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CAPITOLO 0
UNITÀ DI MISURA
La conoscenza scientifica si fonda sulla misura delle grandezze fisiche. Misurare una grandezza
significa esprimere il rapporto tra entità di una proprietà dell’elemento in esame (per es. la
lunghezza, il peso) e l’entità di un’analoga proprietà di un elemento preso come riferimento.
La scelta dei campioni metrici deve rispondere ai seguenti 4 requisiti, anche se sono tutti
riconducibili alla seconda, in quanto una misura è corretta se credibile e riproducibile (operando
nelle stesse condizioni in cui abbiamo operato noi, un secondo operatore deve trovare gli stessi
numeri):
- Precisione
- Riproducibilità
- Accessibilità
- Invariabilità
NB:
- La grandezza fisica che muove i flussi elettrici (elettroni) è la differenza di potenziale
elettrico nel verso del gradiente negativo dei potenziali elettrici (dal più alto al più basso).
- La grandezza fisica che determina un passaggio di calore è la differenza di
temperatura. Il flusso del calore si muove nel verso del gradiente negativo della
temperatura.
CAPITOLO 1
COORDINATE TERMODINAMICHE
Le coordinate per un sistema di equilibrio termodinamico sono le variabili: T, p, v (volume
specifico, nonché volume per unità di massa: m^3\kg).
- Sono grandezze direttamente misurabili con i relativi strumenti di misura;
- L’equazione o funzione di stato, se esiste, è il legame fra le 3 coordinate, del tipo:
f (T, p, v) = 0
- La funzione di stato più semplice è la legge dei gas (Boyle-Mariotte) che rappresenta il
legame matematico fra le 3 variabili:
pv – RT = 0
- Le funzioni di stato permettono la scrittura sintetica delle leggi della fisica e sono:
1. Energia interna U
2. Entropia S
3. Entalpia H grandezza fisica di cui gli ingegneri si servono maggiormente.
4. Potenziale di Gibbs G
5. Potenziale di Helmotz F
Però, essendo per noi interessante il flusso termico che i due fluidi si scambiano, cambiamo il
VC:
In questo caso abbiamo sempre un sistema aperto
descrivibile dalla relazione funzionale delle grandezze
fisiche in gioco, del tipo:
f (Q12, m1, X1i, X1u) = 0
Risulta banale che in uno scambiatore di calore il Q12
sia diversamente nullo, altrimenti non ci sarebbe
scambio di calore fra i due fluidi.
Come notiamo dal VC risulta visibile il flusso termico
che il fluido 1 scambia con il 2 questo ci fa capire
che cambiando il VC, cambia il punto di vista e di
analisi.
Può capitare che entrano 2 masse e ne escono 3 o viceversa in questo caso le masse si sono
fuse\divise. Come generalizzo la scrittura?
Detta gi un’eventuale produzione di massa generata all’interno del VC, si può dare la seguente
espressione
generale:
gi˙ rappresenta
eventuali sostanze
formate a seguito di una trasformazione chimica all’interno del VC. A volte possiamo considerare
questo termine superfluo se ha origine nella ∑mi ed integrarlo ad essa.
In termini finiti:
𝟐
lrev = ∫𝟏, 𝒑𝒅𝒗
CASI NOTEVOLI: calcolo del lavoro reversibile per sistemi chiusi con gas ideali
- Legge dei gas ideali: pv = RT
2
- Processo isobaro: p = cost lrev = ∫1, 𝑝𝑑𝑣 = p (v2 – v1)
2
- Processo isocoro: v = cost lrev = ∫1, 𝑝𝑑𝑣 = 0. In questo caso per ottenere lavoro devo
ridurre il volume;
2 2 2
- Processo isotermo: T = cost (p=RT\v) lrev = ∫1, 𝑝𝑑𝑣 = ∫1, 𝑅𝑇\𝑣𝑑𝑣 = RT ∫1, 𝑑𝑣\𝑣 =
𝑹𝑻 𝐥𝐧 𝒗𝟐\𝒗𝟏
- Processo politropico: pv^n =cost ( p = (p1v1^n)\ v^n )
𝟐 𝟐 2
lrev = ∫𝟏, 𝒑𝒅𝒗 = ∫𝟏 ((p1v1n )\ v n )dv = p1v1n ∫1, dv\v n = (p1v1n )\(n − 1) (1 +
− (p2\p1)n−1\n ) = (𝐑𝐓\𝐧 − 𝟏) (𝟏 − (𝐩𝟐\𝐩𝟏)𝐧−𝟏\𝐧
Notiamo che:
A parte i punti 1 e 2, estremi del processo con lavoro uguale, le espressioni del lavoro risultano
diverse per ogni processo. Ciò conferma che il lavoro dipende dal tipo di processo (isobaro,
isocoro, ecc.), dunque non è funzione di stato.
LAVORO PER SISTEMI APERTI
Analizziamo il caso più elementare di sistema aperto: il tubo di
flusso che interagisce con l’esterno, da cui si azionano le ventole
provocando, a loro volta, il movimento della massa; in questo modo
si ottiene lavoro meccanico l’.
- Q ed L vanno intesi come calore e lavoro reali complessivamente scambiati fra sistema e
ambiente, ossia: singolarmente non sono funzioni di stato, ma lo è la loro differenza.
- Bisogna differenziare il Q ed L entrante ed uscente Q = ∑𝑘 𝑄𝑘; L = ∑𝑗 𝐿𝑗
- A ciascun termine Qk e Lj verrà attribuito un segno positivo o negativo secondo la seguente
convenzione:
𝑄𝑘 > 0 → 𝑠𝑒 è 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 𝐿𝑗 < 0 → 𝑠𝑒 è 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒
{ {
𝑄𝑘 < 0 → 𝑠𝑒 è 𝑢𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒 𝐿𝑗 > 0 → 𝑠𝑒 è 𝑢𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒
- Equazione del primo principio per sistemi chiusi espressa per unità di massa:
∆w2
q – l = ∆u + g∆z + (J\kg) (1)
2
- L’energia interna ∆U è tipica dei sistemi chiusi, mentre l’entalpia ∆H è tipica dei sistemi
aperti.
- Le espressioni del primo principio (per sistemi chiusi e aperti) valgono in generale, quindi
anche per sistemi reali irreversibili.
- In nessuna delle due espressioni figura il termine che esplicita le irreversibilità del sistema
(attrito, effetti dissipativi, ecc.). Questi effetti vanno pensati inclusi nel termine Q, perché la
manifestazione sensibile degli attriti è il calore.
- L’energia interna U e l’entalpia H sono funzioni di stato e dunque definite a meno di una
costante arbitraria; in particolare all’entalpia H (∆h = h – h0) si attribuisce il valore zero
(h0=0) nelle seguenti condizioni:
In cui:
P= ṁ l’
Q˙
Possiamo assimilare l’energia meccanica a quella elettrica, perché numericamente cambia poco.
Per un sistema attraversato da 1, 2, 3…n deflussi, si ha l’equazione di energia per i sistemi
stazionari:
∆𝐰 𝟐
Q˙ - P = ∑𝒏𝒌=𝟏 ṁ𝒌 (∆𝐡 + 𝐠∆𝐳 + )𝒌
𝟐
∆𝐰 𝟐
In cui: ∆𝐡 rappresenta i termini entalpici; 𝐠∆𝐳 quelli gravimetrici e 𝟐
rappresenta i termini cinetici.
Se le correnti fluide si mantengono distinte le une dalle altre, ossia in assenza di mescolamenti o
separazioni, bisogna generalizzare con una nuova espressione del primo principio.
w22
E (𝜏 + ∆𝜏) = ∆m2 (u2 + p2v2 + gz2 + ) + Evc (𝜏 + ∆𝜏)
2
Dunque:
w22 w12
Q – L = ∆m2 (u2 + p2v2 + gz2 + ) + Evc (𝜏 + ∆𝜏) - ∆m1 (u1 + p1v1 + gz1 + ) + Evc(𝜏)
2 2
- Dividendo per ∆𝝉 primo e secondo membro e passando al limite per ∆𝜏 → 0, si ottiene che :
wj2 wk2 dEvc
Q˙ - P = ∑𝑑𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑢𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑖 ṁ𝑗 (hj + gzj + 2
) − ∑𝑑𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑖 ṁ𝑘 (𝑘ℎ + 𝑔𝑧𝑘 +
2
)+
𝑑𝜏
𝐝𝐄𝐯𝐜
Questo termine rappresenta l’energia che si accumula nel VC nell’intervallo di tempo.
𝒅𝝉
3. CORPO UMANO si comporta come una stufa che emette le kcal assunte in forma
alimentare sotto forma di calore.
BILANCI ENERGETICI DI UN LOCALE
- Bilancio energetico sull’ambiente: il calcolo della potenza termica del radiatore (Qimp) è
rimandato al
calcolo del calore
trasmesso
attraverso le pareti
(Qtr) all’involucro
edilizio.
- Bilancio energetico sul radiatore: qui abbiamo un unico deflusso, perché c’è una portata in
transito nel VC; dunque figura un termine nella sommatoria.
Trascurando i termini cinetici e gravimetrici scopriamo che il calore erogato dal radiatore è pari a:
-Q˙imp ≅ ṁ (h2 – h1)
Da questa relazione è possibile ricavare una serie di dati utili ai fini del dimensionamento del
sistema di riscaldamento, come la portata attraverso il radiatore. Dunque devo sapere la portata
che la caldaia riesce a sostenere stabilendo le sezioni dei tubi con le equazioni di continuità:
1) Portata ṁ = Q˙imp \ (h1 – h2) = Q˙tr \ (h1 – h2)
2) Equazioni di continuità Sezione: S = ṁ \ ϱw = π𝛟𝟐\4; Diametro: 𝛟 = √(𝟒ṁ\𝛑 𝛠𝐰
Lezione 07 ottobre 2020
CAPITOLO 1
CARICO TERMICO DI UN LOCALE
Caso esempio interessante che vede come oggetto d’indagine le problematiche di tipo energetico
relative all’edificio.
Si rappresenta l’ambiente fisico confinato di uno spazio costruito. Si evidenziano le icone: del
soggetto umano, del radiatore, della lampada e l’involucro edilizio, costituito dalla parte muraria e
quella vetrata.
Caso invernale
- Individuiamo i flussi di
energia e di massa che
attraversano il VC.
Vediamo le grandezze entranti:
In questo caso (invernale) il
radiatore eroga calore (Qimp);
le persone erogano calore
metabolico in ambiente, come
se fossimo sorgente termica
(Qint); i flussi termici indotti
dalle lampade riversano in
ambiente sotto forma di calore
tanta energia quanta ne assorbono dalla rete in forma elettrica per il principio di conservazione;
attraverso la parete muraria, a seguito della differenza di T (interna ed esterna), c’è un flusso
termico osservabile sul VC (Qtr). Mentre la parte vetrata, oltre ad essere attraversata dal Qtr, è
sede anche di un flusso termico entrante, dovuto alla radiazione solare (Qsol) e di un flusso di
massa (deflusso, mv) legato all’aria di infiltrazione secondo cui, tanta aria entra nelle condizioni in
cui si trova all’esterno (freccia “e”), tanta ne esce nelle condizioni in cui si trova all’interno (freccia
“i”).
- Stabiliamo il bilancio energetico esplicitiamo l’equazione del 1 principio rispetto al VC che
abbiamo fissato.
Espressione generale: Q- P = ṁ x (termini entalpici, gravimetrici e cinetici)
- A primo membro esplicitiamo il Q e il P: P è rappresentativo delle potenze meccanico –
elettriche, ma nel nostro caso non compaiono nel VC. Q è il calore complessivamente
scambiato fra il sistema e l’ambiente.
Riconosciamo le grandezze di tipo Q entranti nel sistema: il Qimp, il calore che il radiatore
deve erogare, il Qint (costituito dalle persone e le sorgenti luminose, elettrodomestici,
chiamato calore endogeno, perché si sviluppa all’interno) ed il Qsol.
La grandezza uscente è il Qtr, per il fatto che all’interno ci troviamo ad una T > Test (avendo
detto che il calore si trasmette nel verso del gradiente negativo della T, il calore passa dalla T
più alta a quella più bassa); dunque il Qtr è negativo.
- A secondo membro supponiamo di trascurare i termini gravimetrici e cinetici rispetto al
termine entalpico, ritenendolo il termine dominante che moltiplica l’unico deflusso, quello
dell’aria (mv), che esce nelle condizioni interne (hi) ed entra in quelle esterne (he).
Questo secondo membro, in cui figura il prodotto del salto entalpico e della portata d’aria che
entra (kilisecondo/kiliora), è rappresentativo di un altro contributo energetico che chiamiamo
calore di ventilazione, Qv. Sarà positivo perché hi > he.
Q˙imp + Q˙int + Q˙sol – Q˙tr = ṁv (hi – he) = Q˙v
- Riordiniamo questa equazione in modo tale che a primo membro figuri Qimp (carico
termico del locale: il calore che devo immettere, in inverno, o estrarre, in estate, dal locale
per mantenerlo in condizioni termico-metriche assegnate, per ora riconducibili solo alla T,
parametro più importante).
Q˙imp = Q˙tr + Q˙v – (Q˙int + Q˙sol)
Questa relazione ci dice che ci sono due blocchi di termini contrapposti (separati dal segno
meno, due positivi e due negativi). Il Q˙tr e il Q˙v identificano il calore disperso (in uscita),
mentre il Q˙int e il Q˙sol sono guadagni termici.
Ne deduco che il radiatore deve erogare tanta energia quanta ne è rappresentata dalla
differenza fra quello che esce e quello che entra (anche accidentalmente, come il calore
endogeno e i guadagni solari).
SCAMBIATORI DI CALORE
Prima (lezione 06 ottobre) abbiamo annunciato il tipo di funzione che avremmo potuto scrivere
mettendo insieme gli elementi evidenti sul VC, adesso abbiamo la forma esplicita dell’eq. del 1
principio:
CASO 1: Il VC comprende tutto il corpo dello scambiatore descritto dal seguente sistema di 4
equazioni:
Qui c’è un solo deflusso
energetico scambiato con
l’esterno, vi è il termine delle
dispersioni termiche (termini
gravimetrici e cinetici) del
corpo dello scambiatore, ma
se questo è ben coibentato
possiamo trascurarlo e
considerarlo come fosse
adiabatico. Non ci sono
potenze meccaniche ed
elettriche (P=0).
Sono presenti 2 deflussi o portate del fluido primario, quello che percorre i tubi all’interno, e del
fluido secondario che li lambisce dall’esterno (n=2).
Rispetto a quanto detto l’espressione precedente diventa:
∑ ṁ𝒌 ∆h𝒌 = 0 => ṁ1(hu – hi)1 + ṁ2(hu-hi)2 = 0
Espressione matematica che lega i termini attraverso il 1 principio (diventerà una delle espressioni
costitutive per la descrizione termo-energetica di questo oggetto imprescindibile in ogni impianto).
Però con questo VC non vediamo un dato importante tramite il quale scelgo lo scambiatore più
adatto al mio impianto, la potenza termica (o taglia) dello scambiatore che si scambiano i due
fluidi. Questo perché il calore che si scambiano i due fluidi non ricorre sul VC scelto.
CASO 2: Qui compare il calore scambiato fra i due fluidi, il Q12. Il sistema del primo principio
diventa il seguente.
C’è solo un
deflusso (n=1);
trascuriamo al
solito i termini
gravimetrici e
cinetici rispetto al
termine entalpico
a secondo
membro, dunque
l’espressione
finale sarà:
Q˙12 = ṁ1(hu-hi)1
(A breve vedremo come verrà esplicitato questo salto entalpico)
CASO 3: un semplice tubo apparentemente non inserito in uno scambiatore si può analizzare in
questa chiave.
Questo è il caso dei
condotti che
convogliano acqua
fredda o calda agli
elementi terminali di
impianto di
climatizzazione. Questi
fluidi, caldi o freddi che
siano, trasmettono il
calore alla stanza.
Apparentemente non è uno scambiatore, ma ne è un caso elementare, secondo cui lo scambiatore
è rappresentato solo dal tubo che scambia con un altro fluido, ovvero l’aria.
Le equazioni e la conclusione saranno le stesse, solo che la T dell’ambiante circostante sarà
costante e non variabile come la T del fluido secondario che entra ad una T1 ed esce ad una T2.
LAMINAZIONE
Caso esempio.
Questo processo riguardo i fluidi si verifica tutte le volte che essi passano da una sezione stretta o
da un setto poroso, una valvola, tutti dispositivi che inducono effetti dissipativi (moti caotici delle
particelle, turbolenze…)
EQUAZIONE DI BERNOULLI
Commentiamo la formula finale.
- Con l si indica il lavoro per unità di massa (J\kg);
- Il vdp è un termine che vede un integrale in funzione
del volume e della pressione cui va soggetto il deflusso fra
ingresso e uscita in una data sezione, (vado a valutare la
variazione di volume fra ingresso e uscita in funzione della pressione);
- Il g∆z è il termine gravimetrico, energia potenziale e il ∆w^2\2 è il termine cinetico,
energia cinetica. I delta rappresentano una differenza algebrica (z1-z2; w^1-w^2).
- Lo Ψ rappresenta le irreversibilità e le perdite energetiche associate al deflusso in un
condotto, attribuibili al deflusso di un fluido che provoca delle turbolenze, (ad esempio
quando ogni particella urta con le altre attraverso urti elastici e anelastici; in questi ultimi
una certa dose di energia cinetica si converte in calore), sviluppando attrito. Quest’ultimo
si manifesta sensibilmente come calore, dunque l’energia meccanica (associata alla
velocità del fluido o al suo stato pressorio) si converte in piccole quantità di calore, il quale
le sottrae entità.
Dunque nel termine PSI comprendiamo tutti e soli gli effetti dissipativi, quelli che impediscono al
sistema, arrivato da un punto 1 ad un punto 2, di ripercorrere gli stessi processi al contrario.
Questo perché una parte dell’energia si è dissipata.
Esempi di processi irreversibili:
1. La combustione, perché una volta che il comburente reagisce col combustibile, produce
fumi non potendo più distinguere le due sostanze come all’origine della reazione.
2. La trasmissione del calore, perché il passaggio da una T più alta ad una più bassa avviene
spontaneamente ed indietro spontaneamente non può tornare. L’energia meccanica, una
volta dissipata in calore per effetto dell’attrito, il calore non si riconvertirà mai nuovamente
in essa Perdita irrecuperabile.
3. I fenomeni di isteresi, ovvero quando una struttura elastica supera certe soglie di
deformazione e sconfina nel campo plastico, non può tornare nella sua conformazione
iniziale.
Ritornando all’equazione di Bernoulli, se la somma di questi termini non fosse stata zero, sarebbe
stato irrilevante ai fini della comprensione di questa equazione, perché sarebbero stati comunque
costanti. Cioè, la somma di questi termini quando un deflusso decorre in una sezione, sarà sempre
costante.
Altra legge di conservazione della fisica che mette in evidenza altre categorie di termini come
quello pressorio, gravimetrico, cinetico, lavoro, ovvero tutte le facce dell’energia meccanica e solo
meccanica, perché il calore non compare.
Dunque questa è l’espressione del bilancio energetico dell’energia meccanica del sistema. La
differenza con l’equazione generale del Primo principio sta nella presenza dello PSI, che in quel
caso non figura esplicitamente, ma era compreso nel termine calore o nell’entalpia. Dunque il
termine PSI rappresenta il trait d’union fra primo e secondo principio.
Il v della funzione integranda lo esplicito come RT\p, di cui R e T sono costanti, quindi escono
dall’integrale, quindi risulta solo l’integrale di dp\p, la cui soluzione è il log.
Da qui si capisce che il lavoro reversibile dipende dal log del rapporto fra p1 e p2, allora esso sarà:
- Positivo se p1 >p2 è un lavoro uscente, nonché meccanico (nel caso di una turbina);
cioè se il fluido mi permette un’espansione, allora il dispositivo può offrire lavoro all’uomo;
- Negativo se p1<p2 è un lavoro entrante, cioè voglio la compressione di un gas, perché
sto passando da una p più alta ad una più bassa;
Dunque l’equazione mi dice di fornirci di una macchina che sviluppa lavoro, perché quel
compressore ha bisogno di lavoro meccanico. Dunque prenderemo un motore in cui mettiamo la
benzina; esso svilupperà energia cinetica di rotazione all’albero motore; innestiamo l’albero
rotante nel compressore; facciamo passare il gas e così quest’ultimo uscirà compresso.
Qual è il mio interesse a comprimere i gas? Dato che a seguito di una compressione, il volume del
gas si riduce, si riduce anche l’ingombro del dispositivo di stoccaggio così da risparmiare spazio
fisico e disporre di serbatoi più piccoli e più facilmente trasportabili (gas in bombola). L’unico
prezzo da pagare è il combustibile perché devo mettere un motore per fornire lavoro.
Per processi adiabatici o politropici ottengo espressioni diverse per questo lavoro reversibile, le
quali confermano che il lavoro non è una funzione di stato, perché dipende dal tipo di processo.
CALORI SPECIFICI
Ne esistono di due tipi: quello a volume costante e quello a pressione costante.
Il Cv è definito come variazione dell’energia interna rispetto alla T a parità di volume.
Il Cp è definito come variazione dell’entalpia rispetto alla T a parità di pressione.
Cerchiamo relazioni che legano l’energia interna e l’entalpia in funzione di parametri termo-fisici
misurabili, grandezze di stato che posso esplicitare in funzione di due qualunque delle tre
fondamentali (T, p, v).
- Per l’energia interna scelgo T e v u = u (T, v) e calcolo il differenziale totale du:
Il primo termine (du\dt) a parità di volume è il calore specifico a v costante, Cv ed il resto lo lascio
così.
- Per l’entalpia scelgo T e p h = h (T, p) e calcolo il differenziale totale dh:
L’entalpia per definizione è data da u + pv, ma è chiaro che tutto quello che mette in gioco il
volume lo tolgo, perché sotto il segno di differenziale darebbe un contributo nullo. Dunque rimane il
du\dT a p e v costante, che in particolare a volume costante è uguale al Cv. Quindi per liquidi e
solidi: Cp = Cv.
Quindi posso esplicitare l’entalpia in funzione delle variabili termodinamiche fondamentali (T, v, p),
nel caso di solidi e liquidi, partendo dalla sua definizione: il du vale CdT (inutile specificare il
pedice); il d(pv) diventa vdp, perché essendo la sostanza incomprimibile, v = cost; dunque:
dh = du + d(pv) = CdT + vdp
Da qui nei processi in cui il vdp << CdT: esso sarà trascurabile e l’entalpia, sotto tutte queste
ipotesi (Gas ideali; Deflussi isobari; Sostanze incomprimibili in cui si ipotizza che vdp << CdT),
sarà: dh ≅ Cp dT
Vedremo che per l’acqua: Cp = 4,2 kJ \ (kg K) (chilo Joule al chilo grado Kelvin) e per l’aria:
Cp = 1,0 kJ \ kg K
Lezione 12 ottobre 2020
CAPITOLO 1
PREMESSA
Ricordiamo che l’espressione completa del salto entalpico dipende dal salto di T e p rispetto
all’espressione di carattere generale: dh = du + d(pv) = CdT + vdp;
Ma ci sono altri casi in cui il dh si può ridurre a CdT oltre a quello dei gas ideali. Ad esempio,
quando il vdp dovesse risultare regressivo, cioè di un ordine di grandezza più piccolo rispetto al
CdT; questo si verifica nel caso di deflussi (quelli più analizzati da noi). Nel caso in cui il deflusso
avviene a p cost, il CdT è un’espressione esatta e non approssimata, in tal caso il dp è zero e la
conversione dh = CdT è matematicamente esatta.
