto è sempre superiore a quella del ciclo Diesel con
3
uguale rapporto di compressione (a parità di calovr e introdotto), dato che i due cicli
Lin’ieefzfiocnieenza
lavorano
del ciclo data di valori di tale rapporto complet-a--m- ente diversi.
entro ècampi 1= – 1 k–1
dilar:apporto: k– 1
–
2
Si definisce, poi, rapporto di intr=oduzivo ne o rapporto di combustione o
con il termine entro parentesi tonde sempre mk1inore dell’unità.
grado di
6.7 Il ciclo Sabathé
Il ciclo Sabathé è considerato il ciclo che più si avvicina al funzionamento di un motore,
dato che i cicli Otto e Diesel non possono essere realizzati nelle rispettive macchine, poiché
queste, a causa del loro movimento, non riescono a fare avvenire la combustione rispettiva-
mente lungo l’isocora e lungo l’isobara.
Pertanto nei motori le valvole si aprono con studiato anticipo prima del punto morto
supe- riore, in modo che la combustione inizi poco prima del punto morto, per poi proseguire
e ter- minare lungo l’isobara e l’adiabatica.
Questo andamento, più vicino all’andamento reale delle operazioni nel cilindro, è rappre-
sentato nel ciclo Sabathé-Seiliger.
Si tratta di un ciclo a cinque trasformazioni, in cui la compressione adiabatica è
seguita da
una compressione isocora (come nel ciclo Otto) e da una trasformazione isobara, simile a
quella che si ha nel ciclo Diesel (fig. Q.12).
E=m g z 1-- m
dove: Uc+2 +
(Q.6) 2
-m · g · z è l’energia potenziale;
-m · c 2/2 è l’energia cinetica;
-U è l’energia interna.
L’energia massica e vale:
e g z 21 u 2
=- + al sistema di cui sono
Applicando il principio di conservazione dell’energia
stati delimitati i confini si ottiene: +
c-
e1 p1 Qv+1
+e2 =p2 Lv+2 +
IL LAVORO E IL II PRINCIPIO DELLA
TERMODINAMICA
Q-35
dove q r rappresenta il calore generato internamente al sistema per attriti interni o il calore
2H– TrS2
T-T--- – +
–
L=Q 1 H1 – r– S irr T
dove: T rS 1 r
-Q (1 T r /T) è l’exergia della quantità di calore Q alla temperatura T, cioè il lavoro massimo
che si può ottenere da una quantità di calore Q in una macchina ciclica;
-H T r S è l’entalpia disponibile come lavoro o exergia; in altre parole è il massimo lavoro
ottenibile dall’entalpia H;
-T r Sirr è il lavoro perduto per irreversibilità.
Q-36
TERMOTECNI
CA
Figura Q.16 Bilancio del secondo principio in un sistema che compie lavoro.
Si abbia un sistema che evolve fra le temperature Ts e Ti, con Ts > Ti e si scrivano,
come nel caso generale, le equazioni di bilancio energetico ed entropico (fig. Q.16):
QA +QH1 B H=2 L+
QA +
------S+ 1 + Sirr = ---- 2
Q
-T -
B
Moltiplicando, ancora, la seco nda equazione per TBT e sottraendo il risultato dalla
ottiene:
prima si s
Si +
dove:
s T
L = QA 1 T- --- – + H1 – T1S1 2 H – T2S2
i – S irr
i T
–
-Q A(1 Ti / Ts) rappresenta il lavoro massimo che si può ottenere, in una macchina ciclica,
da una quantità di calore QA fra le temperature Ts e Ti;
-H T r S è l’exergia, massimo lavoro ottenibile dall’entalpia H;
-T r Sirr è la perdita di lavoro per irreversibilità.
8.4 Il sistema che assorbe lavoro
Si abbia un sistema che assorbe lavoro (fig. Q.17) e che evolve fra una temperatura mas-
sima e una minima rispettivamente con Ts e Ti e si scrivano, come in precedenza, le
equazioni di bilancio energetico ed entropico:
QLi +QH
QB + ------S+B1 + 1Sirr
= = ---- 2 A+
T
H2 -T-
A Q
S +i s
Figura Q.17 Bilancio del secondo principio in un sistema che assorbe lavoro.
IL RENDIMENTO
EXERGETICO
Q-37
9. IL RENDIMENTO EXERGETICO
1. I cicli diretti
L’efficienza energetica precedentemente definita è data da:
Q1 – (Q.10)
Q-- (Q.11)
Q=ottenuto
2Q 1
Nella (Q.11) appare evidente che il lavoro
1 L è messo in rapporto con una quantità
L--- = ciò deriva dal fatto che non tutto il
di calore con esso non termodinamicamente omogenea;
calore Q1 può essere trasformato in lavoro, in base al secondo principio della termodinamica.
Nella (Q.10) vengono eseguite operazioni fra le grandezze Q1 e Q2, anche queste non ter-
modinamicamente omogenee fra loro, in quanto Q2 rappresenta una quantità di calore a
tempe-
ratura più bassa, dalla quale non è possibile ottenere lavoro.
Questa efficienza, pertanto, non sempre è una grandezza significativa, perché, oltre a con-
frontare fra loro termini di diverso significato termodinamico, pone al denominatore la quan-
tità totale di calore spesa, indipendentemente dalle limitazioni che si hanno nella
trasformazione calore-lavoro.
Per questo motivo tale grandezza dà scarse informazioni sulla bontà del procedimento in
esame, il cui effetto utile andrebbe confrontato con l’effetto utile del migliore processo possi-
bile, oppure con la quantità di calore massima utilizzabile nello stesso processo; si
giunge, così alla definizione di rendimento del secondo ordine:
= -energia disponibile
utilizzata energia
disponibile spesa
La trasmissione del calore è il processo mediante il quale si ha scambio di calore fra due
corpi solo a causa di differenza di temperatura. Le leggi della trasmissione del calore non pos-
sono essere dedotte direttamente da quelle della termodinamica classica perché questa si
limita solo allo studio dei sistemi in equilibrio e sarebbe di scarso aiuto nei processi termici
che avvengono in assenza di equilibrio.
Lo studio dei processi di non equilibrio è demandato a una disciplina più complessa, la
ter- modinamica dei processi irreversibili.
uguale:
- alla somma della variazione di energia interna e del lavoro termodinamico compiuto, nel
caso di sistema chiuso;
-alla differenza fra la variazione di entalpia e il lavoro tecnico prodotto, nel caso di sistema
aperto.
3. Conduzione
Gradiente di temperatura
Se si congiungono tutti i punti di un corpo con la stessa temperatura, si trova una
superficie isoterma. Dette superfici non si intersecano mai, perché un punto di un corpo non
può avere simultaneamente temperature diverse.
La temperatura di un corpo varia quindi solo nelle direzioni trasversali alle superfici
isoter- me e la maggiore differenza di temperatura per unità di lunghezza è osservata nella
direzione normale alla superficie isoterma. L’aumento di temperatura riferito all’unità di
lunghezza in
questa direzione è detto gradiente di temperatura.
Il gradiente, quindi, è un vettore normale alla superficie isoterma, il cui modulo è uguale
al valore assoluto della derivata normale e il cui verso è quello delle temperature crescenti.
Esso si scrive grad T e vale:
grad T ---T-- =
nn
Se è data una certa regione S si dice che in essa è definito un campo di temperatura,
quando la temperatura è funzione dei suoi punti P e in generale anche del tempo t,
ovvero
delle coordinate x, y, z che definiscono il punto. Si scrive allora:
T = T (P, t) = T (x, y, z, t)
In coordinate cartesiane il gradiente ammette un’espressione
molto semplice:
Q-42 TERMOTECNI
C A
k–A =-
-T-- (Q.12)
n
dove si è indicato con:
- la potenza termica espressa in W;
-A l’area della sezione attraverso cui fluisce il calore in m 2;
- T/n il gradiente di temperatura nella sezione in °C/m;
Il segno meno è introdotto per soddisfare il secondo principio della termodinamica che
afferma che la potenza termica (positiva) si muove nel senso delle temperature decrescenti
(positivo quando T/n è negativo).
Il valore di k dipende dal materiale considerato e, per un dato materiale, dipende dalla
tem-
peratura
iso- tropo e dallaanche
è influenzato pressione: esso viene
dalla direzione deldeterminato
flusso . sperimentalmente. Per un corpo
non In sistemi nei quali la trasmissione del calore avviene per conduzione
monodirezionale, la
(Q.12) diventa:
k–A =
T-- --
x (Q.13)
In regime stazionario, l’andamento della temperatura può essere ricavato direttamente
dalla (Q.13).
Se però la temperatura del corpo varia con il tempo o se c’è generazione di calore entro
il corpo (per effetto Joule, per assorbimento di radiazioni, per reazioni chimiche o
nucleari
ecc.),
il problema diventa più complesso.
Si consideri un elemento infinitesimo dx (fig. Q.20). Per la conservazione dell’energia si
può scrivere la seguente equazione di bilancio per il volume elementare di spessore dx
(riferita all’unità di tempo):
Q-57
= c +h 1 = c A T1 – T2 i A h T1 – T2 =
+c A+ hih
1 T– T2 ( Q .42)
Parete piana
Assai frequentemente accade nella tecnica di dovere scambiare calore fra due fluidi, a
tem- perature diverse, che vengono tenuti separati fra loro per mezzo di uno strato di
materiale solido opportunamente configurato.
Nel caso particolare in cui le temperature dei fluidi possano essere considerate
uniformi e lo strato di materiale solido sia una parete piana semplice o multistrato,
riferendosi a una
gene-
Figura Q.29rica superficie Adelle
Distribuzione e ai temperature
simboli riportati nella figura
all’interno di unaQ.29,
paretenella
pianaquale è tracciato
indefinita
qualitativa- mente anche l’andamento della temperatura nei mezzi, si possono così
com- posta da più strati di materiale diverso e negli ambienti adiacenti.
scrivere le espressioni del flusso termico per unità di area, utilizzando le relazioni ricavate
precedentemente.
Q-59
· ps);
-entalpia dell’aria umida h = t + x (2500 + 1,9 · t) in kJ/kg aria secca (riferita a 1 kg
d’aria secca più gli x kg di vapore);
-temperatura media radiante: temperatura uniforme delle pareti nere che scambiano la stessa
quantità di calore delle pareti reali;
-temperatura dell’aria o temperatura di bulbo secco t bs = t: temperatura letta su
un termome- tro schermato e ventilato, pari alla temperatura t dell’aria umida;
-temperatura di rugiada t r, ossia la temperatura di saturazione del vapore a pressione pv,
for- nita dall’igrometro a punto di rugiada o ad appannamento;
-temperatura di bulbo umido t bu: temperatura letta su un termometro schermato, ventilato
e con il bulbo rivestito da una bussola umettata con acqua distillata.
un am- biente isotermo (pareti e aria) con velocità dell’aria minore di 0,4 m/s e umidità 50%,
che scambia con le persone lo stesso flusso termico di convezione e radiazione dell’ambiente
considerato;
-temperatura effettiva ET*, simile alla temperatura operativa ma con l’influenza della
sudora- zione.
Figura Q.34 Relazione fra indice di comfort PMV e percentuale di insoddisfatti PPD.
Q-66 TERMOTECNICA
Nella progettazione degli impianti vengono adottati i valori della tabella Q.15 che
tengono conto sia delle attività delle persone negli ambienti civili abitati, sia del vestiario
stagionale.
Q-67
-impianti industriali, per locali nei quali vengono privilegiate le esigenze della
produzione.
Gli impianti, in funzione del numero e della dimensione dei locali serviti, possono
suddivi- dersi in impianti di riscaldamento locale (stufe a legname, caminetti, stufe elettriche,
a gas, a combustibile liquido, generatori d’aria calda, pompe di calore) e impianti
centralizzati (con distribuzione di acqua calda o aria calda).
Un altro criterio di classificazione fa riferimento al tipo di elemento terminale
dell’impian-
to: impianto a radiatori, a convettori, a ventilconvettori, a pannelli radianti a soffitto o a
pavi- mento, ad aerotermi ecc.
Infine, per il tipo di distribuzione del fluido vettore termico (acqua calda), impianti
centra-
lizzati con distribuzione dall’alto, dal basso, orizzontale, a due tubi, monotubo ecc.
Vengono forniti gli schemi degli impianti riportati di seguito.
-Impianti con distribuzione dal basso (fig. Q.35): rappresentano il tipo più diffuso
nell’edili- zia classica fino all’ultimo decennio escluso; i vari corpi scaldanti (radiatori o
convettori) sono collegati da colonne montanti che alimentano gli elementi sovrapposti; un
doppio col- lettore nello scantinato collega le colonne montanti al generatore di calore; un
vaso di espan- sione chiuso permette la dilatazione dell’acqua conseguente al suo
riscaldamento; nei punti più alti di ogni colonna montante deve essere previsto uno sfogo
d’aria per consentire il com- pleto riempimento del circuito. Questo tipo di impianto permette
la contabilizzazione del calore solo con sistemi indiretti.
- Impianti con distribuzione orizzontale a due tubi (figg. Q.36 e Q.37): ogni unità immobiliare
è collegata a una colonna montante (collocata in un cavedio centrale); entro l’unità
immobi- liare i corpi scaldanti sono collegati attraverso una coppia di tubazioni (andata e
ritorno); al distacco dalla colonna montante può essere inserito un contatore diretto di
calore ed even- tualmente una coppia di valvole di intercettazione per la chiusura
dell’erogazione, in caso di morosità o di interventi sulla rete interna all’utenza.
Figura Q.36 Impianto di riscaldamento centralizzato ad acqua calda con colonne montanti e
distribuzione orizzontale a due tubi a circolazione forzata: SAM) sfogo d’aria
manuale; A) alimentazione; VE) vaso d’espansione chiuso; CC) contatore di
calore; UIA e UIB) unità immobiliari A e B; Sc) scarico.
Figura Q.37 Particolare di impianto con più unità immobiliari allo stesso piano, ciascuna
con proprio contatore di calore.
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE
Q-69
- Impianti con distribuzione orizzontale monotubo (fig. Q.38). L’impianto differisce dal prece-
dente solo per la distribuzione dell’acqua entro l’unità immobiliare: un unico tubo collega i
vari corpi
regola scaldanti eone
la distribuzi unadel
strozzatura (eiettore),
flusso dell’acqua fraassociata a una
il radiatore e ilvalvola diAnche
by-pass. regolazione,
questa la
soluzione per- mette cont abilizzazione diretta.
Corpi scaldanti
Il trasferimento dell’energia termica avviene attraverso terminali che possono
essere:
-radiatori in ghisa, in acciaio o in lega;
-convettori a circolazione naturale o forzata;
-pannelli radianti a soffitto o a pavimento;
-ventilconvettori;
-aerotermi.
Q-70 TERMOTECNICA
Sulla base del valore di e del salto termico previsto fra andata e ritorno dell’acqua ta – tr
si sceglie la dimensione del corpo scaldante sul catalogo del terminale adottato.
La somma delle potenzeG installate in ogni locale, con un4
c---- t---– - w
oGp portuno incremento per
--------
conto
tener delle perdite wnelle tubazioni, f a orn a
w
isceril dato
essela
per Dnd imo:ensionamento idraul
scel-t-a-v-d=ella tcaldaia.
--- -
-G w laDpoalrtdaitsaedginaocdqeulal’iinmkpgia/sntnoesl
i-c-o--------=d
itrcaatltcoodlaintuobiadziiaomneetcroindseildlertautboa; zioni tramite la
relazione:
-
la somma dei flussi termici erogati dai corpi scaldanti, serviti dal tratto di tubazione;
-c a il calore specifico dell’acqua, pari a 4,18 kJ/(kg °C);
-t a – tr la differenza di temperatura dell’acqua fra andata e ritorno in °C;
-d il diametro del condotto in m;
-v la velocità dell’acqua nel tubo considerato (tab. Q.23);
- w la densità dell’acqua, pari a 1000 kg/m3.
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE
Q-71
Contabilizzazione
La contabilizzazione permette di misurare il consumo di calore effettuato da un utente di
un impianto di riscaldamento centralizzato. Gli apparecchi di misura che effettuano corretta-
mente tale operazione sono:
-contatori diretti: inseriti al collegamento fra colonna verticale di distribuzione e il circuito
dell’utente, negli impianti con distribuzione orizzontale (figg. Q.36, Q.37 e Q.38), misurano
portata dell’acqua e differenza di temperatura; il prodotto, moltiplicato per il calore
specifico dell’acqua, integrato nel tempo, fornisce la quantità di calore consumata;
-contatori indiretti (o ripartitori): posizionati su ogni radiatore, integrano nel tempo la diffe-
renza di temperatura fra radiatore e ambiente; il risultato, moltiplicato per una costante
speri- mentale del radiatore, fornisce la quantità di calore erogata dal radiatore.
La differenza fra il calore prodotto dal combustibile (Qt = pc · Gc) e la somma delle
quan- tità di calore prelevate da ogni utente Qi, costituisce la quota Qd persa nella
produzione e nella distribuzione; pci è il potere calorifico inferiore del combustibile espresso
in J/kg e Gc è il consumo annuale di combustibile.
La spesa generale va quindi suddivisa in due quote proporzionali a Qd e a Qi; la prima
viene ripartita sulla base dell’impegno di potenza dei singoli utenti (millesimi di
proprietà) e la
seconda sulla base dei Qi.
Gli impianti con contabilizzazione esplicano il massimo del risparmio se sono introdotti,
sui radiatori o sul circuito idraulico dell’utente, termostati o cronotermostati di zona; essi
rego- lano la temperatura dell’ambiente in relazione alle esigenze dell’utente, evitando gli
eccessi di temperatura ed equilibrando squilibri di distribuzione del calore sempre presenti,
che impon- gono riscaldamenti eccessivi ad alcuni utenti privilegiati per fornire il minimo a
utenti disa- giati.
È utile che le unità immobiliari con contabilizzazione siano isolate l’una dall’altra
con
pareti di trasmittanza almeno di 1 W/(m2 °C) per ridurre le interferenze reciproche conse-
guenti a diverse temperature di regolazione (furti di calore).
provviste di doppi vetri e serramenti a taglio termico, isolamento del tetto o di altri
componenti l’involucro), viene effettuata una diagnosi energetica del fabbricato. Essa
consiste nel calcolo del carico termico nelle condizioni di progetto.
I consumi stagionali previsti si ottengono dalla relazione:
Qt = GG/(ti tc ) ·
essendo:
- il flusso termico consumato dal generatore di calore nelle condizioni di progetto;
- GG i gradi giorno della stagione invernale media o dell’anno specifico derivati dai dati
cli- matici;
-t i tc la differenza di temperatura interno-esterno di progetto;
- il rendimento termico legato al tipo di regolazione.
Essi possono essere messi in relazione con il costo di eventuali interventi sull’involucro
(isolamento del tetto, sostituzione infissi) o sui componenti l’impianto (caldaia), ovvero con-
frontati con i consumi effettivi, per valutare anomalie dell’impianto o dell’esercizio e, infine,
essere confrontati con i consumi di abitazioni similari.
11.5 Impianti di condizionamento dell’aria: tipologie e generalità
Tali impianti possono essere classificati come indicato nella tabella Q.17.
Tabella Q 17 Principali tipol ogie di impianti condizionamento de
Caratterist . Nome di Compito ll’aria
iche Fluido affidato Utilizzazione
principali utilizzato
A sola aria Locali a sola Aria Controllo Unico locale,
temperatura, cinema, hall di
aria alberghi, camere
umidità e operatorie
ricambi
A sola aria Multizone Aria Controllo Zone diverse
temperatura, di un locale
umidità e unico, pochi
ricambi locali simili
A sola aria A doppio Aria Controllo Più locali simili
condotto o temperatura
Ovviament intermedie, sce , enze tecniche e
e
esdiosptpo lte
inoocsaona
pumeridsiotàdde
lulezioni irsifcaarmebei sig
soprattutto eco nomiche. Aria + acqua Controllo Abitazioni,
Misti Ventilconvetto uffici, camere
ti di condiziona mentetomdpeerlalt
aElementi c omrui na i mpianti
sore di caduta di pressione, viene sostituito
ria-acqua d augelioiampian
dio condi
lavato.
’uarrai,a onodidoissp
-Batteria preriscaldamento invernale e raffreddamento e deumidificazioneeestiva.
