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I PRINCIPI DELLA

TERMODINAMIC
A

Q-3

1 . I PRINCIPI DELLA
TERMODINAMICA
Le particelle elementari che costituiscono un corpo sono caratterizzate da numerose coor-
dinate atomiche, che ne individuano posizione, stato di eccitazione e modo di interagire. Solo
poche di queste coordinate atomiche, però, sono osservabili macroscopicamente, in seguito a
operazioni di media statistica; tali operazioni portano alla determinazione di volume,
momento di dipolo elettrico, pressione ecc.
La termodinamica studia gli effetti prodotti da quelle coordinate atomiche non ottenibili
da equazioni di media statistica e quindi non osservabili macroscopicamente; essa evidenzia
l’esi-
stenza di modi atomici nascosti ai quali è possibile trasferire direttamente energia
sotto
forma di calore, mentre il lavoro è definibile come energia che agisce sul sistema in modo
meccanico operando sulle coordinate macroscopiche.
Grandezze termodinamiche caratteristiche
1.

La termodinamica è una teoria generale, applicabile a qualsiasi tipo di sistema avente qua-
lunque proprietà meccanica, elettrica o termica. Al fine di evidenziare proprietà ed eventi ter-
mici associati al sistema, quest’ultimo può essere immaginato come un corpo o un insieme di
corpi racchiusi da una superficie di controllo, chimicamente ed elettricamente inerte e non
sot- toposto a campi elettrici e gravitazionali.
Le grandezze che rappresentano le interazioni del sistema con l’esterno sono il calore
e il lavoro: il calore è la forma di energia legata alle coordinate atomiche nascoste; il
lavoro
agisce sulle coordinate macroscopiche.
La quantità di calore Q
Una trasformazione termodinamica si ha qando il sistema passa da uno stato di equilibrio
a un altro, e può avvenire con scambio di calore con l’ambiente o con altro sistema,
provocando ad esempio il passaggio dalla condizione (1) alla condizione (2), come
rappresentato nella figura Q.1.
Figura Q.1 Trasformazioni termodinamiche fra i punti 1 e 2 nel piano termodinamico (p,v).
Il calore è una grandezza che non è propria del sistema, ma è funzione della trasforma-
zione, cioè delle interazioni del sistema con altri sistemi o con l’ambiente; la sua entità
dipende dalle modalità con cui il sistema passa da (1) a (2). È, quindi, funzione del cammino
seguito (1-2) e non solo degli stati (1) e (2). Il passaggio da (1) a (2) implica peraltro una
varia- zione delle coordinate macroscopiche del sistema.
Il lavoro termodinamico L di una trasformazione
Il lavoro termodinamico di una trasformazione è dovuto alla variazione delle coordinate
macroscopiche di tipo meccanico del sistema. Dipende anch’esso dal modo in cui il sistema è
passato da (1) a (2), cioè dal cammino (1-2). Quindi una quantità di calore fornita a un
sistema lo fa evolvere dallo stato (1) allo stato (2), con l’intervento del lavoro L1-2, legato
alla varia- zione delle coordinate termodinamiche.
Q-4 TERMOTECNICA

Il calore e il lavoro sono forme di energia che, una volta immagazzinate dal sistema, non
sono più distinguibili fra di loro né da altre forme di energia e confluiscono tutte nell’energia
interna.
1.2 Il primo principio della termodinamica
Si consideri l’esperienza di Joule (fig. Q.2).
Dall’esterno, mediante un’elica con pale M immersa nell’acqua contenuta (in quantità
nota) in un calorimetro avente setti fissi F, viene fornito al sistema il lavoro L svolto
dall’agita- tore e misurabile attraverso lo spostamento del peso P. Il sistema si riscalda e la
temperatura dell’acqua passa da T1 a T2; è quindi misurabile anche Q. Si fa raffreddare il
sistema da T 2 a T1: l’insieme delle due trasformazioni è ciclico. Pur variando il fluido, le
due temperature o altro, Joule osservò che:

J - -dL--= cost =

dQ

Figura Q.2 Calorimetro usato da Joule.


Il rapporto fra lavoro assorbito e calore dissipato è costante e, nel caso di trasformazione
ciclica, unitario; pertanto, se il sistema può passare dal punto (1) al punto (2) per due diversi
cammini (A) e (C) e tornare al punto di partenza per il cammino (B), facendo riferimento alla
figura Q.1 si può scrivere:

dQ +dL +
1A2
dL dQ = 2B1
1A2 2B1
1A2 +
dQ +dL dL
Sottraendo si ottiene:
dQ = 2C1
1A2 dQ 2Cd1L– dL–
2B1 = d
Q
Quindi le quantità (dQ dL), a differenza di d2CQ1 e di dL separatamente, non dipendono
dal cammino effettuato, ma solo dagli estremi di esso, cioè da (2) e da (1). Per questo, per il
prin- cipio di conservazione dell’energia, si può dire che, se Q è la quantità di calore fornita
al
I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA

Q-5

sistema, che tiene conto sia della variazione delle coordinate macroscopiche sia dell’energia
trasferita ai modi nascosti, L è il lavoro relativo alla variazione delle coordinate
macroscopiche del sistema:
Q L– E=
e, considerando un sistema chiuso agli scambi di massa e semplificato (macroscopicamente in
quiete e senza variazioni di energia potenziale), si ottiene la formulazione del primo principio
della termodinamica nell’enunciazione proposta da Mayer:
(Q.1)
Q
che, in forma differenziale, è:
L– dU= dL+
dQ (Q.2)
U=
Nelle relazioni (Q.1) e (Q.2) U è una grandezza chiamata energia interna, ma che, più
pro- priamente, dovrebbe essere detta calore interno; essa tiene conto della variazione di
energia relativa ai modi nascosti. Non è conoscibile in assoluto, ma ne sono conoscibili le
variazioni. È una funzione di stato, o anche di punto, cioè dipende solo dalle coordinate
termodinamiche che individuano il punto associato al sistema nello spazio a n dimensioni,
ove ne avviene la rappre- sentazione.
Tali espressioni esprimono il cosiddetto primo principio della termodinamica, in cui
si
considerano le grandezze termodinamiche alla luce del principio della conservazione del-
l’energia.
Per una corretta interpretazione di quanto sopra esposto, bisogna tenere conto che Joule
affermò che, dati due stati (1) e (2) di un sistema, si può sempre individuare una trasforma-
zione meccanica che consenta al sistema di passare da (1) a (2) oppure da (2) a (1), restando
le pareti adiabatiche (ossia il sistema è chiuso agli scambi di calore) e il numero di moli
costante (sistema chiuso agli scambi di massa). Poiché fra due stati del sistema esiste una sola
trasfor- mazione meccanica che consente di passare dall’uno all’altro, in questo enunciato
viene evi- denziata la dissimmetria fra le due trasformazioni diretta e inversa e, associato al
processo globale, appare il concetto di irreversibilità, che condiziona l’evoluzione dei sistemi
termodi- namici.
Variabili estensive
3.

Si definiscono grandezze estensive le variabili di stato di un sistema che dipendono


appunto dalle dimensioni del sistema, a parità di tutte le altre condizioni; si definiscono gran-
dezze intensive le variabili di stato di un sistema che non dipendono dalla sua estensione.
Il sistema termodinamico considerato è un sistema semplice, cioè macroscopicamente
omogeneo, isotropo, elettricamente neutro e chimicamente inerte, non sottoposto a campi di
forza esterni. Per descrivere un sistema di questo tipo sono significativi solo il volume V e
i parametri che ne individuano il numero di moli e la specie (N1, N 2, ..., Nk). Tali parametri,
dipendenti dalle quantità presenti, sono detti estensivi. Anche il calore interno U, in quanto
legato alle dimensioni del sistema, è una variabile estensiva.
L’equilibrio
4.

I sistemi termodinamici considerati tendono in mdo spontaneo a evolvere verso configura-


zioni particolarmente semplici, dette stati di equilibrio, compatibilmente con le condizioni al
contorno. Allo stato di equilibrio i sistemi sono descritti solo dai valori delle variabili esten-
sive, per esempio (U, V, N), ove U è l’energia interna, V il volume e N il numero di moli, indi-
pendentemente dalla trasformazione seguita per raggiungerlo.
Un sistema termodinamico è soggetto a vincoli, che condizionano il suo modo di evolvere
e di interagire con altri sistemi o con l’ambiente. A seconda del tipo di vincolo, il sistema può
essere:
-aperto, se interagisce con l’esterno ed è permeabile ai flussi di calore e materia;
Q-6

TERMOTECNI
C
-chiuso, se pur interagendo con l’esterno non è permeabile
A ai flussi di materia e scambia con
l’esterno solo calore;
-isolato, se con l’esterno non avvengono scambi di nessun genere.
I vincoli, naturalmente, possono essere anche parziali o selettivi.
Il problema fondamentale della termodinamica è la determinazione dei valori delle varia-
bili estensive negli stati di equilibrio, nonché la determinazione dello stato di equilibrio verso
il quale il sistema tende quando i vincoli interni vengono rimossi.
1.5 Il secondo principio della termodinamica
L’enunciato del secondo principio della termodinamica può essere espresso nei modi
di
seguito riportati.
-Secondo Max Planck: è impossibile realizzare un motore funzionante secondo un
ciclo ter- modinamico chiuso, che estrae calore da una sorgente esterna e lo trasforma
integralmente in lavoro meccanico, senza che si generino ulteriori trasformazioni nei corpi
che costitui-
scono il sistema.
-Secondo Lord Kelvin: non è possibile eseguire una trasformazione ciclica chiusa, la

quale realizzi come unico risultato, la totale trasformazione in lavoro di tutto il calore
proveniente da una sola sorgente di calore a temperatura costante.
-Secondo Carnot: il rapporto fra la quantità di calore trasformata in lavoro (Q 1 Q0 ) e
la quantità di calore prelevata dalla sorgente superiore (Q1) non dipende dalla sostanza gas-
sosa, ma dalle temperature delle due sorgenti (T1 e T0) e tutti gli scambi di calore
devono avvenire con differenze infinitesimali.
Si è posto come problema fondamentale della termodinamica la determinazione, per un
sistema in evoluzione, dello stato di equilibrio finale. In base alle esperienze nei vari settori
della fisica teorica, si può allora pensare che la forma più semplice da dare a un criterio di
equilibrio sia quella di postulare l’esistenza di un massimo relativo, vale a dire che i valori
delle variabili estensive all’equilibrio siano tali da rendere massima un’opportuna funzione di
stato. Tale funzione è detta entropia e, dato che la sua esistenza è stata postulata matematica-
mente, possiamo anche pensare che goda di semplici proprietà analitiche.
Postulato S1
L’entropia S è una funzione delle variabili estensive di ogni sistema; è definita negli stati
di equilibrio e, in assenza di vincoli interni, i valori delle variabili estensive sono tali da farle
raggiungere il valore massimo.
Alla luce di quanto detto, il problema fondamentale si riduce alla ricerca della relazione
che lega l’entropia alle grandezze estensive del sistema, poiché mediante l’entropia si
possono individuare gli stati di equilibrio verso i quali il sistema tende spontaneamente.
Quindi:
Postulato S2 S -U---
= S (U, V, N)
è l’espressione analitica del problema S-fondamentale della termodinamica ed è detta
equazione fondamentale. La conoscenza di questa equazione consente di avere tutte le
informazioni di tipo
Dato che, per termodinamico sul sistema.
la definizione fornita:
LE
TRASFORMAZION
I

Q-7

Dalla meccanica sappiamo che, in uno stato di equilibrio, l’energia di un sistema mecca-
nico è minima. Questa considerazione è estendibile anche al dominio della termodinamica,
ottenendo la riformulazione in termini energetici dei postulati sull’entropia e l’inversione
dell’equazione fondamentale:
U = U (S, V, N)
2. LE TRASFORMAZIONI
Allo scopo di scritte
precedentemente individuare - --
leUtra=le
si definiscono o r Vmazion
sf variabili U
1.Le variabili intensive
-iN--t erm--o-dina--md-
intensive:
U---
si pone:
+icNhe, dall+e equazioni dell’energia
dS--S-U-
U--- S
con T che indica la temperatura; ricordanddV-o- leTp=roprietà dell’entropia la temperatura
T è, per definizione, una grandezza non negativa;
--V-U--
con p che indica la pressione. Si ha infine:-= p–
--N-U-

con , potenziale elettrochimico. Si ott-ie- ne =

dU= Tdudn–qSuep: d V d N+
Il termine (p · dV) esprime il lavoro termodinamico o della trasformazione dL, ottenuto in
condizioni quasi statiche (in condizioni, cioè, di una successione continua di stati di equili-
brio); se confrontiamo questa equazione con l’espressione:
dQ = dU + dL
si ha, in caso di sistema chiuso:
dQ = T · dS
Il termine (T · dS) indica, quindi, una quantità di calore scambiata in condizioni
quasi stati- che, che produce una variazione di entropia nel sistema.
2.2 Equazioni di stato
T =derivate
Le variabili intensive, in quanto T (S, U, di
V,una
N) funzione delle variabili estensive,
(Q.3)
sono anch’esse funzioni di variabili estensive, per cui: (Q.4)
p = p (S, U, V, N)

Si noti che, nelle relazioni (Q.3) e (Q.4), solo tre delle quattro variabili indicate sono fra
di loro indipendenti. Le relazioni che legano i parametri intensivi ai parametri estensivi sono
dette equazioni di stato.
2.3 La trasformazione quasi statica
Tale trasformazione si realizza mediante una sequenza di stati di equilibrio. Il sistema
cioè, passa dallo stato iniziale (1) allo stato finale (2) attraverso un insieme di stati
infinitamente
Q-8 TERMOTECNICA

vicini fra loro. Per quanto è stato detto a proposito delle quantità di calore scambiate in
condi- zioni quasi statiche, è valida la relazione:
-d--T
Il tempo di rilassamento
4.
Q--
Il passaggio di un sistema da uno dst-aSt=o (1) a uno stato (2) può avvenire mediante
rimozione graduale dei vincoli, che deve essere effettuata con opportuna lentezza, affinché il
sistema possa continuare a essere considerato in condizioni quasi-statiche.
Tuttavia, affinché il tempo necessario non sia infinito, si considerano quasi-statiche le tra-
sformazioni che avvengono in un tempo superiore al tempo di rilassamento ; le trasforma-
zioni che avvengono in un tempo inferiore non possono essere considerate quasi-
statiche.
Il tempo di rilassamento è il tempo di propagazione di una perturbazione nel
sistema,
pro-
porzionale al rapporto l / c, ove l è una lunghezza significativa del sistema e c è la
velocità del suono nel mezzo.
5.La trasformazione reversibile

Questo tipo di trasformazione può svolgersi fra lo stato (1) e lo stato (2) ma, rimossi i vin-
coli interni, che impediscono il passaggio di calore e di materia fra i vari sottosistemi costi-
tuenti il sistema, questo può spontaneamente ripercorrere il cammino inverso dallo stato (2)
allo stato (1). Perché questo sia possibile, è necessario che nel passaggio dallo stato (1) allo
stato (2) non si generi entropia. Se fosse:
2

1
dS 0
la trasformazione non potrebbe spontaneamente ritornare indietro. La trasformazione reversi-
bile è quindi caratterizzata dalla relazione:
dS = 0
6.La trasformazione irreversibile

In questa trasformazione non possono essere trascurate:


dS -T
-le differenze finite di temperatura;

-le quantità di calore da cui non è possibile ottenere lavoro, a causa di attriti interni.

oppure, indicando con dS i la variazione d i d - -Q -


--
ent ropia dovuta alle irreversibilità
sisteImndelsiaqha:,ueesctoi ncadsiQsi/ pTuò= sdcSrievelraev: ariazione d i entropia
interne
l’esterno
dovuta alle interazioni del sistema con
dSe = - i

Le relazioni precedenti dT--indicano cQhe-,-dan+cShe in un


sistema isolato (dQ = 0) l’entropia è sempre crescente.
2.7 La trasformazione politropica
Molto spesso le trasformazioni internamente reversibili, o quasi statiche, sono trasforma-
zioni politropiche. Una qualunque trasformazione termodinamica, infatti, può essere rappre-
sentata mediante un’equazione del tipo:
IL LAVORO E
L’ENTALPIA

Q-13

3. IL LAVORO E L’ENTALPIA
1. Il lavoro di trasformazione
È il lavoro che tiene conto dell’effetLtopdi una tdravsformazione termodinamica e si
esprime nel modo seguente se la trasformazione è quas1i-stat=ica:

In una trasformazione di quasi-equilibrio il2valore della pressione p del sistema è


pratica- mente uguale, a meno di un infinitesimo, al valore della pressione ambiente (sede
della pres- sione antagonista).
3.2 Il lavoro di spostamento
Una massa unitaria di sostanza passa in un intervallo di tempo t attraverso una
sezione
(1) e riempie un volume V (fig. Q.4). In regime permanente (nel quale le proprietà
variano da punto a punto, ma sono costanti nel tempo) l’accumulo di sostanza nel sistema è
nullo.
Si considerino le seguenti espressioni, ove p e A rappresentano, rispettivamente nelle
sezioni considerate, la pressione e l’area; pertanto si ha:
-per il lavoro compiuto dal fluido per entrare nel volume V attraverso la sezione 1:

L1 = F1 · x1 = p1 · A1 · x1 = p1 · v1
per il lavoro compiuto dal fluido per uscire dal volume V attraverso la sezione 2:
-

L2 = F2 · x2 = p2 · A2 · x2 = p2 · v2

Volume V

Figura Q.4 Il lavoro di spostamento.


Si noti che i due lavori sono di segno opposto e che il lavoro di uscita può essere
conside- rato negativo, poiché è un lavoro resistente rispetto al flusso.
Q-14 TERMOTECNICA

3.3 Il lavoro tecnico


Il lavoro tecnico, detto anche lavoro della macchina o lavoro all’asse, è per
definizione:
L* v
Si può pertanto scrivere: d=p –
d (p · v) = p · dv + v ·
dp d (p · v) = dL dL*

da cui si ottiene la relazione che lega il lavoro tecnico al lavoro termodinamico


della trasforma- zione e al lavoro di spostamento:

L* = L – p2v2 + p1v1

Di seguito saranno utilizzate le lettere maiuscole (H, U, V ecc.) per variabili estensive e le
lettere minuscole (h, u, v ecc.) per variabili estensive specifiche, cioè riferite all’unità di

massa.
3.4 L’entalpia
Ogni grandezza, funzione delle variabili di stato, è una grandezza di stato. Tale è anche
l’entalpia H:
H=U+p·V
da cui si
ottiene:
dH = dU + p ·
dV + V · dp
oppure, usando grandezze
normalizzate:
dh = du + p · dv + v · dp

da cui, nel caso di dh = dQl 2


=–
mentre,trasformazion di adiabatich1e, si
hisdob=al re,ha:si* ha
*
nel caso di trasformazioni
dh
L’entalpia è una funzione che rappresenta l’energia totale associata a un fluido, uguale
la seguente
alla somma della componente termica e della componente meccanica.
Questa somma, peraltro, lega due grandezze non omogenee fra loro, perché le
trasforma-
uguag
liansempre sono completamente possibili (secondo principio
zioni dell’una nell’altra non
della
ter- modinamica).
za–:
La componente termica, presente sotto forma di calore interno, non fornisce nessuna
infor- mazione qualitativa, a differenza della componente meccanica caratterizzata dalla
pressione, grandezza intensiva.
Tuttavia, la funzione entalpia è molto comoda da usare, specialmente nelle trasformazioni
adiabatiche, nelle quali la variazione di entalpia è uguale al lavoro tecnico.
LE
MACCHINE
TERMICHE

Q-21

5 LE MACCHINE TERMICHE
Una macchina termica è un dispositivo atto
a trasformare il calore in lavoro (fig. Q.5).

Figura Q.5 Schema di macchina termica con relativi bilanci energetici.

La macchina termica deve essere a funzionamento ciclico e a contatto con almeno due
sor- genti di calore a temperature diverse; in caso contrario non sarebbe possibile ottenere
lavoro (si vedano i vari enunciati del secondo principio della termodinamica).
Se le trasformazioni sono quasi statiche si possono scrivere due equazioni:
a)equazione di bilancio energetico:

L = Q1 Q2

b) equazione di bilancio entropico:


dS1 dS2 = 0
da cui: Q1
-----
=T Q
5.1 Rendimenti ed efficienze 12
T
2
Una delle grandezze che caratterizza no una macchina termica è il rendimento, inteso
come rapporto fra il lavoro ottenuto L e l’energia spesa Q1; se i due termini sono omogenei è
dato da:

--L--- =
Q1

Nel caso di una macchina termica, considerando le quantità di calore in gioco, ove Q1
la quantità
scritto nelladi calore
forma seguente: 1
Qnè tit–à di calore in uscita, il rendimento può
in ingresso e Q 2 la qua----------
-
e(sQse.5re)
1
=2Q non sono fra di loro omogenee, dato che
Si noti che le due quantità di caloreQconsiderate
le due sorgenti operano a temperature notevolmente diverse, per cui il loro rapporto, d’ora in
poi, sarà indicato con e sarà più propriamente chiamato efficienza.
Q-22 TERMOTECNICA

In particolare, se si fa riferimento a una particolare macchina, in cui lo scambio di calore


avviene solo durante due delle quattro trasformazioni, con la temperatura che resta costante in
ciascuno dei due casi, dall’equazione di bilancio entropico si ricava:
Q1
Q2 = T2 -
e, sostituendo nella (Q.5), si ottiene: T-1-
Q1--– Q1T-
= T21=
---
1
Q1 T1
2 T–
La particolare macchina termica presa in considerazione in questo caso, come si vede
dall’equazione di bilancio entropico, realizza il ciclo di Carnot, costituito da due trasforma-
zioni isoterme e due adiabatiche.
Le quantità di calore Q1 e Q2 sono ricevute e cedute rispettivamente alla massima e
alla
minima temperatura.
L’efficienza di questa macchina, esprimibile in funzione delle temperature estreme del
ciclo, è la massima possibile fra quegli estremi di temperatura.
Se la temperatura inferiore del ciclo coincide con una particolare temperatura di riferi-
mento Tr (di solito la temperatura ambiente Ta), il lavoro della macchina è detto Lmax,
lavoro massimo ottenibile o energia estraibile da una quantità di calore Q1; il rapporto:

L =

Lmax
indica
Saranno il rendimento
considerati, exergetico,
adesso, Qat1ivi=–aunmacchine
i casi relconsiderato vero e proprio rendimento,
cicliche operanti perché
diretto o inverso.
mediante ciclo Q2Q dal rapporto di due grandezze omogenee.
ottenuto
5.2 Cicli diretti
cioè:
1
Per la già nota equazione di bilancio energetico, l’efficienza è data da:
Lu
=
Q1
in cui Q1 e Q2 indicano rispettivamente le quantità di calore in ingresso e in uscita dal ciclo,
mentre Lu è il lavoro utile.

5.3 Cicli inversi


Mentre nei cicli diretti l’efficienza è compresa fra 0 e 1, nei cicli inversi supera spesso
l’unità.
È opportuno distinguere i cicli frigoriferi dalle pompe di calore, per la differenza tra
le
quantità di calore in gioco nei due tipi di ciclo.
Il lavoro L che deve essere fornito dall’esterno, infatti, deve essere messo in relazione per
i frigoriferi con il calore Q2 da asportare alla sorgente fredda, mentre per le pompe di calore
con la quantità di calore Q1 da fornire al termostato caldo.
LE
MACCHINE
TERMICHE

Q-23

I cicli frigoriferi
In un ciclo frigorifero che opera fra le temperature estreme T i e Ts (in cui Ti è la tempe-
quan- tità di calore Q2 da asportare allaf = sor-g-Le--n-te a temperatura inferiore e il lavoro di
compressione
ratura
Se inferiore
Lefornito dall’esterno:
Ts quella
il ciclo frigorifero superiore)
è un ciclo di l’efficien
Carnot (indicato 2
Qz a frigorifera
dal pedice fc),
è data dal rapporto fra la
l’efficienza
può frigorifera
essere scritta in funzione delle sole temperature estreme:
Ti
fc
------= T – T s i
Come si può vedere, l’efficienza aumenta all’avvicinarsi delle temperature estreme del
ciclo. L’efficienza frigorifera è legata al rendimento del ciclo diretto mediante un rapporto di
proporzionalità inversa; per un ciclo di Carnot si può
Ti scrivere:
c ----
fc Ts
Per un ciclo qualunque si ha: =
Q2
f -----
= Q1
Nelle macchine reali le efficienze risultano minori di quelle calcolate con le relazioni
soprascritte, perché queste operano secondo cicli sicuramente diversi da quello di Carnot e
seguono solo con approssimazione il ciclo termodinamico di riferimento.
Un esempio è dato dalla sostituzione, che comunemente avviene, dell’espansione
isoentro- pica con una espansione isoentalpica, che causa una diminuzione del calore Q2
sottratto alla
sorgente fredda e una perdita del lavoro di espansione.
Pompe di calore
riore TsNel
devecaso delle
essere pompe di con
confrontata calore, la quantità
il lavoro di calore QL1
di compressione c. da erogare alla temperatura
supe- Q1
L’efficienza del ciclo, detta anche pfattorL-ce---d-i moltiplicazione termica, o COP, è
da: =
data
Se si considera il ciclo di Carnot che evolve fra la temperatura ambiente Ta e la tempera-
tura superiore Ts, si ottiene:
Q1
pc ---
-- =Lc TsT–
s T
=
Se fossero utili entrambe le quantità di calore Q 1 e Q2, l’efficienza globale sarebbe data
a da:
Q1 +
tot
-------=
cioè:
Q2Lc
tot = f + p
Q-24 TERMOTECNICA

5.4 Lo scambiatore di calore: trasferimento da sorgente a pozzo


È un caso particolarmente importante perché in esso avviene un puro trasferimento
di
calore fra due livelli diversi di temperatura (fig. Q.6) con produzione di lavoro nulla:
Q1Q1 – Q2 = 0
TS =T
1+ Q2
2 -
dove Q1 è il calore fornito, Q2 quello-1ottenuto
-- Te1Q la –
S =
differeza.
loro
Q

T-
2
--1-

Figura Q.6 Schema termodinamico di scambiatore di calore.


La generazione di entropia è dovuta alla distanza fra i livelli di temperatura entro i
quali opera la quantità di caloreQ e cresce con essa. Può essere espressa anche come:

S = -TQ2 --
- c
ove c rappresenta l’efficienza del ci clo d i Carnot che opera fra le
temperature estreme.
6. I SISTEMI CHIUSI: CICLI TERMODINAMICI
1.Premessa

In questa sede saranno considerati alcuni cicli termodinamici composti da trasformazioni


quasi statiche, calcolando l’entropia che in essi si produce e i suoi effetti sul lavoro e sul
rendi- mento.
L’entropia totale che si produce in un sistema termodinamico che scambia calore con
l’esterno è data dalla somma di due termini:
dS = dSe + dSi

in cui il termine dSe è dovuto alle variazioni di entropia che si hanno a causa degli scambi di
calore fra il sistema e le sorgenti esterne, mentre il termine dS i è dovuto alle variazioni di
entropia che si hanno per le trasformazioni all’interno del sistema.
Nel caso di un processo ciclico, in mancanza di produzione di entropia da parte del
sistema, il termine dSi è nullo, poiché dopo ogni ciclo tutti i parametri di stato, siano essi
esten-

sivi o intensivi, assumono i valori iniziali.


I SISTEMI CHIUSI: CICLI
TERMODINAMICI

Q-25

Si considerino, ora, la variazione dell’entropia totale e le sue conseguenze nel caso


di alcuni cicli termodinamici. Le ipotesi semplificative adottate sono:
-le sorgenti superiore e inferiore sono dei termostati rispettivamente a temperatura Ts
6.2 Il ciclo di Carnot
e Ti;
-le temperature massime e minime del ciclo sono uguali a quelle dei rispettivi

termostati;
dS
-le traPseforrqmuaznitonsiitèerdmeottsT
S=i
-oQ 1
1ta--stu-=
oi---cicl
Qo--i
rseovneorsqibuialsi,i stSaiti=ch0ee. , pertanto,
da cui:
2 T
- – =per0 le isoterme del ciclo di
Carnot, si può scrivere:
i Q1
---
------
T- =
L’area racchiusa tra le
2
linee 1
di trasfor Q 2
mazioneTsul piano (p, v) di figura Q.7,
un lavoro unitario, mentre l’area racchiu 2sa fra le
rappresenta
isoterme e le adiabatiche sul piano (T, S) della stessa figura rappresenta
un calore.

Figura Q.7 Ciclo di Carnot sui piani (p, v) e (T, S).


Per quanto riguarda Se, poiché in questo caso, per le ipotesi fatte (uguaglianza fra le tem-
perature estreme del ciclo e le temperature dei termostati), Ts = T1 e Ti = T2, per la sorgente
e il pozzo di calore si avrà:

dS e
---- S= 1
T-1Q=- ---

e–Q+ -2
che, per la relazione precedente, risulta nulla.
In queste conTdizioni:
Stot = 02
Questo è vero, però solo per il ciclo di Carnot, poiché gli scambi di calore fra sistema ed
esterno avvengono a temperatura costante e le variazioni di entropia che si hanno nelle
singole trasformazioni del sistema sono di uguale entità, ma di segno opposto rispetto a
quelle che si registrano negli scambi delle corrispondenti quantità di calore fra il sistema e i
termostati. Il ciclo di Carnot, quindi, come tutti i cicli, ha rendimento inferiore all’unità, ma è
l’unico ciclo in cui la generazione di entropia totale è nulla.
6.3 Cicli termodinamici simmetrici
Come già fatto in precedenza, si supponga che le temperature estreme del ciclo
coincidano con le temperature dei rispettivi termostati. La variazione di entropia totale è data
da:
Stot = Se + Si
Q-26 TERMOTECNI
C A
Essendo Si nulla, la relazione diventa:
Q1
-=---- – -
S tot QTs
Dal primo principio della termodinamica
2+ si ha:
T

Q1 –LQ=2i
s
T- --- dell’entropia,
Ricavando la quantità di caloreQQ22 dall’espressione
tot
si ottiene:
Q= 1 Ti
i
In quest’ultima espressione coTm pare+Suna quantità di calore che sarà indicata con
Qr; essa equivale a quella porzione di Q2 che, in uscita da un ciclo di Carnot, viene trasferita
a un ter- mostato, a temperatura inferiore, e costituisce
Ti la quantità di calore comunque non
disponibile:
Q1
Il termine: Qr = T- ---s
Ti tot

rappresenta, invece, la quantità di calorSe non disponibile per irreversibilità intrinseca del
ciclo. Tale valore è nullo solo nel ciclo di Carnot. Combinando l’espressione della quantità di
calore Q2 del ciclo generico con quella del primo principio, si ottiene, per l’entropia e per il

Ti
lavoro:
Stot Q=1 - Ti
1
1-- Ts
-- -- –
Ti
Ti – S Q1=-L-- –-1-- --1-- –
L
s
T
tL1 ot
Ti –S
=TiT-s---
tot

In un ciclo di trasformazioni–Q
termodinamiche
1 il lavoro varia fra zero e un massimo,
come riportato di seguito.
- Se L = 0 si ha pura trasmissione del calore (caso dello scambiatore di calore); in questo
caso, in assenza di perdite, Q1 = Q2 e la produzione di entropia è massima:

Stot = QTi-1S--tot = -Q-- --1--c –Ti


T s è nulla e il lavoro è uguale a quello del ciclo
- Se L = Lmax la produzione di entropia
di Carnot che opera fra gli stessi estremi di temperatura:
Ti
mentre l’efficienza vale = c – -----
----
Lmax =
T– T tot
S
Q1 1
Come si vede, a causa dell’entropia non nulla che si genera in un ciclo diverso da quello
Q
1s i
di Carnot, anche il rendime nto diminuisce rispetto a quello del corrispondente ciclo di
Carnot.
6.4 Otto
Il ciclo CiclièOtto e Joule
formato da un’adiabatica di compressione (1-2), un’introduzione di calore a
volume costante (2-3), un’adiabatica di espansione (3-4) e un’espulsione di calore a volume
costante (4-1).
Q-30 TERMOTECNICA

Questa è l’espressione dell’entropia nel comportamento non rigenerativo del ciclo.


Nel comportamento rigenerativo ci si avvicinerebbe a questo risultato se il rigeneratore
potesse trovarsi contemporaneamente alla temperatura inferiore, per potere accogliere la
quan- tità di calore in uscita cv (Ts Ti), e alla temperatura superiore, per poterla restituire al
ciclo.
Nella realtà l’operazione di trasferimento di calore fra due isocore avviene direttamente,
mediante un numero opportuno di scambiatori di calore, in ognuno dei quali si realizza una
frazione dello scambio fra il fluido caldo che percorre l’isocora di scarico e il fluido freddo
che percorre l’isocora di riscaldamento.
Questo procedimento equivale a dire che il tratto di isocora, nel funzionamento rigenera-
tivo, è sostituito da un tratto di isoterma e da un tratto di adiabatica.
Il ciclo assume, pertanto, l’aspetto di un ciclo di Carnot operante fra le stesse
temperature
estreme, ma l’isoterma inferiore del ciclo rigenerativo, pur restando costante la differenza fra i
valori estremi dell’entropia, è slittata verso destra, cioè verso valori assoluti più alti
dell’entro- pia e del volume specifico e verso valori più bassi della pressione.

6.6 Il ciclo Diesel


Mentre il ciclo Otto rappresenta il modello di ciclo termodinamico che si realizza nei
motori a combustione interna ad accensione comandata, il ciclo Diesel costituisce il modello
di ciclo termodinamico nei motori ad accensione per compressione.
Come si può vedere dalla figura Q.11, il ciclo non è simmetrico, con trasformazioni a due
a due dello stesso tipo, ma le due trasformazioni adiabatiche sono raccordate da un lato da
una isobara, lungo la quale viene introdotto il calore, dall’altro da un’isocora, che porta allo
scarico
dopo l’espansione.

Figura Q.11 Ciclo Diesel nei piani (p, v) e (T, S).

La rappresentazione ciclica in prima approssimazione è giustificata anche dal fatto che il


calore specifico dei gas di scarico è dello stesso ordine di grandezza del calore specifico
dell’aria entrante.
Caratteristico di questi cicli è il rapporto di compressione volumetrico :
--
v2
= v-
1-
I SISTEMI CHIUSI: CICLI
TERMODINAMICI

Q-31

ove v1 e v2 sono i volumi massici, rispettivamente, all’inizio e alla fine della fase di
compres- sione.
Per i motori a combustione interna (ciclo Otto) tale valore è compreso, normalmente, fra
9
e 11, al fine di evitare fenomeni di accensione anticipata e, nei casi più gravi, di detonazione
della miscela aria-benzina; per i motori a combustione per compressione, invece, il valore
di è normalmente superiore a 20, perché il fluido compresso è soltanto aria.
Per questa ragione ha poco senso, dal punto di vista pratico, l’espressione ricorrente
secondo la quale l’efficienza del ciclo Otto è sempre superiore a quella del ciclo Diesel con
3
uguale rapporto di compressione (a parità di calovr e introdotto), dato che i due cicli
Lin’ieefzfiocnieenza
lavorano
del ciclo data di valori di tale rapporto complet-a--m- ente diversi.
entro ècampi 1= – 1 k–1
dilar:apporto: k– 1

2
Si definisce, poi, rapporto di intr=oduzivo ne o rapporto di combustione o
con il termine entro parentesi tonde sempre mk1inore dell’unità.
grado di
6.7 Il ciclo Sabathé
Il ciclo Sabathé è considerato il ciclo che più si avvicina al funzionamento di un motore,
dato che i cicli Otto e Diesel non possono essere realizzati nelle rispettive macchine, poiché
queste, a causa del loro movimento, non riescono a fare avvenire la combustione rispettiva-
mente lungo l’isocora e lungo l’isobara.
Pertanto nei motori le valvole si aprono con studiato anticipo prima del punto morto
supe- riore, in modo che la combustione inizi poco prima del punto morto, per poi proseguire
e ter- minare lungo l’isobara e l’adiabatica.
Questo andamento, più vicino all’andamento reale delle operazioni nel cilindro, è rappre-
sentato nel ciclo Sabathé-Seiliger.
Si tratta di un ciclo a cinque trasformazioni, in cui la compressione adiabatica è
seguita da
una compressione isocora (come nel ciclo Otto) e da una trasformazione isobara, simile a
quella che si ha nel ciclo Diesel (fig. Q.12).

Figura Q.12 Ciclo Sabathé nei piani (p, v) e (T, S).


7 IL SISTEMA APERTO

Figura Q.13 Bilancio dell’energia in un sistema aperto.


7.1 L’equazione di bilancio energetico
Con L si indica sempre il lavoro tecnico o, meglio, il lavoro disponibile all’asse. Per
il prin- cipio di conservazione dell’energia, l’energia totale E vale:

E=m g z 1-- m
dove: Uc+2 +
(Q.6) 2
-m · g · z è l’energia potenziale;
-m · c 2/2 è l’energia cinetica;
-U è l’energia interna.
L’energia massica e vale:
e g z 21 u 2
=- + al sistema di cui sono
Applicando il principio di conservazione dell’energia
stati delimitati i confini si ottiene: +
c-
e1 p1 Qv+1
+e2 =p2 Lv+2 +
IL LAVORO E IL II PRINCIPIO DELLA
TERMODINAMICA

Q-35

8.IL LAVORO E IL II PRINCIPIO DELLA


TERMODINAMICA
Dato che
Il sistema il rendimento del ciclo di Carnot è il massimo ottenibile fra due livelli di tempe-
chiuso
1.
), per unLsistema ciclico
ratura T1 e T2 (con T2 < T1
----
sT i T1
Q 11

max = di2calore Q1.
Lmax è detta anche exergia della ha:
quantità
8.2 Il sistema aperto
Per il sistema indicato nella figura Q.15 si scrive l’equazione di bilancio
energetico:
qr + Q +HH1 =2 L+

dove q r rappresenta il calore generato internamente al sistema per attriti interni o il calore

scambiato dal sistema con l’ambiente.

Figura Q.15 Bilancio del secondo principio della termodinamica in un sistema


aperto.

L’equazione di bilancio entropico è data da:


qr Q
---- + --- +S irr +SS1 2
T=r T
Moltiplicando l’ultima equazione per la temperatura di riferimento Tr e sottraendo la pre-
cedente, si ottiene:

2H– TrS2
T-T--- – +

L=Q 1 H1 – r– S irr T
dove: T rS 1 r
-Q (1 T r /T) è l’exergia della quantità di calore Q alla temperatura T, cioè il lavoro massimo
che si può ottenere da una quantità di calore Q in una macchina ciclica;
-H T r S è l’entalpia disponibile come lavoro o exergia; in altre parole è il massimo lavoro
ottenibile dall’entalpia H;
-T r Sirr è il lavoro perduto per irreversibilità.
Q-36
TERMOTECNI
CA

8.3 Il sistema aperto che compie lavoro

Figura Q.16 Bilancio del secondo principio in un sistema che compie lavoro.
Si abbia un sistema che evolve fra le temperature Ts e Ti, con Ts > Ti e si scrivano,
come nel caso generale, le equazioni di bilancio energetico ed entropico (fig. Q.16):
QA +QH1 B H=2 L+
QA +
------S+ 1 + Sirr = ---- 2
Q
-T -
B
Moltiplicando, ancora, la seco nda equazione per TBT e sottraendo il risultato dalla
ottiene:
prima si s
Si +

dove:
s T
L = QA 1 T- --- – + H1 – T1S1 2 H – T2S2
i – S irr
i T

-Q A(1 Ti / Ts) rappresenta il lavoro massimo che si può ottenere, in una macchina ciclica,
da una quantità di calore QA fra le temperature Ts e Ti;
-H T r S è l’exergia, massimo lavoro ottenibile dall’entalpia H;
-T r Sirr è la perdita di lavoro per irreversibilità.
8.4 Il sistema che assorbe lavoro
Si abbia un sistema che assorbe lavoro (fig. Q.17) e che evolve fra una temperatura mas-
sima e una minima rispettivamente con Ts e Ti e si scrivano, come in precedenza, le
equazioni di bilancio energetico ed entropico:
QLi +QH
QB + ------S+B1 + 1Sirr
= = ---- 2 A+
T
H2 -T-
A Q
S +i s

Figura Q.17 Bilancio del secondo principio in un sistema che assorbe lavoro.
IL RENDIMENTO
EXERGETICO

Q-37

Moltiplicando la seconda equazione per la


tato temperatura di riferimento
dalla prima equazione, aSirre sottraendo
–HQB
seconda che Tcome2 s 2 1
il tem p–erTat uSr a di rife rHim–
ottiene rispettivamLei
risul-
s 1
enTt oSs i usi–T s o Ti, si
n=te:T s
--
Li = T i Sirr –HQA
T
s
2 – TiS2 1H– TiS1 –
-- – + 1i
Ts i
Nel caso di u-Tn1-a –co+mpressione
-- fra le condizioni estreme B e A, con Ti temperatura
di inizio compressione, di solito uguale alla temperatura ambiente, e Ts temperatura di fine
compres- sione, Q B rappresenta il calore fornito dall’ambiente a temperatura T i,
normalmente nullo, mentre QA è il calore che si produce per effetto della compressione e che
deve essere estratto dal sistema. Nell’ultima equazione scritta risulta evidente l’effetto nocivo
della quantità di calore QA.

9. IL RENDIMENTO EXERGETICO
1. I cicli diretti
L’efficienza energetica precedentemente definita è data da:
Q1 – (Q.10)

Q-- (Q.11)
Q=ottenuto
2Q 1
Nella (Q.11) appare evidente che il lavoro
1 L è messo in rapporto con una quantità
L--- = ciò deriva dal fatto che non tutto il
di calore con esso non termodinamicamente omogenea;
calore Q1 può essere trasformato in lavoro, in base al secondo principio della termodinamica.
Nella (Q.10) vengono eseguite operazioni fra le grandezze Q1 e Q2, anche queste non ter-
modinamicamente omogenee fra loro, in quanto Q2 rappresenta una quantità di calore a
tempe-
ratura più bassa, dalla quale non è possibile ottenere lavoro.
Questa efficienza, pertanto, non sempre è una grandezza significativa, perché, oltre a con-
frontare fra loro termini di diverso significato termodinamico, pone al denominatore la quan-
tità totale di calore spesa, indipendentemente dalle limitazioni che si hanno nella
trasformazione calore-lavoro.
Per questo motivo tale grandezza dà scarse informazioni sulla bontà del procedimento in
esame, il cui effetto utile andrebbe confrontato con l’effetto utile del migliore processo possi-
bile, oppure con la quantità di calore massima utilizzabile nello stesso processo; si
giunge, così alla definizione di rendimento del secondo ordine:

= -energia disponibile
utilizzata energia
disponibile spesa

Il termine che compare al denominatore fa riferimento all’energia disponibile, cioè alla


quantità di calore che effettivamente può essere trasformata in lavoro; tale quantità, pertanto,
può essere considerata energia a tutti gli effetti, secondo la definizione della fisica.
Detto lavoro è convenzionalmente considerato massimo quando è ottenuto mediante
un
ciclo di Carnot, in cui il pozzo di calore sia posto a un’opportuna temperatura di
riferimento, di solito la temperatura ambiente. Si può scrivere allora:
Q-40 TERMOTECNI
C A

10. TRASMISSIONE DEL CALORE


Generalità
1.

La trasmissione del calore è il processo mediante il quale si ha scambio di calore fra due
corpi solo a causa di differenza di temperatura. Le leggi della trasmissione del calore non pos-
sono essere dedotte direttamente da quelle della termodinamica classica perché questa si
limita solo allo studio dei sistemi in equilibrio e sarebbe di scarso aiuto nei processi termici
che avvengono in assenza di equilibrio.

Lo studio dei processi di non equilibrio è demandato a una disciplina più complessa, la
ter- modinamica dei processi irreversibili.

Dal punto di vista termodinamico, la quantità di calore scambiata durante un processo


è

uguale:
- alla somma della variazione di energia interna e del lavoro termodinamico compiuto, nel
caso di sistema chiuso;
-alla differenza fra la variazione di entalpia e il lavoro tecnico prodotto, nel caso di sistema

aperto.