In seguito vedremo che l’espressione che adesso abbiamo chiamato “generale” dell’esplicitazione
dell’entalpia (dh = CdT + vdp) è vera solo se non ci sono cambiamenti di stato, perchè essi
metterebbero in gioco il calore latente, quantità energetica non associata al salto di T; dunque
l’espressione risulterebbe errata, perché c’è variazione di entalpia, ma secondo questa formula
non verrebbe registrata; Essa è un’aliquota del calore latente, infatti vedremo in seguito come
generalizzare ulteriormente questa espressione.
Nel caso del VENTILATORE, esso movimenta l’aria o promuove il moto di essa all’interno di un
canale o esegue un ricambio fisiologico; dunque l’aria in uscita ha una sua sovrapressione per
vincere le turbolenze che si sviluppano in caso del cambio di direzione e convergenze di corrente
(tutte perdite accidentali fluido-dinamiche che devono essere compensate con una
pressurizzazione dell’aria a monte).
Dunque il ventilatore ha lo scopo di imprimere energia cinetica all’aria e nello stesso tempo la
comprime in misure diverse secondo le mie finalità.
MISCELAZIONE ADIABATICA
Processo estremamente ricorrente, soprattutto la miscelazione di correnti; adesso analizziamo
quella delle correnti di fluidi convergenti in un punto, in cui essa avviene.
Le ipotesi per studiare il fenomeno sono:
1. Il deflusso dev’essere innanzitutto isobaro, perché se metto a contatto due ambienti a p
diversa, il processo avviene così rapidamente da scoppiarci tutto fra le mani. Se così non
fosse all’origine, devo depressurizzare uno dei fluidi.
2. Processo tanto rapido da poterlo considerare adiabatico.
3. Al momento voglio studiare il processo in condizioni stazionarie.
4. Trascurabilità dei termini cinetici e gravimetrici rispetto ai termini entalpici.
Il VC che mi conviene fissare è quello che circoscrive il punto
di miscelazione.
Le leggi della fisica che devo mettere in gioco sono il principio
di conservazione della Massa e dell’Energia.
Bilancio di massa
Se la miscelazione avviene fra queste due sole correnti, la
portata uscente (massa per unità di tempo) è pari alla somma
delle portate entranti: ṁ3 = ṁ1 + ṁ2.
Bilancio di energia
L’equazione a cui conviene riferirci è quella generalizzata, in quanto ci troviamo nel caso in cui il
numero dei flussi entranti è diverso da quello dei flussi uscenti:
Inoltre, poiché t0 = 0°C, posso scrivere t3 in una forma più semplice rispecchiando l’espressione
dell’entalpia ricavata prima:
ṁF = 0.025 kg \ s ; ṁC = 0.075 kg \ s
- (-Pel) = ṁC Cp (Tc – TF (t di uscita – t di entrata)) = 0.075 x 4.2 x (50 – 10) = 12.6 kW (J\s)
Se moltiplichiamo questi kW per i minuti in cui stiamo sotto la doccia troviamo questi 2.1 kWh che
definiremo energia elettrica consumata nei 10 min (potenza integrata nel tempo); come ultimo
passaggio moltiplichiamo i kWh del costo della corrente elettrica per gli euro al kWh e otteniamo il
costo della doccia:
Questo mi fa pensare, perché la potenza massima istallata in base al contatore a casa nostra
è di 3kW, dunque esso andrebbe in blocco con i 12.6 kW. Il calcolo non è sbagliato, ma questi
sono i kW che dovrebbero essere conferiti all’h2o per poterla portare a 40°C nel momento in
cui passa per la resistenza elettrica. Ciò è dettato dalle leggi di conservazione di energia e
massa.
Ecco il sistema fisico a cui mentalmente mi riferisco:
Nella realtà quelli che noi trattiamo sono gas ideali. I gas di cui ci occuperemo (in primis l’aria)
nelle condizioni operative (in termini di temperatura e pressione) per quanto reali, niscono poi per
presentare un comportamento sico che è veramente assimilabile a quello di un gas ideale. È una
fortuna perché del gas ideale conosciamo praticamente tutto: l’equazione di stato.
Massa molare
di alcuni gas
notevoli.
Vediamo qui
come si
determinano:
basta prendere
il numero
atomico e moltiplicarlo per il numero di atomi di quella data sostanza.
Perché avrei bisogno di una tale formula ? Il gas che arriva a casa nostra (metano), arriva
in condizioni di temperatura variabile (quella che c’è in quel giorno), e pressione sempre
variabile (in base a tanti fattori esterni) più una decina di millibar altrimenti non uscirebbe
dall’ugello. Il gas si paga secondo una tari a espressa in euro al normal metro cubo, per
pagarlo in condizioni standard, che sono quelle normali.
-aperto:
-adiabatico
-reversibile
Se, invece, voglio la relazione tra pressione e temperatura vado ad eliminare il volume
speci co anziché eliminare la pressione.
Posso pensare a una generalizzazione della legge dei gas ideali, cioè
Questa equazione viene detta “equazione della politropica” perché ricapitola tutti i casi
particolari che si possono considerare.
fi
Isoterme e adiabatiche sul piano
Quali di questi due processi mi conviene eseguire o realizzare nell’ottica del risparmio
energetico? certamente quello isotermo.
Ma c’è un piccolo particolare, ovvero che io le compressioni isoterme non le riesco a fare,
perché è un processo tecnicamente impraticabile.
Non le posso fare perché quando io comprimo questo lavoro adiabatico si converte in
calore, e se pretendo una compressione isoterma questo calore lo devo smaltire
altrimenti la temperatura mi aumenta, ma questo della compressione è un processo
talmente rapido che io non riesco a smaltire il calore.
Quindi questo calore che non riesce a uscire dal compressore mi fa diventare un
processo adiabatico, e nel momento in cui questo è un processo adiabatico i problemi
sono quelli, ovvero devo spendere più lavoro rispetto a se il processo fosse stato
isotermo.
fi
fi
fi
fi
Devo cercare di avvicinarmi a quella condizione. Per farlo faccio il processo in due fasi
detti due stadi.
Una prima compressione dal punto 1 al punto 3 lungo l’adiabatica, no a una pressione
intermedia (dunque una compressione adiabatica), poi segue un processo che va dal
punto 3 al punto 4 di tipo isobaro. Ma nel corso di questo processo isobaro che cosa ne
è delle temperature? il punto 4 si trova nella stessa isoterma del punto 1, che è la
condizione iniziale del gas.
In sintesi:
Enunciato di Kelvin-Plank:
“È impossibile costruire una macchina ciclica che trasformi tutto il calore in lavoro.”
Enunciato di Clausius:
“È impossibile costruire una macchina ciclica il cui unico e etto sia il trasporto del calore
da un corpo a temperatura più bassa ad un corpo a temperatura più alta.”
Osservazioni:
1. I due enunciati esprimono delle impossibilità (di solito le leggi siche sono enunciate
con frasi a ermative).
2. Le impossibilità non sono tecnologiche ma siche (concettuali) non possono essere
risolte, superate.
3. Riguardano le macchine cicliche e non i processi aperti o niti.Ma perché dovremmo
convertire una forma di energia in un’altra ? E perché nell’esigenza di convertire una
forma di energia in un’altra dovremmo ricorrere ai processi ciclici? Convertiamo una
forma di energia in un’altra in base alle esigenze. Ci sono diverse forme di energia dal
punto di vista dell’utilizzabilità sul piano tecnico-pratico. Ci sono forme di energia più
versatili e meno versatili. Ecco perché ho L’esigenza di convertire una forma di energia
in un’altra, perché punto a ottenere un’energia per me più utile in quel caso. L’energia
più utile sul piano pratico è l’energia elettrica. Quindi il grande problema è produrre
l’energia elettrica, è il bene più importante della tecnologia. Oggi il problema è anche
produrre energia elettrica minimizzando l’inquinamento ambientale. Per rispondere
alla seconda domanda, noi abbiamo bisogno di energia in forma continua. Per questo
utilizza processi ciclici perché miro a convertire l’energia in forma continua. Qui
incorro nel secondo principio della termodinamica secondo l’enunciato di Kelvin.
4. Le macchine cicliche sono di massimo interesse per l’uomo, ai ni delle possibilità di
conversione il calore in lavoro in forma continua, ossia non intermittente.
5. L’enunciato di Kelvin-Plank riguarda la macchina a ciclo diretto e postula un serbatoio
freddo in cui conferire il calore non convertito in lavoro (esame termico).
6. L’enunciato di Clausius riguarda la macchina a ciclo inverso e postula la fornitura di
lavoro. Parliamo di un processo che in natura non esiste, poiché il calore passa dal
corpo a temperatura più alta a quello a temperatura più bassa. A noi, invece , servono
dei processi che vanno contro natura. Questa operazione si può fare, ma ad un
prezzo, ovvero quello di spendere del lavoro. Dunque la macchina a ciclo inverso
realizza questo processo richiedendo lavoro meccanico da fornire dall’esterno.
7. In ambedue i casi la prestazione della macchina è valutabile attraverso il rapporto tra
energia ottenuta nelle forme desiderate ed energia spesa, denominato: rendimento.
ff
fi
fi
ff
fi
fi
Quindi se abbiamo bisogno di energia meccanica a partire da energia termica, non c’è
nessuna speranza di poter convertire al 100% tutta l’energia termica in energia
meccanica. Dunque una parte residua viene dissipata in un serbatoio termodinamico di
più bassa temperatura.
Cosa si intende per serbatoio termodinamico ad alta temperatura? Una sorgente termica.
Stiamo parlando di energia termica da fornire alla macchina. Questo calore si produce,
per esempio, attraverso la combustione ( reazione chimica di ossidazione).
Per me la sorgente termica è costituita dai prodotti della combustione ovvero i fumi caldi
della combustione.
Cosa si intende per serbatoio dinamico a bassa temperatura? Non è altro che l’ambiente
naturale che molto concentramento identi co in uno dei tre elementi della natura (aria,
acqua e terreno). Il cascame termico è quella quota di energia termica che la macchina
non riesce a convertire in lavoro meccanico, che rilascio a uno di questi tre elementi
naturali. Innanzitutto in aria (come fa la macchina o moto), o in acqua del mare ( come
fanno le grandi centrali termoelettriche).
Abbiamo bisogno di valutare l’e cienza di queste macchine a ciclo diretto sulla base di
un indice di prestazione che chiamiamo rendimento o e cienza, che ha una de nizione
universale.
La def generalissima dell’e cienza: innanzitutto è una dimensionale, ed è data dal
rapporto tra il risultato utile ottenuto in relazione alla spesa energetica. Quindi al
numeratore metto l’energia richiesta dell’utenza (nelle forme in cui la richiede, perché ogni
utenza ha diritto di richiede una forma o un’altra forma di energia in base agli scopi),
mentre al denominatore metto l’energia che la macchina richiede per funzionare ( sempre
nella forma in cui la macchina la richiede) nel caso di cicli diretti la macchina richiede
energia in forma termica (calore), ma ci possono essere cicli in cui ad esempio entra
energia elettrica ed esce energia meccanica (frullatore o asciugacapelli).
L’e cienza della macchina termina che esegue un ciclo diretto, non può che essere
de nita come L/ Q1.
Il pedice C indica il ciclo di Carnot, che ha un rendimento che è dato da 1- T2/T1, e mi
serve per fare il confronto con il rendimento del ciclo reale.
T1 e T2 quando si parla di ciclo di Carnot rappresentano le temperature dei due serbatoi
termodinamici tra i quali lavora la macchina di Carnot, inoltre sono anche rappresentativi
anche delle temperature del uido di lavoro che opera nel ciclo di Carnot.
fi
ffi
ffi
fl
ffi
fi
ffi
fi
T1 è la temperatura del uido quando riceve calore, T2 è la temperatura del uido quando
cede calore. Quindi il T1 rappresenta simultaneamente la temperatura della sorgente e la
temperatura del uido di lavoro.
Ma perché il calore passi al uido di lavoro, tra queste due temperature ci deve essere un
gradiente, una di erenza nita.
Il ciclo di Carnot è talmente ideale, che noi dobbiamo ipotizzare che questa di erenza di
temperatura sia in nitesima, poiché se fosse nita, li si veri cherebbero delle irreversibilità
che farebbero perdere l’idealità al ciclo di Carnot. Dunque è un caso di estrema
idealizzazione.
Devo trovare un ciclo di Carnot che sia equivalente (devono avere qualcosa in comune: le
temperature estreme) a quello reale. Solo così posso confrontare questi due rendimenti, e
mi accorgo che la mia macchina ha sempre un rendimento minore di quello del ciclo di
Carnot. Non può essere mai uguale perché il ciclo di Carnot rappresenta la idealità più
estrema, e a sua volta è un numero minore di 1.
Cosa ci vuole perché il ciclo di Carnot abbia rendimento pari a 1? Deve essere 0 K.
Ma T2 non può essere uguale a 0 k perché in queste condizioni si veri cherebbe
un’energia interna della materia pari a 0, tutti i moti e le vibrazioni molecolari si
pietri cherebbero, ed è improbabile.
Dunque possiamo a ermare che lo 0 k è irraggiungibile, come enuncia il terzo principio
della termodinamica.
Quindi nemmeno il rendimento del ciclo di Carnot può essere uguale a 1 perché
niremmo per contraddire il terzo principio della termodinamica.
Quindi riordinando i termini arriveremo a questo ultimo risultato. Questo è quello che
accade quando consideriamo una macchina termica che opera tra due soli serbatoi
termodinamici.
ffi
ffi
fi
fi
ff
Se ,invece, consideriamo una macchina termica che opera tra più serbatoi termodinamici:
Posso trasformare questo integrale in una somma di termini perché sono tutte quantità
nite e le temperature sono tutte costanti.
Scopro che è violato il secondo principio della termodinamica.
Posso fare anche un’altra veri ca calcolando il rendimento di questa macchina reale Per
poi confrontarlo con il rendimento dell’equivalente macchina di Carnot.
Questo signi ca che il sistema nel suo stato nale nisce per avere un’entropia che è
maggiore di quello allo stato iniziale. Questo è un modo per introdurre il principio di
incremento di entropia dell’universo, perché l’universo è l’esempio più clamoroso di
sistema isolato.
Nell’universo in un qualunque istante temporale, sicuramente si veri cherà un qualche
evento ,naturale o indotto dall’uomo, che porterà il sistema a uno stato diverso dal
momento precedente a quello dell’evento stesso. Dunque nello stato nale l’universo si
trova ad un livello di entropia maggiore di quello nello stato iniziale. L’entropia
nell’universo tende ad un massimo. Questo è il secondo aforisma dil Clausius che
sintetizza in maniera concettuale il portato del secondo principio della termodinamica.
Due sono gli aforismi di Clausius che sintetizzano tutta la termodinamica classica:
1. L’energia dell’universo è costante (L’energia per essere costante vuol dire che è una
dote dell’universo, immutabile nella sua quantità, incorruttibile, eterna).
2. L’entropia dell’universo tende ad un massimo (perché qualunque processo ha luogo in
natura, mi dimostra che c’è una tendenza verso il disordine, il caos, ed è irreversibile).
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
L’attuarsi di un processo denota il passaggio di uno stato di ordine verso uno stato di
disordine, da uno stato di maggiore informazione a uno stato di minore informazione. Per
esempio prima del passaggio del calore, due corpi sono distinguibili in base alla loro
temperatura. Al raggiungimento dell’equilibrio termico non lo sono più perché alla stessa
temperatura. Quando tutti gli squilibri che muovono i processi si saranno risolti, nirà la
vita nell’universo. La natura dunque procede verso il degrado, il disordine e la morte.
Il primo principio della termodinamica è stato subito accolto, in quanto tutti questi
aggettivi ( eterno, immutabile) erano attribuiti anche a Dio.
Il secondo principio della termodinamica, invece, ebbe vita di cile ad a ermarsi presso la
comunità scienti ca, anche se discendeva dall’osservazione della natura.
Equazione dell’entropia
Come abbiamo visto prima, questa è una quantità sempre maggiore uguale a 0, in cui il
caso uguale si riferisce alla pura idealità.
Il pedice sigma serve per ricordare che quello è il Q scambiato attraverso i con ni del
sistema in maniera reale. Se questo valore rappresenta una quantità nita, e non
in nitesima, e la temperatura alla quale avviene lo scambio termico è costante, allora quel
l’integrale diventa una sommatoria di termini del tipo Q/T.
C’è una grande di erenza tra la scrittura del principio di conservazione dell’energia nel
caso di sistemi chiusi e nel caso di sistemi aperti.
L’energia di qualunque tipo in condizioni stazionarie a quale legge risponde ?
In condizioni stazionarie quando abbiamo energia che entra nel sistema, che evolve
secondo certi processi, e dai in uscita un’altra forma di energia. Queste due energie in
condizioni stazionarie sono governate dalla legge “ Ei - Eu =0”, poiché l’energia si
conserva quindi questa equazione mi dice che entra tanta energia quanta ne esce.
fi
fi
ff
fl
fl
Ei - Eu è uguale alla variazione di energia interna
nell’intervallo temporale dato che distingue lo
stato iniziale e dallo stato nale. Ci sarà una
variazione di energia interna del sistema
associata al volume di controllo, in poche parole
questa energia si accumula all’interno del volume
di controllo E nell’istante successivo viene
rilasciata.
Quindi non è vero che il regime dinamico Ei- Eu=0, ma è diverso da zero ed equivale alla
variazione di energia interna del sistema. A sua volta questa variazione di energia interna
del sistema è uguale a :
Dove C è il calore speci co per la massa che c’è all’interno del volume di controllo.
Questo prodotto del calore speci co per la massa del sistema prende il nome di capacità
termica e si simboleggia con C.
Nei casi che tratteremo noi, e molto ricorrenti nella pratica sono costanti quindi Cp per m
lo possiamo levare e all’interno del segno di di erenziale resta solo la temperatura.
Quindi ecco come posso scrivere questo bilancio energetico in regime dinamico:
uno solo le due sommatorie si ridono ad una perché il pedice j e k sono gli stessi.
Quindi si arriva a questa espressione:
La miscelazione è un processo irreversibile, perché è una volta avvenuta i due uidi non si
separeranno più.
Ipotesi:
1. Sistema adiabatico: Q=0
2. Processo isobaro: p=cost
Ora
dobbiamo
calcolare
uno a uno
questi
termini:
Cicli diretti
Nel caso reale il lavoro è dato da quello che si avrebbe se la macchina fosse di Carnot,
meno qualcosa. Questo qualcosa è proporzionale al sigma cioè alla produzione di
irreversibilità. In sigma sono concentrate tutte le imperfezioni tecnologiche della
macchina, Che costituiscono motivo di perdita energetica.
Dunque la produzione di irreversibilità ci danneggia.
Se sigma fosse uguale a zero, ripercorrendo le formule si ritroverebbe tutto quello che si
può scrivere del ciclo di Carnot, lavoro estratto, rendimento, calore rilasciato verso
l’esterno.
Questo calore rilasciato verso l’esterno nel ciclo reale e come quello del ciclo di Carnot
ma in più si aggiunge qualcosa, il quale è il lavoro che perdo e che va nell’ambiente
naturale sotto forma di cascame termico. Quest’ultimo rappresenta l’imperfezione
tecnologica della macchina, che al giorno d’oggi vediamo anche sotto forma di
inquinamento termico.
Chiaramente ci sono altri tipi di inquinamento causato dalle macchina (di ogni tipo) come
quello chimico.
Analisi entropica di processi irreversibili
3. Trasmissione del calore attraverso una parete
Un caso classico è quello di una parete che separa due ambienti, a temperature diverse
si instaura un usso termico. Analizziamo in che misura questo è un processo
irreversibile. Per quanti care l’irreversibilità utilizziamo l’equazione di Clausus.
Inizialmente disegnerei la prima gura della parete che è attraversata dal usso termico
dovuto al salto della temperatura. Lo schema della gura uno è perfettamente uguale allo
schema della gura due. Nella seconda gura c’è un Q2 in più che nella prima non avevo
esplicitato, è chiaro però che Q1 e Q2 sono uguali per il principio di conservazione
dell’energia. Li distinguo con il pedice per scrivere l’equazione di Clausius in maniera più
semplice:
Le quantità moltiplicate da Q sono i rendimenti della macchina di Carnot che operano tra
la temperatura T1 e T2.
Quando le moltiplico per Q ottengo il lavoro.
Il segno meno di mezzo signi ca che la produzione di irreversibilità equivale a una perdita
di lavoro o capacità di compiere lavoro. È come del potenziale energetico che viene
sottratto all’umanità per i suoi utilizzi futuri.
Dunque produrre irreversibilità è un danno termodinamico.
Da qui nasce l’obiettivo da parte dell’ingegnere di ottimizzare i sistemi in maniera tale da
evitare inconvenienti di questo tipo. Si può fare di volta in volta andando a valutare la
produzione di irreversibilità.
Diagrammi (T,S)
L’area di un ciclo termico rappresentato nel diagramma Temperatura Entropia è
proporzionale al lavoro che scambia con l’esterno. Sarà lavoro uscente se il ciclo è
diretto, entrante se il ciclo è inverso.
Rappresentando queste due espressioni nel piano, quella di erenziale mi dice che il
calore elementare ha un equivalente gra co nel rettangolino che ha per base il dS e per
altezza il T. Estendendo questa considerazione a tutta l’area sottesa, mi rappresenta il Q
che il sistema scambia con l’esterno in forma reversibile.
fi
fi
ff
L’area sottesa tra il tratto A C, passando attraverso B, e l’asse delle ascisse rappresenta il
Q che questo ciclo termico riceve dall’esterno .
Mentre l’area sottesa tra il tratto C A, passando attraverso D, e l’asse delle ascisse, anche
questo è il Q che il sistema scarica verso l’esterno.
In sintesi l’area ricompreso all’interno del ciclo rappresenta la di erenza tra Q1 e Q2, che
in un ciclo termico è uguale al lavoro.
È lavoro positivo o se si tratta di cicli diretti, sarà lavoro negativo, cioè richiesto dal
sistema, nel caso di cicli inversi.
E integrando:
I processi isotermi sono rappresentati da un segmento che inizia nello stato iniziale nisce
allo stato nale, orizzontale.
I processi Isoentropici sono rappresentati invece da un segmento verticale.
Questa è la premessa per poter rappresentare gra camente i processi.
fi
fi
fi
Espansioni e compressioni nel piano (T,S)
Rendimento isentropico
Espansione
Il Gas si trova ad inizialmente in
certe condizioni di temperatura e
pressione, quindi nel gra co TS
marco il punto 1. P1 e T1 sono
noti e assegnati. Allora siccome
le asta delle ordinate e delle
ascisse sono graduate, vado a
leggere sull’asta delle ordinate il
valore T1 che ti ho assegnato. La
P1 corrisponde a una delle
isobare che appartiene alla curva
delle famiglie isobare, vado a
prendere l’isobara che
corrisponde alla pressione P1,
che ti ho assegnato.
All’intersezione tra l’isoterma e
l’isobara posso marcare il punto
1 che in forma gra ca
rappresenta le condizioni siche
di questo gas.