Glidiele gdauÈliicosti-
toe
tuita menqalettata
da una batteria
elencati. oro da acqua caldazion
tuiacttpercorsa uammidnel
o refrigerata; eitnprimo
à ecaso
di
la
trasfor- mazionemtuè rappresentata
unbii agli i
dalla linea di salitato
1-2
e (fig. Q.39), nel secondo dalla linea
alberghi
di discesa 1-2 (solo raffreddamento) e nel terzo dalla linea 1-2-3 (raffreddamento e
rdicealml’abiria s
deumidifcazione, fig. Q.40).
-CaMmisetri sceAla.inIdnuez ne Alarima ariaCodnitrroicllio ia eUsftfeicrina E,
a di mi isosnaeavvie i+scaecqlauafr rcolo A e ar otte-
naerniad- celaa a temperatura,
to da un feltro o da
oaclqauam Mdue(fioga.
is o a rullo. L’elem entuomfiidltirtàanet
-Filtro dell’ari
Q.39). reicèamcobsititui o attraverso un sen-
a colo
un tessuto che il filtro sporco, rilevat
aqtuealtatrioat atmosferico;
muboivibili
trattiene il pulvis
IMPIANTI DI Q-73
CLIMATIZZAZIONE
x h-- = - ---
---- gm x gm
-c+ pwtw
delle quali la prima corrisponde all’introduzione di acqua sotto forma di vapore e la
seconda sotto forma di liquido; il significato dei simboli è il seguente:
- h/ x = pendenza della trasformazione;
- = flusso termico fornito al flusso dell’aria nell’ambiente in kW;
-g m = portata d’acqua introdotta in kg/s;
-r 0 = calore di evaporazione dell’acqua, pari a 2500 kJ/kg;
Q-75
- p il flusso di calore sensibile prodotto dalle persone secondo il tipo di attività svolta,
come indicato della tabella Q.22.
IMPIANTI DI Q-79
CLIMATIZZAZIONE
Oltre al carico termico, si calcolano le portate di vapore gm, espresse in kg/s, dovute alle
persone (nel caso esistano altre sorgenti di vapore vanno sommate) e le portate d’aria esterna
Ge, espresse in kg/s con le relazioni:
gm = np gp /(3,6 · 106)
Ge = np G’e a /(3,6 ·
106) essendo:
-n p il numero di persone presenti nel locale;
-g p la portata di vapore emessa da ogni persona in g/h
(tab. Q.22);
-G’ e la portata d’aria esterna richiesta da ogni persona
in m3/h (tab. Q.16);
- a la densità dell’aria assumibile in 1,25 kg/m3.
Figura Q.41 Schema di un impianto locale a sola aria: 1) ambiente condizionato; 2) presa
d’aria esterna con eventuale serranda antigelo; 3) camera di miscela; 4) filtri su
telaio; 5) batteria di preriscaldamento (a volte questo componente non compare
in quanto viene utilizzata per lo stesso scopo la batteria di raffreddamento e deu-
midificazione); 6) sezione di umidificazione a spruzzamento (o a vapore);
7) batteria di raffreddamento e deumidificazione estiva (o di pre-riscaldamento invernale in
sostituzione della 5); 8) separatore di gocce; 9) batteria di post- riscaldamento;
10) sezione ventilante; 11) condotto di mandata; 12) condotto di ripresa; 13) ventilatore di
espulsione; 14) condotto di espulsione.
Q-83
Q-85
Impianti di induzione
Sono usati in tutti quei fabbricati nei quali si voglia, con un unico intervento, spegnere o
accendere l’impianto. Differiscono dagli impianti a ventilconvettori per il terminale,
induttore, costituito da un mobiletto nel quale l’aria esterna viene introdotta attraverso piccoli
ugelli che attivano la circolazione dell’aria al posto del ventilatore.
Si calcolano quindi le cadute di pressione ptot iniziando dal circuito che alimenta il com-
ponente più lontano, sommando le cadute di pressioni distribuite (dp/dl)i · li a quelle localiz-
zate pl:
ptot = (dp/dl)i · li + pl
Per le cadute di pressione distribuite si può fare riferimento a formule specifiche in rela-
zione alla rugosità dei condotti utilizzati o, più velocemente, utilizzando i diagrammi della
figura Q.47 per l’acqua e della figura Q.48 per l’aria.
Q-86 TERMOTECNI
C A
Dal componente più disagiato si passa agli altri componenti, provvedendo a far sì che
sulla diramazione dal condotto principale la caduta di pressione equivalga a quella della
dirama- zione; in caso non si possa ottenere questo risultato esclusivamente con la
diminuzione dei dia- metri dei condotti, si introdurranno valvole o serrande di equilibratura
del circuito.
IDRAULICA
R-3
1. IDRAULICA
Idrostatica
1.
p g= h 13 6= 10 3 -k---g-- 9 81-m--
8 5 10 –3m =
m3 s2
Figura R.5 Spinta idrostatica e relativi diagrammi delle pressioni: a) su una parete inclinata;
b) su una parete verticale.
Nel caso in cui A1 = A2, si ha che A = A1 = A2 = D2/4, per cui S1 = S2 = pA. Se il
gomito è verticale e h è il dislivello tra i baricentri delle sezioni A1 e A2, si ha: p2 = p1 + ·
h; le due spinte parziali sono: S1 = p1 · A1; S2 = p2 · A2; a esse va sommato vettorialmente
il peso pro- prio Q = · V del liquido contenuto nel tratto di tubo di volume V (fig. R.6).
1.2 Idrodinamica
Moti dei liquidi
Le correnti liquide scorrono entro tubi (correnti in pressione) o in canali (correnti a pelo
libero).
Il moto delle correnti è detto uniforme quando i parametri del moto (velocità,
accelera- zione, pressione) non variano nel tempo, in tutti i punti della sezione
considerata; il moto è
detto permanente quando in ogni singolo punto i parametri non variano nel
tempo; il
moto è detto vario quando i parametri cambiano di valore nel tempo.
Portata
La portata massica Qm è il rapporto tra la massa in transito attraverso una generica
sezione e il tempo impiegato per transitare attraverso essa: Qm = m/t. La portata volumetrica
Q è il rapporto tra il volume in transito attraverso una generica sezione e il tempo impiegato
per tran- sitare attraverso essa: Q = V/t.
Tubo di flusso
Il tubo di flusso è un solido geometrico tridimensionale descritto con riferimento a una
linea chiusa qualsiasi ortogonale al flusso, tracciando istante per istante un insieme di linee
passanti per la linea chiusa e paralleli al vettore velocità (fig. R.8a).
La massa entrante in una sezione è uguale alla massa uscente da un’altra sezione a
valle.
La portata in volume può essere vista come la sezione A che trasla dello spazio l nel
tempo t e che quindi descrive il volume V = A l nel tempo t (fig. R.8b).
R-9
Equazione di continuità
Sia v la velocità media nella generica sezione: v = spazio/tempo = l/t; la portata è pari al
prodotto della sezione per la velocità: Q = A1 · v1 = A2 · v2 = ... = An · vn (fig. R.9). La
portata è costante in ogni sezione del tubo di flusso, pertanto velocità e area risultano
inversamente proporzionali, secondo la relazione A1 : A2 = v2 : v1.
Esempio
In un tubo con sezione A = 10 cm2 scorre acqua a velocità costante v = 0,6 m/s. Calcolare
la portata in volume Q.
Q = A v 1=0 10 0 66– 4 10= –4 m3/s
Principio di conservazione dell’energia
L – Ep = Ec
in cui:
- E p = variazione di energia potenziale;
- E c = variazione di energia cinetica;
-L = lavoro compiuto dalle forze esterne, attive e reattive, agenti sulla vena fluida.
Applicando il principio a una corrente liquida si evidenziano le seguenti forme energeti-
che:
-energia potenziale: E 1 = m · g · z, in cui z è l’altezza misurata fra l’asse del tubo e il piano di
riferimento, m la massa fluida e g la costante di gravità;
-energia di pressione: E 2 = m · g · p/ , in cui p è la pressione relativa nel fluido e il peso spe-
cifico o volumico;
-energia cinetica: E 3 = 1/2 mv2, in cui v indica la velocità media della corrente.
L’applicazione del principio a una corrente in moto permanente, generata da un liquido
incomprimibile e privo di attriti, conduce al teorema di Bernoulli.
v
Teorema di Bernoulli
La somma H dHelle trze al-tp-ez=ze- -,-2-g-e+o=metrica (oHgeodegticza),
tiene costante; la costante H è 2dgetta carico idraulico totale (f2ig. R.10). In altri termini
=p-Lie.meccani
l’energia
moto --zo--cmc-- +trc=tomplessiva
oae+s ica e cinetica, si man-
di una
aLparipmriamfoarmequulazione hdaelptero2ruenmitaà di
v
particceol+lastdi liquido ri mane inalterata
durante il
Bmeisrnuoraulili[èmd]i, ulasoseccoornrednatiel p[Jo/ikcgh]è: consente di
trat- tare le energie sotto forma di quote, rendendo agevoli le operazioni di calcolo.
R-10 MACCHINE A FLUIDO
Esempio
In un tubo posto orizzontalmente a un’altezza da terra z = 0,80 m scorre acqua in moto
permanente con velocità media v = 2,3 m/s e con pressione p = 2,2 bar; calcolare il carico
idraulico totale H in [m] e in [J/kg], considerando liquido e tubo privi di attrito.
Altezza piezometrica: 5
---2 2 =
1 0 ---------------------------
g----
p--22 9 81
Altezza cinetica: 14206001= m
v--2--2m---32-------------- 0=
-2g
H = 0,80 + 222 9,482=161 + 0,26962 = 23,49572 m = 233 J/kg
26962
Applicazioni
-A) I piezometri sono tubi aperti montati verticali sulla condotta: hanno funzione di manome-
tro, in quanto misurano l’altezza piezometrica.
-B) Il sifone è un tubo a U capovolto che consente il travaso di liquidi da un contenitore
posto a quota superiore a un altro posto a quota inferiore; il tubo ha i due tratti verticali di
lun- ghezze disuguali e le bocche d’estremità costantemente immerse nei rispettivi
contenitori.
Le variazioni delle tre altezze possono essere rappresentate graficamente sommando in
ogni sezione le tre altezze (fig. R.10)
Nel caso ideale la linea che si ottiene sommando le tre altezze geometrica,
piezometrica e
cinetica in ogni sezione ha l’andamento di una retta orizzontale ed è detta linea del carico
idraulico totale. La somma delle sole altezze geometrica e piezometrica è detta linea
piezome- trica.
Esempio
Tracciare le due linee di carico nel caso di un moto liquido ideale in un tubo ad asse oriz-
zontale di forma conica con riduzione della sezione (fig. R.11).
Le altezze geodetiche sono costanti, le velocità sono inversamente proporzionali
alle
ri-
IDRAULICA
R-11
Tubo di Venturi
Si tratta di un tubo a sezione circolare che, dopo un tratto a diametro costante, subisce un
restringimento fino a raggiungere una sezione minima. Successivamente la sezione torna a
cre- scere fino a riprendere il valore iniziale del diametro. Non necessariamente i tratti a
sezione variabile devono avere le lunghezze uguali (fig. R.12).
Il liquido entrante nella sezione ristretta presenta un aumento di velocità e una diminu-
zione di pressione; nel tratto divergente la velocità si riduce e la pressione aumenta. Il tubo di
Venturi trova applicazione pratica come strumento di misura della portata.
Esempio
Una portata Q = 0,8 l/s di acqua transita attraverso un tubo di Venturi avente d 1 = 8 cm;
d2 = 2 cm; d 3 = 7 cm. Trascurando le perdite, calcolare velocità, pressioni, energie e carico
idraulico totale H. Si assuma all’imbocco p1 = 3 bar. L’altezza geodetica sia z = 2 m costante.
R-12 MACCHINE A FLUIDO
A1 = d 1-20=084
2
= m
4
50 265 d10 – 0 022
2
A2 = ----2- 2 =3 m
4 4
1416 10 –4
=4 2
A3 =-d
24---30-
0=742----------- = 38
Le tre velocità:
48 10 –4 m2
v1 = -Q---- = -------0-----0---0---0--8--- ------0=159
m/s
A1 50 265 1 0 –4
v2 = - Q = 0 00 0
8
2=5465
= 98=12
p2 3=0 3581---0---0---
1 105
0 9 8 1-
bar
IDRAULICA
R-13
Viscosità
È l’insieme delle forze d’attrito che a livello molecolare si oppongono al moto di un
fluido, rallentandone la velocità. Avendo diverse velocità (fig. R.13), gli strati adiacenti di
liquido in moto si scambiano forze di natura viscosa, che sono espresse dalla legge reologica
dei fluidi newtoniani (formula di Newton):
F =S -
n---v--
L’intensità delle azioni tangenziali F di attrito agenti fra due strati superficiali di liquido
in moto risulta proporzionale all’area S della singola superficie e alla differenza delle
rispettive velocità v, inversamente proporzionale alla loro distanza n, proporzionale al
coefficiente di viscosità, più correntemente definita viscosità dinamica del liquido.
La viscosità dinamica è misurata in [N s/m2] = [Pa s]. Per l’acqua a 20 °C: = 0,001002
Pa·s, per altre sostanze liquide cfr. tabella R.3. Per i valori della viscosità dinamica dell’acqua
alle diverse temperature cfr. tabella R.4. Altra unità di misura della viscosità dinamica è il
poise (sottomultiplo il centipoise, cP) così definiti:
Dividendo la viscosità dinamica per la massa volumica del liquido si ottiene la viscosità
cinematica . Per l’acqua a 20 °C: = 10 6 m2/s. La viscosità diminuisce con la temperatura.
Il SI prevede come unità di misura della viscosità cinematica il [m2/s], noto
R-15
Esempio
Valutare il numero di Reynolds Re nel caso di una corrente d’acqua a temperatura ambie-
d2volume3Q =20,65
nte t = 20 °C con portata in 54 2l/s entro un tubo
2
avente diametro
4
interno d1
=
3''. A= -4--- = -------------------------
2 =
4 m
Velo
media:
Sceiztàione de4l5tu6boc:
–3
Q 0
m = 45,6 · 10 v- = = –4
- m/s
45
0=14p6
Valore di viscosità dinamica A
6er12l’a0cqua a 20° C: = 1,002 × 10
3 N2
s/m
Re = v 5 d 5 1 =0 0 1425 7 6120 837
100–02 –3
10=
Dal valore assunto dal numero di Reynolds si1d0e0d2uc1e c0he il moto è turbolento.
Figura R.15 Andamento della linea dei carichi totali per un moto reale.
La perdita di carico continua H viene espressa come frazione o multiplo dell’altezza ci-
netica. Nella formula compaiono: k una costante dimensionata [s/m2] di proporzionalità, v la
R-16 MACCHINE A FLUIDO
velocità media del liquido in [m/s], l la lunghezza della condotta in [m], R il raggio idraulico
o raggio medio, pure in [m]:
H
v2
k ----
R
=
l
Raggio idraulico
È definito come rapporto tra l’area della sezione liquida in [m2] e la lunghezza del con-
torno bagnato in [m]: R = A/C = sezione liquida/contorno bagnato; ove per contorno bagnato
s’intende quella parte del perimetro solido a contatto con il liquido. Nei casi di tubi di
diametro interno d, sia completamente pieni sia pieni esattamente a metà, si ha:
R -------A----r--
e--- -d--=
a------- =
- R =
Cadente piezometrica
s--i
4dC-- 4- on1torno
LLaa fpoerrmdiutaladgiecnaerriacloe cdoenl triangugaio Hidr–
vaiuelniecosopleirtaimteunbtn-----
-ieneeslpcra--
essosadciormieemppirmodeonttto
o ptraarzuianlae ccoo-l
pstealnotelibJeerolainltuenrgnhoeszoztatelsodedlalaulninaenag:olHo a=l
cJen· tlro[m]v. aLlae:costante J è detta cadente o pendenza piezometrica: è la perdita di
carico per ogni metro di percorso misurato lungo l’asse della con- dotta, o anche l’energia
espressa in joule dissipata da 1 N di peso di fluido che percorre 1 m.
Nella tabella R.5 si riportano i valori di: perdita di carico h r [m] per 100 metri di
lun-
ghezza di tubo in funzione del diametro, della portata di acqua [m3/h] e [l/min] e della
velo- cità v [m/s]. La tabella prende in esame una serie di diametri cui sono associati i valori
di portata più usuali.
R-20 MACCHINE A FLUIDO
Le perdite concentrate sono all’imbocco del tubo e nei due estremi in cui si l’allargamento
della sezione. Occorre assumere volta per volta il coefficiente K dalla tabella R.6. All’imboc-
co, essendo il diametro d del tubo molto piccolo rispetto alle dimensioni della parete della
va- sca, occorre riferirsi al caso d/D = 0 ottenendo K = 0,5.
Nell’allargamento del tubo per d/D = 0,8 si legge K = 0,13. Nel successivo
restringimento, per d/D = 0,8 si legge K = 0,18. Passando alle formule si ottiene:
v2 1 062 m
- imbocco: hi = k 2-g---- =209
- allargamento: --2---88--061---
5 -0----
- =
1 06
m
ha 0 102329008-
=
- restringimento: -7---4---1---=---
1 06
2--- 29
m
=
Il h totale è la somma delle singol0e 8h1r h = 0,0463 m. Infine, il carico
0peH1finale
totale: r8d0=i1Hteiniziale --–---h-= 32-2-,5-5 -–-5,525 – 0,0463 17 m.
0localizzate:
– H
Esempio 1
È data una condotta orizzontale lunga l = 550 m e avente diametro d = 0,25 m entro la
qua- le scorre una portata di acqua Q = 0,1 m3/s. Calcolare la perdita di carico H in [m].
Si calcolino la sezione A e la velocità media v:
d2 0 25 0 049087 =m2 =
A -4 -2-
=
--v-
4--
------A -
-0 -------0-----1--- ----- 2 037
-viscosità
Q
Si assumano i dati seguent -- i dall0e4t9a0b8e7lle
=
= 0,00098 Pa·s per acqua a temperatura ambiente; =
m=/s
R.4 e R.7:
-scabrezza e = 0,250 mm per tubi in ghisa:
Cadente: H = 25-g-5-0d--25 -- = 0
=
92024909841 --0----
J l - 95-5-0---4---9-- 0
01726
---H---= =
Esempio 2 =
Progettare una condotta in acciaio per un impianto chimico, lunga 35 m che deve smaltire
una portata Q = 11 l/s di alcool avente viscosità dinamica = 1,2 · 10 3 kg/(m s) e massa
volu- mica = 800 kg/m3. Viene inoltre richiesto di limitare le perdite distribuite a un
massimo di 1,2 m.
Si adotta un tubo in acciaio comune avente scabrezza assoluta e = 0,046 mm.
Si assumono dei valori di primo tentativo per il numero di resistenza e per il numero di
Reynolds: ~ 0,02 e Re ~ 100 000, in base ai quali si legge e/d = 0,0004.
=d e =
0 0
A = d 24-= 6--0 =2 –3
-4-m-m-
115
2
10 115
0004
4-------------
387 =0
m
10 0 0004
La sezione, la velocità media e il numero di Reynolds risultano:
IDRAULICA R-23
v-------
= Q- = 11 10– m/s
10–
-
Re 3=A -31=059
vd =101 059 0 1 1850 0
191 81=
387nel diagramma
Con questo valore si rientra di Moody e in corrispondenza a e/d =
0,0004 si legge = 0,0208. Si applica la formula di Darcy-Weis1bach:
H = 22 l 10 –3
v2-g--d-- -- =100592 35 m
Q 3-6--070---4-----2 06 =10
Q2 essendo l–a22 c06=os10
Per la formula di Darcy, m–2ta3n/tse = 0,0025, si ottiene:
= 5 0 00225
d=5 J
Con l’ausilio della--ta-b-e-l-l0-a-R-0.-51-8s-i-s-c-e-glie=u0n
1v4a3lore unificato, arrotondando
d2 a d0 =15150 mm.
La sezione A vale: A= -4--- =2
m
4----------- –2 12
v= =
m/s
--- 1 767 10–
La velocità della corre7n6te7: 1 0
2
1=2A1
6 Q- = 2 06 10–
R-24 MACCHINE A FLUIDO
a b
La sezione ottimale è la semicircolare, poiché offre la minima resistenza al moto. Per ra-
gioni di praticità costruttiva si preferisce adottare la forma trapezia che si avvicina notevol-
mente alla forma semicircolare (fig. R.20).
v C R i = C -f-
--g--= 8-
dove g è l’accelerazione di gravità e f è il numero di resistenza, ricavabile per consultazione
da tabelle o dal diagramma di Moody.