Un’analisi di questo tipo determina semplicemente la quantità di calore somministrata o


sottratta al sistema durante una trasformazione fra determinati stati estremi, ma non considera
né il meccanismo di scambio termico né il tempo da esso richiesto.
Mediante le leggi che descrivono la trasmissione del calore si possono, invece, calcolare
le temperature di processo in funzione del tempo.
Conviene qui sottolineare che la trasmissione del calore, proprio perché si tratta di calore
che passa da un corpo più caldo a uno più freddo, anche nel caso in cui tutto il calore sia
trasfe-
rito, costituisce una perdita di energia utilizzabile.
Unica eccezione si riscontra nel caso ideale nel quale tale scambio avvenga con
piccola,
al limite infinitesima, differenza di temperatura.
L’equazione di bilancio delle energie (exergie) può essere qui utilizzata nella sua parte
cor- rispondente al bilancio delle quantità di calore; l’equazione di bilancio delle entropie
normal- mente non fornisce dati significativi.
A volte tale equazione di bilancio è detta bilancio delle energie termiche e, impropria-
mente, bilancio delle energie.
Questo tipo di impostazione vede privilegiare l’aspetto termico del problema
(flussi
di
calore‚ distribuzione delle temperature) rispetto a quello più prettamente termodinamico
(con- versione calore-energia e conseguente valutazione delle perdite di valore energetico del
calore), per cui si evita di distinguere fra potenza misurata in watt, e flusso termico (potenza
termica), misurato in Wt (watt termici); si adotta quindi la convenzione del Sistema
Internazio- nale misurando tutto in watt.
TRASMISSIONE DEL Q-41
CALORE
2. Modalità di trasmissione del calore
Si distinguono in genere tre modalità differenti
di trasmissione del calore:
-conduzione;
-convezione;
-irraggiamento o radiazione.
Alcuni autori ne aggiungono un quarto: la mescolanza. Per comprendere chiaramente le
differenze fra diversi meccanismi si esaminano alcune situazioni tipiche.
La conduzione del calore avviene da sola, all’interno di un solido opaco: il fenomeno si
spiega considerando che, per un solido, la temperatura è legata all’agitazione delle molecole
nell’intorno della loro posizione fissa: questa agitazione si trasmette dalle molecole ad agita-
zione maggiore a quelle con agitazione minore.
La convezione corrisponde a un trasporto di calore a opera di un fluido che si scalda a
con- tatto con superfici calde e si muove verso le superfici fredde, alle quali cede il calore
traspor- tato. Questa modalità può essere considerata prevalente nel caso di fluidi opachi,
messi in movimento o da azioni esterne (convezione forzata) o dall’azione della gravità
(convezione naturale). In stretta vicinanza delle superfici calda e fredda, il movimento del
fluido è netta- mente frenato, pertanto si individua un sottile strato di fluido, o strato limite,
nel quale è anche presente la conduzione.
L’irraggiamento o la radiazione corrispondono al trasporto di energia sotto forma di onde
elettromagnetiche; queste ultime, per le applicazioni qui considerate, sono generate da
super- fici calde e si propagano in un mezzo trasparente, il migliore dei quali è il vuoto. Le
onde elet- tromagnetiche sono della stessa natura di quelle di cui si tratta in illuminotecnica
(sezione C, paragrafo 1), sia pure con frequenza diversa.
Nella maggior parte dei fenomeni naturali il calore fluisce secondo più meccanismi con-
temporaneamente ed è necessario sapere valutare l’importanza, nel problema oggetto di
studio,
dei singoli meccanismi di trasmissione del calore poiché, nella pratica, quando uno di essi
è predominante possono essere trascurati gli altri, effettuando utili approssimazioni.

3. Conduzione
Gradiente di temperatura
Se si congiungono tutti i punti di un corpo con la stessa temperatura, si trova una
superficie isoterma. Dette superfici non si intersecano mai, perché un punto di un corpo non
può avere simultaneamente temperature diverse.
La temperatura di un corpo varia quindi solo nelle direzioni trasversali alle superfici
isoter- me e la maggiore differenza di temperatura per unità di lunghezza è osservata nella
direzione normale alla superficie isoterma. L’aumento di temperatura riferito all’unità di
lunghezza in
questa direzione è detto gradiente di temperatura.
Il gradiente, quindi, è un vettore normale alla superficie isoterma, il cui modulo è uguale
al valore assoluto della derivata normale e il cui verso è quello delle temperature crescenti.
Esso si scrive grad T e vale:

grad T ---T-- =
nn

Se è data una certa regione S si dice che in essa è definito un campo di temperatura,
quando la temperatura è funzione dei suoi punti P e in generale anche del tempo t,
ovvero
delle coordinate x, y, z che definiscono il punto. Si scrive allora:
T = T (P, t) = T (x, y, z, t)
In coordinate cartesiane il gradiente ammette un’espressione
molto semplice:
Q-42 TERMOTECNI
C A

grad T = ---T- = ---y j ---


z
+
T-- T--
---T-- i +
k
L’esperienza e il secondo principio della termodinamica insegnano che, se esiste un gra-
diente
la di temperatura
regione in un
a temperatura minore. n
corpo, il calore fluis cendalla regione a temperatura maggiore
versoNella conduzione l’energia si trasmette per contatto diretto fra le molecole senza che esse
si spostino sensibilmente.
Lo scambio di energia avviene per urto elastixco nei fluidi, per diffusione di elettroni
nei metalli.
liberi

dallo Ladorveelaiz,ijoLegge ,nkesdella


foonconduzione
nodiamveernsotarliededgelliaastsrai
scienziato francese J.D.J. Fourier. Essa afferma che la potenza termica per unità di area
sxmper
tra- smessa , yisconduzione
,szi.one delincalore per conduzione
un materiale, in ogni fu proposta
istante, è proporzionale al gradiente di
tempe- ratura:

k–A =-
-T-- (Q.12)
n
dove si è indicato con:
- la potenza termica espressa in W;
-A l’area della sezione attraverso cui fluisce il calore in m 2;
- T/n il gradiente di temperatura nella sezione in °C/m;

-k una costante di proporzionalità che rappresenta il coefficiente di conduzione termica,


espressa in W/(m°C) W /(mK).

Il segno meno è introdotto per soddisfare il secondo principio della termodinamica che
afferma che la potenza termica (positiva) si muove nel senso delle temperature decrescenti
(positivo quando T/n è negativo).
Il valore di k dipende dal materiale considerato e, per un dato materiale, dipende dalla
tem-
peratura
iso- tropo e dallaanche
è influenzato pressione: esso viene
dalla direzione deldeterminato
flusso . sperimentalmente. Per un corpo
non In sistemi nei quali la trasmissione del calore avviene per conduzione
monodirezionale, la
(Q.12) diventa:

k–A =

T-- --
x (Q.13)
In regime stazionario, l’andamento della temperatura può essere ricavato direttamente
dalla (Q.13).
Se però la temperatura del corpo varia con il tempo o se c’è generazione di calore entro
il corpo (per effetto Joule, per assorbimento di radiazioni, per reazioni chimiche o
nucleari
ecc.),
il problema diventa più complesso.
Si consideri un elemento infinitesimo dx (fig. Q.20). Per la conservazione dell’energia si
può scrivere la seguente equazione di bilancio per il volume elementare di spessore dx
(riferita all’unità di tempo):

quantità di calore entrante + quantità di calore prodotta all’interno =

= variazione del contenuto d’energia interna + quantità di calore uscente


TRASMISSIONE DEL
CALORE

Q-57

7. Propagazione termica liminare


Se una parete è affacciata a un ambiente contenente un fluido a temperatura diversa, il
fenomeno dello scambio termico avviene contemporaneamente per conduzione, per conve-
zione e per irraggiamento nel fluido. Si è, quindi, in presenza della sovrapposizione di feno-
meni che obbediscono separatamente a leggi diverse. Per i calcoli tecnici si può generalmente
trascurare la conduzione ed esprimere la quantità di calore globalmente trasmessa come
somma algebrica dell’energia scambiata per convezione e per irraggiamento:

= c +h 1 = c A T1 – T2 i A h T1 – T2 =
+c A+ hih

1 T– T2 ( Q .42)

Il coefficiente (h = hc + hi) è detto coefficiente di scambio termico liminare; per moderate


differenze di temperatura fra parete (T1) e fluido (T2) può essere considerato costante.

Siccome la valutazione separata di hc e h i non è molto semplice, in generale si misura


direttamente h; esso viene poi espresso in funzione delle caratteristiche della parete, della
velo-
cità del fluido e delle differenze di temperatura fra parete e fluido. Anche la natura del
fluido e l’eventuale cambiamento di stato di aggregazione hanno notevole influenza.
I valori massimi di h si hanno in corrispondenza di calore ceduto alla parete da
vapore
che
si condensa e di calore trasmesso da una parete a un liquido che bolle. In entrambi i casi,
se il fluido è acqua, si può avere h = 10 000 W/(m2 °C). Nel caso di acqua in convezione
forzata entro tubi di scambiatori di calore, si ottengono valori di 400 500, mentre nel caso di
aria, sempre in convezione forzata, su batterie alettate i valori sono di 40 50.
Nel caso di scambio liminare fra una parete di un edificio e l’aria esterna si adotta
conven- zionalmente il valore h = 23 W/(m2 °C), mentre fra la stessa parete e l’aria
interna il valore è 8.
8.Contemporanea presenza di diverse modalità di scambio

Parete piana
Assai frequentemente accade nella tecnica di dovere scambiare calore fra due fluidi, a
tem- perature diverse, che vengono tenuti separati fra loro per mezzo di uno strato di
materiale solido opportunamente configurato.
Nel caso particolare in cui le temperature dei fluidi possano essere considerate
uniformi e lo strato di materiale solido sia una parete piana semplice o multistrato,
riferendosi a una
gene-
Figura Q.29rica superficie Adelle
Distribuzione e ai temperature
simboli riportati nella figura
all’interno di unaQ.29,
paretenella
pianaquale è tracciato
indefinita
qualitativa- mente anche l’andamento della temperatura nei mezzi, si possono così
com- posta da più strati di materiale diverso e negli ambienti adiacenti.
scrivere le espressioni del flusso termico per unità di area, utilizzando le relazioni ricavate
precedentemente.
Q-59

11. IMPIANTI DI CLIMATIZZAZIONE


1. Grandezze fisiche e loro misura
Generalità
Gli impianti di climatizzazione hanno lo scopo di creare, in un ambiente, prefissate
condi- zioni termiche e igrometriche.
Si classificano in impianti di:
-riscaldamento: controllano la temperatura fornendo calore;
-refrigerazione o raffrescamento: controllano la temperatura sottraendo calore;
-condizionamento dell’aria: controllano temperatura e umidità dell’aria in ogni stagione;
a queste azioni vengono associati opportuni ricambi d’aria e una filtrazione dell’aria
nel rispetto di adeguati standard acustici.

Parametri caratteristici dell’aria atmosferica


L’aria atmosferica, o aria umida, è costituita da una miscela di aria secca (avente pres-
sione parziale pa) e di vapore d’acqua (di pressione parziale pv).
La composizione dell’aria umida, rappresentata con il valore delle percentuali
in volume
dei singoli componenti, è riportata nella tabella Q.9.
Come si vede, gli elementi principali sono l’azoto e l’ossigeno, presenti rispettivamente in
percentuali del 78 e 21 circa. Tutti gli altri componenti, presenti in quantità ridotte, raggiun-
gono insieme circa l’1%.
Componenti % in volume Componenti % in volume
Azoto 78,08 Neon 0,0018
Tabella Q.9 Composizione20,95
Ossigeno dell’aria secca atmosferica
Elio 0,0005
Argon 0,93 Cripto 0,0001
L’Aanriidarisdeeccc di eressanXteinloa , si
aar,bnoneiicacampi un tem0p,e0r3atura climatizzazione he co0,m00p0o0r8t
gas ideale, così come int il vapore l’accompagna (caratteris a come tiche
d’acqua c indicate nella
tabellaIdrQog.e1n0o) fino indicat0o,0c0o8me azione.
al limite satur
Tabella Q.10 Grandezze caratteristiche dell’aria
Elementi Costante elastica R* [J/(kg °C)] Densità 0 = 1/v0 [kg/m3]

Aria secca 287,2 1,276

Vapore d’acqua 462,0 0,794


Q-60 TERMOTECNICA

La condizione di saturazione si ottiene immaginando di introdurre acqua liquida a tempe-


ratura costante, fino a che essa non evapora più; la pressione di saturazione ps che ne conse-
gue, non dipende dalla presenza dell’aria secca ma solo dalla temperatura t (tab. Q.11).

-pressione totale o pressione barometrica p t = pa + pv in Pa;


-umidità relativa = p v / ps in %;
-titolo dell’aria umida x = massa vapore associata a 1 kg d’aria secca in kg
vapore/kgaria secca =
= 0,622 · ps / (pt

· ps);
-entalpia dell’aria umida h = t + x (2500 + 1,9 · t) in kJ/kg aria secca (riferita a 1 kg
d’aria secca più gli x kg di vapore);
-temperatura media radiante: temperatura uniforme delle pareti nere che scambiano la stessa
quantità di calore delle pareti reali;
-temperatura dell’aria o temperatura di bulbo secco t bs = t: temperatura letta su
un termome- tro schermato e ventilato, pari alla temperatura t dell’aria umida;
-temperatura di rugiada t r, ossia la temperatura di saturazione del vapore a pressione pv,
for- nita dall’igrometro a punto di rugiada o ad appannamento;
-temperatura di bulbo umido t bu: temperatura letta su un termometro schermato, ventilato
e con il bulbo rivestito da una bussola umettata con acqua distillata.

Lo strumento che permette la lettura contemporanea delle temperature di bulbo secco


e umido si chiama psicrometro di Assman.
I calcoli termoigrometrici relativi agli impianti di condizionamento si effettuano con l’uso
dei diagrammi di Mollier dell’aria umida (figg. Q.30 e Q.32) e ASHRAE (American Society
of
Heating Refrigerating and Air Conditioning Engineers) come indicato nella figura
Q.31.
In questi si leggono molte grandezze precedentemente definite con i rispettivi
collegamenti (fig. Q.33).
Sugli stessi diagrammi sono indicate le pendenze h/ x delle trasformazioni con
scambio contemporaneo di calore e di massa.
Q-64 TERMOTECNICA

11.2 Confortevolezza ambientale


Gli ambienti occupati dalle persone sono suddivisi in ambienti moderati, dove
normal- mente vivono le persone, e ambienti estremi (dove vengono compiute attività di
lavoro partico- larmente stressanti); nei primi si stabilisce un indice di comfort e nei
secondi dei criteri di stress.

Gli indici di comfort più comuni sono:


-il PMV (valore medio previsto) e il PPD (percentuale media di insoddisfatti)
proposti da Fanger;
-la temperatura operativa t 0 proposta da Gagge, corrispondente alla temperatura di

un am- biente isotermo (pareti e aria) con velocità dell’aria minore di 0,4 m/s e umidità 50%,
che scambia con le persone lo stesso flusso termico di convezione e radiazione dell’ambiente
considerato;
-temperatura effettiva ET*, simile alla temperatura operativa ma con l’influenza della
sudora- zione.

L’indice PMV assume i valori compresi fra –5 e +5 e la corrispondenza con le sensazioni


è indicata nella tabella Q.12.
Tabella Q.12 Corrispondenza fra sensazioni termiche, PMV e PPD
IMPIANTI DI Q-65
CLIMATIZZAZIONE
Tabella Q.13 Valori del metabolismo espressi in
*
met Attività[met]Attiv et]
i
tà[m
1) Riposo 0,7 4) Lavori 2,4
Dormir leggeri
e Stare 0,8 Montaggi 2,0 3 ,4
distesi leggeri
Stare 1,1
seduti Pulizia casa 1,4 2 ,2
Stare in Attività
1,4
piedi laboratorio

2) Camminare in piano 2 5) Lavori 6,8


a 3,2 km/h pesanti
2,4 Sorvegliar 4,0 7 ,0
4
km/ e forni
2,6
h Meccanica
4,8 pesante
L’arekamd/ i Du Bois Ab è ile d3a,l8laone:
h
ricavab
6,4 relazi0,425 · h 0,725
in cui m hkèmla/ massa del Ab = è la sua altezza espressa in m.
soggetto e 05,,8202 · m in clo
Tabella 8Qk.1m4/hValori
3)
dell’isolame spressa
2,4 in kg,
6) lo] * 2,0
Pendenza
CamminaArebbinigsliaal
5 % e 1,6 km/h h
Nudo
mitaento 15 % e 1,6 3,3 Occ Ruepsaiz
Negoziant 0sitoenzi 1,6
km/h nto del e
a termica [c
Calzoncin 25 % e 3,2
i corti 7,7 Insegnante 0,1
km/h vestiario varie
A* orea o area di Du Bois 0,35
bAbbigliamento
1bmigeltiacmorernistopolnedgege 0,50
medio
Laaro 58e,s2tivdi
percentuale o/m2 di area corp
Winsoddisfatti PPD deriva dal diagramma rappresentato nella figura
1,50
Q. 3 4 .
A b b igliamento pesante
* 1 clo nde a una resistenza termica di 0,155 m2 °C/W
corrispo

Figura Q.34 Relazione fra indice di comfort PMV e percentuale di insoddisfatti PPD.
Q-66 TERMOTECNICA

Nella progettazione degli impianti vengono adottati i valori della tabella Q.15 che
tengono conto sia delle attività delle persone negli ambienti civili abitati, sia del vestiario
stagionale.

Oltre alle condizioni termoigrometriche, in un ambiente abitato da persone va garantito


un opportuno ricambio d’aria, con prelievo dall’esterno; nella tabella Q.16 sono riportati
alcuni valori indicativi.
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE

Q-67

11.3 Impianti di riscaldamento: tipologie e


schemi funzionali
Gli impianti di riscaldamento possono essere classificati in modi diversi, secondo
gli aspetti peculiari che si possono prendere in considerazione:
-impianti civili, per abitazioni, uffici, ospedali ecc.;

-impianti industriali, per locali nei quali vengono privilegiate le esigenze della

produzione.

Gli impianti, in funzione del numero e della dimensione dei locali serviti, possono
suddivi- dersi in impianti di riscaldamento locale (stufe a legname, caminetti, stufe elettriche,
a gas, a combustibile liquido, generatori d’aria calda, pompe di calore) e impianti
centralizzati (con distribuzione di acqua calda o aria calda).
Un altro criterio di classificazione fa riferimento al tipo di elemento terminale
dell’impian-
to: impianto a radiatori, a convettori, a ventilconvettori, a pannelli radianti a soffitto o a
pavi- mento, ad aerotermi ecc.
Infine, per il tipo di distribuzione del fluido vettore termico (acqua calda), impianti
centra-
lizzati con distribuzione dall’alto, dal basso, orizzontale, a due tubi, monotubo ecc.
Vengono forniti gli schemi degli impianti riportati di seguito.
-Impianti con distribuzione dal basso (fig. Q.35): rappresentano il tipo più diffuso

nell’edili- zia classica fino all’ultimo decennio escluso; i vari corpi scaldanti (radiatori o
convettori) sono collegati da colonne montanti che alimentano gli elementi sovrapposti; un
doppio col- lettore nello scantinato collega le colonne montanti al generatore di calore; un
vaso di espan- sione chiuso permette la dilatazione dell’acqua conseguente al suo
riscaldamento; nei punti più alti di ogni colonna montante deve essere previsto uno sfogo
d’aria per consentire il com- pleto riempimento del circuito. Questo tipo di impianto permette
la contabilizzazione del calore solo con sistemi indiretti.

Figura Q.35 Impianto di riscaldamento centralizzato ad acqua calda, con distribuzione


dal basso e circolazione forzata: SAM) sfogo d’aria manuale; A)
alimentazione;
P) pompa; Sc) scarico; VE) vaso d’espansione chiuso.
Q-68 TERMOTECNICA

- Impianti con distribuzione orizzontale a due tubi (figg. Q.36 e Q.37): ogni unità immobiliare
è collegata a una colonna montante (collocata in un cavedio centrale); entro l’unità
immobi- liare i corpi scaldanti sono collegati attraverso una coppia di tubazioni (andata e
ritorno); al distacco dalla colonna montante può essere inserito un contatore diretto di
calore ed even- tualmente una coppia di valvole di intercettazione per la chiusura
dell’erogazione, in caso di morosità o di interventi sulla rete interna all’utenza.

Figura Q.36 Impianto di riscaldamento centralizzato ad acqua calda con colonne montanti e
distribuzione orizzontale a due tubi a circolazione forzata: SAM) sfogo d’aria
manuale; A) alimentazione; VE) vaso d’espansione chiuso; CC) contatore di
calore; UIA e UIB) unità immobiliari A e B; Sc) scarico.

Figura Q.37 Particolare di impianto con più unità immobiliari allo stesso piano, ciascuna
con proprio contatore di calore.
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE

Q-69

- Impianti con distribuzione orizzontale monotubo (fig. Q.38). L’impianto differisce dal prece-
dente solo per la distribuzione dell’acqua entro l’unità immobiliare: un unico tubo collega i
vari corpi
regola scaldanti eone
la distribuzi unadel
strozzatura (eiettore),
flusso dell’acqua fraassociata a una
il radiatore e ilvalvola diAnche
by-pass. regolazione,
questa la
soluzione per- mette cont abilizzazione diretta.

Figura Q.38 Impianto monotubo del tipo a tubo di Venturi.


La distribuzione orizzontale è adottata anche nel caso di impianti autonomi; le caldaiette
sono collegate all’ingresso della rete orizzontale.
Attualmente la soluzione più interessante è l’impianto centralizzato con distribuzione
oriz- zontale a due tubi, in quanto esso permette la contabilizzazione con la ripartizione delle
spese,
evita situazioni di pericolosità ingenerate dalle caldaiette a gas (fughe di gas e perdite dai
camini nei locali sovrastanti) e di maggiori costi per la manutenzione periodica richiesta per
questi apparecchi.
L’introduzione della contabilizzazione, diretta o indiretta, permette all’utente di ricevere
benefici personali dall’installazione nella propria unità immobiliare di valvole di regolazione
o cronoregolazione termostatica, di involucri più isolanti (doppi vetri, finestre a maggiore
tenuta,
isolamento di pareti, tetti, scantinati) e, infine, produce una correzione dello squilibrio
idrico di impianti mal regolati che costringono a erogare più calore del necessario ad alcuni
utenti, per fornire il minimo indispensabile ad altri.

Corpi scaldanti
Il trasferimento dell’energia termica avviene attraverso terminali che possono
essere:
-radiatori in ghisa, in acciaio o in lega;
-convettori a circolazione naturale o forzata;
-pannelli radianti a soffitto o a pavimento;
-ventilconvettori;
-aerotermi.
Q-70 TERMOTECNICA

Tipologia di impianto consigliato


Nelle abitazioni sono consigliati gli impianti centralizzati ad acqua calda con radiatori o
convettori (fig. Q.37); in alcuni casi sono stati adottati impianti dello stesso tipo ma con pan-
nelli radianti a soffitto o a pavimento annegati nelle strutture (questi ultimi presentano inerzia
notevole e quindi difficoltà di regolazione; data la bassa temperatura di funzionamento, infe-
riore a 35 °C, hanno interesse nel caso di generatori a pompa di calore, eventualmente
combi- nati con collettori solari).
Negli stabilimenti industriali si usano impianti ad aria calda o ad acqua con aerotermi;
per locali molto alti sono utili gli impianti con pannelli radianti a soffitto, alimentati con
acqua sur- riscaldata.
11.4 Impianti di riscaldamento: dimensionamento
Dimensionamento termico
Per ciascuno dei vari locali riscaldati viene calcolato il fabbisogno termico invernale ,
definito anche carico termico invernale, con la relazione:
= ( Hi Si ai + Hli Li + Hpi Ni ) ( ti – te ) + n V c*p ( ti – te )
dove:
-H i è la trasmittanza termica espressa in W/(m 2 °C) di ogni parete del locale di area S i
espressa in m2 e ai è un coefficiente che tiene conto dell’esposizione della parete: vale 1
per parete rivolta a sud; 1,1 a est o a ovest e 1,2 a nord;
-H li è la trasmittanza termica lineica espressa in W/(m °C) di ogni giunto fra le pareti del
locale, di lunghezza Li espressa in m;
-H pi è la trasmittanza termica espressa in W/°C, di ogni ponte termico e Ni è il numero di
cia- scun tipo di essi;
-t i – te la differenza fra le temperature interna del locale e quella esterna di progetto, indicata
sulle norme per la zona climatica in cui è posto il fabbricato;
-n è il numero di ricambi d’aria previsti e V il volume del locale;
-c p* è il calore specifico volumetrico dell’aria, pari a 1 × 0,85 = 0,85 kJ/(m3 °C).

Sulla base del valore di e del salto termico previsto fra andata e ritorno dell’acqua ta – tr
si sceglie la dimensione del corpo scaldante sul catalogo del terminale adottato.
La somma delle potenzeG installate in ogni locale, con un4
c---- t---– - w
oGp portuno incremento per
--------
conto
tener delle perdite wnelle tubazioni, f a orn a
w
isceril dato
essela
per Dnd imo:ensionamento idraul
scel-t-a-v-d=ella tcaldaia.
--- -
-G w laDpoalrtdaitsaedginaocdqeulal’iinmkpgia/sntnoesl
i-c-o--------=d
itrcaatltcoodlaintuobiadziiaomneetcroindseildlertautboa; zioni tramite la
relazione:
-
la somma dei flussi termici erogati dai corpi scaldanti, serviti dal tratto di tubazione;
-c a il calore specifico dell’acqua, pari a 4,18 kJ/(kg °C);
-t a – tr la differenza di temperatura dell’acqua fra andata e ritorno in °C;
-d il diametro del condotto in m;
-v la velocità dell’acqua nel tubo considerato (tab. Q.23);
- w la densità dell’acqua, pari a 1000 kg/m3.
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE

Q-71

La temperatura ta dell’acqua di andata viene scelta nel campo 90 60 °C, propendendo


per i valori più bassi, per evitare il sollevamento e la tostatura della polvere da parte del radia-
tore; la temperatura di ritorno tr è scelta nel campo 60 30 °C, privilegiando i valori più
bassi, soprattutto quando si pensa di utilizzare pompe di calore asservite a collettori solari
o anche caldaie a condensazione. È evidente che valori bassi comportano corpi scaldanti più
grandi (quindi costosi).
Dopo aver dimensionato in questo modo le tubazioni dell’impianto, si seleziona il circuito
più lungo, che presenta il maggior numero di resistenze al moto dell’acqua (curve, valvole
ecc.), e si calcola la caduta di pressione complessiva dimensionando, in tal modo, la pompa di
circolazione (non si tiene conto delle prevalenze motrici dovute alla circolazione naturale,
essendo trascurabili).
Conviene effettuare un riequilibrio delle portate nei circuiti più brevi, riducendo alcuni
dia-
metri o intervenendo sui detentori; le valvole termostatiche sui radiatori equilibrano
automati- camente la rete di distribuzione dell’acqua, chiudendo l’alimentazione dei radiatori
più vicini appena raggiunta la temperatura di controllo nei locali serviti.

Contabilizzazione
La contabilizzazione permette di misurare il consumo di calore effettuato da un utente di
un impianto di riscaldamento centralizzato. Gli apparecchi di misura che effettuano corretta-
mente tale operazione sono:
-contatori diretti: inseriti al collegamento fra colonna verticale di distribuzione e il circuito
dell’utente, negli impianti con distribuzione orizzontale (figg. Q.36, Q.37 e Q.38), misurano
portata dell’acqua e differenza di temperatura; il prodotto, moltiplicato per il calore
specifico dell’acqua, integrato nel tempo, fornisce la quantità di calore consumata;
-contatori indiretti (o ripartitori): posizionati su ogni radiatore, integrano nel tempo la diffe-
renza di temperatura fra radiatore e ambiente; il risultato, moltiplicato per una costante
speri- mentale del radiatore, fornisce la quantità di calore erogata dal radiatore.

La differenza fra il calore prodotto dal combustibile (Qt = pc · Gc) e la somma delle
quan- tità di calore prelevate da ogni utente Qi, costituisce la quota Qd persa nella
produzione e nella distribuzione; pci è il potere calorifico inferiore del combustibile espresso
in J/kg e Gc è il consumo annuale di combustibile.
La spesa generale va quindi suddivisa in due quote proporzionali a Qd e a Qi; la prima
viene ripartita sulla base dell’impegno di potenza dei singoli utenti (millesimi di
proprietà) e la
seconda sulla base dei Qi.
Gli impianti con contabilizzazione esplicano il massimo del risparmio se sono introdotti,
sui radiatori o sul circuito idraulico dell’utente, termostati o cronotermostati di zona; essi
rego- lano la temperatura dell’ambiente in relazione alle esigenze dell’utente, evitando gli
eccessi di temperatura ed equilibrando squilibri di distribuzione del calore sempre presenti,
che impon- gono riscaldamenti eccessivi ad alcuni utenti privilegiati per fornire il minimo a
utenti disa- giati.
È utile che le unità immobiliari con contabilizzazione siano isolate l’una dall’altra
con
pareti di trasmittanza almeno di 1 W/(m2 °C) per ridurre le interferenze reciproche conse-
guenti a diverse temperature di regolazione (furti di calore).

Previsione dei consumi: diagnosi energetica


Secondo la tendenza di dotare ogni unità immobiliare di elementi per la valutazione delle
spese di riscaldamento e della convenienza tecnico-economica di un intervento sull’impianto
o sulle strutture (per esempio: sostituzione della caldaia, sostituzione delle finestre con altre
Q-72 TERMOTECNICA

provviste di doppi vetri e serramenti a taglio termico, isolamento del tetto o di altri
componenti l’involucro), viene effettuata una diagnosi energetica del fabbricato. Essa
consiste nel calcolo del carico termico nelle condizioni di progetto.
I consumi stagionali previsti si ottengono dalla relazione:
Qt = GG/(ti tc ) ·
essendo:
- il flusso termico consumato dal generatore di calore nelle condizioni di progetto;
- GG i gradi giorno della stagione invernale media o dell’anno specifico derivati dai dati
cli- matici;
-t i tc la differenza di temperatura interno-esterno di progetto;
- il rendimento termico legato al tipo di regolazione.
Essi possono essere messi in relazione con il costo di eventuali interventi sull’involucro
(isolamento del tetto, sostituzione infissi) o sui componenti l’impianto (caldaia), ovvero con-
frontati con i consumi effettivi, per valutare anomalie dell’impianto o dell’esercizio e, infine,
essere confrontati con i consumi di abitazioni similari.
11.5 Impianti di condizionamento dell’aria: tipologie e generalità
Tali impianti possono essere classificati come indicato nella tabella Q.17.
Tabella Q 17 Principali tipol ogie di impianti condizionamento de
Caratterist . Nome di Compito ll’aria
iche Fluido affidato Utilizzazione
principali utilizzato
A sola aria Locali a sola Aria Controllo Unico locale,
temperatura, cinema, hall di
aria alberghi, camere
umidità e operatorie
ricambi
A sola aria Multizone Aria Controllo Zone diverse
temperatura, di un locale
umidità e unico, pochi
ricambi locali simili
A sola aria A doppio Aria Controllo Più locali simili
condotto o temperatura
Ovviament intermedie, sce , enze tecniche e
e
esdiosptpo lte
inoocsaona
pumeridsiotàdde
lulezioni irsifcaarmebei sig
soprattutto eco nomiche. Aria + acqua Controllo Abitazioni,
Misti Ventilconvetto uffici, camere
ti di condiziona mentetomdpeerlalt
aElementi c omrui na i mpianti
sore di caduta di pressione, viene sostituito
ria-acqua d augelioiampian
dio condi
lavato.
’uarrai,a onodidoissp
-Batteria preriscaldamento invernale e raffreddamento e deumidificazioneeestiva.
Glidiele gdauÈliicosti-
toe
tuita menqalettata
da una batteria
elencati. oro da acqua caldazion
tuiacttpercorsa uammidnel
o refrigerata; eitnprimo
à ecaso
di
la
trasfor- mazionemtuè rappresentata
unbii agli i
dalla linea di salitato
1-2
e (fig. Q.39), nel secondo dalla linea
alberghi
di discesa 1-2 (solo raffreddamento) e nel terzo dalla linea 1-2-3 (raffreddamento e
rdicealml’abiria s
deumidifcazione, fig. Q.40).
-CaMmisetri sceAla.inIdnuez ne Alarima ariaCodnitrroicllio ia eUsftfeicrina E,
a di mi isosnaeavvie i+scaecqlauafr rcolo A e ar otte-
naerniad- celaa a temperatura,
to da un feltro o da
oaclqauam Mdue(fioga.
is o a rullo. L’elem entuomfiidltirtàanet
-Filtro dell’ari
Q.39). reicèamcobsititui o attraverso un sen-
a colo
un tessuto che il filtro sporco, rilevat
aqtuealtatrioat atmosferico;
muboivibili
trattiene il pulvis
IMPIANTI DI Q-73
CLIMATIZZAZIONE

Figura Q.39 Diagramma di Mollier con indicazione delle trasformazioni di riscaldamento


e di raffreddamento con contenuto igroscopico costante.
-Sezione umidificante. È costituita da un gruppo di ugelli spruzzatori di acqua, da un pacco
di materiale cellulare bagnato in continuazione da acqua o da spruzzatori di acqua liquida
o di vapore acqueo; la trasformazione che subisce l’aria che attraversa il componente nei
primi due casi è una saturazione adiabatica.
-Separatore di gocce. È costituito da un pacco di materiale che, inducendo un percorso tor-
tuoso all’aria, ne trattiene le gocce non evaporate.
-Batteria di post-riscaldamento. Simile alla precedente, ma sempre percorsa da acqua calda.
-Sezione ventilante. Ventilatore centrifugo per la circolazione dell’aria, che sopperisce alle
cadute di pressione.
-Canali di distribuzione dell’aria. Costituiti da lamiera zincata, isolata termicamente e in
alcuni tratti anche acusticamente, portano e riprendono l’aria dai vari locali e dall’esterno.
-Bocchette di mandata o di ripresa. Le prime lanciano l’aria nel locale condizionato
provve-
dendo a un suo completo lavaggio, mantenendo comunque le velocità, nelle posizioni occu-
pate dalle persone, al di sotto di 10 cm/s.
-Serrande di regolazione o tagliafuoco. Con alette a moto contrapposto, con comando
manuale o asservito permettono la regolazione dei flussi d’aria secondo i risultati
progettuali
o le esigenze dei locali.
Q-74 TERMOTECNI
C A

Figura Q.40 Diagramma di Mollier con indicazione delle trasformazioni di


raffreddamento con deumidificazione.
Bilancio termoigrometrico di un qualsiasi componente o locale
L’aria umida che attraversa un qualsiasi ambiente o componente di impianto di condizio-
namento, nel quale avvenga uno scambio di calore e/o di massa d’acqua, sotto forma di
liquido o di vapore, subisce una trasformazione caratterizzata dalle seguenti relazioni:

- ---h-- = - ----r+ 0 + cpvtv

x h-- = - ---
---- gm x gm
-c+ pwtw
delle quali la prima corrisponde all’introduzione di acqua sotto forma di vapore e la
seconda sotto forma di liquido; il significato dei simboli è il seguente:
- h/ x = pendenza della trasformazione;
- = flusso termico fornito al flusso dell’aria nell’ambiente in kW;
-g m = portata d’acqua introdotta in kg/s;
-r 0 = calore di evaporazione dell’acqua, pari a 2500 kJ/kg;

-c pv = calore specifico del vapore acqueo, pari a 1,9 kJ/(kg ° C);

-t v = temperatura del vapore;

-c pw = calore specifico dell’acqua liquida, pari a 4,18 kJ/(kg ° C);

-t w = temperatura dell’acqua liquida in °C.


IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE

Q-75

La pendenza h/ x della linea di trasformazione è precalcolata sul diagramma di Mollier e


su quello ASHRAE e riportata o su una semicirconferenza entro il grafico (figg. Q.30 e Q.31)
o sulla cornice del diagramma stesso (figg. Q.32 e Q.39).
11.6 Impianti di condizionamento dell’aria: dimensionamento termico
Si parte dal calcolo del fabbisogno termico estivo, chiamato anche carico termico estivo,
attraverso la relazione:
= c+ r+ e+ p
essendo:
- c il flusso termico che attraversa le pareti opache e quelle vetrate per conduzione; in
estate il fenomeno non è stazionario; tale grandezza va calcolata attraverso la tabella
Q.18;
Q-76 TERMOTECNICA

- r il flusso di radiazione solare che attraversa le superfici vetrate; anch’esso è variabile


nell’arco della giornata e va calcolato attraverso la tabella Q.19 tenuto conto dei fattori mol-
tiplicativi 1 (tab. Q.19), 2 (tab. Q.20) e 3 (tab. Q.21);

- e il flusso termico endogeno prodotto dall’illuminazione, da ogni macchina elettrica


(tutta la potenza elettrica viene trasformata in calore) e da ogni sorgente di calore a
eccezione delle persone che vengono trattate separatamente;

- p il flusso di calore sensibile prodotto dalle persone secondo il tipo di attività svolta,
come indicato della tabella Q.22.
IMPIANTI DI Q-79
CLIMATIZZAZIONE

Oltre al carico termico, si calcolano le portate di vapore gm, espresse in kg/s, dovute alle
persone (nel caso esistano altre sorgenti di vapore vanno sommate) e le portate d’aria esterna
Ge, espresse in kg/s con le relazioni:
gm = np gp /(3,6 · 106)
Ge = np G’e a /(3,6 ·
106) essendo:
-n p il numero di persone presenti nel locale;
-g p la portata di vapore emessa da ogni persona in g/h
(tab. Q.22);
-G’ e la portata d’aria esterna richiesta da ogni persona
in m3/h (tab. Q.16);
- a la densità dell’aria assumibile in 1,25 kg/m3.

11.7 Impianti a sola aria


Il compito del controllo della temperatura e dell’umidità relativa è affidato all’aria prepa-
rata da una centrale di trattamento.
Impianti locali a sola aria
Questi impianti sono a servizio di un unico locale; attraverso un circuito d’aria con
portata elaborata da una centrale di trattamento aria, controllano la temperatura dell’aria
(temperatura di bulbo secco), l’umidità relativa (o la temperatura di bulbo umido), il
ricambio d’aria, la puri- ficazione dell’aria per filtrazione. Il tutto con la garanzia di un
adeguato livello acustico e di velocità dell’aria.
Lo schema dell’impianto è indicato nella figura Q.41.
In genere le centrali di trattamento aria sono a sezioni componibili e quindi vanno dimen-
sionate. Si inizia con il calcolo estivo, essendo questa la situazione più penalizzante; il calcolo
invernale serve per eventuale verifica della batteria di post-riscaldamento.
Dimensionamento estivo
Si usa uno dei diagrammi dell’aria umida. Si posiziona il punto I rappresentativo delle
- ---h-- = - ----c+ pwtw ovvero ----h-- = - ----r+ 0 + cpvtv
con- dizioni da realizzare in ambiente (fig. Q.42) e si traccia la semiretta di carico avente la
pen- denza h/ x calcolataxattraverso
gm la relazione: x gm
secondo la modalità di introduzione di gm (liquido o
vapore).
Q-80 TERMOTECNI
C A

Figura Q.41 Schema di un impianto locale a sola aria: 1) ambiente condizionato; 2) presa
d’aria esterna con eventuale serranda antigelo; 3) camera di miscela; 4) filtri su
telaio; 5) batteria di preriscaldamento (a volte questo componente non compare
in quanto viene utilizzata per lo stesso scopo la batteria di raffreddamento e deu-
midificazione); 6) sezione di umidificazione a spruzzamento (o a vapore);
7) batteria di raffreddamento e deumidificazione estiva (o di pre-riscaldamento invernale in
sostituzione della 5); 8) separatore di gocce; 9) batteria di post- riscaldamento;
10) sezione ventilante; 11) condotto di mandata; 12) condotto di ripresa; 13) ventilatore di
espulsione; 14) condotto di espulsione.

Si sceglie su tale semiretta un punto A, rappresentativo delle condizioni dell’aria


introdotta nell’ambiente condizionato, corrispondente a una temperatura da 10 a 15 °C
inferiore a quella di I; tale decremento deriva da un’esigenza sperimentale di una buona
mescolanza del getto d’aria trattata con quella dell’ambiente.
La portata G d’aria trattata si ottiene dalle relazioni
-se la portata gm è di vapore, si ha:G ( h I – hche
A ) seguono:
= + gm (r0 + cpv tv)
se la portata gm è di liquido, si ha:
- G ( hI – hA ) = + gm cpw tw
La portata G è ottenuta dalla somma della portata di ricircolo Gr e di quella d’aria esterna
Ge destinata ai ricambi: G = Gr + Ge. Segnato quindi sul diagramma dell’aria umida il
punto E rappresentativo delle condizioni dell’aria esterna, si trova il punto di miscela M
(miscela che si realizza nel componente 3 della figura Q.41) attraverso la relazione:
AM = AE Ge/G
dove AM e AE sono i segmenti misurasti con un righello sul diagramma.
IMPIANTI DI Q-81
CLIMATIZZAZIONE

Figura Q.42 Trasformazioni per il calcolo dimensionale dell’impianto di condizionamento


locale a sola aria nella condizione estiva.
Il gruppo di trattamento dell’aria effettua un raffreddamento e una deumidificazione da M
a R (il punto R si trova sulla curva di saturazione allo stesso titolo di A) e un post-riscalda-
mento da R ad A. Le batterie saranno dimensionate in modo da scambiare le potenze
termiche:
-per raffreddamento e deumidificazione: rd = G (hM – hR)
-per post-riscaldamento: pre = G (hA – hR)
Per il dimensionamento aeraulico si considera di consultare il paragrafo a esso dedicato.
Dimensionamento invernale
Si parte dalla considerazione che le portate G, G r e Ge siano le stesse calcolate in estate
(nel caso in cui non siano previste velocità diverse per i ventilatori). Dal punto I rappresenta-
tivo delle condizioni da mantenere in ambiente (fig. Q.43) si traccia un segmento a titolo
costante o con titolo ridotto di x = gm/G, fino al punto A, condizione di introduzione
dell’aria trattata, avente l’entalpia ottenuta dalla relazione:
hA – hI = /G
essendo il flusso termico calcolato nella condizione invernale e G la portata d’aria. Si
nota che il flusso viene calcolato sommando solo i contributi corrispondenti a esigenze di
riscal- damento, quindi con esclusione di tutte le potenze endogene dovute alle persone, alle
mac- chine, all’illuminazione ecc.
Q-82 TERMOTECNICA

Il punto M di miscela si trova sul segmento IE, tale da verificare la relazione ME = IE


Gr/G. Pertanto il gruppo di trattamento aria effettua la serie di trasformazioni: pre-
riscaldamento (linea MC), umidificazione generalmente come saturazione adiabatica (linea
CB) e post-riscal- damento (linea BA). Il tracciamento di tale spezzata avviene con la
procedura: da A a B seguendo la linea a titolo costante, fino alla saturazione; il punto C si
trova sull’isoentalpica per B e sull’isotitolo per M.
Le potenze delle batterie risultano:
-per il pre-riscaldamento: ar = G (hM –
-per il post-riscaldamento:
h C)
pri = G (hA – hB
I flussi termici pr e ar permetto) no la scelta della batteria di raffreddamento e
deumidifi- cazione (se con funzione anche di pre-riscaldamento invernale), mentre pre e pri
permettono la scelta della batteria di post-riscaldamento. Ovviamente delle due
condizioni viene adottata quella di superficie maggiore.

Figura Q.43 Trasformazioni per il calcolo dimensionale dell’impianto di condizionamento


locale a sola aria nella condizione invernale.
Impianti multizone
Questi impianti servono un numero limitato di zone di uno stesso ambiente (per
esempio, di un locale da spettacolo o di una sala per il pubblico o di una grande sala)
oppure ambienti
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE

Q-83

diversi, ma con simili esigenze di deumidificazione/umidificazione e ricambio. Lo schema


funzionale (fig. Q.44) è quello dell’impianto locale a sola aria in cui il post-riscaldamento è
suddiviso in modo da essere asservito alle esigenze della zona collegata.
A volte il post-riscaldamento è unico e una sezione multizone a serrande contrapposte
regola le portate di aria di ogni canale, a seconda della zona servita.

Figura Q.44 Schema di impianto multizone: 1) ambiente condizionato; 2) presa d’aria


esterna con eventuale serranda antigelo; 3) camera di miscela; 4) filtri su telaio;
5) batte- ria di preriscaldamento (a volte questo componente non compare in
quanto viene utilizzato per lo stesso scopo la batteria di raffreddamento e
deumidificazione);
6) sezione di umidificazione a spruzzamento (o a vapore); 7) batteria di raffred- damento e
deumidificazione estiva (o di pre-riscaldamento invernale in sostitu- zione della
5); 8) separatore di gocce; 9) sezione ventilante; 10) batterie di post-
riscaldamento; 11) condotti di mandata; 12) condotto di ripresa.
Impianti a doppio condotto
Servono un numero di locali qualsiasi. Lo schema funzionale (fig. Q.45) è quello del-
l’impianto locale a sola aria, con la modifica che dalla centrale di trattamento dell’aria
partono due condotti di cui uno (condotto caldo) provvisto di post-riscaldamento e l’altro
(condotto freddo) derivato dopo la batteria di raffreddamento e deumidificazione. In ogni
ambiente è posta una cassetta di miscela nella quale vengono prelevate e miscelate opportune
portate d’aria dal condotto caldo e da quello freddo, in relazione alle esigenze
termoigrometriche dell’ambiente.
A volte le portate prelevate dalla cassetta miscelatrice e i trattamenti dell’aria per i due
condotti sono stabiliti sulla base di valutazioni di massimo risparmio di energia.
11.8 Impianti misti aria-acqua
Tali impianti sono provvisti di una distribuzione d’aria (con portata generalmente pari a
quella dell’aria esterna Ge), cui sono affidati i compiti del controllo dell’umidità relativa e del
ricambio d’aria e di una distribuzione d’acqua calda e/o refrigerata, con il compito del con-
trollo della temperatura compensando la potenza . Il dimensionamento di questi impianti
avviene in modo simile agli impianti a tutt’aria.
Q-84 TERMOTECNI
C A

Figura Q.45 Schema di impianto: a) a doppio condotto: 1) condotto di ricircolo; 2) presa


d’aria esterna con eventuale serranda antigelo; 3) camera di miscela; 4) filtri su
telaio; 5) sezione ventilante; 6) sezione di umidificazione a spruzzamento (o a
vapore); 7) batteria di raffreddamento e deumidificazione estiva (o di pre-riscal-
damento invernale); 8) batteria di post-riscaldamento; 5) sezione ventilante;
9) sistema di acoraggio; 10) condotto caldo; 11) condotto freddo; b) con cassetta di
miscelazione: 1) ingresso aria calda e fredda miscelata; 2) regolazione di por-
tata; 3) assorbitori acustici di lana di vetro; 4) uscita.
Impianti a ventilconvettori
Sono usati in tutti quei fabbricati nei quali i locali sono molti, con esigenze termiche
anche molto differenti (uffici, alberghi, camere di degenza di ospedali ecc.).
Lo schema è rappresentato nella figura Q.46. La centrale di trattamento dell’aria
elabora la
sola portata d’aria esterna che, una volta inviata in ambiente, viene ripresa attraverso i
servizi ed espulsa.
La rete dell’acqua può essere di due tubi (impianto a due tubi), uno di andata e uno di
ritorno, che distribuiscono acqua refrigerata in estate e acqua calda in inverno; più efficiente
può essere la rete a quattro tubi che distribuiscono contemporaneamente acqua refrigerata e
acqua calda.
Il terminale è costituito dal ventilconvettore, costituito da un mobiletto con filtro, ventila-
tore, batterie di scambio (una per impianto a due tubi e due per impianto a quattro tubi) e da
una valvola, semplice o doppia, comandata da un termostato ambiente.