Supponiamo che questo gas in queste determinate condizioni siche sia sottoposto ad
espansione, ciò signi ca che si porterà a una pressione più bassa.
Assegnato il valore di pressione P2 alla quale questo gas viene fatto espandere, si va a
individuare l’isobara P2 che si troverà al di sotto dell’isobara P1.
Quindi per ora dello stato nale del gas io conosco solo la pressione, ma voglio
conoscere anche la temperatura. Per determinarla so che tanti tra gli in niti punti
dell’isobara P2 sono rappresentativi della condizione sica del gas in termini di
temperatura. Per risolvere il problema posso pensare di trasformare questa espansione in
forma ideale in modo tale da renderla un processo isentropico.
Per dimostrare che è un’espansione reale è isentropica utilizzo l’equazione di Clausius
che è la seguente:
Osservo inoltre che l’espansione, così come la compressione, è un processo che avviene
così rapidamente da poter essere considerato adiabatico quindi il Q è uguale a zero, così
posso eliminare l’integrale.
Mi resta la seconda equazione che mi fa capire che l’entropia dello stato 2 in generale è
pare all’entropia dello stato 1 più qualcosa rappresentato dal termine sigma, ovvero le
irreversibilità del sistema, le imperfezioni tecnologiche. Queste imperfezioni tecnologiche
associate a un’espansione le riconosco ,per esempio nelle turbine, negli attriti che l’albero
motore (che deve avere possibilità di ruotare) realizza nel supporto meccanico attraverso
sistemi a cuscinetto oppure di lubri cazione. Questi ultimi appunto sviluppano attriti, i
quali sono danni irreversibili.
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
Quindi se riuscissi a eseguire un’espansione ideale, cioè prova di tutti questi e etti
dissipativi, sigma varrebbe zero, quindi L’entropia dello stato nale S2 è uguale
all’entropia dello stato iniziale S1.
Il punto 2 nel diagramma si colloca lungo la verticale tracciata a partire dal punto 1.
Questo punto 2, che sta per ideale, risponde a questi requisiti:
1. La sua pressione è quella nale assegnata, P2.
2. Il processo sarebbe ideale, quindi isentropico.
Il punto 2 resta così univocamente determinato.
Se il processo, invece ,è quello che so fare con i miei mezzi umani, non è ideale ma reale,
dunque il sigma è un numero positivo. Il punto 2 è discosto dall’ S1 di una quantità pari a
sigma.
Quindi lo spostamento rispetto a S1 è pari a sigma e la pressione sarà sempre la
pressione nale assegnata nel punto 2.
A me, ingegnere, interessa quanto lavoro posso estrarre da questa espansione, e ricavare
quanta più energia meccanica.
I puntini rappresentano i soliti termini cinetici e gravimetrici che non scrivo perché ritenuti
trascurabili rispetto al termine entalpico.
La turbina per noi è un dispositivo adiabatico, quindi Q=0.
P= prodotto della portata per il lavoro, quindi lo posso sostituire direttamente e
sempli care.
fi
fi
fi
fl
fi
fi
ff
h2 - h1 se parliamo di gas ideali, posso sostituirli.
In de nitiva:
Il punto 1 è assegnato.
Sarà T2i se l’espansione
è ideale, T2reale se
l’espansione è reale.
Ai ni della produzione di
lavoro fa molta di erenza,
perché il lavoro che
riesco a ricavare è
sempre proporzionale alla
distanza T1-T2, che è
minore della distanza T1-
T2 ideale. Questo porta a
dire che la produzione di
irreversibilità mi ha fatto
perdere lavoro
meccanico.
DIAGRAMMI DI STATO
Adesso diamo rappresentazione grafica ai processi nel caso di
sostanze reali a partire dai dati sperimentali.
Il fluido che ci interessa massimamente è l’h2o. Ci riferiamo ai
diagrammi sperimentali che riportano in un diagramma
tridimensionale (perché sono tre le variabili termodinamiche
fondamentali T, p, v) i vari stati di aggregazione dell’h2o: solido,
liquido e aeriforme. Notiamo la linea del liquido saturo, vapore
saturo, il punto critico…
Ma per noi ingegneri un diagramma tridimensionale è poco
utilizzabile, perché sarebbe difficile cogliere i dati numerici. Infatti i
diagrammi bidimensionali sono più comodi e precisi.
Il diagramma bidimensionale di maggior
interesse è il (T,s), che nel caso dell’h2o
presenta la curva di Andrews, con andamento a
campana che culmina nel punto critico.
Notiamo a sinistra l’area liquido sotto-
raffreddato; al di sotto della curva abbiamo la
zona del vapore umido (fase liquida e fase
vapore coesistono in equilibrio) e a destra il
vapore surriscaldato.
L’andamento delle isobare è quello di una
spezzata (prima crescente, poi rettilinea e poi
nuovamente crescente):
- A seguito di un processo di riscaldamento dell’h2o, (allo stato liquido, in certe condizioni fisiche
iniziali a p cost), essa si trova nel primo punto di intersezione fra l’isobara e la curva limite inferiore
(c.l.i.), nonché linea del liquido saturo (saturo, perché in queste condizioni, nel liquido si forma la
prima bolla di vapore in corrispondenza del punto di intersezione).
- Continuando nel riscaldamento a p costante, gli stati fisici si dispongono su una linea orizzontale,
perché una volta iniziata l’ebollizione a partire dal punto verde, del grafico sottostante, nonostante
si continui a somministrare calore, l’h2o lo riceve, ma la sua T si mantiene costante. Dunque nella
zona del vapore umido si mantengono costanti la p e la T, infatti vi è una corrispondenza biunivoca
fra esse.
- Quando questo processo di riscaldamento procede, ci spostiamo da sinistra verso destra; l’h2o
continua a bollire, diminuisce la fase liquida a favore di quella vapore fino al secondo punto di
intersezione, arancione, in cui la condizione fisica del fluido è quella di una miscela liquido-vapore
in cui cessa la fase liquida e vi è solo vapore.
- Continuando il riscaldamento a p costante, continuiamo ad avere solo vapore e la T riprende a
crescere.
TABELLE
Per valutare le grandezze fisiche dei dati della porzione mancante del diagramma di Mollier mi servo delle
tabelle del vapore (vedi dispensa: Capitolo 4, pag. 9-12), in cui troviamo altre grandezze fisiche oltre T, p, v.
I dati numerici di queste tabelle si riferiscono esclusivamente ai punti della curva limite inferiore e
superiore, corrispondenti cioè agli stati di saturazione. Questi dati sono la soluzione in tabella della curva
di Andrews, non sono riferiti né a punti interni né a punti esterni ad essa.
ESEMPLIFICAZIONE 2 (sull’uso del diagramma di Mollier): ESPANSIONE IN TURBINA
Nell’esempio precedente
abbiamo trattato
l’espansione di un gas
ideale, adesso trattiamo
come fluido di lavoro il
vapore. Gas e vapore, in
quanto aeriformi, sono
comprimibili ed espandibili;
mentre i liquidi, come i
solidi, sono incomprimibili
ed inespandibili.
Le turbine che espandono
vapore sono fondamentali
nei grandi impianti che ci
forniscono energia elettrica.
In questa turbina a vapore viene iniettato del vapore nelle sue pale, ad alta p e v, nelle condizioni del
punto 1 (T1 e p1 = 3 MPa = 30 atm; la pressione atmosferica ha 1atm e a livello del mare, in giornata serena
c’è 1 bar, quindi deduciamo che nel problema analizzato, 30 bar è una pressione notevole) mandandole in
rotazione. A loro volta, esse trascinano in rotazione l’albero della turbina producendo energia meccanica.
Quanto vale questa produzione di energia meccanica?
Fisso la p di fine espansione, p2 = 0.003 MPa = 3 centesimi di atm.
Ciò significa che in questa turbina non vi è un ambiente naturale (1atm), ma uno spazio fisico tenuto ad una
p davvero bassa. Lo scopo di avere un p2 così bassa è quello di consentire al vapore un ampio salto
entalpico, (nell’esempio del gas ideale parlavamo di salto di T), perché più alto è, maggiore sarà la
produzione di potenza.
Calcoliamo la produzione di potenza meccanica nel caso di espansione ideale o reale con il rendimento
isentropico di turbina a vapore. Posso risolvere il problema analiticamente o graficamente.
Risoluzione grafica
Individuo il punto 1 nel diagramma in alto con le coordinate assegnate, p e T. Traccio l’isobara in rosso
corrispondente ai 30 MPa e l’isoterma, la cui T è di 300°C. All’intersezione trovo il punto 1. Cerco l’isobara
inferiore corrispondente a p2 e poi calcolo l’espansione nel caso ideale, quindi il p2 ideale. Essendo il caso
ideale un processo reversibile a entropia costante, mi metto i corrispondenza del punto 1, traccio una linea
verticale in blu fino ad intersecare l’isobara della p finale assegnata, p2. Il punto di intersezione, 2i è il
punto di fine espansione nel caso di espansione ideale.
1) Quanto vale la potenza meccanica estratta nel caso ideale? Ci serviamo della formula:
P= ṁ (hf – fi).
L’hf è quella corrispondente al punto 2i sulle ordinate (h2i) e l’hi è quella corrispondente al punto 1
(h1).
2) Quanto vale la potenza meccanica estratta nel caso reale? In alternativa del sigma conosciamo il
rendimento isentropico di espansione, ηis, ne vediamo la formula per calcolare l’entalpia h2r
(reale).
h2r = h1 – ηis ( h1 – h2i)
I dati che conosco sono: h1, ηis e h2i calcolata
prima. Inoltre h2r la posso leggere dal
diagramma di Mollier al contrario. Cioè:
Entro con h2r all’intersezione con l’isobara,
determino il punto 2r. L’espansione avviene
lungo la linea tratteggiata. Dunque questo è il
percorso che immagino, perché parlando di
processi irreversibili conosco solo lo stato
iniziale e finale, ma non so quali siano i reali
punti di questa linea.
Conclusione: a causa delle irreversibilità del
sistema ricapitolate nel rendimento
isentropico di espansione, la potenza
meccanica che otteniamo nel caso reale è inferiore rispetto a quella che potremmo ottenere in un caso
ideale.
VC
Per quanto riguarda la sezione del condotto di mandata è differente rispetto quella del condotto di
aspirazione, perché cambia la densità dell’aria anche se il testo ipotizza che la sua velocità sia uguale in
entrambi i condotti. Questo avviene perché la T dell’aria nel condotto di aspirazione è di 0°C, mentre nel
condotto di mandata la T1 = 30°C.
Dunque calcolo la densità sempre sulla base della legge di Boyle e in seguito la sezione di uscita (con
l’equazione di continuità) che corrisponde ad un canale delle dimensioni del relativo diametro d1.
- Confrontando i due risultati d0 e d1 notiamo che il canale di mandata è più largo di quello di
aspirazione, perché la densità è aumentata, a parità di velocità e l’equazione di continuità mi fa
determinare un diametro maggiore. Ciò avviene perché, a densità più bassa, il gas occupa
maggiore volume e dunque maggiore sezione di passaggio se pretendo che la velocità di transito
dell’aria sia la stessa.
Lezione 19 ottobre 2020
CAPITOLO 5
COMBUSTIONE
I processi di combustione stanno alla base di tantissime tecnologie energetiche. Essi rendono alla comunità
grandi servizi a partire dal fornire calore nei fornelli attraverso le caldaie domestiche, fino alla produzione
di elettricità nelle grandi centrali termoelettriche.
L’uomo si serve di questi processi dall’antichità grazie al fuoco. Oggi gli usi dei processi di combustione
vengono visti sotto l’aspetto ambientale, perchè tra i prodotti di combustione ci sono sostanze di un certo
impatto ambientale, come il C, che bruciandolo produce anidride carbonica provocando, ad esempio,
incremento del livello del mare a causa dello scioglimento dei ghiacciai.
La combustione è un processo ossidativo esotermico, cioè il C e l’H sono elementi utili che quando si legano
all’O2 formano rispettivamente anidride carbonica e h2o con sviluppo di calore. L’aria in questi processi fa
da comburente, quindi risulta essere ineliminabile.
Altri prodotti di combustione inquinanti sono: l’ossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti, il particolato
che emerge nei combustibili solidi, gli ossidi di zolfo e azoto, (SO pedice x, NO pedice x). Quando
quest’ultimi vengono a contatto con il vapor d’acqua presente nell’atmosfera, nel caso dei primi si ha la
conversione diretta dell’anidride solforosa e solforica in acido solforoso e solforico; per quanto riguarda gli
ossidi di azoto si ha la conversione in acido nitrico. Parliamo, dunque, di acidi e quindi sostanze corrosive
per materiali e ambiente.
Gli ossidi di zolfo li ritroviamo nei prodotti di combustione che chiameremo fumi a seguito della presenza
dello zolfo nel combustibile originario (liquido o solido che sia, come il petrolio).
Ecco perché studiare queste sostanze è importante per limitare le problematiche di impatto ambientale,
come l’emissione di anidride carbonica in atmosfera.
2- Se isoliamo V ne discende una nuova scrittura che combinata con l’espressione della generica pk
otteniamo una relazione che lega la p parziale di un generico gas della miscela alla p della miscela.
Secondo questa scrittura le due pressioni sono proporzionali secondo la frazione molare (il
rapporto yk = nk\ntot)
Concludendo diremo che dalla relazione di queste espressioni arriviamo alla formula seguente:
yk = nk\ntot = pk\p
- La prima è pari al rapporto fra la massa del generico componente della miscela e quella totale della
miscela stessa;
- La seconda è pari al rapporto fra il Volume del generico gas se fosse pensato da solo ad occupare
tutto lo spazio e il volume totale della miscela;
- La terza la frazione o concentrazione molare che abbiamo dimostrato pocanzi.
Una relazione molto importante è quella che possiamo dimostrare qui di seguito:
Possiamo fare tesoro della legge di Dalton per dire che: yk = nk \ ntot = pk \ p
Da qui possiamo esplicitare la concentrazione massica partendo dalla sua definizione xm:
Al numeratore troviamo: Mk (soprassegnato), massa molecolare del dato gas; nk numero di moli o kilo
moli questo prodotto esprime la massa in kg del generico componente della miscela.
A denominatore troviamo la stessa espressione, ma sottoposta al segno di sommatoria considerato che
vogliamo calcolare la massa totale della miscela.
Se dividiamo questo secondo membro per il numero totale di moli a numeratore e denominatore,
allora il rapporto nk \ ntot corrisponde alla frazione molare, yk, sia a numeratore e denominatore.
- L’O2 è contenuto nell’aria atmosferica nella misura del 21% in volume, cioè m^3 di O2 per metro
cubo d’aria; in termini di massa nella misura del 23%, ovvero 23 kg di O2 rispetto alla massa d’aria.
- L’N2 è contenuto nell’aria in termini di volume nella misura del 79% e 77%.
L’aria non contiene solo O2 e N2, ma anche altri gas che partecipano in misura molto minore, come: l’argon
(Ar), anidride carbonica (CO2), gas ultraleggeri (Ne, Kr, NO…). Questi gas non partecipano ai processi di
combustione, ma restano neutri.
Quindi, dal momento che scriveremo reazioni chimiche stechiometriche (teoriche), possiamo considerare
l’aria costituita solo da O2 e N2.
Costante dell’aria
Rapporto fra costante universale e massa
molare.
Rapporto Aria\Ossigeno
L’aria costituisce il 100% del volume stesso, mentre l’ossigeno solo il 21%. Questo rapporto in termini di
volume quantifica il numero di moli d’aria per moli di O2 offerto alla combustione. In termini massici
questo rapporto vale 4,3.
*CH2 formula semplificata per indicare il petrolio e i suoi derivati (come il gasolio o altri prodotti combustibili). Questa
sostanza rappresenta un rapporto di 1 a 2 in termini di C e H, da qui la formula.
Dunque, per quanto visto finora Per ogni mole di O2 messo in gioco, questa è accompagnata da 3.76 moli
di N2. Inoltre la reazione che tiene conto della reale composizione dell’aria è la seguente:
C + (O2 + 3.76 N2) CO2 + 3.76 N2
L’azoto, in sede di reazioni stechiometriche, accompagna l’O2 ma non resta coinvolto dal processo di
combustione. Dunque, ciò che troviamo a sinistra della reazione (il 3.76 N2) lo ritroviamo anche a destra.
BILANCIAMENTO DELLE REAZIONI CHIMICHE
Per bilanciare le reazioni chimiche basta fare appello alla legge di conservazione della massa delle singole
specie chimiche.
Prendiamo il caso del PROPANO (C3H8):
- Ci chiediamo quante moli di O2 occorre mettere in gioco per bruciare una mole di propano. I “?”
indicano le nostre incognite.
- Procediamo mettendo delle costanti moltiplicative su ogni termine della reazione, onde poi
determinarle numericamente invocando il principio di conservazione\bilancio delle masse
atomiche: “tante masse atomiche di quella data sostanza ci sono a sinistra della reazione,
altrettante ne dobbiamo trovare a destra.”
- Per il Carbonio: c = 3a (ovvero il C è presente con 3 atomi); per l’Idrogeno ci sono 8 unità, quindi
d = 4a; per l’Ossigeno b = 5a.
- A questo punto ci troviamo di fronte a 3 equazioni in 4 incognite (a, b, c, d), adesso basta imporre
un valore arbitrario ad una di queste incognite e ricavare le altre in funzione di questa. Solitamente
si usa imporre a = 1, in questo modo b, c e d rimangono determinate di conseguenza.
- Dunque nel
caso del
propano, la
reazione
completa è
quella
riquadrata in
blu.
- Se vogliamo
rendere la
situazione più
realistica
mettendo in
gioco l’aria,
aggiungiamo le
3.76 moli di N2
per ogni mole di
O2.
Adesso ci occupiamo di una reazione chimica per noi di maggior interesse e che rappresenta la
generalizzazione delle reazioni chimiche presentate finora sotto forma di esempio.
COMBUSTIONE DI IDROCARBURI: Formula Generale
L’idrocarburo è una sostanza combustibile costituita da atomi di C e H in misura variabile, il cui simbolo è
CxHy. Al variare di x e y si genera la serie infinita di idrocarburi.
La reazione chimica di ossidazione in aria è la seguente:
- Gli elementi che troviamo in parentesi in ambo i membri (x + y\4) sono il risultato della
quantificazione di queste costanti.
Inutile dire che da quest’espressione possiamo ricavare come caso particolare le sostanze elencate
precedentemente. Ad esempio:
Nel caso del Petrolio, CH2 x = 1 e y = 2 applicando la relazione precedente e particolarizzando questi
valori di x e y, essa mi fornisce i coefficienti moltiplicativi di ogni specie di reagenti e prodotti della
reazione.
Lo stesso procedimento lo possiamo applicare ad altri esempi come: Metano (CH4), Butano (C4H10),
Propano (C3H8).
- Per calcolare αs si scrive innanzitutto la reazione chimica e poi si va a vedere quanto vale il
rapporto mO2\mCH2;
- La mO2 la posso calcolare come il prodotto del numero di moli (3) per il massa molecolare (32) di
O2.
- La mCH2 la calcolo come
prodotto del numero di
moli (2) e la massa
molecolare (14, perché
C = 12 e H = 1 (ma preso 2
volte)) di CH2.
I rapporti di miscela che ne scaturiscono sono numeri abbastanza “grandini” (14.7; 15.6). Ciò significa che,
come anche suggerito dalle unità di misura, per ogni kg di petrolio devo offrire, in cambio di combustione,
14.7 kg d’aria; per ogni kg GPL devo offrire 15.6 kg d’aria. Quindi una quantità d’aria molto più grande
rispetto quella del combustibile che voglio bruciare.
CALCOLO DI αs
Una variante di quanto visto finora, nonché il calcolo dell’αs per combustibili di cui sia nota la composizione
in peso.
Si parte dalla definizione dell’αs e si moltiplica e divide per la massa dell’O2. In questo modo arriviamo
nuovamente al risultato: 4.3 x mO2\mb.
Questo vale per un elemento,
ma se il combustibile è formato
da varie sostanze è chiaro che
l’ultimo membro della prima
equazione va sottoposto a
sommatoria. All’interno di
quest’ultima, il rapporto
massico è stato moltiplicato e
diviso per la massa di un dato
componente della miscela, mk.
A questo punto evidenziamo la
frazione massica del k-esimo
componente rispetto alla
massa totale del combustibile
stesso, mk\mb. Questo
parametro è quello che
abbiamo nominato xk
(aggiungiamo il pedice k,
perché si riferisce al generico
componente).
La formula finale è la seguente, dove evidenziamo
un ulteriore termine, –xO2, che devo sottrarre alla
quantità di aria che la combustione richiede (nel
senso che non sono io a offrirlo dal momento che
l’O2 è contenuto nello stesso combustibile).
Determiniamo il termine mO2 \
mk per il C, H e lo S. Anche per lo
zolfo, perché è un elemento che
spesso fa parte del combustibile
e a sua volta utile alla
combustione. Esso bruciando da
luogo ad una combustione
esotermica, quindi contribuisce
alla produzione del calore.
Anche se lo ritroviamo nei fumi
sotto forma di anidridi solforosa
o solforica (SO2; SO3), le quali a
contatto con il vapore d’H2O
atmosferico, danno luogo agli acidi solforoso e solforico, altamente indesiderati.
Ecco perché il compito delle raffinerie è quello di depurare i combustibili, in particolare Carbonio e Petrolio,
dalla componente zolfo.
Qui di seguito la formula esplicita che ci permette di determinare l’αs una volta nota la concentrazione di C,
H, S, O2 del combustibile di partenza.
- Moltiplichiamo e dividiamo per il V di O2, di modo che il primo termine rappresenti una quantità
nota, ovvero il rapporto volumetrico aria-O2 che è pari a 4.76.
- A secondo membro figurano il numero di moli di O2 e del combustibile che possiamo subito
ricavare una volta scritte le reazioni di ossidazione.
Esempio dell’H:
Nel caso di un SYNGAS (gas di sintesi a seguito dei processi in raffineria), di cui conosciamo la composizione
volumetrica, si arriva ad una scrittura perfettamente simmetrica rispetto a quella massica:
DENSITÀ RELATIVA dei combustibili gassosi
Questo termine è fondamentale ai fini della sicurezza. Essa è la densità di un combustibile gassoso rispetto
all’aria, a parità di T.
Prima si calcola questa densità di un dato combustibile e poi si confronta con quella dell’aria. I combustibili
gassosi più utilizzati sono il Metano e il GPL.
Per il Metano, CH4 possiamo calcolare questo rapporto riferendoci ai pesi molecolari, PM:
- PMCH4 = 16 (perché il C ha peso atomico 12 e l’H 1 preso 4 volte)
- PMaria = 29 (calcolato in precedenza; vedi CARATTERISTICHE DELL’ARIA STANDARD)
Per il GPL sommando i componenti con le relative percentuali si ha che: 30% C3H8 + 70% C4H10, dunque
γGPL = (0.3 PMC3H8 + 0.7 PMC4H10) \ PMaria = 1.8
Analizzando i risultati notiamo che dal valore 0.55, il Metano è un gas più leggero dell’aria, mentre da 1.8 il
GPL è più pesante. Capiamo che quando si dovesse verificare una fuga il Metano, in quanto più leggero
dell’aria, tende a salire ed essere confinato dal soffitto. Il GPL invece tende a scendere verso il basso
depositandosi sul pavimento. Ecco che nell’atto in cui volessi predisporre uno strumento di misura che
faccia scattare un allarme, il sensore va posto in posizioni differenti in base al gas che utilizzo. Il dispositivo
di controllo culmina in una valvola d’ingresso del gas, la quale è collegata elettricamente al sensore e viene
chiusa non appena la concentrazione del gas (CH4 o GPL) supera certe soglie di rischio.