Il valore di C è oscillante tra un minimo di 20 e un massimo di 100, con valore medio di
50. Per ragioni di rapidità di calcolo, per corsi a lieve pendenza e con moto regolare, è
consen- tito inserire nella formula il valore medio C = 50; in tal caso il risultato è da
intendere come va- lore di massima.
Calcolo delle perdite di carico nei canali secondo l’ipotesi di Bazin
In base all’ipotesi di Bazin il coefficiente C da inserire nella formula di Chézy-Tadini è
funzione del raggio idraulico R e di un coefficiente B:
C 87 =
B
1 ------ +
R
Il coefficiente B dipende dalla scabrezza delle pareti del canale e viene desunto dalla ta-
bella R.10. In essa sono riportate tredici tipologie di manufatto denominate classi del canale
cui corrispondono altrettanti valori di B.
Alcune classi sono rappresentative anche delle correnti in pressione, per cui la formula di
Chézy-Tadini è applicabile anche al calcolo delle tubature di diametro superiore a 400 mm,
Evas-emloprieoche segna il limite di validità della formula di Darcy.
Calcolare la portata di un canale con la sezione di forma rettangolare di larghezza l = 2
m e con altezza di acqua h = 1 m.
Il rivestimento è in muratura di pietrame ordinario non profilato. Il fondo ha
pendenza me- dia i di 1 m ogni 2 km.
R-28 MACCHINE A FLUIDO
La portata vale:
Q = v A 0=84 1 628 = m3/s
2. MACCHINE IDRAULICHE
1. Macchine motrici
Le macchine idrauliche motrici convertono l’energia cinetica e/o potenziale di un fluido
operante, generalmente acqua o olio, in energia meccanica. Esse dispongono di organi mobili,
rotanti o alternativi, sui quali il liquido scarica la sua energia, e di un organo fisso con
funzione portante comprendente gli organi di regolazione del flusso.
Turbine idrauliche
2.
Generalità
La turbina idraulica è la macchina motrice impiegata nelle centrali idroelettriche per tra-
sformare l’energia dell’acqua in energia meccanica. La trasformazione dell’energia avviene
su un organo palettato rotante calettato sull’albero motore ad asse orizzontale, verticale o
anche inclinato. La struttura della macchina è suddivisa in una parte fissa detta statore e una
parte mobile detta rotore; il rotore e l’alternatore sono calettati sul medesimo albero motore.
Le tur- bine sono di tre tipi: Pelton (fig. R.21a), Francis (fig. R.21b) e Kaplan (fig. R.21c).
a b
c
Figura R.21 Rotore di turbina: a) Pelton; b) Francis; c) Kaplan.
A monte della turbomacchina, lungo le gallerie di derivazione o laddove la condotta
forza- ta fa il suo ingresso in centrale, sono previsti organi di intercettazione a forma di
valvola: con otturatore conico in grado di eseguire regolazioni fini di portata da 0 al 100%
per un dislivello a monte non superiore a 200 m; a farfalla se sottoposte a un battente
massimo di 300 ÷ 350 m; rotativa sferica per i più alti dislivelli.
Il distributore assolve alle funzioni di convogliare l’acqua con direzione controllata e di
far avvenire le trasformazioni di velocità e pressione necessarie affinché l’acqua investa le
pale
MACCHINE
IDRAULICHE
R-29
della girante in condizioni energetiche ottimali. Dal punto di vista fisico esso è assimilabile a
un tubo a sezione convergente in cui l’acqua per passare è costretta a incrementare la velocità
a spese della pressione. La girante è l’organo mobile della macchina: montata con asse
orizzon- tale, verticale o anche inclinato, ha il compito di ricevere l’energia dell’acqua sulle
sue pale e convogliarla all’alternatore tramite l’albero di trasmissione.
Considerazioni energetiche. Si indichino con le lettere a e b i due bacini, rispettivamente
il
serbatoio a monte e il bacino di raccolta a valle della prima turbomacchina. La caduta
disponi- bile, o salto disponibile, Hd, coincide con il dislivello geodetico: essa è anche nota
come salto motore, in [m]. Normalmente i due bacini si trovano all’aria aperta e sulle loro
superfici libere le velocità di flusso sono trascurabili, per cui applicando il teorema di
Bernoulli si ottiene Hd :
Hd = za zb
Non tutta la caduta disponibile si trasforma in energia utile o salto utile H u a causa delle
inevitabili perdite
cinetica dell’acqua di carico
allo scarico de+lla macchY dovute siay agliun’energia
2igna, cheYcostituisce = a-t-t-rresidua
-i2ti- y
entro
inutPilleoizcondotte
tzeantzae: sia all’energia
e rendimenti. Il rendimento idraulico è il rapporto tra l’energia
trasferita dall’ac- qua alla ruota, al netto delle perdite interne Halula=tuHrbdo–
mYacchina (Hu – Hw), e l’energia utile yHu resa H
=2-
c
----------
u –disponibile:
G Li = v
G gHu
Il rendimento organico o rappresenta l’energia destinata al funzionamento degli organi
ausiliari collegati alla turbina riferita all’energia totale prodotta dalla macchina. Moltiplicando
per o il lavoro interno e la poLtuenza inoterna si otteungonooil lavoro utile Lu e la
potenza utile
Il rendimento totale per le turbine idrauliche è generalmente alto, compreso tra 0,85 e
0,93. Gran parte delle perdite è di natura idraulica, essendo le perdite organiche e
volumetriche pari a pochi punti percentuali. La potenza utile [kW] vale:
Pu t Q H
=u
Concetto di similitudine fra due macchine
I sistemi fluidodinamici di due turbomacchine percorse da una corrente fluida in
condizio- ni assegnate si dicono meccanicamente o fluidodinamicamente simili quando
sussiste la simili- tudine geometrica delle macchine e delle linee di flusso.
I triangoli di velocità sono dunque simili, gli andamenti delle linee di flusso sono uguali,
il numero di Reynolds (se riferito ai rispettivi diametri massimi della girante) assume lo
stesso valore.
Infine, le perdite dovute alle resistenze distribuite e concentrate sono proporzionali alla
ve- locità del fluido elevata al quadrato: le condizioni di funzionamento alle quali si
raggiunge il rendimento ottimale sono simili.
Le grandezze ns, numero specifico di giri, e Qs, portata specifica, rappresentano la
velocità di rotazione e la portata alle quali deve operare la turbina campione avente diametro
D = 1 m e caduta Hu = 1 m affinché funzioni in condizione di similitudine fluidodinamica se
confrontata
con la turbina reale.
Numero specifico di giri:
nQs ns --------QD-- =
=Hu
AncPoorartpatiaù sapdeacttioficina:fase di avanprogetto, Dal2lorHquuando si
tratta di impostare le dimensioni della macchina, è il numero di giri caratteristico nc. Esso è
n Pu
funzione del salto utile Hu come pure di un obiettivo di valore strategico da raggiungere (la
n
Hu5
potenza utile) da parte del costrutto- re. Ilc numero caratteristico di giri nc è dato da:
--------
--- = 4/
dove nc è il numero di giri/minuto cui deve girare la turbina campione per erogare la
potenza
di
1 kW sotto un’altezza di 1 m, in condizione di similitudine fluidodinamica
rispetto all’originale.
Nella tabella R.11 sono riportati i numeri caratteristici per i principali tipi di
Tabella
turbina. R.11 diversi tiNpui mdei rtourdbiigniari
NuTmipeorodictaurrabtitnearistico caratteristico [giri/min]
di giri per
Pelton 5 ÷ 70
Francis lenta 60 ÷100
Francis normale 100 ÷ 200
Francis veloce 200 ÷ 450
Elica/Kaplan 400 ÷ 1000
MACCHINE
IDRAULICHE
R-31
Q (m3/s)
10
0,1
10 H
(m) 100
100
Figura R.23 Campi di impiego delle turbine Pelton, Francis e 0
Kaplan.
R-32 MACCHINE A FLUIDO
R-33
mentre la portata principale può essere chiusa in tempi decisamente più graduali, operando in
sicurezza. È anche possibile portare la turbina all’arresto completo regolando l’alternatore co-
me macchina frenante.
Figura R.26 Pala di turbine Pelton con deviazione del getto d’acqua sulla sua superficie.
Dalla formula di Torricelli con riferimento alla quota compresa tra il pelo libero a monte e
il getto sfociante dall’ago Doble in aria atmosferica si ottiene la velocità c1 [m/s]; nella
formu- la si introduce un coefficiente correttivo sperimentale per tenere conto delle perdite
nell’ago, pari al 2 ÷ 5% circa.
R-34 MACCHINE A FLUIDO
c1 2g H =
u
dove Hu è altezza utile in metri e g la costante di gravità.
La velocità c 1 del getto non deve superare i 200 m/s. Il valore di altezzaH u rappresenta
l’altezza trasformabile in energia cinetica all’interno dello statore, al netto delle perdite in
con- dotta e allo scarico:
Hu Hd= y– ----
2g c2
2-–
Il coefficiente di velocità periferica k è il rapporto tra velocità periferica della ruota e
velo- cità entrante dell’acqua sulla pala: k = u/c1. Esso ha abitualmente un valore di circa
0,45.
I triangoli delle velocità per i palettaggi sono rappresentazioni vettoriali della velocità
assoluta c1 all’entrata, espressa come somma vettoriale della velocità relativa w1 più la velo-
cità di trascinamento u1. Analoga considerazione vale per la velocità assoluta in uscita
c2. La velocità relativa w2 in uscita presenta un angolo dell’ordine di 10° ÷ 20° (fig. R.27).
Figura R.27 Triangoli delle velocità in entrata e in uscita nella pala della turbina Pelton.
Figura R.28 Rotore di turbina Francis: a) lenta; b) veloce (fonte: Alstom, Grenoble, Francia).
Li
y -------------- =
L
- + Lw --
L i
Hui-= g------
Il coefficiente k di velocità periferica, nel caso specifico della turbina a reazione, si
calcola con la formula:
u1
k =
2g Hu
I due triangoli di velocità sono usualmente disegnati affiancati e complanari, anche se per
una rappresentazione rigorosa è indispensabile una schematizzazione in tridimensionale. La
condizione ottimale si ha con angolo 2 il più prossimo possibile a 90° (fig. R.29).
R-36 MACCHINE A FLUIDO
Figura R.29 Triangoli delle velocità in entrata e in uscita per la turbina Francis.
R-37
Spesso sono impianti di grande potenza unitaria (fino a 160 MW) derivata dalle portate
dei fiumi (oltre 350 m3/s) in bassa velocità che investono gruppi di turbine in parallelo. Lo
schema usuale prevede una camera anulare a spirale che convoglia la corrente attraverso le
pale orien- tabili del distributore. La portata investe l’elica con moto dall’alto in basso,
dopodiché il diffu- sore curvo scarica il flusso ripristinando il moto orizzontale del fiume.
Per migliorare i rendimenti ( > 0,94) si è sviluppata la soluzione della turbina a bulbo
consistente in un’ogiva sommersa posta ad asse circa orizzontale, contenente tutto il gruppo
turboalternatore; in tal modo si evita la camera a spirale e le perdite di carico conseguenti alle
deviazioni alla corrente e si rendono sfruttabili salti di pochi metri (fig. R.31).
p1 v
z1 2 ---- ----1-
p
+ 2 +--z--22-= ----2-
2g
v
H+ +
Si definiscono l’altezza in aspirazion2e ha e l’altezza in mandata hm
come:
rispettivamente +
ha 1 --
p---=h
m
----g2-
22 2g
-21- -+v p g H la differenza tra=--le2-+
Si definisce prevalenza manometrica v --altezze in mandata e di aspira-
zione:
H = hm – ha
Sostituendo si ha: p2
H ----=
p1
-–
---
L’inserimento di una pompa (fig. R.32) genera un incremento della linea dei carichi
totali.
R-39
Potenza
La potenza idraulica è pari al prodotto del peso volumico per la portata in volume per la
prevalenza manometrica ed è espressa in [kW]. È anche detta potenza interna P i perché tra-
smessa dall’organo mobile al liquido ed è espressa come:
Q H
Pi
=1000
Moltiplicando la prevalenza per l’accelerazione di gravità, si trova il lavoro idraulico rife-
rito all’unità di massa:
Li = g · H
Rendimenti
Le perdite dovute agli attriti fluidodinamici del liquido sono rappresentate dal rendimento
idraulico y. Esso è definito in forma di rapporto tra la prevalenza manometrica H e la preva-
lenza totale (somma della prevalenza manometrica più le perdite di pressione p) e vale 0,7
÷ 0,9:
y
H p+
H-------
-------- =
Le perdite per trafilamenti e fughe sono rappresentate dal rendimento volumetrico v.
tot = y · v · m
R-40 MACCHINE A FLUIDO
R-41
-l’andamento pulsante della portata richiede la presenza di una cassa d’aria montata in uscita
per regolarizzarla;
-il regime di rotazione massimo raramente supera gli 800 giri/min; la velocità media del
pistone non supera i 40 ÷ 50 m/min. La portata massima giunge anche a 1000 m3/h;
-i rendimenti totali sono dell’ordine dell’85%;
-la portata è regolabile agendo sul numero di giri dell’albero motore;
-possibilità di pompare fluidi speciali, quali impasti di ogni tipo e densità, anche caldi e
aggressivi;
-a differenza delle pompe dinamiche, non necessitano di adescamento;
-hanno ingombro e peso maggiori rispetto agli altri tipi di pompa; hanno costo più elevato a
causa della maggiore complessità costruttiva, sia del sistema biella-manovella, sia dei gruppi
di valvole interne;
-hanno grande robustezza d’insieme, tanto che si conoscono realizzazioni aventi potenze
di oltre 140 kW per stantuffo e con pressioni massime sul singolo stantuffo di circa 150 bar
(con pompe pluricilindriche, fino a nove cilindri, si superano i 2000 kW di potenza con
pressioni in uscita di oltre 2000 bar);
-il rendimento volumetrico è superiore anche al 97%.
impone loro un moto radiale verso l’esterno: il liquido abbandona la girante e passa nel
collet- tore di uscita (statore) dove la pressione raggiunge il valore finale (fig. R.37).
-sono semplici da regolare; il metodo più conveniente consiste nell’intervenire sul numero
di
giri;
-sono adatte a pompare fluidi speciali molto densi, acque di scarico fognario, soluzioni
calde e corrosive, a condizione che i materiali delle diverse parti della pompa e i profili
palari
ven- gano scelti opportunamente;
MACCHINE
IDRAULICHE
R-45
- sono adatte per ottenere portate di ogni valore, dalle più piccole alle più grandi, grazie alle
molteplici soluzioni;
-non necessitano di casse d’aria per regolarizzare la portata, né di valvole interne;
-sono semplici da regolare; il metodo più conveniente consiste nell’intervenire sul numero di
giri;
-le pompe dinamiche non richiedono al motore sforzi in avviamento. Per le elettropompe si
impiega spesso un sistema di regolazione elettronica della velocità: in questo modo, oltre a
limitare l’assorbimento di corrente in avviamento, esso arresta la pompa gradualmente pre-
venendo i colpi d’ariete;
-non sono particolarmente indicate per ottenere le più elevate prevalenze, anche se non man-
cano soluzioni in proposito con giranti che ruotano a forte velocità o, meglio ancora, con un
cospicuo numero di giranti poste in serie;
-le turbopompe devono essere adescate: la camera di compressione e la tubatura di
aspira- zione devono essere piene di liquido; si provvede al loro riempimento attraverso un
foro con tappo a vite posto sulla sommità dello statore. Per prevenire lo svuotamento del
tubo, sulla
bocca di fondo della condotta aspirante è applicata una valvola di non ritorno;
-rispetto ad altri tipi di pompa hanno ingombri e pesi ridotti e quindi costi minori.
Figura R.39 Rotore di una pompa centrifuga a sette pale e con disco esterno (fonte: Pompe
Garbarino, Acqui, Alessandria).
La curva a 90° compiuta dal liquido genera spinte assiali, facilmente sopportabili sulle
macchine più piccole, più difficili da contenere sulle macchine di grandi dimensioni. In
questo caso si impiegano palettaggi simmetrici in blocco unico con ingressi contrapposti: una
pompa
R-46 MACCHINE A FLUIDO
con girante bilaterale è rappresentata in figura R.40. Nelle pompe per acque fognarie o per
so- stanze dense come la polpa di carta e le sostanze alimentari, per evitare intasamenti, la
girante è priva della corona e presenta solo due o tre pale a forma di vite.
Figura R.40 Sezione di una pompa centrifuga a girante bilaterale (fonte: VEB
Pumpenwerke, Halle, Germania).
La pompa multistadio è formata da un gruppo di giranti gemelle, dette stadi, calettate in
serie sull’albero motore. La portata transita in flusso unico da una girante alla successiva.
L’aumento di prevalenza è pari alla somma delle prevalenze ottenibili sul singolo stadio:
Htot = singolo stadio
H
In figura R.41 è riportata la sezione di una pompa centrifuga a più stadi. L’adozione di
più giranti deriva dall’esigenza di erogare maggior lavoro sul fluido, raggiungendo livelli
elevati di pressione senza eccedere nelle dimensioni del pompante.
Figura R.41 Vista di una pompa centrifuga a quattro stadi (fonte: JET spa, Reggio Emilia).
La pompa sommersa è un’elettropompa completamente immersa nel liquido da movimen-
tare, trattenuta da una fune o catena, con la parte elettrica ad alto livello di isolamento.
È adatta
MACCHINE
IDRAULICHE
R-47
-La portata è semplice da regolare: il metodo più immediato consiste nel variare il numero
di
giri.
-Molte realizzazioni non necessitano di valvole d’aspirazione e di scarico perché è lo
stesso organo operativo che impedisce il rigurgito.
-Esistono diversi modelli di pompa con effetto autoadescante.
-Sono adatte a pompare fluidi di ogni tipo, sia densi e viscosi quali gli oli, sia liquidi con
pressioni
intensi.
MACCHINE IDRAULICHE
R-49
Per il calcolo della portata esistono formule differenti, variabili a seconda del tipo di pom-
pa. In linea di massima la portata Q è data dal prodotto della cilindrata V per la velocità di ro-
tazione n ed è proporzionale al numero di giri dell’albero motore.
La potenza effettiva Peff è data al prodotto della
–3 prevalenza manometrica di
Q pressione H V n =
v10
per la portata Q diviso per il rendimen Ptoefftotale
sono
nelle complessivamen
La prevalenza
manutenzioni, Q
dei èvalori
indip :Hendente
te buoni
dei e=risentono
giochi dalla della precisione
velocità
definiti in fase di lavorazione,
didirotazione dell’albero della
progettazione. curaI
motore.
prestata rendimenti
Pompe a ingranaggi
Sono costituite da un corpo in acciaio all’interno del quale vi sono due ruote dentate co-
stantemente in presa, una delle quali riceve il moto tramite un albero esterno. Per la loro co-
struzione si adottano ruote a dentatura sia esterna, sia interna (fig. R.44). Le pompe a
ingranaggi non sono in grado di generare pressioni elevate. Sono molto usate nelle
applicazio- ni con liquidi speciali o ad alta viscosità quali oli, alcooli, inchiostri, vernici,
cellulosa, rayon, saponi. Funzionano bene anche con liquidi contenenti aria e gas disciolti.
Trovano vasta appli- cazione come pompe dell’olio nei motori endotermici, offrendo elevata
portata a fronte
di in- gombri ridotti (250 ÷ 350 l/h a circa 5 bar).
Figura R.44 Pompa a ingranaggi interni: 1) ruota motrice; 2) ruota condotta; 3) aspirazione;
4) mandata; 5) corpo pompa.
Esempio
Una pompa a ingranaggi interni ha le seguenti caratteristiche: cilindrata V = 49 cm3;
porta- ta Q = 104 l/min a 2200 giri/min; pressione p = 180 bar; rendimento complessivo =
0,8. Cal- colare il rendimento volumetrico e la potenza assorbita dal motore per far
funzionare la pompa.