Figura Q.46 Schema di impianto a ventilconvettori a quattro tubi: 1) ventilatore; 2) filtro;


3) batteria refrigerante e scaldante; 4) complesso umidificatore; 5) batteria di
post-riscaldamento con serranda; 6) mobiletti locali; 7) e 8) scambiatori di
calore.
IMPIANTI DI
CLIMATIZZAZIONE

Q-85

Impianti di induzione
Sono usati in tutti quei fabbricati nei quali si voglia, con un unico intervento, spegnere o
accendere l’impianto. Differiscono dagli impianti a ventilconvettori per il terminale,
induttore, costituito da un mobiletto nel quale l’aria esterna viene introdotta attraverso piccoli
ugelli che attivano la circolazione dell’aria al posto del ventilatore.

Impianti modificati rispetto a quelli descritti


Gli schemi descritti rappresentano la quasi totalità delle installazioni esistenti; tuttavia vi
sono impianti con modifiche rispetto agli schemi indicati; tali varianti generalmente sono det-
tate da un migliore utilizzo delle fonti energetiche e frigorifere o per controllare meglio
tempe- ratura, umidità e ricambio in presenza di esigenze specifiche.

11.9 Dimensionamento della rete idraulica e aeraulica


Stabilita la posizione dei vari componenti dell’impianto, si disegna la rete di collegamento
di tubazioni per il trasporto dell’acqua e di canali per la distribuzione dell’aria, posizionando
contemporaneamente curve, gomiti, organi di regolazione e di intercettazione, bocchette di
distribuzione e di ripresa dell’aria ecc. indicando in ogni tronco il tipo fluido e la velocità
assunta.
Si scelgono le velocità sulla base dell’esperienza come compromesso fra velocità
elevate, che comporterebbero grandi cadute di pressione ed elevato rumore ma piccoli
diametri, e
basse velocità con opposti requisiti, ma grandi diametri e corrispondenti costi di
costruzione.
Normalmente si adottano i valori indicati nella tabella Q.23.

Si calcolano quindi le cadute di pressione ptot iniziando dal circuito che alimenta il com-
ponente più lontano, sommando le cadute di pressioni distribuite (dp/dl)i · li a quelle localiz-
zate pl:
ptot = (dp/dl)i · li + pl
Per le cadute di pressione distribuite si può fare riferimento a formule specifiche in rela-
zione alla rugosità dei condotti utilizzati o, più velocemente, utilizzando i diagrammi della
figura Q.47 per l’acqua e della figura Q.48 per l’aria.
Q-86 TERMOTECNI
C A

Figura Q.47 Cadute di pressione dp/dl in tubazioni d’acqua.


Le cadute localizzate sono date dalla relazione: pl =
c2/2 dove:
è un coefficiente di perdita dipendente dal tipo di
-

componente (tab. Q.24);


è la densità del fluido (1000 kg/m 3 per l’acqua e 1,25
-

kg/m3 per l’aria);


-c è la velocità di attraversamento del componente espressa in
m/s.

Dal componente più disagiato si passa agli altri componenti, provvedendo a far sì che
sulla diramazione dal condotto principale la caduta di pressione equivalga a quella della
dirama- zione; in caso non si possa ottenere questo risultato esclusivamente con la
diminuzione dei dia- metri dei condotti, si introdurranno valvole o serrande di equilibratura
del circuito.
IDRAULICA

R-3

1. IDRAULICA
Idrostatica
1.

Leggi e grandezze fondamentali


L’idrostatica studia le leggi dei liquidi in quiete. I liquidi sono assunti come ideali o per-
fetti: incomprimibili, indilatabili, privi di attrito interno (viscosità). Si definisce
comprimibilità cubica la diminuzione subita dall’unità di volume liquido, quando la
pressione aumenta di un’unità; per l’acqua a 20 °C: = 4,594 · 10 10 m2/N.
Legge di Stevin o della pressione idrostatica: p = h in cui è il peso specifico
[N/m
3], h
l’altezza piezometrica, cioè la profondità di immersione misurata dal pelo libero [m], p la
pres- sione relativa in [Pa] o in [bar] o in qualunque altro multiplo/sottomultiplo
contemplato dal SI. Il diagramma della pressione è triangolare (fig. R.1). Se sulla superficie
libera di un li- quido agisce la pressione atmosferica patm, la pressione assoluta pa è pari
alla somma della pressione relativa p più la pressione atmosferica: pa = patm + h. Il
diagramma della pressione assoluta è ottenuto traslando, in orizzontale, la retta inclinata
della pressione
relativa di un seg-
mento pari alla pressione atmosferica.
La pressione relativa è anche detta pressione manometrica. La pressione atmosferica
corri- sponde all’altezza di 760 mm che viene raggiunta dal mercurio all’interno di un tubo
sotto vuoto e con la bocca inferiore affondata in una vasca piena di mercurio (esperienza di
Torri- celli).

Figura R.1 Diagrammi della pressione relativa e della pressione assoluta.


La massa volumica è espressa come rapporto tra la massa m e il volumeV da essa occu-
pato: = m/V; la sua unità di misura è [kg/m3]; molto usato il sottomultiplo [kg/m3]. Per
l’ac- qua distillata = 1000 kg/m3; per l’acqua di mare 1 030 kg/m3; per il mercurio = 13
590 kg/m3.
Nelle tabelle R.1 ed R.2 sono riportati i valori di massa volumica per diverse
sostanze. La densità è il rapporto tra la massa volumica della sostanza presa in esame e la
massa volumica della sostanza di riferimento, di regola acqua distillata; la densità è un
numero puro.
Il peso specifico, misurato in N/m3, è espresso come rapporto tra peso e
volume:
= Q/V
o anche come prodotto tra la massa volumica e l’accelerazione di
gravità:
= · g.
R-4 MACCHINE A FLUIDO

Applicazione: manometro a liquido


Esempio numerico: una tubatura contenente un fluido sotto pressione è collegata con un
manometro a mercurio a U (fig. R.2). Il dislivello h misurato fra i peli delle due colonne di
mercurio vale 85 mm. Calcolare quanto vale la differenza di pressione fra le due tubature, in
[kPa]. Applicando la legge di Stevin e, trascurando il peso volumico del fluido in pressione, si
trova che:
pgh =

p g= h 13 6= 10 3 -k---g-- 9 81-m--
8 5 10 –3m =
m3 s2

11 340 --N---- 11 34 kPa = =


m2
IDRAULICA R-5

Figura R.2 Manometro a mercurio.


Principio di Pascal
La pressione esercitata su una porzione di superficie di un fluido in quiete si trasmette
inal- terata a tutta la massa fluida (fig. R.3). Principio di isotropia: la pressione agente su
ogni ele- mento di superficie di un corpo immerso in un fluido non dipende
dall’orientamento del corpo.

Figura R.3 Principio di Pascal.


Torchio idraulico
È una macchina di sollevamento in grado di sviluppare una forza in uscita superiore alla
forza applicata in ingresso (fig. R.4). È formata da due stantuffi che scorrono con tenuta entro
due cilindri pieni di olio e comunicanti attraverso un circuito idraulico, all’interno del quale
vi è un’unica pressione nel fluido:
F1
p ------ = =
F
--- A1
2
da cui si può ricavare la forza sul pistone 2, n2ota la forza
A applicata sul pistone 1 (o
viceversa)
e note le sezioni dei due cilindri:
F2 = F1 · A2 /A1
R-6 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.4 Torchio idraulico.


Esempio
Sul pistone 1 di un torchio idraulico si esercita la forza F1 = 1000 N e le due superfici
stan- no fra loro nel rapporto A2 /A1 = 13; la forza trasmessa sul pistone 2 vale F2 = F1 · A2
/A1 =
=
13
00
0
N.
Pr
in
ci
pi
o
de
i
va
si
co
m
un
ic
an
ti
Tutte le superfici libere, cioè a contatto con l’atmosfera, si presentano perfettamente oriz-
zontali. Sul principio dei vasi comunicanti si basa il funzionamento del manometro a
mercurio; la pressione nel punto di attacco del manometro vale p = m · h in cui m è il peso
volumico del mercurio in [N/m3] e h l’altezza della colonna di mercurio in [m].
Esempio
In un tubo contenente olio in pressione con = 880 kg/m3 si legge sul manometro a mer-
curio la quota h = 18 cm; calcolare la pressione esprimendola in SI:
Spinta idrostatica sopra le psu=per·figci·phia=ne13590 × 9,81 × 0,18 =
24 000 Pa
Siano A l’area della superficie affondata in [m2], il peso volumico [N/m3] e h l’affonda-
mento del baricentro della superficie misurato dal pelo libero, in [m].
La spinta idrostatica vale: F = · A · h su una superficie orizzontale di fondo; F =
0,5
Ah
su una parete verticale.
Nel caso di una superficie pianFa A incl-in-a-2t-a-e--
compl- etamente
IDRAULICA R-7

Figura R.5 Spinta idrostatica e relativi diagrammi delle pressioni: a) su una parete inclinata;
b) su una parete verticale.
Nel caso in cui A1 = A2, si ha che A = A1 = A2 = D2/4, per cui S1 = S2 = pA. Se il
gomito è verticale e h è il dislivello tra i baricentri delle sezioni A1 e A2, si ha: p2 = p1 + ·
h; le due spinte parziali sono: S1 = p1 · A1; S2 = p2 · A2; a esse va sommato vettorialmente
il peso pro- prio Q = · V del liquido contenuto nel tratto di tubo di volume V (fig. R.6).

Figura R.6 Spinta idrostatica su un gomito a 90°.

Galleggiamento dei corpi


Principio di Archimede: un corpo immerso in un liquido riceve una spinta idrostatica dal
basso verso l’alto pari al peso del liquido spostato. Siano: G il baricentro del corpo che
galleg- gia; C il baricentro della parte del corpo che rimane immersa, detto centro di carena,
che funge anche da baricentro del liquido spostato.
L’equilibrio del corpo è di tipo stabile se, a fronte di un angolo di rollio, la verticale
pas- sante per il punto C incontra la congiungente i punti C e G in un punto M posto
superiormente al baricentro G.
In tal caso il peso del natante applicato in G e la spinta di Archimede applicata in
C
for-
mano una coppia di forze avente effetto raddrizzante. Il punto M è detto metacentro
(fig.
R.7). La linea di pescaggio indica la profondità di immersione del corpo galleggiante.
R-8 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.7 Galleggiamento di un corpo.

1.2 Idrodinamica
Moti dei liquidi
Le correnti liquide scorrono entro tubi (correnti in pressione) o in canali (correnti a pelo
libero).
Il moto delle correnti è detto uniforme quando i parametri del moto (velocità,
accelera- zione, pressione) non variano nel tempo, in tutti i punti della sezione
considerata; il moto è
detto permanente quando in ogni singolo punto i parametri non variano nel
tempo; il
moto è detto vario quando i parametri cambiano di valore nel tempo.
Portata
La portata massica Qm è il rapporto tra la massa in transito attraverso una generica
sezione e il tempo impiegato per transitare attraverso essa: Qm = m/t. La portata volumetrica
Q è il rapporto tra il volume in transito attraverso una generica sezione e il tempo impiegato
per tran- sitare attraverso essa: Q = V/t.
Tubo di flusso
Il tubo di flusso è un solido geometrico tridimensionale descritto con riferimento a una
linea chiusa qualsiasi ortogonale al flusso, tracciando istante per istante un insieme di linee
passanti per la linea chiusa e paralleli al vettore velocità (fig. R.8a).
La massa entrante in una sezione è uguale alla massa uscente da un’altra sezione a
valle.
La portata in volume può essere vista come la sezione A che trasla dello spazio l nel
tempo t e che quindi descrive il volume V = A l nel tempo t (fig. R.8b).

Figura R.8 Tubo di flusso.


IDRAULICA

R-9

Equazione di continuità
Sia v la velocità media nella generica sezione: v = spazio/tempo = l/t; la portata è pari al
prodotto della sezione per la velocità: Q = A1 · v1 = A2 · v2 = ... = An · vn (fig. R.9). La
portata è costante in ogni sezione del tubo di flusso, pertanto velocità e area risultano
inversamente proporzionali, secondo la relazione A1 : A2 = v2 : v1.

Figura R.9 Portata in un condotto a sezione variabile.

Esempio
In un tubo con sezione A = 10 cm2 scorre acqua a velocità costante v = 0,6 m/s. Calcolare
la portata in volume Q.
Q = A v 1=0 10 0 66– 4 10= –4 m3/s
Principio di conservazione dell’energia
L – Ep = Ec
in cui:
- E p = variazione di energia potenziale;
- E c = variazione di energia cinetica;
-L = lavoro compiuto dalle forze esterne, attive e reattive, agenti sulla vena fluida.
Applicando il principio a una corrente liquida si evidenziano le seguenti forme energeti-
che:
-energia potenziale: E 1 = m · g · z, in cui z è l’altezza misurata fra l’asse del tubo e il piano di
riferimento, m la massa fluida e g la costante di gravità;
-energia di pressione: E 2 = m · g · p/ , in cui p è la pressione relativa nel fluido e il peso spe-
cifico o volumico;
-energia cinetica: E 3 = 1/2 mv2, in cui v indica la velocità media della corrente.
L’applicazione del principio a una corrente in moto permanente, generata da un liquido
incomprimibile e privo di attriti, conduce al teorema di Bernoulli.

v
Teorema di Bernoulli
La somma H dHelle trze al-tp-ez=ze- -,-2-g-e+o=metrica (oHgeodegticza),
tiene costante; la costante H è 2dgetta carico idraulico totale (f2ig. R.10). In altri termini
=p-Lie.meccani
l’energia
moto --zo--cmc-- +trc=tomplessiva
oae+s ica e cinetica, si man-
di una
aLparipmriamfoarmequulazione hdaelptero2ruenmitaà di
v
particceol+lastdi liquido ri mane inalterata
durante il
Bmeisrnuoraulili[èmd]i, ulasoseccoornrednatiel p[Jo/ikcgh]è: consente di
trat- tare le energie sotto forma di quote, rendendo agevoli le operazioni di calcolo.
R-10 MACCHINE A FLUIDO

Esempio
In un tubo posto orizzontalmente a un’altezza da terra z = 0,80 m scorre acqua in moto
permanente con velocità media v = 2,3 m/s e con pressione p = 2,2 bar; calcolare il carico
idraulico totale H in [m] e in [J/kg], considerando liquido e tubo privi di attrito.

Figura R.10 Teorema di Bernoulli.

Altezza piezometrica: 5
---2 2 =
1 0 ---------------------------
g----
p--22 9 81
Altezza cinetica: 14206001= m
v--2--2m---32-------------- 0=
-2g
H = 0,80 + 222 9,482=161 + 0,26962 = 23,49572 m = 233 J/kg
26962

Applicazioni
-A) I piezometri sono tubi aperti montati verticali sulla condotta: hanno funzione di manome-
tro, in quanto misurano l’altezza piezometrica.
-B) Il sifone è un tubo a U capovolto che consente il travaso di liquidi da un contenitore

posto a quota superiore a un altro posto a quota inferiore; il tubo ha i due tratti verticali di
lun- ghezze disuguali e le bocche d’estremità costantemente immerse nei rispettivi
contenitori.
Le variazioni delle tre altezze possono essere rappresentate graficamente sommando in
ogni sezione le tre altezze (fig. R.10)
Nel caso ideale la linea che si ottiene sommando le tre altezze geometrica,
piezometrica e
cinetica in ogni sezione ha l’andamento di una retta orizzontale ed è detta linea del carico
idraulico totale. La somma delle sole altezze geometrica e piezometrica è detta linea
piezome- trica.

Esempio
Tracciare le due linee di carico nel caso di un moto liquido ideale in un tubo ad asse oriz-
zontale di forma conica con riduzione della sezione (fig. R.11).
Le altezze geodetiche sono costanti, le velocità sono inversamente proporzionali
alle
ri-
IDRAULICA

R-11

spettive sezioni di passaggio; l’altezza piezometrica si riduce all’aumentare della velocità.


Per- tanto nella sezione ristretta si ha un aumento dell’altezza cinetica che risulta pari alla
variazione subita dall’altezza piezometrica. La linea del carico idraulico si mantiene costante

Figura R.11 Andamento delle linee piezometrica e del carico totale.

Tubo di Venturi
Si tratta di un tubo a sezione circolare che, dopo un tratto a diametro costante, subisce un
restringimento fino a raggiungere una sezione minima. Successivamente la sezione torna a
cre- scere fino a riprendere il valore iniziale del diametro. Non necessariamente i tratti a
sezione variabile devono avere le lunghezze uguali (fig. R.12).

Figura R.12 Tubo di Venturi.

Il liquido entrante nella sezione ristretta presenta un aumento di velocità e una diminu-
zione di pressione; nel tratto divergente la velocità si riduce e la pressione aumenta. Il tubo di
Venturi trova applicazione pratica come strumento di misura della portata.
Esempio
Una portata Q = 0,8 l/s di acqua transita attraverso un tubo di Venturi avente d 1 = 8 cm;
d2 = 2 cm; d 3 = 7 cm. Trascurando le perdite, calcolare velocità, pressioni, energie e carico
idraulico totale H. Si assuma all’imbocco p1 = 3 bar. L’altezza geodetica sia z = 2 m costante.
R-12 MACCHINE A FLUIDO

Le aree delle tre sezioni:

A1 = d 1-20=084
2
= m
4
50 265 d10 – 0 022
2

A2 = ----2- 2 =3 m
4 4
1416 10 –4
=4 2

A3 =-d
24---30-
0=742----------- = 38
Le tre velocità:
48 10 –4 m2
v1 = -Q---- = -------0-----0---0---0--8--- ------0=159

m/s

A1 50 265 1 0 –4

v2 = - Q = 0 00 0
8
2=5465

H2= + 3 105 0 m/s+


v332=10 A-1
5823 0Q05998-21= 2 0 3 1416 10 –4
2=m
Nella sezione 2: 0=2
0 0981
0 8
m/s
p2
----H= z – 2 2A3
v 32 582–3 m30
2g 38 484 1 0 –
2----
-–=
5 22-----------
424965812
252
-------–=
da cuSi ilaa pre liscsaioilnTe epo2r:ema di Bernoulli alla sezione 1 e,
sostituendo i valori numerici,
1000 9 81
diventa:
p2 = 30 bar

Nella sezione 3: 259271 105


--------------
p3
----32=
582–3 2
0---
------------
-- 2-0-
m 30
58
infine la pressione p3: =
9-7–

= 98=12
p2 3=0 3581---0---0---
1 105
0 9 8 1-
bar
IDRAULICA

R-13

Viscosità
È l’insieme delle forze d’attrito che a livello molecolare si oppongono al moto di un
fluido, rallentandone la velocità. Avendo diverse velocità (fig. R.13), gli strati adiacenti di
liquido in moto si scambiano forze di natura viscosa, che sono espresse dalla legge reologica
dei fluidi newtoniani (formula di Newton):
F =S -
n---v--

Figura R.13 Andamento delle velocità all’interno di un fluido in moto.

L’intensità delle azioni tangenziali F di attrito agenti fra due strati superficiali di liquido
in moto risulta proporzionale all’area S della singola superficie e alla differenza delle
rispettive velocità v, inversamente proporzionale alla loro distanza n, proporzionale al
coefficiente di viscosità, più correntemente definita viscosità dinamica del liquido.

Viscosità dinamica = forza/(velocità · distanza) [kg/m s]

La viscosità dinamica è misurata in [N s/m2] = [Pa s]. Per l’acqua a 20 °C: = 0,001002
Pa·s, per altre sostanze liquide cfr. tabella R.3. Per i valori della viscosità dinamica dell’acqua
alle diverse temperature cfr. tabella R.4. Altra unità di misura della viscosità dinamica è il
poise (sottomultiplo il centipoise, cP) così definiti:

1 P = 0,1 N s/m2 = 0,1 Pa·s 1 cP = 10 3 N s/m2

Dividendo la viscosità dinamica per la massa volumica del liquido si ottiene la viscosità
cinematica . Per l’acqua a 20 °C: = 10 6 m2/s. La viscosità diminuisce con la temperatura.
Il SI prevede come unità di misura della viscosità cinematica il [m2/s], noto

come stokes e come sottomultipli il [mm2/s] e il [cm2/s].


1 St = 10 4 m2/s
Tabella R.3 Valori di vis cosità dinamica per diverse so stanze liquide Viscosità
Liquid Temperatu Viscosità Liquid Temperatu [10 3
o ra o ra
kg/m s]
[°C] [10 3 [°C]
kg/m s]

Acido 15 1,31 Benzene20


acetic 6 52
o
Acido 10 1,77 Glicerina2
0 1,49
nitric
o
Acido 40 11,5 Glucosio 30 60 6,6×1013
solforico 9,3×107
Alcoo 20 1,20 Mercurio 20 1,554
l
etilico
Alcool 20 0,597 Toluene 20 0,59
metilic
o
Ammoniaca 33,5 0,255 Xilene 20 0,81
R-14 MACCHINE A FLUIDO

Tabella R.4 Valori di viscosità dinamica per l’acqua a diverse


temperature 0 20 40 60 80
Temperatura [°C]
Viscosità [10 3 kg/m s] 1,787 1,002 0,6529 0,4665 0,3547
Moto laminare e turbolento
Nel moto permanente ideale la velocità ottenuta come rapporto tra portata e sezione è
comune a tutti i filetti.
Nel moto permanente reale la velocità è variabile con andamento grosso modo parabolico,
massima lungo l’asse, nulla per gli strati a diretto contatto con le pareti. L’esperienza di Rey-
nolds per la definizione delle tipologie di moto liquido consiste nell’utilizzare una vaschetta
con un tubo orizzontale di scarico in materiale trasparente, piena di un liquido incolore,
all’interno della quale viene introdotto un lungo imbuto con l’estremità inferiore ruotata a
90°,
così da posizionare la piccola bocca di uscita S di quest’ultimo coassiale col tubo
orizzontale (fig. R.14) che esce dalla base della vaschetta. Durante l’esperienza nell’imbuto
viene versato un liquido colorato.

Figura R.14 Esperienza di Reynolds.


Il filetto colorato scorre stabile e compatto senza mescolarsi con la corrente circostante
incolore: questo moto è laminare. Se il battente hB è gradualmente crescente, si noterà
l’insor- gere progressivo di irregolarità e ondeggiamenti nel filetto fluido colorato. A un certo
punto esso si rompe e si mescola con l’altro liquido, spandendosi in forma di scia colorata in
tutto l’intorno del tubo: è il moto turbolento o vorticoso.

Numero di Reynolds (Re)


Il numero di Reynolds è una grandezza adimensionata dal cui valore si deduce se il moto è
laminare o turbolento. Esso risulta essere proporzionale alla velocità del liquido, alla massa
volumica, al diametro del condotto e inversamente proporzionale alla viscosità dinamica:
Re v d =
La transizione da moto laminare a moto turbolento avviene nell’intorno di un valore
cosid- detto “critico” del numero di Reynolds: per l’acqua, più che un singolo valore critico,
è più appropriato identificare un intervallo critico compreso fra i valori di 2000 e 5000. Ciò
significa che per Re < 2000 il moto è sicuramente laminare; per Re > 5000 il moto è
sicuramente turbo- lento. Tutti i valori interni all’intervallo identificano una situazione di
transizione.
IDRAULICA

R-15

Esempio
Valutare il numero di Reynolds Re nel caso di una corrente d’acqua a temperatura ambie-
d2volume3Q =20,65
nte t = 20 °C con portata in 54 2l/s entro un tubo
2
avente diametro
4
interno d1
=
3''. A= -4--- = -------------------------
2 =
4 m
Velo
media:
Sceiztàione de4l5tu6boc:
–3
Q 0
m = 45,6 · 10 v- = = –4
- m/s
45
0=14p6
Valore di viscosità dinamica A
6er12l’a0cqua a 20° C: = 1,002 × 10
3 N2
s/m
Re = v 5 d 5 1 =0 0 1425 7 6120 837
100–02 –3
10=
Dal valore assunto dal numero di Reynolds si1d0e0d2uc1e c0he il moto è turbolento.

Perdite distribuite e perdite localizzate


Il movimento del liquido reale in un tubo reale è ostacolato dall’attrito interno al liquido
stesso – la viscosità – come pure dall’attrito esterno tra liquido e parete: una parte
dell’energia di cui dispone il fluido è spesa per vincere le resistenze. La linea del carico
totale nel moto reale è sempre decrescente nel senso del moto.
L’energia dissipata non è recuperabile; viene dispersa nell’ambiente sotto forma di calore;
è indicata con il simbolo H o con Y ed è denominata perdita di carico continua o
distribuita.
In figura R.15 è riportato lo schema quotato dei carichi per il caso più generale di un tubo
di lunghezza l, diametro d e inclinato di un angolo .

Figura R.15 Andamento della linea dei carichi totali per un moto reale.

La perdita di carico continua H viene espressa come frazione o multiplo dell’altezza ci-
netica. Nella formula compaiono: k una costante dimensionata [s/m2] di proporzionalità, v la
R-16 MACCHINE A FLUIDO

velocità media del liquido in [m/s], l la lunghezza della condotta in [m], R il raggio idraulico
o raggio medio, pure in [m]:

H
v2
k ----
R
=
l
Raggio idraulico
È definito come rapporto tra l’area della sezione liquida in [m2] e la lunghezza del con-
torno bagnato in [m]: R = A/C = sezione liquida/contorno bagnato; ove per contorno bagnato
s’intende quella parte del perimetro solido a contatto con il liquido. Nei casi di tubi di
diametro interno d, sia completamente pieni sia pieni esattamente a metà, si ha:

R -------A----r--
e--- -d--=
a------- =

- R =
Cadente piezometrica
s--i
4dC-- 4- on1torno
LLaa fpoerrmdiutaladgiecnaerriacloe cdoenl triangugaio Hidr–
vaiuelniecosopleirtaimteunbtn-----
-ieneeslpcra--
essosadciormieemppirmodeonttto
o ptraarzuianlae ccoo-l
pstealnotelibJeerolainltuenrgnhoeszoztatelsodedlalaulninaenag:olHo a=l
cJen· tlro[m]v. aLlae:costante J è detta cadente o pendenza piezometrica: è la perdita di
carico per ogni metro di percorso misurato lungo l’asse della con- dotta, o anche l’energia
espressa in joule dissipata da 1 N di peso di fluido che percorre 1 m.
Nella tabella R.5 si riportano i valori di: perdita di carico h r [m] per 100 metri di
lun-
ghezza di tubo in funzione del diametro, della portata di acqua [m3/h] e [l/min] e della
velo- cità v [m/s]. La tabella prende in esame una serie di diametri cui sono associati i valori
di portata più usuali.
R-20 MACCHINE A FLUIDO

Le perdite concentrate sono all’imbocco del tubo e nei due estremi in cui si l’allargamento
della sezione. Occorre assumere volta per volta il coefficiente K dalla tabella R.6. All’imboc-
co, essendo il diametro d del tubo molto piccolo rispetto alle dimensioni della parete della
va- sca, occorre riferirsi al caso d/D = 0 ottenendo K = 0,5.
Nell’allargamento del tubo per d/D = 0,8 si legge K = 0,13. Nel successivo
restringimento, per d/D = 0,8 si legge K = 0,18. Passando alle formule si ottiene:
v2 1 062 m
- imbocco: hi = k 2-g---- =209
- allargamento: --2---88--061---
5 -0----
- =
1 06
m
ha 0 102329008-
=
- restringimento: -7---4---1---=---
1 06
2--- 29
m
=
Il h totale è la somma delle singol0e 8h1r h = 0,0463 m. Infine, il carico
0peH1finale
totale: r8d0=i1Hteiniziale --–---h-= 32-2-,5-5 -–-5,525 – 0,0463 17 m.
0localizzate:
– H

Calcolo delle perdite di carico nei =tu-b-i----Dimensionamento con formula di


Darcy- Weisbach
valutazione dell’entità delle perdite interne. Noti v = velocità del liquido in [m/s], l = lunghez-
Tale metodologia
za del tratto di tubazionepermette di progettare
con diametro costanteo[m],
verificare l’efficacia
d = diametro delladella
interno tubatura
tubazione in
[m], g = accelerazione di gravità2 = 9,81 m/s2, si calcolano: la2
attraverso la

cadente piezometrica J = -df2-g


J; la -v-- -df2-g-
perdita di carico H in [m]:
Il coefficiente v----f, spess-o-in
l= Jdiclato con la lettera , è detto
=
ed ènumero
funzione siaodel numero diHReynolds,
coefficiente di resistenza
sia della rugosità del
condotto.
Il diagramma logaritmico di Moody-Colebrook, rappresentato nella figura R.17, esprime
Il
il diagramma
coefficiente didiMoody-Colebrook
resistenza f in funzione del numero di Reynolds e della scabrezza (o
rugosità) relativa e/d. Sull’ascissa del diagramma è riportato il numero di Reynolds,
sull’ordinata destra il rapporto e/d tra la scabrezza e e il diametro del tubo d. La scabrezza (o
rugosità assoluta) e è definita come l’altezza media (in mm) delle asperità della superficie
interna del tubo. Il rappor- to e/d, detto scabrezza relativa o rugosità relativa, è
adimensionale essendo sia e sia d espressi in [mm].
In tabella R.7 sono riportati alcuni valori medi di rugosità assoluta e (in mm) per i
tubi.

Tabella R.7 Rugosità assToulubtaazieonpier tubazioni ove Rugosità e [mm]


commerciali nu
Tubi trafilati, ottone, piombo, vetro 0,0015
Acciaio commerciale, acciaio saldato 0,046
Ghisa asfaltata 0,120
Ferro zincato 0,150
Ghisa 0,250
Legno 0,18 ÷ 0,90
Cemento 0,30 ÷ 3,00
Acciaio chiodato 0,90 ÷ 9,00
R-22 MACCHINE A FLUIDO

Esempio 1
È data una condotta orizzontale lunga l = 550 m e avente diametro d = 0,25 m entro la
qua- le scorre una portata di acqua Q = 0,1 m3/s. Calcolare la perdita di carico H in [m].
Si calcolino la sezione A e la velocità media v:
d2 0 25 0 049087 =m2 =
A -4 -2-
=
--v-
4--
------A -
-0 -------0-----1--- ----- 2 037
-viscosità
Q
Si assumano i dati seguent -- i dall0e4t9a0b8e7lle
=
= 0,00098 Pa·s per acqua a temperatura ambiente; =
m=/s

R.4 e R.7:
-scabrezza e = 0,250 mm per tubi in ghisa:

Si calcoli il numero di Reynolds, controllandone l’adimensionalità:


5
Re = - ---d------v--- --0 =
1---0---0---0---------0-- --2-
Il moto è t-u2r-b5ol-e--nto00e0-0le9-8-u3ni-t-à7d-i--mi-s-u--r-a-
s--i-el5i1d=on9o6c4orr5e1t2ta0men1t0e.3Si calcola la=rugosità relativa e/d:
-de-- 025-0----

In figura R.17 si riporta la 2costru 0


---5- -z-i on-e 0gr0af0i1ca=per individuare il
coefficiente di resistenza: si entra nel diagramma di Moody incrociando la linea per e/d =
0,001 con la verticale per
Re= 5,2 × 10 5 in ascisse. Dal punto d’intersezione fra la linea e/d e il numero di
Reynolds si conduce una linea orizzontale a incontrare l’asse verticale sinistro: lì si legge il
valore di f, coefficiente di resistenza: f = 0,0204. Mediante la formula di Darcy-Weisbach si
calcolano la perdita in [m] e la cadente.
v2 l 2
Perdita: m
0372

Cadente: H = 25-g-5-0d--25 -- = 0
=
92024909841 --0----
J l - 95-5-0---4---9-- 0
01726
---H---= =
Esempio 2 =
Progettare una condotta in acciaio per un impianto chimico, lunga 35 m che deve smaltire
una portata Q = 11 l/s di alcool avente viscosità dinamica = 1,2 · 10 3 kg/(m s) e massa
volu- mica = 800 kg/m3. Viene inoltre richiesto di limitare le perdite distribuite a un
massimo di 1,2 m.
Si adotta un tubo in acciaio comune avente scabrezza assoluta e = 0,046 mm.
Si assumono dei valori di primo tentativo per il numero di resistenza e per il numero di
Reynolds: ~ 0,02 e Re ~ 100 000, in base ai quali si legge e/d = 0,0004.

=d e =
0 0
A = d 24-= 6--0 =2 –3
-4-m-m-
115
2
10 115
0004
4-------------
387 =0
m
10 0 0004
La sezione, la velocità media e il numero di Reynolds risultano:
IDRAULICA R-23

v-------
= Q- = 11 10– m/s
10–
-
Re 3=A -31=059
vd =101 059 0 1 1850 0
191 81=
387nel diagramma
Con questo valore si rientra di Moody e in corrispondenza a e/d =
0,0004 si legge = 0,0208. Si applica la formula di Darcy-Weis1bach:
H = 22 l 10 –3
v2-g--d-- -- =100592 35 m

Il valore di 0per 2203-9d86 -it8-21---0


a--d----is-t-ri-1b-1u-5it-a -è--a-cc-e-
t-ta-b-i-le--in=quanto inferiore al limite richiesto dal proble-
ma. È lecito ipotizzare un diametro del tubo inferiore per diminuire i costi. Riducendo il dia-
metro a d = 100 mm, si trovano con le medesime formule i seguenti valori:
A = 7,854 10 3 m2
v = 1,4 m/s
Re = 93 333
l = 0,021
H = 0,74 m valore accettabile.
Calcolo delle perdite di carico nei tubi e loro
dimensionamento mediante la formula di Darcy
È una
carico H informula
[m]: di progetto/verifica adatta per tubature a sezione circolare con diametro
fino a 400 mm. Devono essere noti la portata Q del liquido in [m3/s], la lunghezza l del tratto
di tu- bazione [m], il diametro del tubo dQ
H in [m].- La formula
-5-2-di Darcy fornisce la perdita di
La costante dimensionata vale med-ial=mente 0,0025 per condotte d’acqua.
Esempio
Occorre progettare una tubatura rettilinea lunga 1800 m per trasferire acqua da un
serbato- io a un gruppo di abitazioni. La portata massima garantita deve essere Q = 74 m3/h e
la cadente piezometrica non deve superare l’1,8%. Mediante la formula di Darcy,
determinare il diametro del tubo, la velocità media e la perdita di carico di tipo continuo.

Q 3-6--070---4-----2 06 =10
Q2 essendo l–a22 c06=os10
Per la formula di Darcy, m–2ta3n/tse = 0,0025, si ottiene:
= 5 0 00225
d=5 J
Con l’ausilio della--ta-b-e-l-l0-a-R-0.-51-8s-i-s-c-e-glie=u0n
1v4a3lore unificato, arrotondando
d2 a d0 =15150 mm.
La sezione A vale: A= -4--- =2
m
4----------- –2 12
v= =
m/s
--- 1 767 10–
La velocità della corre7n6te7: 1 0
2
1=2A1
6 Q- = 2 06 10–
R-24 MACCHINE A FLUIDO

Con la formula di Darcy si calcola il valore definitivo della


cadente piezometrica:
J= Q2 = 0 0025
2 0 15
d5 –20=014
10
La cadente piezometrica è pari all’1,4%, va5lore accettabile se confrontato con quanto
ri- chiesto.
La perdita di carico distribuita vale:
H = J × l = 0,014 · 1800 = 25,15 m
Foronomia
orifizio È lo studio
(fig. R.18). dell’efflusso di un liquido
Si definisce battente attraverso
la distanza h fraun foroeinilparete
il foro sottiledel
pelo libero detto luce nel
liquido
oppure
serbatoio.

Figura R.18 Efflusso di un liquido da un foro in parete


sottile.
IDRAULICA R-25

I moti liberi nei corsi d’acqua


I canali e i fiumi sono corsi d’acqua a pelo libero. I canali hanno la sezione trasversale di
forma regolare e simmetrica. L’acqua presenta sempre una superficie libera a contatto diretto
con l’atmosfera e una sommersa a contatto con le pareti laterali e con il fondo dell’alveo.
La linea piezometrica viene di regola fatta coincidere con il pelo libero. La cadente piezo-
metrica J è equiparabile al seno dell’angolo formato dal profilo liquido con l’orizzontale.
Essa prende comunemente il nome di pendenza motrice della corrente.
Le mappe isotachiche sono formate da linee grosso modo simmetriche rispetto al centro
del pelo libero e ad andamento irregolare, che collegano tutti i punti della sezione aventi
ugua- le velocità di flusso. La zona di velocità massima è in mezzeria poco al di sotto del
pelo libero, mentre lungo i contorni bagnati la velocità tende a zero, come illustrato in figura
R.19.

a b

Figura R.19 Mappe isotachiche per corsi a sezione: a) rettangolare; b)


triangolare.
R-26 MACCHINE A FLUIDO

La sezione ottimale è la semicircolare, poiché offre la minima resistenza al moto. Per ra-
gioni di praticità costruttiva si preferisce adottare la forma trapezia che si avvicina notevol-
mente alla forma semicircolare (fig. R.20).

Figura R.20 Sezione trapezia di un canale.


Calcolo delle perdite di carico nei canali secondo l’ipotesi di Chézy
L’ipotesi di Chézy afferma che la velocità media v è proporzionale alla radice quadrata
del prodotto del raggio idraulico R moltiplicato per la pendenza i. Da questa deriva la
formula di Chézy-Tadini per il calcolo della velocità media:

v C R i = C -f-
--g--= 8-
dove g è l’accelerazione di gravità e f è il numero di resistenza, ricavabile per consultazione
da tabelle o dal diagramma di Moody.
Il valore di C è oscillante tra un minimo di 20 e un massimo di 100, con valore medio di
50. Per ragioni di rapidità di calcolo, per corsi a lieve pendenza e con moto regolare, è
consen- tito inserire nella formula il valore medio C = 50; in tal caso il risultato è da
intendere come va- lore di massima.
Calcolo delle perdite di carico nei canali secondo l’ipotesi di Bazin
In base all’ipotesi di Bazin il coefficiente C da inserire nella formula di Chézy-Tadini è
funzione del raggio idraulico R e di un coefficiente B:
C 87 =
B
1 ------ +
R
Il coefficiente B dipende dalla scabrezza delle pareti del canale e viene desunto dalla ta-
bella R.10. In essa sono riportate tredici tipologie di manufatto denominate classi del canale
cui corrispondono altrettanti valori di B.
Alcune classi sono rappresentative anche delle correnti in pressione, per cui la formula di
Chézy-Tadini è applicabile anche al calcolo delle tubature di diametro superiore a 400 mm,
Evas-emloprieoche segna il limite di validità della formula di Darcy.
Calcolare la portata di un canale con la sezione di forma rettangolare di larghezza l = 2
m e con altezza di acqua h = 1 m.
Il rivestimento è in muratura di pietrame ordinario non profilato. Il fondo ha
pendenza me- dia i di 1 m ogni 2 km.
R-28 MACCHINE A FLUIDO

Per la formula di Chézy-Tadini si ha:

v = C R i 5=2 71 0 5 0 0005 0 84= m/s

La portata vale:
Q = v A 0=84 1 628 = m3/s

2. MACCHINE IDRAULICHE
1. Macchine motrici
Le macchine idrauliche motrici convertono l’energia cinetica e/o potenziale di un fluido
operante, generalmente acqua o olio, in energia meccanica. Esse dispongono di organi mobili,
rotanti o alternativi, sui quali il liquido scarica la sua energia, e di un organo fisso con
funzione portante comprendente gli organi di regolazione del flusso.
Turbine idrauliche
2.

Generalità
La turbina idraulica è la macchina motrice impiegata nelle centrali idroelettriche per tra-
sformare l’energia dell’acqua in energia meccanica. La trasformazione dell’energia avviene
su un organo palettato rotante calettato sull’albero motore ad asse orizzontale, verticale o
anche inclinato. La struttura della macchina è suddivisa in una parte fissa detta statore e una
parte mobile detta rotore; il rotore e l’alternatore sono calettati sul medesimo albero motore.
Le tur- bine sono di tre tipi: Pelton (fig. R.21a), Francis (fig. R.21b) e Kaplan (fig. R.21c).

a b

c
Figura R.21 Rotore di turbina: a) Pelton; b) Francis; c) Kaplan.
A monte della turbomacchina, lungo le gallerie di derivazione o laddove la condotta
forza- ta fa il suo ingresso in centrale, sono previsti organi di intercettazione a forma di
valvola: con otturatore conico in grado di eseguire regolazioni fini di portata da 0 al 100%
per un dislivello a monte non superiore a 200 m; a farfalla se sottoposte a un battente
massimo di 300 ÷ 350 m; rotativa sferica per i più alti dislivelli.
Il distributore assolve alle funzioni di convogliare l’acqua con direzione controllata e di
far avvenire le trasformazioni di velocità e pressione necessarie affinché l’acqua investa le
pale
MACCHINE
IDRAULICHE

R-29

della girante in condizioni energetiche ottimali. Dal punto di vista fisico esso è assimilabile a
un tubo a sezione convergente in cui l’acqua per passare è costretta a incrementare la velocità
a spese della pressione. La girante è l’organo mobile della macchina: montata con asse
orizzon- tale, verticale o anche inclinato, ha il compito di ricevere l’energia dell’acqua sulle
sue pale e convogliarla all’alternatore tramite l’albero di trasmissione.
Considerazioni energetiche. Si indichino con le lettere a e b i due bacini, rispettivamente
il
serbatoio a monte e il bacino di raccolta a valle della prima turbomacchina. La caduta
disponi- bile, o salto disponibile, Hd, coincide con il dislivello geodetico: essa è anche nota
come salto motore, in [m]. Normalmente i due bacini si trovano all’aria aperta e sulle loro
superfici libere le velocità di flusso sono trascurabili, per cui applicando il teorema di
Bernoulli si ottiene Hd :
Hd = za zb

Non tutta la caduta disponibile si trasforma in energia utile o salto utile H u a causa delle
inevitabili perdite
cinetica dell’acqua di carico
allo scarico de+lla macchY dovute siay agliun’energia
2igna, cheYcostituisce = a-t-t-rresidua
-i2ti- y
entro
inutPilleoizcondotte
tzeantzae: sia all’energia
e rendimenti. Il rendimento idraulico è il rapporto tra l’energia
trasferita dall’ac- qua alla ruota, al netto delle perdite interne Halula=tuHrbdo–
mYacchina (Hu – Hw), e l’energia utile yHu resa H
=2-
c
----------
u –disponibile:

Hu tra fluido e girante è:


Hwscambiato
Il lavoro interno o idraulico Li [J/kg]
Li = g (Hu Hw)
Il rendimento idraulico è riscrivibile in funzione dei lavori unitari, riferiti all’unità di
sa fluida, avendo indicato con Lw l’equivalente mas-delle perdite Hw interne alla turbina:
Li
y
Li + Lw=
Il rendimento volumetrico è il rapporto tra la portata che realmente transita entro il
paletag- gio della turbina e la portata totale uscente dal distributore, comprendente anche le
fughe per trafilamento:
v G G– =
G
Con la lettera G sono indicate le portate di massa in
[kg/s]. La potenza interna o idraulica Pi [kW] è pari a:
Pi = v

G Li = v

G gHu
Il rendimento organico o rappresenta l’energia destinata al funzionamento degli organi
ausiliari collegati alla turbina riferita all’energia totale prodotta dalla macchina. Moltiplicando
per o il lavoro interno e la poLtuenza inoterna si otteungonooil lavoro utile Lu e la
potenza utile

Pu: Il rendimento totale t della=tuLrPbiina è il prodotto dei tr=ePriendimenti sin


qui incontrati:
t o v =y
R-30 MACCHINE A FLUIDO

Il rendimento totale per le turbine idrauliche è generalmente alto, compreso tra 0,85 e
0,93. Gran parte delle perdite è di natura idraulica, essendo le perdite organiche e
volumetriche pari a pochi punti percentuali. La potenza utile [kW] vale:
Pu t Q H
=u
Concetto di similitudine fra due macchine
I sistemi fluidodinamici di due turbomacchine percorse da una corrente fluida in
condizio- ni assegnate si dicono meccanicamente o fluidodinamicamente simili quando
sussiste la simili- tudine geometrica delle macchine e delle linee di flusso.
I triangoli di velocità sono dunque simili, gli andamenti delle linee di flusso sono uguali,
il numero di Reynolds (se riferito ai rispettivi diametri massimi della girante) assume lo
stesso valore.
Infine, le perdite dovute alle resistenze distribuite e concentrate sono proporzionali alla
ve- locità del fluido elevata al quadrato: le condizioni di funzionamento alle quali si
raggiunge il rendimento ottimale sono simili.
Le grandezze ns, numero specifico di giri, e Qs, portata specifica, rappresentano la
velocità di rotazione e la portata alle quali deve operare la turbina campione avente diametro
D = 1 m e caduta Hu = 1 m affinché funzioni in condizione di similitudine fluidodinamica se
confrontata
con la turbina reale.
Numero specifico di giri:

nQs ns --------QD-- =

=Hu
AncPoorartpatiaù sapdeacttioficina:fase di avanprogetto, Dal2lorHquuando si
tratta di impostare le dimensioni della macchina, è il numero di giri caratteristico nc. Esso è
n Pu
funzione del salto utile Hu come pure di un obiettivo di valore strategico da raggiungere (la
n
Hu5
potenza utile) da parte del costrutto- re. Ilc numero caratteristico di giri nc è dato da:
--------
--- = 4/

dove nc è il numero di giri/minuto cui deve girare la turbina campione per erogare la
potenza
di
1 kW sotto un’altezza di 1 m, in condizione di similitudine fluidodinamica
rispetto all’originale.
Nella tabella R.11 sono riportati i numeri caratteristici per i principali tipi di
Tabella
turbina. R.11 diversi tiNpui mdei rtourdbiigniari
NuTmipeorodictaurrabtitnearistico caratteristico [giri/min]

di giri per
Pelton 5 ÷ 70
Francis lenta 60 ÷100
Francis normale 100 ÷ 200
Francis veloce 200 ÷ 450
Elica/Kaplan 400 ÷ 1000
MACCHINE
IDRAULICHE

R-31

Classificazione delle turbine idrauliche


Le turbine si suddividono in ruote ad azione (Pelton) e ruote a reazione (Francis e
Kaplan). La differenza consiste nel fatto che nelle prime si ha la completa trasformazione di
energia potenziale in energia cinetica esclusivamente nel distributore, nelle seconde tale tra-
sformazione avviene solo parzialmente nel distributore, per cui all’ingresso in girante
l’acqua si trova ancora a un rilevante livello di pressione.
Le strutture del distributore e della girante hanno nei due casi una conformazione total-
mente diversa. Le ruote Pelton sono impiegate per impianti di montagna con alti dislivelli
e
basse portate (fig. R.22), le Kaplan per impianti fluviali con bassi dislivelli e
grandi
portate, le Francis per condizioni intermedie (fig. R.23).