POTERE CALORIFICO
Parametro più importante atto a caratterizzare i combustibili. Esso è definito come il calore ricavabile dalla
combustione dell’unità di massa del combustibile e si misura in MJ\kg o kcal\kg o kWh\kg (unità di misura
atta ad esprimere energia). Attenzione: ci riferiamo alla massa perché è una grandezza che prescinde dalle
condizioni fisiche a cui questa massa si trova.
Per ottenere il potere calorifico secondo la definizione dovrei valutare l’energia termica associata ai fumi.
Questo lo faccio sperimentalmente raffreddando i fumi fino al primo formarsi della condensa (passaggio
allo stato liquido), ottenendo così una data quantità di calore che chiamo potere calorifico inferiore, Hi
(LHV: Lower Heating Value). Proseguendo nel raffreddamento fino a totale condensazione\liquefazione del
vapor d’H2O contenuto nei fumi (l’elemento H si ossida in H2O allo stato vapore), si ottiene tutto il calore
latente, nonché il potere calorifico superiore, Hs (HHV: Higher Heating Value).
La formula finale che ne deriva è Hs = Hi + r (ṁH2O)s il puntino sopra la massa del vapor d’acqua presente nei fumi è un
asterisco * ; r = 2.5 MJ\kg.
Commento: in
questo caso Hs >
Hi nella misura di
circa il 10%, infatti
il 10% di 50 è 5
ecco che il risultato
viene 55 e
qualcosa.
Posso ottenere questi kW anche da una portata espressa in m^3\s, dove il gas si trova in condizioni di T e p
generiche; quindi essa dev’essere moltiplicata per un Hi espresso in kJ\m^3, dove il m^3 corrisponde alla T
e p assegnate.
Quindi c’è una certa equivalenza grazie alla quale posso ricavare una formula di passaggio. Basta isolare gli
ultimi 2 membri dell’equazione soprastante e ricavare il potere calorifico inferiore nelle condizioni di T e p
assegnate in funzione del resto.
Notiamo da questa nuova equazione un
rapporto volumetrico che posso
esprimere come prodotto fra portata
massica e volume specifico in c.n. a
numeratore e in condizioni generiche a
denominatore. Posso elidere la portata
massica, perché in questo processo non
ci sono né estrazioni né inserzioni di
massa. Dunque resta un rapporto fra i
volumi specifici ciascuno dei quali
esplicito con la legge dei gas. Il risultato
270 K\bar proviene dal rapporto Tn\pn,
da qui ne deriva la formula esplicita che
mi permette di passare da un’unità di
misura all’altra.
Sostituiamo i numeri.
- Considerato che il GPL risultante dalla seguente miscela in volume è:
GPL = 70% Propano + 30% Butano
- Avendo i seguenti dati: (Hi*)C3H8 = 90.84 MJ\Nm^3; (Hi*)C4H10 = 118.4 MJ\Nm^3
- Risulta che:
Per assicurare al nostro dispositivo la produzione di potenza termica Q di cui necessita (quella per la
quale è stato dimensionato il sistema), nel passaggio da GPL a CH4, la sezione di efflusso deve essere
circa 3 volte più grande di quella che l’ugello predisponeva quando transitava GPL.
In questo modo abbiamo dimensionato la sezione di efflusso adatta per fra transitare Metano.
ECCESSO D’ARIA
Il rapporto di miscela aria-combustibile e l’αs di cui abbiamo parlato finora erano quelli stechiometrici,
cioè una combustione che avviene con la cosiddetta aria “teorica” e strettamente necessaria. Ma nella
realtà la combustione avviene:
- In tempi brevissimi (ossidazione da parte dell’O2);
- In spazi angusti e limitati (pensiamo alla camera di combustione o al focolare della caldaia o allo
spazio confinato fra cilindro e pistone);
- In ambienti a T non uniforme (in quanto nel focolare non tutti i punti si trovano alla stessa T).
Consideriamo il fatto che se combustibile e comburente si incontrano in un ambiente a T inferiore a
certe soglie (quella di accensione), essi non reagiscono e la combustione non avviene.
A seguito di queste considerazioni, non è sufficiente alimentare una buona combustione solo con l’aria
indispensabile che abbiamo visto finora. In altri termini, per aumentare la probabilità che combustibile
e comburente reagiscano è necessario operare una combustione con eccesso d’aria.
Ecco la quantità d’aria che dev’essere
fornita, ma, ovvero la massa d’aria
stechiometrica, mas + aliquota
ulteriore, ∆ma.
Riordinando i termini si ottiene una scrittura con due nuovi parametri, ε (eccesso d’aria) e λ (indice di
eccesso d’aria, sempre > o = 1).
Questi due parametri non si posso determinare con leggi o equazioni, ma sono suggeriti dalla pratica.
Ecco dei valori tipici.
Notiamo che le
percentuali
aumentano dall’alto
verso il basso, questo
per via della facilità
progressiva che si ha
per far incontrare
combustibile e
comburente passando
da combustibili
solidi liquidi gassosi; dunque passando dal solido gassoso l’eccesso d’aria ε va diminuendo.
Ecco che se volessimo fare una descrizione ancor più realistica della reazione\equazione di ossidazione
prendendo il caso di un idrocarburo (caso più generale), essa dev’essere corretta aggiungendo l’indice di
eccesso d’aria λ che moltiplicherà tutti i termini rappresentativi dell’aria al fine di amplificarne la quantità
per una buona combustione:
APERTURE DI VENTILAZIONE
Pensiamo ad un edificio che necessita di riscaldamento a cui si
provvede con una caldaia. Indipendentemente dalla sua taglia,
cosa importante è attenzionare la giusta quantità di aria che le
serve per una buona combustione.
Dunque nel locale caldaia bisogna assicurare, per il transito
dell’aria, un’apertura di ventilazione con una sezione di passaggio
dell’aria S.
Dimensioniamo la sezione al fine di un corretto passaggio dell’aria
conoscendo la potenza termica e il rendimento termico del
generatore.
- Uso la relazione della portata massica del combustibile, ṁb, che lega il consumo di combustibile
alla potenza termica della caldaia, al rendimento di caldaia e al potere calorifico. Questa relazione
discende dalla definizione di rendimento di caldaia che vedremo più avanti.
- Ora combiniamo
questa relazione
con quella che
esprime la
portata
volumetrica
dell’aria
comburente
(m^3\h) che
posso calcolare
come rapporto
fra la portata
massica (kg\s) e la densità dell’aria (kg\m^3). Dunque questo rapporto esprime i m^3\h d’aria che
devo immettere nella caldaia.
- Adesso moltiplico e divido per ṁb e ci accorgiamo che possiamo sostituire il rapporto ṁa\ṁb con
λαs.
- Infine per dimensionare la sezione di passaggio dell’aria, riscrivo la formula della portata
volumetrica secondo l’equazione di continuità, combino le due equazioni e ricavo il rapporto fra S
e Q, trovando così i m^2 da riservare all’aria per kW di potenza istallata.
Dunque questa formula sintetica mi sarà di aiuto per il dimensionamento delle aperture di ventilazione
delle caldaie di assegnata potenza.
Il valore tipico di λ è dell’ordine del 10%; la densità dell’aria è 1.29 quando la T esterna è di 0°C e ci
troviamo a livello del mare; il rendimento della caldaia è dell’ordine del 90%; la velocità di transito
attraverso la sezione la impongo io secondo un valore tipico di mezzo metro al secondo; infine il
rapporto Hi\αs lo vediamo nella tabella precedente.
Dunque mettendo insieme questi dati otteniamo il risultato finale. Cioè, per assicurare aria nelle
condizioni ordinarie bisogna disporre di una sezione di 6 cm^2\kW.
Adesso basta moltiplicare questo numero ricavato per la potenza della caldaia assegnata, ad esempio
da 10 kW, dunque la sua sezione di transito dell’aria sarà di 60 cm^2 (6x10).
PRODUZIONE DI FUMI
Bilancio di massa dei fumi. Facciamo riferimento a questa figura che rappresenta il
corpo caldaia col suo bruciatore sulla sinistra che riceve in ingresso dall’esterno la
massa d’aria ma, quella di combustibile mb e in uscita da luogo alla massa di fumi mf.
- Stabiliamo subito il bilancio di massa: la massa totale dei fumi è data dalla
somma della massa del combustibile + quella
dell’aria. Mettiamo in evidenza mb e
consideriamo che la quantità in parentesi
ma\mb è pari a λαs. Per scopi di calcolo portiamo mb a
denominatore ottenendo la massa dei fumi per ogni kg di
combustibile.
ESERCIZIO 1
Calcolo della produzione volumetrica dei fumi per un idrocarburo liquido. Ecco il caso del petrolio CH2:
ESERCIZIO 2
Calcolo della produzione volumetrica dei fumi per idrocarburi gassosi. Ecco il caso dei 3 idrocarburi di
maggior interesse: Metano, CH4, Propano, C3H8 e Butano, C4H10.
Questa tabella la consultiamo di volta in volta secondo x e y da attribuire al relativo combustibile in modo
da ottenere tutti i termini necessari per comporre la formula della produzione volumetrica.
Pag. 20
Per sapere quanti fumi stechiometrici si producono per unità di calore reso (in Nm^3\MJ), si dividono gli
stessi in Nm^3\Nm^3 per il potere calorifico del rispettivo combustibile.
Utilizzando i dati della tabella si può costruire un diagramma grafico. Da qui si notano quanti fumi in Nm^3
si producono per ogni Nm^3 di combustibile bruciato.
- Innanzitutto mettiamoci su un indice di eccesso d’aria che esprima
un valore tipico in questi casi dell’ordine del 10%, ad esempio λ=1.1.
- Così dal grafico notiamo che il Metano ha una produzione di fumi
molto minore di quella del GPL. Ciò ci spiega come nelle nostre case si è
passati da GPL a Metano. Abbiamo sostituito gli ugelli nella caldaia e nella
cucina, ma non siamo intervenuti sulla canna fumaria, perché la
produzione di fumi del Metano è inferiore di quasi 3 volte di quella che
darebbe luogo il GPL a parità di potenza termica resa dai dispositivi.
Qual è l’utilizzo pratico del calcolo della produzione di fumi per idrocarburi
liquidi?
Problema: Se ho un locale caldaia, essa comporta un camino che deve
raggiungere altezze opportune per fare evacuare i fumi di combustione in
atmosfera. Quanto vale la sezione di questo camino da effettuare nel soffitto
per far sì che ciò avvenga?
- Una volta assegnato il combustibile si può utilizzare l’equazione di pag.
20 determinando tutti i termini, si calcolano i m^3 per kg di
combustibile bruciato, mb (m^3\ mb);
- Poi si moltiplica questa quantità per la portata\consumo di
combustibile bruciato ṁb (= potenza Q \ rendimento di caldaia ηc x
potere calorifico Hi).
- Ecco che si ricava la portata volumetrica:
- Dalla sezione si risale al diametro del condotto dal momento che si tratta perlopiù di sezioni
circolari, abbiamo S=ϕπd^2\4 d = 2√(𝐒\ϕπ)
GENERATORI DI CALORE (CALDAIE)
Schematizzazione della caldaia ordinaria.
- Riconosciamo i termini: ma ed mb in ingresso dal
bruciatore; Qd (calore uscente) le perdite termiche
attraverso l’involucro della caldaia, perché seppur ben
coibentata, quando esercita presenta una T
superficiale alquanto più elevata della T dell’aria
circostante; Qb lo rappresento come calore entrante
dall’esterno, anche se in realtà proviene dalle reazioni
esotermiche che avvengono all’interno del VC; Qu,
calore utile raccolto dall’acqua, ovvero quello che,
transitando attraverso la caldaia, fuoriesce a T più
elevata rispetto a quella con cui è entrato; mf,
fuoriuscita dei fumi.
- Il bilancio energetico si conduce a partire
dall’equazione del 1° principio, dove trascuriamo i
termini cinetici e gravimetrici:
Q-P = ∑ ṁk (Hout-Hin)
P si trascura perché non vediamo potenze meccaniche nel VC; mentre figurano 1 Q entrante, Qb, e 2
uscenti, Qd e Qu; a destra dell’equazione ci sono i termini entalpici, Hin e Hout, che per ogni fluido
dobbiamo valutare quelli in ingresso e quelli in uscita. In uscita abbiamo solo i fumi con il salto di T (Tf-T0),
dove T0 è la T di riferimento dell’ambiente esterno naturale. In ingresso ci sono la massa d’aria, ma e di
combustibile, mb, ognuno con la propria portata, calore specifico e salto di T fra ingresso e uscita.
- Il salto entalpico (hf-h0) va anch’esso particolarizzato attribuendolo alla parte secca e vapore. Per
quanto riguarda la parte secca dei gas, il salto entalpico lo possiamo esprimere con un termine del
tipo CpdT, Cpfs(Tf – T0); quanto alla parte vapore dei fumi ricordiamo che va incontro ad un
particolare processo che vediamo riportato nel diagramma di Mollier.
Pag. 23
Il vapore si troverà alla
sua pressione (p parziale
del vapor d’acqua, pv) e
ad una sua T (Tsat), la
stessa dei fumi, in
quanto la parte vapore è
in equilibrio termico con
l’insieme dei fumi secchi.
Questo ci permette di
marcare il punto in blu
rappresentativo delle
condizioni fisiche del
vapore.
Passando attraverso lo
scambiatore secondario,
esso si raffredda a p
costante, pv, dal punto
blu a quello rosso (dove il vapore è allo stato di aeriforme surriscaldato e il salto entalpico,
Cpv(Tf – T0), lo calcoliamo assimilando il vapore come un gas ideale, dunque come prodotto CpdT). La
parte al di sotto della curva rappresenta la zona in cui coesistono fase vapore e liquido.
La totale condensazione del vapore la incontriamo nel punto verde; se poi questo liquido lo raffreddiamo di
qualche grado in più per raggiungere le condizioni ambiente (alla T più bassa, quella esterna) arriviamo al
punto viola.
Notiamo che il salto entalpico complessivo, (hf – ho)v, a cui va incontro il vapore è dato dalla somma di 3
contributi entalpici: il Cpv (Tf – T0) relativo al calore sensibile del vapore che produce un contributo dovuto
al raffreddamento del gas, dove si verifica un cambio di temperatura, da Tf a Tsat corrispondente alla p
parziale del vapore (ricordiamo che ad ogni isobara corrisponde una e una sola T che chiamiamo di
saturazione per quella relativa pressione); poi abbiamo la parte del calore latente, r(pv), che dipende dalla
pv; l’ultimo piccolo tratto, Cpw(Tsat – T0) relativo all’ulteriore raffreddamento del liquido. In questo tratto
l’isobara è indistinguibile dalla curva limite inferiore, dunque non è stata differenziata graficamente.
Passando alla descrizione analitica, i contributi entalpici relativi alla parte sensibile del raffreddamento del
vapore e del liquido saturo sono trascurabili rispetto al calore latente, r, dunque l’espressione si semplifica
ulteriormente.
Riordinando i termini, lasciamo a primo membro solo il calore
utile, Qu, ed eventualmente dividere per la portata di
combustibile, mb. Ecco da questa formula una
rappresentazione chiara e avanzata della risposta della caldaia
in sede di esercizio. Dunque abbiamo il calore utile dato dalla
differenza fra il potere calorifico, Hs, sviluppato in sede di
combustione, meno i termini che rappresentano le perdite:
- Il Qd rappresenta una perdita autentica, perché sono quelle al mantello;
- Il secondo termine sembra rappresentare le perdite al camino, ma parte di questo calore sensibile
associato ai fumi verrà recuperato. Lo vediamo dalla fig.2 a Pag. 23 (Caldaia con recupero del calore
dai fumi) considerando la differenza di temperatura (Tf – T0), ovvero che tra Tf e T0 (ambiente
esterno) vi è lo scambiatore di calore.
Dunque spezzando questa differenza di T, otteniamo (Tf – Tout) +
(Tout – T0), il termine che rappresenta la vera perdita è quello
legato a (Tout – T0), mentre (Tf – Tout) è proporzionale al calore
sensibile che riesco a recuperare dai fumi stessi;
- Infine l’ultimo termine, (mH2O\mb) r, rappresenta il calore latente che grazie allo scambiatore
secondario non è da considerarsi una vera e propria perdita, ma verrà recuperato in quanto lo
scambiatore recupera questo calore che verrà convogliato sul ramo di mandata e destinato
all’utenza.
Concludiamo dicendo che le perdite vere e proprie risultano quelle a secondo membro: la perdita al
camino, Qd\mb + quella al mantello (perdite irrecuperabili). Invece il calore latente e quello sensibile dei
fumi si possono recuperare attraverso lo scambiatore secondario, i quali verranno sommati al calore utile
in assenza di recupero ecco che otteniamo il calore utile totale, ovvero complessivamente ricavato
dall’esercizio della caldaia e che andrà a favore dell’utente.
Ecco che notiamo il vantaggio di utilizzare queste nuove caldaie che dispongono dello scambiatore
secondario.
Adesso ci interessiamo di problemi che caratterizzano questa nuova tecnologia.
Ad esempio, quale dei combustibili è più appropriato da utilizzare in una caldaia a condensazione?
Questa tabella ne considera 4 dei più frequenti e ne riporta: la reazione chimica; il potere calorifico
superiore corrispondente, Hs (perché del combustibile stiamo utilizzando tutto il potenziale energetico e
quello più alto che possiamo attribuire ad un combustibile è descritto proprio dall’Hs, in quanto
comprensivo del calore latente estraibile dai fumi; mentre quello inferiore manca di questo ulteriore
contributo); poi figura il parametro che ci fa valutare la produzione di vapor d’acqua dovuto a ciascuno dei
combustibili elencati, mH2O*. Ciò perché più alta è la quantità di vapor d’acqua presente nei fumi,
maggiore sarà la potenza termica recuperabile attraverso il calore latente. Dunque calcoliamo la massa
d’acqua per unità di massa (chilo) di combustibile: numero di moli, n, x peso molecolare dell’H2O \ n x
peso molecolare del combustibile. Scopriamo che tra i combustibili elencati, il Metano è quello più
favorevole da utilizzare, perché produce più massa d’H2O per kg di combustibile (2.25); infine nell’ultima
colonna viene riportato il valore che indica quanto vapor d’acqua viene trovato nei fumi per unità di
potenza termica sviluppata nella combustione (mH2O*\Hs).
- Le fiammelle prodotte dal bruciatore producono fumi caldi che arrivano allo scambiatore, cedono
gran parte del loro contenuto entalpico e si muovono nella direzione della freccia in grassetto
destinati, poi, ad attraversare lo scambiatore secondario che chiamiamo recuperatore a
condensazione (8.).
In esso avremo come fluido primario i fumi ed in controcorrente avremo l’acqua di ritorno o di ingresso che
entra dal punto 4. Quest’acqua si dirama in 2 correnti: gran parte di essa è diretta verso lo scambiatore
principale; l’altra parte viene dirottata verso lo scambiatore secondario (recuperatore), dove assorbe il
calore residuo dei fumi e viene convogliata a sua volta verso lo scambiatore principale. Infine da qui alle
utenze.
- Nel punto 6 abbiamo il ventilatore di estrazioni fumi indispensabile perché i fumi, a seguito
dell’ulteriore raffreddamento che subiscono nello scambiatore secondario (8.), si trovano nel punto
6 ad una T molto bassa tale da non garantire i tiraggio naturale del camino. Quindi questi fumi
rilasciati ad una certa T che salirebbero per convezione e tiraggio naturale, non hanno questa forza
propulsiva; dunque per convogliarli verso il camino ed espellerli è necessario un ventilatore che li
aspira e li sospinge lungo il canale del camino stesso (scarico dei fumi, 7.).
- Vediamo poi un collo d’oca che suggerisce la presenza di un condensato che verrà eliminato
attraverso lo scarico condensa (5.).
- Riprendendo il punto 8 in cui il vapor d’acqua condensa particolarmente, esso si combina con gli
ossidi di azoto indotti dal combustibile e dall’aria; questi combinandosi, appunto, col vapor d’acqua
danno luogo alle condense acide che assumono le caratteristiche di acidità (acido nitrico), le quali
tendono a corrodere il materiale metallico con cui è fatto lo scambiatore secondario. Per
contrastare quest’aggressività dell’acido nitrico, lo scambiatore dev’essere costruito con acciaio
inossidabile.
Inoltre il rendimento delle caldaie a condensazione viene riferito al Hi anche per sottolineare che parliamo
di questo tipo di caldaie con un numero superiore al 100%. In effetti, per evitare confusione, con Hs
bisognerebbe riferire il rendimento di tutte le caldaie indipendentemente che siano ordinarie o a
condensazione. Viceversa, siccome è invalso l’uso del Hi, allora dobbiamo accettare l’idea che il rendimento
delle caldaie a condensazione sia > 100%.
FORMAZIONE DEL CONDENSATO E CAMPI APPLICATIVI DELLE CALDAIE A CONDENSAZIONE
Adesso evidenziamo dei cenni di questa tipologia di caldaie che vertono sui campi applicativi.
Se l’eccesso d’aria si adotta normalmente col 10% e con λ=1.1 la frazione molare risulta pari a 0.174.
Per quanto riguarda la pressione parziale di questo vapore (pH2O), se i fumi si trovano alla pressione
atmosferica in una giornata a ciel sereno (1.013 bar), per la legge di Dalton essa è data dalla frazione
molare per la p atmosferica della miscela.
La T di saturazione, nonché quella alla quale a questa p il vapor d’acqua comincia a condensare, la troviamo
nelle tabelle della dispensa dove parlavamo dei diagrammi termodinamici e del vapor d’acqua. Da queste
troviamo che alla p di 177mbar la Tsat = 57°C. Ciò significa che se voglio condensare il vapor d’acqua
presente nei fumi dovrò raffreddarli portandoli a 57°C.
Questa è la base di partenza per capire le curve caratteristiche di una caldaia a condensazione.
Il diagramma mostra in
ordinate il rendimento della
caldaia (P.C.I. = percentuale
del potere calorifico inferiore)
in cui notiamo che si arriva a
valori maggiori del 100%. In
ascissa è rappresentata la T di
ritorno dell’H2O in caldaia. Si
parla di T di ritorno quando la
caldaia è inserita in un circuito
o un percorso chiuso, ma la
caldaia può essere predisposta
anche per fornire acqua calda
per uso igienico-sanitario, in
quel caso si tratta di un
circuito aperto e vi è sono una
T di ingresso dell’acqua di
rete; ecco perché è più
corretto scrivere nell’ascissa T
di ingresso dell’acqua in caldaia, in quanto si tratta di una dicitura più generale.
- Vediamo che al diminuire della T di ritorno (80, 70) il rendimento tende a salire seppure molto
debolmente. Ciò perché, più è bassa la T dell’H2O di ingresso in caldaia, minore è la T media del
corpo caldaia e dunque minori saranno complessivamente le sue perdite termiche, quanto meno
attraverso il mantello. Quindi è chiaro che minori perdite danno luogo ad un miglior rendimento,
perché più calore va all’utenza che non al camino.