La portata teorica è data dal prodotto della cilindrata per la velocità di rotazione
espressa
Q = V n 0=049 2120070 8 =
in giri/min:
l/m
in
v = Qreale 0=96
Q teo1r0ic7a si ottiene il rendimento
e portata810
Dal rapporto tra portata reale teorica
=
volumetrico:
4
R-50 MACCHINE A FLUIDO
La potenza effettiva è data dal prodotto tra prevalenza manometrica [Pa] e portata [m3/s]
diviso per il rendimento della pompa: –3
Peff = H Q = 1 1001705 8
180 425 40 kW
0
40= 96
Pompe a pistoncini
Sono distinte in due categorie a seconda del posizionamento degli stantuffi nel corpo
pom- pa: pistoni radiali o assiali. In figura R.45 è riportato lo schema di una pompa a tre
pistoni ra- diali (1-3): essi poggiano mediante punteria su un’unica camma ricavata
sull’albero motore. Ogni pistone scorre entro un cilindro fisso completo di testata, due
valvole interne e collettori di aspirazione e mandata.
Pompe a palette
Sono costituite da un tamburo rotante palettato che ruota eccentrico rispetto a una camera
cilindrica esterna di statore (fig. R.46). Le palette, spesso in numero dispari, sono vincolate a
scorrere entro il rotore lungo scanalature radiali e dividono lo spazio compreso tra rotore e
sta- tore in volumi variabili.
R-51
Nel corso della rotazione, a causa dell’eccentricità il vano compreso fra due palette è dap-
prima crescente per aspirare liquido, poi si riduce espellendolo. I profili ad asola delimitano
le bocchette di aspirazione e di mandata, dette luci a fagiolo per la loro tipica conformazione.
Pompa a vite
La pompa a vite è un’evoluzione della pompa a ingranaggi dalla quale deriva le modalità
di funzionamento (fig. R.47).
Le bocche di aspirazione e scarico sono collocate in posizioni opposte all’asse
cosicché il
liquido, intrappolato negli spazi compresi tra i filetti delle viti, avanza in linea retta
parallela- mente agli assi di rotazione, crescendo di pressione in modo discontinuo.
La produzione delle viti richiede il rispetto di tolleranze assai strette. Questa pompa
pre-
senta ridotte perdite per trafilamento e può raggiungere grandi valori di pressione e
portata a fronte di ingombri ridotti.
3. IMPIANTI IDRAULICI
L’impianto di pompaggio
1.
Architettura
Gli impianti idraulici sono formati da una pompa e una tubatura che trasferiscono il li-
quido da un serbatoio di partenza a uno di arrivo, più altri organi ausiliari quali bocchetta e
fil- tro aspiranti, manometri, rubinetteria.
Lo schema di riferimento delle componenti fondamentali di un impianto idraulico com-
prende:
-il serbatoio inferiore A col liquido da aspirare;
-il serbatoio di mandata B, il cui pelo libero è posto ad altezza hm dalla pompa.
In figura R.48 viene riportato lo schema di un impianto idraulico con il pelo libero dei
due serbatoi posti a pressione atmosferica.
R-52 MACCHINE A FLUIDO
H = hg + Y
-h g prevalenza geodetica in [m]: è la distanza misurata in verticale fra i peli liberi dei due
serbatoi:
h g = h a + hm
R-53
hb NhPa SH h + a + hv + Y a
dove:
-h b è l’altezza barometrica corrispondente alla pressione assoluta che agisce sul pelo libero
del liquido nel contenitore di aspirazione. È pari al rapporto tra pressione barometrica e
peso volumico del liquido (p/ );
-h a è il dislivello tra l’asse pompa e il pelo libero del liquido nella vasca inferiore; ha è
inserito
nella formula con segno negativo quando il pelo libero del liquido aspirato è più basso
dell’asse pompa;
-
h a è un margine di prevalenza di sicurezza dell’ordine di 0,5 m;
-h v è l’altezza corrispondente alla tensione di vapore del liquido alla temperatura di
esercizio, divisa per il peso volumico;
-
Y a è la somma di tutte le perdite di carico distribuite nella tubazione di aspirazione, più le
perdite concentrate nei raccordi, nella valvola di fondo, nelle eventuali saracinesche e curve;
-NPSH è un’altezza ricavabile da appositi grafici.
Il diagramma dell’NPSH in funzione della portata viene redatto dal costruttore in base a
misure sperimentali.
3.2 Le prestazioni del sistema pompa-tubazione
Impostazione del progetto
Prima di eseguire la scelta della pompa occorre descrivere l’impianto mediante la caratte-
ristica esterna hr , un grafico riportante l’andamento della prevalenza in funzione della
portata generata nel tubo; tale grafico è indipendente dalla pompa impiegata.
In essa compare una curva crescente al crescere della portata, con andamento circa
parabo- lico, non passante per l’origine, ma incidente l’asse verticale delle prevalenze. Il
punto di par-
tenza della curva si trova a una quota hg coincidente con la prevalenza geodetica
d’impianto.
La scelta della pompa
È il risultato di un confronto tra le curve caratteristiche di una o più pompe e la curva hr
rappresentativa dell’impianto. Il punto di intersezione M fra le due curve definisce la configu-
razione di funzionamento a regime. Nella figura R.49 sono riportate la caratteristica esterna
di un impianto e la caratteristica interna della pompa centrifuga.
Nel tratto iniziale la curva caratteristica della pompa deve risultare superiore sia alla quota
hg , sia alla caratteristica esterna onde garantire un margine di energia per vincere le perdite
di carico. La figura presenta una condizione di funzionamento corretto: viene erogata la
portata QM con prevalenza HM.
R-54 MACCHINE A FLUIDO
Figura R.49 Definizione del punto di funzionamento e del rendimento della pompa inserita
in un impianto.
Pompe in serie e in parallelo
Per incrementare le prestazioni di un impianto di pompaggio si ricorre a una o più pompe
aggiuntive. Il comportamento del sistema a due pompe, per quanto attiene prevalenza e por-
tata, è diverso a seconda che la seconda pompa sia montata in serie oppure in parallelo con la
prima (fig. R.50); nel caso di montaggio in serie: la portata massima rimane invariata; la
preva- lenza è pari alla somma delle singole prevalenze; nel caso di montaggio in parallelo:
la pre- valenza massima resta invariata; la portata è pari alla somma delle singole portate.
R-55
Opere di sbarramento
Le opere di sbarramento e di convogliamento hanno diversa conformazione a seconda che
si tratti di impianti a serbatoio o ad acqua fluente. Nel primo caso lo sbarramento è formato
da una diga, nel secondo da una traversa fluviale. Secondo il Regolamento Italiano,
approvato con
D.M. 24 marzo 1982, la classificazione completa di tutti gli sbarramenti è la seguente:
-dighe murarie;
-traverse fluviali.
Dighe
Le dighe sono classificate in due categorie, dighe murarie e dighe in materiali sciolti. Le
dighe murarie possono essere a gravità e a volta. Le dighe a gravità sono così denominate
per- ché resistono con il loro peso alla pressione di rovesciamento, cioè alla spinta
orizzontale delle acque dovuta alla pressione idrostatica.
Sono costruite in calcestruzzo armato; hanno andamento rettilineo e sezione trapezia
con
la base maggiore sul fondo, rigidamente ancorata al terreno sottostante mediante
fondazioni profonde.
Lo spessore si riduce procedendo dal basso vero l’alto, seguendo l’andamento lineare
della
pressione idrostatica espresso dalla legge di Stevin. Alla diga svizzera della Grande
Dixence
spetta il record mondiale di altezza: 284 m (fig. R.51).
Figura R.51 La diga a gravità della Grande Dixence (fonte: Energie Ouest Suisse).
Dighe a volta
Sono impiegate quando non si può fare assegnamento sul terreno di base per il conteni-
mento delle forze. Il loro profilo curvo, convesso a monte consente di deviare la spinta
longitu- dinale dell’acqua in direzione laterale, scomponendola in due forze inclinate che si
scaricano sui fianchi della montagna. Una variante intermedia è costituita dalle dighe ad
arco-gravità: la stabilità è affidata sia al proprio peso, sia alla forma arcuata in sezione
orizzontale.
Dighe in materiali sciolti
Le dighe in materiali sciolti sono formate da un cumulo di materiale inerte di natura roc-
ciosa, a sezione trapezia con falde inclinate da ambo i lati. La falda a contatto con l’invaso è
ri- vestita da un manto di tenuta in materiale bituminoso. Le dighe più alte sono irrobustite
mediante pareti interne in calcestruzzo con funzione di telaio irrigidente.
La piccola inclinazione delle falde genera un’ampia base di appoggio ancorata sugli strati
rocciosi inferiori grazie a fondazioni spesse e a pali verticali in calcestruzzo incastrati nella
R-56 MACCHINE A FLUIDO
roccia più compatta. In genere le dighe in terra sono di piccole dimensioni, ma non mancano
esempi di notevole sviluppo quali le dighe di Mattmark (Vallese, Svizzera) e di Serre-Ponçon
(Hautes Alpes, Francia), entrambe alte circa 120 m.
Impianti idroelettrici
L’invaso in quota costituisce il serbatoio nel quale viene conservata l’acqua proveniente
da torrenti e sorgenti. Il livello nel bacino non deve raggiungere la sommità della diga detta
coronamento, tantomeno scavalcarla precipitando a valle. Per ogni diga viene definito un li-
vello limite di riempimento oltre il quale deve restare una certa altezza libera detta franco di
coronamento.
Per far defluire l’eccesso di acqua sono previste canalizzazioni laterali sul fianco della
diga dette sfioratoi oppure paratoie mobili poste sotto al coronamento. Spesso sono presenti
gli
scaricatoi di fondo formati da tubazioni che attraversano la base della diga per svuotare
perio- dicamente il bacino.
Il fabbricato della centrale può trovarsi subito a valle della diga, ma anche a distanza di
parecchi chilometri; in ogni caso immediatamente a monte dello sbarramento è presente
l’opera di presa, a forma di torre, con funzione di collettore delle acque destinate alle mac-
chine, con griglie che trattengono la ghiaia.
Il condotto derivatore è un collettore a pelo libero o in pressione, all’aperto o in galleria,
che convoglia le acque con pendenze inferiori allo 0,1% dalla presa a un serbatoio di piccole
capacità a pelo libero, detto vasca di carico o bacino di compensazione.
Da esso si diparte la condotta forzata, formata da una o più tubature metalliche,
all’aperto, in tunnel o in forma di pozzo inclinato scavato nella roccia e rivestito in
acciaio o in cemento
armato. Dopo aver lavorato in turbina, l’acqua viene scaricata in un fiume o lago
attraverso condotti all’aperto o in galleria, detti opere di restituzione.
Sbarramenti fluviali
Hanno lo scopo di accumulare le acque creando un invaso che si estende a monte. Lo
schema tipico prevede un’unica opera costituita dallo sbarramento, la centrale e le paratoie
mobili. Il fabbricato della centrale comprende il locale macchine, di regola incorporato nella
zona centrale della traversa di sbarramento, affiancato da paratoie per regolare il deflusso
delle acque eccedenti.
Un’altra soluzione prevede lo sbarramento che trattiene le acque e le devia in un canale di
scarico a pendenza inferiore a quella del fiume e con il tracciato a esso parallelo; al termine
del
canale l’acqua compie il salto in centrale e si reimmette nell’alveo naturale. In entrambi i
casi si realizzano dislivelli di pochi metri e grandi portate, anche di centinaia di metri cubi al
secondo.
È spesso possibile edificare diversi sbarramenti lungo il fiume con il vantaggio di utiliz-
zare la medesima acqua più volte e, inoltre, di operare un governo delle acque in caso di
piena. In molti casi sono presenti conche per la navigazione e piccoli canali privi di
interruzioni per
consentire il periodico rimontare dei pesci lungo il corso d’acqua.
3.4 Il colpo di ariete
Genesi del colpo d’ariete
Il colpo di ariete è una forza interna alle condotte conseguente a rapidi aumenti di pres-
sione. Insorge in qualunque tubatura quando il valore della portata subisce improvvise ridu-
zioni come, ad esempio, in caso di arresto di una pompa o della chiusura di una valvola. Ogni
brusca variazione di portata è accompagnata da una successione di rapide sovrappressioni
alternate a depressioni che si propagano molto rapidamente lungo la condotta.
È un fenomeno improvviso e spesso sottovalutato, pur costituendo la causa di danni
alle
tubature, agli organi di intercettazione e alle pompe. Il colpo d’ariete non risulta
pericoloso nelle condotte brevi o in sistemi di pompaggio caratterizzati da alta prevalenza e
bassa portata.
IMPIANTI
IDRAULICI
R-57
Al contrario, è uno dei vincoli nella progettazione delle grandi condotte, come ad esempio gli
impianti idroelettrici, dove le masse in moto sono notevoli.
Usualmente la condotta dell’acqua è ripartita in due tratti principali: un primo tratto
in tun- nel a bassa pendenza (2), parte dal bacino di raccolta (1) ed è seguito dalla
condotta forzata ad
andamento assai ripido (4). Per scaricare l’onda di pressione che provoca il colpo
d’ariete, nel tratto conclusivo della galleria è previsto uno scavo verticale a forma di pozzo
(3) comunicante
con l’atmosfera, detto vasca di oscillazione o anche torre piezometrica (fig. R.52).
R-59
4. CALORE E COMBUSTIBILI
Il riscaldamento dei corpi
1.
Generalità
Il calore è una delle tante forme in cui si presenta l’energia e ha come unità di misura il
joule [J]. La temperatura è una misura indiretta del calore, essendo un indice dello stato di
agi- tazione molecolare. Il calore si trasmette spontaneamente dal corpo caldo al corpo
freddo; se due corpi a contatto si trovassero alla medesima temperatura, non si avrebbe flusso
termico né in un senso né nell’altro; i corpi a contatto tendono a raggiungere uno stato di
equilibrio ter- mico, cioè a scambiarsi calore così da raggiungere tutti quanti la medesima
temperatura finale: questo fenomeno è noto come livellamento energetico.
La caloria normale [kcal] fu definita come la quantità di calore necessaria per
innalzare la
temperatura di 1 kg di acqua distillata da 14,5 °C a 15,5 °C. Nei sistemi di misura britannico
e statunitense USCS il calore è misurato in BTU (British Thermal Unit). L’equivalenza
con
il joule è la seguente:
1 BTU = 1,05587 · 103 J
Esempio
Occorre raffreddare un volume di 150 litri di acqua da 35 a 15 °C. Calcolare la quantità di
calore Q che deve essere sottratta, in [kcal] e in [kJ].
Soluzione
Servendosi del concetto di caloria normale, si esprime il calore Q in kcal:
Q = c · m · t = 1 × 150 × 20 = 3000 kcal
Mediante la costante 4,186 si esegue il conguaglio dimensionale per passare in unità
SI:
Q = 3000 kcal × 4,186 kJ/kcal = 12 558 kJ
2. La temperatura e il calore
Il principio di misurazione
Le misure di temperatura possono essere soggettive o oggettive. Le misure soggettive
con- sistono in un giudizio personale, nei termini di caldo o freddo o, operando confronti tra
corpi, in termini di più caldo o più freddo. L’oggettivazione della misura della temperatura
viene ottenuta servendosi di strumenti detti termometri. Gli strumento più semplici sono i
termome- tri a bulbo, che si basano sul principio della dilatazione termica del mercurio. In
figura R.54 è
Figura R.54a Termometro
riportato un termometro a bulbo.
bulbo, con scale in gradi Celsius e Fahrenheit.
Scale termometriche
La scala Kelvin, detta anche scala termodinamica assoluta delle temperature, ha il suo
va- lore zero in corrispondenza dello zero assoluto, per cui tutte le temperature assumono
esclusi- vamente valore positivo. La scala di uso corrente è la scala Celsius, avente come
unità di misura il grado Celsius [°C] uguale all’unità kelvin [K]. La scala Celsius assume
valore zero in
R-60 MACCHINE A FLUIDO
La scala Fahrenheit, diffusa nei paesi anglosassoni, ha il grado Fahrenheit [°F] come
unità di misura. Essa assume valore 32 °F al punto di congelamento dell’acqua a pressione
atmosfe- rica e il valore 212 [°F] al punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica: il
grado Fahrenheit [°F] risulta più piccolo del grado Celsius; il rapporto tra le due unità è il
seguente:
1 °F = 5/9 °C
e la relazione di conversione tra le due scale è così formulata:
Dalla scala Fahrenheit deriva la scala Rankine, avente funzione di scala assoluta per il
sistema di misura anglosassone. Essa assume valore zero in corrispondenza dello zero
assoluto e, pertanto, i suoi valori sono sempre positivi. La relazione di conversione fra le due
scale è la seguente:
t [°R] = t [°F] + 460
Esempio
Una febbre influenzale vale 101 °F. Calcolare a quanti gradi centigradi
corrisponde.
Soluzione
t [°C] = (5/9) (t [°F] 32) = (5/9) (101 32) = 38,3 °C
Capacità termica
diverso materiale ma di uguale
Somministrando massa m,
una quantità questi Q
di calore si riscaldano in modo
in parti uguali disuguale,
a un certo a causa
numero della
di corpi di
differente
mico. C =
variazione dei mi
Q
cro movimenctai ldoerievfoarrinittiopi di m ole = -
colaSiinvestiti
variazione da
di termica tCemdpi eurnatmuarateriale il rapporto tra il calore
un flusso
definisce capacità ter-
la variazione di temperatura avvenuta per riscaldamento (raffreddamento):
fornito (sottratto) e
t J J
L’unità di misura è il rapCporto tr--a--e-n--e-r-g=iCa e
anche: °C -
temoperatura:
a seconda che ci si ------
riferisca alla scala delle temperature in gradi Celsius o in gradi Kelvin.
=K
Si definisce capacità termica massica c di un materiale il rapporto tra il calore fornito
(sot- tratto) all’unità di massa della sostanza in esame e la variazione di temperatura avvenuta
per riscaldamento (raffreddamento):
c=
calor e fornito
=
Q massa · variazione di temperatura m t
CALORE E COMBUSTIBILI R-61
c = 1 [kcal/(kg °C]
Dilatometria
Si prenda come riferimento un corpo solido di forma cubica costituito da un materiale
omogeneo. Se viene scaldato uniformemente, aumenta l’energia cinetica molecolare e, di con-
seguenza, aumenta lo spazio occupato da ogni molecola; ogni lato di lunghezza l subisce una
dilatazione l direttamente proporzionale all’incremento di temperatura t subito dal corpo; la
formula che esprime il legame di proporzionalità tra dilatazione e variazione di temperatura è
la seguente:
l= ·l·t
ove è il coefficiente di dilatazione termica lineare ed è una costante per ogni singolo
mate-
riale; in tabella R.15 sono riportati i valori del coefficiente per alcuni materiali.
4.3 La combustione
L’impiego del calore nelle macchine e negli impianti termici
Le macchine termiche trasformano il calore in lavoro meccanico o viceversa. Il
funziona- mento delle macchine termiche motrici od operatrici si basa sulla differenza di
temperatura fra
CALORE E
COMBUSTIBILI
R-63
fluidi o fra il fluido all’interno alla macchina e il fluido esterno. La differenza di temperatura
è ottenibile mediante reazioni chimiche (combustione) o azioni meccaniche (compressioni,
espansioni). Le macchine termiche dispongono di organi mobili, generalmente in forma di
palettaggi rotanti o stantuffi con moto alternativo, i quali scambiano energia con il fluido ope-
rativo agente all’interno della macchina stessa.
Con il termine di impianti termici si indicano i macchinari aventi come scopo la genera-
zione di fluidi caldi o freddi, principalmente acqua o aria, per impieghi sia industriali sia
civili; in questa categoria rientrano gli impianti di riscaldamento e climatizzazione degli
ambienti; i primi utilizzano il calore liberato dalla combustione, i secondi regolano il calore e
l’umidità dell’aria presente negli ambienti abitativi.
Combustione e generazione di calore
Scopo della combustione è la trasformazione in energia termica dell’energia chimica con-
tenuta nel combustibile. Il calore ottenuto dalla combustione viene sfruttato in campo indu-
striale, civile e domestico. Esso è destinato prevalentemente a essere trasformato in lavoro
meccanico; può anche essere usato per generare luce o per liberare potere dirompente, come
nel caso degli esplosivi.
La combustione è un insieme di reazioni chimiche di ossidazione tra una sostanza combu-
stibile, fondamentalmente formata da carbonio e idrogeno, e l’ossigeno contenuto
nell’aria
avente funzione di comburente.