Figura R.22 Caduta disponibile in un impianto


idroelettrico.
100

Q (m3/s)

10

0,1

10 H
(m) 100
100
Figura R.23 Campi di impiego delle turbine Pelton, Francis e 0

Kaplan.
R-32 MACCHINE A FLUIDO

La figura R.24 illustra un gruppo di curve caratteristiche di parzializzazione. Tali


curve sono tracciate nel piano avendo assunto come assi cartesiani, in ascisse, il rapporto
portata/por- tata massima (quindi trattasi di una grandezza adimensionata, Q/Qmax) e, in
ordinate, il rendi- mento totale ( t).
L’asse delle ascisse ha estensione da 0 (portata nulla ) a 1 (portata massima).

Figura R.24 Caratteristiche di parzializzazion delle turbine: 1) Pelton; 2) Francis lenta;


3) turbina Francis media; 4)Francis veloce; 5-6 a elica; 7) Kaplan, assiale.
2.3 Turbina Pelton
Caratteristiche
La ruota Pelton è una ruota ad azione, in quanto la trasformazione dell’energia potenziale
in energia cinetica avviene integralmente all’interno dell’ugello distributore. È una ruota ad
ammissione parziale, in quanto è colpita dal getto uscente dall’ugello su una sola pala per
vol- ta, creando una spinta asimmetrica.
La Pelton è una turbina efficace per alte cadute (fino a 1800 m) e piccole portate, di
vasto impiego nelle zone montane ogni volta che s’individuano sul territorio salti
superiori ai
300 ÷ 400 metri, con portate anche di pochi m3/s. Viene realizzata con asse sia
orizzontale sia verti- cale e con diametri che possono raggiungere 4 m; le potenze sono anche
superiori a 400 MW e le velocità di rotazione comprese fra 400 e 1500 giri/min.
Negli impianti aventi la ruota ad asse verticale essa è investita da quattro, cinque o
anche
sei getti simmetrici tangenziali, anziché uno solo. I moderni sistemi di gestione mediante
unità di governo digitali consentono di inserire o disinserire più getti a seconda del carico
richiesto in rete, migliorando i rendimenti ed estendendo il campo di utilizzo della
turbomacchina.
Il distributore è un ugello formato da un bocchello tondo convergente, all’interno del
quale è presente una spina conica sporgente, mobile assialmente, comandata dall’esterno e
avente funzione di otturatore. Il sistema riportato in figura R.25 è universalmente noto come
spina
Doble. La chiusura della spina non deve generare, in tubatura, oscillazioni di
pressione
bru- sche e intense (colpo d’ariete).
Con l’interposizione di un tegolo deviatore fra ago e girante si ottiene la deviazione
imme-
diata del getto fuori dalle pale; successivamente si procede alla frenatura veloce della
ruota mediante un getto rivolto in senso contrario alla rotazione. Il getto opposto è generato
da un ugello contrapposto di minori dimensioni, ubicato dalla parte opposta dell’ugello
principale,
MACCHINE
IDRAULICHE

R-33

mentre la portata principale può essere chiusa in tempi decisamente più graduali, operando in
sicurezza. È anche possibile portare la turbina all’arresto completo regolando l’alternatore co-
me macchina frenante.

Figura R.25 Spina (o Ago) Doble con tegolo deviatore.


La pala della ruota Pelton è a forma di doppio cucchiaio diviso in mezzeria da uno
spigolo vivo in modo da ripartire il getto che, dopo essersi suddiviso nelle due concavità
entrando dalla parte interna, fuoriesce dai lati opposti e si scarica in basso per gravità. In
qualsiasi punto l’an- golo di uscita dà luogo a una minima velocità assoluta di uscita senza
intralciare il dorso della pala successiva: sulla parte più periferica del profilo palare è
presente uno scavo a forma di omega (fig. R.26). Il numero delle pale è solitamente compreso
tra 20 e 26, al minimo 18.

Figura R.26 Pala di turbine Pelton con deviazione del getto d’acqua sulla sua superficie.

Dalla formula di Torricelli con riferimento alla quota compresa tra il pelo libero a monte e
il getto sfociante dall’ago Doble in aria atmosferica si ottiene la velocità c1 [m/s]; nella
formu- la si introduce un coefficiente correttivo sperimentale per tenere conto delle perdite
nell’ago, pari al 2 ÷ 5% circa.
R-34 MACCHINE A FLUIDO

c1 2g H =
u
dove Hu è altezza utile in metri e g la costante di gravità.

La velocità c 1 del getto non deve superare i 200 m/s. Il valore di altezzaH u rappresenta
l’altezza trasformabile in energia cinetica all’interno dello statore, al netto delle perdite in
con- dotta e allo scarico:
Hu Hd= y– ----
2g c2
2-–
Il coefficiente di velocità periferica k è il rapporto tra velocità periferica della ruota e
velo- cità entrante dell’acqua sulla pala: k = u/c1. Esso ha abitualmente un valore di circa
0,45.
I triangoli delle velocità per i palettaggi sono rappresentazioni vettoriali della velocità
assoluta c1 all’entrata, espressa come somma vettoriale della velocità relativa w1 più la velo-
cità di trascinamento u1. Analoga considerazione vale per la velocità assoluta in uscita
c2. La velocità relativa w2 in uscita presenta un angolo dell’ordine di 10° ÷ 20° (fig. R.27).

Figura R.27 Triangoli delle velocità in entrata e in uscita nella pala della turbina Pelton.

2.4 Turbina Francis


Generalità
Nella ruota a reazione la trasformazione di energia potenziale in energia cinetica avviene
solo parzialmente nel distributore, per cui all’ingresso in girante l’acqua si trova ancora sotto
pressione.
Al termine della condotta forzata l’acqua entra nel distributore a forma di voluta a
spirale; guidata dalle pale del distributore; l’acqua aumenta l’energia cinetica e viene
indirizzata
con un moto radiale centripeto sulla girante.
Il corpo palettato interno al distributore (statore) ha il compito di regolare la portata me-
diante rotazione imposta contemporaneamente a tutte le pale, ognuna intorno al proprio asse,
mediante un comando multiplo di rotazione ottenuto da un sistema di tiranti collegati con un
anello rotante su cui sono imperniate tante leve quante sono le pale. A una rotazione
dell’anel- lo di comando, tutte le pale ruotano di medesimo angolo. Le dimensioni delle pale
sono cre- scenti col crescere della portata e quindi del numero di giri caratteristico.
La forma delle pale è fortemente arcuata e può essere corta e a sviluppo circa radiale per
le ruote a basso n c (fig. R.28a), lunga e fortemente protesa in senso assiale se ad alto n c
(fig. R.28b). I dislivelli sono compresi tra i 20 e i 500 m, eccezionalmente raggiungono 700
m. I
diametri della girante vanno da 500 a 10 000 mm. Il campo di potenze è ampio, da
qualche
de- cina fino a oltre 400 MW.
MACCHINE IDRAULICHE R-35

Figura R.28 Rotore di turbina Francis: a) lenta; b) veloce (fonte: Alstom, Grenoble, Francia).

Il grado di reazione è espresso come rapporto tra l’energia h2 in [m] trasformata


esclu- sivamente sulle pale della ruota e l’energia trasformata totale Hu Hw in [m], oppure
come rapporto tra il lavoro idraulico a meno dell’energia cinetica unitaria inutilizzata e il
lavoro idraulico [J/kg].
Li
-- c 2
h2 =
Hu – 1-–Li2 =
La velocità c1 con cui l’acqua inHvweste il rotore
vale: c1 1
2g
dove h 1 1– u –H Hw rapp=hre=senta la parte di salto utile trasformata nel
distributore.
Lo scarico avviene con recupero di energia tramite il condotto diffusore posto all’uscita
della turbina. Il rendimento idraulico y vale:

Li
y -------------- =
L
- + Lw --
L i
Hui-= g------
Il coefficiente k di velocità periferica, nel caso specifico della turbina a reazione, si
calcola con la formula:
u1
k =
2g Hu
I due triangoli di velocità sono usualmente disegnati affiancati e complanari, anche se per
una rappresentazione rigorosa è indispensabile una schematizzazione in tridimensionale. La
condizione ottimale si ha con angolo 2 il più prossimo possibile a 90° (fig. R.29).
R-36 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.29 Triangoli delle velocità in entrata e in uscita per la turbina Francis.

2.5 Turbina Kaplan


Turbina a reazione a elica con 2-8 pale orientabili, diametri esterni che possono raggiun-
gere gli 8 m, rotante a bassa velocità (60 ÷ 300 giri/min); è considerata una ruota “veloce”
dato che nc può giungere fino a 1000. Da impiegare nelle centrali ad acqua fluente, costituite
da sbarramenti su fiumi, in modo da creare dislivelli compresi fra 10 e 80 m (fig. R.30).

Figura R.30 Elica Kaplan ad asse verticale (fonte: EDF,


Francia).
MACCHINE
IDRAULICHE

R-37

Spesso sono impianti di grande potenza unitaria (fino a 160 MW) derivata dalle portate
dei fiumi (oltre 350 m3/s) in bassa velocità che investono gruppi di turbine in parallelo. Lo
schema usuale prevede una camera anulare a spirale che convoglia la corrente attraverso le
pale orien- tabili del distributore. La portata investe l’elica con moto dall’alto in basso,
dopodiché il diffu- sore curvo scarica il flusso ripristinando il moto orizzontale del fiume.
Per migliorare i rendimenti ( > 0,94) si è sviluppata la soluzione della turbina a bulbo
consistente in un’ogiva sommersa posta ad asse circa orizzontale, contenente tutto il gruppo
turboalternatore; in tal modo si evita la camera a spirale e le perdite di carico conseguenti alle
deviazioni alla corrente e si rendono sfruttabili salti di pochi metri (fig. R.31).

Figura R.31 Turbina a bulbo (fonte: Maier, Bielefeld, Germania).


Pompe - turbine reversibili
Tale sistema costituisce la risposta al problema dei picchi di energia richiesta dall’utenza
civile e industriale soprattutto nelle ore di punta della giornata. Avendo demandato agli
impianti termoelettrici, rigidi e scarsamente regolabili, la produzione del fabbisogno di base,
la gestione dei picchi è affidata ai cosiddetti impianti di accumulazione: di giorno funzionano
per la produzione, di notte per il pompaggio in modo da ricostituire le scorte idriche a monte
per la mattina successiva. Sull’unico albero verticale sono montate una turbina e una
turbopompa coassiali con un giunto idraulico e con il generatore di corrente.
Il generatore di notte funziona da macchina motrice azionando la pompa, mentre la
turbina
va in trascinamento. Una soluzione più raffinata è offerta dalla pompa-turbina: è un’unica
macchina reversibile derivata dalla turbina Francis e in grado di funzionare da macchina o
motrice od operatrice con buoni rendimenti in entrambe le applicazioni. Esistono soluzioni
aventi potenze di 250 ÷ 350 MW con dislivelli fino a 600 m e portate in pompaggio fino
al cen- tinaio di m3/s.
2.6 Le pompe
Macchine operatrici
Le pompe, macchine idrauliche operatrici, convertono l’energia meccanica proveniente da
una fonte esterna in energia cinetica e/o potenziale del fluido trattato. Organi interni mobili,
ro- tanti o alternativi, trasferiscono sul liquido l’energia resa disponibile da un motore. I
fluidi da pompare sono generalmente acqua, olio, combustibili liquidi ma anche sostanze
chimiche, ali- mentari, emulsioni e altro.
R-38 MACCHINE A FLUIDO

Classificazione in base al principio di funzionamento


Le pompe sono raggruppabili in due classi: volumetriche e cinetiche. Le pompe volume-
triche funzionano grazie a uno o più organi mobili che con il loro moto creano un volume e
successivamente l’annullano, allo scopo di ottenere un riempimento seguito da uno svuota-
mento della camera interna. Le pompe cinetiche, dette anche rotanti o turbopompe, trasmetto-
no energia al fluido grazie a uno o più corpi palettati rotanti ad alta velocità. A questa
categoria appartengono le pompe centrifughe, il tipo più diffuso.
Classificazione in base al moto dell’organo pompante
Questa suddivisione consta di tre categorie: pompe alternative, pompe rotanti e pompe a
capsulismi. Le prime sono costituite da uno o più stantuffi mossi tramite il sistema biella-ma-
novella; la mandata è discontinua. Le pompe rotanti sono così definite in quanto l’organo mo-
bile è un corpo cilindrico rotante intorno al proprio asse, su cui sono montate una o più
corone di palette a sviluppo radiale, spesso fortemente incurvate. Le pompe a capsulismi
raggruppano una gran varietà di soluzioni, con organi pompanti di forma e con leggi del
moto diverse: tam- buri rotanti con palette scorrevoli assialmente, ruote dentate, lobi rotanti,
viti ingrananti, pi- stoncini gemelli azionati da una camma frontale rotante e altre ancora.
Considerazioni energetiche
Applicando il teorema di Bernoulli ai capi della pompa e indicando conH l’energia ero-
gata dalla pompa, si ha:

p1 v
z1 2 ---- ----1-
p
+ 2 +--z--22-= ----2-
2g
v
H+ +
Si definiscono l’altezza in aspirazion2e ha e l’altezza in mandata hm
come:
rispettivamente +
ha 1 --
p---=h
m
----g2-
22 2g
-21- -+v p g H la differenza tra=--le2-+
Si definisce prevalenza manometrica v --altezze in mandata e di aspira-
zione:
H = hm – ha
Sostituendo si ha: p2
H ----=
p1
-–
---
L’inserimento di una pompa (fig. R.32) genera un incremento della linea dei carichi
totali.

Figura R.32 Pompa montata in una tubatura.


MACCHINE
IDRAULICHE

R-39

Potenza
La potenza idraulica è pari al prodotto del peso volumico per la portata in volume per la
prevalenza manometrica ed è espressa in [kW]. È anche detta potenza interna P i perché tra-
smessa dall’organo mobile al liquido ed è espressa come:
Q H
Pi
=1000
Moltiplicando la prevalenza per l’accelerazione di gravità, si trova il lavoro idraulico rife-
rito all’unità di massa:
Li = g · H
Rendimenti
Le perdite dovute agli attriti fluidodinamici del liquido sono rappresentate dal rendimento
idraulico y. Esso è definito in forma di rapporto tra la prevalenza manometrica H e la preva-
lenza totale (somma della prevalenza manometrica più le perdite di pressione p) e vale 0,7
÷ 0,9:
y
H p+
H-------
-------- =
Le perdite per trafilamenti e fughe sono rappresentate dal rendimento volumetrico v.

Esso vale v0-,-9-5---÷-- 0,98:


Q Q+
Q---------=
Le perdite meccaniche consistono nelle dissipazioni causate dagli attriti fra i componenti
meccanici in moto relativo e dalla potenza assorbita dagli eventuali organi ausiliari; esse sono
rappresentate dal rendimento meccanico o organico m. Esso vale 0,90 ÷ 0,95:
Pi
m =
Pi
P+
Il prodotto dei tre rendimenti fornisce il rendimento totale tot o semplicemente rendi-
mento della pompa p il cui valore è compreso tra 0,45 e 0,85.

tot = y · v · m
R-40 MACCHINE A FLUIDO

Le grandezze fondamentali delle pompe


Le grandezze che caratterizzano le prestazioni della pompa sono di seguito riportate.
-Portata: è la portata in volume, in [l/s] o in [m 3/s]; sono ammessi tutti i multipli e
sottomul-
tipli previsti dal SI.
-Prevalenza: è la prevalenza manometrica o pressione di mandata. È un valore verificabile
in sede di collaudo mediante lettura di manometri posti a monte e a valle della pompa. Si
misura in metri di colonna d’acqua o di colonna del liquido da pompare.
-Potenza: è la potenza assorbita dal motore espressa in [kW], talora in [CV].
-Velocità di rotazione: è riferita all’albero motore a cui l’organo pompante è
collegato. È
espressa in [giri/min] o in [giri/s].
-Pressione di esercizio: è il valore di pressione raggiunto quando l’impianto
è a regime. Si
misura in [bar] o [MPa].
-NPSH: è una quota di sicurezza che permette di valutare se l’altezza di aspirazione, tra
bocca della pompa e pelo libero, prevista al montaggio rientra nei limiti di sicurezza.
Si misura in metri di colonna d’acqua.
-Rendimento: rappresenta il principale indice di bontà del prodotto. I costruttori
forniscono sul catalogo il grafico del rendimento totale .
-Viscosità e densità del liquido pompato: il trattamento di un liquido viscoso, ad esempio
petrolio greggio, determina una riduzione dei valori di prevalenza e portata a causa
delle perdite decisamente maggiori.
MACCHINE
IDRAULICHE

R-41

2.7 Le pompe alternative


Architettura
Sono costituite da uno o più stantuffi cilindrici cui viene impresso il moto rettilineo alter-
nativo mediante il sistema biella-manovella montato su un albero a gomiti o mediante una
biella con eccentrico; lo stantuffo si muove entro un cilindro facente parte del corpo pompa. I
condotti di aspirazione e scarico sporgono dalla testata con flange o con tratti di tubo filettato
maschio.
Funzionamento
Il diagramma sperimentale di figura R.33 rappresenta la pressione interna p in funzione
della corsa c dello stantuffo. Il punto morto superiore (PMS) e il punto morto inferiore (PMI)
sono le posizioni estreme raggiunte dallo stantuffo all’inizio e al termine della corsa. La corsa
AB di introduzione avviene con la valvola di aspirazione aperta a causa della depressione
generata dallo stantuffo; la pressione atmosferica pa spinge il liquido nella camera di
compres- sione attraverso la valvola di aspirazione.
Nel punto B di fondo corsa, coincidente con il punto morto inferiore, il pistone inizia la
corsa di compressione; essendo il liquido incomprimibile, la pressione aumenta istantanea-
mente facendo chiudere la valvola di aspirazione e aprire quella di mandata (punto C). La
corsa di mandata CD termina quando lo stantuffo raggiunge il punto morto superiore; qui il
pistone arresta la corsa, la valvola di mandata si chiude e la mandata ha termine.

Figura R.33 Diagramma reale corsa/pressione.


In figura R.34 è riportata la sezione di una pompa alternativa orizzontale per alte
pressioni. Lo stantuffo ha la forma di uno stelo ed è collegato a un pistone cilindrico;
all’estremità oppo- sta dello stelo vi è uno snodo detto testa a croce azionato dalla biella. Si
noti il massiccio pacco di guarnizioni. La camera di compressione ricavata entro la testata
ospita le due val- vole di tenuta, una sull’aspirazione, l’altra sulla mandata.

Figura R.34 Sezione di una pompa alternativa (fonte: Pumpenfabrik Urack,


Germania).
R-42 MACCHINE A FLUIDO

Le caratteristiche principali delle pompe alternative sono:


-possibilità di ottenere prevalenze notevoli, anche a bassa velocità di rotazione;
-il valore di prevalenza è indipendente dalla portata;

-l’andamento pulsante della portata richiede la presenza di una cassa d’aria montata in uscita

per regolarizzarla;
-il regime di rotazione massimo raramente supera gli 800 giri/min; la velocità media del

pistone non supera i 40 ÷ 50 m/min. La portata massima giunge anche a 1000 m3/h;
-i rendimenti totali sono dell’ordine dell’85%;
-la portata è regolabile agendo sul numero di giri dell’albero motore;
-possibilità di pompare fluidi speciali, quali impasti di ogni tipo e densità, anche caldi e

aggressivi;
-a differenza delle pompe dinamiche, non necessitano di adescamento;

-hanno ingombro e peso maggiori rispetto agli altri tipi di pompa; hanno costo più elevato a

causa della maggiore complessità costruttiva, sia del sistema biella-manovella, sia dei gruppi
di valvole interne;
-hanno grande robustezza d’insieme, tanto che si conoscono realizzazioni aventi potenze

di oltre 140 kW per stantuffo e con pressioni massime sul singolo stantuffo di circa 150 bar
(con pompe pluricilindriche, fino a nove cilindri, si superano i 2000 kW di potenza con
pressioni in uscita di oltre 2000 bar);
-il rendimento volumetrico è superiore anche al 97%.

Calcolo della portata


La portata è pari al prodotto del volume V spazzato dallo stantuffo durante la corsa,
- -n -
corret- to dal rendimento volumetrico Qv , =peVr la6 0v e lo cità di
-- v
Con lancilindrata
rotazione in [l] e la velocità angolare in [giri/min], si ottiene la portata Q in
in [giri/min].
[l/s].
MACCHINE IDRAULICHE R-43

Figura R.35 Pompa duplex a vapore (fonte: Worthington, USA).


Aumentando il numero di cilindri si ha una portata sempre pulsante, ma con valore medio
più prossimo al valore di picco. Le soluzioni costruttive più usate sono quelle a due oppure a
tre cilindri. Meno frequenti le cilindrate maggiormente frazionate, anche se esistono soluzioni
fino a nove cilindri. In figura R.36 sono riportati i diagrammi della portata per una versione
a)monocilindrica semplice effetto, b) monocilindrica a doppio effetto, c) a tre cilindri a sem-
plice effetto: in questo caso la differenza tra il valore massimo e il valore medio della portata
si è ridotta al 6%.

Figura R.36 Diagrammi di portata per pompe: a) a un cilindro; b) a due cilindri; c) a


tre cilindri; (1), (2), (3) indicanon la successsione della mandata nei
cilindri.
2.8 Le pompe rotanti dinamiche
Pompe centrifughe
Il principio di funzionamento delle pompe dinamiche si basa sul moto ad alta velocità di
una o più giranti palettate (rotore), che catturano il liquido, gli trasferiscono energia e lo acce-
lerano. Le pompe centrifughe generano nelle particelle liquide una forza centrifuga che
R-44 MACCHINE A FLUIDO

impone loro un moto radiale verso l’esterno: il liquido abbandona la girante e passa nel
collet- tore di uscita (statore) dove la pressione raggiunge il valore finale (fig. R.37).

Figura R.37 Sezioni longitudinale e trasversale di una pompa centrifuga.


Pompe assiali
Presentano un corpo palettato (rotore) a forma di elica montato sull’asse della pompa che
si avvita nel liquido imponendogli un’accelerazione in direzione assiale (fig. R.38); un secon-
do corpo palettato fisso (statore) è posto subito a valle dell’elica e ha il compito di raddrizzare
i filetti del liquido.
Queste macchine, spesso di imponenti dimensioni, sono indicate soprattutto quando
occor- rono grandi portate a fronte di prevalenze non elevate: sono adottate negli impianti di
acque-
dotti e come idrovora.
Le pompe a flusso misto, dette anche semicentrifughe o semiassiali, rappresentano una
so- luzione intermedia in cui il moto del liquido è misto, con componenti sia radiali sia
assiali.

Figura R.38 Sezione di una pompa assiale (fonte: Marelli, Milano).

Caratteristiche principali delle pompe dinamiche


Le principali caratteristiche delle pompe dinamiche possono essere così riassunte:
-sono adatte per ottenere portate di ogni valore, dalle più piccole alle più grandi, grazie

alle molteplici soluzioni costruttive;


-non necessitano di casse d’aria per regolarizzare la portata, né di valvole interne;

-sono semplici da regolare; il metodo più conveniente consiste nell’intervenire sul numero

di
giri;
-sono adatte a pompare fluidi speciali molto densi, acque di scarico fognario, soluzioni

calde e corrosive, a condizione che i materiali delle diverse parti della pompa e i profili
palari
ven- gano scelti opportunamente;
MACCHINE
IDRAULICHE

R-45

- sono adatte per ottenere portate di ogni valore, dalle più piccole alle più grandi, grazie alle
molteplici soluzioni;
-non necessitano di casse d’aria per regolarizzare la portata, né di valvole interne;

-sono semplici da regolare; il metodo più conveniente consiste nell’intervenire sul numero di

giri;
-le pompe dinamiche non richiedono al motore sforzi in avviamento. Per le elettropompe si

impiega spesso un sistema di regolazione elettronica della velocità: in questo modo, oltre a
limitare l’assorbimento di corrente in avviamento, esso arresta la pompa gradualmente pre-
venendo i colpi d’ariete;
-non sono particolarmente indicate per ottenere le più elevate prevalenze, anche se non man-

cano soluzioni in proposito con giranti che ruotano a forte velocità o, meglio ancora, con un
cospicuo numero di giranti poste in serie;
-le turbopompe devono essere adescate: la camera di compressione e la tubatura di

aspira- zione devono essere piene di liquido; si provvede al loro riempimento attraverso un
foro con tappo a vite posto sulla sommità dello statore. Per prevenire lo svuotamento del
tubo, sulla
bocca di fondo della condotta aspirante è applicata una valvola di non ritorno;
-rispetto ad altri tipi di pompa hanno ingombri e pesi ridotti e quindi costi minori.

Architettura delle pompe centrifughe


I due organi principali delle pompe centrifughe sono il rotore e lo statore. Il rotore è un
corpo palettato rotante che genera il lavoro sul liquido in transito, determinando un aumento
della pressione statica e dell’altezza dinamica. È formato da un disco che sostiene una serie di
palette arcuate. In molti casi è presente una seconda parete piena cosicché le palette risultano
racchiuse fra due superfici di rivoluzione; questo rivestimento, detto disco esterno o corona, è
incurvato in avanti nella zona del mozzo verso la bocca aspirante per meglio catturare il
flusso entrante: il liquido entra assialmente, poi viene catturato dalle palette, curva e
fuoriesce radial- mente dalla girante (fig. R.39).

Figura R.39 Rotore di una pompa centrifuga a sette pale e con disco esterno (fonte: Pompe
Garbarino, Acqui, Alessandria).

La curva a 90° compiuta dal liquido genera spinte assiali, facilmente sopportabili sulle
macchine più piccole, più difficili da contenere sulle macchine di grandi dimensioni. In
questo caso si impiegano palettaggi simmetrici in blocco unico con ingressi contrapposti: una
pompa
R-46 MACCHINE A FLUIDO

con girante bilaterale è rappresentata in figura R.40. Nelle pompe per acque fognarie o per
so- stanze dense come la polpa di carta e le sostanze alimentari, per evitare intasamenti, la
girante è priva della corona e presenta solo due o tre pale a forma di vite.

Figura R.40 Sezione di una pompa centrifuga a girante bilaterale (fonte: VEB
Pumpenwerke, Halle, Germania).
La pompa multistadio è formata da un gruppo di giranti gemelle, dette stadi, calettate in
serie sull’albero motore. La portata transita in flusso unico da una girante alla successiva.
L’aumento di prevalenza è pari alla somma delle prevalenze ottenibili sul singolo stadio:
Htot = singolo stadio
H
In figura R.41 è riportata la sezione di una pompa centrifuga a più stadi. L’adozione di
più giranti deriva dall’esigenza di erogare maggior lavoro sul fluido, raggiungendo livelli
elevati di pressione senza eccedere nelle dimensioni del pompante.

Figura R.41 Vista di una pompa centrifuga a quattro stadi (fonte: JET spa, Reggio Emilia).
La pompa sommersa è un’elettropompa completamente immersa nel liquido da movimen-
tare, trattenuta da una fune o catena, con la parte elettrica ad alto livello di isolamento.
È adatta
MACCHINE
IDRAULICHE

R-47

per il pompaggio da pozzi di notevole profondità, per lo svuotamento di acque reflue


sotterra-
nee e nei cantieri, per sollevamenti fognari, come idrovore per bonifica e irrigazione.
Criteri di similitudine. Le pompe geometricamente simili fra di loro hanno un
Il numero di giri caratteristico nc è il regime di rotazione particolare n della famiglia di
rapporto co- stante fra prestazioni e dimensioni omologhe.
pompe che forniscono la prevalenza mannocmetrn-i-c-a-P-H-e-=f-f--1 m assorbendo
la potenza effettiva
Peff = 1 kW, in condizioni di rendim-e--n-to=un H ita5r4io/ :
È possibile esprimere il numero di giri caratteristico nc in funzione della portata espressa
in m3/s. La grandezza così rielaborata è detta numero di giri specifico ns:
ns = n-
÷
H
- Q - -- -
Il numero di giri specifico ns è il r ---egi
3-4/m e di rotazione particolare n della
famiglia di pompe che forniscono la prevalenza manometrica H = 1 m e la portata Q = 1 m
3/s, in condizioni di rendimento unitario.
In tabella R.12 sono riportati i valori delle grandezze caratteristiche delle pompe
dinami-
che raggruppate in cinque famiglie principali. Il rapporto D 1/D2 è il rapporto tra diametro
interno e diametro esterno della girante agli spigoli delle pale. Il rapporto B1/D2 è il
rapporto tra la larghezza della pala nella zona di sbocco e il diametro esterno.
Pompa ns 3,65 ns Hmax 1/ B1/
Tabella R.12 Grandezze caratteristiche delle pompe [m]D
D D2
2
120
Curve caratteristiche
5
RInadfiiaglue
Radiale lenta rv27
16 ÷ aelRoc.60e42÷ 100 5r5÷ip÷or1t1a00,ti 0,05 tre
sono200
grafic2i00ca÷ra4tt0e0rizzanti ciasc4u0n÷a f1a7miglia di0p, ompe d0i,n2ami- che:
radiali, semiassiali, assiali; in ascisse sono
rilevAaftliusasonummisetoro 300indicate 20 ÷ 10in o8rdinate
÷ 500 le portate, mentre - vi sono
- la
prevalenza manometrica H, il rendimento della pompa p, la potenza meccanica Pp,
di gir8i0coa÷s1ta4n0te. 120 ÷
Assiale 450 ÷ 1300 14 ÷ 7 1
elica 350 0,2

Figura R.42 Curve caratteristiche per le pompe: a) radiali; b) semiassiali; c) assiali.


R-48 MACCHINE A FLUIDO

I costruttori forniscono mappe da cui desumere il comportamento in diverse


configurazioni di lavoro e nel caso di regime variabile (fig. R.43). Sui due assi cartesiani di
regola si riportano portata e prevalenza. Le curve isorendimento possono presentarsi chiuse o
circa paraboliche, a seconda del tipo di macchina.

Figura R.43 Mappa (prevalenza/portata) per una famiglia di pompe centrifughe


(fonte: Grundfos Pompe Italia srl, Reggio Emilia).
2.9 Le pompe a capsulismi
Le pompe a capsulismi rappresentano una vasta tipologia di macchine, molto diverse tra
loro sia come architettura, sia come principio di funzionamento. In comune hanno la presenza
di organi pompanti di piccola dimensione detti capsulismi, quali ingranaggi, palette, viti,
lobi, pistoni radiali o assiali. Essi prima creano volumi destinati a essere riempiti, poi li
annullano, con conseguente svuotamento. Hanno grande diffusione nel campo
dell’oleodinamica, degli impianti automatizzati, dell’equipaggiamento di veicoli, aeromobili
e navi.
Caratteristiche principali delle pompe a capsulismi
-Sono adatte per ottenere portate di ogni valore, dalle più piccole alle più grandi, grazie
alle molteplici soluzioni costruttive.
-L’erogazione della portata avviene con flusso pressoché uniforme.

-La portata è semplice da regolare: il metodo più immediato consiste nel variare il numero

di
giri.
-Molte realizzazioni non necessitano di valvole d’aspirazione e di scarico perché è lo
stesso organo operativo che impedisce il rigurgito.
-Esistono diversi modelli di pompa con effetto autoadescante.

-Sono adatte a pompare fluidi di ogni tipo, sia densi e viscosi quali gli oli, sia liquidi con

pre- senza di gas disciolti.


-Rispetto ad altri tipi di pompa, esse hanno ingombri e pesi molto minori.

-La loro struttura compatta permette di esercitare e sopportare agevolmente sforzi e

pressioni
intensi.
MACCHINE IDRAULICHE

R-49

Per il calcolo della portata esistono formule differenti, variabili a seconda del tipo di pom-
pa. In linea di massima la portata Q è data dal prodotto della cilindrata V per la velocità di ro-
tazione n ed è proporzionale al numero di giri dell’albero motore.
La potenza effettiva Peff è data al prodotto della
–3 prevalenza manometrica di
Q pressione H V n =
v10
per la portata Q diviso per il rendimen Ptoefftotale
sono
nelle complessivamen
La prevalenza
manutenzioni, Q
dei èvalori
indip :Hendente
te buoni
dei e=risentono
giochi dalla della precisione
velocità
definiti in fase di lavorazione,
didirotazione dell’albero della
progettazione. curaI
motore.
prestata rendimenti
Pompe a ingranaggi
Sono costituite da un corpo in acciaio all’interno del quale vi sono due ruote dentate co-
stantemente in presa, una delle quali riceve il moto tramite un albero esterno. Per la loro co-
struzione si adottano ruote a dentatura sia esterna, sia interna (fig. R.44). Le pompe a
ingranaggi non sono in grado di generare pressioni elevate. Sono molto usate nelle
applicazio- ni con liquidi speciali o ad alta viscosità quali oli, alcooli, inchiostri, vernici,
cellulosa, rayon, saponi. Funzionano bene anche con liquidi contenenti aria e gas disciolti.
Trovano vasta appli- cazione come pompe dell’olio nei motori endotermici, offrendo elevata
portata a fronte
di in- gombri ridotti (250 ÷ 350 l/h a circa 5 bar).

Figura R.44 Pompa a ingranaggi interni: 1) ruota motrice; 2) ruota condotta; 3) aspirazione;
4) mandata; 5) corpo pompa.
Esempio
Una pompa a ingranaggi interni ha le seguenti caratteristiche: cilindrata V = 49 cm3;
porta- ta Q = 104 l/min a 2200 giri/min; pressione p = 180 bar; rendimento complessivo =
0,8. Cal- colare il rendimento volumetrico e la potenza assorbita dal motore per far
funzionare la pompa.
La portata teorica è data dal prodotto della cilindrata per la velocità di rotazione
espressa
Q = V n 0=049 2120070 8 =
in giri/min:
l/m
in
v = Qreale 0=96
Q teo1r0ic7a si ottiene il rendimento
e portata810
Dal rapporto tra portata reale teorica
=
volumetrico:
4
R-50 MACCHINE A FLUIDO

La potenza effettiva è data dal prodotto tra prevalenza manometrica [Pa] e portata [m3/s]
diviso per il rendimento della pompa: –3
Peff = H Q = 1 1001705 8
180 425 40 kW
0
40= 96
Pompe a pistoncini
Sono distinte in due categorie a seconda del posizionamento degli stantuffi nel corpo
pom- pa: pistoni radiali o assiali. In figura R.45 è riportato lo schema di una pompa a tre
pistoni ra- diali (1-3): essi poggiano mediante punteria su un’unica camma ricavata
sull’albero motore. Ogni pistone scorre entro un cilindro fisso completo di testata, due
valvole interne e collettori di aspirazione e mandata.

Figura R.45 Pompa a stantuffi radiali.

Pompe a palette
Sono costituite da un tamburo rotante palettato che ruota eccentrico rispetto a una camera
cilindrica esterna di statore (fig. R.46). Le palette, spesso in numero dispari, sono vincolate a
scorrere entro il rotore lungo scanalature radiali e dividono lo spazio compreso tra rotore e
sta- tore in volumi variabili.

Figura R.46 Pompa a palette: 1) rotore; 2) statore; 3) luce di aspirazione; 4) luce


di mandata.
IMPIANTI
IDRAULICI

R-51

Nel corso della rotazione, a causa dell’eccentricità il vano compreso fra due palette è dap-
prima crescente per aspirare liquido, poi si riduce espellendolo. I profili ad asola delimitano
le bocchette di aspirazione e di mandata, dette luci a fagiolo per la loro tipica conformazione.
Pompa a vite
La pompa a vite è un’evoluzione della pompa a ingranaggi dalla quale deriva le modalità
di funzionamento (fig. R.47).
Le bocche di aspirazione e scarico sono collocate in posizioni opposte all’asse
cosicché il
liquido, intrappolato negli spazi compresi tra i filetti delle viti, avanza in linea retta
parallela- mente agli assi di rotazione, crescendo di pressione in modo discontinuo.
La produzione delle viti richiede il rispetto di tolleranze assai strette. Questa pompa
pre-
senta ridotte perdite per trafilamento e può raggiungere grandi valori di pressione e
portata a fronte di ingombri ridotti.

Figura R.47 Pompa a tre viti.

3. IMPIANTI IDRAULICI
L’impianto di pompaggio
1.

Architettura
Gli impianti idraulici sono formati da una pompa e una tubatura che trasferiscono il li-
quido da un serbatoio di partenza a uno di arrivo, più altri organi ausiliari quali bocchetta e
fil- tro aspiranti, manometri, rubinetteria.
Lo schema di riferimento delle componenti fondamentali di un impianto idraulico com-
prende:
-il serbatoio inferiore A col liquido da aspirare;

-la pompa posta ad altezza ha dal pelo libero del serbatoio A;

-il serbatoio di mandata B, il cui pelo libero è posto ad altezza hm dalla pompa.

In figura R.48 viene riportato lo schema di un impianto idraulico con il pelo libero dei
due serbatoi posti a pressione atmosferica.
R-52 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.48 Schema elementare di un impianto di pompaggio per il sollevamento.

Grandezze caratteristiche negli impianti di pompaggio


-H prevalenza manometrica in [m]: rappresenta l’energia acquisita dall’unità di peso di li-
quido rilevabile tramite due manometri posti a monte e a valle della pompa:

H = hg + Y

-h g prevalenza geodetica in [m]: è la distanza misurata in verticale fra i peli liberi dei due
serbatoi:

h g = h a + hm

-Y perdita di carico totale nei condotti di aspirazione e di mandata, in [m].


- Lw/g perdita di carico nella pompa: raggruppa tutte le perdite che avvengono all’interno
della pompa; il rapporto tra il lavoro unitario dissipato Lw [J/kg] e la costante di gravità
g è un’altezza in metri.
-h tot prevalenza totale dell’impianto in metri; è data dalla somma della prevalenza geodetica
e dellelico
idrau- perdite.
Li: Il prodotto =L
dell’
htot hwtot per lag costante
-------- ---------
g di gravità g rappresenta il lavoro
Y+ + H+h = w g L
Li = g H + wL

Negli impianti a circuito chiuso la prevalenza geodetica non compare e la


prevalenza manometrica è pari alle perdite di carico nei condotti.
IMPIANTI
IDRAULICI

R-53

Capacità di aspirazione delle pompe


Lo sviluppo in altezza ha del tratto di tubo in aspirazione è limitato dalla cavitazione. Se
il tratto aspirante fosse alto più di 10,33 m, corrispondenti alla pressione atmosferica, il
liquido non potrebbe assolutamente salire più in alto, per quanto elevata sia la potenza della
pompa aspirante. È inoltre sufficiente che la pressione scenda a un valore prossimo alla
tensione di vapore che si forma vapore; se la temperatura dell’acqua sale, la tensione di
vapore si avvicina alla pressione atmosferica.
Le condizioni di innesco della cavitazione sono controllate mediante una procedura di
cal- colo che fa riferimento a una grandezza caratteristica di ogni singola macchina, detta
altezza totale netta all’aspirazione NPSH (Net Positive Suction Head). L’NPSH rappresenta
l’energia totale in metri posseduta dal liquido e misurata alla bocca d’aspirazione in
condizioni di inizio cavitazione.
Per un calcolo di prima approssimazione è sufficiente che l’altezza di aspirazione ha non
superi il valore dell’NPSH. Per un calcolo più preciso occorre verificare la seguente relazione:

hb NhPa SH h + a + hv + Y a
dove:
-h b è l’altezza barometrica corrispondente alla pressione assoluta che agisce sul pelo libero
del liquido nel contenitore di aspirazione. È pari al rapporto tra pressione barometrica e
peso volumico del liquido (p/ );
-h a è il dislivello tra l’asse pompa e il pelo libero del liquido nella vasca inferiore; ha è
inserito
nella formula con segno negativo quando il pelo libero del liquido aspirato è più basso
dell’asse pompa;
-
h a è un margine di prevalenza di sicurezza dell’ordine di 0,5 m;
-h v è l’altezza corrispondente alla tensione di vapore del liquido alla temperatura di
esercizio, divisa per il peso volumico;
-
Y a è la somma di tutte le perdite di carico distribuite nella tubazione di aspirazione, più le
perdite concentrate nei raccordi, nella valvola di fondo, nelle eventuali saracinesche e curve;
-NPSH è un’altezza ricavabile da appositi grafici.

Il diagramma dell’NPSH in funzione della portata viene redatto dal costruttore in base a

misure sperimentali.
3.2 Le prestazioni del sistema pompa-tubazione
Impostazione del progetto
Prima di eseguire la scelta della pompa occorre descrivere l’impianto mediante la caratte-
ristica esterna hr , un grafico riportante l’andamento della prevalenza in funzione della
portata generata nel tubo; tale grafico è indipendente dalla pompa impiegata.
In essa compare una curva crescente al crescere della portata, con andamento circa
parabo- lico, non passante per l’origine, ma incidente l’asse verticale delle prevalenze. Il
punto di par-
tenza della curva si trova a una quota hg coincidente con la prevalenza geodetica
d’impianto.
La scelta della pompa
È il risultato di un confronto tra le curve caratteristiche di una o più pompe e la curva hr
rappresentativa dell’impianto. Il punto di intersezione M fra le due curve definisce la configu-
razione di funzionamento a regime. Nella figura R.49 sono riportate la caratteristica esterna
di un impianto e la caratteristica interna della pompa centrifuga.
Nel tratto iniziale la curva caratteristica della pompa deve risultare superiore sia alla quota
hg , sia alla caratteristica esterna onde garantire un margine di energia per vincere le perdite
di carico. La figura presenta una condizione di funzionamento corretto: viene erogata la
portata QM con prevalenza HM.
R-54 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.49 Definizione del punto di funzionamento e del rendimento della pompa inserita
in un impianto.
Pompe in serie e in parallelo
Per incrementare le prestazioni di un impianto di pompaggio si ricorre a una o più pompe
aggiuntive. Il comportamento del sistema a due pompe, per quanto attiene prevalenza e por-
tata, è diverso a seconda che la seconda pompa sia montata in serie oppure in parallelo con la
prima (fig. R.50); nel caso di montaggio in serie: la portata massima rimane invariata; la
preva- lenza è pari alla somma delle singole prevalenze; nel caso di montaggio in parallelo:
la pre- valenza massima resta invariata; la portata è pari alla somma delle singole portate.