- Dal punto blu in avanti, questa curva subisce un’impennata straordinaria, un gradiente molto più
forte del precedente. Questo perché, in corrispondenza di questo preciso punto siamo a cavallo fra
i 50 e 60°C, dunque in prossimità di quei 57°C che segnano la Tsat di inizio condensazione. Dunque
da questo momento in poi la caldaia comincia a funzionare come una vera e propria caldaia a
condensazione, mentre fino a questo punto ha lavorato come una caldaia ordinaria.
CURVA B massa di compensati (gr per kJ di compensasti che si formano). Vediamo che la curva va
crescendo.
CURVA C temperatura dei fumi. Più raffreddo i fumi, più bassa sarà la loro T quando rilasciati al camino.
Da questo si capisce qual è il campo di utilizzo elettivo (più appropriato) delle caldaie a condensazione. Per
far sì che esse rendano bene e dunque lavorino spingendo fino a condensazione del vapor d’acqua, la T
dell’acqua di ingresso o di ritorno deve essere minore di 57°C.
Ma l’applicazione più appropriata per il riscaldamento in caldaia è la produzione di acqua calda sanitaria.
Infatti, nel caso in cui in un edificio ci fosse una caldaia dedicata completamente alla produzione di acqua
sanitaria, quella sarebbe la soluzione ottimale perché la T di ingresso in caldaia coincida con la T di rete,
nonché dell’ordine di 11\12\13°C secondo la stagione o il giro che fa l’acqua nel sottosuolo; quindi saremo
all’estremità del grafico dove la condensazione è massima e potrebbe benissimo spingersi fino a totale
liquefazione del condensato raggiungendo ordini di rendimento veramente alti (105\106%).
Con questo, però, dobbiamo stare attenti a consigliare questi elementi terminali di impianto in base alla
tipologia impiantistica in cui sono inseriti.
CAMINI
In questa pagina troviamo spiegato il comportamento del camino alla luce anche dell’equazione di Bernoulli
e a che cosa corrisponde di preciso il tiraggio del camino e la forza propulsiva che mette l’aria, ad una T più
alta della T esterna, di eseguire il percorso ascensionale verso l’alto fino al punto 2 dove vi è lo sbocco del
camino stesso. Nel caso in cui, lungo il canale del camino, ci dovessero essere perdite fluidodinamiche
gravose sarà necessario adottare un ventilatore di estrazione fumi per promuovere l’evacuazione di questi.
2.
1.
DIMENSIONAMENTO DEL CAMINO
Per il dimensionamento del camino si fa uso di diagrammi predisposti dal costruttore del canale camino.
Bisogna selezionare il diagramma in base alla T di rilascio dei fumi, entrare nei diagrammi con l’altezza del
camino e la potenza termica utile della caldaia per andare ad individuare la curva che fa per noi. Queste
curve dei diagrammi sono rappresentative della sezione del camino; se si parla poi di sezioni circolari, i
numeri accanto le curve indicano i mm del diametro della canna fumaria. Dunque la scelta da catalogo è
rapida e immediata.
• il cerchio rappresenta l’insieme dei dispositivi •Il calore viene estratto dall’ambiente da
che compongono l’impianto è operano refrigerare a bassa temperatura (T1), il quale
ciclicamente per convertire in lavoro il calore previa fornitura di lavoro meccanico viene
che riceve da una sorgente ad alta rilasciato nell’ambiente naturale a
temperatura. Il calore non trasformato in lavoro temperatura T0.
viene poi dissipato come cascame termico,
rilasciato in uno degli elementi naturali come
aria o acqua
L’energia elettrica si ottiene da energia meccanica che a sua volta si può ottenere attraverso cicli termici a
partire da energia termica. Il calore a sua volta è prodotto ordinariamente bruciando combustibile, spesso
combustibili fossili non rinnovabili
Irrealizzabilià tecnica del ciclo di Carnot
-Rendimento di Carnot:
•La sua efficienza, data per definizione dal rapporto tra lavoro fornito e calore assorbito
•Può essere poi esplicitata come sulla base del bilancio energetico del sistema stesso come 1-
Q rilasciato su Q fornito.
• Il calore rilasciato lo si può calcolare come il prodotto della temperatura per il salto entropico, per la
definizione della funzione entropia. Analogamente si potrà fare per il calore ricevuto dalla macchina
• Per la costituzione del ciclo di Carnot questi salti entropici sono gli stessi e nel rapporto possono
elidersi.
Le sostanze pure presentano due linee isoterme nella zona di vapore umido, nella zona bifase.
Potremmo pensare di realizzare un ciclo di Carnot utilizzando ad esempio acqua
Tuttavia tali cicli in pratica non sono tecnicamente realizzabili per i seguenti motivi:
•impossibilità di trovare sorgenti termiche a temperatura costante, poiché nel momento in cui la sorgente
termica eroga calore questa scende di temperatura
•impossibilità di trasmettere il calore tra la sorgente e il fluido di lavoro con ΔT nulli, ciò va in contrasto con
il principio della trasmissione di calore
•irrealizzabilità di espansioni o compressioni adiabatiche è isentropiche (ma solo adiabatiche), i dispositivi
(turbine e compressori) non riescono ad eseguire processi ideali (isentropici).
•impossibilità tecnica dell’espansione e della compressione di un vapore umido, pena il rapido
deterioramento dell’organo meccanico (pompa o turbina)
• impossibilità di fermare la condensazione in un punto intermedio (0) della linea di condensazione (3-0),
ossia necessità di proseguire il processo fino al totale condensazione (il punto zero deve ricondursi sulla
c.l.i.)
si deve pensare quindi di alterare questo ciclo per renderlo compatibile con le tecnologie attuali
Ciclo Rankine
-Vantaggi:
• risolve il problema della condensazione parziale
• risolve il problema della compressione nella zona di vapore umido (processo 0-1 è una pressurizzazione
di liquido che può eseguirsi con una pompa)
• permane il problema dell’espansione della zona bifase 2-3
• la fornitura di calore il ciclo non viene più a tutta temperatura costante, perché nel tratto 1-1’ primo la
temperatura variabile
• il rendimento di tale ciclo vale (Pn: potenza utile netta, netta perché dalla turbina ricaviamo lavoro
meccanico mentre la pompa che deve operare tra 0 e 1 ha bisogno di lavoro meccanico)
-le potenze meccaniche sono date dai salti entalpici sulla pompa e sulla turbina tenendo conto che
entrambe operano adiabaticamente.
-Il calore fornito al sistema è fornito per riscaldare il fluido dal punto 1 al punto 2, quindi il salto entalpico
che il fluido riceve è duello che va dal punto 2 al punto 1
• come anche visibili dal diagramma, in questo tipo di cicli il salto entalpico sulla pompa è molto minore di
quello in turbina: h1-h0 << h2-h3 e quindi trascurabile rispetto a questo. Il rendimento quindi è da tutto questo
bene che cosa deriva il rendimento è dato dal rapporto del salto entalpico sulla turbina sul salto entalpico
sul generatore.
• un’espressione alternativa per il calcolo del rendimento di ciclo si può stabilire come segue:
Qout: calore rilasciato dal
condensatore nell’ambiente
esterno
Qin: calore in ingresso al sistema
-(h3-h0): processo in cui vi è trasferimento di calore che avviene a temperatura costante, quindi può essere
esplicitato come il prodotto della temperatura T0 per il salto entropico sulla base della definizione di entropia
-(h2-h1) è il salto entalpico 1-2.
- osserviamo che s0=s1 e s3=s2 (l’entropia è la stessa perché per ipotesi sono processi isentropici)
- questo rapporto è espressa da K° poiché le entalpie sono espresse da kJ/kg e le entropie sono
espresse da kJ/kg• K°. Questa temperatura è legata alle temperature nel tratto 1-2 ovvero il tatto in cui il
fluido riceve lavoro e prende il nome di Temperatura Termodinamica Media (T12)
• scrivendo il rendimento in questo modo si ha una forma che richiama quello del ciclo di Carnot.
Rimane però il problema dell’espansione in turbina, che non può essere condotta nella zona di vapore
umido (per salvaguardare la turbina l’espansione deve avvenire in maggior parte nella zona di vapore
surriscaldato)
Ciclo Hirn
• le turbine a vapore funzionano
correttamente quando
l’estrazione avviene nella zona
del vapore surriscaldato (privo
di particelle di liquido). Ciò che
si può ottenere facendo partire
l’espansione dal punto 2.
• la potenza meccanica
generata aumenta rispetto al
caso del ciclo di Rankine
perché è maggiore il salto
entalpico sulla turbina
; però è anche maggiore è la quantità di calore che bisogna fornire al
ciclo (linea 1-2).
• il rendimento di impianto è comunque maggiore del ciclo di Rankine per via della più alta “temperatura
termodinamica media” con quel calore viene fornito al ciclo
• il rendimento del ciclo vale:
Calcoli Tecnici
I bilanci energetici sui singoli componenti si eseguono a partire dall’equazione di Primo Principio,
considerando trascurabili i termini cinetici e gravimetrici rispetto al termine entalpico.
Vincoli tecnologici degli impianti a vapore
Per meglio comprendere l’evoluzione dei cicli a vapore verso più alti rendimenti verso più grande potenza
meccanica astratta, si parte dalla considerazione di ciclo Hirn e si osservi che in generale:
• per estendere l’area di ciclo, le azioni utili possono essere a) abbassamento della pressione di
condensazione (po) b) innalzamento della pressione al generatore (p1).
• Nell’assetto con un solo surriscaldamento non sempre si riesce a garantire che tutta l’espansione
avvenga nella regione del vapore surriscaldato. Gli ultimi stadi della turbina vapore (TV) vanno soggette a
“pitching” (erosione dovuta alle particelle di liquido che, colpendo la superficie delle pale ad alta pressione
e ad alta velocità, ne alterano il profilo aerodinamico e provocano irregolarità di funzionamento, perdite di
rendimento ecc.)
• per limitare l’inconveniente si ricorre ai cicli Hirn con doppio surriscaldamento. A beneficiarne è anche il
rendimento di ciclo in quanto aumenta, rispetto al caso precedente, la temperatura termodinamica media di
fornitura del calore.
• l’espansione della turbina viene fatta in due fasi. Il
vapore che proviene dal generatore arriva nella
turbina di alta pressione, si espande (dal punto 2 al
punto 3r), poi viene riconvogliato nel generatore di
vapore dove viene nuovamente surriscaldato (dal
punto 3r al punto 4), e poi arriva nella turbina di bassa
pressione per completare l’espansione fino all’isobara
inferiore.
• in questo modo si ottengono due vantaggi: si garantisce la vita tecnica della turbina evitando che
l’espansione penetri nella zona di vapore umido, e un incremento di impianto.
Generatore di vapore
• costituito dalla zona dei bruciatori che ricevono aria e combustibile, li
mescolano insieme, e iniettano questa miscela nella camera di
combustione. Qui si sviluppano i fumi caldi che tendono a salire. Si ottiene
una produzione di calore radiante che va a riscaldare il fasciame tubiero
che costituisce le pareti membranate (parete di condotti metallici nelle
quali scorre l’acqua che riscaldata comincia a vaporizzare). I fumi sono poi
costretti a deviare verso un altro fasciame tubiero dove l’acqua si
vaporizza completamente fino a portarsi allo stato di vapore surriscaldato.
Il vapore surriscaldato è poi convogliato nella turbina a vapore.
I fumi, una volta esaurito il loro contenuto entalpico vengono avviati al
camino ed evacuati in atmosfera
generatore di vapore per usi
industriali Camera di combustione
Turbina a vapore Composta da una parte rotorica (in alto) e una parte statorica
(parte che accoglie la serie delle pale e l’albero motore). Le
pale sono di dimensione crescente. Il vapore entra nella
sezione ristretta e sospinto dalla rotazione delle pale è
convogliato verso le sezioni più grandi della turbina così da
consentirne l’espansione. Il vapore viene iniettato contro le pale
della turbina che entrano in rotazione facendo ruotare anche
l’albero motore
• moltiplicando membro a membro avremo: v1b-a v3b-a=v2b-a v4b-a. Essendo l’esponente uguale dappertutto
possiamo eliminarlo e ricavare la seguente equazione:
• riprendendo l’equazione della politropica pvn=cost ed isolando il volume specifico v=cost p-1/n e
sostituendola nella precedente, eliminando gli esponenti poiché uguali, troveremo una relazione analoga
alla precedente ma in termini di pressione:
p1p3=p2p4.
• infine moltiplicando membro a membro la relazione relativa ai volumi specifici e la relazione in termini di
pressione, e tenendo conto della legge di Boyle (pv=RT), avremo:
T1T3=T2T4
• La terna di queste tre relazioni, v1v3=v2v4, p1p3=p2p4 e T1T3=T2T4, prende il nome di regola dei prodotti in
croce
Questo ciclo termico può anche essere pensato come un ciclo aperto
• La turbina ed il compressore sono palettati sullo stesso albero perché nel momento in cui la turbina ruota
trascina in rotazione anche il compressore fornendogli tutta la potenza necessaria per svolgere la sua
funzione. Una residua parte del lavoro prodotto dalla turbina andrà a convertirsi in energia elettrica poiché
alla destra dell’albero vi sarà un alternatore dal quale uscirà energia elettrica.
• il k che figura all’esponente di β nell’equazione del rendimento per l’aria è un valore noto e vale 1.4
• il rendimento del
ciclo combinato si
pone in funzione dei
rendimenti dei singoli
impianti se operassero
da soli
• i cicli combinati sono
più efficienti dei singoli
impianti
Ruolo dei turbogas nella produzione elettrica di potenza
A quale esigenze risponde l’elettricità in una data area territoriale?
L’elettricità alimenta principalmente le attività antropiche in generale, ovvero le utenze civili ed industriali
•Durante le ore del giorno, quando vi sono i picchi di carico di energia, il dispositivo opera da turbina.
L’acqua scorre dal bacino a quota superiore a quello a quota inferiore producendo così energia elettrica
•Durante la notte, quando il fabbisogno di energia elettrica si riduce, il dispositivo opera da pompa
trasferendo l’acqua dal bacino a quota inferiore a quello a quota superiore in modo tale da riportare l’acqua
al bacino superiore per predisporlo per coprire i picchi di carico del giorno successivo.
• nella migliore delle ipotesi il bilancio energetico stagionale o giornaliero è nullo poiché vi sono delle
perdite sia nell’uso da pompa che nell’uso da turbina per via delle irreversibilità il bilancio è moderatamente
negativo.
Applicazioni aeronautiche • Pensando ad un dispositivo in
grado di aspirare aria, compressa
poi da un compressore in modo da
portarla a livello dell’isobara (punto
2). Prima di essere aspirata dal
compressore l’aria passa per una
sezione leggermente divergente.
Questo induce una compressione
dell’aria che fa guadagnare il
gradiente di pressione del punto a
(condizioni ambiente) fino al punto
1
• la compressione da parte del compressore avviene dal punto 1 al punto 2. In uscita l’aria passa attraverso
un combustore e infine i fumi vengono fatti espandere da una turbina (3-4). In uscita questi gas si trovano
ad una pressione e velocità tale da indurre una spinta meccanica. Escono quindi ad una velocità superiore
alla velocità in ingresso.
•La variazione di velocità moltiplicata per la portata d’aria in ingresso è una quantità di moto, e la variazione
di quantità di moto è uguale ad una forza (per il secondo principio della dinamica)
•questo oggetto nel suo complesso finisce per subire una spinta, ovvero una forza che lo fa muovere.
Questo dispositivo è il motore di un aereo
- COEFFICIENTE DI RIEMPIMENTO
Un primo parametro caratteristico dei motori endotermici è il coefficiente di riempimento che
rappresenta la penalizzazione che si ha nell’immissione di carica nel sistema cilindro-pistone. La
carica è la miscela aria-combustibile.
Questa penalizzazione è dovuta al fatto
che non tutta l’aria compressa tra cilindro
e pistone può di fatto essere riempita dalla
carica, questo perché bisogna lasciare uno
spazio morto per consentire l’apertura e la
chiusura delle valvole d’aspirazione ed
espulsione.
Per cui il lavoro netto prodotto dal ciclo lo si può esprimere come :
CONFIGURAZIONE DI UN CICLO TERMICO REALIZZATO DA UN MOTORE ENDOTERMICO:
- CICLO OTTO
Nell’immagine troviamo:
1. Il diagramma P-V che rappresenta il ciclo termico
eseguito dal motore
2. In basso lo schema funzionale
3. In aggiunta abbiamo una candela, ovvero un
dispositivo in grado di far scoccare una scintilla.
Il pistone si muove alternativamente, quindi avanti e
indietro all’interno del cilindro, da qui il nome di
motore alternativo.
- SEGMENTO 0-1: Aprendo la valvola di aspirazione VA si aspira la carica (con carica si intende
la miscela precostituita di aria e combustibile nelle dosi opportune), la miscela quindi penetra
nello spazio disponibile. Quest’ingresso della miscela avviene man mano che il pistone arretra
dal punto morto superiore PMS al punto morto inferiore PMI. Quando mettiamo in
comunicazione la camera di combustione con l’ambiente esterno , entrambi sono alla stessa
pressione. Il punto 1 è il punto morto inferiore PMI, il pistone non può andare aldilà di questo
punto per ragioni di limiti costruttivi.
- SEGMENTO 1-2 | COMPRESSIONE ADIABATICA ISOENTROPICA: Nel momento in cui il
pistone arriva al PMI si chiude la valvola di aspirazione , la valvola di scarico VS rimane chiusa e
quindi il pistone comincia il suo moto da destra verso sinistra, dal punto morto inferiore PMI al
punto morto superiore PMS. Il moto del pistone porta ad una compressione adiabatica
isoentropica (ideale) della miscela che noi ancora consideriamo come un gas ideale.
- SEGMENTO 2-3 | ISOCORA | RISCALDAMENTO A VOLUME COSTANTE: Quando arriva al
PMS, il gas, è nelle sue condizioni di massima compressione e si trova ad una temperatura
idonea perché allo scoccare della scintilla, la miscela possa subire il fenomeno della ignizione,
ovvero possa prendere fuoco, si infiamma. Ecco quindi che, in queste condizioni, la pressione
subisce un salto da 2 a 3 a volume costante. Il volume è costante perché il pistone resta fermo
nella posizione del PMS.
- SEGMENTO 3-4 | ESPANSIONE ADIABATICA: Avvenuta la iniezione, il pistone inizia il suo moto
retrogrado dal PMS al PMI. Si realizza quindi una espansione adiabatica.
- SEGMENTO 4-5: Quindi si apre la valvola di scarico VS e rimane chiusa la valvola di
aspirazione VA, ciò consente la fuoriuscita del gas di combustione. Quando ciò accade, vi è un
crollo della pressione a volume costante che finisce per essere coincidente con il punto 1.
- SEGMENTO 5-0: Il moto di avanzamento del pistone verso il PMS agevola la fuoriuscita del gas
che avviene a pressione costante perché la camera di combustione si trova alla stessa
pressione dell’ambiente esterno. Si tratta della stessa pressione che abbiamo registrato in fase
di aspirazione.
È chiaro che nel conteggio dei processi energetici, il tratto 0-1 e 5-0 non viene conteggiato
perché è percorso 2 volte ma in senso opposto, quindi non da contributi energetici.
Il ciclo reale presenta delle modifiche rispetto al ciclo ideale, infatti nella realtà accade che:
- in fase di aspirazione se la pressione atmosferica è a questa quota, perché di fatto il gas entri
nella camera di combustione, all’interno di quest’ultima vi deve essere una pressione minore.
Diversamente non ci sarebbe un gradiente di pressione tale da permettere l’ingresso della
carica nello spazio di lavoro.
- nel momento in cui si apre la valvola di scarico VS, la pressione crolla ma la pressione della
camera di combustione è più alta rispetto a quella che vi è all’esterno, perché diversamente i
gas non uscirebbero da soli.
Andiamo ad esaminare questi processi alla luce del 1° Principio della termodinamica in relazione
ai sistemi chiusi. Si parla di sistemi chiusi perché una volta che la carica è all’interno del sistema
cilindro-pistone, tutto si svolge senza transiti di massa all’interno di questo spazio. Per questo
adergeremo l’energia interna e non l’entalpia:
Infine:
Nella realtà i rapporti volumetrici che riusciamo a realizzare nei motori a ciclo Otto sono nell’ordine
di 10, quindi questo rendimento teorico è nell’ordine del 60%.
- CICLO DI DIESEL
Si tratta ancora di un ciclo alternativo.
Mentre il motore a ciclo Otto è ad accensione comandata (al PMS, per intervento dello
spinterogeno, scocca la scintilla), il motore Diesel è ad accensione spontanea, ossia l’accensione
avviene per ignizione spontanea della miscela, a seguito del riscaldamento di questa dovuto alla
compressione.
Il ciclo Diesel si rappresenta nel piano
analogamente al ciclo Otto. Quindi abbiamo:
-0-1: aspirazione della carica
-1-2: compressione che il pistone esegue sulla
carica
-2-3: fenomeno della ignizione che si svolge ,
molto approssimativamente, a pressione
costante
-3-4: espansione
-4-1: apertura della valvola di scarico e
fuoriuscita dei gas di combustione attraverso la
valvola stessa.
Il rendimento ideale del ciclo Diesel si calcola introducendo la solita scrittura del medesimo:
- ESPLICITAZIONE DEI TERMINI CALORE E LAVORO NEI CICLI MCI
Qui vi è una sintesi di ciò appena spiegato, utile al fine della risoluzione di esercizi:
- CONFRONTO TRA CICLO OTTO E CICLO DIESEL
Questo diagramma riporta in ascissa il
rapporto volumetrico di compressione e in
ordinata il rendimento termico. Sono
rappresentate una famiglia di curve che si
distinguono per il parametro Rc , ovvero il
rapporto di combustione:
-Nel caso del del ciclo Otto —> Rc = 1
-Nel caso del ciclo Diesel —> Rc varia entro
un range piuttosto ampio.
Parlando di rendimenti volumetrici tipici
dell’ordine di 10, quindi rendimenti tipici di
un motore a ciclo Otto, il rendimento ideale è
nell’ordine del 60%. Se invece volessimo
utilizzare dei rapporti volumetrici più alti per il
ciclo Otto, per esempio 15/20, finiremo per
ottenere solo apparentemente rendimenti più
alti. Nella realtà, usando rapporti volumetrici
più alti per il ciclo Otto, si inducono fenomeni come la detonazione. La detonazione si verifica
quando la pressione, all’interno di un ciclo Otto, aumenta oltre una certa soglia e la miscela va in
ignizione prima ancora che la scintilla scocchi . Ciò determina un comportamento anomalo del
motore che può portare alla distruzione del motore stesso. Dunque rapporti volumetrici superiori a
10, per un ciclo Otto, sono assolutamente proibitivi per il subentrare di fenomeni distruttivi come la
detonazione.
Questo problema non si pone per il ciclo Diesel. Quest’ultimo pur partendo da rapporti di
combustione più bassi, dell’ordine di 3/4, con rapporti di compressione dell’ordine di 20 finisce
per superare il rendimento ottenibile dai cicli Otto.