Il carbonio e l’idrogeno reagiscono con l’ossigeno generando prodotti della combustione,
tra cui principalmente biossido di carbonio e vapore acqueo, più una quantità di calore Q che
viene liberata nell’ambiente:
carbonio + ossigeno biossido di carbonio + Q
idrogeno + ossigeno vapore acqueo + Q
Le reazioni chimiche che liberano calore sono di tipo esotermico, quelle che avvengono
assorbendo calore dall’ambiente sono di tipo endotermico. Nelle reazioni esotermiche di ossi-
dazione il calore Q viene espresso con il segno negativo per rappresentare l’energia termica
emessa dal sistema nell’ambiente esterno.
Lo svolgimento della combustione segue strade diverse a seconda che il combustibile e il
comburente siano entrambi gassosi, in parte gassosi e in parte liquidi e solidi, tutti liquidi o
so- lidi; nel primo caso si parla di combustione omogenea, nel secondo di combustione
eteroge- nea, nel terzo di sistema a fasi solide-liquide.
Le reazioni di combustione avvengono con presenza di fiamma solo nel caso di miscele
reagenti, cioè miscugli di combustibile e comburente capaci di reagire con una velocità di
rea-
zione sufficientemente elevata.
La propagazione della fiamma, o in alternativa l’innesco dell’esplosione, risultano
favorite o inibite a seconda della composizione della miscela, della pressione e della
temperatura pre- senti nell’ambiente in cui si svolge l’ossidazione.
Si definiscono esplosioni le combustioni che avvengono con propagazione assai veloce e
con grande aumento di volume. Le esplosioni sono suddivise in deflagrazioni se in presenza
di
fiamme e in detonazioni se ne sono prive.
La cinetica della combustione
Le miscele aria-combustibile realizzano combustioni assai rapide e a temperature molto
al- te, per cui è difficile distinguere le singole fasi con cui i processi chimici si succedono.
Il passaggio dallo stato iniziale in cui combustibile e comburente sono posti a contatto, a
quello finale, formato dai prodotti della combustione con emissione di calore, avviene
secondo una sequenza di reazioni chimiche a catena durante le quali si formano composti
intermedi at-
R-64 MACCHINE A FLUIDO
tivi noti come radicali liberi; questi composti sono caratterizzati da instabilità e
forte reattività. La velocità delle reazioni chimiche è influenzata dalle
concentrazioni dei
componenti, dal-
la temperatura dell’ambiente e dalla forma della camera di combustione impiegata. Alla con-
clusione delle reazioni si raggiunge uno stato di equilibrio chimico finale, noto come
combustione completa. La combustione viene considerata a tutti gli effetti un fenomeno irre-
versibile.
Una miscela di combustibile e comburente è detta stechiometrica se la composizione in
massa è tale da dar luogo alla combustione completa, ovvero senza eccessi di una sostanza ri-
spetto all’altra; un eccesso di combustibile rispetto al comburente genera sostanze
incombuste,
un eccesso di comburente dà luogo alla presenza di comburente inutilizzato nei fumi.
Le modalità della combustione nelle macchine termiche
Nelle macchine a rinnovamento intermittente di fluido la massa di combustibile e combu-
rente viene introdotta in camera di combustione in dose controllata, quindi viene bruciata ed
espulsa per lasciare spazio a una nuova carica fresca; nel caso dei motori ad accensione
comandata o a scoppio, la combustione è innescata mediante una scintilla formando un fronte
fiamma che si espande portando la combustione a tutta la carica. Nei motori ad accensione
spontanea la massa fresca introdotta in camera di combustione viene portata ad elevati livelli
di pressione e temperatura così da attivare il fenomeno dell’autocombustione.
Negli impianti a flusso continuo il combustibile e il comburente vengono introdotti
con una portata continua all’interno di un reattore detto focolare; un bruciatore provvede
a
misce- lare il combustibile e il comburente e a generare la fiamma (figura R.55). È
sufficiente inne- scare la combustione nell’istante iniziale, dopodiché le reazioni
procedono per tutto il tempo che si ha l’apporto di aria e combustibile. L’introduzione
ininterrotta di nuovo materiale man- tiene la fiamma costantemente accesa e la camera di
combustione sempre in temperatura. Que- sta tipologia è adottata negli impianti
termoelettrici, nelle caldaie generatrici di vapore o di acqua calda, negli impianti civili di
riscaldamento e termosanitari e nelle turbine a gas.
Figura R.55 Bruciatore per impianti a flusso continuo: 1) condotte del combustibile;
2) gruppo alimentazione aria; 3) camera di combustione. A destra: vista
della fiamma con sportello della caldaia aperta.
2H2O
CALORE E
COMBUSTIBILI
R-65
E --Q----=
Pci
La misura del biossido di carbonio nei fumi è un indice di completezza della
combustione: nel caso di carenza di aria comburente, si avrebbe la comparsa del monossido
di carbonio CO nei fumi, a fronte di una riduzione di CO2.
La misura della temperatura dei fumi serve per accertarsi che la combustione proceda in
modo completo ed efficiente: una temperatura troppo bassa indica una presenza eccessiva di
aria nel bruciatore; una temperatura troppo alta è dovuta a una combustione troppo intensa
per cui il calore emesso viene in parte disperso in camino.
Il potere calorifico dei combustibili
Si definisce potere calorifico superiore Pcs di un combustibile la quantità di calore pro-
dotta dall’unità di massa, o di volume se gassoso, in seguito alla sua combustione completa; il
Pcs comprende anche il calore di evaporazione contenuto dal vapore acqueo che è presente
fra i prodotti della combustione.
Si definisce potere calorifico inferiore Pci di un combustibile la quantità di calore
prodotta dall’unità di massa, o di volume se gassoso, in seguito alla sua combustione
completa; il Pci non comprende il calore di evaporazione contenuto dal vapore acqueo, che è
presente fra i pro- dotti della combustione.
Per entrambi, l’unità di misura è [kJ/kg], molto usato il multiplo [MJ/kg]. La tabella
R.16
pCd’aria
teori- co Mliassoslaidvi
riporta i valori dellatibi
massa volumica , delgassosi
eromdibvuesrtsibiicl o,lluimquiciadi e
P
potere calorifico
. cs
Volume d’aria teorica
superiore
fusi [m3/kg]
e del volume
eombus ombust[ikbJi/
tiche
Tabella R.16 Caratteris pr[ikngc/mip3a]l lkigp] iù dif
i dei c
Legna essiccata 300 ÷ 400 10 400 ÷ 14 3÷4
600
Lignite xiloide 600 ÷ 750 12 500 ÷ 21 4÷6
000
Litantrace 800 ÷ 850 32 000 ÷ 33 8,5 ÷ 10
500
Antracite 800 ÷ 850 32 000 ÷ 33 8,5 ÷ 10
500
Gasolio 810 ÷ 850 40 000 ÷ 44 11 ÷ 12
000
Benzine 730 ÷ 780 42 700 10 ÷ 12
Alcool etilico 790 26 800 8,3 ÷ 9,0
Gas d’altoforno 1,0 ÷ 1,2 3000 ÷ 4200 0,6 ÷ 0,8
Monossido di 1,25 a 0 °C 10 050 3,2 ÷ 4,0
carbonio
Metano 0,72 a 0 °C 50 000 15,7
Acetilene 1,18 a 0 °C 48 100 11
Idrogeno 0,09 a 0 °C 120 000 28
CALORE E
COMBUSTIBILI
R-67
-2 5U8100
94H - += + 2 5 0 023100
4 2 8- = 32 63
Pcs = Pci
-+ 61994 0 0- 4+4 MJ/k g
Atm = 0 115C 0 O– =
34 04U043S + --- 8 +
-4--- +CmiHmi 0 – 2
i
28C2H+ 0 0476n 4 +
m
i
0 4
L’unità di misura del fabbisogno di aria Atv risulta in (Nm3 di aria/Nm3 di gas), ove il
pre- fisso N identifica il normalmetrocubo cioè il volume di 1 m73imisurato
6O a pressione
atmosferica e a temperatura di 0 °C.
Nella pratica, in tutti gli impianti termici si fornisce una quantità d’aria superiore a quella
teorica. L’eccesso d’aria risponde alle seguenti esigenze: mantenere attive le reazioni di ossi-
dazione le quali, potendosi svolgere nei due sensi, tendono a raggiungere uno stato di
equili- brio e quindi a estinguersi; impedire la dissociazione della CO2, fenomeno
negativo che sottrae calore e in più produce il CO, gas tossico; rendere più facile la
reperibilità di molecole di com-
burente da parte del combustibile; compensare le perdite di aria per fughe nei bruciatori e
nei focolai.
Si definisce eccesso d’aria e il rapporto fra la quantità in massa di aria introdotta in
più ri-
spetto all’aria teorica e la quantità d’aria teorica:
e = aria effettivamente impiegata aria teorica–
aria teorica
Indicando con Ae la quantità di aria effettivamente impiegata, ovvero la somma
dell’aria
teorica Atm con l’aria in eccesso, si ottiene la seguente formula:
Ae = 1e+ tm A
con Ae espresso in kg di aria per ogni kg di
combustibile.
Per i combustibili gassosi è
’aria sufficiente
varia da un
Potere o un minimo
÷ 40%; per i sol idi l’eccesso d el 10 ÷ 20% per il carbone
finem del
eccesso di ariatodel
Combustibile a u10
cal
÷ 20%, per i liquidi del 30
Massa tteri
d zat Aria asedisolane.
za ente
polveriz simo
rifico
i1nt0fe0 ltre per le pez teoric
r%ioree Nella
tabella R.18 sono riporvtonltu o s iche ncipali per a cucreotmpb gas: la massa
volumica valutata mmiacsa pri
p = tere[kcJa/
l iù usgtiroo
n uni ipi di aria[ktego/
combustione, riferiti cara
1[kbJ/amr,3]il lkogr]ific o krgicdai di
a e le po unità di in[fmer3io/mr gas]
GTasanbaetlulraa a t olume sia all’ massa. e3dei l’
lRe .18 Car =[1kg5/m°C3] e gas] 17,4
a ipali 3 d 4e 7 i5 stib4i6li8g
i 9,5
sia all’unità di c0ombu 9a2ssos
v
atterist0ic,7h4
e princ
R-69
R-71
dei 360 °C evaporano gli oli pesanti, ovvero oli lubrificanti, paraffine e vaseline; il
residuo fis- so e solido costituisce coke di petrolio, resine, catrame, asfalti e pece (fig.
R.58).
viene in presenza di idrogeno in reattori ad alta pressione e temperatura; al termine del tratta-
mento si ottengono come sottoprodotti acido solfidrico H2S e ammoniaca NH3.
L’idrogenazione o hydrorefining è un ulteriore processo di produzione delle benzine e
dei
gasoli, che parte da materie grezze come carbone, lignite, catrame, residui di raffinazione.
L’idrogenazione avviene rompendo i legami molecolari delle grandi molecole e
aggiungendo simultaneamente idrogeno prodotto separatamente, in un ambiente ad alta
pressione (700 bar)
e alta temperatura (400 ÷ 500 °C) e in presenza di catalizzatori.
Benzine e gasoli sono impiegati per l’autotrazione. Essi sono insiemi di idrocarburi
liquidi ottenuti tramite i vari procedimenti su indicati e successivamente miscelati. Prima di
essere commercializzati, vengono arricchiti di additivi per rispettare le specifiche di qualità
previste dalle normative.
La destinazione principale del kerosene è come carburante per i turboreattori, sia per
l’aviazione civile (Jet-A1), sia per quella militare (JP8). Viene usato in minori quantità
come combustibile per stufe domestiche.
Gli oli combustibili per l’industria sono suddivisi in tre categorie commerciali, a
seconda
dell’impiego: Bunker C fuel oil, usato nell’industria, nelle centrali termoelettriche e per la
pro- pulsione navale; Heater oil, varietà pregiata per il riscaldamento; Heavy fuel, varietà
meno pre- giata per forni e caldaie industriali.
Alcuni combustibili liquidi di origine vegetale stanno gradualmente diffondendosi sia per
l’autotrazione sia per impianti di riscaldamento: sono in particolare l’alcool etilico o etanolo
C2H5OH, l’alcool metilico o metanolo CH3OH e il biodiesel.
Combustibili gassosi
Il più usato è il gas naturale: la sua composizione è variabile a seconda dei giacimenti di
provenienza, ma è in massima parte costituito da metano. Il metano è un gas inodore e incolo-
re, con un buon potere calorifico inferiore. La combustione di un Nm3 equivale alla
combustio- ne di circa 0,9 kg di nafta. È apprezzato per la sua purezza, per la combustione
poco inquinante e per la facilità di dosatura nel bruciatore: brucia perfettamente con una
fiamma ad alta tempe- ratura di colore blu intenso.
Il gas naturale ha soppiantato gli altri tipi di gas industriali prodotti in passato, quali i co-
siddetti gas illuminante, gas di gassogeno o gas di città. Il metano è largamente impiegato
pres- so impianti industriali, termoelettrici, per uso domestico come pure per autotrazione.
Sono richieste cautele, controlli e organi di sicurezza per prevenire fughe da condotte e
impianti, da- to che la miscela di metano e aria è esplosiva. Il suo immagazzinamento
richiede la costruzio- ne di serbatoi e gasometri, oppure lo stoccaggio e il trasporto in navi
metaniere o ancora la compressione in bombole per l’autotrazione.
Si sta diffondendo anche in Italia la tecnica del pompaggio in enormi cavità sotterranee,
quali ad esempio i giacimenti svuotati della pianura padana, in grado di accogliere milioni di
metri cubi di gas compresso: questa tecnica è detta reiniezione. I biogas emessi dalle
discari- che dei rifiuti urbani in seguito alla degradazione delle sostanze organiche hanno
come princi- pale costituente il metano.
Vi sono inoltre alcuni tipi di gas combustibile ottenuti come sottoprodotto di processi
indu- striali come il gas d’altoforno, o per pirolisi del carbone o con altri processi. Sono noti
come gas illuminanti, gas d’aria, gas d’acqua. Sono miscele di vari tipi di gas, soprattutto
CO, H2,
CH4, più quantità minori di CO2, N2, ma sono caratterizzati da poteri calorifici
modesti.
Il loro impiego per la produzione di calore è ormai ristretto.
L’idrogeno ricopre un ruolo assai ricco di prospettive future e in fase avanzata di
sperimen-
tazione. Esso costituisce un vettore energetico utilizzabile già da oggi sia per la
generazione di elettricità e calore, sia per il moto dei mezzi di trasporto, producendo
emissioni praticamente nulle.
I gas di petrolio liquefatti, meglio noti come GPL, sono formati da idrocarburi leggeri e
volatili derivanti dai processi di raffinazione, cracking e idrogenazione; sono presenti fra i gas
CALORE E
COMBUSTIBILI
R-73
Figura R.60 Curve di distillazione per combustibili liquidi: alcool metilico, alcool
etilico,
benzolo(o benzene), benzina, petrolio e gasolio.
CALORE E
COMBUSTIBILI
R-75
R-77
5. TURBINE A GAS
1. L’architettura delle macchine
Generalità
La turbina a gas è una macchina motrice endotermica rotante in cui si realizza il flusso
continuo del fluido operativo. Lo schema costruttivo di base prevede tre gruppi principali:
il compressore dinamico, la camera di combustione e la turbina. In figura R.61 è riportata
la sezione della turbina a gas di produzione General Electric, modello GE LMS 100,
destinata alla produzione di energia.
Figura R.61 Turbina a gas aeroderivativa GE LMS 100: a) ingresso; b) compressore a bassa
pressione; c) uscita verso l’interrefrigeratore; d) ingresso dall’interrefrigeratore;
e) compressore ad alta pressione; f) turbina bistadio; g) turbina a 5 stadi; h)
cono di diffusione; i) asse.
Il principio di funzionamento
L’aria viene aspirata dal compressore dinamico e compressa, quindi viene inviata nella
camera di combustione ove viene iniettato il combustibile, liquido o gassoso: la combustione
a pressione costante innalza l’entalpia del gas, che investe il palettaggio rotante della turbina,
trasformando la propria entalpia in lavoro meccanico.
Il lavoro raccolto sull’albero è utilizzato per muovere il compressore ed eventuali altri
organi, quali l’elica propulsiva o un generatore elettrico.
Schemi di impianto
I circuiti possono essere di tipo aperto (fig. R.62) o chiuso (fig. R.63) a seconda dei campi
di impiego.
Nella pratica ingegneristica attuale i cicli chiusi rivestono importanza marginale. Possono
avere uno o più alberi coassiali; il compressore e la turbina possono essere suddivisi in più
stadi interdipendenti.
Ulteriori macrocomponenti la cui presenza è vincolata al tipo di impianto sono i
gruppi di
interrefrigerazione, di postcombustione, di rigenerazione.
L’interrefrigerazione consiste nel far passare in uno scambiatore di calore l’aria
che
ha
subito una prima compressione parziale, allo scopo di raffreddarla per ridurre il lavoro di
com- pressione successivo.
La ricombustione o riscaldamento ripetuto si ottiene inserendo un bruciatore
supplementa-
re a valle della turbina per incrementare l’entalpia dei gas di scarico conferendo loro una
mag-
R-78 MACCHINE A FLUIDO
gior energia cinetica allo scarico in ugello; è usata nei motori per aeromobili da
elevate prestazioni (fig. R.64).
Figura R.62 Turbina a gas con circuito aperto: a) schema; b) ciclo TS.
La rigenerazione consiste nel far passare in uno scambiatore di calore l’aria uscente dal
compressore e i gas di scarico allo scopo di trasferire il calore dei gas combusti alla carica di
aria comburente per recuperare energia termica.
Nella turbina a gas sono inoltre presenti impianti elettrici, di pompaggio del lubrificante,
di iniezione del combustibile nel bruciatore, gruppi riduttori, sensori.
Applicazioni principali
I campi di impiego delle turbine a gas sono due, il campo aeronautico e il campo indu-
striale. Il primo campo comprende le turbine per la propulsione di aerei ed elicotteri, il
secondo le turbine per impianti termici e per la generazione elettrica. Le turbine per
aeromobili
TURBINE A
GAS
R-79
hanno forma compatta, sono di tipo bi-trialbero, non impiegano la rigenerazione e operano a
più elevate temperature; sono dotate, inoltre, degli elementi propulsivi (ugello, fan, elica,
inversori).
Figura R.64 Turbina a gas di tipo aperto con interrefrigeratore, postcombustore, rigeneratore.
Le turbine per impiego industriale sono a loro volta suddivise in aeroderivative ed heavy
duty; le prime sono derivate da modelli per aeromobili con modifiche ridotte, le seconde sono
progetti specifici per impianti fissi. Si sviluppano su dimensioni maggiori, sono spesso di
tipo monoalbero e sono progettate per il funzionamento continuo a velocità costante. Fanno
parte di impianti termici di grandi dimensioni e dispongono di organi per il miglioramento
delle pre- stazioni in termini di rendimento, consumi, emissioni, quali i gruppi di
rigenerazione e di in- terrefrigerazione.
Le velocità di rotazione variano da 3000 giri/min, per le macchine più grandi, fino a
20 ÷
30 000 giri/min, per le piccole. La velocità di 3000 giri/min permette l’accoppiamento
diretto con l’alternatore. I grandi impianti termoelettrici a ciclo combinato impiegano due o
più turbi- ne a gas in parallelo che scaricano i fumi in un GVR (Generatore di Vapore a
Recupero): in es- so si produce vapore ad alta entalpia destinato a una turbina a vapore
operante in cascata. Le
turbine a gas sono sempre più parte integrante degli impianti CHP (Combined Heat &
Power) di cogenerazione.
5.2 Il ciclo termico teorico
Il ciclo termodinamico ideale impiegato nella turbina a gas è il ciclo di Brayton-Joule
costituito da una compressione adiabatica, un’introduzione di calore a pressione costante,
un’espansione adiabatica, un’espulsione di calore a pressione costante; quest’ultima avviene
in uno scambiatore di calore se il ciclo è chiuso, con scarico in atmosfera se a ciclo aperto. Il
ciclo Brayton-Joule è riportato nella figura R.65a sul piano (p,v) e nella figura R.65b sul
piano (T,S).