Figura R.50 Collegamento di due pompe in serie (a) e in parallelo (b).

3.3 Impianti idroelettrici


Architettura
Gli impianti idroelettrici sono ubicati in vallate montane o in pianure in cui scorrono
gran- di fiumi. Sono di dimensioni fortemente variabili: i più piccoli, destinati a soddisfare il
fabbi- sogno energetico a livello familiare o di una piccola azienda, hanno l’ingombro
dell’ordine del metro cubo; i più grandi sfruttano l’acqua contenuta in laghi artificiali.
IMPIANTI
IDRAULICI

R-55

Opere di sbarramento
Le opere di sbarramento e di convogliamento hanno diversa conformazione a seconda che
si tratti di impianti a serbatoio o ad acqua fluente. Nel primo caso lo sbarramento è formato
da una diga, nel secondo da una traversa fluviale. Secondo il Regolamento Italiano,
approvato con
D.M. 24 marzo 1982, la classificazione completa di tutti gli sbarramenti è la seguente:
-dighe murarie;

-dighe in materiali sciolti;

-sbarramenti di ogni tipo, comprese le opere di contenimento e le dighe marittime;

-traverse fluviali.

Dighe
Le dighe sono classificate in due categorie, dighe murarie e dighe in materiali sciolti. Le
dighe murarie possono essere a gravità e a volta. Le dighe a gravità sono così denominate
per- ché resistono con il loro peso alla pressione di rovesciamento, cioè alla spinta
orizzontale delle acque dovuta alla pressione idrostatica.
Sono costruite in calcestruzzo armato; hanno andamento rettilineo e sezione trapezia
con
la base maggiore sul fondo, rigidamente ancorata al terreno sottostante mediante
fondazioni profonde.
Lo spessore si riduce procedendo dal basso vero l’alto, seguendo l’andamento lineare
della
pressione idrostatica espresso dalla legge di Stevin. Alla diga svizzera della Grande
Dixence
spetta il record mondiale di altezza: 284 m (fig. R.51).

Figura R.51 La diga a gravità della Grande Dixence (fonte: Energie Ouest Suisse).
Dighe a volta
Sono impiegate quando non si può fare assegnamento sul terreno di base per il conteni-
mento delle forze. Il loro profilo curvo, convesso a monte consente di deviare la spinta
longitu- dinale dell’acqua in direzione laterale, scomponendola in due forze inclinate che si
scaricano sui fianchi della montagna. Una variante intermedia è costituita dalle dighe ad
arco-gravità: la stabilità è affidata sia al proprio peso, sia alla forma arcuata in sezione
orizzontale.
Dighe in materiali sciolti
Le dighe in materiali sciolti sono formate da un cumulo di materiale inerte di natura roc-
ciosa, a sezione trapezia con falde inclinate da ambo i lati. La falda a contatto con l’invaso è
ri- vestita da un manto di tenuta in materiale bituminoso. Le dighe più alte sono irrobustite
mediante pareti interne in calcestruzzo con funzione di telaio irrigidente.
La piccola inclinazione delle falde genera un’ampia base di appoggio ancorata sugli strati
rocciosi inferiori grazie a fondazioni spesse e a pali verticali in calcestruzzo incastrati nella
R-56 MACCHINE A FLUIDO

roccia più compatta. In genere le dighe in terra sono di piccole dimensioni, ma non mancano
esempi di notevole sviluppo quali le dighe di Mattmark (Vallese, Svizzera) e di Serre-Ponçon
(Hautes Alpes, Francia), entrambe alte circa 120 m.
Impianti idroelettrici
L’invaso in quota costituisce il serbatoio nel quale viene conservata l’acqua proveniente
da torrenti e sorgenti. Il livello nel bacino non deve raggiungere la sommità della diga detta
coronamento, tantomeno scavalcarla precipitando a valle. Per ogni diga viene definito un li-
vello limite di riempimento oltre il quale deve restare una certa altezza libera detta franco di
coronamento.
Per far defluire l’eccesso di acqua sono previste canalizzazioni laterali sul fianco della
diga dette sfioratoi oppure paratoie mobili poste sotto al coronamento. Spesso sono presenti
gli
scaricatoi di fondo formati da tubazioni che attraversano la base della diga per svuotare
perio- dicamente il bacino.
Il fabbricato della centrale può trovarsi subito a valle della diga, ma anche a distanza di
parecchi chilometri; in ogni caso immediatamente a monte dello sbarramento è presente
l’opera di presa, a forma di torre, con funzione di collettore delle acque destinate alle mac-
chine, con griglie che trattengono la ghiaia.
Il condotto derivatore è un collettore a pelo libero o in pressione, all’aperto o in galleria,
che convoglia le acque con pendenze inferiori allo 0,1% dalla presa a un serbatoio di piccole
capacità a pelo libero, detto vasca di carico o bacino di compensazione.
Da esso si diparte la condotta forzata, formata da una o più tubature metalliche,
all’aperto, in tunnel o in forma di pozzo inclinato scavato nella roccia e rivestito in
acciaio o in cemento
armato. Dopo aver lavorato in turbina, l’acqua viene scaricata in un fiume o lago
attraverso condotti all’aperto o in galleria, detti opere di restituzione.
Sbarramenti fluviali
Hanno lo scopo di accumulare le acque creando un invaso che si estende a monte. Lo
schema tipico prevede un’unica opera costituita dallo sbarramento, la centrale e le paratoie
mobili. Il fabbricato della centrale comprende il locale macchine, di regola incorporato nella
zona centrale della traversa di sbarramento, affiancato da paratoie per regolare il deflusso
delle acque eccedenti.
Un’altra soluzione prevede lo sbarramento che trattiene le acque e le devia in un canale di
scarico a pendenza inferiore a quella del fiume e con il tracciato a esso parallelo; al termine
del
canale l’acqua compie il salto in centrale e si reimmette nell’alveo naturale. In entrambi i
casi si realizzano dislivelli di pochi metri e grandi portate, anche di centinaia di metri cubi al
secondo.
È spesso possibile edificare diversi sbarramenti lungo il fiume con il vantaggio di utiliz-
zare la medesima acqua più volte e, inoltre, di operare un governo delle acque in caso di
piena. In molti casi sono presenti conche per la navigazione e piccoli canali privi di
interruzioni per
consentire il periodico rimontare dei pesci lungo il corso d’acqua.
3.4 Il colpo di ariete
Genesi del colpo d’ariete
Il colpo di ariete è una forza interna alle condotte conseguente a rapidi aumenti di pres-
sione. Insorge in qualunque tubatura quando il valore della portata subisce improvvise ridu-
zioni come, ad esempio, in caso di arresto di una pompa o della chiusura di una valvola. Ogni
brusca variazione di portata è accompagnata da una successione di rapide sovrappressioni
alternate a depressioni che si propagano molto rapidamente lungo la condotta.
È un fenomeno improvviso e spesso sottovalutato, pur costituendo la causa di danni
alle
tubature, agli organi di intercettazione e alle pompe. Il colpo d’ariete non risulta
pericoloso nelle condotte brevi o in sistemi di pompaggio caratterizzati da alta prevalenza e
bassa portata.
IMPIANTI
IDRAULICI

R-57

Al contrario, è uno dei vincoli nella progettazione delle grandi condotte, come ad esempio gli
impianti idroelettrici, dove le masse in moto sono notevoli.
Usualmente la condotta dell’acqua è ripartita in due tratti principali: un primo tratto
in tun- nel a bassa pendenza (2), parte dal bacino di raccolta (1) ed è seguito dalla
condotta forzata ad
andamento assai ripido (4). Per scaricare l’onda di pressione che provoca il colpo
d’ariete, nel tratto conclusivo della galleria è previsto uno scavo verticale a forma di pozzo
(3) comunicante
con l’atmosfera, detto vasca di oscillazione o anche torre piezometrica (fig. R.52).

Figura R.52 Schema delle condotte d’acqua in un impianto idroelettrico con


serbatoio in quota.
Il moto diventa vario ogni volta che in centrale si operano intercettazioni o regolazioni
del flusso. Nella condotta forzata le rapide variazioni di velocità dell’acqua generano
variazioni rapide della pressione che si propagano con velocità che possono raggiungere i
mille metri al secondo.
L’onda di pressione risale a monte lungo la condotta per sfociare proprio nella torre
piezo-
metrica. La torre consente alla portata che ancora s’inoltra nella galleria di trovarvi una
linea di efflusso, oscillando liberamente al suo interno. Le onde di pressione si tramutano in
un oscilla- zione del pelo libero del pozzo.
Sistemi di protezione dal colpo di ariete
-Valvole ad apertura unidirezionale (di non ritorno): poste sulla bocca di mandata della
pompa: in condizioni normali la valvola resta aperta; se perviene un’onda di pressione ano-
mala di ritorno, la valvola si chiude rapidamente impedendo al picco di pressione di prose-
guire all’interno del corpo pompa.
-Sistema di arresto pompa con valvola controllata: la manovra di arresto consiste nel chiu-
dere la valvola un istante prima dello spegnimento del motore, preservando la pompa da
colpi di pressione di ritorno.
-Camere d’aria: un serbatoio pressurizzato pieno in parte di acqua e per il resto di aria, è col-
legato in derivazione sulla mandata della pompa; è in grado di attutire le onde di pressione
causate dal colpo di ariete in modo efficace, grazie alla comprimibilità ed elasticità del gas.
-Sistema di arresto pompa con valvola di scarico a by-pass: tale dispositivo è comandato
dall’alimentazione del motore o dalla caduta di pressione in mandata. Il fenomeno del colpo
d’ariete si verifica negli impianti di notevole lunghezza quando si ha una sosta non program-
mata o un black-out. La valvola di by-pass si apre e permette alla colonna d’acqua di scari-
carsi per altra via, evitando di gravare sulla pompa.
R-58 MACCHINE A FLUIDO

3.5 Le centrali di pompaggio


Le centrali operanti con acque provenienti da bacini di piccole proporzioni producono
solo per un certo numero di ore al giorno, pena lo svuotamento del bacino. Si è allora
sviluppata la tendenza a costruire centrali ad accumulo ubicate in caverna, in cui il gruppo
turboalternatore comprende anche una pompa ad alta portata a esso coassiale.
Durante le ore notturne, grazie all’eccesso di energia prodotto dagli impianti termici, la
centrale ad accumulo funge da impianto di pompaggio: l’acqua del bacino di fondovalle viene
ripompata a monte ricostituendo le riserve per il mattino successivo.
La pompa-turbina è una macchina reversibile con un unico palettaggio in grado di
funzio- nare, a seconda dell’esigenza e senza richiedere modifiche di alcun genere, sia da
pompa, sia da turbina; i profili dei palettaggi sono in grado di funzionare in entrambe le
modalità con
ottimi rendimenti (fig. R.53).

Figura R.53 Schema di macchina reversibile pompa-turbina: centrale di Hausling


(Austria).
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-59

4. CALORE E COMBUSTIBILI
Il riscaldamento dei corpi
1.

Generalità
Il calore è una delle tante forme in cui si presenta l’energia e ha come unità di misura il
joule [J]. La temperatura è una misura indiretta del calore, essendo un indice dello stato di
agi- tazione molecolare. Il calore si trasmette spontaneamente dal corpo caldo al corpo
freddo; se due corpi a contatto si trovassero alla medesima temperatura, non si avrebbe flusso
termico né in un senso né nell’altro; i corpi a contatto tendono a raggiungere uno stato di
equilibrio ter- mico, cioè a scambiarsi calore così da raggiungere tutti quanti la medesima
temperatura finale: questo fenomeno è noto come livellamento energetico.
La caloria normale [kcal] fu definita come la quantità di calore necessaria per
innalzare la
temperatura di 1 kg di acqua distillata da 14,5 °C a 15,5 °C. Nei sistemi di misura britannico
e statunitense USCS il calore è misurato in BTU (British Thermal Unit). L’equivalenza
con
il joule è la seguente:
1 BTU = 1,05587 · 103 J
Esempio
Occorre raffreddare un volume di 150 litri di acqua da 35 a 15 °C. Calcolare la quantità di
calore Q che deve essere sottratta, in [kcal] e in [kJ].
Soluzione
Servendosi del concetto di caloria normale, si esprime il calore Q in kcal:
Q = c · m · t = 1 × 150 × 20 = 3000 kcal
Mediante la costante 4,186 si esegue il conguaglio dimensionale per passare in unità
SI:
Q = 3000 kcal × 4,186 kJ/kcal = 12 558 kJ
2. La temperatura e il calore
Il principio di misurazione
Le misure di temperatura possono essere soggettive o oggettive. Le misure soggettive
con- sistono in un giudizio personale, nei termini di caldo o freddo o, operando confronti tra
corpi, in termini di più caldo o più freddo. L’oggettivazione della misura della temperatura
viene ottenuta servendosi di strumenti detti termometri. Gli strumento più semplici sono i
termome- tri a bulbo, che si basano sul principio della dilatazione termica del mercurio. In
figura R.54 è
Figura R.54a Termometro
riportato un termometro a bulbo.
bulbo, con scale in gradi Celsius e Fahrenheit.
Scale termometriche
La scala Kelvin, detta anche scala termodinamica assoluta delle temperature, ha il suo
va- lore zero in corrispondenza dello zero assoluto, per cui tutte le temperature assumono
esclusi- vamente valore positivo. La scala di uso corrente è la scala Celsius, avente come
unità di misura il grado Celsius [°C] uguale all’unità kelvin [K]. La scala Celsius assume
valore zero in
R-60 MACCHINE A FLUIDO

corrispondenza del punto di congelamento dell’acqua a pressione atmosferica e assume valore


100 in corrispondenza del punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica. La scala
Kelvin assume valore zero in corrispondenza dello zero assoluto. La relazione di conversione
fra le due scale è la seguente:
t [°C] = T [K] – 273,15

La scala Fahrenheit, diffusa nei paesi anglosassoni, ha il grado Fahrenheit [°F] come
unità di misura. Essa assume valore 32 °F al punto di congelamento dell’acqua a pressione
atmosfe- rica e il valore 212 [°F] al punto di ebollizione dell’acqua a pressione atmosferica: il
grado Fahrenheit [°F] risulta più piccolo del grado Celsius; il rapporto tra le due unità è il
seguente:
1 °F = 5/9 °C
e la relazione di conversione tra le due scale è così formulata:

t [°C] = (5/9) (t [°F] 32)

Dalla scala Fahrenheit deriva la scala Rankine, avente funzione di scala assoluta per il
sistema di misura anglosassone. Essa assume valore zero in corrispondenza dello zero
assoluto e, pertanto, i suoi valori sono sempre positivi. La relazione di conversione fra le due
scale è la seguente:
t [°R] = t [°F] + 460
Esempio
Una febbre influenzale vale 101 °F. Calcolare a quanti gradi centigradi
corrisponde.
Soluzione
t [°C] = (5/9) (t [°F] 32) = (5/9) (101 32) = 38,3 °C
Capacità termica
diverso materiale ma di uguale
Somministrando massa m,
una quantità questi Q
di calore si riscaldano in modo
in parti uguali disuguale,
a un certo a causa
numero della
di corpi di
differente
mico. C =
variazione dei mi
Q
cro movimenctai ldoerievfoarrinittiopi di m ole = -
colaSiinvestiti
variazione da
di termica tCemdpi eurnatmuarateriale il rapporto tra il calore
un flusso
definisce capacità ter-
la variazione di temperatura avvenuta per riscaldamento (raffreddamento):
fornito (sottratto) e
t J J
L’unità di misura è il rapCporto tr--a--e-n--e-r-g=iCa e
anche: °C -
temoperatura:
a seconda che ci si ------
riferisca alla scala delle temperature in gradi Celsius o in gradi Kelvin.
=K
Si definisce capacità termica massica c di un materiale il rapporto tra il calore fornito
(sot- tratto) all’unità di massa della sostanza in esame e la variazione di temperatura avvenuta
per riscaldamento (raffreddamento):

c=

calor e fornito

=
Q massa · variazione di temperatura m t
CALORE E COMBUSTIBILI R-61

La sua unità di misura è:

c ---k-- o anche: c --------J--- ----- -


g-----J°-C--
-- -=
La capacità termica massica
= indica quanta energia termica in [Jk]gdeve essere trasmessa a
un chilogrammo di materiale per ottenere l’inna Klzamento di
un grado di temperatura.
Nella tabella R.13 sono riportati i valori della capacità termica massica per materiali
solidi
e liquidi: per i solidi sono valori medi fra 0 °C e 100 °C, per i liquidi sono valori rilevati
a
20
°C, dato che la capacità termica varia a seconda della temperatura alla quale si effettua
la rile- vazione.
R-62 MACCHINE A FLUIDO

Il valore numerico di 4,186 è la costante di conversione dimensionale tra il [kJ] e la [kcal].


Esprimendo la capacità termica massica dell’acqua distillata in calorie si ha:

c = 1 [kcal/(kg °C]
Dilatometria
Si prenda come riferimento un corpo solido di forma cubica costituito da un materiale
omogeneo. Se viene scaldato uniformemente, aumenta l’energia cinetica molecolare e, di con-
seguenza, aumenta lo spazio occupato da ogni molecola; ogni lato di lunghezza l subisce una
dilatazione l direttamente proporzionale all’incremento di temperatura t subito dal corpo; la
formula che esprime il legame di proporzionalità tra dilatazione e variazione di temperatura è
la seguente:
l= ·l·t
ove è il coefficiente di dilatazione termica lineare ed è una costante per ogni singolo
mate-
riale; in tabella R.15 sono riportati i valori del coefficiente per alcuni materiali.

4.3 La combustione
L’impiego del calore nelle macchine e negli impianti termici
Le macchine termiche trasformano il calore in lavoro meccanico o viceversa. Il
funziona- mento delle macchine termiche motrici od operatrici si basa sulla differenza di
temperatura fra
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-63

fluidi o fra il fluido all’interno alla macchina e il fluido esterno. La differenza di temperatura
è ottenibile mediante reazioni chimiche (combustione) o azioni meccaniche (compressioni,
espansioni). Le macchine termiche dispongono di organi mobili, generalmente in forma di
palettaggi rotanti o stantuffi con moto alternativo, i quali scambiano energia con il fluido ope-
rativo agente all’interno della macchina stessa.
Con il termine di impianti termici si indicano i macchinari aventi come scopo la genera-
zione di fluidi caldi o freddi, principalmente acqua o aria, per impieghi sia industriali sia
civili; in questa categoria rientrano gli impianti di riscaldamento e climatizzazione degli
ambienti; i primi utilizzano il calore liberato dalla combustione, i secondi regolano il calore e
l’umidità dell’aria presente negli ambienti abitativi.
Combustione e generazione di calore
Scopo della combustione è la trasformazione in energia termica dell’energia chimica con-
tenuta nel combustibile. Il calore ottenuto dalla combustione viene sfruttato in campo indu-
striale, civile e domestico. Esso è destinato prevalentemente a essere trasformato in lavoro
meccanico; può anche essere usato per generare luce o per liberare potere dirompente, come
nel caso degli esplosivi.
La combustione è un insieme di reazioni chimiche di ossidazione tra una sostanza combu-
stibile, fondamentalmente formata da carbonio e idrogeno, e l’ossigeno contenuto
nell’aria
avente funzione di comburente.
Il carbonio e l’idrogeno reagiscono con l’ossigeno generando prodotti della combustione,
tra cui principalmente biossido di carbonio e vapore acqueo, più una quantità di calore Q che
viene liberata nell’ambiente:
carbonio + ossigeno biossido di carbonio + Q
idrogeno + ossigeno vapore acqueo + Q

Le reazioni chimiche che liberano calore sono di tipo esotermico, quelle che avvengono
assorbendo calore dall’ambiente sono di tipo endotermico. Nelle reazioni esotermiche di ossi-
dazione il calore Q viene espresso con il segno negativo per rappresentare l’energia termica
emessa dal sistema nell’ambiente esterno.
Lo svolgimento della combustione segue strade diverse a seconda che il combustibile e il
comburente siano entrambi gassosi, in parte gassosi e in parte liquidi e solidi, tutti liquidi o
so- lidi; nel primo caso si parla di combustione omogenea, nel secondo di combustione
eteroge- nea, nel terzo di sistema a fasi solide-liquide.
Le reazioni di combustione avvengono con presenza di fiamma solo nel caso di miscele
reagenti, cioè miscugli di combustibile e comburente capaci di reagire con una velocità di
rea-
zione sufficientemente elevata.
La propagazione della fiamma, o in alternativa l’innesco dell’esplosione, risultano
favorite o inibite a seconda della composizione della miscela, della pressione e della
temperatura pre- senti nell’ambiente in cui si svolge l’ossidazione.
Si definiscono esplosioni le combustioni che avvengono con propagazione assai veloce e
con grande aumento di volume. Le esplosioni sono suddivise in deflagrazioni se in presenza
di
fiamme e in detonazioni se ne sono prive.
La cinetica della combustione
Le miscele aria-combustibile realizzano combustioni assai rapide e a temperature molto
al- te, per cui è difficile distinguere le singole fasi con cui i processi chimici si succedono.
Il passaggio dallo stato iniziale in cui combustibile e comburente sono posti a contatto, a
quello finale, formato dai prodotti della combustione con emissione di calore, avviene
secondo una sequenza di reazioni chimiche a catena durante le quali si formano composti
intermedi at-
R-64 MACCHINE A FLUIDO

tivi noti come radicali liberi; questi composti sono caratterizzati da instabilità e
forte reattività. La velocità delle reazioni chimiche è influenzata dalle
concentrazioni dei
componenti, dal-
la temperatura dell’ambiente e dalla forma della camera di combustione impiegata. Alla con-
clusione delle reazioni si raggiunge uno stato di equilibrio chimico finale, noto come
combustione completa. La combustione viene considerata a tutti gli effetti un fenomeno irre-
versibile.
Una miscela di combustibile e comburente è detta stechiometrica se la composizione in
massa è tale da dar luogo alla combustione completa, ovvero senza eccessi di una sostanza ri-
spetto all’altra; un eccesso di combustibile rispetto al comburente genera sostanze
incombuste,
un eccesso di comburente dà luogo alla presenza di comburente inutilizzato nei fumi.
Le modalità della combustione nelle macchine termiche
Nelle macchine a rinnovamento intermittente di fluido la massa di combustibile e combu-
rente viene introdotta in camera di combustione in dose controllata, quindi viene bruciata ed
espulsa per lasciare spazio a una nuova carica fresca; nel caso dei motori ad accensione
comandata o a scoppio, la combustione è innescata mediante una scintilla formando un fronte
fiamma che si espande portando la combustione a tutta la carica. Nei motori ad accensione
spontanea la massa fresca introdotta in camera di combustione viene portata ad elevati livelli
di pressione e temperatura così da attivare il fenomeno dell’autocombustione.
Negli impianti a flusso continuo il combustibile e il comburente vengono introdotti
con una portata continua all’interno di un reattore detto focolare; un bruciatore provvede
a
misce- lare il combustibile e il comburente e a generare la fiamma (figura R.55). È
sufficiente inne- scare la combustione nell’istante iniziale, dopodiché le reazioni
procedono per tutto il tempo che si ha l’apporto di aria e combustibile. L’introduzione
ininterrotta di nuovo materiale man- tiene la fiamma costantemente accesa e la camera di
combustione sempre in temperatura. Que- sta tipologia è adottata negli impianti
termoelettrici, nelle caldaie generatrici di vapore o di acqua calda, negli impianti civili di
riscaldamento e termosanitari e nelle turbine a gas.

Figura R.55 Bruciatore per impianti a flusso continuo: 1) condotte del combustibile;
2) gruppo alimentazione aria; 3) camera di combustione. A destra: vista
della fiamma con sportello della caldaia aperta.

La chimica della combustione


Il carbonio e l’idrogeno componenti dei combustibili reagiscono con l’ossigeno
dell’aria
secondo le seguenti equazioni chimiche:
C + O2 CO2
2H2 +
O2

2H2O
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-65

Le reazioni producono fumi composti da


biossido di carbonio, vapore acqueo e
co- me il monossido di cSar+boOn2io, svolgono pure loro reazioni di ossidazione con
calore.
di calore:
Al- CSO
tre sostanze presenti nel 2
combustibile, + 2--O2
produzione
come lo zolfo1della
I prodotti combustione
, o formatesi la costituiti da biCoOss2ido di zolfo e biossido di
sono
durante
combustione,
carbonio, accompagnati dall’emissione di calore.
La dissociazione
La reazione si può estinguere senza aver raggiunto il completo esaurimento dei
componen- ti iniziali: si raggiunge una condizione di equilibrio in cui sono presenti sia
prodotti della rea- zione, sia quantità più o meno rilevanti dei due reagenti iniziali,
eventualmente in presenza anche di composti intermedi, atomi e radicali liberi. Un ruolo di
rilievo nel definire le condi- zioni di equilibrio è svolto da pressione e temperatura.
Nel caso delle reazioni di combustione fortemente esotermiche, l’aumento di
temperatura
rende incompleta l’ossidazione. La seconda reazione di ossidazione del monossido di
carbonio è spostata decisamente verso destra agli inizi, quando sia la temperatura interna, sia
la concen- trazione di CO2 sono basse. Con il progredire della reazione, aumentano sia la
temperatura sia la quantità di CO2, accompagnate dalla diminuzione dei reagenti iniziali; a
un certo punto si at- tivano gradualmente le reazioni in senso contrario: questo fenomeno è
noto come dissociazio- ne e avviene con sottrazione di calore all’ambiente. La condizione di
equilibrio si ha quando le reazioni nei due sensi si equivalgono.
L’ossidazione del monossido di carbonio è una reazione esotermica; la dissociazione
del
biossido di carbonio è una reazione endotermica, quindi con assorbimento di calore. Il
valore assoluto del calore rimane costante:
1

CO + 2--O2 CO2 283 4 –[ kJ/mol]

CO2 CO2 1--O2 283 4 +[kJ/mo+l]


2
Il comburente
aria
gas rari, quali argon, neon ed elio. queste composiz2ioni aventi valore di media definiscono
L’aria
l’aria 3 +7C
tipo.atmosferica secca è formata per il 23% da ossigeno e per il 76% da azoto se in per-
Ricordando
essere
lume. completate
oltre cheeilall’combHu8
all’ossigeno tr3ov+
2
1 --
centuali in massa, oppure per il 21% da ossigeno e per il 78% da azoto se in percentuali in vo-
CazotOo,22sireOnt a7n8o2N
2Ne ot2sra+cce di biossido di
mettendo
Una 2eno1è+p8a9rNte
carbonio e idrogeno e di
sOigcombustione
1inS+c8o 2H2ld+ell’a
nOtoteoricamente
è 9detta Na
2rOiaseatmosferica,
perfetta non3si+h7aSlalepresenza
reazioni di
devono
incombusti nei fumi; è detta completa se non8viOsNon2o residui combustibili nelle
ceneri; in più l’azoto si2d+ell’azoto:
2p3re+se7n8zNa com- porta da inerte, cioè non prende parte alle reazioni di
ossidazione.
Nella realtà la combustione non può essere né perfetta né completa e inoltre l’azoto dà
vita
a una famiglia di composti ossidati, rilevabili fra i prodotti della combustione, denominati
R-66 MACCHINE A FLUIDO

NOx, fortemente inquinanti: le norme di legge impongono l’adozione di misure di controllo e


di dispositivi per l’abbattimento di tali composti negli scarichi in atmosfera, negli impianti
ter- mici come pure nei motori per autotrazione.
Il controllo dei fumi
Su tutti gli impianti termici è reso obbligatorio il controllo della combustione e dei fumi,
per ragioni sia di prevenzione degli sprechi sia di controllo delle emissioni nocive. I controlli
sono regolamentati dal DPR 551/1999. Esso prevede tre rilievi principali: il controllo
dell’effi- cienza della combustione; la misura della CO2 presente nei fumi; la misura della
temperatura dei fumi nel camino.
L’efficienza E della combustione è espressa come rapporto tra il calore Q prodotto
dalla
combustione di 1 kg di combustibile e il suo potere calorifico inferiore Pci:

E --Q----=

Pci
La misura del biossido di carbonio nei fumi è un indice di completezza della
combustione: nel caso di carenza di aria comburente, si avrebbe la comparsa del monossido
di carbonio CO nei fumi, a fronte di una riduzione di CO2.
La misura della temperatura dei fumi serve per accertarsi che la combustione proceda in
modo completo ed efficiente: una temperatura troppo bassa indica una presenza eccessiva di
aria nel bruciatore; una temperatura troppo alta è dovuta a una combustione troppo intensa
per cui il calore emesso viene in parte disperso in camino.
Il potere calorifico dei combustibili
Si definisce potere calorifico superiore Pcs di un combustibile la quantità di calore pro-
dotta dall’unità di massa, o di volume se gassoso, in seguito alla sua combustione completa; il
Pcs comprende anche il calore di evaporazione contenuto dal vapore acqueo che è presente
fra i prodotti della combustione.
Si definisce potere calorifico inferiore Pci di un combustibile la quantità di calore
prodotta dall’unità di massa, o di volume se gassoso, in seguito alla sua combustione
completa; il Pci non comprende il calore di evaporazione contenuto dal vapore acqueo, che è
presente fra i pro- dotti della combustione.
Per entrambi, l’unità di misura è [kJ/kg], molto usato il multiplo [MJ/kg]. La tabella
R.16
pCd’aria
teori- co Mliassoslaidvi
riporta i valori dellatibi
massa volumica , delgassosi
eromdibvuesrtsibiicl o,lluimquiciadi e
P
potere calorifico
. cs
Volume d’aria teorica
superiore
fusi [m3/kg]
e del volume

eombus ombust[ikbJi/
tiche
Tabella R.16 Caratteris pr[ikngc/mip3a]l lkigp] iù dif
i dei c
Legna essiccata 300 ÷ 400 10 400 ÷ 14 3÷4
600
Lignite xiloide 600 ÷ 750 12 500 ÷ 21 4÷6
000
Litantrace 800 ÷ 850 32 000 ÷ 33 8,5 ÷ 10
500
Antracite 800 ÷ 850 32 000 ÷ 33 8,5 ÷ 10
500
Gasolio 810 ÷ 850 40 000 ÷ 44 11 ÷ 12
000
Benzine 730 ÷ 780 42 700 10 ÷ 12
Alcool etilico 790 26 800 8,3 ÷ 9,0
Gas d’altoforno 1,0 ÷ 1,2 3000 ÷ 4200 0,6 ÷ 0,8
Monossido di 1,25 a 0 °C 10 050 3,2 ÷ 4,0
carbonio
Metano 0,72 a 0 °C 50 000 15,7
Acetilene 1,18 a 0 °C 48 100 11
Idrogeno 0,09 a 0 °C 120 000 28
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-67

La determinazione sperimentale del Pcs è ottenuta facendo avvenire la combustione di


una quantità ben definita di combustibile nella bomba calorimetrica. Esistono metodi teorici
per la determinazione dei poteri calorifici basati su formule semiempiriche; esse
presuppongono la conoscenza della composizione in percentuale della massa del
combustibile nei suoi costituen- ti, quali carbonio, idrogeno, zolfo e ossigeno, e del contenuto
di umidità U pure Pinciper=ce3n3tu8a2le2.C1P+er2 il0c3a4lc7oHlo de-l
utilizza la formula d4i6D5Su2lo5n1g2:U–
O8 P-
c-i in–
Noto[+uno
k1J/dei
0kg]duedei combustibili
poteri calorificisolidi si
in [MJ/kg] per via formula:
sperimentale o teorica, è possibile
ricavare l’altro con la seguente
2 5U8 94H - ++
Pcs = Pci 100
Nella tabella R.17 sono riportate le composizioni percentuali di carbonio, idrogeno, ossi-
geno, per alcuni combustibili solidi e liquidi. La presenza di azoto, zolfo e umidità è a livello
di tracce, al massimo qualche punto percentuale ciascuno. I valori sono espressi in
percentuale di massa.

Tabella R.17 Composizioni medie di alcuni combustibili


Combustibile Composizione %
Carbonio Idrogeno Ossigeno
Legno asciutto 50 6 44
Lignite 60 ÷ 75 5 20 ÷ 35
Carbone a fiamma lunga 75 ÷ 85 4,5 ÷ 5,8 10 ÷ 15
Il fabbisogno di aria
nti calcolare2,l5a aria
NeCllaarbpornoegeatftiaaz
te8r8m÷ic9i5oc ÷m4assa di 3co÷n5te,5nente
miomnaecdoretgali impia corre la
quantitNàadftia ossigeno a. La quantità
rica 0A,t1m÷
stechiometric al- la combustione di 8f4or÷m8u6la d1i1a÷r1ia3
n1e,4cessaria
1 kg di combu Atm = 0 115C O–teo ido è la +
della0 stibile solido
34 04H043So +liqu--- 8 seguente:
Si definisce potere comburivoro il volume di aria teoricamente richiesto per realizzare la
combustione completa di 1 kg di combustibile solido o liquido o di 1 m3 se gassoso. I volumi
di aria e gas sono valutati a pressione atmosferica e a temperatura di 0 °C.
Esempio
I componenti di un carbone sono presenti con le seguenti percentuali in
massa: C = 84%; H = 4,4%; O = 7,8%; S = 1,4%; U = 2,4%
Calcolare i poteri calorifici inferiore e superiore. Calcolare la quantità di aria stechiome-
trica, in grado di produrre la combustione teoricamente completa di un chilogrammo del com-
bustibile in esame.
Soluzione
Pci = 33 822 0 8142 +0 247 0 044 -08 ----0--- – + 10 465 0
7---8-
0 1245 12 0 0 2–4
= 3=2 619 MJ/kg 32
619 =MJ/kg
R-68 MACCHINE A FLUIDO

-2 5U8100
94H - += + 2 5 0 023100
4 2 8- = 32 63
Pcs = Pci
-+ 61994 0 0- 4+4 MJ/k g
Atm = 0 115C 0 O– =
34 04U043S + --- 8 +

0=115 84 0 344+4 40 043 1 4 10


- 7----8-
10,9Il kg
fabb is per
di aria d i aria pe–r +ottenere una combustione completa
o 1g kgn diocombustibile.
bile
9del
kg /k g
Per un combustibile gassoso è data la seguente
ar baorniae
c formula:
Atv = 0 0238C 0O09+5H
in ecsoammbuestiè di

-4--- +CmiHmi 0 – 2
i

28C2H+ 0 0476n 4 +
m
i
0 4
L’unità di misura del fabbisogno di aria Atv risulta in (Nm3 di aria/Nm3 di gas), ove il
pre- fisso N identifica il normalmetrocubo cioè il volume di 1 m73imisurato
6O a pressione
atmosferica e a temperatura di 0 °C.
Nella pratica, in tutti gli impianti termici si fornisce una quantità d’aria superiore a quella
teorica. L’eccesso d’aria risponde alle seguenti esigenze: mantenere attive le reazioni di ossi-
dazione le quali, potendosi svolgere nei due sensi, tendono a raggiungere uno stato di
equili- brio e quindi a estinguersi; impedire la dissociazione della CO2, fenomeno
negativo che sottrae calore e in più produce il CO, gas tossico; rendere più facile la
reperibilità di molecole di com-
burente da parte del combustibile; compensare le perdite di aria per fughe nei bruciatori e
nei focolai.
Si definisce eccesso d’aria e il rapporto fra la quantità in massa di aria introdotta in
più ri-
spetto all’aria teorica e la quantità d’aria teorica:
e = aria effettivamente impiegata aria teorica–
aria teorica
Indicando con Ae la quantità di aria effettivamente impiegata, ovvero la somma
dell’aria
teorica Atm con l’aria in eccesso, si ottiene la seguente formula:
Ae = 1e+ tm A
con Ae espresso in kg di aria per ogni kg di
combustibile.
Per i combustibili gassosi è
’aria sufficiente
varia da un
Potere o un minimo
÷ 40%; per i sol idi l’eccesso d el 10 ÷ 20% per il carbone
finem del
eccesso di ariatodel
Combustibile a u10
cal
÷ 20%, per i liquidi del 30
Massa tteri
d zat Aria asedisolane.
za ente
polveriz simo
rifico
i1nt0fe0 ltre per le pez teoric
r%ioree Nella
tabella R.18 sono riporvtonltu o s iche ncipali per a cucreotmpb gas: la massa
volumica valutata mmiacsa pri
p = tere[kcJa/
l iù usgtiroo
n uni ipi di aria[ktego/
combustione, riferiti cara
1[kbJ/amr,3]il lkogr]ific o krgicdai di
a e le po unità di in[fmer3io/mr gas]
GTasanbaetlulraa a t olume sia all’ massa. e3dei l’
lRe .18 Car =[1kg5/m°C3] e gas] 17,4
a ipali 3 d 4e 7 i5 stib4i6li8g
i 9,5
sia all’unità di c0ombu 9a2ssos
v
atterist0ic,7h4
e princ

Propano 1,81 83 317 46 055 24 15,8


Butano 2,38 108 438 45 636 31 16,5
Propano/Butano 2,06 94 621 45 845 27,5 16,1
50/50

Gas di gassogeno 1 ÷ 1,2 4200 ÷ 2700 ÷ 0,9 ÷ 0,95 ÷


CALORE E
COMBUSTIBILI

R-69

4.4 Tipi di combustibile


Combustibili solidi
Trascurando legname, torba e lignite che rivestono un ruolo marginale in Italia, il combu-
stibile solido per eccellenza è il carbone, formato in massima parte da carbonio con tracce di
idrogeno e ossigeno. Altri costituenti sono le impurità minerali quali argille e silicati,
destinate a finire nelle ceneri, e una dose variabile di umidità. Un’impurità sempre presente è
lo zolfo, che prende parte attiva alla combustione, ma genera ossidi inquinanti.
Si classifica ogni carbone considerando quattro componenti: umidità U, sostanze
volatili
V, ceneri C, carbonio fisso CFIX ottenuto per complemento a 100. In formula si ha:
CFIX = 100 (U% V% C%)
Dai carboni più giovani ai più antichi, decresce il contenuto di volatili e cresce quello di
carbonio fisso.
I principali carboni fossili sono il litantrace e l’antracite aventi un Pci di 26 ÷ 30
MJ/kg.
Il litantrace è suddiviso in diverse varietà, raggruppabili in linea di massima nelle due fa-
miglie principali denominate a lunga fiamma, se il carbone contiene molte sostanze volatili, o
a corta fiamma se ne ha relativamente poche.
L’antracite, nera e lucente, è il carbone più antico, a basso contenuto di volatili e a
elevato carbonio fisso che brucia con fiamma corta e poco fumo. L’antracite è utilizzata
specialmente in metallurgia con funzione di ricarburante e scorificante. I coke sono varietà di
carboni artifi-
ciali ottenuti mediante distillazione di carboni naturali, in particolare litantraci bituminose
(co- ke siderurgici, metallurgici e da fonderia) oppure di petroli (petcoke). I primi sono
impiegati nelle industrie a cui si riferiscono i loro nomi e inoltre in zuccherifici e negli
impianti di produ-
zione della soda; sono apprezzati per il loro apporto energetico, ma anche per gli alti
valori di resistenza meccanica e reattività chimica, avendo elevati tassi di porosità e di
carbonio fisso. Il petcoke è prodotto in raffinerie dotate di impianti appositi; è derivato dal
residuo pesante del
petrolio e possiede un 10% di materie volatili e ha meno dell’1% di cenere. È un
combustibile ad alto potere calorifico, essendo il Pci pari a circa 32 MJ/kg. È di facile
disponibilità ed econo- mico, largamente impiegato in processi compatibili con tenori di
zolfo spesso elevati, come la
produzione dei cementi.

Figura R.56 Forme di carboni: a) ovolo di antracite; b) antracite in granelle; c) petcoke;


d) coke metallurgico; e) lignite in mattonelle “union”; f) litantrace in
pezzatura
(fonte: SIAP SpA, Ancona).
R-70 MACCHINE A FLUIDO

Il carbone è commercializzato in forme e dimensioni unificate, denominate ovoli, granelle


e pezzature di varie misure, mattonelle (fig. R.56); viene consegnato in sacchetti, in big-bags,
su palette; nell’industria è fornito soprattutto sfuso, trasportato in autotreni o autoarticolati,
ribaltabili, cassonati o cisternati a scarico pneumatico.
Viene stoccato all’aperto, in capannoni o in sili, a seconda del tipo. Nelle grandi caldaie
industriali, per accelerare i tempi di combustione del carbone si ricorre alla sua macinazione
mediante molini, così da ottenere una pezzatura assai minuta, nota come polverino di
carbone; l’alimentazione del focolare può avvenire in diversi modi, ad esempio con una
corrente di aria compressa che trascina e diffonde uniformemente il polverino attraverso
ugelli oppure mediante una tramoggia che fa scendere una portata costante di carbone su una
griglia mobile azionata da catena.
Un’altra soluzione consiste nel mescolare la polvere di carbone con nafta o
catrame
otte-
nendo una massa liquida e densa: tale miscela, denominata combustibile colloidale,
viene pompata e spruzzata nell’interno del focolare.
Combustibili liquidi
Derivano in massima parte dalla raffinazione del petrolio greggio estratto dai pozzi
petroli- feri (fig. R.57); si presentano sotto forma di miscela di idrocarburi liquidi la cui
formula approssimativa è del tipo CnHm; il rapporto m/n per le benzine è compreso fra 1,9 ÷
2,2, per i gasoli è circa 2,1 e per il kerosene per turbine è circa 2,15.

Figura R.57 Cavalletti di pompaggio del petrolio greggio.


La famiglia delle essenze leggere è un prodotto ottenuto dalla distillazione frazionata del
greggio. Costituiscono la fase che distilla per temperature fino a 150 ÷ 200 °C e che viene
pre- levata nella parte alta della torre di raffinazione.
Da queste, in seguito a ulteriori lavorazioni chimiche, si ottengono altri prodotti
quali
le
benzine per autotrazione e le benzine solventi.
Nell’intervallo 180 ÷ 360 °C si distillano i cosiddetti oli medi, a loro volta ripartiti in
olio
lampante o kerosene ricavato tra 170 ÷ 260 °C e in gasoli e nafte tra 270 ÷ 360 °C. Al di
sopra
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-71

dei 360 °C evaporano gli oli pesanti, ovvero oli lubrificanti, paraffine e vaseline; il
residuo fis- so e solido costituisce coke di petrolio, resine, catrame, asfalti e pece (fig.
R.58).

Figura R.58 Schema della lavorazione del petrolio greggio.