A livello termodinamico possiamo concludere che sia dal punto di vista teorico e anche dal punto
di vista reale , i cicli Diesel presentano un rendimento termodinamico superiore a quello dei cicli
Otto. La contropartita dei cicli Diesel è il fato che noi utilizziamo combustibili più pesanti della
benzina, come il gasolio. Quest’ultimo è un derivato petrolifero che presenta residui di zolfo
maggiori a quelli della benzina ed in sede di prodotto di combustione presenta un particolato più
consistente di quello che presenterebbe un motore a benzina. Questo indurrebbe problemi
ambientali più severi che, tuttavia, oggi le marmitte catalitiche che e i filtri anti-particolati hanno in
gran parte risolto.
I rendimenti reali ad oggi sono nell’ordine del 30% nei motori a benzina e 40% nei motori Diesel.
Ecco perché i motori Diesel hanno una taglia maggiore rispetto ai motori a benzina.
- CICLO SABATHE’
Il ciclo Sabathè approssima, in modo
migliore rispetto al ciclo Otto e
Diesel, ciò che accade nella realtà.
La particolarità di questo ciclo è
quella di avere, in sede di ignizione,
un primo tratto a volume costante e
un secondo tratto a pressione
costante, gli altri processi sono i
medesimi descritti negli altri cicli.
Nel momento in cui si effettua
l’analisi termodinamica, l’espressione
risolutiva sarà del tipo:
- BILANCI ENERGETICI IN UN MOTORE
Questo valore di rendimento ci fa vedere come, sia trattandosi di un ciclo Otto sia avendo un ciclo
Diesel, questo motore endotermico è un dispositivo di conversione termo-meccanica dalle
prestazioni molto modeste. Perché se il rendimento è del 30% , il cascame termico è del 70%.
Il motore endotermico, quindi, funziona meglio come sorgente termica e dunque come macchina
per la produzione del calore piuttosto che come macchina per sviluppare energia meccanica.
CAPITOLO 9 I CICLI INVERSI
GENERALITÀ
I cicli inversi ci permettono di ottenere la produzione del freddo tramite una serie di tecnologie di
grande interesse e che nel loro complesso rendono un grande servizio all’umanità perché con la
produzione del freddo riusciamo a far fronte a tante esigenze che vanno dal condizionamento
dell’aria, rinfrescamento degli ambienti, dei locali, fino alla refrigerazione industriale, la
congelazione, surgelazione e conservazione degli alimenti e poi nei casi delle tecnologie di basse,
bassissime temperature si opera anche nel campo criogenico, riuscendo ad indagare i misteri della
natura che si rivelano solo quando la materia è portata a bassissime temperature e, dunque,
possiamo conoscere fenomeni che altrimenti non potrebbero manifestarsi e conoscere meglio la
natura della materia. Ad ognuno di questi campi corrispondono temperature operative diverse:
• CONDIZIONAMENTO: T= 3-5 °C
• REFRIGERAZIONE INDUSTRIALE: T=0- -5 °C
• CONGELAZIONE: T=-5- -10 °C
• SURGELAZIONE: T=-20- -30°C
• APPLICAZIONI CRIOGENICHE: T=-100- -270°C
Le temperature che bisogna raggiungere sono in ogni caso inferiori rispetto la temperatura
dell’ambiente che rientra nell’ordine dei 300K e dunque circa 20 °C. Le bassissime temperature
vanno dai -100 °C fino a -270 °C (0 K).
L’efficienza della Macchina di Carnot inversa Ɛc risponde alla definizione generale di calore
estratto diviso lavoro fornito, e sono in forma reversibile sia l’uno che l’altro. Essendo in forma
reversibile, Q1 posso scriverlo invocando la definizione di entropia quindi come prodotto tra la
temperatura T1 e ΔS, Q2 posso scriverlo analogamente. Questo ΔS, essendo comune a
numeratore e denominatore, lo posso elidere.
Le nostre macchine avranno un’efficienza Ɛ minore di quella del Ciclo di Carnot. La macchina di
Carnot può raggiungere valori. L’efficienza è data da un numero positivo, dunque sempre
maggiore o uguale a 0, in base alla differenza tra T1 e T2 quindi delle due isoterme, infatti, T2 è
sempre maggiore di T1, dunque il denominatore è sempre positivo. Ma tanto più T2 e T1 sono
prossime l’una all’altra, tanto più è probabile che questo rapporto raggiunga valori superiori a 1,
dunque non dobbiamo meravigliarci se la macchina a ciclo inverso raggiunga valori maggiori di 1.
Così dicasi anche per i cicli reali delle macchine inverse. Dunque, questo Ɛ non ha limiti superiori,
possiamo pensare di raggiungere alti valori di efficienza delle macchine frigorifere, e questa è una
grande differenza con le macchine a ciclo diretto. Infatti, le macchine a ciclo diretto, compresa
quella di Carnot, non possono raggiungere un’efficienza unitaria, invece sia la Macchina di Carnot
inversa che le macchine inverse reali possono avere efficienza maggiore a quella unitaria.
PIANI TERMODINAMICI PER LO STUDIO DEI CICLI INVERSI
Possiamo rappresentare i processi dei Cicli inversi in un piano termodinamico, usando i piani
termodinamici visti finora, in particolare il piano Temperatura- Entropia o il piano Entalpia-Entropia.
In realtà, però, nei cicli inversi troviamo particolarmente comodo rappresentare i processi nel piano
termodinamico Pressione-Entalpia.
LEGENDA:
La curva limite vista negli altri piani termodinamici si deforma quando la rappresentiamo nel piano
p,h ed assume un andamento non tanto a campana ma un suo lontano ricordo. Le famiglie di
curve sono comunque chiaramente individuabili. Un processo a pressione costante sarebbe
rappresentato da un segmento orizzontale, un processo ad entalpia costante sarebbe
rappresentato da un segmento verticale. L’andamento delle isoterme sono quelle contrassegnate
dal valore T=cost. Le linee a ENTROPIA COSTANTE hanno un andamento piuttosto verticale e si
inclinano man mano che ci sposta verso destra. Nei piani termodinamici presso l’entalpia sono
rappresentate anche le curve ISOTITOLO simboleggiate con il simbolo x=01, 03, 05 fino a x=1. Il
punto K rappresenta il punto critico. Questo diagramma è puramente qualitativo.
3. COMPRESSORI SCROLL
Sono l’ultima generazione dei compressori meccanici per macchine frigorifere. Sono realizzati
con l’accoppiamento di due spirali di archimede che ruotano eccentricamente l’una rispetto
all’altro. Il gas, che in effetti è un vapore, ( il termine gergale gas in questo caso per designare
un vapore tecnicamente è sbagliato ma in ambito ingegneristico ci si continua ad esprimere in
questi termini) viene coinvolto tra queste spire che lo costringono nel loro moto rotatorio
eccentrico verso volumi sempre più piccoli, sempre più bassi, così da darne in uscita un vapore
compresso. Sono compressori molto apprezzati perché stabili, silenziosi, di lunghissima ditta
tecnica come lo sono anche i compressori a vite. Utilizzati per piccole – medie taglie di impianti.
Oggi le macchine più moderne, quelle ormai largamente disponibili in commercio usano di
preferenza compressori Scroll o a vite.
4. COMPRESSORI CENTRIFUGHI
Coprono le grandissime taglie, nell’ordine di centinaia di chilowatt frigoriferi, usati nei grandi
impianti frigoriferi, per grandi magazzini frigoriferi, per la conservazione delle derrate alimentari
che funzionano su tutt’altro meccanismo fisico. Il compressore, in figura, richiama da vicino
quelli che si usano negli impianti Turbo gas, il componente è sempre quello, a meno di
adattamenti al fluido di lavoro che qui sono diversi al caso dei turbo gas.
EVAPORATORI
1. EVAPORATORI ALETTATI
2. EVAPORATORI A PIASTRA
Sono quelli che troviamo nei nostri frigoriferi domestici. Qui il fluido di lavoro si muove all’interno
di due piastre che hanno un disegno particolare tale che accoppiandole si possano creare dei
varchi, dei canali o canalicoli che permettono la circolazione del fluido di lavoro tra ingresso ed
uscita.
CONDENSATORI
Anche essi sono scambiatori di calori.
1.CONDENSATORI AD ARIA (Dry Coolers)
Lo scambio termico avviene con aria, il cascame termico viene rilasciato nell’aria atmosferico e
sono di tipo alettato. Presenti nei nostri edifici universitari.
Servono per l’evacuazione del cascame termico dei cicli del freddo verso l’ambiente esterno
all’area atmosferica
VALVOLA D’ESPANSIONE
È l’organo di laminazione nella sua forma realistica
CALCOLI TECNICI
Relazioni che permettono di eseguire qualche calcolo tecnico di dimensionamento.
Possiamo quantificare i parametri caratteristici della macchina una volta note la portata di fluido
che circola all’interno della macchina, m, ed il salto entalpico su cui opera il componente.
EFFICIENZA. È il rapporto tra risultato utile ottenuto che noi identifichiamo come potenza estratta
dall’ambiente esterno da refrigerare, Qev, e la potenza meccanica con cui alimentiamo la
macchina, dunque la spesa energetica a carico nostro. P è posto in valore assoluto perché se lo
mettessimo così come si presenta, essendo un termine negativo, avremo un’efficienza negativa e
ciò non va bene.
LIMITI OPERATIVI DEL CICLO INVERSO
Tutto ha origine nella scelta iniziale delle isobaresuperiore e inferiore di ciclo, per cui dobbiamo
chiederci con che criterio vanno scelte. La risposta si può dare immediatamente, riflettendo sul
processo che si svolge lungo queste isobare.
Per determinare l’impatto ambientale dei nuovi refrigeranti si può utilizzare l’indice di impatto
ambientale TEWI (Total Equivalent Warming Impact):
Dove:
Il secondo termine della somma è il contributo all’effetto serra indotto dalla produzione di elettricità
necessaria al funzionamento della macchina stessa. Molte volte i due termini dell’operazione si
controbilanciano e si può valutare quanto questi fluidi refrigeranti siano stati risolutivi per l’effetto
serra. Si è visto che dal punto di vista dell’effetto serra questa sostituzione di CFC con fluidi più
benigni non è stata così benefica come per l’assottigliamento dell’ozono. Ciò avviene perché le
macchine attualmente esistenti sono quelle progettate a partire dagli anni 30 e 40 e quindi
ottimizzate per l’uso i fluidi refrigeranti di vecchio tipo. Passando ai nuovi refrigeranti queste
macchine presentano una penalizzazione sul fronte dell’efficienza che ha finito per incrementare il
tasso di GWP e dunque c’è stata una compensazione in termini ambientali complessivi.
• Nella macchina a compressione (MC) il fluido di lavoro, qualunque esso sia, il Freon ma anche
altri refrigeranti come, nei grandi impianti l’ammoniaca o la CO2, è monocomponente ovvero
una sostanza omogenea. Nella macchina ad assorbimento (MA) il fluido di lavoro è
bicomponente ovvero costituito da due sostanze distinte mescolate insieme, dunque è un
miscuglio di due fluidi diversi di cui uno molto più volatile dell’altro, come, ad esempio, acqua
ammoniaca NH3+H2O oppure acqua bromuro di litio H2O+LiBr. Essendo un fluido più volatile
dell’altro, quando riscaldiamo questo miscuglio uno dei due fluidi deve produrre velocemente i
vapori che si sollevano dal miscuglio per eseguire il ciclo termico vero e proprio. Quindi se
consideriamo NH3+H2O il fluido più volatile è l’ammoniaca, mentre nell’acqua bromuro di litio il
fluido volatile è l’acqua, essendo anche l’unico fluido in quanto il bromuro di litio è un sale.
• Nella MC l’energia fornita è il lavoro meccanico che aziona il compressore, magari in origine
energia elettrica poi trasformata in energia meccanica, mentre nelle MA è calore, infatti queste
macchine producono il freddo a partire da energia termica cioè calore. Il calore di cui hanno
bisogno non è però a basse temperature ma deve avere una temperatura T≥ 90°C. Questo
calore può essere ottenuto o tramite tecniche ordinarie, ovvero processo di combustione,
caldaie che sviluppano fumi caldi e poi attraverso scambiatori di calore questa miscela viene
riscaldata, oppure anche da cascami termici se presenti come negli ambienti industriali, oppure
ancora da cascami termici che provengono da motori a combustione interna. In questi motori il
cascame viene evacuato in atmosfera e quindi disperso, perduto definitivamente, e può essere
utilizzato per alimentare queste macchine del freddo, anche perché i cascami termici dei motori
endotermici sono a temperature anche maggiori dei 90°C, come la temperatura dei fumi che è
oltre un centinaio di gradi. Il calore può anche essere prodotto da collettori solari che in
particolare in estate possono produrre fluidi a temperatura anche superiore ai 90°C. Per arrivare
a questi risultati, i collettori solari da usare non sono quelli piani, i più comuni ed a basso costo,
ma è necessaria una tecnologia sofisticata, ovvero collettori solari ad alta efficienza, ad alta
temperatura o alta concentrazione. Sarebbe interessante produrre il freddo a partire dall’energia
solare, non solo per il beneficio da un punto di vista ambientale in quanto l’energia solare è
rinnovabile. Consideriamo, infatti, anche il vantaggio di un collettore solare che deve
provvedere al raffrescamento di un edificio. In inverno, qualora utilizzassi l’energia solare per
riscaldare gli ambienti abbiamo il problema della non congruenza temporale tra massimo
fabbisogno e minima disponibilità di energia solare e dunque devo interporre tra l’impianto
solare e l’ambiente un accumulatore termico, che accumuli sole durante il giorno e lo rilasci la
notte oppure accumuli energia solare durante l’estate e la rilasci in inverno. D’estate c’è perfetta
sincronia tra il massimo fabbisogno e la massima disponibilità di energia solare, quindi potrebbe
non esserci bisogno di accumulatore termico. Da qui l’interesse di sviluppare questa tecnologia
del Solar Cooling, raffreddamento a partire da energia solare.
Combinando le due equazioni ottenute per costruirne il rapporto, otteniamo l’espressione esplicita
che correla l’efficienza di queste macchine ad assorbimento con le temperature dei serbatoi
termodinamici con cui la macchina si rapporta.
Poiché nella relazione compare anche σ, possiamo affermare che se la macchina fosse ideale
questo sarebbe nullo e rimarrebbe un’efficienza Ɛi solo e soltanto in funzione delle tre temperature
in gioco.
Immagini più realistiche delle macchine ad assorbimento: abbiamo i due serbatori, due vani che
non sono rappresentati da sfere ma da corpi cilindrici che hanno dentro ulteriori componenti e poi
troviamo varie circuitazioni. Per decifrare l’immagine aiutiamoci con le diciture e le simbologie.
Dall’immagine del generatore troviamo il fluido che sarà la miscela bicomponente, consideriamo
acqua ammoniaca, che viene condotto nella serpentina riscaldante, la quale convoglia calore, che
è stato prodotto separatamente in una parte di immagine qui non riportata, e Qg è il calore
entrante. I vapori di ammoniaca si sollevano e arrivano al condensatore, rappresentato
nell’immagine con una serpentina, per suggerirci l’idea di un vero e proprio scambiatore di calore
capace di assumere questo calore e convogliarlo all’esterno. Questa serpentina che rappresenta il
condensatore proviene dai livelli più bassi dove si ricongiunge all’assorbitore. Il fluido di
raffreddamento passa, dunque, per l’assorbitore dove raccoglie i cascami termici di questo
elemento sviluppati dalla reazione esotermica della miscela ricca e di quella povera. Poi continua
e raccoglie i cascami termici del condensatore e li scaricherà all’esterno, nell’atmosfera.
Dall’assorbitore fuoriesce il liquido ricostituito come miscela acqua e ammoniaca che, la pompa
assorbitore convoglia versa il condensatore, mentre la pompa travaso lo fa passare verso lo
scambiatore rigenerativo che lo convoglia al generatore. Confrontando le diciture e i numeri indicati
nel circuito si può ben capire il funzionamento del circuito.
Per i piccoli impianti, invece, quelli di taglie più piccole, quindi adatti per piccole o medie utenze, ad
esempio alcuni appartamenti o una villetta, disponiamo oggi di macchine di taglia di qualche
decina di KW quindi non proprio per un appartamento ma 3-4 appartamenti o una villetta.
Macchine che, però, possono far fronte anche a carichi termici o fabbisogni di freddo ben maggiori,
semplicemente usandone più di una in serie o in parallelo, e farle intervenire, una o più di una, a
seconda del momento e del fabbisogno istantaneo. Quella in figura è una tecnologia di cui in Italia
abbiamo il leader mondiale e che sta conquistando fette sempre maggiori di mercato
meritatamente perché notevole ed interessante.
Confrontiamo le macchine con il nuovo indice ottenuto, assumendo i seguenti dati di riferimento:
MACCHINE A COMPRESSIONE:
In queste macchine l’energia primaria è tratta da fonti elettriche e coincide con Q1 che è il calore
da fornire al ciclo termico diretto per ottenere questa potenza elettrica. Questo Q 1 è pari al rapporto
tra potenza elettrica e rendimento della centrale termoelettrica, che in questo caso assumiamo pari
a 0.37. Il rapporto tra Q e Pel è pari all’efficienza della macchina a compressione che assumiamo
pari a 2.5, anche esso valore ormai molto cautelativo.
MACCHINE AD ASSORBIMENTO MONOSTADIO:
Lavorando sempre a parità di Q, l’energia primaria al denominatore sarà data dal rapporto tra Qg,
ovvero il calore al generatore, e ƞc il rendimento di caldaia o comunque del processo di
combustione che noi assumiamo pari a 0.9. Il rapporto tra Q e Qg rappresenta per definizione
l’efficienza delle macchine ad assorbimento che nel caso monostadio, assumiamo ottimisticamente
pari a 0.8.
MACCHINE AD ASSORBIMENTO BISTADIO:
Se la macchina ad assorbimento è bistadio, la sua efficienza è pari a 1.2.
- Nella macchina frigorifera l’utenza sta nel lato dell’evaporatore, è infatti l’ambiente da
refrigerare, e tramite l’utilizzo di una macchina ciclica che riceve lavoro dall’esterno
trasferisce questo calore all’ambiente esterno che sta da lato del condensatore.
- Nella pompa di calore: la macchina continua ad essere ed operare allo stesso modo, ma sono
scambiate le posizioni dell’ambiente esterno e dell’utenza. Essa assorbe calore da un
ambiente a temperatura minore T1(che può essere l’aria, l’acqua o il terreno), lo rigrada
attraverso fornitura di lavoro e produce calore destinato a fluidi di interesse tecnico (acqua,
aria) e quindi all’utenza che adesso si trova dalla parte del condensatore. Esistono quindi
pompe di calore del tipo aria-aria, aria-acqua, terreno-aria terreno-acqua ecc. in cui il primo
termine indica l’ambiente naturale e il secondo il fluido di lavoro.
Si chiama pompa di calore poiché in effetti opera alla stregua di una pompa idraulica che
muove l’acqua da un serbatoio a quota più bassa verso uno a quota più alta, previa fornitura di
lavoro.
L’indice di efficienza della pompa di calore è indicato con COP: coefficient of performance
|𝑄2 | 𝐿+𝑄1
COP= |𝐿|
= 𝐿
= 1 + 𝜀 COP≥1 (condizioni normali aria-aria: Tev=7°C Tc:=0°C; aria-acqua: Tev=7°C Tc=35°C)
La pompa di calore viene utilizzata per produrre calore alla stregua di altre apparecchiature
quali le stufe elettriche, le caldaie ma quale di queste tecnologie è vincente? Dal momento che
la caldaia è alimentata da energia termica e la stufa da energia elettrica, per confrontarle
bisogna risalire all’energia primaria consumata a parità di calore fornito. Bisogna quindi
confrontare il REP (calore reso/ unità di energia primaria consumata).
Il COPmin è dato
dall’intersezione tra il
grafico della PdC e la
caldaia. Al di sotto di
esso è vantaggioso
utilizzare una caldaia, al
di sopra una PdC.
Criterio economico
Essendo, per
definizione, il COP>1
allora tale rapporto è
sempre minore di
uno, ciò significa che
il costo di esercizio
della PdC è sempre
minore di quello del
riscaldamento
elettrico a parità di
calore fornito.
Costi globali
Per completare l’analisi bisogna valutare anche il costo capitale (calcolato in €), oltre il costo di
esercizio calcolato in (€/anno o €/mese) non possono essere sommati, bisogna quindi
procedere con l’attualizzazione del costo capitale, tramite cui converto il costo capitale in
€/anno che posso sommare al costo di esercizio annuale(come se, per esempio, chiedo un
prestito alla banca per l’acquisto della macchina, somma che restituirò alla banca con
interessi). Tale valore si ottiene moltiplicando il costo capitale e il fattore di attualizzazione (che
dipende dal tasso di interesse bancario e il numero di anni in cui si intende saldare il debito).
Queste 3 equazioni
rappresentano 3
rette in funzione di f
(tempo di utilizzo
annuo in ore). Tali
rette avranno
origine nel punto
f=0 corrispondente
al costo delle varie
macchine ed hanno
anche una propria
pendenza data da f.
Le 3 rette si intersecano in diversi punti, individuando le aree in cui è più vantaggiosa usare
una tecnologia piuttosto che un’altra. il grafico ci fa capire quale tecnologia è economicamente
più vantaggiosa in funzione dei costi di esercizio, dei costi capitali e degli indici di prestazione
energetica.
Pompe di calore Reversibili o Bivalenti
Una Pdc, esegue di fatto un ciclo inverso, può essere usata come Pdc propriamente detta e
come macchina del freddo, la macchina è infatti uguale per entrambi i processi. Bisogna solo
scambiare l’ambiente esterno ed quello esterno, che può essere fatto attraverso l’utilizzo della
scatola di inversione.
Ciclo termico inverso (eseguito dalla macchina qualunque sia la
stagione): 1-2 Evaporazione; 2-3 compressione; 3-4 condensazione; 4-
1laminazione.
Teleriscaldamento
Possiamo inoltre eseguire la cogenerazione su larga scala, in questo caso si parla di
teleriscaldamento: si ha una centrale elettrica che distribuisce l’energia prodotta tramite elettrodotti
ed i cui cascami vengono convogliati attraverso uno scambiatore sottoforma di vapore alle aree
urbane ed utilizzato per il riscaldamento. Il primo comune in Italia ad utilizzare tale metodo fu la
città di Brescia. Fu un progetto del 1972, avviato nel 1977, in grado di produrre 64MWe e 170MWt
tramite un motore diesel di 24MWe e 28MWt supportato da una caldaia policombustibile da
215MWt. Questo apparato serviva una volumetria di 25 milioni di metri cubi, a fronte di 40 milioni di
metri cubi di volumetria edificata.
Sezione del condotto interrato sotto il piano
stradale con condotti in acciaio, che
trasportano acqua surriscaldata a circa 110°C
all’interno di circuiti pressurizzati per evitare
che vada in ebollizione, per motivi funzionali e
di sicurezza.
Sono inoltre previsti progetti di questo genere in 27 città italiane (tra cui Padova, Modena, Cesena)
Vantaggi ambientali:
-Nella cogenerazione la sorgente inquinante è la centrale termoelettrica/ motore diesel/ caldaia ma
in quel caso i gas di scarico vengono emessi localmente e quindi facilmente sottoponibili a
verifiche e controlli, inoltre sono dotati di alti camini che ci assicurano una diluizione in quota delle
sostanze inquinanti.
-Nel riscaldamento privato la sorgente inquinante è distribuita e coinvolge tutta l’area urbana, è di
fatto incontrollabile ed inoltre le emissioni sono rilasciate a bassa quota.