Il rendimento del ciclo termico teorico di Brayton è definito come rapporto tra la
e il calore
potenzaunitario
idealeintrodotto Q1,termica
e la potenza a loro volTta
totale1funzioni delle temperature T1 e T2, o anche
= introdotta,
-- ovvero come rapporto fra il lavoro
–e2k di Poisson
del
porto Ldiidcompressione e della1costantT1=---
rap-ideale
1----- propria del
gas: –
-
–k---1-
k
R-80 MACCHINE A FLUIDO
Figura R.65 Ciclo ideale di Brayton-Joule: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S).
Il rapporto di compressione è definito come il rapporto tra la pressione massima e quella
minima riscontrate nel ciclo; nel ciclo di Brayton ideale esso è costante sia se misurato ai capi
del compressore, sia della turbina:
p2
= p1
Il rendimento del ciclo ideale di Brayton è uguale, a meno di un infinitesimo, a quello del
ciclo di Carnot, dato che è stato considerato come ideale, perfettamente reversibile e percorso
da un gas ideale. I calori scambiati coi termostati superiore e inferiore sono in tal caso ipotiz-
zati infinitesimi, per cui T2 T3 e T4 T 1. Il rendimento del ciclo ideale cresce in modo non
lineare al crescere del rapporto di compressione. La figura R.66 riporta l’andamento del
rendi- mento termico teorico in funzione del rapporto di compressione. Le tre curve indicano
i rendi- menti maggiori per i gas monoatomici, grazie al più elevato rapporto T2 / T1.
Figura R.66 Diagramma del rendimento termico teorico al variare del rapporto di
compres- sione.
TURBINE A
GAS
R-81
Figura R.67 Lavoro unitario in funzione del rapporto di compressione, al variare della
tem- peratura massima T3.
3 4
1
0
La turbina cede parte del suo lavoro per azionare il compressore: indicativamente
il
lavoro assorbito dal compressore è circa il 50 ÷ 60% del lavoro svolto in turbina.
TURBINE A
GAS
R-83
La1
Jpo /krtgata massica
-------- P---e–-ff ----
Ga di gas: 4-- kg/=s =
---- Leff 1
0--0-0-----21 16 76,19=t/h
89=
Parametri di funzionamento
Il rendimento totale o globale di tutto l’impianto I tiene conto anche delle perdite nel
combustore espresse dal rendimento del bruciatore b; esso è il rapporto tra il calore effettiva-
mente introdotto nel gas Q1 e il calore sviluppabile teoricamente, inteso come prodotto della
portata Gc del combustibile per il potere calorifico inferiore Pci.
Il calore Q1 viene espresso in forma di entalpia:
Q1 cp T3 –
b= =
Gc T2Pci Gc
Pci
Il rendimento dell’impianto o rendimento globale I è il rapporto tra la potenza utile o ef-
fettiva Peff [kW] e la potenza termica teorica data dal prodotto della portata massica Gc
[kg/s] del combustibile per il suo potere calorifico inferiore Pci [kJ/kg]:
R-84 MACCHINE A FLUIDO
I Peff
Gc
=
Il consumo specifico cs [g/kWh] è definitoPccoime la portata massica di combustibile
Gc di- visa per la potenza effettiva Peff ed è espresso come:
cs 1
=
Il rapporto aria/combustibile o dosatura è definito come il rapporto della massa d’aria
Pci Al crescere del rapporto aumenta la
introdotta nel combustore per ogni kg di combustibile.
I
diluizione del gas e la temperatura di ingresso in turbina (TIT) indicata nel ciclo con T3 tende
a diminuire:
b
= b
= PcQi – cp T 3 – T 2
P isurato come rapporto tra la portata
di combustibile G c e la 1– 1propulsiva F;cmèi denominato
Il consumo specifico in campo aeronautico viene
1 spinta Thrust Specific Fuel
Consumption (TSFC) ed è misurato in kg/(MN · s).
TSFC Gc
F
5.4 I componenti della turbina a gas =
Il compressore
Esso viene trascinato dalla turbina, essendo calettato sul medesimo albero. Sulle
macchine di piccola potenza, fino a qualche MW, il compressore è di tipo centrifugo mono o
bistadio; per tutte le potenze superiori si usa il compressore assiale, essendo più adatto a
smaltire grandi portate e avendo rendimenti superiori; si usano anche soluzioni ibride in cui
uno stadio centri- fugo è seguito da più stadi assiali. Ogni stadio assiale fornisce rapporti di
compressione
= 1,1 ÷ 1,3 e lavori unitari L = 20 ÷ 25 kJ/kg. Il numero di stadi varia tra 10÷20,
generalmen-
te 14 ÷ 17. Il rendimento del compressore è cresciuto negli ultimi anni fino a C =
0,8 ÷
0,89.
La presenza di palettature statoriche ad angolo di calettamento regolabile consente una
regolazione della portata d’aria a numero di giri costante e una prevenzione degli effetti di
stallo. La turbina a gas di figura R.61 dispone di un primo compressore assiale a sei stadi a
bassa pressione (LPC) seguito, a interrefrigerazione avvenuta, dal secondo compressore
assiale a quattordici stadi ad alta pressione (HPC). I due gruppi sono calettati su alberi
separati e coassiali.
Il combustore
Si tratta di una camera in cui avviene la combustione tra il combustibile iniettato e il com-
burente aria proveniente dal compressore; la temperatura dei gas s’innalza da T2 a T3 grazie
al calore liberato dalla combustione.
Il valore massimo di T3 trova un limite nella resistenza dei materiali alle sollecitazioni
ter- moelastiche, soprattutto negli organi più sollecitati, quali le pareti interne del combustore
ei
palettaggi delle corone della turbina: pertanto in camera di combustione i gas non
devono
su- perare temperature dell’ordine di 1200 ÷ 1300 °C, con punte di 1500 °C, mentre in
turbina so- no ammessi fra 500 ÷ 1000 °C.
Dato che la combustione ideale porterebbe la temperatura dei gas a circa 2500 °C, risulta
necessario un forte eccesso di aria per diluire i gas combusti e limitare la loro temperatura.
Impiegando una portata Gc di combustibile liquido avente potere calorifico inferiore
pari a
Pci = 41 500 kJ/kg e ipotizzando un valore di temperatura in ingresso combustore T2 =
400 °C a cui consegue un incremento di temperatura nel gas in combustore T2 T 3 pari a
750 °C, si
TURBINE A
GAS
R-85
Figura R.69 Schema funzionale del combustore con evidenziati i flussi di aria.
R-87
Esempio
Un impianto turbogas funzionante a metano eroga la potenza utile Peff = 30 MW. Il
metano ha un potere calorifico inferiore Pci = 50 MJ/kg. La temperatura dei gas all’uscita dal
compres- sore vale T2 = 420 °C, mentre la TIT vale T3 = 1250 °C; il valore medio della
capacità termica massica è cp = 1,085 kJ/(kgK). Si assumano il rendimento globale I = 0,38 e
il rendimento del combustore b = 0,9.
Calcolare la portata massica di combustibile Gb, il consumo specifico cs e la dosatura
.
Soluzione
P
Gb = --- ---e-ff--------
----------- 3
0 38 50 = 000
- ---
kg/s
Il consumo specifico:
00 0 0
I -----------------
1 =P 5
La portata di combustibile:
b
cp T3 – T2
P– = 0 9 50 – 1
=
ci1000 =491 085 12 50 –
420
5.5 Impianti a recupero, con interrefrigerazione, con ricombustione
Negli impianti a recupero il gas di scarico della turbina transita in uno scambiatore dove
cede il suo calore all’aria compressa uscente dal compressore, prima del suo ingresso nel
com- bustore (fig. R.71a).
Nel caso di uno scambiatore ideale, si riuscirebbe a trasferire il calore dei fumi Qrig, rap-
presentato da tutta l’area sottesa al tratto 4-6, all’aria compressa uscente nel punto 2 dal com-
pressore, risparmiando il combustibile necessario a eseguire il riscaldamento T 2 T 5,
essendo l’area sottesa al tratto 4-6 pari all’area sottesa al tratto 2-5.
Nel combustore occorre solo riscaldare da T 5 a T 3. Il ciclo si modifica come in
1b
. figura
R.7
a
b
5
1 2
3 4
1' 5 4
2'
2'' Q rig
2'
6
a
1' 1
Qin,1 Qin,2
4
4' Qin,1 A
34 3' 4'
1 2
B
2
4' '
a
1
Qex b
Figura R.73 Ciclo chiuso ideale con ricombustione: a) schema; b) ciclo TS.
La combinazione dei tre interventi conduce a impianti aventi rendimento tanto più elevato
quanto più numerose sono le interrefrigerazioni e le ricombustioni eseguite: sono noti come
impianti ICRRH.
Il limite concettuale è offerto da un numero teoricamente infinito di interrefrigerazioni
e
ri-
combustioni: il ciclo ideale, in tal caso prende il nome di ciclo di Ericson, rappresentato
in fi- gura R.74a, il cui rendimento è analogo a quello del ciclo di Carnot operante fra gli
stessi intervalli di temperatura essendo un ciclo ideale formato da trasformazioni reversibili.
In figura R.74b è riportato il ciclo di Ericson reale mentre in figura R.74c è riportato lo
schema di un impianto con due interrefrigerazioni, la rigenerazione e una ricombustione.
5.6 Le emissioni nocive e il loro controllo
Generalità
La combustione degli idrocarburi liquidi e gassosi comporta in generale la formazione e
l’emissione di sostanze inquinanti quali gli ossidi di azoto NOx, gli idrocarburi (HC)
incombu- sti e il monossido di carbonio CO. Nella turbina a gas, a causa dell’elevato
rapporto aria/com- bustibile molto superiore al rapporto stechiometrico, la presenza di
idrocarburi incombusti è
TURBINE A
GAS
R-89
numero di giri dell’albero della turbina entrante e aziona l’albero uscente che aziona l’elica
(fig. R.75a). È uno schema usato negli elicotteri.
Per velocità comprese fra 600 ÷ 1000 km/h, quindi subsoniche, il motore è di tipo
turbojet
o turbofan.
Il moto del mezzo è generato dal getto di gas combusti: essi trasformano nell’ugello di
sca- rico tutta l’entalpia residua in energia cinetica, dopo la prima parziale espansione in
turbina, così da ottenere la spinta propulsiva (fig. R.75b).
La turbina non genera direttamente la spinta ma serve unicamente a muovere il compres-
sore, per cui essi devono essere meccanicamente bilanciati.
La soluzione prevalente in campo civile e militare è il propulsore del tipo a by-pass o
tur-
bofan (fig. R.75c): in essa la turbina scarica i gas nell’ugello per l’espansione finale, ma
prende anche parte alla produzione di potenza propulsiva di tipo meccanico; la turbina è
ripartita in
due o tre stadi calettati su diversi alberi coassiali, due dei quali sono collegati con i due
stadi del compressore, il terzo aziona una ventola propulsiva frontale intubata, detta fan, che
convo- glia una notevole massa d’aria in direzione assiale verso lo scarico, detta aria di by-
pass.
Il rapporto di by-pass è espresso come la portata di aria di by-pass diviso per la
portata
di aria che prende parte alla combustione; varia fra 3 e 9, mediamente vale 5 ÷ 6.
F = Ga c Ga +c v – a 10 +
cG
R-91
Nomenclature
I motori endotermici vengono classificati secondo diversi criteri. In base al:
-sistema d’accensione del combustibile: motori ad accensione comandata per scintilla (AS)
o motori ad accensione spontanea per compressione (AC); i primi adottano il ciclo Otto, i
secondi i cicli Diesel o Sabathé;
-ciclo operativo: motori a quattro tempi (4T) o due tempi (2T);
-sistema di immissione del combustibile: motori a carburazione o a iniezione;
-sistema di alimentazione: motori ad aspirazione naturale o sovralimentati;
-sistema di raffreddamento: motori raffreddati ad aria o ad acqua.
Principi di funzionamento
La carica dei gas freschi proveniente dal collettore di aspirazione viene aspirata dal
pistone o pompata mediante un organo soffiante; viene introdotta nel cilindro attraverso la
val- vola o le luci di aspirazione e viene successivamente compressa dal moto di pompaggio
del pistone.
La combustione (spontanea o comandata) della miscela aria-combustibile innalza la
pres- sione e la temperatura del gas il quale, espandendosi, a sua volta trasferisce al pistone la
pro- pria entalpia, generando lavoro meccanico; i gas esausti sono espulsi dal moto di
pompaggio del pistone e fuoriescono nel collettore attraverso la valvola o le luci di scarico e
da qui nella marmitta.
Nei motori AS la carica dei gas freschi è formata da aria-benzina, nei motori AC da sola
aria: il gasolio è iniettato direttamente nella camera di combustione.
a
b
2. Testata
È il corpo superiore del motore. Può essere in blocco unico per i motori piccoli in linea o
a testate singole per i motori a cilindri contrapposti o a V oppure per i grandi motori AC. Fra
la superficie d’appoggio della testata e il fasamento superiore del basamento si interpone una
guarnizione di separazione fra le superfici dei due corpi a contatto.
I motori raffreddati ad aria hanno la camicia in ghisa piantata entro un cilindro esterno
alettato, solitamente in lega leggera. La testata, generalmente in lega leggera per i motori pic-
coli e in ghisa per i più grandi, ospita il gruppo distribuzione, la candela o l’iniettore del
gaso- lio, i condotti di ingresso dei gas freschi e di uscita dei gas combusti.
I condotti dei gas si possono trovare entrambi orientati dallo stesso lato (testata a
contro-
corrente) oppure su lati opposti (testata cross-flow) della testata. Internamente a essa sono
ri- cavati canali di passaggio del liquido refrigerante e di ricaduta dell’olio che ha eseguito la
lubrificazione degli organi della distribuzione. La testata chiude la sommità del cilindro,
crean- do un vano avente funzione di camera di combustione.
3. Pistone o stantuffo
È l’organo mobile del motore a diretto contatto con la fiamma e i gas caldi e collegato
meccanicamente alla biella mediante un perno detto spinotto. Esso trasforma il lavoro di
espansione dei gas caldi in una forza motrice F.
Indicando con pgas la pressione media esercitata dai gas sul cielo del pistone di
F pgas A p gas =
d, sialesaggio
ha: 4
----
=
d
Per il calcolo strutturale della biella, il valore medio della pressione
2 dei gas vale
indicativa- mente 30 ÷ 40 bar per i motori a ciclo Otto, 65 ÷ 80 bar per i motori a ciclo
Diesel e Sabathé. La forza F viene scomposta in una componente Fb diretta lungo la biella e
in un’altra compo- nente Fn perpendicolare alla parete del cilindro.
Sul perno di manovella la forza Fb viene scomposta in una componente radiale Fr agente
lungo la manovella e nella componente periferica Ft; moltiplicando la Ft per il raggio di
mano-
vella r o la Fb per il braccio d, si genera il momento motore Mt sull’albero. Con le
notazioni di
figura R.79 si ha:
cos
R-94 MACCHINE A FLUIDO
La velocità angolare [rad/s] è ottenuta derivando l’angolo descritto dalla manovella ri-
spetto al tempo:
ddt ---
---=
R-95
tenute per fucinatura, oppure in ghisa sferoidale. Le bielle in titanio sono usate nei motori da
competizione. Un dato geometrico caratteristico della biella è la lunghezza ridotta , definita
come rapporto tra il raggio di manovella r e la lunghezza della biella l misurata all’interperno.
I valori più usuali di sono compresi tra 0,2 ÷ 0,3.
Figura R.81 Nomenclatura dell’albero a gomiti o albero a manovelle (fonte: Mille ruote).
L’estremità terminale dell’albero presenta un mozzo flangiato per il calettamento del
vola-
no; l’altra estremità si prolunga con un perno su cui sono calettate la puleggia dentata che dà
il moto alla cinghia della distribuzione e la puleggia per la cinghia trapezoidale o poly-V di
tra- scinamento degli organi ausiliari; talora comprende la girante della pompa dell’olio e il
volano smorzatore. All’interno dei perni e dei bracci sono ricavati per foratura vani di
passaggio olio. Sia l’albero motore sia il volano sono fatti in acciaio legato o in ghisa
sferoidale.
6.Distribuzione
Ha lo scopo di eseguire e regolare il ricambio dei gas all’interno del motore; nei motori a
quattro tempi essa comprende l’asse a camme e la trasmissione del suo moto, le valvole di
aspirazione e di scarico in testa, le molle di richiamo, i guidavalvole, i sistemi di regolazione
del gioco o le punterie idrauliche.Gli schemi più comuni di distribuzione a valvole, riportati
in figura R.82, comprendono:
Figura R.82 Schemi di distribuzione a valvole in testa: a) ad asta e bilanciere; b) a leva oscil-
lante; c) a bilanciere; d) doppio asse camme in testa (DOCHS) (fonte: Mille
ruote).
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI
R-97
molla a C;
c)l’asse a camme in testa, due bilancieri
a b
struite in acciai ad alto tenore di nichel-cromo, con riporto di stellite sulla sede conica. Spesso
all’interno dello stelo è ricavata una camera piena di sodio che diventa liquido alle più alte
temperature di esercizio assorbendo calore.
La testa della valvola di aspirazione ha il diametro più grande di quella di scarico. Le
pulegge o le ruote dentate degli assi a camme hanno delle tacche di riferimento per consentire
la rapida fasatura durante il montaggio.
Con il termine fasatura s’intende l’insieme delle leggi e degli angoli di apertura delle val-
vole; è rappresentata con un diagramma circolare detto diagramma della fasatura: da esso si
evidenziano gli angoli di anticipo all’apertura, di ritardo alla chiusura e di incrocio (fig. R.84).
I sistemi di distribuzione più moderni dispongono di fasatura variabile, più stretta ai bassi
regimi e bassi carichi, più larga agli alti regimi.
Figura R.84 Diagramma circolare della fasatura per un motore a quattro tempi.
Nel motore alternativo sono inoltre presenti gli impianti di lubrificazione, di
raffreddamen- to, di aspirazione e filtraggio aria, di alimentazione/iniezione del combustibile,
l’impianto elet- trico, più gli organi ausiliari, di supporto/contenimento e di
insonorizzazione.
6.2 I cicli ideali
Cicli termici teorici
I cicli termodinamici ideali impiegati nei motori endotermici sono:
-ciclo Otto-Beau de Rochas (fig. R.85);
Figura R.85 Ciclo Otto ideale: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S).
Figura R.86 Ciclo Diesel ideale: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S).
R-100 MACCHINE A FLUIDO
Figura R.87 Ciclo Sabathé ideale: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S)
Per il ciclo Diesel il rendimento termico teorico è esprimibile in funzione del rapporto di
compressione e del rapporto di combustione a pressione costante definito come
rapporto tra il volume massico v3 al termine della combustione e il volume massico v2
all’inizio:
------
Diesel = 1 – --
1-- termicok1teoricok--è–esprimibile
Per il ciclo Sabathé il rendimento
---
in funzione del rapporto
di compressione , del rapporto di combustione–a1pressione k– -costante
1 e del rapporto di combu-
stione a volume costante definito come rapporto tra la pressione p3 al termine della combu-
stione a volume costante e la pressione p2 all’inizio:
1 k–1
Sabathé =1– –k1 – 1 k– 1
+
Confrontando i tre cicli a parità di rapporto di compressione e di calore unitario introdotto
Q1, il ciclo Otto ha il maggior rendimento termico teorico. Il rapporto di compressione
assume valori compresi tra 7,5 ÷ 11 nei motori a ciclo Otto, 15 ÷ 20 nei motori Diesel a
iniezione diret- ta, circa 22 nei motori Diesel con precamera.
Pressione media
L’area racchiusa dal ciclo termico teorico rappresenta il lavoro unitario ideale Lid;
moltipli- cando Lid per la massa di gas presente all’interno del motore che esegue un singolo
ciclo, si ot- tiene il lavoro ideale prodotto in un ciclo dalla massa dei gas; dividendo l’area
così espressa per la cilindrata si ottiene il valore medio della pressione interna, definito
pressione media pm espressa in N/m2 o più comunemente in bar o in MPa.
Cicli reali
Il ciclo reale è detto ciclo interno o indicato in quanto rilevato sperimentalmente misuran-
do istante per istante la pressione in un cilindro. In figura R.88 è riportato un esempio di
ciclo indicato Diesel nel piano pressione-corsa. La sottile area orizzontale nella parte bassa
del gra- fico rappresenta il lavoro di pompaggio in aspirazione e in scarico svolta dal pistone
ed è con-
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI
R-101
vo. È derivata dalla pmi decurtandola delle perdite di natura meccanica, di pompaggio e
dall’assorbimento di energia da parte degli organi ausiliari del motore. Tali perdite sono
espresse dal rendimento meccanico m e dal rendimento organico o.
pme m o
=
pmi
Figura R.89 Esempi di curve di potenza P e coppia M d. Sono indicati i regimi di potenza
massima nnenn e di coppia massima n Mdmax. La riduzione di coppia dal
valore massimo a quello corrispondente alla potenza massima è Md.