La raffinazione del petrolio


La lavorazione del petrolio greggio in raffineria può essere sintetizzata in tre fasi princi-
pali:
-prima fase, comprendente due distillazioni frazionate dette di topping e di vacuum;
-seconda fase, di conversione;
-terza fase, di idrodesolforazione.
Il topping è la prima operazione di distillazione e ha lo scopo di separare le frazioni
princi- pali, seguita da una seconda distillazione sotto vuoto denominata vacuum; al termine
della pri- ma fase si ottengono soprattutto gasoli e kerosene. Il contenuto di benzina nel
petrolio greggio si aggira intorno al 25%: per aumentarne la percentuale si ricorre in
raffineria a numerosi pro- cessi termici e termocatalitici detti di conversione, fra i quali il
cracking, la polimerizzazione, e diversi altri ancora.
Il cracking o piroscissione consiste nella rottura per mezzo del calore delle
macromolecole
degli idrocarburi pesanti, onde ricavare molecole più piccole. Le due principali
modalità
sono il cracking termico e il cracking catalitico: il primo avviene a temperature di 400 ÷
500
°C ed è applicato ai residui della distillazione del petrolio greggio; il secondo è applicato
alle so- stanze ottenute dalla distillazione e avviene a temperature inferiori. I prodotti dei
cracking so- no principalmente le benzine e poi gas, gasoli e nafte.
La polimerizzazione è un trattamento degli idrocarburi gassosi insaturi che avviene in
am-
bienti pressurizzati a circa 50 bar con temperature di 700 °C e in presenza di catalizzatori.
Le molecole piccole si sintetizzano in molecole più grandi, ottenendo idrocarburi liquidi
quali le benzine.
L’idrodesolforazione è la terza fase della raffinazione: consiste in una serie di
trattamenti
volti all’eliminazione dello zolfo e dell’azoto presenti nel petrolio greggio. Tale processo
av-
R-72 MACCHINE A FLUIDO

viene in presenza di idrogeno in reattori ad alta pressione e temperatura; al termine del tratta-
mento si ottengono come sottoprodotti acido solfidrico H2S e ammoniaca NH3.
L’idrogenazione o hydrorefining è un ulteriore processo di produzione delle benzine e
dei
gasoli, che parte da materie grezze come carbone, lignite, catrame, residui di raffinazione.
L’idrogenazione avviene rompendo i legami molecolari delle grandi molecole e
aggiungendo simultaneamente idrogeno prodotto separatamente, in un ambiente ad alta
pressione (700 bar)
e alta temperatura (400 ÷ 500 °C) e in presenza di catalizzatori.
Benzine e gasoli sono impiegati per l’autotrazione. Essi sono insiemi di idrocarburi
liquidi ottenuti tramite i vari procedimenti su indicati e successivamente miscelati. Prima di
essere commercializzati, vengono arricchiti di additivi per rispettare le specifiche di qualità
previste dalle normative.
La destinazione principale del kerosene è come carburante per i turboreattori, sia per
l’aviazione civile (Jet-A1), sia per quella militare (JP8). Viene usato in minori quantità
come combustibile per stufe domestiche.
Gli oli combustibili per l’industria sono suddivisi in tre categorie commerciali, a
seconda
dell’impiego: Bunker C fuel oil, usato nell’industria, nelle centrali termoelettriche e per la
pro- pulsione navale; Heater oil, varietà pregiata per il riscaldamento; Heavy fuel, varietà
meno pre- giata per forni e caldaie industriali.
Alcuni combustibili liquidi di origine vegetale stanno gradualmente diffondendosi sia per
l’autotrazione sia per impianti di riscaldamento: sono in particolare l’alcool etilico o etanolo
C2H5OH, l’alcool metilico o metanolo CH3OH e il biodiesel.
Combustibili gassosi
Il più usato è il gas naturale: la sua composizione è variabile a seconda dei giacimenti di
provenienza, ma è in massima parte costituito da metano. Il metano è un gas inodore e incolo-
re, con un buon potere calorifico inferiore. La combustione di un Nm3 equivale alla
combustio- ne di circa 0,9 kg di nafta. È apprezzato per la sua purezza, per la combustione
poco inquinante e per la facilità di dosatura nel bruciatore: brucia perfettamente con una
fiamma ad alta tempe- ratura di colore blu intenso.
Il gas naturale ha soppiantato gli altri tipi di gas industriali prodotti in passato, quali i co-
siddetti gas illuminante, gas di gassogeno o gas di città. Il metano è largamente impiegato
pres- so impianti industriali, termoelettrici, per uso domestico come pure per autotrazione.
Sono richieste cautele, controlli e organi di sicurezza per prevenire fughe da condotte e
impianti, da- to che la miscela di metano e aria è esplosiva. Il suo immagazzinamento
richiede la costruzio- ne di serbatoi e gasometri, oppure lo stoccaggio e il trasporto in navi
metaniere o ancora la compressione in bombole per l’autotrazione.
Si sta diffondendo anche in Italia la tecnica del pompaggio in enormi cavità sotterranee,
quali ad esempio i giacimenti svuotati della pianura padana, in grado di accogliere milioni di
metri cubi di gas compresso: questa tecnica è detta reiniezione. I biogas emessi dalle
discari- che dei rifiuti urbani in seguito alla degradazione delle sostanze organiche hanno
come princi- pale costituente il metano.
Vi sono inoltre alcuni tipi di gas combustibile ottenuti come sottoprodotto di processi
indu- striali come il gas d’altoforno, o per pirolisi del carbone o con altri processi. Sono noti
come gas illuminanti, gas d’aria, gas d’acqua. Sono miscele di vari tipi di gas, soprattutto
CO, H2,
CH4, più quantità minori di CO2, N2, ma sono caratterizzati da poteri calorifici
modesti.
Il loro impiego per la produzione di calore è ormai ristretto.
L’idrogeno ricopre un ruolo assai ricco di prospettive future e in fase avanzata di
sperimen-
tazione. Esso costituisce un vettore energetico utilizzabile già da oggi sia per la
generazione di elettricità e calore, sia per il moto dei mezzi di trasporto, producendo
emissioni praticamente nulle.
I gas di petrolio liquefatti, meglio noti come GPL, sono formati da idrocarburi leggeri e
volatili derivanti dai processi di raffinazione, cracking e idrogenazione; sono presenti fra i gas
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-73

di coke, come pure nelle emanazioni gassose


dei pozzi petroliferi. Questi gas vengono lique-
fatti a temperatura ambiente e a pressione dell’ordine degli 8 ÷ 10 bar; a monte del bruciatore
viene posto un corpo valvolare, detto evaporatore-riduttore entro il quale il GPL torna allo
sta- to gassoso per poter formare la fiamma.
Sono miscele costituite per il 55% di butilene-propilene, per il 20% di propano-butano,
per il 15% di etilene, il resto di metano ed etano. Trovano vasto impiego per uso industriale,
arti- gianale, agricolo (produzione di calore), domestico (cucina, riscaldamento) e si stanno
diffon- dendo per l’autotrazione su autovetture dotate di impianto a gas. Il GPL possiede un
elevato potere calorifico inferiore (50 000 kJ/kg) unitamente a una massa volumica di valore
contenuto (0,5 ÷ 0,6 kg/dm3 a temperatura ambiente).
Il GPL è posto in vendita in bombole o erogato presso le stazioni di servizio stradali. In
piccoli centri urbani e in comprensori industriali il GPL viene canalizzato in reti che lo distri-
buiscono con continuità a case e aziende. Nel caso di consumi elevati per i quali le bombole
si rivelano insufficienti, si ricorre a serbatoi di stoccaggio. In figura R.59 sono
rappresentati ser- batoi per fluidi in pressione da 1000 litri della Merloni.

Figura R.59 Recipienti in pressione (Merloni).


4.5 Altre proprietà dei combustibili
Le caratteristiche degli oli combustibili sono stabilite dalla legge n. 615 del 13/7/1966 e
dal DPR n. 1391 del 22/12/1970, quelle delle benzine dalla Direttiva 98/70/CE del
Parlamento Europeo.
Temperature di combustione
L’avvio della combustione può essere spontaneo o innescato da una causa esterna. La rea-
zione si sviluppa solo se alla miscela combustibile-comburente viene fornita un’energia suffi-
ciente a mettere in moto la reazione, detta energia di attivazione.
Temperatura di ignizione
È la temperatura minima che un combustibile deve raggiungere, in presenza del combu-
rente, affinché la reazione possa comunicarsi a tutta la massa in modo spontaneo e in breve
tempo. La temperatura di ignizione dell’idrogeno è di 572 °C, quella del metano è di 632
°C,
quella dell’alcool etilico è di 392 °C.
Temperatura di infiammabilità
È la temperatura minima alla quale un combustibile liquido o solido emette vapori capaci
di prendere fuoco se a contatto con una fiamma. La sua conoscenza è importante ai fini della
R-74 MACCHINE A FLUIDO

sicurezza. Le benzine hanno la temperatura di infiammabilità molto bassa, pari a – 20 °C: da


questo dato si rileva la grande pericolosità dei vapori di benzina, altamente esplosivi. Gasoli e
nafte hanno valori molto più alti, dell’ordine dei 70 ÷ 140 °C, per cui a temperatura
ambiente non formano miscele esplosive.
La temperatura di infiammabilità delle nafte è di 120 ÷ 150 °C, quella del carbone fossile
è di 330 °C, quella del coke è di 700 °C.
Temperatura di autoaccensione
È la temperatura minima alla quale deve trovarsi il combustibile affinché cominci sponta-
neamente la combustione viva nell’aria, senza necessità di intervento di scintille, né di
fiamme esterne né di contatto con corpi roventi.
Temperatura di flash point
È la temperatura alla quale i vapori di combustibile generano un lampo (flash) se posti a
contatto con una fiamma o scintilla, però senza che la combustione si propaghi. La sua cono-
scenza è un indice dei rischi di infiammabilità e di esplosione; è un dato importante per la
sicu- rezza nel trasporto e nell’immagazzinamento dei combustibili liquidi perché più alta è
la temperatura di flash point, più sicuro è lo stoccaggio del combustibile. Di massima assume
va- lori inferiori di 30 ÷ 40 °C rispetto alla temperatura di infiammabilità.
Volatilità
Nel caso dei combustibili liquidi, formati da miscele di idrocarburi, esistono numerose
temperature di evaporazione, una per ogni componente, per cui riscaldando un idrocarburo li-
quido si ha una sequenza di evaporazioni parziali. Si definisce volatilità la quantità di
sostanza evaporata all’interno di un contenitore sigillato, espressa in percentuale, in funzione
della tem- peratura.
La tendenza all’evaporazione di una sostanza viene rappresentata graficamente
mediante
la curva di distillazione.
Nella figura R.60 compaiono diverse fasce che rappresentano i campi di distillazione per
diversi combustibili liquidi.

Figura R.60 Curve di distillazione per combustibili liquidi: alcool metilico, alcool
etilico,
benzolo(o benzene), benzina, petrolio e gasolio.
CALORE E
COMBUSTIBILI

R-75

Calore latente di evaporazione


È la quantità di calore che deve essere fornita a un liquido per passare allo stato di vapore,
misurata in [kJ/kg]. Normalmente il combustibile liquido viene introdotto nel bruciatore in
for- ma di goccioline che sottraggono calore ed evaporano. Senza l’apporto del calore
ambientale, l’evaporazione comporta un abbassamento di temperatura di 19 °C per la
benzina, di 82 °C per l’etanolo, di 132 °C per il metanolo.
Proprietà anticongelanti
La combustione di alcune sostanze liquide quali nafte e gasoli può risultare impedita se la
loro fluidità si riduce troppo a causa delle basse temperature. In tal caso, il flusso del
combusti- bile nei condotti e nel filtro incontra una resistenza crescente al punto di annullare
la portata. Nafte e gasoli a bassa temperatura separano alcuni componenti a base di paraffine
che possono ostruire i tubi di alimentazione.
Si definisce punto di scorrimento la temperatura alla quale il gasolio solidifica.
Durante il periodo invernale sono poste sul mercato varietà di combustibile resistenti al
congelamento: ad esempio, il gasolio alpino per motori Diesel mantiene la sua fluidità fino a
temperature inferiori a –21 °C.
Contenuto in zolfo e acidità
Lo zolfo contenuto nei combustibili solidi e liquidi prende parte alla combustione
forman- do composti corrosivi e creando inquinamento atmosferico. Gli oli densi ATZ hanno
una per- centuale di zolfo in massa dell’ordine del 4%, le nafte del 3%, i gasoli dell’1,1%.
Su autobus urbani e battelli per il trasporto pubblico sono impiegati gasoli a basso tenore
di zolfo denominati BTZ, per i quali la percentuale massima deve mantenersi al di sotto
dell’1%; nei BTZ più raffinati è presente solo allo 0,1%.
Da questo punto di vista il biodiesel è avvantaggiato dalla presenza di zolfo solo in tracce,
essendo derivato da oli vegetali. Nella benzina verde la presenza massima ammessa per lo
zol- fo è di 150 mg/kg, per il piombo è di 5 mg/l.
Viscosità
Prima della combustione risulta necessario provvedere a un preriscaldamento, che
consen- te una riduzione della viscosità.
La viscosità viene valutata in seguito a prove sperimentali. La classificazione secondo la
normativa italiana ripartisce gli oli combustibili secondo quattro livelli di viscosità: oli
fluidis- simi, fluidi, semifluidi, densi; gli oli fluidissimi hanno viscosità cinematica compresa
tra 21,2
e 37,4 mm2/s, gli oli fluidi fra 37,5 e 91, i semifluidi e i densi oltre 91 mm2/s.
Invece, secondo le norme statunitensi ASTM, la viscosità dei combustibili è espressa in
gradi, dall’1 al 6 in ordine di viscosità crescente; il punteggio 6 è tipico degli oli di tipo
Bunker C.
La viscosità è fortemente dipendente dalla temperatura: con l’aumentare della temperatura
la viscosità diminuisce nei liquidi, mentre aumenta nei gas.
Coloritura
Alcuni tipi di combustibile sono sottoposti a regimi fiscali differenziati a seconda della
de- stinazione.
La benzina per autotrazione presenta una lieve colorazione verde, ottenuta
introducendo 4
g di colorante verde ogni 100 kg; la benzina agricola è di colore violetto e beneficia di
agevo- lazioni fiscali: può essere usata solo nei mezzi agricoli. Per il gasolio è prevista la
seguente se- rie di coloriture: colore chiaro se destinata ai motori Diesel per auto, alla marina
e ai generatori elettrici; colore rosso per gli impianti di riscaldamento; colore verde per uso
agricolo.
Nella tabella R.19 sono riportate le caratteristiche di una benzina super senza piombo e
nella R.20 quelle di un olio combustibile tipo BTZ (per gentile concessione Tamoil SpA).
TURBINE A
GAS

R-77

5. TURBINE A GAS
1. L’architettura delle macchine
Generalità
La turbina a gas è una macchina motrice endotermica rotante in cui si realizza il flusso
continuo del fluido operativo. Lo schema costruttivo di base prevede tre gruppi principali:
il compressore dinamico, la camera di combustione e la turbina. In figura R.61 è riportata
la sezione della turbina a gas di produzione General Electric, modello GE LMS 100,
destinata alla produzione di energia.

Figura R.61 Turbina a gas aeroderivativa GE LMS 100: a) ingresso; b) compressore a bassa
pressione; c) uscita verso l’interrefrigeratore; d) ingresso dall’interrefrigeratore;
e) compressore ad alta pressione; f) turbina bistadio; g) turbina a 5 stadi; h)
cono di diffusione; i) asse.

Il principio di funzionamento
L’aria viene aspirata dal compressore dinamico e compressa, quindi viene inviata nella
camera di combustione ove viene iniettato il combustibile, liquido o gassoso: la combustione
a pressione costante innalza l’entalpia del gas, che investe il palettaggio rotante della turbina,
trasformando la propria entalpia in lavoro meccanico.
Il lavoro raccolto sull’albero è utilizzato per muovere il compressore ed eventuali altri
organi, quali l’elica propulsiva o un generatore elettrico.
Schemi di impianto
I circuiti possono essere di tipo aperto (fig. R.62) o chiuso (fig. R.63) a seconda dei campi
di impiego.
Nella pratica ingegneristica attuale i cicli chiusi rivestono importanza marginale. Possono
avere uno o più alberi coassiali; il compressore e la turbina possono essere suddivisi in più
stadi interdipendenti.
Ulteriori macrocomponenti la cui presenza è vincolata al tipo di impianto sono i
gruppi di
interrefrigerazione, di postcombustione, di rigenerazione.
L’interrefrigerazione consiste nel far passare in uno scambiatore di calore l’aria
che
ha
subito una prima compressione parziale, allo scopo di raffreddarla per ridurre il lavoro di
com- pressione successivo.
La ricombustione o riscaldamento ripetuto si ottiene inserendo un bruciatore
supplementa-
re a valle della turbina per incrementare l’entalpia dei gas di scarico conferendo loro una
mag-
R-78 MACCHINE A FLUIDO

gior energia cinetica allo scarico in ugello; è usata nei motori per aeromobili da
elevate prestazioni (fig. R.64).

Figura R.62 Turbina a gas con circuito aperto: a) schema; b) ciclo TS.

Figura R.63 Turbina a gas con circuito chiuso.

La rigenerazione consiste nel far passare in uno scambiatore di calore l’aria uscente dal
compressore e i gas di scarico allo scopo di trasferire il calore dei gas combusti alla carica di
aria comburente per recuperare energia termica.
Nella turbina a gas sono inoltre presenti impianti elettrici, di pompaggio del lubrificante,
di iniezione del combustibile nel bruciatore, gruppi riduttori, sensori.
Applicazioni principali
I campi di impiego delle turbine a gas sono due, il campo aeronautico e il campo indu-
striale. Il primo campo comprende le turbine per la propulsione di aerei ed elicotteri, il
secondo le turbine per impianti termici e per la generazione elettrica. Le turbine per
aeromobili
TURBINE A
GAS

R-79

hanno forma compatta, sono di tipo bi-trialbero, non impiegano la rigenerazione e operano a
più elevate temperature; sono dotate, inoltre, degli elementi propulsivi (ugello, fan, elica,
inversori).

Figura R.64 Turbina a gas di tipo aperto con interrefrigeratore, postcombustore, rigeneratore.
Le turbine per impiego industriale sono a loro volta suddivise in aeroderivative ed heavy
duty; le prime sono derivate da modelli per aeromobili con modifiche ridotte, le seconde sono
progetti specifici per impianti fissi. Si sviluppano su dimensioni maggiori, sono spesso di
tipo monoalbero e sono progettate per il funzionamento continuo a velocità costante. Fanno
parte di impianti termici di grandi dimensioni e dispongono di organi per il miglioramento
delle pre- stazioni in termini di rendimento, consumi, emissioni, quali i gruppi di
rigenerazione e di in- terrefrigerazione.
Le velocità di rotazione variano da 3000 giri/min, per le macchine più grandi, fino a
20 ÷
30 000 giri/min, per le piccole. La velocità di 3000 giri/min permette l’accoppiamento
diretto con l’alternatore. I grandi impianti termoelettrici a ciclo combinato impiegano due o
più turbi- ne a gas in parallelo che scaricano i fumi in un GVR (Generatore di Vapore a
Recupero): in es- so si produce vapore ad alta entalpia destinato a una turbina a vapore
operante in cascata. Le
turbine a gas sono sempre più parte integrante degli impianti CHP (Combined Heat &
Power) di cogenerazione.
5.2 Il ciclo termico teorico
Il ciclo termodinamico ideale impiegato nella turbina a gas è il ciclo di Brayton-Joule
costituito da una compressione adiabatica, un’introduzione di calore a pressione costante,
un’espansione adiabatica, un’espulsione di calore a pressione costante; quest’ultima avviene
in uno scambiatore di calore se il ciclo è chiuso, con scarico in atmosfera se a ciclo aperto. Il
ciclo Brayton-Joule è riportato nella figura R.65a sul piano (p,v) e nella figura R.65b sul
piano (T,S).
Il rendimento del ciclo termico teorico di Brayton è definito come rapporto tra la
e il calore
potenzaunitario
idealeintrodotto Q1,termica
e la potenza a loro volTta
totale1funzioni delle temperature T1 e T2, o anche
= introdotta,
-- ovvero come rapporto fra il lavoro
–e2k di Poisson
del
porto Ldiidcompressione e della1costantT1=---
rap-ideale
1----- propria del
gas: –
-
–k---1-

k
R-80 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.65 Ciclo ideale di Brayton-Joule: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S).
Il rapporto di compressione è definito come il rapporto tra la pressione massima e quella
minima riscontrate nel ciclo; nel ciclo di Brayton ideale esso è costante sia se misurato ai capi
del compressore, sia della turbina:
p2
= p1
Il rendimento del ciclo ideale di Brayton è uguale, a meno di un infinitesimo, a quello del
ciclo di Carnot, dato che è stato considerato come ideale, perfettamente reversibile e percorso
da un gas ideale. I calori scambiati coi termostati superiore e inferiore sono in tal caso ipotiz-
zati infinitesimi, per cui T2 T3 e T4 T 1. Il rendimento del ciclo ideale cresce in modo non
lineare al crescere del rapporto di compressione. La figura R.66 riporta l’andamento del
rendi- mento termico teorico in funzione del rapporto di compressione. Le tre curve indicano
i rendi- menti maggiori per i gas monoatomici, grazie al più elevato rapporto T2 / T1.

Figura R.66 Diagramma del rendimento termico teorico al variare del rapporto di
compres- sione.
TURBINE A
GAS

R-81

Lavoro unitario ideale


Il lavoro unitario ideale Lid prodotto dalla turbina a gas è espresso in kJ/kg e rappresenta
il lavoro prodotto da un kg di gas che compie il ciclo ideale. Si ottiene calcolando l’area
racchiu- sa dal ciclo, quindi mediante prodotto tra il rendimento termico teorico e il calore
Q1 intro- dotto nel= cicLlo Q 1 = id: –kk--1---k---1
– T3 – k
k-- 1–
1-----k- -1
Dalla formula del lavoro Lid si evidenzia la sua dipendenza dalla temperatura massima
T–caratteristiche del gas espresse
--
T3 raggiunta dal ciclo, dal rapporto di compressione e dalle
1 RT
dalle costanti R e k. In figura R.67 è riportata una famiglia di curve che rappresentano
l’andamento del lavoro unitario ideale in funzione del rapporto di compressione, al variare
della tempera- tura massima T3. Il gas è aria, con massa molecolare m = 29 kg/kmole e con
la temperatura T1 = 15 °C.

Figura R.67 Lavoro unitario in funzione del rapporto di compressione, al variare della
tem- peratura massima T3.

5.3 Il ciclo reale


Perdite
Nel ciclo reale le adiabatiche di compressione e di espansione non sono isoentropiche ma
reali, quindi a entropia crescente. Le isobare non sono rigorosamente tali essendo presenti
forme di riduzione di pressione localizzate in diversi punti del circuito: in aspirazione, nei
col- lettori, nel combustore, negli organi di scarico a valle della turbina.
Altre ragioni di perdita consistono in: perdite termiche nelle zone calde della
macchina;
perdite dovute alla combustione incompleta e alla dissociazione; perdite di massa dovute
ai trafilamenti negli organi di tenuta; perdite dovute agli attriti; energia utilizzata per
muovere gli organi ausiliari; perdite in trasformazione dell’energia da meccanica in elettrica.
Il ciclo reale assume la forma di figura R.68.
R-82 MACCHINE A FLUIDO

3 4

1
0

Figura R.68 Ciclo di Brayton aperto reale nel piano (T,S).

Lavoro effettivo Leff


È raccolto sulla flangia di accoppiamento con l’utilizzatore, al netto di tutte le perdite e i
rendimenti. Esso è pari alla differenza tra il lavoro prodotto in turbina e il lavoro assorbito dal
compressore:
LC
T= T
Leff L----- –
Nella formula compaiono: C
-L T lavoro di espansione unitario ideale in turbina;
-L C lavoro di compressione unitario ideale in compressore;
- T rendimento complessivo in turbina;
- C rendimento complessivo in compressore.

Pertanto il rendimento totale tot di tutto l’impianto turbogas


vale: LC
LT T ----
– C
tot =
Q1

La turbina cede parte del suo lavoro per azionare il compressore: indicativamente
il
lavoro assorbito dal compressore è circa il 50 ÷ 60% del lavoro svolto in turbina.
TURBINE A
GAS

R-83

La potenza effettiva è la potenza utile sviluGppaata dalla macchina; è pari al prodotto


tra la
portata P
in massa di gas Ga e il lavoro ef feetftfivo L=eLffe:ff
Esprimendo la portata massica in kg/s e il lavoro in kJ/kg, si ottiene la potenza in kW.
Esempio
Calcolare la portata massica di aria Ga in t/h per una turbina a gas a ciclo aperto avente i
seguenti dati: potenza effettiva Peff = 4000 kW; rapporto di compressione = 12; temperatura
ambiente T1 = 283 K; temperatura massima nel ciclo T3 = 1200 K; rendimento del compres-
sore C = 0,84; rendimento della turbina T = 0,88.
Soluzione
Servendosi del concetto di entalpia e assumendo come capacità termica massica a pres-
sione costante cp = 1,003 kJ/(kg·K), si calcola il lavoro effettivo Leff in kJ/kg, avendo posto
come esponente il rapporto di compressione: = (k 1)/k che, nel caso dell’aria per la quale k=
1,40, vale 0,286:
cp
Leff = T 3i – i4 --12- --1 p 3 4
C= –2 c
----- iT–– TTi = – T3 T1 – T
= cpT1 T T-- ---
C
1 – –1
-- –
1 1--
Sostituendo i valori numerici ed eseCguendo i1lcalcolo
si trova:
1----- 120 286 – 1 = k–
218-3--2---102-0--0--0 1
286
1889=41 003 283 0 88
Leff -------

La1
Jpo /krtgata massica
-------- P---e–-ff ----
Ga di gas: 4-- kg/=s =
---- Leff 1
0--0-0-----21 16 76,19=t/h
89=
Parametri di funzionamento
Il rendimento totale o globale di tutto l’impianto I tiene conto anche delle perdite nel
combustore espresse dal rendimento del bruciatore b; esso è il rapporto tra il calore effettiva-
mente introdotto nel gas Q1 e il calore sviluppabile teoricamente, inteso come prodotto della
portata Gc del combustibile per il potere calorifico inferiore Pci.
Il calore Q1 viene espresso in forma di entalpia:
Q1 cp T3 –
b= =
Gc T2Pci Gc
Pci
Il rendimento dell’impianto o rendimento globale I è il rapporto tra la potenza utile o ef-
fettiva Peff [kW] e la potenza termica teorica data dal prodotto della portata massica Gc
[kg/s] del combustibile per il suo potere calorifico inferiore Pci [kJ/kg]:
R-84 MACCHINE A FLUIDO

I Peff
Gc
=
Il consumo specifico cs [g/kWh] è definitoPccoime la portata massica di combustibile
Gc di- visa per la potenza effettiva Peff ed è espresso come:
cs 1
=
Il rapporto aria/combustibile o dosatura è definito come il rapporto della massa d’aria
Pci Al crescere del rapporto aumenta la
introdotta nel combustore per ogni kg di combustibile.
I
diluizione del gas e la temperatura di ingresso in turbina (TIT) indicata nel ciclo con T3 tende
a diminuire:
b
= b
= PcQi – cp T 3 – T 2
P isurato come rapporto tra la portata
di combustibile G c e la 1– 1propulsiva F;cmèi denominato
Il consumo specifico in campo aeronautico viene
1 spinta Thrust Specific Fuel
Consumption (TSFC) ed è misurato in kg/(MN · s).
TSFC Gc
F
5.4 I componenti della turbina a gas =
Il compressore
Esso viene trascinato dalla turbina, essendo calettato sul medesimo albero. Sulle
macchine di piccola potenza, fino a qualche MW, il compressore è di tipo centrifugo mono o
bistadio; per tutte le potenze superiori si usa il compressore assiale, essendo più adatto a
smaltire grandi portate e avendo rendimenti superiori; si usano anche soluzioni ibride in cui
uno stadio centri- fugo è seguito da più stadi assiali. Ogni stadio assiale fornisce rapporti di
compressione
= 1,1 ÷ 1,3 e lavori unitari L = 20 ÷ 25 kJ/kg. Il numero di stadi varia tra 10÷20,
generalmen-
te 14 ÷ 17. Il rendimento del compressore è cresciuto negli ultimi anni fino a C =
0,8 ÷
0,89.
La presenza di palettature statoriche ad angolo di calettamento regolabile consente una
regolazione della portata d’aria a numero di giri costante e una prevenzione degli effetti di
stallo. La turbina a gas di figura R.61 dispone di un primo compressore assiale a sei stadi a
bassa pressione (LPC) seguito, a interrefrigerazione avvenuta, dal secondo compressore
assiale a quattordici stadi ad alta pressione (HPC). I due gruppi sono calettati su alberi
separati e coassiali.
Il combustore
Si tratta di una camera in cui avviene la combustione tra il combustibile iniettato e il com-
burente aria proveniente dal compressore; la temperatura dei gas s’innalza da T2 a T3 grazie
al calore liberato dalla combustione.
Il valore massimo di T3 trova un limite nella resistenza dei materiali alle sollecitazioni
ter- moelastiche, soprattutto negli organi più sollecitati, quali le pareti interne del combustore
ei
palettaggi delle corone della turbina: pertanto in camera di combustione i gas non
devono
su- perare temperature dell’ordine di 1200 ÷ 1300 °C, con punte di 1500 °C, mentre in
turbina so- no ammessi fra 500 ÷ 1000 °C.
Dato che la combustione ideale porterebbe la temperatura dei gas a circa 2500 °C, risulta
necessario un forte eccesso di aria per diluire i gas combusti e limitare la loro temperatura.
Impiegando una portata Gc di combustibile liquido avente potere calorifico inferiore
pari a
Pci = 41 500 kJ/kg e ipotizzando un valore di temperatura in ingresso combustore T2 =
400 °C a cui consegue un incremento di temperatura nel gas in combustore T2 T 3 pari a
750 °C, si
TURBINE A
GAS

R-85

può scrivere un’equazione di equilibrio della


potenza termica in cui, a secondo membro com-
pare il prodotto dell’entalpia dell’aria
comburente per la sua portata Ga.
Gc · Pci = Ga · cp (T3 T2)
Sostituendo i valori numerici, per una portata
unitaria di combustibile Gc = 1 kg/s, si
ha: 1 × 41 500 = Ga · 1,2 × 750
da cui Ga = 46 kg/s. Ne deriva che il rapporto stechiometrico aria/combustibile è 46:1. È un
valore assai elevato, soprattutto se confrontato con il rapporto stechiometrico aria/benzina
14,5:1 impiegato nei motori alternativi. Per incrementi di temperatura T 2 T
3 inferiori al caso citato, il rapporto aria/combustibile può aumentare fino a valori di 150.
La forte diluizione dei gas in combustore può creare difficoltà all’innesco e mantenimento
della fiamma. Nel caso del metano, il limite inferiore di infiammabilità vale 5% in volume
ovvero 2,8% in massa, mentre con un rapporto aria/combustibile di 46:1 il rapporto risulta
inferiore al limite del 2,8%.
Il disegno del combustore deve permettere la combustione di miscele fortemente diluite.
A tale scopo, il combustore comprende una camera di combustione accorpata nell’intorno
dell’ugello iniettore del combustibile, in cui affluisce solo una parte dell’aria proveniente
dal compressore in modo da ottenere un rapporto circa stechiometrico tra aria e combustibile,
otti- male per il mantenimento della fiamma.
Il rimanente dell’aria si aggiunge nella zona di spegnimento della fiamma, completando la
combustione e stabilizzando la temperatura di ingresso in turbina. In figura R.69 si vede lo
schema del combustore con la camera interna, detta liner, forata per permettere l’ingresso
dell’aria in eccesso, avente funzione di raffreddamento.

Figura R.69 Schema funzionale del combustore con evidenziati i flussi di aria.

In figura R.70 sono riportati i tre schemi principali di combustore.


Il combustore anulare (fig. R.70c) è formato da una corona di combustori stretti, che limi-
tano l’ingombro trasversale della macchina; è usato in campo aeronautico.
Il combustore tubolare (fig. R.70a) consiste in un’unica grande camera cilindrica di forma
ottimale molto usata per gli impianti fissi.
Il combustore multitubolare (fig. R.70b) can annular comprende una corona di 10 ÷ 20
ca- mere tubolari poste di fronte al palettaggio rotante di turbina, con una disposizione
inclinata che riduce le perdite di carico causate dalle deviazioni del flusso dei gas.
R-86 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.70 Tre schemi di combustori: a) tubolare; b) multitubolare; c) anulare.


La turbina
È l’organo della macchina in cui avviene la trasformazione dell’entalpia posseduta dai gas
in lavoro meccanico. Il trasferimento di energia avviene in seguito all’espansione dei gas
sulle palette rotanti.
Il palettaggio opera a temperature comprese nell’intervallo 1100 ÷ 1300 °C, ben
superiore
alla temperatura massima sopportabile in modo continuativo dalle superleghe (800 °C) e
dagli acciai legati (550 ÷ 600 °C).
La soluzione consiste nel raffreddare il corpo metallico della palettatura o nell’uso di
ma-
teriali ceramici.
Il raffreddamento avviene principalmente per via convettiva o a film. Il sistema
convettivo prevede il passaggio di aria lungo canali radiali ricavati all’interno dello spessore
palare.
Il sistema a film cooling consiste nel creare uno strato sottile di aria fresca che fuoriesce
dall’interno della pala attraverso fessure (slot) o forellini superficiali: l’aria più fresca affiora
dai fori e lambisce la superficie palare.
I salti entalpici su turbina sono dell’ordine di 300 ÷ 350 kJ/kg per stadio, contro i 20
÷ 25
del compressore, per cui la turbina ha solo 3 ÷ 4 stadi.
Il rendimento della turbina è cresciuto negli ultimi anni fino a T = 0,84 ÷ 0,90, con
punte
di 0,91 ÷ 0,92 negli ultimi stadi meno caricati e non raffreddati.
Un organo ausiliario posto a valle della turbina è il diffusore, avente lo scopo di
recuperare l’energia cinetica posseduta dai gas scaricati dai palettaggi, uscenti a velocità
dell’ordine di 250 m/s.
Il diffusore consente l’instaurarsi di una pressione alla sezione di scarico minore di quella
dell’ambiente esterno: a tale salto di pressione corrisponde un salto entalpico supplementare
in
turbina.I materiali usati per le pale sono gli acciai di tipo inox 1808 e soprattutto le leghe
a ba- se di nichel (GTD, Inconel, Udimet) e di cobalto (FSX) e, più di recente, le leghe SC
(single crystal) di tipo monocristallino, che evidenziano un ottimo comportamento a
fatica a
caldo.
Sono molto usati i rivestimenti superficiali quali i TBC (Thermal Barrier Coating) a base
di zirconio e ittrio.
Combustibili per le turbine
I principali combustibili sono il gas naturale e gli oli distillati del petrolio. Il gas metano è
impiegato nella totalità delle applicazioni stazionarie sia per l’assenza di componenti
dannosi, sia per le semplificazioni costruttive del bruciatore, sia per la convenienza
economica. I distil- lati liquidi sono nafte, kerosene, gasoli, usati nelle turbine per
aeromobili.
Presentano sostanze dannose quali zolfo, vanadio, sodio e ceneri che provocano sporcizia
e occlusioni. Si va sviluppando l’impiego di gas sintetici derivati da processi di
TURBINE A
GAS

R-87

Esempio
Un impianto turbogas funzionante a metano eroga la potenza utile Peff = 30 MW. Il
metano ha un potere calorifico inferiore Pci = 50 MJ/kg. La temperatura dei gas all’uscita dal
compres- sore vale T2 = 420 °C, mentre la TIT vale T3 = 1250 °C; il valore medio della
capacità termica massica è cp = 1,085 kJ/(kgK). Si assumano il rendimento globale I = 0,38 e
il rendimento del combustore b = 0,9.
Calcolare la portata massica di combustibile Gb, il consumo specifico cs e la dosatura
.
Soluzione
P
Gb = --- ---e-ff--------
----------- 3
0 38 50 = 000
- ---
kg/s

Il consumo specifico:
00 0 0
I -----------------
1 =P 5
La portata di combustibile:

cs = I c7i9 0 3=8 50 000 -1 52= 63 10


Il rapporto 1
aria/combustibile:
g/kWh P ci
–6 kg/(kW·s) = 190

b
cp T3 – T2
P– = 0 9 50 – 1
=
ci1000 =491 085 12 50 –
420
5.5 Impianti a recupero, con interrefrigerazione, con ricombustione
Negli impianti a recupero il gas di scarico della turbina transita in uno scambiatore dove
cede il suo calore all’aria compressa uscente dal compressore, prima del suo ingresso nel
com- bustore (fig. R.71a).
Nel caso di uno scambiatore ideale, si riuscirebbe a trasferire il calore dei fumi Qrig, rap-
presentato da tutta l’area sottesa al tratto 4-6, all’aria compressa uscente nel punto 2 dal com-
pressore, risparmiando il combustibile necessario a eseguire il riscaldamento T 2 T 5,
essendo l’area sottesa al tratto 4-6 pari all’area sottesa al tratto 2-5.
Nel combustore occorre solo riscaldare da T 5 a T 3. Il ciclo si modifica come in
1b
. figura
R.7

a
b

Figura R.71 Ciclo chiuso ideale rigenerativo: a) schema; b) ciclo TS.


Eseguendo anche l’interrefrigerazione si ottiene un ciclo ICR (InterCooled Recuperative),
in cui si sommano entrambi i benefici in termini di aumento del rendimento. Il
lavoro del com- pressore risulta ridotto. Il ciclo ideale prende la forma di figura R.72.
R-88 MACCHINE A FLUIDO

5
1 2
3 4
1' 5 4
2'
2'' Q rig
2'
6
a
1' 1

Figura R.72 Ciclo chiuso ideale interrefrigerato e rigebnerativo:


a) schema; b) ciclo TS.

La ricombustione o reheat consiste in un’espansione in turbina frazionata e intercalata da


una seconda combustione allo scopo di aumentare il lavoro utile di espansione del gas (fig.
R.73). La ricombustione è favorita dall’eccesso di aria nel combustore primario.
3 Q 3'
in,2

Qin,1 Qin,2
4
4' Qin,1 A
34 3' 4'
1 2
B
2
4' '

a
1
Qex b

Figura R.73 Ciclo chiuso ideale con ricombustione: a) schema; b) ciclo TS.
La combinazione dei tre interventi conduce a impianti aventi rendimento tanto più elevato
quanto più numerose sono le interrefrigerazioni e le ricombustioni eseguite: sono noti come
impianti ICRRH.
Il limite concettuale è offerto da un numero teoricamente infinito di interrefrigerazioni
e
ri-
combustioni: il ciclo ideale, in tal caso prende il nome di ciclo di Ericson, rappresentato
in fi- gura R.74a, il cui rendimento è analogo a quello del ciclo di Carnot operante fra gli
stessi intervalli di temperatura essendo un ciclo ideale formato da trasformazioni reversibili.
In figura R.74b è riportato il ciclo di Ericson reale mentre in figura R.74c è riportato lo
schema di un impianto con due interrefrigerazioni, la rigenerazione e una ricombustione.
5.6 Le emissioni nocive e il loro controllo
Generalità
La combustione degli idrocarburi liquidi e gassosi comporta in generale la formazione e
l’emissione di sostanze inquinanti quali gli ossidi di azoto NOx, gli idrocarburi (HC)
incombu- sti e il monossido di carbonio CO. Nella turbina a gas, a causa dell’elevato
rapporto aria/com- bustibile molto superiore al rapporto stechiometrico, la presenza di
idrocarburi incombusti è
TURBINE A
GAS

R-89

pressoché nulla e anche la quantità di CO


generata è inferiore a quella sviluppata dai
motori
al- ternativi a ciclo Otto.

Figura R.74 Ciclo Ericson: a) ideale; b) ciclo reale; c) schema.

L’abbattimento del CO è favorito dalla presenza di ossigeno libero in grande


concentrazio- ne nei fumi; occorre inoltre impedire il contatto dei fumi con pareti fredde,
dato che la bassa temperatura rallenta l’ossidazione del CO.
L’abbattimento degli NOx comprende interventi sia in sede di combustione, sia a valle del
combustore. In camera di combustione è buona norma ridurre i tempi di residenza nel
combu- store, realizzare una miscela ricca nell’intorno della fiamma e ridurre la temperatura
massima della medesima: una riduzione della temperatura di fiamma da 2200 K a 2000 K
comporta un abbattimento della presenza di NOx di 25 volte.
Un’altra pratica consiste nell’iniezione di acqua o vapore, che riduce di oltre la metà la
ve- locità di formazione degli NOx. Recentemente sono stati messi a punto i combustori a
secco di
tipo Dry Low NOx (DLN) in cui, al posto dell’iniezione di acqua o vapore, si esegue una
pre- miscelazione del combustibile con aria.
Gli interventi a valle del combustore comprendono processi di depurazione basati
sull’iniezione di ammoniaca che, in presenza di catalizzatori, consente l’avvio di reazioni
di ri- duzione degli NOx.
5.7 Le turbine per aeromobili
Generalità
Le macchine per impiego aeronautico sono leggere, di ridotta sezione frontale, sono pro-
gettate con tutti gli accorgimenti per ridurre i consumi: alti rapporti di compressione, efficace
raffreddamento dei palettaggi, uso di materiali pregiati. Spesso sono di tipo multialbero, in
modo da avere lo stadio del compressore di alta pressione rotante a velocità maggiore.
Architettura
Per velocità fino a circa 600 km/h si usa il propulsore a turboelica: la turbina eroga
lavoro, che viene ripartito tra il compressore e l’elica. Un riduttore di tipo epicicloidale
riduce il
R-90 MACCHINE A FLUIDO

numero di giri dell’albero della turbina entrante e aziona l’albero uscente che aziona l’elica
(fig. R.75a). È uno schema usato negli elicotteri.
Per velocità comprese fra 600 ÷ 1000 km/h, quindi subsoniche, il motore è di tipo
turbojet
o turbofan.
Il moto del mezzo è generato dal getto di gas combusti: essi trasformano nell’ugello di
sca- rico tutta l’entalpia residua in energia cinetica, dopo la prima parziale espansione in
turbina, così da ottenere la spinta propulsiva (fig. R.75b).
La turbina non genera direttamente la spinta ma serve unicamente a muovere il compres-
sore, per cui essi devono essere meccanicamente bilanciati.
La soluzione prevalente in campo civile e militare è il propulsore del tipo a by-pass o
tur-
bofan (fig. R.75c): in essa la turbina scarica i gas nell’ugello per l’espansione finale, ma
prende anche parte alla produzione di potenza propulsiva di tipo meccanico; la turbina è
ripartita in
due o tre stadi calettati su diversi alberi coassiali, due dei quali sono collegati con i due
stadi del compressore, il terzo aziona una ventola propulsiva frontale intubata, detta fan, che
convo- glia una notevole massa d’aria in direzione assiale verso lo scarico, detta aria di by-
pass.
Il rapporto di by-pass è espresso come la portata di aria di by-pass diviso per la
portata
di aria che prende parte alla combustione; varia fra 3 e 9, mediamente vale 5 ÷ 6.

Figura R.75 Schemi di turbine per aeromobili: a) turboelica; b) turbojet; c) turbofan.


Per il teorema della quantità di moto, la forza propulsiva F in [kN] è funzione della
portata massica di aria totale entrante Ga che si ripartisce nei due flussi coassiali secondo il
rapporto . Nella formula della forza propulsiva compaiono: c0 la velocità dell’aeromobile,
c la velocità del getto e cv la velocità dell’aria di by-pass uscente dall’ugello (fig. R.76):

F = Ga c Ga +c v – a 10 +
cG

Figura R.76 Schema di un propulsore


turbofan.
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI

R-91

Per velocità supersoniche dell’ordine di Mach 1, immediatamente a monte dell’ugello è


presente un postcombustore costituito da una camera di combustione con iniettori di
combusti- bile liquido: la seconda combustione avviene grazie all’abbondanza di aria nei gas
e innalza ul- teriormente l’entalpia dei gas prima dell’espansione in ugello, così da ottenere
un getto supersonico.
Per raggiungere velocità dell’ordine di Mach 2 e oltre, la pressione dinamica dell’aria
alla
presa d’ingresso rende superfluo l’uso del compressore. La turbina viene soppressa e la
pres- sione in camera di combustione viene ottenuta trasformando l’altezza cinetica della
colonna di aria entrante in altezza piezometrica.
Questa evoluzione della turbina a gas prende il nome di autoreattore o
statoreattore.

6. MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI


1. Architettura e funzionamento
Generalità e applicazioni
I motori endotermici alternativi sono macchine motrici a combustione interna in cui si
rea- lizza la combustione della miscela aria-combustibile in modo discontinuo.
L’organo mobile è un pistone dotato di moto rettilineo alternativo, i cui estremi sono i
pun-
ti morti superiore PMS e inferiore PMI; la trasformazione del moto alternativo in rotatorio
av- viene mediante il meccanismo biella-manovella, con la biella montata su un perno
facente parte di un albero a gomiti.
Nei grandi motori lo stantuffo è solidale con uno stelo imperniato su un pattino detto
testa a croce, a sua volta collegato con la biella e la manovella.
I motori endotermici alternativi vengono principalmente impiegati nel campo
della
propul-
sione dei veicoli su strada e rotaia, mezzi agricoli, macchine movimento terra,
propulsione na- vale, aeronautica, per gruppi elettrogeni, in molte macchine da cantiere.
Trovano impiego anche negli impianti di produzione congiunta di energia elettrica e termica
(cogene-razione).
stello valvole, l’imbiellaggio, i collettori, l’apparato di carburazione-iniezione, l’accensione
Struttura
i I motori più piccoli sono monocilindrici; le cilindrate maggiori vengono frazionate in più
sistemi
cilindri: gli di lubrificazione
schemi più usati eprevedono
raffreddamento.
due, tre, quattro, cinque, sei, otto, dodici cilindri; i ci-
lindri
In sono
figuraposti
R.77insono
linea,riportati
contrapposti (boxer)
gli schemi del osistema
inclinati (a V).
biella-manovella per un motore
quat- tro cilindri
I motori in linea,
sono a duedai
composti cilindri contrapposti,
seguenti a due cilindri
gruppi principali: a V di 90°,
il basamento, a cinqucon il ca-
la testata
cilindri radia- li a stella. c d
,

Figura R.77 Schema del sistema biella-manovella: a) cilindri in linea; b) bicilindrico


a a
V;
c) a cinque cilindri a stella; d) bicilindrico contrapposto. e
R-92 MACCHINE A FLUIDO

Nomenclature
I motori endotermici vengono classificati secondo diversi criteri. In base al:
-sistema d’accensione del combustibile: motori ad accensione comandata per scintilla (AS)
o motori ad accensione spontanea per compressione (AC); i primi adottano il ciclo Otto, i
secondi i cicli Diesel o Sabathé;
-ciclo operativo: motori a quattro tempi (4T) o due tempi (2T);
-sistema di immissione del combustibile: motori a carburazione o a iniezione;
-sistema di alimentazione: motori ad aspirazione naturale o sovralimentati;
-sistema di raffreddamento: motori raffreddati ad aria o ad acqua.

I motori AC sono ulteriormente suddivisi in motori:

-lenti, funzionanti a velocità non superiori a 440 ÷


450 giri/min;

-medi, per velocità comprese tra 600 ÷ 2300 giri/min;

-veloci, per regimi fino a 5500 giri/min.