La cogenerazione porta quindi benefici ambientali.
Tele raffreddamento
Come visto le città che usufruiscono del teleriscaldamento sono tutte città del nord, poiché
occorrono due requisiti fondamentali: l’alta densità abitativa (in modo che ci siano numerose
utenze che ripaghino gli investitori) e una lunga stagione di riscaldamento. Molte città del sud
soddisfano il primo requisito ma, generalmente, nessuna il secondo. Ciò scoraggia gli investitori e
pertanto in nessuna città del sud è presente un impianto di teleriscaldamento.
Il sud invece può usufruire del teleraffreddamento, tramite macchine ad assorbimento, che
produce il freddo a partire dal calore, di grandi taglie. Il problema è però di natura economica,
infatti le macchine hanno grandi costi, tuttavia in Italia ci sono alcuni esempi:
utilizzano calore prodotto a 120°C e
distribuiscono questo calore con circuiti
ad acqua surriscaldata e passano da
macchine ad assorbimento per trasferire
freddo all’utenza.
Le prospettive del teleraffreddamento in generale sono ottime, in quanto esso può ridurre i
sovraccarichi elettrici soprattutto nelle ore di punta ed inoltre per evitare il sottoutilizzo della rete
del gas nelle mezze stagioni e in estate.
Impianti Year Round
Con le tecnologie di cui disponiamo è possibile
fornire alle utenze energia elettrica, termica e
frigorifera simultaneamente in qualunque periodo
dell’anno, tramite l’utilizzo di un impianto turbogas
con albero collegato ad un compressore di un
ciclo frigorifero. I cascami termici del ciclo a gas
vengono fatti passare attraverso uno scambiatore
dal quale attinge una macchina ad assorbimento.
Sempre sfruttando i cascami termici si può
produrre calore tramite il teleriscaldamento. Tali
tecnologie realizzano la trigenerazione.
CONCLUSIONI
la cogenerazione è una soluzione irrinunciabile per conseguire risparmi energetici e rispetto
ambientale. Le tecnologie oggi disponibili sono innumerevoli, mature ed ampiamente accessibili.
1
CAPITOLO 12
IMPATTO AMBIENTALE DELLE TECNOLOGIE ENERGETICHE
QUALITA’ AMBIENTALE DELLE TECNOLOGIE ENERGETICHE
Impatto ambientale comportato dall‘uso delle tecnologie energetiche
Lo schema sintetizza l’universo dei processi e delle grandezze fisiche.
Rettangolo dove sono inclusi i processi di
combustione da cui dipendono la quasi
totalità di tutti i processi energetici e le
tecnologie energetiche di cui
disponiamo. Tali processi da un lato
consumano energia primaria EP
rappresentata a sinistra, questi processi a
cui danno luogo le attività di
combustione sono eseguiti dall’universo
delle tecnologie che danno in uscita le 3
forme di energia di cui l’umanità oggi ha
più bisogno: energia termica, frigorifera e
potenza che può essere interpretata
come elettrica o meccanica, forme di
energia utile Eu.
Questi processi emettono delle sostanze che sono potenzialmente inquinanti (come abbiamo visto nel
capitolo della combustione).
La massa di questi elementi inquinati la indichiamo con mp.
Tali elementi, in linea di principio possono non essere rilasciati direttamente in atmosfera, alcuni possiamo
sottoporli a processi di mitigazione dell’impatto ambientale, una parte di questi inquinanti può essere
controllata ed eliminata dalla contaminazione dell’ambiente anche se c’è una residua parte che viene
comunque emessa in atmosfera, detta mr.
Es mitigazione: tecnologie per limitare l’emissione degli ossidi di zolfo, i desolforatori.
Tutti questi processi, utilizzando per lo più macchine cicliche, producono cascami termici quindi calore che
viene rilasciato in ambiente e va ad alterare, almeno localmente, le condizioni ambientali.
Sono due le forme di inquinamento che analizzeremo: uno di tipo termico legato ai cascami termici
rilasciati in ambiente e un inquinamento di tipo chimico legato alle sostanze più aeriformi che vengono
rilasciate in ambiente.
Nomenclatura che ci permetterà di stabilire relazioni analitiche per fare i nostri calcoli finalizzati alla
valutazione degli impatti ambientali attraverso degli indici, dati sintetici, monomerici (se possibile) che
siano la sintesi di quello che è il danno ambientale indotto dall’uso delle tecnologie energetiche.
Definizioni:
2
rapporto tra l’energia nella data forma richiesta dall’ utenza e l’energia primaria a cui si va a ricorrere per
servire questo scopo.
rapporto tra la massa di inquinante rilasciato dal processo di combustione e l’energia primaria cui il
processo di combustione va ad attingere.
rapporto tra la massa rilasciata in atmosfera rispetto alla massa entrante alla tecnologia di mitigazione
𝒎𝒂𝒃 𝒎𝒑−𝒎𝒓
Efficienza di abbattimento: ηDe = = = 1 – FR
𝒎𝒑 𝒎𝒑
rapporto tra la massa abbattuta dalla tecnologia di mitigazione rispetto alla massa inquinante entrante
𝒎𝒓 𝒎𝒓 𝒎𝒑 𝑬𝑷 𝑭𝑹 𝑭𝑬 𝑭𝑬(1−𝜼 𝑫𝒆)
Fattore di inquinamento chimico: 𝑰 = = = =
𝑬𝒖 𝒎𝒑 𝑬𝑷 𝑬𝒖 𝑹𝑬𝑷 𝑹𝑬𝑷
rapporto tra la massa di inquinante definitivamente rilasciata nell’ ambiente e l ‘energia utile prodotta.
Quando utilizzo una caldaia, questa mi produce il calore che io richiedo (energia utile) ma a fronte di questo
servizio emette in atmosfera CO2 ecc., la massa di questo dato inquinante andrà a costituire il numeratore
di questo indice o fattore di inquinamento chimico che posso esplicitare utilizzando le definizioni
precedenti come si vede nell’equazione. Per passare dalla definizione operativa che abbiamo dato al terzo
membro basta moltiplicare e dividere per mp e poi ancora moltiplicare e dividere per l’energia primaria e
allora si vede che mr/mp viene a costituire il fattore di rilascio, mp/EP viene a essere il fattore di emissione
ed Ep/Eu è l’inverso del REP, a sua volta Fr si può correlare con l’efficienza di abbattimento e troviamo
l’espressione finale.
Questi indici mettono in relazione quello che è il beneficio ottenuto dall’utilizzo di una data tecnologia con
il danno ambientale che quella tecnologia produce in termini di: massa di inquinante rilasciato o di calore
rilasciato a sua volta nell’ambiente.
3
CICLO DIRETTO
Eseguito da molti impianti come le centrali termoelettriche, i motori a combustione interna.
Nello schema funzionale vanno specificati cosa sono il Qout ed Eu in modo
da essere chiaro a cosa corrispondono questi simboli, il Qout corrisponde al
Q0 cioè Il calore rilasciato in ambiente e l’energia utile è P, cioè la potenza
prodotta.
Il rendimento di questi impianti è dato per definizione
dal rapporto tra P e Q1. Q1 a sua volta posso esplicitarlo
sulla base del bilancio energetico fatto sulla macchina
nel suo complesso e quindi dato dalla seconda
espressione. Combinate queste due espressioni in modo
tale da potere esprimere l’indice
di inquinamento secondo la
definizione.
Q’0/P= P+ Q2/P
Q0/P= (1/n) - 1
semplifichiamo e con il risultato torniamo ad avere un indice di
inquinamento termico che è ancora una volta funzione
dell’efficienza delle due tecnologie che sto utilizzando, ε è associato alla macchina del freddo e η è invece
efficienza del motore primo.
Andando avanti e analizzando con analogo approccio i casi di cicli inversi ad assorbimento e le pompe di
calore troviamo delle espressioni in cui gli indici di inquinamento sono espressi in funzione delle tecnologie
che servono per il funzionamento della macchina in questione.
1
𝐼𝑄 = +1
𝜂𝑐 𝜀
5
POMPE DI CALORE
0ltre al Q’0 c’è anche il Q0 che è il cascame termico della centrale termoelettrica che mi genera la potenza a
me richiesta che è la P.
Siamo riusciti, con questo tipo di analisi, a esprimere questo indice di inquinamento ambientale sempre e
solo in funzione di quelle che sono le efficienze termodinamiche delle macchine che utilizziamo.
Messaggio: la riduzione
dell’impatto ambientale
passa attraverso il
miglioramento dell’efficienza
energetica.
6
EMISSIONI DI CO2
Valutiamo l’indice di inquinamento chimico: il rapporto tra la massa di quel dato inquinante a cui siamo
interessati e l’energia che quella data tecnologia che utilizziamo ci offre.
Un inquinante particolarmente nocivo e che richiama la nostra attenzione è la CO2, perché è responsabile
del surriscaldamento globale che crea danni ambientali, su di esso dobbiamo esercitare delle verifiche.
La limitazione delle emissioni inquinanti in atmosfera può in generale conseguirsi attraverso:
• Interventi in sede di combustione, con particolari accorgimenti, dispositivi che hanno a che fare
con il processo in sé della combustione.
Resta solo la possibilità di intervenire sui fumi, l’idea potrebbe essere quella di sottoporre a processi
chimici questi fumi per estrarne il componente CO2, liquefarlo e depositarlo in serbatoi geologici (grandi
caverne naturali nel sottosuolo a grandi profondità) oppure iniettarlo negli abissi marini, confidando sul
fatto che essendo una sostanza estremamente stabile non si decomponga velocemente, non sono
tecnologie usate correntemente
In definitiva, la co2 associata ai fumi che provengono da qualsiasi prodotto di combustione viene di fatto
rilasciato in atmosfera.
L’indice di CO2 che abbiamo definito correlando le definizioni che abbiamo dato. Possiamo dire che
l’efficienza di decontaminazione da CO2 di fatto è nulla:
In conclusione, questo indice di inquinamento chimico da CO2 si può calcolare molto semplicemente come
il rapporto tra il fattore di emissione e il rapporto di energia
primaria:
formula che mette a confronto: a numeratore il fattore di emissione che è una grandezza che dipende
esclusivamente dalla natura del combustibile e il REP che sintetizza la qualità tecnologica dell‘impianto che
andiamo a utilizzare per produrre la forma di energia richiesta dall’utenza.
Andiamo a particolarizzare questo indice di inquinamento chimico di CO2 nei vari casi di pratico interesse:
7
CARBONE: quando viene estratto dalla miniera è carico di impurità e scorie ma in grandissima parte è
CARBONIO vero e proprio
La reazione di ossidazione del carbonio non
trascura di riportare quello che è l’entalpia di
reazione cioè il calore prodotto dalla esotermicità
della reazione.
Scriviamo il bilancio di massa: massa molecolare del carbonio= 12, dell’ossigeno=32 e massa molecolare
dello CO2 44.
PETROLIO: CH2 dà luogo a questa reazione chimica e le masse in gioco sono quelle al secondo rigo
Dunque, possiamo osservare il potere calorifico di questi tre combustibili, questi valori che abbiamo
appena evidenziato nelle reazioni chimiche precedenti.
Possiamo calcolare preliminarmente il rapporto: massa di CO2 per chilo di combustibile utilizzato. Nel caso
del metano la massa di CO2 la posso calcolare come prodotto del numero di moli per il peso molecolare
della CO2, così facciamo pure per il petrolio e per il carbonio.
Siamo pronti, dunque, a determinare i FATTORI DI EMISSIONE secondo la definizione che abbiamo dato, è
sufficiente partire dal rapporto che abbiamo determinato precedentemente e andare a dividere per il
potere calorifico del dato combustibile, fatto ciò, possiamo esprimere questo fattore di emissione: o in
grammi di CO2 per MJ di energia primaria oppure in Kg di CO2 per KWh di energia primaria.
8
Ci troviamo una graduatoria che permette di giudicare il grado di responsabilità dal punto di vista
dell’inquinamento indotto da questi tre combustibili, per questo si sta passando dall’utilizzo del petrolio
verso al metano in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica. Essa in ogni nazione viene prodotta con un mix di
tecnologie, in Italia noi usiamo prevalentemente il metano ma ci sono ancora molte centrali che vengono
alimentate con altri combustibili e alcune ancora a carbone.
Il fattore di emissione deve quindi tenere conto della proporzione con cui questi combustibili vengono
utilizzati in Italia, nello specifico qui abbiamo un fattore emissione elettrico dell’ordine di:
Questo valore dipende dalla nazione, per esempio, in Francia dove l’energia elettrica viene prodotta ancora
in buona parte da fonte nucleare questo fattore è molto più basso, in Norvegia dove invece la maggior
parte dell’energia elettrica viene prodotta da fonte idroelettrica questo fattore di emissione è tendente a
zero.
Quindi il REP è calcolabile esclusivamente in funzione del rendimento termodinamico dei dispositivi
utilizzati.
9
Questo indice di inquinamento chimico dovuto al CO2 compete alle varie tecnologie, e le tecnologie che
presentano il minimo indice di inquinamento da CO2 sono, per esempio, sono le GHP (pompe di calore a
gas), le GFA (gruppi frigoriferi ad assorbimento, le CD (caldaie a condensazione) e poi man mano che
passiamo ai GFA_1sl, i GFC, i MCI e CTE/CC presentano degli indici di inquinamento via via più alti
Questo quadro di insieme mi fa capire quali sono le tecnologie a cui ci dobbiamo appellare quando si tratta
di realizzare impianti al servizio degli edifici.
Le tecnologie vincenti sono dunque tutte quelle che ricadono nella zona bassa di questo diagramma.
Nelle pagine seguenti vengono riportati elementi che tendono a sottolineare l’importanza delle emissioni di
CO2 nella determinazione delle alterazioni ambientali.
11
Mtep è un’unità di misura che non abbiamo incontrato fin ora, acronimo di milione di tonnellate
equivalenti di petrolio. Il petrolio quando brucia produce qualcosa come 10000 Kcal per ogni Kg, quindi 1
milione di Kg è una tonnellata, noi parliamo invece di milioni di tonnellate equivalenti di petrolio che
producono qualcosa come 10^13 Kcal.
Determiniamo i rispettivi fattori di emissione: gCO2/MJ o come MtCO2/ Mtep.
CONSEGUENZE AMBIENTALI
PRODUZIONE DI CO2
Come determinare la produzione di CO2 da combustibili di cui è nota la formula chimica, tali combustibili,
gli idrocarburi in generale (particolarmente quelli di tipo gassoso come il metano, il propano ecc.) i quali
rispondono alla formula generale CxHy, poi ossidati in presenza d’aria danno luogo alla reazione di
ossidazione:
possiamo scrivere subito la massa di CO2, moltiplichiamo e dividiamo al secondo membro questo mCO2 per
la massa o la portata di combustibile consumato onde poi poter esprimere il rapporto mCO2/Mb come
rapporto di prodotti, la massa la possiamo scrivere come prodotto del numero di moli per il peso
molecolare del CO2 al numeratore, del dato combustibile al denominatore e quindi poi andare a valutare
dalla reazione di ossidazione quante moli ci sono di CO2 e quanti moli del combustibile assegnato.
A sua volta mb che rappresenta il consumo di combustibile lo possiamo legare all’energia utile prodotta, al
rendimento del dispositivo utilizzato e al potere calorifico del combustibile stesso secondo la relazione già
citata.
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nel caso della caldaia l’energia utile la identifichiamo nel calore utile prodotto, mente nel caso del motore a
combustione interna l’energia utile è l’energia meccanica, nel caso della centrale termo elettrica l’energia
utile sarà la produzione elettrica vera e propria, di conseguenza i rispettivi rendimenti: rendimento di
caldaia, meccanico del motore e della centrale termo elettrica.
Con la coppia di relazioni precedenti riusciamo a calcolare l’emissione ci CO2 in atmosfera in termini
massici. Dal momento che la CO2 è un gas possiamo anche disporre in termini volumetrici.
Portata volumetrica di CO2:
Il calcolo si può fare immediatamente considerando che tra il volume e la massa c’è di mezzo un volume
specifico, quindi il volume o la portata volumetrica di CO2, possiamo determinarlo a partire dalla portata
massica di CO2 semplicemente moltiplicando quest’ultimo per il volume specifico della CO2.
Questa prima operazione la possiamo fare in un contesto di condizioni normali e allora se (Vco2)m indica le
condizioni normali è chiaro che il volume specifico di CO2 è dato da 22.4 (volume molare normale) diviso la
massa molecolare del dato gas che nel caso della CO2 vale 44, questo rapporto è espresso in Nm^3/Kg,
moltiplicato per la portata massica di CO2 e quindi un numero espresso in Kg/s, fornisce un risultato
espresso in Nm^3/s.
Possiamo riportare questo dato in condizioni di generiche temperatura e pressione.
Stabiliamo come calcolare questa portata volumetrica in assegnate condizioni di temperatura e pressione:
moltiplichiamo e dividiamo per la portata volumetrica di assegnate condizioni T e P per la portata
volumetrica in condizioni normali.
Il primo rapporto lo possiamo esprimere come la portata massica per il volume ciclico, al numeratore la
CO2 nelle assegnate condizioni di Te P e al denominatore nelle condizioni normali. Ho la stessa portata
massica al numeratore che al denominatore quindi lo
posso elidere e ho il rapporto tra il volume specifico della
co2 in condizioni di temperatura e pressione e il volume
specifico in condizioni normali.
Questi volumi specifici a loro volta li posso esprimere secondo la legge di Boyle con la formula RT/P, ancora
una volta la R è la costante della CO2 e la posso semplificare quindi resta l’espressione esplicita che mi
interessa, in particolare al denominatore ho il rapporto tra la temperatura normale e la pressione normale,
è una costante che vale 270.
La formula esplicita che ne risulta mi mette in condizione di
poter convertire una portata volumetrica in condizioni
normali in una portata volumetrica in assegnate condizioni
di temperatura e pressione, con la sola avvertenza di
esprimere la temperatura in kelvin e la pressione assoluta
in bar.
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Una relazione di questo genere nella pratica ingegneristica può essere molto utile perché ci permette di
verificare le emissioni inquinanti di un dato impianto, partendo dal dato misurato di CO2, riportando la
formula si può ricavare la Vco2 in condizioni normali, solo a questo punto possiamo confrontare questo
dato con quello dettato dalle normative, analogamente se progettiamo l’impianto
Definizione dell’indice di inquinamento da CO2:
Sequenza di relazioni analitiche che si possono dedurre una dall’altra che possono essere utilizzate in base
ai dati disponibili
ESEMPI
Calcoliamo l’indice di emissione di una caldaia a propano di cui vi si dichiara il rendimento nella misura
dell’80%.
-Vediamo qual è il potere calorifico del propano da una tabella (nella dispensa)
-Scriviamo la reazione di ossidazione del propano che ha formula chimica C3H8
L’indice di emissione lo possiamo calcolare con la formula
Abbiamo bisogno del numero di moli di CO2 (3), la massa molecolare della CO2 (44), al denominatore il
numero di moli del combustibile (1) per la massa molecolare del propano (3 atomi di carbonio con numero
atomico 12 e da 8 atomi di ossigeno con numero atomico 1)
Riportiamo in seguito il rendimento di combustione che è stato dichiarato (0.8), il potere calorifico espresso
in chilo joule al chilo piuttosto che MJ (50400)
Ricaviamo in maniera immediata questo indice, quindi per ogni kWh termico che la caldaia mi rende,
vengono rilasciati in atmosfera 0,267 Kg di CO2.
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Possiamo calcolare la produzione di SO2, è l’anidride solforosa che si trova nei fumi nel caso in cui il
combustibile di partenza contiene dello zolfo, cioè nel petrolio e in tutti i derivati petroliferi in quantità
minore.
La conseguenza è che ci ritroviamo questo zolfo nei fumi, ossidato nella forma SO3, anidride solforica.
Il problema dell’anidride solforosa e solforica nei fumi si manifesta in forma grave quando l’anidride
solforica si va a combinare con il vapor d ‘acqua che si trova sia nei fumi ma anche nell’atmosfera stessa in
quanto da luogo rispettivamente all’acido solforoso H2SO3 all’acido solforico H2SO4, acidi che sono
responsabili dei degradi dei manufatti edili, della vegetazione ecc.
In questo genere di calcoli spesso SO3 viene assimilato all’SO2 quindi per noi è sufficiente stabilire le
formule indispensabili per quantificare questi effetti.
Lo possiamo fare con molta semplicità: scriviamo le reazioni di ossidazioni del carbone e dello zolfo,
elementi che si trovano nella composizione chimica dei combustibili di partenza.
Scriviamo la massa di CO2 nella forma secondo membro e moltiplichiamo e dividiamo prima per la massa di
carbonio e poi per la massa o la portata di combustibile
Il primo rapporto lo esplicitiamo come prodotto del numero di moli per il peso molecolare. Il rapporto
mc/mb rappresenta invece la concentrazione di carbonio nel combustibile originario, quest’ultimo viene
fornito sottoponendo un campione del dato combustibile a un laboratorio di analisi, mb è il consumo di
combustibile in quella data applicazione.
A questo punto facciamo il rapporto membro a membro di queste due espressioni e ne otteniamo un'altra
che vede concentrata in una costante (0.545) il rapporto dei pesi molecolari, le masse molecolari di
carbonio, zolfo e del combustibile stesso e il rapporto della concentrazione dello zolfo e del carbonio.
Questa relazione ci permette di risalire alla presenza di zolfo nei fumi in funzione della produzione di CO2
che abbiamo calcolato con le relazioni precedenti, tutto in funzione di quelle che sono le concentrazioni di
carbonio e di zolfo che sono note sulla base di analisi chimiche preliminari
Ecco un altro elemento che possiamo sottoporre a verifica onde fare rientrare il nostro impianto ai vincoli
di legge o di capitolato, se questo risultato eccedesse bisognerebbe tornare sul progetto con interventi.
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Nell’ultima parte della pagina vi sono le formule che permettono il passaggio dalle portate massiche alle
portate volumetriche.
PSICROMETRIA
INTRODUZIONE
La psicrometria è la scienza che studia le trasformazioni dell’aria umida. Il termine umida è incluso
nella stessa parola ‘psicrometria’, infatti la radice Ψυχρόν dal greco significa umido, bagnato.
Nell’aria atmosferica si ha la compresenza di gas propriamente detti (definiti gas secchi) come
l’azoto, l’ossigeno, l’anidride carbonica, altri gas in quantità inferiori e in più il vapore acqueo, il quale
induce a parlare di aria umida. La parte gassosa dell’aria atmosferica, costituita dai gas secchi, viene
considerata come una miscela di gas ideali; il vapore d’acqua, pur essendo vapore e non gas, si
trova alla stessa temperatura dei gas secchi e ad una pressione parziale sufficientemente bassa da
poter essere assimilato a sua volta ad un gas ideale: anche per il vapore possiamo utilizzare le
relazioni analitiche studiate per i gas ideali.
Per la legge di Dalton possiamo scrivere la pressione p della miscela come somma delle pressioni
parziali del vapore e dell’aria secca:
detta pv la pressione parziale del vapore e pas la pressione parziale dei gas secchi (detta anche aria
secca).
Si possono definire le masse molecolari e le costanti del gas e del vapore come segue:
• Massa di vapore: mv
Massa di vapore per unità di massa d’aria secca (kg di vapore per kg di aria secca).