Il grafico della pme è qualitativamente analogo a quello della coppia motrice, con un
primo tratto curvo crescente seguito da un tratto decrescente; il punto di massimo si
raggiunge in cor- rispondenza del regime di coppia massima.
La potenza effettiva viene espressa in funzione della pme e della velocità di rotazione.
I
valori della pme sono compresi fra 6 ÷ 20 bar.
Rendimento volumetrico
La pme è proporzionale al riempimento del cilindro espresso dal rendimento
volumetrico
v; esso è pari al rapporto tra la carica dei gas freschi realmente introdotta per ciclo e la
carica teorica; è dipendente dalla lunghezza dei collettori, dal loro diametro e rugosità
superficiale, dalla sezione di passaggio a valvola aperta, dagli angoli di fasatura.
Consumi
Il consumo orario viene espresso in dm3/h o in kg/h. Il consumo specifico cs [g/kWh] è il
rapporto tra il consumo orario e la potenza effettiva. Viene diagrammato in forma di mappa
collinare detta piano quotato dei consumi: in ascisse è posta la velocità di rotazione, in
ordina- te la pme; il limite superiore è la curva di pme rilevata in condizioni di carico
massimo e piena alimentazione; le linee curve aperte o chiuse collegano tutti i punti a pari
valore di cs.
Il consumo specifico vale 400 ÷ 600 g/kWh per motori ciclo Otto a due tempi, 250 ÷ 380
g/kWh per motori ciclo Otto a quattro tempi, 240 ÷ 320 g/kWh per motori a ciclo
Sabathé per
autovetture, 190 ÷ 240 g/kWh per motori a ciclo Sabathé/Diesel di grosse
dimensioni.
Combustibili per i motori endotermici
I principali combustibili sono la benzina e il gas naturale per i motori a ciclo Otto, i gasoli
per i motori a ciclo Diesel e Sabathé. Il gas metano è largamente impiegato nei grandi motori
a ciclo Diesel per applicazioni stazionarie e per cogenerazione. Rivestono grande interesse
per il futuro l’impiego dell’idrogeno per motori AS e AC e del biodiesel.
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI
R-103
La figura R.91 riporta lo schema dell’impianto Bosch L-Jetronic; esso consiste in un con-
dotto principale in cui sono presenti un misuratore di portata d’aria entrante (10), un corpo
far- fallato con sensore di posizione (9) e valvola d’aria supplementare (15), una camera di
compensazione della pressione (7) che ospita un iniettore di benzina (8) per l’avviamento, un
collettore d’aspirazione su cui è montato un iniettore (5) per ogni cilindro, posizionato a
monte della valvola di aspirazione (multi-point injection).
L’iniettore a comando elettromagnetico spruzza la benzina con dosatura e fasatura
regolata dall’unità di governo (4); la benzina viene prelevata mediante elettropompa (2) dal
serbatoio (1), passa attraverso il filtro (3) e giunge all’iniettore con il valore di pressione
ottimale impo- sto dal regolatore (6); l’impianto prevede, inoltre, un interruttore termico a
tempo (12), un sen- sore di temperatura (13), un sensore dei gas di scarico a sonda lambda
(11); l’unità di governo interagisce con l’impianto elettrico formato dalla batteria (16), dal
distributore d’accensione
(14) e dall’interruttore d’accensione (17).
Per i motori più piccoli si adottano sistemi con condotto a forma di tubo di Venturi e
monoiniettore centrale (single-point injection). La benzina viene pompata all’iniettore a bassa
pressione (0,7 ÷ 1 bar) e viene spruzzata in modo continuo oppure intermittente a
seconda del tipo di impianto. Una serie di trasduttori provvede a trasmettere in tempo reale
dati riguardanti velocità di rotazione, portata d’aria, angolo di apertura farfalla, temperatura
del
motore, com- posizione dei gas di scarico.
Figura R.91 Alimentazione a iniezione elettronica tipo Bosch L-Jetronic (fonte: Automotive
Handbook, Bosch).
Impianto di accensione
L’impianto di accensione più largamente usato nei motori moderni è di tipo elettronico; è
formato da una centralina a microprocessore per la determinazione del valore ottimale
dell’an- golo di anticipo della scintilla, in base a una banca di valori memorizzati in forma di
mappatu- ra in funzione della velocità di rotazione e del carico.
Dallo schema di figura R.92 si nota una serie di trasduttori che trasmettono segnali di
aper- tura della valvola a farfalla (3), della temperatura del motore (6), della velocità e
della posizio- ne angolare dell’albero motore (7). La sonda misura la composizione dei gas di
scarico (5). Il segnale di comando elaborato dalla centralina (4) giunge alle bobine (2), da cui
parte un impul- so in alta tensione che viene inviato alla singola candela (1). Completano
l’impianto la batteria
(8) e l’interruttore di avviamento (9).
MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI R-105
I motori a ciclo Diesel e Sabathé basano il loro funzionamento sul principio dell’autoac-
censione del combustibile. I rapporti di compressione più elevati rispetto al ciclo Otto permet-
tono all’aria aspirata di raggiungere temperature dell’ordine dei 700 ÷ 900 °C in modo da
superare la temperatura di autoaccensione del combustibile. La camera di combustione è rica-
vata nel cielo del pistone (iniezione diretta) oppure è un vano alloggiato nella testata
(iniezione indiretta).
Non necessitano di impianto elettrico di accensione, salvo una candeletta a incandescenza
per l’avviamento. È presente un impianto di iniezione combustibile i cui componenti
principali sono il filtro, la pompa di iniezione, i condotti e gli iniettori. L’iniettore spruzza il
combustibile con un opportuno angolo di anticipo.
La pompa è in genere di tipo a pistoni rotanti in linea per i motori camionistici, a distribu-
tore rotante per i motori automobilistici: in entrambi i casi l’apertura dell’iniettore avviene
per
opera dell’onda di pressione proveniente dalla pompa.
Le soluzioni più moderne si basano sull’accorpamento della pompa con l’iniettore
(inietto- re-pompa) o sul sistema common rail in cui vi è una pompa a pistoncini radiali che
mantiene un condotto unico del gasolio costantemente sotto una pressione di oltre 1400 bar,
mentre l’iniettore è comandato elettronicamente.
R-106 MACCHINE A FLUIDO
6.7 La sovralimentazione
Essendo la potenza del motore proporzionale alla quantità di calore emesso durante la
combustione, ne deriva l’esigenza di provvedere a un’efficace alimentazione del cilindro che
comporti un adeguato riempimento, soprattutto ai regimi elevati e in generale di più frequente
utilizzo.
La carica dei gas freschi può essere incrementata grazie a un’azione esterna di pompaggio
eseguita da organi quali i compressori.
La soluzione più frequente è rappresentata in figura R.93. Essa prevede
l’adozione di
un
turbocompressore (2) azionato dai gas di scarico del motore (1) aventi un elevato
contenuto en- talpico; i gas cedono l’energia di cui dispongono a una turbina che pone in
rotazione un com- pressore coassiale; una valvola di regolazione waste-gate (3) garantisce la
pressione co-stante del gas in ingresso in turbina scaricando all’esterno la portata in eccesso.
L’aria compressa transita attraverso uno scambiatore isobarico (intercooler) aria-aria pri-
ma di pervenire al collettore di aspirazione.
La turbina a geometria variabile consente uno sfruttamento ottimale dell’energia dei gas
già dai regimi medio-bassi grazie a una corona di palette statoriche di guida del flusso; la loro
angolatura è comandata da un anello esterno.
Figura R.95 Vista in trasparenza di una marmitta catalitica con evidenziate le principali rea-
zioni chimiche.
R-108 MACCHINE A FLUIDO
6.9 Formulario
Velocità media lineare dello stantuffo
La velocità media [m/s] è proporzionale alla corsa c [m] e alla velocità di rotazione n
[giri/ min]. Assume valori compresi tra 9 e 18 m/s.
vm = 2 c · n
Rapporto aria/combustibile
Il rapporto aria/combustibile o dosatura è definito come il rapporto della massa d’aria in-
trodotta nel combustore per ogni kg di combustibile. Al crescere del rapporto aumenta la di-
luizione del gas e la temperatura massima del ciclo indicata nei cicli Otto e Diesel con T3
tende a diminuire:
b
=
PcQi
– 1 = cp bT3 – T–2
1 Pci
Portata di aria 1
La portata di aria Ga [g/s] è funzione della cilindrata V [dm3], della velocità di rotazione
n [giri/min], del numero di tempi h, della massa volumica dell’aria in ingresso [kg/m 3] e
del rendimento volumetrico v.
Ga V3-0-h---
-pme V n =
Peff 300
Pressione media effettiva h
La pressione media effettiva [bar] è funzione della coppia motrice C [Nm], della cilindrata
V [dm3] e del numero di tempi h.
R-109
Consumo specifico
Il consumo specifico cs [g/kWh] è definito sia come rapporto tra la portata massica di
com- bustibile Gc e la potenza effecttsiva Pe1ff, = sia come l’inverso del prodotto tra il
rendimento totale e il potere calorifico inferiorePPcicidel combustibile (circa 42 000 kJ/kg):
Alesaggio e corsa
Il rapporto alesaggio/corsa è indicativamente unitario. I motori aventi il rapporto
superiore a 1 sono detti motori lunghi, quelli con rapporto uguale a 1 sono detti motori
quadri, quelli con rapporto inferiore a 1 superquadri.
L’alesaggio D [mm] è un parametro che influisce sulla potenza del motore.
Assumendo la
potenza Peff in kW, la pressione media effettiva
4000 h pme in MPa, la velocità media del
pistone D=
vm in Ppefmf e i
v m dei cilindri i, si ha:
m/s e con il numero di tempi h e il numero
R-110 MACCHINE A FLUIDO
R-111
Il contenuto d’acqua
I generatori di vapore possono essere a piccolo, medio o grande contenuto d’acqua: il
con- tenuto d’acqua è definito come rapporto tra la massa d’acqua ospitata e superficie
riscaldata ed è espresso in kg/m2. Le caldaie Cornovaglia sono a grande volume d’acqua
(100 ÷ 200 kg/m2); le caldaie a tubi di fumo sono a medio volume (50 ÷ 100 kg/m2); le
caldaie a tubi d’acqua a convezione sono a piccolo volume (20 ÷ 50 kg/m2).
La camera di combustione può essere sia in depressione sia in pressione, a seconda della
forma e dell’ubicazione dei ventilatori (aspiranti e/o prementi). Nella zona superiore della cal-
daia è spesso presente un restringimento, detto naso, avente lo scopo di accelerare i fumi
nel loro moto ascendente in ottemperanza alla teoria del tubo di Venturi.
Il calore viene trasmesso dalla fiamma principalmente o per convezione o per
irraggia-
mento. Al primo tipo appartengono le caldaie a tubi di fumo e a tubi d’acqua di piccola e
media potenza. Al secondo tipo appartengono le grandi caldaie per centrali termoelettriche,
aventi i tubi orientati in senso ascendente a formare la schermatura delle pareti sui quattro lati
(fig. R.97).
R-112 MACCHINE A FLUIDO
Fluido prodotto
Le caldaie sono suddivise in generatori di vapore allo stato saturo oppure surriscaldato
con ampia gamma di pressioni, anche superiori al limite critico di circa 221 bar (caldaie iper-
critiche); generatori ad acqua calda, generatori ad acqua surriscaldata; generatori a recupe-
ro, che sfruttano il calore dei gas di scarico di motori endotermici o il calore prodotto dai
processi industriali; generatori a olio diatermico.
All’interno dei tubi delle caldaie a fluido diatermico scorre un fluido non acquoso di
origi- ne minerale o organica caratterizzato da un’elevata temperatura di ebollizione. Queste
caldaie
possono funzionare con temperature comprese tra 170 e 350 °C a pressione atmosferica.
Il fluido diatermico può essere impiegato come fluido operativo che trasferisce il calore agli
uti- lizzatori oppure per la produzione indiretta di vapore attraverso uno
scambiatore/evaporatore
di calore all’acqua posto superiormente alla caldaia.
Tipologie di costruzione
Le tipologie costruttive sono: a tubi d’acqua, a tubi di fumo, a fluido diatermico. Il primo
tipo comprende le caldaie a due corpi sovrapposti, dette caldaie a D, il cui schema è riportato
nella figura R.98, e le caldaie a irraggiamento di grande potenza.
Un caso a parte è costituito dai generatori a vaporizzazione istantanea, basati sul
principio
della lama d’acqua: un sottile strato d’acqua è interposto tra il focolare e il fasciame,
costruiti
concentrici.
R-113
Il focolaio
Il focolaio è la zona della caldaia in cui avviene l’incontro e la combustione tra il combu-
stibile e l’aria comburente. Il combustibile liquido o gassoso viene introdotto a getto continuo
e portato alla fiamma nella camera di combustione mediante bruciatore o iniettori orizzontali
detti lance. Il combustibile gassoso viene dapprima decompresso poi iniettato. Il combustibile
liquido viene preriscaldato per renderlo fluido e favorire la formazione di gocce fini. Il
combu- stibile solido viene bruciato o deponendolo su una griglia fissa o mobile, o
iniettandolo fine- mente polverizzato, o introdotto in forma granulare e mantenuto in
sospensione insieme a materiale sabbioso inerte, grazie a una portata continua di aria soffiata
dal basso (focolai a letto fluido).
7.2 Grandezze caratteristiche dei generatori di vapore
Vengono di seguito riportate le principali definizioni delle caratteristiche dei generatori di
vapore.
-Potenza del generatore P [kW]: è pari alla portata massica di vapore prodotto G v, espresso
in kg/s, moltiplicata per la differenza h, espressa in kJ/kg, tra l’entalpia del vapore uscente
dal
generatore e l’entalpia dell’acqua in ingresso nel generatore:
P = Gv · h
-Potenza teorica P c in camera di combustione: è ottenuta dal prodotto della portata massica
di combustibile Gc, espressa in kg/s, moltiplicata per il potere calorifico inferiore Pci del
com- bustibile, espresso in kJ/kg; essa rappresenta la potenza teoricamente liberata dalla
combu- stione completa del combustibile:
Pc = Gc · Pci
-Carico specifico volumetrico della camera di combustione C v: è definito come il rapporto
tra la potenza Pc e il volume della camera di combustione, espresso in kW/m3.
-Calore specifico superficiale della camera di combustione C s: è definito come il rapporto
tra la potenza Pc e la superficie irraggiata della camera di combustione, espresso in
kW/m2.
-Superficie riscaldata S: è la superficie dei fasci tubieri d’acqua lambita dai prodotti della
combustione, da calcolare secondo opportuni criteri.
barica con espulsione di calore all’esterno. La pratica del surriscaldamento a pressione costan-
te conferisce un ulteriore apporto di calore al vapore saturo secco, innalzando fortemente il
contenuto entalpico del fluido operativo.
I diagrammi del ciclo base di Rankine, senza surriscaldamento, sono riportati in figura
R.99a sul piano (p,v), in figura R.99b sul piano (T,S) e in figura R.99c sul piano (h,S); in
quest’ultima figura sono evidenziati la pressione di evaporazione p1 e quella di
condensazione po, il lavoro termico teorico in turbina L conseguente all’espansione
adiabatica ideale 3 ÷ 4 e l’espansione adiabatica reale 3 ÷ 5, cui corrisponde un lavoro
reale
pari alla distanza 3 ÷ 5 mi- surata in verticale.
Figura R.99 Ciclo ideale di Rankine: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S); c) sul piano (h,S).
R-115
Economizzatore
È uno scambiatore di calore che preriscalda l’acqua di alimento prima dell’ingresso in
cal- daia, sfruttando il calore dei fumi. Nelle grandi unità, l’economizzatore è posto a valle
dei sur- riscaldatori, nel tratto di inversione del moto dei fumi. In ingresso
nell’economizzatore la temperatura dei fumi è di 350 ÷4 00 °C, la temperatura
dell’acqua di
200 ÷ 250 °C. Per valori inferiori nelle temperature dei fumi occorre scegliere materiali
per i tubi resistenti alla corro- sione.
Preriscaldatore d’aria
Il calore posseduto dai fumi in uscita dall’economizzatore viene sottratto a vantaggio
dell’aria comburente. Il preriscaldatore può essere formato da tubi percorsi dall’aria e lambiti
esternamente dai fumi caldi, oppure da un tamburo rotante a bassa velocità costituito da
lamie- rini radiali (preriscaldatore Ljungström). Durante il primo mezzo giro i lamierini sono
investi- ti e riscaldati dal flusso discendente dei fumi, nel restante mezzo giro sono lambiti
dall’aria comburente che si riscalda con moto ascendente.
7.4 Interventi per migliorare il rendimento del ciclo di Rankine
Incrementare la pressione di vaporizzazione: al crescere della pressione di alimentazione
in caldaia, si riduce il calore latente di vaporizzazione. In prossimità del punto critico il calore
latente tende a zero. Esistono impianti funzionanti a pressione superiore alla pressione critica
pcr = 221 bar, detti ipercritici, nei quali l’acqua passa allo stato di vapore in modo continuo.
Diminuire la pressione di condensazione: in turbina il vapore viene sfruttato a fondo
fino
a entrare nel condensatore a una pressione assoluta di pochi centesimi di bar. Ulteriori
abbassa- menti di pressione rendono problematica la condensazione e obbligano a costruire
condensato- ri di dimensioni molto grandi.
Aumentare la temperatura finale di surriscaldamento: l’incremento della temperatura
massima del fluido operativo migliora il rendimento, come confermato dall’analisi del
ciclo
di
Carnot, preso come riferimento. La temperatura massima raggiunta dal vapore è di
circa
550
°C,
corrispondente al limite di tipo strutturale del materiale dei tubi.
Eseguire surriscaldamenti ripetuti (ciclo Hirn): il surriscaldamento consiste nel trasferire
calore al vapore saturo secco aumentandone l’entalpia; l’operazione avviene a pressione co-
stante facendo passare il vapore uscente dal corpo cilindrico entro fasci tubieri posti nella
som- mità della caldaia, ove le fiamme sono spente e i fumi estremamente caldi. Il vapore
surriscaldato compie la prima espansione nella turbina ad alta pressione (AP), erogando una
prima quota di lavoro; l’espansione si conclude nei pressi della curva limite superiore, con
una pressione residua e un’entalpia finale ancora rilevanti; il vapore ritorna in caldaia ove
subisce un secondo surriscaldamento che ne innalza temperatura ed entalpia, quindi esegue la
seconda espansione nella turbina
Figura a bassa
R.101 Ciclopressione
Hirn a due(BP), come rappresentato nella figura
surriscaldamenti.
R.101.
R-116 MACCHINE A FLUIDO
La rigenerazione
Essa consiste nell’eseguire ripetuti spillamenti di vapore vivo dalle turbine AP e BP per
poi inviarli in un gruppo di scambiatori di calore in serie, detti rigeneratori; lo scopo è di pre-
riscaldare l’acqua proveniente dal pozzo caldo tramite il calore ceduto dal vapore spillato. In
tal modo l’acqua fa il suo ingresso in caldaia con un elevato contenuto entalpico, per cui la
combustione soddisfa all’incirca solo il fabbisogno di calore latente di evaporazione.
Un ciclo rigenerativo ideale, costituito da un numero infinito di rigeneratori, sarebbe
assi-
milabile a un ciclo di Carnot: nella pratica costruttiva ci si limita a 6 ÷ 8 spillamenti
la cui
por-
tata massica per ciascuno vale il 5 ÷ 9% della portata totale misurata all’ingresso
del
corpo AP. In
figura R.102 è riportato lo schema del sistema di rigenerazione: a) caldaia; b)
surriscal-
datore; c) turbina; con P 1, P 2, P 3 si indicano gli spillamenti in turbina; d)
d condensatore; e)
b
pompa; f1, f2, f3 indicano i rigeneratori; con g1, g2, g3 identificano le reimmissioni del
conden- sato nel circuito di alimento; h) scambiatore di calore.
a
P
f3 f2 f1
3 Pc2 1
P
g2 g3
h
g1
R-117
v 2 h=
in cui h è il salto di entalpia che avvienee in ugello, rilevabile dal diagramma di Mollier (dia-
gramma entropia/entalpia che riporta i punti caratteristici delle trasformazioni e i relativi salti
di entalpia che misurano gli scambi di calore e lavoro).