I grandi motori AC marini spesso sono a due tempi


con due camere di combustione

(stan- tuffo doppio effetto).

Principi di funzionamento
La carica dei gas freschi proveniente dal collettore di aspirazione viene aspirata dal
pistone o pompata mediante un organo soffiante; viene introdotta nel cilindro attraverso la
val- vola o le luci di aspirazione e viene successivamente compressa dal moto di pompaggio
del pistone.
La combustione (spontanea o comandata) della miscela aria-combustibile innalza la
pres- sione e la temperatura del gas il quale, espandendosi, a sua volta trasferisce al pistone la
pro- pria entalpia, generando lavoro meccanico; i gas esausti sono espulsi dal moto di
pompaggio del pistone e fuoriescono nel collettore attraverso la valvola o le luci di scarico e
da qui nella marmitta.
Nei motori AS la carica dei gas freschi è formata da aria-benzina, nei motori AC da sola
aria: il gasolio è iniettato direttamente nella camera di combustione.

Architettura dei componenti


1.Basamento
È la struttura portante del motore, ottenuto per fusione in ghisa o in lega leggera, entro il
quale sono ricavati i cilindri e i supporti per l’albero motore.
Sui bordi esterni sono presenti tratti di parete rinforzati in forma di nervature e di
superfici a spessore maggiorato per offrire sufficiente resistenza alle staffe di ancoraggio al
telaio e di
supporto degli organi ausiliari esterni (organi di alimentazione, idroguida, generatore
elettrico, compressore condizionatore, turbocompressore e altri); la geometria dei rinforzi
di
parete è studiata in modo da ridurre le emissioni sonore di parete.
All’interno delle fiancate sono ricavati i condotti per il passaggio dell’olio lubrificante e i
vani per ospitare gli alberi ausiliari equilibratori dei carichi alterni. La fusione spesso com-
prende i corpi della pompa dell’olio e della pompa dell’acqua.
I basamenti di tipo closed-deck (fig. R.78a) hanno i vani di passaggio dell’acqua di
raffred- damento racchiusi all’interno delle pareti laterali, mentre i basamenti open-deck
(fig. R.78b) hanno i suddetti vani aperti superiormente.
Le canne cilindri, solitamente in ghisa con riporti superficiali galvanici a base di nichel-
alluminio-silicio (Alusil, Nikasil), sono di tipo in umido se a diretto contatto con il
liquido refrigerante, di tipo secco se piantate entro la parete interna del basamento.
Lungo le pareti sono eseguiti fori verticali filettati in numero di quattro o cinque per cilin-
dro per avvitare le colonnette di serraggio testata con la procedura di “coppia + angolo”.
MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI R-93

a
b

Figura R.78 Basamento: a) di tipo closed-deck; b) di tipo open-deck.

2. Testata
È il corpo superiore del motore. Può essere in blocco unico per i motori piccoli in linea o
a testate singole per i motori a cilindri contrapposti o a V oppure per i grandi motori AC. Fra
la superficie d’appoggio della testata e il fasamento superiore del basamento si interpone una
guarnizione di separazione fra le superfici dei due corpi a contatto.
I motori raffreddati ad aria hanno la camicia in ghisa piantata entro un cilindro esterno
alettato, solitamente in lega leggera. La testata, generalmente in lega leggera per i motori pic-
coli e in ghisa per i più grandi, ospita il gruppo distribuzione, la candela o l’iniettore del
gaso- lio, i condotti di ingresso dei gas freschi e di uscita dei gas combusti.
I condotti dei gas si possono trovare entrambi orientati dallo stesso lato (testata a
contro-
corrente) oppure su lati opposti (testata cross-flow) della testata. Internamente a essa sono
ri- cavati canali di passaggio del liquido refrigerante e di ricaduta dell’olio che ha eseguito la
lubrificazione degli organi della distribuzione. La testata chiude la sommità del cilindro,
crean- do un vano avente funzione di camera di combustione.
3. Pistone o stantuffo
È l’organo mobile del motore a diretto contatto con la fiamma e i gas caldi e collegato
meccanicamente alla biella mediante un perno detto spinotto. Esso trasforma il lavoro di
espansione dei gas caldi in una forza motrice F.
Indicando con pgas la pressione media esercitata dai gas sul cielo del pistone di
F pgas A p gas =
d, sialesaggio
ha: 4
----
=
d
Per il calcolo strutturale della biella, il valore medio della pressione
2 dei gas vale
indicativa- mente 30 ÷ 40 bar per i motori a ciclo Otto, 65 ÷ 80 bar per i motori a ciclo
Diesel e Sabathé. La forza F viene scomposta in una componente Fb diretta lungo la biella e
in un’altra compo- nente Fn perpendicolare alla parete del cilindro.
Sul perno di manovella la forza Fb viene scomposta in una componente radiale Fr agente
lungo la manovella e nella componente periferica Ft; moltiplicando la Ft per il raggio di
mano-
vella r o la Fb per il braccio d, si genera il momento motore Mt sull’albero. Con le
notazioni di
figura R.79 si ha:

Mt = Fb rsin + =- -- --F----- - rsin +

cos
R-94 MACCHINE A FLUIDO

La velocità angolare [rad/s] è ottenuta derivando l’angolo descritto dalla manovella ri-
spetto al tempo:
ddt ---
---=

Figura R.79 Trasformazione del moto da alternativo in rotatorio.


Il pistone è un organo sottoposto a forti sollecitazioni termoelastiche: indicativamente su
un pistone avente alesaggio di 80 mm si raggiunge un carico di oltre 30 000 N. La
temperatura del pistone non deve superare 350 °C sul cielo e 250 °C sulla parte superiore
del mantello. La pressione esercitata dal mantello del pistone sulla camicia vale circa 0,8
N/mm2, la pressione di contatto sullo spinotto vale 60 N/mm2.
La forma del pistone non è esattamente cilindrica, bensì a sezione lievemente ellittica
con
l’asse maggiore nella direzione perpendicolare all’asse dello spinotto; è inoltre bombata,
in modo da offrire alla base un gioco a freddo di circa 0,088 mm nel piano meridiano
verticale passante dell’asse spinotto e di circa 0,040 mm nel piano meridiano verticale
perpendicolare al precedente.
Il materiale del pistone è la lega leggera di alluminio-silicio: è molto diffusa la lega Al Si
12 Cu Ni; per i casi più sollecitati si preferisce: Al Si 18 Cu Ni e Al Si 25 Cu Ni. All’interno
del mantello viene inserita una cerchiatura di acciaio invar a basso coefficiente di
dilatazione avente funzione di irrigidente. Nella parte superiore del mantello esterno sono
ricavate tre cave anulari che ospitano le fasce elastiche aventi funzione, dall’alto in basso, di
tenuta, raschiaolio,
raccoglitoio. All’interno del mantello è ottenuto di fusione un canale circolare
orizzontale
con due condotti verticali che consentono il passaggio dell’olio internamente al pistone
per raffred-
damento.
4.Biella
È l’organo che trasmette il moto dal pistone alla manovella dell’albero a gomiti. È divisa
in tre parti dette occhio o piede, fusto e testa, come riportato in figura R.80. All’interno
dell’oc- chio è montato un cuscinetto cilindrico a strisciamento piantato a forza, entro il quale
lo spi- notto è libero di ruotare. Il fusto è a parete piena o a forma di doppio T o tubolare per i
grandi motori. Il fusto è sottoposto a forze di compressione dovute alla pressione dei gas, alle
forze alterne d’inerzia, massime al punto morto superiore, al momento flettente che agisce
nel piano del moto, detto colpo di frusta, massimo quando biella e manovella si trovano in
quadratura.
La testa è divisa in due parti collegate tramite due viti mordenti o con dado; la parte infe-
riore, smontabile dal complessivo, è detta cappello. Le due parti ospitano due cuscinetti di
stri-
sciamento, detti semigusci. Esistono esempi di testa in corpo unico, nel qual caso
vengono
montate su alberi a gomito smontabili in singole campate. Le bielle sono in acciaio legato,
ot-
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI

R-95

tenute per fucinatura, oppure in ghisa sferoidale. Le bielle in titanio sono usate nei motori da
competizione. Un dato geometrico caratteristico della biella è la lunghezza ridotta , definita
come rapporto tra il raggio di manovella r e la lunghezza della biella l misurata all’interperno.
I valori più usuali di sono compresi tra 0,2 ÷ 0,3.

Figura R.80 Nomenclatura della biella (fonte: Mille ruote).


5.Albero a gomiti o albero a manovelle
Nei motori piccoli e medi è un pezzo unico formato da campate orientate tra loro con an-
golo costante. Ogni campata è formata da due bracci di manovella paralleli detti maschette e
da un perno di manovella parallelo all’asse di rotazione sul quale è montata la testa di biella.
L’albero poggia su ispessimenti delle pareti interne del basamento detti supporti di banco con
interposti cuscinetti di strisciamento ed è tenuto in posizione da ponticelli imbullonati al
basa- mento detti cappelli di banco, spesso in materiale sinterizzato; i perni dell’albero
vincolati al basamento sono detti perni di banco; nei motori a quattro cilindri i perni di banco
sono usual- mente cinque.
Nei motori bicilindrici a V l’albero a gomiti presenta una sola manovella su cui sono
mon- tate affiancate entrambe le bielle. L’angolo di orientamento tra le manovelle è scelto in
modo
da soddisfare diverse esigenze: distribuire in modo simmetrico le masse equilibrando le
forze centrifughe, regolarizzare la coppia motrice e ottenere la successione delle fasi utili nei
cilindri con intervalli uguali.
L’angolo di calettamento [°C] tra1l8e=0manovelle vale:
i

hu-m-ero dei cilindri.


in cui h è il numero dei tempi e i è il n
Ad esempio, un motore quattro tempi quattro cilindri ha le manovelle orientate a 180°
l’una dall’altra, simmetriche rispetto a un piano perpendicolare all’asse e passante fra la
secon- da e la terza campata.
L’albero a gomiti è sottoposto a momenti torcenti, forze centrifughe e carichi inerziali di
notevole entità. Ogni campata, inoltre, subisce flessioni in piani diversi, variabili nel corso di
una rotazione completa. L’equilibratura è realizzata mediante contrappesi ottenuti come pro-
lungamento dei bracci dalla parte opposta ai perni di manovella e mediante masse
aggiuntive poste sulle estremità dell’albero, spesso orientate in modo asimmetrico. Sui
contrappesi ven- gono eseguiti fori ciechi di asporto delle masse in esubero per raggiungere
un’equilibratura di-
namica perfetta (fig. R.81).
R-96 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.81 Nomenclatura dell’albero a gomiti o albero a manovelle (fonte: Mille ruote).
L’estremità terminale dell’albero presenta un mozzo flangiato per il calettamento del
vola-
no; l’altra estremità si prolunga con un perno su cui sono calettate la puleggia dentata che dà
il moto alla cinghia della distribuzione e la puleggia per la cinghia trapezoidale o poly-V di
tra- scinamento degli organi ausiliari; talora comprende la girante della pompa dell’olio e il
volano smorzatore. All’interno dei perni e dei bracci sono ricavati per foratura vani di
passaggio olio. Sia l’albero motore sia il volano sono fatti in acciaio legato o in ghisa
sferoidale.
6.Distribuzione
Ha lo scopo di eseguire e regolare il ricambio dei gas all’interno del motore; nei motori a
quattro tempi essa comprende l’asse a camme e la trasmissione del suo moto, le valvole di
aspirazione e di scarico in testa, le molle di richiamo, i guidavalvole, i sistemi di regolazione
del gioco o le punterie idrauliche.Gli schemi più comuni di distribuzione a valvole, riportati
in figura R.82, comprendono:

Figura R.82 Schemi di distribuzione a valvole in testa: a) ad asta e bilanciere; b) a leva oscil-
lante; c) a bilanciere; d) doppio asse camme in testa (DOCHS) (fonte: Mille
ruote).
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI

R-97

a)il sistema con asse a camme nel basamento, asta


e bilanciere;
b)l’asse a camme in testa con bilanciere a dito e

molla a C;
c)l’asse a camme in testa, due bilancieri

contrapposti e valvole inclinate;


d)i due assi a camme in testa (motore bialbero) ognuno ubicato in una propria sovratesta

e azionante la bancata delle valvole di aspirazione o di scarico: è lo schema che maggior-


mente si presta alla soluzione delle tre, quattro, anche cinque valvole per cilindro.
7.Albero a camme
L’albero a camme (fig. R.83), che può essere singolo o doppio, è generalmente posto nella
testata, ruota a velocità dimezzata rispetto all’albero motore dal quale prende il moto
mediante cinghia dentata, catena o, più raramente, mediante ingranaggi in cascata.
È costruito in acciaio al carbonio cementato o nitrurato sulla superficie del profilo delle
camme disposte in corrispondenza delle valvole, per garantire maggior resistenza all’usura
do-
vuta al contatto tra profilo e testa della valvola. Esistono soluzioni con camme in
sinterizzato riportate sull’albero.
La nomenclatura delle camme, dette anche eccentrici, è riportata in figura R.83a,
il
profilo
lo, di bicchierino o di rullo.
è riportato nella figura R.83b. Esso differisce fra camma di aspirazione e di scarico e fra il
Il profilo della camma comprende un primo tratto circolare, detto cerchio base o di
fian-
ripco di comando dell’apertura della valvola e il fianco di comando della chiusura, allo
oso,
scopo di realizzare il miglior compromesso tra corsa, legge di alzata e di chiusura.
corrispondente al periodo di chiusura; due tratti rettilinei o curvilinei spesso dissimmetrici
che Dideterminano
regola tra la l’alzata
camma ee illa valvola vienevalvola,
ritorno della interposto unfianchi;
detti organo un
detto punteria
tratto a forma
curvilineo ch di
dae
piatteli fianchi detto testa della camma o dell’eccentrico.
raccor

a b

Figura R.83 Albero a camme: a) nomenclatura; b) profilo (fonte: Mille ruote).


8.Valvole
Le valvole hanno lo stelo cilindrico e la testa a forma di fungo. Sono fortemente
sollecitate dalle loro forze d’inerzia avendo in alzata accelerazioni dell’ordine di oltre 7000
m/s2 e da ele- vate temperature che superano i 750 °C sulla faccia interna della valvola di
scarico. Sono co-
R-98 MACCHINE A FLUIDO

struite in acciai ad alto tenore di nichel-cromo, con riporto di stellite sulla sede conica. Spesso
all’interno dello stelo è ricavata una camera piena di sodio che diventa liquido alle più alte
temperature di esercizio assorbendo calore.
La testa della valvola di aspirazione ha il diametro più grande di quella di scarico. Le
pulegge o le ruote dentate degli assi a camme hanno delle tacche di riferimento per consentire
la rapida fasatura durante il montaggio.
Con il termine fasatura s’intende l’insieme delle leggi e degli angoli di apertura delle val-
vole; è rappresentata con un diagramma circolare detto diagramma della fasatura: da esso si
evidenziano gli angoli di anticipo all’apertura, di ritardo alla chiusura e di incrocio (fig. R.84).
I sistemi di distribuzione più moderni dispongono di fasatura variabile, più stretta ai bassi
regimi e bassi carichi, più larga agli alti regimi.

Figura R.84 Diagramma circolare della fasatura per un motore a quattro tempi.
Nel motore alternativo sono inoltre presenti gli impianti di lubrificazione, di
raffreddamen- to, di aspirazione e filtraggio aria, di alimentazione/iniezione del combustibile,
l’impianto elet- trico, più gli organi ausiliari, di supporto/contenimento e di
insonorizzazione.
6.2 I cicli ideali
Cicli termici teorici
I cicli termodinamici ideali impiegati nei motori endotermici sono:
-ciclo Otto-Beau de Rochas (fig. R.85);

-ciclo Diesel (fig. R.86);

-ciclo Sabathé, o ciclo Diesel veloce (fig. R.87).

Tutti prevedono una compressione adiabatica, un’introduzione di calore, un’espansione


adiabatica, un’espulsione di calore a volume costante; quest’ultima avviene mediante lo scari-
co dei gas caldi in atmosfera. I tre cicli sono riportati sui piani (p,v) e (T,S).
Il rendimento termico teorico dei cicli ideali è definito come rapporto tra il lavoro unitario
Lid svolto dal gas e il calore unitario introdotto Q 1, a loro volta funzioni delle differenze di
temperatura tra inizio e fine trasformazione e della costantek di Poisson propria del gas. Per il
ciclo Otto il rendimento termico teorico è esprimibile in funzione del rapporto volumetrico di
compressione :
Otto 1 --=--1--

–k1
MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI R-99

Figura R.85 Ciclo Otto ideale: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S).

In riferimento al ciclo ideale, il rapporto volumetrico di compressione è definito come il


rapporto tra i volumi massici v1 massimo e v2 minimo.
v1
= v2
Esso è misurabile praticamente come rapporto tra la somma del volume della camera di
combustione Vc e del volume V spazzato dal pistone quando esegue una corsa tra PMS e
PMI, e il volume della camera di combustione:
Vc
=
V+
Vc

Figura R.86 Ciclo Diesel ideale: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S).
R-100 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.87 Ciclo Sabathé ideale: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S)
Per il ciclo Diesel il rendimento termico teorico è esprimibile in funzione del rapporto di
compressione e del rapporto di combustione a pressione costante definito come
rapporto tra il volume massico v3 al termine della combustione e il volume massico v2
all’inizio:
------
Diesel = 1 – --
1-- termicok1teoricok--è–esprimibile
Per il ciclo Sabathé il rendimento
---
in funzione del rapporto
di compressione , del rapporto di combustione–a1pressione k– -costante
1 e del rapporto di combu-
stione a volume costante definito come rapporto tra la pressione p3 al termine della combu-
stione a volume costante e la pressione p2 all’inizio:

1 k–1
Sabathé =1– –k1 – 1 k– 1
+
Confrontando i tre cicli a parità di rapporto di compressione e di calore unitario introdotto
Q1, il ciclo Otto ha il maggior rendimento termico teorico. Il rapporto di compressione
assume valori compresi tra 7,5 ÷ 11 nei motori a ciclo Otto, 15 ÷ 20 nei motori Diesel a
iniezione diret- ta, circa 22 nei motori Diesel con precamera.
Pressione media
L’area racchiusa dal ciclo termico teorico rappresenta il lavoro unitario ideale Lid;
moltipli- cando Lid per la massa di gas presente all’interno del motore che esegue un singolo
ciclo, si ot- tiene il lavoro ideale prodotto in un ciclo dalla massa dei gas; dividendo l’area
così espressa per la cilindrata si ottiene il valore medio della pressione interna, definito
pressione media pm espressa in N/m2 o più comunemente in bar o in MPa.
Cicli reali
Il ciclo reale è detto ciclo interno o indicato in quanto rilevato sperimentalmente misuran-
do istante per istante la pressione in un cilindro. In figura R.88 è riportato un esempio di
ciclo indicato Diesel nel piano pressione-corsa. La sottile area orizzontale nella parte bassa
del gra- fico rappresenta il lavoro di pompaggio in aspirazione e in scarico svolta dal pistone
ed è con-
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI

R-101

siderata negativa. L’area totale positiva racchiusa


dal ciclo indicato rappresenta il lavoro
indicato Li.
Le perdite conseguenti al trasferimento di energia dal gas all’organo mobile sono espresse
dal rendimento indicato i che, quindi, è definito come rapporto tra l’area del ciclo indicato e
l’area del ciclo termico teorico. La forma e l’estensione del ciclo indicato risentono della
fasa- tura, degli scambi di calore attraverso le pareti, del riempimento, degli anticipi, dei
tempi di
apertura e chiusura valvole, della velocità della combustione.

Figura R.88 Diagramma di un ciclo Diesel reale, detto interno o indicato.


Dal ciclo indicato si ottiene la pressione media indicata pmi intesa come l’ordinata media
del ciclo: è uguale al rapporto tra l’area del ciclo e la cilindrata di un cilindro. La potenza
indi- cata Pi è pari al lavoro indicato Li svolto da tutto il motore diviso per il tempo.
6.3 Prestazioni dei motori
Potenza effettiva
La potenza effettiva Peff e la coppia motrice C sono le grandezze di maggior interesse
pra- tico. Sono misurate al volano, al netto di tutte le perdite e i rendimenti. Vengono rilevate
speri- mentalmente per punti al banco prova motori in condizioni di carico massimo al freno
e in piena alimentazione. Il motore deve essere completo degli apparecchi ausiliari
funzionanti pre- visti nella dotazione di serie.
I risultati della prova sono espressi in forma di diagrammi riportanti gli andamenti di
po- tenza e coppia in funzione della velocità in giri/min: esse assumono la forma di
figura
R.89. I valori fondamentali sono la potenza massima, la coppia massima e il regime
massimo
di giri raggiungibile dal motore.
Potenza specifica
È il rapporto tra la potenza effettiva e la cilindrata del motore ed è espresso in kW/dm3.
Va- le 30 ÷ 100 per motori motociclistici e automobilistici a ciclo Otto, 130 per motori
sportivi, 400 ÷ 500 per motori da competizione, 20 ÷ 50 per motori automobilistici a
ciclo Sabathé, 10 ÷ 40 per motori camionistici.
Pressione media effettiva
La pressione media effettiva pme è intesa come la somma di due pressioni medie ipoteti-
che, una per vincere le resistenze passive interne del motore e una che produce il lavoro
effetti-
R-102 MACCHINE A FLUIDO

vo. È derivata dalla pmi decurtandola delle perdite di natura meccanica, di pompaggio e
dall’assorbimento di energia da parte degli organi ausiliari del motore. Tali perdite sono
espresse dal rendimento meccanico m e dal rendimento organico o.

pme m o
=
pmi

Figura R.89 Esempi di curve di potenza P e coppia M d. Sono indicati i regimi di potenza
massima nnenn e di coppia massima n Mdmax. La riduzione di coppia dal
valore massimo a quello corrispondente alla potenza massima è Md.
Il grafico della pme è qualitativamente analogo a quello della coppia motrice, con un
primo tratto curvo crescente seguito da un tratto decrescente; il punto di massimo si
raggiunge in cor- rispondenza del regime di coppia massima.
La potenza effettiva viene espressa in funzione della pme e della velocità di rotazione.
I
valori della pme sono compresi fra 6 ÷ 20 bar.
Rendimento volumetrico
La pme è proporzionale al riempimento del cilindro espresso dal rendimento
volumetrico
v; esso è pari al rapporto tra la carica dei gas freschi realmente introdotta per ciclo e la
carica teorica; è dipendente dalla lunghezza dei collettori, dal loro diametro e rugosità
superficiale, dalla sezione di passaggio a valvola aperta, dagli angoli di fasatura.
Consumi
Il consumo orario viene espresso in dm3/h o in kg/h. Il consumo specifico cs [g/kWh] è il
rapporto tra il consumo orario e la potenza effettiva. Viene diagrammato in forma di mappa
collinare detta piano quotato dei consumi: in ascisse è posta la velocità di rotazione, in
ordina- te la pme; il limite superiore è la curva di pme rilevata in condizioni di carico
massimo e piena alimentazione; le linee curve aperte o chiuse collegano tutti i punti a pari
valore di cs.
Il consumo specifico vale 400 ÷ 600 g/kWh per motori ciclo Otto a due tempi, 250 ÷ 380
g/kWh per motori ciclo Otto a quattro tempi, 240 ÷ 320 g/kWh per motori a ciclo
Sabathé per
autovetture, 190 ÷ 240 g/kWh per motori a ciclo Sabathé/Diesel di grosse
dimensioni.
Combustibili per i motori endotermici
I principali combustibili sono la benzina e il gas naturale per i motori a ciclo Otto, i gasoli
per i motori a ciclo Diesel e Sabathé. Il gas metano è largamente impiegato nei grandi motori
a ciclo Diesel per applicazioni stazionarie e per cogenerazione. Rivestono grande interesse
per il futuro l’impiego dell’idrogeno per motori AS e AC e del biodiesel.
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI

R-103

6.4 I motori a quattro tempi a ciclo Otto


I quattro tempi sono: aspirazione, compressione, combustione ed espansione, scarico, cia-
scuno corrispondente grosso modo a una corsa dello stantuffo: pertanto un ciclo completo
av- viene in due giri dell’albero motore.
Necessitano di un impianto di alimentazione per fornire il combustibile miscelato con
l’aria al motore e di un impianto di accensione per far scoccare la scintilla che provoca lo
scop- pio della miscela aria/combustibile.
Formazione della miscela
Il rapporto stechiometrico aria/benzina vale circa = 14,6: un kg di benzina viene brucia-
to completamente da 14,6 kg di aria, pari a circa 12 m3 d’aria alle condizioni atmosferiche. Si
indica con la lettera il rapporto di miscela tra reale e stechiometrico.
Il campo di funzionamento dei motori a ciclo Otto è compreso tra 0,8 e 1,2. Le
miscele aventi < 1 sono dette miscele ricche. Le miscele aventi > 1 sono dette miscele
magre.
A pa- ri condizioni
= 1,1, di funzionamento,
la condizione di massima p mela sicondizione
raggiunge diperminimo consumo
= 0,9. I specifico
sistemi di si
raggiunge per
alimentazione de-
vono provvedere a un arricchimento all’avviamento, soprattutto se a freddo, in condizioni
di forte accelerazione e di richiesta di potenza massima.
In tutti i regimi intermedi è possibile realizzare un funzionamento regolare con
miscela
smagrita. La presenza della marmitta catalitica richiede una miscela prossima al valore
ste- chiometrico.
Impianto di alimentazione
L’impianto di alimentazione è formato da una pompa per la benzina generalmente a mem-
brana, un filtro e da un carburatore o un gruppo di iniezione che provvedono a dosare aria e
combustibile, a generare la miscela e a inviarla nel cilindro. Il carburatore è un condotto a for-
ma di tubo di Venturi, spesso sdoppiato, nel quale viene spruzzata la benzina e miscelata con
l’aria. La regolazione della portata avviene da parte dell’utente che agisce mediante comando
manuale o a pedale su una valvola a farfalla posta a valle della sezione ristretta (fig. R.90).

Figura R.90 Alimentazione a carburatore; 1) serbatoio; 2) pompa carburante; 3) filtro; 4) car-


buratore; 5) collettore di aspirazione.
I sistemi di iniezione elettronica hanno come scopo la definizione della dosatura onde
otti- mizzare consumi, prestazioni ed emissioni in ogni condizione di funzionamento;
permettono di ottenere una curva di coppia più favorevole e un comportamento migliore in
termini di gui- dabilità e di elasticità di marcia durante i transitori.
R-104 MACCHINE A FLUIDO

La figura R.91 riporta lo schema dell’impianto Bosch L-Jetronic; esso consiste in un con-
dotto principale in cui sono presenti un misuratore di portata d’aria entrante (10), un corpo
far- fallato con sensore di posizione (9) e valvola d’aria supplementare (15), una camera di
compensazione della pressione (7) che ospita un iniettore di benzina (8) per l’avviamento, un
collettore d’aspirazione su cui è montato un iniettore (5) per ogni cilindro, posizionato a
monte della valvola di aspirazione (multi-point injection).
L’iniettore a comando elettromagnetico spruzza la benzina con dosatura e fasatura
regolata dall’unità di governo (4); la benzina viene prelevata mediante elettropompa (2) dal
serbatoio (1), passa attraverso il filtro (3) e giunge all’iniettore con il valore di pressione
ottimale impo- sto dal regolatore (6); l’impianto prevede, inoltre, un interruttore termico a
tempo (12), un sen- sore di temperatura (13), un sensore dei gas di scarico a sonda lambda
(11); l’unità di governo interagisce con l’impianto elettrico formato dalla batteria (16), dal
distributore d’accensione
(14) e dall’interruttore d’accensione (17).
Per i motori più piccoli si adottano sistemi con condotto a forma di tubo di Venturi e
monoiniettore centrale (single-point injection). La benzina viene pompata all’iniettore a bassa
pressione (0,7 ÷ 1 bar) e viene spruzzata in modo continuo oppure intermittente a
seconda del tipo di impianto. Una serie di trasduttori provvede a trasmettere in tempo reale
dati riguardanti velocità di rotazione, portata d’aria, angolo di apertura farfalla, temperatura
del
motore, com- posizione dei gas di scarico.

Figura R.91 Alimentazione a iniezione elettronica tipo Bosch L-Jetronic (fonte: Automotive
Handbook, Bosch).
Impianto di accensione
L’impianto di accensione più largamente usato nei motori moderni è di tipo elettronico; è
formato da una centralina a microprocessore per la determinazione del valore ottimale
dell’an- golo di anticipo della scintilla, in base a una banca di valori memorizzati in forma di
mappatu- ra in funzione della velocità di rotazione e del carico.
Dallo schema di figura R.92 si nota una serie di trasduttori che trasmettono segnali di
aper- tura della valvola a farfalla (3), della temperatura del motore (6), della velocità e
della posizio- ne angolare dell’albero motore (7). La sonda misura la composizione dei gas di
scarico (5). Il segnale di comando elaborato dalla centralina (4) giunge alle bobine (2), da cui
parte un impul- so in alta tensione che viene inviato alla singola candela (1). Completano
l’impianto la batteria
(8) e l’interruttore di avviamento (9).
MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI R-105

Figura R.92 Accensione elettronica (fonte: Automotive Handbook, Bosch).

I motori a due tempi a ciclo Otto


5.

Differiscono dai motori a quattro tempi principalmente per la mancanza della


distribuzione a valvole in testa, sostituita da un sistema di luci di introduzione e di scarico,
anche se esistono soluzioni dotate di valvola in testa di scarico.
Il primo dei due tempi comprende: aspirazione, lavaggio e compressione; il secondo
tempo comprende: combustione, espansione e scarico.
La carica dei gas freschi è formata da aria, combustibile e olio lubrificante; la miscela
combustibile più olio viene approvvigionata all’atto del rifornimento, oppure può essere otte-
nuta all’interno del motore mediante combinazione di benzina e olio provenienti da serbatoi
separati.
La fase di lavaggio consiste in un flusso di gas freschi che espellono i gas combusti attra-
verso le luci di scarico. Il ciclo completo avviene in un giro dell’albero motore.
I motori a ciclo Diesel e Sabathé
6.

I motori a ciclo Diesel e Sabathé basano il loro funzionamento sul principio dell’autoac-
censione del combustibile. I rapporti di compressione più elevati rispetto al ciclo Otto permet-
tono all’aria aspirata di raggiungere temperature dell’ordine dei 700 ÷ 900 °C in modo da
superare la temperatura di autoaccensione del combustibile. La camera di combustione è rica-
vata nel cielo del pistone (iniezione diretta) oppure è un vano alloggiato nella testata
(iniezione indiretta).
Non necessitano di impianto elettrico di accensione, salvo una candeletta a incandescenza
per l’avviamento. È presente un impianto di iniezione combustibile i cui componenti
principali sono il filtro, la pompa di iniezione, i condotti e gli iniettori. L’iniettore spruzza il
combustibile con un opportuno angolo di anticipo.
La pompa è in genere di tipo a pistoni rotanti in linea per i motori camionistici, a distribu-
tore rotante per i motori automobilistici: in entrambi i casi l’apertura dell’iniettore avviene
per
opera dell’onda di pressione proveniente dalla pompa.
Le soluzioni più moderne si basano sull’accorpamento della pompa con l’iniettore
(inietto- re-pompa) o sul sistema common rail in cui vi è una pompa a pistoncini radiali che
mantiene un condotto unico del gasolio costantemente sotto una pressione di oltre 1400 bar,
mentre l’iniettore è comandato elettronicamente.
R-106 MACCHINE A FLUIDO

6.7 La sovralimentazione
Essendo la potenza del motore proporzionale alla quantità di calore emesso durante la
combustione, ne deriva l’esigenza di provvedere a un’efficace alimentazione del cilindro che
comporti un adeguato riempimento, soprattutto ai regimi elevati e in generale di più frequente
utilizzo.
La carica dei gas freschi può essere incrementata grazie a un’azione esterna di pompaggio
eseguita da organi quali i compressori.
La soluzione più frequente è rappresentata in figura R.93. Essa prevede
l’adozione di
un
turbocompressore (2) azionato dai gas di scarico del motore (1) aventi un elevato
contenuto en- talpico; i gas cedono l’energia di cui dispongono a una turbina che pone in
rotazione un com- pressore coassiale; una valvola di regolazione waste-gate (3) garantisce la
pressione co-stante del gas in ingresso in turbina scaricando all’esterno la portata in eccesso.
L’aria compressa transita attraverso uno scambiatore isobarico (intercooler) aria-aria pri-
ma di pervenire al collettore di aspirazione.
La turbina a geometria variabile consente uno sfruttamento ottimale dell’energia dei gas
già dai regimi medio-bassi grazie a una corona di palette statoriche di guida del flusso; la loro
angolatura è comandata da un anello esterno.

Figura R.93 Schema di un motore sovralimentato mediante turbocompressore.

6.8 Le emissioni nocive e il loro controllo


La combustione degli idrocarburi liquidi e gassosi comporta l’emissione di sostanze
inqui- nanti quali gli ossidi di azoto NOx , gli idrocarburi incombusti HC, il monossido di
carbonio CO, più sostanze solide semicombuste denominate particolato e composti a base di
piombo (fig. R.94).
La loro formazione è influenzata dal rapporto aria/combustibile, dagli anticipi, dalla
forma della camera di combustione, dalla temperatura della fiamma, dalla contropressione
allo scari-
co, dalla temperatura delle pareti in seguito al raffreddamento, dalla composizione
chimica del carburante.
La figura R.94 riporta il grafico delle concentrazioni di CO, HC, NOx in funzione
della do-
satura per un motore a ciclo Otto. I motori a ciclo Diesel e Sabathé generano una quantità
di CO inferiore a quella sviluppata dai motori a ciclo Otto essendo la miscela molto più
povera; la formazione degli NOx viene inibita reintroducendo in camera di combustione una
piccola portata di gas di scarico (sistema EGR).
MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI R-107

Figura R.94 Diagramma delle concentrazioni di inquinanti in funzione della dosatura.


Per l’abbattimento delle sostanze inquinanti si ricorre alla marmitta catalitica all’interno
della quale i residui di CO e gli HC si ossidano per dare CO2 e H2Ovap, gli NOx si riducono
a N2 (fig. R.95). Gli elementi che costituiscono la marmitta sono: 1) un telaio ceramico di
sup- porto (granulati e monoliti a base di Al2O3); 2) il materiale protettivo; 3) uno strato
attivo di metalli nobili (Pt, Rh, Pd); 4) il telaio ceramico a nido d’ape; 5) uno schermo
isolante; 6) il contenitore esterno.
I motori a ciclo Otto a due tempi emettono quantità inferiori di NOx rispetto al ciclo a
quat- tro tempi, a causa della diluizione dei gas freschi da parte dei residui di gas combusti
ancora
presenti alla fine della fase di lavaggio; pertanto la marmitta catalitica esegue solo
reazioni di ossidazione.

Figura R.95 Vista in trasparenza di una marmitta catalitica con evidenziate le principali rea-
zioni chimiche.
R-108 MACCHINE A FLUIDO

6.9 Formulario
Velocità media lineare dello stantuffo
La velocità media [m/s] è proporzionale alla corsa c [m] e alla velocità di rotazione n
[giri/ min]. Assume valori compresi tra 9 e 18 m/s.

vm = 2 c · n
Rapporto aria/combustibile
Il rapporto aria/combustibile o dosatura è definito come il rapporto della massa d’aria in-
trodotta nel combustore per ogni kg di combustibile. Al crescere del rapporto aumenta la di-
luizione del gas e la temperatura massima del ciclo indicata nei cicli Otto e Diesel con T3
tende a diminuire:
b
=
PcQi
– 1 = cp bT3 – T–2
1 Pci
Portata di aria 1
La portata di aria Ga [g/s] è funzione della cilindrata V [dm3], della velocità di rotazione
n [giri/min], del numero di tempi h, della massa volumica dell’aria in ingresso [kg/m 3] e
del rendimento volumetrico v.

Ga V3-0-h---

Portata di combustibile n--


---è uguale=val rapporto tra la portata di aria Ga [g/s] e la
La portata di combustibile Gb [g/s]
dosatura .
Gb Ga
=
-----
Potenza effettiva
La potenza effettiva Peff [kW] è funzione della pme [bar], della cilindrata V [dm3], della
ve- locità di rotazione n [giri/min] e h è il numero di tempi.

-pme V n =
Peff 300
Pressione media effettiva h
La pressione media effettiva [bar] è funzione della coppia motrice C [Nm], della cilindrata
V [dm3] e del numero di tempi h.

pme = -1-0-0 --V-


Rendimento totale -- h C---
Il rendimento totale è il rapporto tra la potenza utile o effettiva Peff [kW] e la potenza
ter- mica teorica data dal prodotto della portata massica Gc [kg/s] del combustibile per il suo
potere calorifico inferiore Pci [kJ/kg]:
Peff
Gc
=
Pci
MOTORI ENDOTERMICI
ALTERNATIVI

R-109

Consumo specifico
Il consumo specifico cs [g/kWh] è definito sia come rapporto tra la portata massica di
com- bustibile Gc e la potenza effecttsiva Pe1ff, = sia come l’inverso del prodotto tra il
rendimento totale e il potere calorifico inferiorePPcicidel combustibile (circa 42 000 kJ/kg):
Alesaggio e corsa
Il rapporto alesaggio/corsa è indicativamente unitario. I motori aventi il rapporto
superiore a 1 sono detti motori lunghi, quelli con rapporto uguale a 1 sono detti motori
quadri, quelli con rapporto inferiore a 1 superquadri.
L’alesaggio D [mm] è un parametro che influisce sulla potenza del motore.
Assumendo la
potenza Peff in kW, la pressione media effettiva
4000 h pme in MPa, la velocità media del
pistone D=
vm in Ppefmf e i
v m dei cilindri i, si ha:
m/s e con il numero di tempi h e il numero
R-110 MACCHINE A FLUIDO

7. IMPIANTI E MACCHINE A VAPORE


Generatori di vapore
1.

Nomenclatura dei componenti


Nei generatori di vapore avviene l’evaporazione dell’acqua in seguito al trasferimento di
energia termica ottenuta dalla combustione o dal passaggio di corrente elettrica in apposite
resistenze. L’acqua può trovarsi a pressione circa atmosferica oppure pressurizzata.
Il generatore di vapore è composto dalle seguenti parti principali: la caldaia, a sua
volta
suddivisa in focolaio, bruciatori, camera di combustione e comprendente il complesso
delle tubature dell’acqua e del vapore e gli organi di scambio termico; i condotti dei fumi e la
cimi- niera; gli impianti di trattamento dei fumi; gli impianti di pretrattamento delle acque;
gli impianti di preparazione del combustibile; i sistemi di avviamento, controllo e
regolazione.
Classificazione delle caldaie
La classificazione delle caldaie si basa: sul combustibile impiegato, sulla circolazione e
sul contenuto d’acqua, sulla pressione in camera, sulla trasmissione del calore, sul tipo di
fluido prodotto e sulle tipologie costruttive. Il combustibile può essere solido (carbone,
lignite, rifiuti solidi urbani), liquido (olio combustibile) o gassoso (gas naturale o altri tipi di
gas).
Considerando la circolazione dell’acqua, sono previsti i seguenti tre tipi di
caldaie.
A circolazione naturale (fig. R.96a): si basano sul principio del termosifone con l’acqua
calda che sale spontaneamente fino a un collettore posto sulla sommità (1) detto corpo cilin-
drico o sferico, mentre la fredda scende lungo condotte (2) dette tubi di caduta.
A circolazione assistita (fig. R.96b): prevede una pompa di ricircolo (3) posta nel tubo di
caduta. In entrambi i casi l’acqua compie diversi giri completi prima di essere totalmente eva-
porata: si definisce cifra di circolazione il rapporto tra la portata di acqua circolante e la por-
tata del vapore generato; le caldaie a circolazione naturale e assistita hanno la cifra di
preriscaldatore
circolazione pari a 7-8, in quelle a circolazione forzata essa vale 1.
surris caldatore
(6) eAilcircolazione (7).(fig.
forzata Si impiega i impianti
R.96c): non sono di grande
più presenti po tenza
il corpo e pressione.
cilindrico superiore
ei
no negl
tubi di caduta ma il circuito è aperto e il vapore si raccoglie in fasci tubieri posti nella
sommità
(4) detti tubi del cielo. Gli impianti comprendono la pompa di alimento (5), il

Figura R.96 Schemi di circolazione: a) naturale; b) assistita; c)


forzata.
IMPIANTI E MACCHINE A
VAPORE

R-111

Il contenuto d’acqua
I generatori di vapore possono essere a piccolo, medio o grande contenuto d’acqua: il
con- tenuto d’acqua è definito come rapporto tra la massa d’acqua ospitata e superficie
riscaldata ed è espresso in kg/m2. Le caldaie Cornovaglia sono a grande volume d’acqua
(100 ÷ 200 kg/m2); le caldaie a tubi di fumo sono a medio volume (50 ÷ 100 kg/m2); le
caldaie a tubi d’acqua a convezione sono a piccolo volume (20 ÷ 50 kg/m2).
La camera di combustione può essere sia in depressione sia in pressione, a seconda della
forma e dell’ubicazione dei ventilatori (aspiranti e/o prementi). Nella zona superiore della cal-
daia è spesso presente un restringimento, detto naso, avente lo scopo di accelerare i fumi
nel loro moto ascendente in ottemperanza alla teoria del tubo di Venturi.
Il calore viene trasmesso dalla fiamma principalmente o per convezione o per
irraggia-
mento. Al primo tipo appartengono le caldaie a tubi di fumo e a tubi d’acqua di piccola e
media potenza. Al secondo tipo appartengono le grandi caldaie per centrali termoelettriche,
aventi i tubi orientati in senso ascendente a formare la schermatura delle pareti sui quattro lati
(fig. R.97).
R-112 MACCHINE A FLUIDO

Fluido prodotto
Le caldaie sono suddivise in generatori di vapore allo stato saturo oppure surriscaldato
con ampia gamma di pressioni, anche superiori al limite critico di circa 221 bar (caldaie iper-
critiche); generatori ad acqua calda, generatori ad acqua surriscaldata; generatori a recupe-
ro, che sfruttano il calore dei gas di scarico di motori endotermici o il calore prodotto dai
processi industriali; generatori a olio diatermico.
All’interno dei tubi delle caldaie a fluido diatermico scorre un fluido non acquoso di
origi- ne minerale o organica caratterizzato da un’elevata temperatura di ebollizione. Queste
caldaie
possono funzionare con temperature comprese tra 170 e 350 °C a pressione atmosferica.
Il fluido diatermico può essere impiegato come fluido operativo che trasferisce il calore agli
uti- lizzatori oppure per la produzione indiretta di vapore attraverso uno
scambiatore/evaporatore
di calore all’acqua posto superiormente alla caldaia.
Tipologie di costruzione
Le tipologie costruttive sono: a tubi d’acqua, a tubi di fumo, a fluido diatermico. Il primo
tipo comprende le caldaie a due corpi sovrapposti, dette caldaie a D, il cui schema è riportato
nella figura R.98, e le caldaie a irraggiamento di grande potenza.
Un caso a parte è costituito dai generatori a vaporizzazione istantanea, basati sul
principio
della lama d’acqua: un sottile strato d’acqua è interposto tra il focolare e il fasciame,
costruiti
concentrici.

Figura R.98 Caldaia a D a tubi d’acqua.


IMPIANTI E MACCHINE A VAPORE

R-113

Il focolaio
Il focolaio è la zona della caldaia in cui avviene l’incontro e la combustione tra il combu-
stibile e l’aria comburente. Il combustibile liquido o gassoso viene introdotto a getto continuo
e portato alla fiamma nella camera di combustione mediante bruciatore o iniettori orizzontali
detti lance. Il combustibile gassoso viene dapprima decompresso poi iniettato. Il combustibile
liquido viene preriscaldato per renderlo fluido e favorire la formazione di gocce fini. Il
combu- stibile solido viene bruciato o deponendolo su una griglia fissa o mobile, o
iniettandolo fine- mente polverizzato, o introdotto in forma granulare e mantenuto in
sospensione insieme a materiale sabbioso inerte, grazie a una portata continua di aria soffiata
dal basso (focolai a letto fluido).
7.2 Grandezze caratteristiche dei generatori di vapore
Vengono di seguito riportate le principali definizioni delle caratteristiche dei generatori di
vapore.
-Potenza del generatore P [kW]: è pari alla portata massica di vapore prodotto G v, espresso
in kg/s, moltiplicata per la differenza h, espressa in kJ/kg, tra l’entalpia del vapore uscente
dal
generatore e l’entalpia dell’acqua in ingresso nel generatore:
P = Gv · h
-Potenza teorica P c in camera di combustione: è ottenuta dal prodotto della portata massica
di combustibile Gc, espressa in kg/s, moltiplicata per il potere calorifico inferiore Pci del
com- bustibile, espresso in kJ/kg; essa rappresenta la potenza teoricamente liberata dalla
combu- stione completa del combustibile:
Pc = Gc · Pci
-Carico specifico volumetrico della camera di combustione C v: è definito come il rapporto
tra la potenza Pc e il volume della camera di combustione, espresso in kW/m3.
-Calore specifico superficiale della camera di combustione C s: è definito come il rapporto
tra la potenza Pc e la superficie irraggiata della camera di combustione, espresso in
kW/m2.
-Superficie riscaldata S: è la superficie dei fasci tubieri d’acqua lambita dai prodotti della
combustione, da calcolare secondo opportuni criteri.

-Potenza specifica del generatore P s: è il raPppcorto tra la potenza del generatore e la


combustione:
s-Rupenerdtermico
-Rendimento fiimciete: nto
è il rapporto
termico tra laP
utile u:pè–ilotenza P deltrageneratore
rapporto la potenzae P
la del
potenza Pc in alla
generatore
camera di combustione: ------= u P--Pca--
quale sono rissctatledastoat,treastpterelsesapointeknWze/mim2p.egnate dagli
uCicli
--xausiliari
------ t --P-- =
7.3
organi termiciPaux
per, gli potenza aPcvapore
e laimpianti in camera di
Ciclo termico teorico di Rankine
Il ciclo termico impiegato negli impianti esotermici con turbina a vapore è il ciclo di Ran-
kine, costituito da una compressione dell’acqua prima dell’ingresso in caldaia, un’introduzio-
ne di calore a pressione costante di riscaldamento dell’acqua, l’introduzione del calore di
eva- porazione isotermobarico, un’espansione adiabatica in turbina, una condensazione
isotermo-
R-114 MACCHINE A FLUIDO

barica con espulsione di calore all’esterno. La pratica del surriscaldamento a pressione costan-
te conferisce un ulteriore apporto di calore al vapore saturo secco, innalzando fortemente il
contenuto entalpico del fluido operativo.
I diagrammi del ciclo base di Rankine, senza surriscaldamento, sono riportati in figura
R.99a sul piano (p,v), in figura R.99b sul piano (T,S) e in figura R.99c sul piano (h,S); in
quest’ultima figura sono evidenziati la pressione di evaporazione p1 e quella di
condensazione po, il lavoro termico teorico in turbina L conseguente all’espansione
adiabatica ideale 3 ÷ 4 e l’espansione adiabatica reale 3 ÷ 5, cui corrisponde un lavoro
reale
pari alla distanza 3 ÷ 5 mi- surata in verticale.

Figura R.99 Ciclo ideale di Rankine: a) sul piano (p,v); b) sul piano (T,S); c) sul piano (h,S).

In figura R.100 è rappresentato lo schema a blocchi di un impianto funzionante secondo


il ciclo Rankine con un surriscaldamento.

Figura R.100 Schema a blocchi del ciclo di Rankine con un surriscaldamento.


IMPIANTI E MACCHINE A
VAPORE

R-115

Economizzatore
È uno scambiatore di calore che preriscalda l’acqua di alimento prima dell’ingresso in
cal- daia, sfruttando il calore dei fumi. Nelle grandi unità, l’economizzatore è posto a valle
dei sur- riscaldatori, nel tratto di inversione del moto dei fumi. In ingresso
nell’economizzatore la temperatura dei fumi è di 350 ÷4 00 °C, la temperatura
dell’acqua di
200 ÷ 250 °C. Per valori inferiori nelle temperature dei fumi occorre scegliere materiali
per i tubi resistenti alla corro- sione.
Preriscaldatore d’aria
Il calore posseduto dai fumi in uscita dall’economizzatore viene sottratto a vantaggio
dell’aria comburente. Il preriscaldatore può essere formato da tubi percorsi dall’aria e lambiti
esternamente dai fumi caldi, oppure da un tamburo rotante a bassa velocità costituito da
lamie- rini radiali (preriscaldatore Ljungström). Durante il primo mezzo giro i lamierini sono
investi- ti e riscaldati dal flusso discendente dei fumi, nel restante mezzo giro sono lambiti
dall’aria comburente che si riscalda con moto ascendente.
7.4 Interventi per migliorare il rendimento del ciclo di Rankine
Incrementare la pressione di vaporizzazione: al crescere della pressione di alimentazione
in caldaia, si riduce il calore latente di vaporizzazione. In prossimità del punto critico il calore
latente tende a zero. Esistono impianti funzionanti a pressione superiore alla pressione critica
pcr = 221 bar, detti ipercritici, nei quali l’acqua passa allo stato di vapore in modo continuo.
Diminuire la pressione di condensazione: in turbina il vapore viene sfruttato a fondo
fino
a entrare nel condensatore a una pressione assoluta di pochi centesimi di bar. Ulteriori
abbassa- menti di pressione rendono problematica la condensazione e obbligano a costruire
condensato- ri di dimensioni molto grandi.
Aumentare la temperatura finale di surriscaldamento: l’incremento della temperatura
massima del fluido operativo migliora il rendimento, come confermato dall’analisi del
ciclo
di
Carnot, preso come riferimento. La temperatura massima raggiunta dal vapore è di
circa
550
°C,
corrispondente al limite di tipo strutturale del materiale dei tubi.
Eseguire surriscaldamenti ripetuti (ciclo Hirn): il surriscaldamento consiste nel trasferire
calore al vapore saturo secco aumentandone l’entalpia; l’operazione avviene a pressione co-
stante facendo passare il vapore uscente dal corpo cilindrico entro fasci tubieri posti nella
som- mità della caldaia, ove le fiamme sono spente e i fumi estremamente caldi. Il vapore
surriscaldato compie la prima espansione nella turbina ad alta pressione (AP), erogando una
prima quota di lavoro; l’espansione si conclude nei pressi della curva limite superiore, con
una pressione residua e un’entalpia finale ancora rilevanti; il vapore ritorna in caldaia ove
subisce un secondo surriscaldamento che ne innalza temperatura ed entalpia, quindi esegue la
seconda espansione nella turbina
Figura a bassa
R.101 Ciclopressione
Hirn a due(BP), come rappresentato nella figura
surriscaldamenti.
R.101.
R-116 MACCHINE A FLUIDO

La rigenerazione
Essa consiste nell’eseguire ripetuti spillamenti di vapore vivo dalle turbine AP e BP per
poi inviarli in un gruppo di scambiatori di calore in serie, detti rigeneratori; lo scopo è di pre-
riscaldare l’acqua proveniente dal pozzo caldo tramite il calore ceduto dal vapore spillato. In
tal modo l’acqua fa il suo ingresso in caldaia con un elevato contenuto entalpico, per cui la
combustione soddisfa all’incirca solo il fabbisogno di calore latente di evaporazione.
Un ciclo rigenerativo ideale, costituito da un numero infinito di rigeneratori, sarebbe
assi-
milabile a un ciclo di Carnot: nella pratica costruttiva ci si limita a 6 ÷ 8 spillamenti
la cui
por-
tata massica per ciascuno vale il 5 ÷ 9% della portata totale misurata all’ingresso
del
corpo AP. In
figura R.102 è riportato lo schema del sistema di rigenerazione: a) caldaia; b)
surriscal-
datore; c) turbina; con P 1, P 2, P 3 si indicano gli spillamenti in turbina; d)
d condensatore; e)
b
pompa; f1, f2, f3 indicano i rigeneratori; con g1, g2, g3 identificano le reimmissioni del
conden- sato nel circuito di alimento; h) scambiatore di calore.
a

P
f3 f2 f1
3 Pc2 1
P

g2 g3

h
g1

Figura R.102 Schema della rigenerazione.


Cicli sovrapposti o binari
L’impianto comprende due fluidi diversi e separati che eseguono ciascuno il proprio ciclo
Rankine; il primo fluido, operante a temperature maggiori, cede il proprio calore latente di
condensazione tramite scambiatore al secondo fluido, che l’utilizza come calore di
evaporazio- ne.
Si impiegano il vapore acqueo per il ciclo inferiore e il mercurio oppure miscele a base di
sodio e potassio per il ciclo superiore.
La composizione dei due cicli sovrapposti si avvicina a un ciclo di Carnot, dato che nel
diagramma (T,S) l’insieme dei cicli sovrapposti assume una forma circa rettangolare. La prati-
ca dei cicli binari ha un’applicazione limitata a causa delle notevoli complicazioni
costruttive e della pericolosità inerente ai vapori dei fluidi operativi non acquosi.
IMPIANTI E MACCHINE A
VAPORE

R-117

7.5 Turbine a vapore


Configurazione della macchina
La turbina a vapore, o turboespansore, è una macchina motrice rotante a flusso continuo,
formata da una sequenza di coppie di corone; ogni coppia, detta stadio, è costituita da una co-
rona di palette mobili montata su un tamburo rotante (rotore) e da una di palette fisse montata
sulla cassa della macchina (statore). L’insieme delle palette di rotore o di statore è
rappresenta- to in figura R.103. La cassa ospita i condotti di ingresso del vapore proveniente
dai surriscalda- tori, gli ugelli che dirigono il vapore in espansione sul palettaggio iniziale, i
condotti di scarico del vapore esausto, i condotti di spillamento del vapore destinato alle
rigenerazioni.
Le turbine a più alta potenza sono suddivise in tre corpi: il primo corpo ad alta
pressione (AP) seguito da un secondo corpo a media pressione (MP); il vapore viene
prelevato,
inviato di nuovo in caldaia ove viene risurriscaldato, quindi ritorna in turbina nel corpo
a
bassa pressione (BP), spesso sdoppiato per equilibrare le spinte assiali e per ripartire la
inferiore
portata sua due
quella atm in-
corpi; osferica,
fine,spesso dell’ordine
il vapore discarica
esausto si pochi centesimi di bar. Negli
nel condensatore posto impianti a
al di sotto
re-
del corpo a BP.
cupero
Neglio a impianti
contro pressione il vaporeilviene
a condensazione scaricato
vapore nel di
a pressione
viene scaricato poco superiore
condensatore a
a una
quella at- mosferica inper essere utilizzato successivamente nel riscaldamento degli ambienti o
pressione
applicazioni indust riali.

Figura R.103 Schema del complesso statore-rotore di turbina.

7.6 Turbine a vapore ad azione


Principi di funzionamento
Siano pi la pressione in ingresso nella macchina, a monte dell’ugello; p1 la pressione a
val- le dell’ugello, in ingresso nella prima corona rotante; p2 la pressione a valle della corona
rotan- te. Nella turbina ad azione De Laval il salto di entalpia h cui corrisponde il salto di
pressione (pi – p1) , avviene interamente nell’ugello avente profilo convergente-divergente;
la pressione rimane costante lungo il percorso del vapore attraverso il palettaggio della
gpi1ra=npte2, .pLera cvueilocità del vapore ve in condizioni ideali, in uscita
dall’ugello ed entrante in
ntuarbèic-alcolata, trascurando la velocità in ingresso, con la seguente formula:
R-118 MACCHINE A FLUIDO

v 2 h=
in cui h è il salto di entalpia che avvienee in ugello, rilevabile dal diagramma di Mollier (dia-
gramma entropia/entalpia che riporta i punti caratteristici delle trasformazioni e i relativi salti
di entalpia che misurano gli scambi di calore e lavoro).
Nel caso reale, tenendo conto degli attriti all’interno dell’ugello, la velocità è pari alla ve-
locità ideale moltiplicata per il coefficiente detto coefficiente di riduzione della velocità,
che vale 0,90 ÷ 0,95.
Esempio
Dal diagramma di Mollier si misura un salto di entalpia adiabatico isoentropico fra i punti
iniziale i con pressione pi = 30 bar e temperatura ti = 450 °C e il punto finale 1 con pressione
p1 = 20 bar e temperatura t1 = 388 °C. Calcolare la velocità del vapore in uscita dall’ugello.
Soluzione
I valori di entalpia per i due punti rispettivamente di ingresso e di uscita dall’ugello, letti
sul Ldiaagvrealmocmitàa vdei Mdioulsliceirt,a dsoenl
ov:aphoire=d3a3ll4’u0gkelJl/okge dei
ehn1tr=ata3s2u1l4paklJe/tktga.ggPieorrtaontatonteil, salto di
seenntazclapalticeaonlvearatlaceonhto=dhegi l–i
ehf1fe=tti1d2e6gkliJ/akttgr.iti, vale:
ve = 2 h2 = 126 10 5023 =

Assumendo un coefficiente dimri/dsuzione della velocità = 0,9, si ha la velocità reale:


=vv= 0 9 50=2 452 m/s
e

Allo scopo di ridurre la velocità del rotore, si impiega una doppia corona di palette
caletta- te sul medesimo mozzo, intercalate da una corona di palette statoriche avente
funzione di rad- drizzatore: questa soluzione è nota come ruota Curtis. La pressione permane
costante sulle due giranti e sul raddrizzatore intermedio, come raffigurato in figura R.104. La
ruota Curtis a due corone è solitamente impiegata come gruppo ad alta pressione (AP).

Figura R.104 Andamento della pressione in una turbina ad azione Curtis.


All’uscita dal gruppo AP il vapore conserva un valore di entalpia relativamente alto. Il
suo sfruttamento è ottenuto mediante una successione di monoruote ad azione costituenti il
gruppo di media pressione (MP), ognuna preceduta da un ugello semplicemente convergente.
Il salto totale di entalpia risulta frazionato in parti uguali fra tutti gli ugelli del gruppo MP. Il
sistema è detto ad azione a salti di pressione o a ruote Rateau.
IMPIANTI E MACCHINE A
VAPORE

R-119

In figura R.105 è riportata la sezione di una turbina ad azione: il vapore proveniente dal
surriscaldatore fa il suo ingresso nel regolatore (1), entra nel colettore (2), attraversa l’ugello
De Laval, una ruota Curtis a due corone (3), attraversa quindi un gruppo di sei ruote Rateau,
precedute da altrettanti ugelli, (4) ed esce dalla camera (5). Il vapore uscente dal gruppo MP
rientra in caldaia nel risurriscaldatore per subire il secondo innalzamento di entalpia, solita-
mente a una pressione dell’ordine della decina di
bar. 1

2 3 4 5

Figura R.105 Turbina ad azione di produzione General Electric.


7.7 Turbine a vapore a reazione
Principi di funzionamento
Nella turbina a reazione, nota come ruota Parsons, il vapore entrante si trova alla
pressio- ne dell’ordine della decina di bar e a un volume massico molto superiore a quello in
ingresso in AP. Per ottenere l’espansione di un vapore a bassa pressione si ricorre a un
sistema che fac- cia avvenire l’abbassamento di pressione in modo continuo, cioè in parte su
statore, in parte su rotore.
Esso consiste in una sequenza di corone di palette statoriche alternate a corone di palette
rotoriche su cui frazionare il salto di entalpia. Le palette statoriche sono fisse e hanno i profili
incurvati in modo di creare un vano di passaggio a forma di ugello che innesca la prima fase
dell’espansione; l’espansione procede sul palettaggio rotante. Si definisce grado di reazione il
rapporto tra il salto di entalpia su girante e il salto totale sullo stadio:

hrotore hrotore +

hstatore
R-120 MACCHINE A FLUIDO

Il grado di reazione solitamente assume valori nell’intorno di 0,5. Nel caso di pale di
note- vole sviluppo in altezza, tipiche degli stadi conclusivi dove l’espansione si sta
ultimando, il grado di reazione è crescente dalla base verso la sommità del profilo palare; la
pala è fortemen- te svergolata.
Nella figura R.106 è riportata la sezione di una turbina a reazione; la lunghezza delle pale
è crescente nel senso del moto in quanto, procedendo l’espansione, lo spazio fra pala e pala
de- ve aumentare per ospitare il vapore sempre più espanso. Il salto di entalpia in BP avviene
con un elevato frazionamento, per cui si possono raggiungere anche oltre 200 stadi.

Figura R.106 Turbina a reazione; con A e B sono indicate le tenute a labirinto.


7.8 Triangoli di velocità
Monoruota ad azione
La figura R.107 riporta lo schema della velocità del vapore sulla singola paletta ad azione
in corrispondenza del raggio medio della girante; in essa sono indicate con ve la velocità del
vapore in entrata sul palettaggio, con u la velocità periferica della paletta al raggio medio, con
we, wu rispettivamente le velocità relative del vapore in entrata e in uscita, con vu la velocità
as- soluta del vapore in uscita dalla paletta.

Figura R.107 Schema delle velocità sulla pala della turbina ad


azione.
IMPIANTI E MACCHINE A
VAPORE

R-121

In figura R.108 sono disegnati i triangoli di velocità in entrata e in uscita per la


monoruota De Laval; sono inoltre evidenziati l’angolo di ingresso del vapore e (15° ÷ 25°) e
le compo- nenti tangenziali vet e vut delle velocità assolute.

Figura R.108 Triangoli delle velocità in entrata e in uscita per la monoruota ad azione.
Si definisce il coefficiente di velocità periferica k come rapporto tra la velocità periferica

e la uvelocità
entrante ideale v e valutata assumendo = 1. Per
del coefficiente k:
la monoruota di De Lavali esso 4kcos e
k– =
assume valori nell’intorno di 0,5. Il rendimento indicato i è a sua volta espresso in
funzione
Il grafico del rendimento indicato in funzione del coefficiente k è una parabola, con
conca- vità rivolta verso il basso, passante per l’origine e avente il vertice, quindi il valore
massimo, in corrispondenza del valore kopt = ½ cos e. In tale condizione il rendimento è
massimo e vale

i,max= cos2 e.
Esempio
Calcolare la velocità periferica u e il rendimento indicato hi assumendo la condizione di k
ottimo, l’angolo di ingresso e = 18° e la velocità del vapore entrante, trascurando gli attriti,
vale ve = 500 m/s.
Soluzione
Il reInldciomeeffnitcoieintdeickaotopt vi:ale 0,475. La velocità periferica u:
0
i = 4kcos ue = kkv– = = 0 475 5400
9
Potenza indicata 0234=7c55om/ss18°475= – e
0
In base al teorema del momento della quantità di moto, la potenza indicata Pi è ricavata in
funzione della portata massica di vapore Gv in [kg/s] per la differenza fra le componenti tan-
genziali delle velocità assolute per la velocità periferica:
Pi Gv vut –
vet u=
Ruota ad azione a salti di velocità
L’adozione della ruota Curtis presenta il vantaggio di un coefficiente di velocità periferica
inferiore; nel caso della ruota a due corone si ha:
cos e
k= ---4-
- - - - - - - --
I quattro triangoli di velocità sono ri p o r ta t i in figura R.109 per la
condizione di rendimento ottimo. La velocità in uscita dalla seconda corona si
presenta orientata in direzione assiale.
R-122 MACCHINE A FLUIDO

Figura R.109 Triangoli delle velocità per la ruota Curtis a due corone in condizioni di
rendi- mento massimo.
Ruota a reazione
L’adozione della ruota a reazione consente di ottenere un rendimento indicato superiore a
quello della ruota ad azione. In condizioni ottimali, con palettaggi simmetrici e col grado di
reazione pari a 0,5, il rendimento indicato i vale:
2 cos2 e
i
=
sin2 e2 –
1
Il generico triangolo di velocità per la ruota a reazione è riportato in figura R.110. La
velo- cità relativa in uscita risulta maggiore della velocità relativa in entrata, a causa del salto
di en- talpia sviluppato sulla girante.
Nel caso del rendimento massimo, la velocità di uscita assoluta vu risulta assiale e il
coeffi- ciente di velocità periferica ottimo vale kopt = · cos e.

Figura R.110 Triangolo delle velocità per la ruota a reazione Parsons.

7.9 Grandezze caratteristiche della turbina e dell’impianto a vapore


Potenze
La potenza P [kW] è pari alla portata massica di vapore Gv [kg/s] che investe il
palettaggio moltiplicata per il salto di entalpia h [kJ/kg] misurabile fra i capi della
macchina:

P Gv h =

Inserendo nella formula il salto di entalpia adiabatico ideale h1 – h2 , che è quindi


isoen- tropico, si ottiene la potenza termica teorica Ptt. Inserendo invece nella formula la
portata mas- sica effettiva di vapore Gve [kg/s] che realmente investe il palettaggio, al netto
delle perdite per trafilamento, e il salto di entalpia reale (h1 h2) decurtato delle perdite di
natura fluidodinami- ca, si ottiene la potenza interna o indicata Pi.
Infine, la potenza effettiva Peff è ottenuta sottraendo alla potenza interna Pi le perdite di
natura meccanica e le potenze assorbite dagli organi ausiliari della macchina: Peff rappresenta
la vera e propria potenza utile della turbina.
IMPIANTI E MACCHINE A
VAPORE

R-123

Rendimenti
Dall’analisi del ciclo termico teorico sul diagramma di Mollier si rileva il rendimento ter-
mico teorico o rendimento ideale tt. È definito come rapporto tra il salto adiabatico isoentro-
pico in turbina e la differenza tra l’entalpia posseduta dal vapore e quella del liquido
all’ingres- so in caldaia. Il prodotto tra il rendimento volumetrico v e il rendimento indicato
i è pari al rapporto tra la potenza interna
vi e lGa vpeotehn1za–
tehr2mica teorica: ------------G=v h1 – h2'
Il rendimento volumetrico v rappresenta la percentuale di portata persa nei trafilamenti;
il rendimento indicato i esprime l’energia perduta nel corso del trasferimento dell’energia
dal vapore all’organo mobile della turbomacchina. Il rendimento meccanico m è espresso
come rapporto tra la potenza effettiva e la potenza indicata; esso indica le perdite per attrito
mecca- nico e per l’azionamento degli organi ausiliari:

m P---
Pi
--= e-f-f -

Il rendimento complessivo è pari al prodotto dei tre rendimenti, ovvero al rapporto tra la
potenza effettiva e la potenza termica teorica:
v i m --e-
-= Pftt-
P
Il rendimento di tutto l’impianto termico f-- I è pari al
rapp=orto tra la potenza effettiva e la potenza teoricamente sviluppata
dalla combustione della portata di combustibile
I P
Gceff:
Gc
Pci=
Consumi
Il consumo orario di vapore Gv, espresso in kg/h, è pari al rapporto tra la potenza
effettiva e il salto di entalpia ideale in turbina, corretto con il rendimento complessivo

Gv Peff
h 1 – h2
=
Il consumo specifico di vapore gv , espresso in kg/kWh, è pari al rapporto tra il
consumo
orario di vapore e la potenza effettiva:
gv
1

=
Gc h 1 – h2
-----= I
Il consumo orario di combustibile GP
c,effespresso
Pci in kg/h, è pari al rapporto tra la
potenza ef- fettiva e il prodotto tra il rendimento dell’impianto e il potere calorifico
inferiore:
R-124 MACCHINE A FLUIDO

Il consumo specifico di combustibile gc, espresso in kg/kWh, è pari al rapporto tra il


con- sumo orario e la potenza effettiva:
1
gc

=
8. COMPRESSORI EI
Principali tipologie
1.
VENTILATORIPci
Nomenclatura
I compressori, le soffianti e i ventilatori appartengono alla categoria delle macchine
opera- trici pneumofore. Sono macchine operatrici che trasferiscono energia di natura
meccanica al fluido aeriforme trattato, al fine di innalzarne la pressione e di imprimergli un
moto. Il rap- porto di compressione è definito come il rapporto = p2/p1 tra la pressione in
mandata p2 e la pressione in ingresso p1.
La differenza sostanziale tra compressori, soffianti e ventilatori risiede nell’incremento di
prevalenza p = p 2 p 1 imposta al fluido: nel caso di prevalenze inferiori a 10 ÷ 20 kPa,
la
macchina è un ventilatore, per prevalenze superiori a 15 ÷ 20 kPa, la macchina è una
soffiante o compressore (fig. R.111). Le soffianti hanno un rapporto di compressione
compreso tra 1,1 e 3, con velocità della girante comprese tra 1500 e 10 000 giri/min.
I compressori hanno rapporto di compressione superiore a 3 e velocità della girante
com-
prese tra 300 e 7000 gir/min.
Una prima suddivisione di massima ripartisce ventilatori e soffianti, a seconda del tipo di
moto impresso al fluido, in aspiranti, prementi, aspiranti-prementi e liberi. I compressori
sono
ripartiti in alternativi, dinamici, a capsulismi; a loro volta i compressori dinamici sono
suddi-
visi in assiali, centrifughi e misti.

Figura R.111 Suddivisione dei campi di lavoro per i ventilatori, le soffianti e i compressori.
8.2 Ventilatori
Applicazioni
I ventilatori sono impiegati per imprimere la circolazione dell’aria, per aspirare fumi, per
il trasporto pneumatico, per l’alimentazione di impianti industriali, di bruciatori e per la
clima- tizzazione degli ambienti.
COMPRESSORI E
VENTILATORI

R-125

Sono macchine generalmente monostadio, con velocità di rotazione massima di 6000


giri/ min. Il lavoro efficace unitario svolto sul gas non supera 17 kJ/kg.
Classificazioni
In ottemperanza alla UNI 7972, sono previste diverse modalità di classificazione, in
base alle seguenti caratteristiche:
-categoria di installazione; ventilatore non collegato a tubazioni (categoria A): da parete, a
impulso; ventilatore collegato a tubazioni: aspirazione libera (categoria B); mandata
libera
(categoria C), aspirazione e mandata collegate (categoria D);
-andamento del fluido nella girante; radiale o centrifugo; assiale o
elicoidale; elicocentrifugo (a flusso misto); tangenziale (a flusso
attraversante);
-pressione; bassa pressione: fino a 0,72 kPa; media pressione da 0,72 a 3,6 kPa; alta
pres- sione: da 3,6 a 20 kPa;
-tipo di servizio; normale, per aria pulita con t < 80 °C; speciale, per gas caldi con t > 80
°C,
a tenuta, per trasporto, resistente all’abrasione o alla corrosione, antiscintilla;
-esecuzione costruttiva e azionamento; aspirazione semplice o doppia; uno stadio o più
stadi
in serie; azionamento diretto al motore, a mezzo giunto, cinghie, ingranaggi;
-secondo il tipo di palettatura della girante; ventilatori radiali: giranti con pale rovesce o
retrograde (angolo di uscita superiore a 90°, fino a max 140°) a profilo alare o a spessore
uni- forme (curve o piane), con pale radiali (angolo di uscita pari a 90°), con pale in avanti
o
dirette (angolo di uscita inferiore a 90°). Ventilatori assiali: giranti con pala a profilo alare o
a
spessore uniforme, a calettamento (passo) fisso o variabile (da fermo o in moto).
In figura R.112 sono riportati i triangoli di velocità entranti e uscenti per una pala in
avanti (marcia diretta con pala rivolta nel senso di marcia) e una rovescia (marcia retrograda
con pala incurvata all’indietro rispetto al senso di marcia ); u è la velocità periferica o di
trascinamento, w la velocità relativa, c la velocità assoluta. Il pedice 1 è riferito alle velocità
in ingresso, il pe- dice 2 alle velocità in uscita.
Figura R.112 Triangoli di velocità per ventilatori radiali; a) a marcia diretta; b) a
marcia retrograda.
Prestazioni
Radiali a semplice aspirazione monostadio: portata in volume Qv = 0,03 ÷ 150 m3/s;
incre- mento di pressione p = 0,1 ÷ 20 kPa. Radiali a doppia aspirazione: le portate sono
circa dop- pie. Radiali a due stadi: gli incrementi di pressione sono circa doppi. Assiali a uno
stadio: Qv fino a un massimo di 200 m3/s; incremento di pressione p fino a un massimo di
3 kPa. Assiali a più stadi, equi- o controrotanti: portate circa uguali, incremento di pressione
p fino a 10 kPa.
R-126 MACCHINE A FLUIDO

Prevalenza e potenza
La prevalenza totale del ventilatore Ht [Pa] è definita come la somma della prevalenza
sta- tica hs e della prevalenza dinamica hd, funzione quest’ultima della sola velocità uscente
c 2, avendo trascurato la velocità entrante c1; considerando, inoltre, che il ventilatore aspira a
pres- sione e temperatura ambiente, si è imposto p = 0, per cui la prevalenza statica è pari
alla pres- sione manometrica in uscita:
1 1
2--- 2 c 2 Ht = hs + hd
hs =hp2
c--22-
d

L’inverso del vo=lum-e-m-2a-ssi-c=o v è pari alla massa volumica e viene


assunto pari a 1,15
÷ 1,21 kg/m3.
La portata in volume Q è pari al prodotto della sezione del condotto A per la velocità
c2
uscente dal ventilatore: P eff Q = QA
in cui la portata La potenzain
è espressa utile
m3o/s,effett
la prevalenza --tPtotale
-i-vc-2aH =eff1[Pa];
[0k0 il W 0 ] al nettomassimo
rendimento del può rag-
rendimento
giungere circa l’80%. vale: R.113 è riportato un grafico esemplificativo delle curve ca-
Nella figura
ratteristiche per un ventilatore centrifugo, a palettaggio incurvato in avanti (marcia diretta),
in riferimento alla velocità di rotazione.

Figura R.113 Curve caratteristiche per ventilatori radiali.


COMPRESSORI E VENTILATORI R-127

8.3 Compressori alternativi


Prestazioni
Il compressore alternativo ha come organo mobile uno stantuffo dotato di moto rettilineo
alternativo azionato da un sistema biella-manovella, con la manovella facente parte
dell’albero motore a gomiti. Il pistone ha una velocità media vm definita come:

vm = 2 C · n

Essa è compresa tra 1 e 5 m/s con punte di 8 m/s. La portata raramente supera i 7 m3/s.
La pressione di mandata va da pochi bar, nei modelli più piccoli, a un massimo di 350 ÷ 400
MPa.
Il principio di funzionamento
Nel ciclo di lavoro ideale nel piano (p,V) di figura R.114a il gas, aspirato dall’azione
di
pompaggio eseguita da parte dello stantuffo durante la corsa di aspirazione 1 ÷ 2, transita
attra- verso la valvola di aspirazione VA; nella corsa successiva il gas viene compresso
adiabatica- mente nel tratto 2 ÷ 3 fino all’apertura della valvola di scarico VS; nella restante
parte della corsa di ritorno 3 ÷ 4 il compressore funziona da pompa premente e invia il
gas compresso nel collettore di scarico.

Figura R.114 Ciclo di lavoro di un compressore alternativo: a) ideale; b) ideale con


spazio morto; c) reale.
R-128 MACCHINE A FLUIDO

Nel ciclo di lavoro ideale di figura R.114b sono evidenziati il volume di spazio morto, o
nocivo, Vm e la cilindrata Vc pari al volume spazzato dal pistone in una sua corsa tra i punti
morti PMI e PMS. Il rapporto fra il volume di spazio morto e la cilindrata vale 3 ÷ 5%.
Il
ci- clo reale o indicato, che tiene conto degli scambi di calore con le pareti e delle inerzie
nelle valvole, è riportato in figura R.114c.
Potenza e portata
Ipotizzando il ciclo ideale con volume di spazio morto nullo, l’area del ciclo si estende in
orizzontale tra l’asse delle ordinate e il tratto di adiabatica compreso tra la pressione iniziale
p1 e la pressione finale p2: essa rappresenta
p2 ilk lavoro termico
–kteorico
--1- Lid [J/kg] svolto dal
sistema per comprimere il gas.
Lid p1v dp –---------1- R
-----=T il lavoro unitario
Nel caso di una compressione isoterma,
k =
vale: 1k1–
Lid = R · T1 · ln
A pari rapporto di compressione, il lavoro isotermo è inferiore al lavoro adiabatico.
L’area racchiusa dal ciclo indicato rappresenta il lavoro indicato per un ciclo Li; la pressione
media indicata pmi è pari al rapporto tra lavoro indicato e cilindrata:
Li

pmi V=
La potenza indicata Pi [W] è funzione della pmi,
c della velocità di rotazione n, dell’alesag-
gio d e della corsa c:

pmi d42
n
Pi 60
c =-----
Il rapporto corsa su alesaggio c/d vale in genere 1,2 ÷ 1,5. La potenza
effettiva Peff è
Pi
otte- nuta dalla potenza indicata Pi a meno dei rendimenti indicato e meccanico:
P eff
---- = i
La portata in massa G [kg/s] reale è proporziomnale alla
cilindrata, alla massa volumica pos- seduta dal gas in ingresso e alla
velocità di rotazione:
G
=
V1 – V4
v = ----------------
v Vc 1k/ – 1
in cui v è il coefficiente di riempiment
dotto e della cilindrata: 1= Voc1che tiene conto del volume di gas realmente
intro- n
La potenza effettiva Peff è pari al prodotto della portata–reale per il lavoro indicato,
divisi GLi
per i rendimenti indicato e meccanico: P eff
---- = i
m
COMPRESSORI E
VENTILATORI

R-129

Nel caso di compressori pluristadio con rapporto di compressione totale non inferiore a 6,
si adotta il frazionamento della compressione fra due o più cilindri, montati a V oppure coas-
siali: in questo secondo caso è possibile utilizzare un unico pistone a diametri diversi, detto
stantuffo a gradini, avente il diametro maggiore per il primo stadio, minore per il secondo, via
via decrescente per gli eventuali stadi successivi. La suddivisione del rapporto di
compressione totale in rapporti parziali da attribuire ai vari stadi è calcolata in modo che ogni
stadio assorba il medesimo lavoro unitario di compressione. Siano il rapporto di
compressione totale e i il numero di stadi: il rapporto di compressione parziale i vale:
i=i
8.4 Compressori dinamici
Classificazioni e componenti principali
L’organo motore è la girante in forma di corpo palettato rotante (rotore) montato
sull’albe- ro motore. Nei compressori centrifughi il rotore ha la forma di disco con pale
radiali prolunga- te in avanti assialmente; similmente ai ventilatori, la pala può presentarsi
con andamento rettilineo radiale, retrogrado, diretto.
Il gas viene aspirato assialmente poi devia radialmente di 90°. All’uscita dalla girante
cen- trifuga il gas entra con alta velocità (200 ÷ 300 m/s) in statore ove riduce la velocità
e aumenta
la pressione.
Il rapporto di compressione per stadio raramente supera = 3. Le portate giungono fino a
100 m3/s, le potenze fino a 15 MW. Nei piccoli turbocompressori per la sovralimentazione
dei motori endotermici il regime di rotazione supera i 100 000 giri/min. La deflessione della
cor- rente gassosa sulla girante è causa di perdite per attrito fluidodinamico, per cui il
rendimento complessivo si assesta sullo 0,8.
Costruttivamente si distinguono a seconda della struttura dello statore, che può essere a
cassa aperta o a bicchiere (barrel): nel primo caso la cassa è formata da due semigusci uniti
sul piano meridiano orizzontale, nel secondo è in pezzo unico cilindrico con due coperchi
flan- giati alle estremità (barrel) o uno solo (bicchiere); la soluzione a cassa aperta è usata
fino a pressioni massime di 70 bar e portate fino a 300 000 m3/h; la seconda è adatta per
macchine
multistadio per pressioni elevate, fino a 700 bar.
Per grandi portate talora si ricorre a più giranti parallele di piccola dimensione mosse da
un unico albero motore. Per i più alti rapporti di compressione si adotta la soluzione multista-
dio. In figura R.115 è riportata una girante centrifuga con pala risvoltata in prossimità del
moz- zo.

Figura R.115 Girante centrifuga con pale radiali.


R-130 MACCHINE A FLUIDO

Nei compressori assiali il flusso procede assialmente lungo gli stadi.


Ogni stadio è formato da una corona di pale fisse (statore) alternata a una corona girante
(rotore); gli stadi sono posizionati in serie; ognuno conferisce al gas un incremento di pressio-
ne e una riduzione di volume, per cui lo sviluppo radiale delle pale si va riducendo man
mano che il gas si avvicina all’uscita.
In figura R.116 è riportato un compressore assiale multistadio. Nei compressori
multista-
dio si definisce grado di reazione il rapporto tra l’incremento di entalpia realizzato sul
hdio. Mediamente si aggira intorno allo
roto- re e l’incremento di entalpia di tutto lo sta rotore

0,5. hrotore + hstatore


I compressori assiali sono imp=iegati per le più elevate portate a rapporti di
compressione medio-bassi: le portate variano da pochi m3/s, a migliaia di m3/s fino a 1 500
000 m3/h in cam- po aeronautico.
I rapporti di compressione sono compresi tra 4 e 16 con valori massimi di 20, in casi
ecce- zionali di 40. Il numero di stadi è molto elevato, anche superiore alla decina; su
ogni
singolo stadio il rapporto di compressione è di lieve entità (1,1 ÷ 1,4), il che consente
lievi deflessioni della corrente gassosa con rendimenti elevati, dell’ordine di 0,9.

Figura R.116 Compressore assiale aperto a otto stadi.


Esistono soluzioni miste formate da un corpo in bassa pressione di tipo assiale montato
sul medesimo albero con un corpo centrifugo bistadio; il sistema è interrefrigerato.
Campi d’impiego
I compressori dinamici sono utilizzati in campo industriale (settore chimico, siderurgico,
impianti a bassa temperatura), nelle centrali di pompaggio, nelle centrali termoelettriche, nei
motori turbogas.
Triangoli delle velocità nel compressore centrifugo
I triangoli di velocità sono analoghi a quelli dei ventilatori radiali a marcia diretta o retro-
grada riportati in figura R.112, in cui sono tracciate le velocità assolute c1 entrante e c2
uscen- te: ciascuna di esse corrisponde alla somma vettoriale tra la propria velocità periferica
u = · r (velocità di trascinamento) e la corrispondente velocità w parallela al profilo palare
(velocità relativa).
Nel caso del palettaggio a marcia diretta la velocità uscente c2 risulta maggiore rispetto al
palettaggio retrogrado. In figura R.117 è riportato il triangolo di velocità in uscita per un
palet- taggio a marcia diretta, con evidenziata la scomposizione della velocità c 2 nelle sue
compo- nenti radiale e periferica c2t.
COMPRESSORI E VENTILATORI R-131

Figura R.117 Triangolo di velocità per una pala a marcia diretta di


un compressore centrifugo.

Triangoli delle velocità nel compressore assiale


La figura R.118 riporta lo schema di un palettaggio di ingresso, un rotore R1, uno statore
S1. La velocità in ingresso nel compressore è indicata con cs ed è ipotizzata perfettamente as-
siale. La velocità angolare è , cui corrisponde la velocità di trascinamento u riferita al raggio
medio rm. I profili delle pale di rotore e statore realizzano un grado di reazione = 0,5.
Sempre nella figura R.118 sono tracciati i triangoli di velocità negli spazi compresi tra le
schiere dei palettaggi, con evidenziati i profili ricavati sezionando le palette mediante un
piano cilindrico di raggio pari al raggio medio successivamente sviluppato in piano. Nella
figura
R.118 sono tracciati i triangoli di velocità agenti sui profili della pala rotorica R1 e statorica
S1.
La velocità assoluta del gas c1 è scomposta nelle sue componenti periferica u e relativa
w1 in ingresso in rotore. L’angolo 1 corrisponde all’angolo di uscita del profilo palare della
pri- ma corona statorica mentre 1 corrisponde all’angolo di ingresso del profilo della pala
rotori- ca. L’angolo 2 è l’angolo di uscita della velocità assoluta c 2 dal rotore, 2 corrisponde
all’angolo di inclinazione del profilo palare rotorico all’uscita.
La velocità cx è la componente assiale della velocità assoluta, ovviamente costante lungo
tutto il profilo rotorico, in entrata come in uscita. Gli angoli s e r indicano la variazione di
direzione tra le velocità assolute e le relative tra ingresso e uscita da rotore. La velocità c
2
viene raddrizzata a c3 = c1 nello statore S1.

Figura R.118 Triangoli di velocità e profili palari per un compressore assiale.


R-132 MACCHINE A FLUIDO

Potenze e lavori
La potenza indicata Pi è espressa mediante l’equazione di Eulero in cui compaiono le
com- ponenti tangenziali delle velocità in entrata e in uscita; la Pi rappresenta la potenza
trasmessa dalla girante al fluido:
Pi

G c2t –
1ti
u=cP
2t –
i
L
mentre il lavoro indicato Li (la-vcoro Geuleriano)
--- u=
è pari al rapporto tra la potenza indicata
e la pIoprottaitzazmanadsosilcaa:compressione adiabatica, il
=

lavorc o1caso
Nel itndicato
ideale: può essere espresso in forma di variazione di
entalpia. Li = h2id –ch1 =
p T2id –
e nel caso reale: T1
Li = h2re –ch1 =
p T2re –
Nel caso frequente in cui la velocità entrante c1Tr1isulti
circa radiale, la sua componente tan- genziale tende ad annullarsi, per cui la
formula della potenza indicata si semplifica come se- gue:
Pi G c2t u =

e meccaLniacop:otenza
Peff -Peff è ottenuta dallaPpiotenza
effettiva
indicato ----------
indicata Pi a meno dei rendimenti
Proporzionamento ---i = m
Il proporzionamento delle giranti centrifughe, in particolare per quanto riguarda i rapporti
fra i diametri, è espresso dalle relazioni riportate in tabella R.21, riferite a tre tipi di giranti
rap- presentate in figura R.119

Figura R.119 Proporzionamento giranti centrifughe: a) con controdisco e diffusore non pa-
lettato; b) con controdisco e diffusore palettato; c) senza controdisco e diffusore
palettato.
R-134 MACCHINE A FLUIDO

pressione di mandata è limitata a 1,6 ÷ 1,7 bar. La portata è circa proporzionale al numero di
giri, specie nell’intorno del regime di targa, dato che il rendimento volumetrico decade ai
regi- mi più bassi e più elevati.

Cerchio
base Epiciclo

Epicicloide

Figura R.121 Compressore Roots a lobi.


Il compressore a vite è formato da una cassa entro la quale ruotano senza toccarsi due o
più viti a fianchi elicoidali (fig. R.122). Il gas riempie i canali compresi tra le viti spostandosi
in direzione assiale verso il fondo del compressore ove è posizionato il collettore di scarico.
Le portate arrivano a 60 000 m3/h con pressioni di mandata massime di 25 bar per il
mono-
stadio, di 40 bar per il bistadio interrefrigerato. La velocità di rotazione è compresa tra
2000 e 25 000 giri/min. I rendimenti interno e volumetrico risultano elevati, rispettivamente
0,85 e 0,90.

Figura R.122 Compressore a vite.


8.6 Compressione interrefrigerata
Essendo il lavoro di compressione adiabatico proporzionale alla temperatura finale rag-
giunta dal gas, risulta conveniente realizzare un raffreddamento intermedio (intercooling) con
conseguente diminuzione del volume massico.
La sottrazione di calore avviene tramite scambiatori, che utilizzano come fluido
refrigeran-
te aria ambiente oppure acqua. La pratica risulta conveniente per rapporti di compressione
su- periori a = 6.
Negli impianti centrifughi multistadio, l’interrefrigerazione del gas avviene
mediante
ac-
qua, che transita in condotte ricavate all’interno dello statore in prossimità dei canali di
ritorno; nei compressori alternativi è presente uno scambiatore esterno in cui transita il gas
parzialmen- te compresso prima di entrare nello stadio seguente.
In figura R.123a è riportato lo schema a blocchi di un compressore a tre stadi (9, 10, 11)
con due interrefrigeratori (6,7); il diagramma di figura R.123b pone a confronto le
compressio-
COMPRESSORI E
VENTILATORI

R-135

ni adiabatiche non refrigerata 1-2-4 e refrigerata 1-2-3-4 con pressione intermedia pi, c on in
evidenza la riduzione di area 2-3-4-4 che si ottiene in seguito al raffreddamento.

Figura R.123 Schema di una compressione interrefrigerata a) schema a blocchi (1-2, 6-5,3-4
compressioni adiabatiche); b) le trasformazioni in diagramma (p,v).
8.7 Mappe dei compressori dinamici
Grandezze principali
Le grandezze che definiscono il funzionamento e le prestazioni di un compressore
dinami- co sono: il rapporto di compressione, la velocità di rotazione, la portata volumetrica,
il gas compresso, il rendimento totale, la potenza effettiva Peff.
Curve caratteristiche
L’insieme delle curve caratteristiche è rappresentato in un diagramma in forma di mappa
(mappa del compressore): in ascisse vi è la portata relativa (rapporto tra la portata generica G
e la portata volumetrica G0 di targa), in ordinate il rapporto di compressione bo = p2/p1 (o il
rap- porto di compressione relativo / 0); vi compaiono il punto di funzionamento di progetto
P0, le linee isorendimento continue sottili nelle figure R.124a e b intersecate dalle curve a
velocità relativa n/n0, ove n0 è la velocità di progetto.

P0

P0

Figura R.124 Mappe dei compressori: a) centrifugo; b) assiale.


R-136 MACCHINE A FLUIDO

Funzionamento instabile
Il limite sinistro della mappa è delimitato da una linea di frontiera detta linea di pompag-
gio, oltre la quale il funzionamento diviene irregolare con rischi di danneggiamento grave. I
fe- nomeni di instabilità sono riconducibili a due tipologie principali: il pompaggio e lo stallo
rotante. Il pompaggio consiste in un’onda di pressione che si propaga all’indietro lungo la
con- dotta del gas in uscita quando la portata subisce forti diminuzioni, costringendo la
macchina a lavorare con un rapporto di compressione ridotto. Lo stallo rotante è dovuto al
distacco della vena fluida dal dorso del profilo palare in occasione di brusche riduzioni di
portata, creando un campo di depressione sulla pala che induce vibrazioni intense. Entrambi i
fenomeni sono da considerarsi pericolosi per il funzionamento della macchina.

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