Nel caso reale, tenendo conto degli attriti all’interno dell’ugello, la velocità è pari alla ve-
locità ideale moltiplicata per il coefficiente detto coefficiente di riduzione della velocità,
che vale 0,90 ÷ 0,95.
Esempio
Dal diagramma di Mollier si misura un salto di entalpia adiabatico isoentropico fra i punti
iniziale i con pressione pi = 30 bar e temperatura ti = 450 °C e il punto finale 1 con pressione
p1 = 20 bar e temperatura t1 = 388 °C. Calcolare la velocità del vapore in uscita dall’ugello.
Soluzione
I valori di entalpia per i due punti rispettivamente di ingresso e di uscita dall’ugello, letti
sul Ldiaagvrealmocmitàa vdei Mdioulsliceirt,a dsoenl
ov:aphoire=d3a3ll4’u0gkelJl/okge dei
ehn1tr=ata3s2u1l4paklJe/tktga.ggPieorrtaontatonteil, salto di
seenntazclapalticeaonlvearatlaceonhto=dhegi l–i
ehf1fe=tti1d2e6gkliJ/akttgr.iti, vale:
ve = 2 h2 = 126 10 5023 =
Allo scopo di ridurre la velocità del rotore, si impiega una doppia corona di palette
caletta- te sul medesimo mozzo, intercalate da una corona di palette statoriche avente
funzione di rad- drizzatore: questa soluzione è nota come ruota Curtis. La pressione permane
costante sulle due giranti e sul raddrizzatore intermedio, come raffigurato in figura R.104. La
ruota Curtis a due corone è solitamente impiegata come gruppo ad alta pressione (AP).
R-119
In figura R.105 è riportata la sezione di una turbina ad azione: il vapore proveniente dal
surriscaldatore fa il suo ingresso nel regolatore (1), entra nel colettore (2), attraversa l’ugello
De Laval, una ruota Curtis a due corone (3), attraversa quindi un gruppo di sei ruote Rateau,
precedute da altrettanti ugelli, (4) ed esce dalla camera (5). Il vapore uscente dal gruppo MP
rientra in caldaia nel risurriscaldatore per subire il secondo innalzamento di entalpia, solita-
mente a una pressione dell’ordine della decina di
bar. 1
2 3 4 5
hrotore hrotore +
hstatore
R-120 MACCHINE A FLUIDO
Il grado di reazione solitamente assume valori nell’intorno di 0,5. Nel caso di pale di
note- vole sviluppo in altezza, tipiche degli stadi conclusivi dove l’espansione si sta
ultimando, il grado di reazione è crescente dalla base verso la sommità del profilo palare; la
pala è fortemen- te svergolata.
Nella figura R.106 è riportata la sezione di una turbina a reazione; la lunghezza delle pale
è crescente nel senso del moto in quanto, procedendo l’espansione, lo spazio fra pala e pala
de- ve aumentare per ospitare il vapore sempre più espanso. Il salto di entalpia in BP avviene
con un elevato frazionamento, per cui si possono raggiungere anche oltre 200 stadi.
R-121
Figura R.108 Triangoli delle velocità in entrata e in uscita per la monoruota ad azione.
Si definisce il coefficiente di velocità periferica k come rapporto tra la velocità periferica
e la uvelocità
entrante ideale v e valutata assumendo = 1. Per
del coefficiente k:
la monoruota di De Lavali esso 4kcos e
k– =
assume valori nell’intorno di 0,5. Il rendimento indicato i è a sua volta espresso in
funzione
Il grafico del rendimento indicato in funzione del coefficiente k è una parabola, con
conca- vità rivolta verso il basso, passante per l’origine e avente il vertice, quindi il valore
massimo, in corrispondenza del valore kopt = ½ cos e. In tale condizione il rendimento è
massimo e vale
i,max= cos2 e.
Esempio
Calcolare la velocità periferica u e il rendimento indicato hi assumendo la condizione di k
ottimo, l’angolo di ingresso e = 18° e la velocità del vapore entrante, trascurando gli attriti,
vale ve = 500 m/s.
Soluzione
Il reInldciomeeffnitcoieintdeickaotopt vi:ale 0,475. La velocità periferica u:
0
i = 4kcos ue = kkv– = = 0 475 5400
9
Potenza indicata 0234=7c55om/ss18°475= – e
0
In base al teorema del momento della quantità di moto, la potenza indicata Pi è ricavata in
funzione della portata massica di vapore Gv in [kg/s] per la differenza fra le componenti tan-
genziali delle velocità assolute per la velocità periferica:
Pi Gv vut –
vet u=
Ruota ad azione a salti di velocità
L’adozione della ruota Curtis presenta il vantaggio di un coefficiente di velocità periferica
inferiore; nel caso della ruota a due corone si ha:
cos e
k= ---4-
- - - - - - - --
I quattro triangoli di velocità sono ri p o r ta t i in figura R.109 per la
condizione di rendimento ottimo. La velocità in uscita dalla seconda corona si
presenta orientata in direzione assiale.
R-122 MACCHINE A FLUIDO
Figura R.109 Triangoli delle velocità per la ruota Curtis a due corone in condizioni di
rendi- mento massimo.
Ruota a reazione
L’adozione della ruota a reazione consente di ottenere un rendimento indicato superiore a
quello della ruota ad azione. In condizioni ottimali, con palettaggi simmetrici e col grado di
reazione pari a 0,5, il rendimento indicato i vale:
2 cos2 e
i
=
sin2 e2 –
1
Il generico triangolo di velocità per la ruota a reazione è riportato in figura R.110. La
velo- cità relativa in uscita risulta maggiore della velocità relativa in entrata, a causa del salto
di en- talpia sviluppato sulla girante.
Nel caso del rendimento massimo, la velocità di uscita assoluta vu risulta assiale e il
coeffi- ciente di velocità periferica ottimo vale kopt = · cos e.
P Gv h =
R-123
Rendimenti
Dall’analisi del ciclo termico teorico sul diagramma di Mollier si rileva il rendimento ter-
mico teorico o rendimento ideale tt. È definito come rapporto tra il salto adiabatico isoentro-
pico in turbina e la differenza tra l’entalpia posseduta dal vapore e quella del liquido
all’ingres- so in caldaia. Il prodotto tra il rendimento volumetrico v e il rendimento indicato
i è pari al rapporto tra la potenza interna
vi e lGa vpeotehn1za–
tehr2mica teorica: ------------G=v h1 – h2'
Il rendimento volumetrico v rappresenta la percentuale di portata persa nei trafilamenti;
il rendimento indicato i esprime l’energia perduta nel corso del trasferimento dell’energia
dal vapore all’organo mobile della turbomacchina. Il rendimento meccanico m è espresso
come rapporto tra la potenza effettiva e la potenza indicata; esso indica le perdite per attrito
mecca- nico e per l’azionamento degli organi ausiliari:
m P---
Pi
--= e-f-f -
Il rendimento complessivo è pari al prodotto dei tre rendimenti, ovvero al rapporto tra la
potenza effettiva e la potenza termica teorica:
v i m --e-
-= Pftt-
P
Il rendimento di tutto l’impianto termico f-- I è pari al
rapp=orto tra la potenza effettiva e la potenza teoricamente sviluppata
dalla combustione della portata di combustibile
I P
Gceff:
Gc
Pci=
Consumi
Il consumo orario di vapore Gv, espresso in kg/h, è pari al rapporto tra la potenza
effettiva e il salto di entalpia ideale in turbina, corretto con il rendimento complessivo
Gv Peff
h 1 – h2
=
Il consumo specifico di vapore gv , espresso in kg/kWh, è pari al rapporto tra il
consumo
orario di vapore e la potenza effettiva:
gv
1
=
Gc h 1 – h2
-----= I
Il consumo orario di combustibile GP
c,effespresso
Pci in kg/h, è pari al rapporto tra la
potenza ef- fettiva e il prodotto tra il rendimento dell’impianto e il potere calorifico
inferiore:
R-124 MACCHINE A FLUIDO
=
8. COMPRESSORI EI
Principali tipologie
1.
VENTILATORIPci
Nomenclatura
I compressori, le soffianti e i ventilatori appartengono alla categoria delle macchine
opera- trici pneumofore. Sono macchine operatrici che trasferiscono energia di natura
meccanica al fluido aeriforme trattato, al fine di innalzarne la pressione e di imprimergli un
moto. Il rap- porto di compressione è definito come il rapporto = p2/p1 tra la pressione in
mandata p2 e la pressione in ingresso p1.
La differenza sostanziale tra compressori, soffianti e ventilatori risiede nell’incremento di
prevalenza p = p 2 p 1 imposta al fluido: nel caso di prevalenze inferiori a 10 ÷ 20 kPa,
la
macchina è un ventilatore, per prevalenze superiori a 15 ÷ 20 kPa, la macchina è una
soffiante o compressore (fig. R.111). Le soffianti hanno un rapporto di compressione
compreso tra 1,1 e 3, con velocità della girante comprese tra 1500 e 10 000 giri/min.
I compressori hanno rapporto di compressione superiore a 3 e velocità della girante
com-
prese tra 300 e 7000 gir/min.
Una prima suddivisione di massima ripartisce ventilatori e soffianti, a seconda del tipo di
moto impresso al fluido, in aspiranti, prementi, aspiranti-prementi e liberi. I compressori
sono
ripartiti in alternativi, dinamici, a capsulismi; a loro volta i compressori dinamici sono
suddi-
visi in assiali, centrifughi e misti.
Figura R.111 Suddivisione dei campi di lavoro per i ventilatori, le soffianti e i compressori.
8.2 Ventilatori
Applicazioni
I ventilatori sono impiegati per imprimere la circolazione dell’aria, per aspirare fumi, per
il trasporto pneumatico, per l’alimentazione di impianti industriali, di bruciatori e per la
clima- tizzazione degli ambienti.
COMPRESSORI E
VENTILATORI
R-125
Prevalenza e potenza
La prevalenza totale del ventilatore Ht [Pa] è definita come la somma della prevalenza
sta- tica hs e della prevalenza dinamica hd, funzione quest’ultima della sola velocità uscente
c 2, avendo trascurato la velocità entrante c1; considerando, inoltre, che il ventilatore aspira a
pres- sione e temperatura ambiente, si è imposto p = 0, per cui la prevalenza statica è pari
alla pres- sione manometrica in uscita:
1 1
2--- 2 c 2 Ht = hs + hd
hs =hp2
c--22-
d
vm = 2 C · n
Essa è compresa tra 1 e 5 m/s con punte di 8 m/s. La portata raramente supera i 7 m3/s.
La pressione di mandata va da pochi bar, nei modelli più piccoli, a un massimo di 350 ÷ 400
MPa.
Il principio di funzionamento
Nel ciclo di lavoro ideale nel piano (p,V) di figura R.114a il gas, aspirato dall’azione
di
pompaggio eseguita da parte dello stantuffo durante la corsa di aspirazione 1 ÷ 2, transita
attra- verso la valvola di aspirazione VA; nella corsa successiva il gas viene compresso
adiabatica- mente nel tratto 2 ÷ 3 fino all’apertura della valvola di scarico VS; nella restante
parte della corsa di ritorno 3 ÷ 4 il compressore funziona da pompa premente e invia il
gas compresso nel collettore di scarico.
Nel ciclo di lavoro ideale di figura R.114b sono evidenziati il volume di spazio morto, o
nocivo, Vm e la cilindrata Vc pari al volume spazzato dal pistone in una sua corsa tra i punti
morti PMI e PMS. Il rapporto fra il volume di spazio morto e la cilindrata vale 3 ÷ 5%.
Il
ci- clo reale o indicato, che tiene conto degli scambi di calore con le pareti e delle inerzie
nelle valvole, è riportato in figura R.114c.
Potenza e portata
Ipotizzando il ciclo ideale con volume di spazio morto nullo, l’area del ciclo si estende in
orizzontale tra l’asse delle ordinate e il tratto di adiabatica compreso tra la pressione iniziale
p1 e la pressione finale p2: essa rappresenta
p2 ilk lavoro termico
–kteorico
--1- Lid [J/kg] svolto dal
sistema per comprimere il gas.
Lid p1v dp –---------1- R
-----=T il lavoro unitario
Nel caso di una compressione isoterma,
k =
vale: 1k1–
Lid = R · T1 · ln
A pari rapporto di compressione, il lavoro isotermo è inferiore al lavoro adiabatico.
L’area racchiusa dal ciclo indicato rappresenta il lavoro indicato per un ciclo Li; la pressione
media indicata pmi è pari al rapporto tra lavoro indicato e cilindrata:
Li
pmi V=
La potenza indicata Pi [W] è funzione della pmi,
c della velocità di rotazione n, dell’alesag-
gio d e della corsa c:
pmi d42
n
Pi 60
c =-----
Il rapporto corsa su alesaggio c/d vale in genere 1,2 ÷ 1,5. La potenza
effettiva Peff è
Pi
otte- nuta dalla potenza indicata Pi a meno dei rendimenti indicato e meccanico:
P eff
---- = i
La portata in massa G [kg/s] reale è proporziomnale alla
cilindrata, alla massa volumica pos- seduta dal gas in ingresso e alla
velocità di rotazione:
G
=
V1 – V4
v = ----------------
v Vc 1k/ – 1
in cui v è il coefficiente di riempiment
dotto e della cilindrata: 1= Voc1che tiene conto del volume di gas realmente
intro- n
La potenza effettiva Peff è pari al prodotto della portata–reale per il lavoro indicato,
divisi GLi
per i rendimenti indicato e meccanico: P eff
---- = i
m
COMPRESSORI E
VENTILATORI
R-129
Nel caso di compressori pluristadio con rapporto di compressione totale non inferiore a 6,
si adotta il frazionamento della compressione fra due o più cilindri, montati a V oppure coas-
siali: in questo secondo caso è possibile utilizzare un unico pistone a diametri diversi, detto
stantuffo a gradini, avente il diametro maggiore per il primo stadio, minore per il secondo, via
via decrescente per gli eventuali stadi successivi. La suddivisione del rapporto di
compressione totale in rapporti parziali da attribuire ai vari stadi è calcolata in modo che ogni
stadio assorba il medesimo lavoro unitario di compressione. Siano il rapporto di
compressione totale e i il numero di stadi: il rapporto di compressione parziale i vale:
i=i
8.4 Compressori dinamici
Classificazioni e componenti principali
L’organo motore è la girante in forma di corpo palettato rotante (rotore) montato
sull’albe- ro motore. Nei compressori centrifughi il rotore ha la forma di disco con pale
radiali prolunga- te in avanti assialmente; similmente ai ventilatori, la pala può presentarsi
con andamento rettilineo radiale, retrogrado, diretto.
Il gas viene aspirato assialmente poi devia radialmente di 90°. All’uscita dalla girante
cen- trifuga il gas entra con alta velocità (200 ÷ 300 m/s) in statore ove riduce la velocità
e aumenta
la pressione.
Il rapporto di compressione per stadio raramente supera = 3. Le portate giungono fino a
100 m3/s, le potenze fino a 15 MW. Nei piccoli turbocompressori per la sovralimentazione
dei motori endotermici il regime di rotazione supera i 100 000 giri/min. La deflessione della
cor- rente gassosa sulla girante è causa di perdite per attrito fluidodinamico, per cui il
rendimento complessivo si assesta sullo 0,8.
Costruttivamente si distinguono a seconda della struttura dello statore, che può essere a
cassa aperta o a bicchiere (barrel): nel primo caso la cassa è formata da due semigusci uniti
sul piano meridiano orizzontale, nel secondo è in pezzo unico cilindrico con due coperchi
flan- giati alle estremità (barrel) o uno solo (bicchiere); la soluzione a cassa aperta è usata
fino a pressioni massime di 70 bar e portate fino a 300 000 m3/h; la seconda è adatta per
macchine
multistadio per pressioni elevate, fino a 700 bar.
Per grandi portate talora si ricorre a più giranti parallele di piccola dimensione mosse da
un unico albero motore. Per i più alti rapporti di compressione si adotta la soluzione multista-
dio. In figura R.115 è riportata una girante centrifuga con pala risvoltata in prossimità del
moz- zo.
Potenze e lavori
La potenza indicata Pi è espressa mediante l’equazione di Eulero in cui compaiono le
com- ponenti tangenziali delle velocità in entrata e in uscita; la Pi rappresenta la potenza
trasmessa dalla girante al fluido:
Pi
G c2t –
1ti
u=cP
2t –
i
L
mentre il lavoro indicato Li (la-vcoro Geuleriano)
--- u=
è pari al rapporto tra la potenza indicata
e la pIoprottaitzazmanadsosilcaa:compressione adiabatica, il
=
lavorc o1caso
Nel itndicato
ideale: può essere espresso in forma di variazione di
entalpia. Li = h2id –ch1 =
p T2id –
e nel caso reale: T1
Li = h2re –ch1 =
p T2re –
Nel caso frequente in cui la velocità entrante c1Tr1isulti
circa radiale, la sua componente tan- genziale tende ad annullarsi, per cui la
formula della potenza indicata si semplifica come se- gue:
Pi G c2t u =
e meccaLniacop:otenza
Peff -Peff è ottenuta dallaPpiotenza
effettiva
indicato ----------
indicata Pi a meno dei rendimenti
Proporzionamento ---i = m
Il proporzionamento delle giranti centrifughe, in particolare per quanto riguarda i rapporti
fra i diametri, è espresso dalle relazioni riportate in tabella R.21, riferite a tre tipi di giranti
rap- presentate in figura R.119
Figura R.119 Proporzionamento giranti centrifughe: a) con controdisco e diffusore non pa-
lettato; b) con controdisco e diffusore palettato; c) senza controdisco e diffusore
palettato.
R-134 MACCHINE A FLUIDO
pressione di mandata è limitata a 1,6 ÷ 1,7 bar. La portata è circa proporzionale al numero di
giri, specie nell’intorno del regime di targa, dato che il rendimento volumetrico decade ai
regi- mi più bassi e più elevati.
Cerchio
base Epiciclo
Epicicloide
R-135
ni adiabatiche non refrigerata 1-2-4 e refrigerata 1-2-3-4 con pressione intermedia pi, c on in
evidenza la riduzione di area 2-3-4-4 che si ottiene in seguito al raffreddamento.
Figura R.123 Schema di una compressione interrefrigerata a) schema a blocchi (1-2, 6-5,3-4
compressioni adiabatiche); b) le trasformazioni in diagramma (p,v).
8.7 Mappe dei compressori dinamici
Grandezze principali
Le grandezze che definiscono il funzionamento e le prestazioni di un compressore
dinami- co sono: il rapporto di compressione, la velocità di rotazione, la portata volumetrica,
il gas compresso, il rendimento totale, la potenza effettiva Peff.
Curve caratteristiche
L’insieme delle curve caratteristiche è rappresentato in un diagramma in forma di mappa
(mappa del compressore): in ascisse vi è la portata relativa (rapporto tra la portata generica G
e la portata volumetrica G0 di targa), in ordinate il rapporto di compressione bo = p2/p1 (o il
rap- porto di compressione relativo / 0); vi compaiono il punto di funzionamento di progetto
P0, le linee isorendimento continue sottili nelle figure R.124a e b intersecate dalle curve a
velocità relativa n/n0, ove n0 è la velocità di progetto.
P0
P0
Funzionamento instabile
Il limite sinistro della mappa è delimitato da una linea di frontiera detta linea di pompag-
gio, oltre la quale il funzionamento diviene irregolare con rischi di danneggiamento grave. I
fe- nomeni di instabilità sono riconducibili a due tipologie principali: il pompaggio e lo stallo
rotante. Il pompaggio consiste in un’onda di pressione che si propaga all’indietro lungo la
con- dotta del gas in uscita quando la portata subisce forti diminuzioni, costringendo la
macchina a lavorare con un rapporto di compressione ridotto. Lo stallo rotante è dovuto al
distacco della vena fluida dal dorso del profilo palare in occasione di brusche riduzioni di
portata, creando un campo di depressione sulla pala che induce vibrazioni intense. Entrambi i
fenomeni sono da considerarsi pericolosi per il funzionamento della macchina.