Da non confondere con l’analogo termine che ricorre quando si parla del diagramma di Mollier e
delle proprietà delle sostanze pure; li abbiamo definito il titolo di vapore come la massa di vapore
per unità di massa della miscela liquido-vapore. Qua il titolo è definito in maniera diversa poiché al
denominatore non c’è la massa totale aria-vapore, ma
solo la massa secca dell’aria.
Quanto vapore c’è in un metro cubo d’aria in termini massici? Quanto sarebbe, nello stesso metro
cubo d’aria, la quantità di vapore se l’aria si trovasse in condizioni di saturazione?
Sarebbe sicuramente una quantità ben maggiore e sarebbe quella quantità di vapore che si avrebbe
nel caso in qui fase liquida e fase vapore coesistessero tra di loro. Questo mi porta a dire che questa
quantità Φ dipende dalla temperatura della miscela ma anche dalla pressione parziale del vapore
stesso, ovvero la pressione di saturazione del vapore stesso.
Il rapporto che definisce l’umidità relativa lo posso esplicitare sulla base della legge di Boyle.
Pensiamo di dividere il numeratore e il denominatore per il volume e troviamo la densità, la quale è
l’inverso del volume specifico esplicitabile con la legge di Boyle. Anche qui
le temperature si semplificano perché siamo in condizioni di equilibrio
termico, si eliminano anche le costanti Rv. Residua solo il rapporto pv su
pvs; ricorda che la pressione parziale del vapore saturo dipende solo e
soltanto dalla temperatura alla quale questo vapore si trova, la quantità Pvs
al denominatore è una quantità che possiamo leggere immediatamente
dalle tabelle del vapore una volta assegnata la temperatura. Equazione 1.2
Mettendo in evidenza la massa di aria secca si viene a costituire dentro la parentesi mv su mas
che per definizione abbiamo detto essere il titolo dell’aria (x).
All’interno della parentesi ci sono due quantità: la x e la costante. Il valore che nella pratica
assume x, ovvero il titolo dell’aria, è dell’ordine di qualche grammo di vapore per kg d’aria.
Al fine di fare i calcoli, nelle applicazioni ordinarie, per il titolo x l’ordine di grandezza è:
Un’altra grandezza per noi di massimo interesse è l’entalpia che dobbiamo attribuire all’aria umida.
Abbiamo già detto che l’aria umida è formata in parte d’aria secca e in parte da vapore, e quindi
ognuno di questi elementi ha il suo contenuto entalpico. Siccome l’entalpia è una funzione di stato,
e quindi gode della proprietà additiva, l’entalpia dell’aria umida, in quanto somma di vapore e aria
secca, è data dalla somma dell’entalpia dei due elementi. Al terzo membro le masse sono
rappresentate con il simbolo m, mentre le entalpie dal solito simbolo h con il rispettivo pedice.
• Entalpia specifica:
L’entalpia specifica è definita come l’entalpia dell’aria umida per unità di massa d’aria secca. Perché
non facciamo riferimento alla parte di aria umida nel suo complesso? Poiché solo la parte secca
dell’aria si mantiene costante qualsiasi sia il processo che andremo ad utilizzare, viceversa la parte
vapore può essere soggetta a variazione come nei processi di umidificazione e deumidificazione.
Nel caso di umidificazione la parte vapore tende ad incrementarsi mentre nel caso di
deumidificazione la parte vapore tende a diminuire. Solamente i gas secchi restano costanti in questi
processi quindi è giusto e opportuno considerare solo la parte secca dell’aria quando si parla di
entalpia.
Dall’espressione precedente basta dividere H per la massa di aria secca mas per ottenere le
espressioni esplicite opportune. Ricordando che il rapporto tra mv e mas corrisponde al titolo dell’aria
umida (x), l’entalpia dell’aria umida è data dall’entalpia dell’aria secca has più il prodotto dell’entalpia
del vapore hv per il titolo dell’aria umida stessa x. Come esplicitiamo queste quantità?
• Entalpia dell’aria secca:
Siccome si parla di gas propriamente detti, ideali, l’entalpia è legata solo alla temperatura e quindi
l’entalpia dell’aria secca è data dal prodotto Cp per ΔT a meno di una costante arbitraria h0.
L’ entalpia del vapore è ancora data dal prodotto Cp per ΔT che interpreta l’entalpia del vapore in
quanto aeriforme, ma anche dal termine r, poiché il vapore può andare incontro a condensazione,
E quindi possedere a sua volta tutto il calore di condensazione che simboleggiamo con r.
Queste due espressioni ricomposte secondo l’equazione 2 dell’entalpia dell’aria umida, esplicitate
con i dati numerici, esprimono il calore specifico dell’aria Cpa, il calore specifico del vapore Cpv, il
calore latente dell’acqua alla temperatura di 0 °C simboleggiato con r0, danno luogo a questa
espressione esplicita:
Una rappresentazione molto più soddisfacente è quella che vede in ascissa il titolo dell’aria (x) e in
ordinata la temperatura, ovvero il grafico entalpia-temperatura (t,x), fissato così il piano cartesiano
le isentalpiche vengono a costituire una famiglia di curve ad andamento obliquo mentre le isoterme
sono rette leggermente inclinate rispetto all’ascissa; in questo grafico sono rappresentate anche le
curve ad umidità relativa costante che invece hanno un andamento divergente al crescere della
temperatura. Il diagramma è contornato da segmenti orientanti contrassegnati da valori numerici
espressi in kcal per kg di aria secca. L’uso del diagramma è immediato, infatti una volta assegnate
liberamente una coppia di coordinate termodinamiche, come temperatura e umidità relativa, si può
individuare il punto corrispondente allo stato fisico del sistema e una volta marcato questo posso
acquisire le altre coordinate termodinamiche che mancano come l’entalpia o il titolo dell’aria.
1. Il primo porta il nome di un ingegnere che è il padre fondatore della moderna teoria del
condizionamento dell’aria, Carrier, il quale ha anche dato il nome ad un’industria mondiale
nella produzione di componenti impiantistici per il condizionamento.
Il diagramma Carrier vede in ascissa la temperatura e in ordinata il titolo (x), rappresenta
come curve divergenti quelle a umidità relativa costante e le curve isoentalpiche le
rappresenta oblique.
2. A.S.H.R.A.E. è un acronimo che vuol dire American Society of Heating, Refrigerating and
Air-Conditioning Engineers, e si riferisce all’associazione degli ingegneri termotecnici
specialisti nel riscaldamento, raffreddamento e condizionamento dell’aria. In Italia
l’equivalente di questa associazione culturale è l’A.I.C.A.R.R. che opera in collegamento con
l’A.S.H.R.A.E. e con altre associazioni che ruotano attorno a queste tematiche.
Il diagramma A.S.H.R.A.E. si presenta in forma equivalente al diagramma Carrier, anche qui
la temperatura si trova in ascissa e il titolo (x) in ordinata, la differenza sta nel nomogramma
che in questo diagramma è riportato in forma diversa rispetto agli altri diagrammi.
PROCESSI PSICROMETRICI ELEMENTARI
• Il riscaldamento sensibile;
• Il raffreddamento sensibile;
• La saturazione adiabatica;
MISCELAZIONE ADIABATICA
Due correnti fluide di aria umida che in condizioni iniziali assegnate si incontrano dando luogo ad
una miscelazione.
I. Deflusso isobaro, ovvero che i due deflussi volgono alla stessa pressione nel momento in
cui vengono in contatto l’uno con l’altro;
II. Processo adiabatico, non vi è scambio di calore con l’esterno;
III. Lavoro scambiato nullo, ovvero non vi è scambio di lavoro meccanico attraverso i confini
del sistema che per noi ricomprende il punto di miscela;
IV. Processo stazionario, si trascurano i termini cinetici e gravimetrici;
Siccome le masse sono due, aria secca e vapore, ognuno dei due elementi merita il proprio bilancio
di massa.
La massa risultante sarà data dalla somma delle masse concorrenti, sia in termini di aria secca, che
in termini di vapore. Trascrivendo la relazione del vapore in funzione del titolo, le masse di vapore
mv1 e mv2 si possono esplicitare come mas1x1 e mas2x2 così come accade ad mv3 al primo membro
che diventa mas3x3 :
Bilanci di energia:
Al primo membro del primo principio della termodinamica vengono eliminati i termini Q e P per ipotesi
di adiabaticità e non abbiamo scambi di lavoro sul volume di controllo. I deflussi in ingresso sono
due, in uscita è solo uno e quindi la variazione complessiva di entalpia ΔH è data da l’equazione
finale già analizzata nei primi capitoli sul primo principio della termodinamica.
Con semplici passaggi algebrici ricaviamo le scritture riquadrate, il titolo dell’aria miscelata x3 e
l’entalpia dell’aria miscelata h3 (x3 e h3 sono le coordinate del punto di miscela); entrambe sono date
dalla media del titolo e dell’entalpia dei deflussi concorrenti, pesati rispetto alle portate.
Ritroviamo quanto già visto a suo tempo, quando si parlava di deflussi di due vene concorrenti di
tipo omogeneo. Anche qui sussiste la regola della leva e tutte le relazioni che da essa discendono.
Uguagliando x3 e h3 si ottiene:
Equazione 3
L’equazione 3 rappresenta l’equazione della retta tracciata nel piano psicometrico (h, x) passante
per i punti 1 e 2 e contenente il punto 3 al suo interno. Dalla relazione risulta altresì che il punto tre
divide il segmento 1-2 importi inversamente proporzionali alle rispettive masse, ovvero il punto 3 è
il baricentro delle masse 1 e 2 (dalla regola della leva). Il rapporto delle masse si può infine valutare
graficamente come rapporto delle distanze 3-2 e 3-1.
Volendo dare rappresentazione del processo
di miscelazione sul piano psicrometrico
dovremmo, per le condizioni iniziali 1 e 2,
conoscere a priori una qualunque coppia di
variabili termodinamiche per poter marcare sul
piano di Mollier il punto 1 e 2. Le relazioni
scritte, soprattutto l’equazione 3, ci dicono che
il punto tre sta all’interno del segmento 1-2 e
lo divide in parti inversamente proporzionali
alle masse: questo traduce la regola della
leva.
RISCALDAMENTO SENSIBILE
Soffiando una vena d’aria umida attraverso uno scambiatore di calore, nella fattispecie una batteria
alettata, avviene il riscaldamento sensibile. All’interno della batteria alettata entra dell’acqua a una
temperatura sufficientemente alta per cui l’aria che vi transita subisce un riscaldamento.
Come abbiamo già detto il titolo dello stato finale è uguale al titolo dello stato iniziale:
RAFFREDDAMENTO SENSIBILE
Se all’interno della batteria alettata si fa scorrere acqua fredda, provochiamo una riduzione di
temperatura sul flusso d’aria che la attraversa.
È anch’esso un processo isotitolo (x=cost) ma vincolato alla condizione T2 > Tr ovvero temperatura
di rugiada.
In questo caso l’aria, in seguito al passaggio attraverso la batteria alettata con all’interno acqua
fredda, emerge non solo raffreddata ma anche deumificata ovvero ridotta nel suo contenuto di
vapore d’acqua poiché una parte del suo contenuto di vapore d’acqua si è convertita in condensato,
quindi è passata alla fase liquida, e il vapor d’acqua associato alla vena emergente è minore rispetto
al vapor d’acqua della vena entrante.
È anch’esso un processo isotitolo (x=cost) ma in questo caso T2 < Tr ovvero temperatura di rugiada.
Sul volume di controllo entra dell’aria umida nelle condizione del punto 1, e quindi scriviamo:
Esce invece aria umida nelle condizioni del punto 2 accompagnata dal condensato che esce
dal volume di controllo:
Aria secca:
La massa di aria secca che figura al primo e al secondo termine dell’equazione 4 non cambia nel
transito e quindi è un termine che si può elidere tra primo e secondo membro perché si è conservato.
Che può essere interpretata in termini di titolo (tenendo in considerazione le formule per trovare il
titolo). Invertendo la formula si può ricavare la quantità di condensato che si
forma, proporzionale alla variazione di titolo tra ingresso e uscita e proporzionale
altresì alla massa della parte secca dell’aria. Questo è il condensato che si forma: Equazione 5
Bilancio di energia: abbiamo una batteria di scambio termico che estrae calore dal volume di
controllo e questo calore estratto lo simboleggiamo con Q.
Il sistema è aperto, trascurando i termini cinetici e gravimetrici, e considerando le portate entranti e
uscenti al secondo membro possiamo scrivere:
Tenendo conto che l’entalpia del liquidò può essere esplicitata con hl= Cp ΔT più la solita costante
arbitraria che però vale 0 avendo assunto questo valore come riferimento, ammesso che il liquido
sia a pressione costante.
Qui poi è immediato osservare che il termine evidenziato è solitamente minore rispetto al salto
entalpico h2 - h1 e quindi è trascurabile.
In definitiva la potenza termica da estrarre per portare l’aria umida dallo stato 1 allo stato 2 è data
da questa semplicissima espressione utilizzata ampiamente in seguito:
SATURAZIONE ADIABATICA
Pensiamo ad un canale d’aria che passa attraverso a questo dispositivo rappresentato in figura: un
bacino che riceve acqua di rete sottoposto a controllo a galleggiante; da qui pesca una pompa che
poi invia l’acqua sottoposta a pressione ad uccelli che polverizzano l’acqua così che quando passa
la vena d’aria questa possa essere ben umidificata. Quest’aria dopo il passaggio nel dispositivo esce
in condizioni sature, quando è stata assunta completamente tutta l’acqua che la vena può inibire e
quindi l’aria che esce è satura, ovvero il suo grado di umidità relativa è pari al 100%.
Al solito la masse entrante dell’aria umida è formata dalla parte secca e dal vapore in più vi è la
portata acqua che entra ovvero il liquido di reintegro, poiché l’acqua polverizzata viene trascinata
via dalla vena d’aria e questo livello di acqua deve essere ripristinato con tanta acqua quanta se ne
è consumata. In uscita abbiamo invece solo la massa di aria umida formata dalla parte secca e dal
vapore.
Ancora una volta la massa d’aria secca all’ingresso e all’uscita è la stessa e quindi possiamo eliderla;
ne viene fuori la relazione:
Il bilancio energetico si esegue ipotizzando il processo adiabatico, Q=0 e quindi scrivendo il primo
principio della termodinamica possiamo scrivere le solite espressioni:
Riordinando la scrittura e osserviamo che il termine evidenziato sia minore di h2 - h1 e quindi
trascurabile:
Concludiamo dicendo che il processo è non solo adiabtico per ipotesi ma anche isentropico:
L’entalpia dello stato iniziale è uguale all’entalpia dello stato finale.
Per ricapitolare abbiamo incontrato la temperatura dell’aria misurata dal termometro a bulbo secco,
poi la temperatura di saturazione adiabatica e coincide con la temperatura al bulbo umido e infine
abbiamo la temperatura di rugiada che consegue a un processo di raffreddamento con
deumidificazione quando, come abbiamo visto in precendeza, il raffreddamento procede oltre al
punto Tr ottenuto per costruzione dalla retta isotitolo e dalla curva di saturazione (oltre questa soglia
comincia la condesanzione). Questa ultima temperatura dalla quale si ha incipiente condensazione
prende il nome di temperatura di rugiada che noi indichiamo con Tr.
CALORE SENSIBILE, CALORE LATENTE E CALORE TOTALE
(scambiati in un processo psicrometrico)
Ma di questo calore Q scambiato qual è l’aliquota di calore sensibile e quale quella di calore latente?
Non è affatto difficile, basta esplicitare l’espressione dell’entalpia nei due casi, stato 1 e stato 2,
richiamando le espressioni usate nelle pagine presendenti (entalpia specifica dell’aria umida):
Adesso è visibile l’aliquota di calore sensibile e quella di calore latente. Il calore sensibile si manifesta
con sole variazioni di temperatura, mentre il calore latente è quello che si manifesta con variazioni
di titolo (cambiameneto di stato).
Queste quantità posssono essere riportate
graficamente. Supponiamo che il processo
a cui abbiamo assistito porta dallo stato 1
allo stato 2. Se traccio la verticale a partire
dal punto 1, e una linea orizzontale a partire
dal punto 2, le due linee si incontrano nel
punto 3. Il tratto 1-3 è un salto entalpico e le
entalpie le leggo dal piano termodinamico
poiché le isentalpiche sono delle famiglie di
curve oblique. Il salto entalpico siccome è
contrassegnato da una varaizione di
temperatura, è corrispondente al calore
sensibile. Il salto entalpico 3-2 è invece
caratterizzato da una variazione di titolo a
temperatura costante e dunque corrisponde
al calore latente.
La lunghezza dei due segmenti 1-3 e 3-2 è quindi rispettivamente proporzionale al calore sensibile
e al calore latente scambiati tra la vena d’aria e l’ambiente esterno attraverso gli impianti ricompresi
nel volume di controllo.
CAPITOLO 14. CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA
Carico termico di un ambiente: calore che io devo immettere nell’ambiente in condizioni invernali o
estrarre da esso in condizioni estive per assicurare le assegnate condizioni termo-igrometriche di comfort.
Qtr=calore trasmesso attraverso l’involucro edilizio dovuto alla differenza di temperatura che vi è tra
interno ed esterno. E’ un calore puramente sensibile, perché il flusso termico è indotto da una differenza di
temperatura.
Qv= calore di ventilazione, cioè il calore associato all’aria di ventilazione che entra nelle condizioni esterne
ed esce nelle condizioni interne. E’ un calore latente e sensibile allo stesso tempo: è sensibile perché vi è
una differenza di temperatura tra aria esterna ed aria interna, è latente perché vi è una differenza di titolo
tra queste. Dunque se moltiplico 𝑚̇ dell’aria di ventilazione per il calore latente per la variazione di titolo,
posso quantificare l’aliquota di calore latente.
Il calore rilasciato da elettrodomestici azionati elettricamente è un calore sensibile, mentre quello rilasciato
dal corpo umano è un calore sensibile e latente, la parte latente è legata alla variazione di titolo tra l’aria
inalata e l’aria espirata, mentre la parte sensibile è legata al fatto che vi è una differenza di temperatura tra
il corpo umano e l’ambiente circostante. L’aria espirata presenta un titolo maggiore di quella inalata perché
passando attraverso i polmoni l’aria assorbe vapor d’acqua.
Si osservi infine che al calore latente è associata una quantità complessiva di vapore m v ﮲che l’impianto è
chiamato ad abbattere 𝑄̇𝐿 = 𝑟𝑚̇𝑣
Retta ambiente
Il sistema che teniamo in considerazione è l’edificio, che a sua volta è costituito da tanti piccoli ambienti.
Dunque tutto quello che diremo può essere riferito all’intero edificio come ad ogni ambiente di cui esso è
costituito.
Ritagliamo un volume di controllo attorno all’ambiente (rappresentato dal cerchio in figura). Conosciamo le
condizioni termo-igrometriche dell’ ambiente poiché assegnate. Questo volume di controllo viene
attraversato da un calore entrante (indicato in figura con il termine Qt) e con il termine m v indichiamo la
produzione di vapore che vi si sviluppa all’interno (è come se venisse immessa, per questo nel disegno è
indicata con la freccia entrante) dovuta alla presenza di persone e alla variazione di titolo dell’aria di
infiltrazione rispetto a quella dell’ambiente (dunque dell’aria in transito). Il sistema è poi attraversato da
una vena d’aria umida immessa tramite l’impianto nelle condizioni di immissione (I) che verrà estratta nelle
stesse condizioni dell’ambiente (A) ed avrà il compito di abbattere la produzione di vapore.
Per quanto riguarda il bilancio di energia vediamo che il carico termico totale è dato dal prodotto tra la
portata d’aria da immettere per la variazione di entalpia tra lo stato finale e lo stato iniziale.
Il bilancio di massa (di vapore) è dato dal prodotto tra la portata d’aria secca (𝑚̇𝑎𝑠 ) per la variazione di
titolo. Nelle condizioni iniziali noi abbiamo la portata del vapore (𝑚̇𝑣 ) più la portata d’aria umida (m﮲as
(1+xI)). In uscita abbiamo un solo deflusso nelle condizioni del punto A (𝑚̇𝑎𝑠 (1+xA ).
Eseguendo il rapporto membro a membro tra le equazioni di bilancio dell’energia e della massa otteniamo
l’equazione di una retta nel piano psicrometrico (h,xentalpia,titolo) passante per A, di pendenza β e che
contiene il punto I al suo interno. Il rapporto Δh/Δx è rappresentativo dunque della pendenza della retta
che è pari al rapporto tra il carico totale da abbattere e la produzione totale di vapore da abbattere. Le
condizioni del punto A e il rapporto β sono note e dunque il compito dell’ingegnere è quello di stabilire a
quali condizioni termo-igrometriche immettere l’aria in modo da abbattere il carico latente e il vapore; tali
condizioni devono soddisfare la legge matematica espressa dall’equazione. La retta β è detta retta
ambiente e rappresenta il luogo dei punti di possibile immissione dell’aria in ambiente. La conclusione è che
il punto I di immissione deve necessariamente giacere su questa retta, quindi è sufficiente scegliere come
condizione di immissione dell’aria quelle secondo cui essa questa abbia le caratteristiche del generico
punto I appartenente a questa retta (passante per il punto A noto a priori e con pendenza β).
Questo problema è definito dal punto di vista matematico. l’ingegnere si chiede tra gli infiniti punti
appartenenti alla retta in questione quali siano le specifiche condizioni alle quali conviene immettere l’aria
in ambiente. Bisogna ricorrere a un altro criterio di tipo tecnico-pratico: conviene che la temperatura di
immissione non si discosti molto da quella che si gradisce avere all’interno dell’ambiente. La temperatura di
immissione (TI) è soggetta a questo vincolo:
TA
Tracciata nel piano psicometrico la retta ambiente che ha origine nel punto A e pendenza β, individuiamo la
TA , andiamo a staccare nell’asse delle ordinate un segmento pari a circa 10 gradi che ci servirà per
l’individuazione del punto I all’intersezione con la retta ambiente.
Punto I=rappresentazione delle condizioni di immissione che sono tali da non risultare disturbanti per gli
occupanti e da garantire l’abbattimento del carico termico e del vapore che si produce in ambiente sia in
condizione estiva che invernale. Tra le due condizioni cambia la pendenza della retta β che è ruotata di 90°.
Il problema ricorre nel momento in cui bisogna rappresentare questa retta β in un piano del tipo
temperatura-titolo, però noi sappiamo che questo tipo di grafici ha origine in un diagramma h-x.
Tracciamento della retta ambiente
A prescindere dal diagramma psicometrico è possibile tracciare la retta a partire da due passaggi.
Parliamo del diagramma di Mollier (temperatura-titolo). Le curve divergenti presenti nel grafico sono
rappresentative dell’umidità relativa. Attorno al piano di Mollier vi è una corona di segmenti accompagnati
da dati numerici espressi in kcal/kg ed esprimono il rapporto QT/m cioè il rapporto tra il carico termico
totale e la produzione di vapore pre calcolata. Questi segmenti inoltre sono tutti orientati e convergenti
verso un unico punto che corrisponde allo 0°C (polo della rappresentazione).
𝑄𝑣
1)Per prima cosa si va a determinare il valore della pendenza β= , si individua il valore trovato tra i
𝑚𝑣
numeri a corona del piano cartesiano, si traccia la congiungente tra questo punto e il polo P (retta azzurra),
ottenendo così la “retta ausiliaria”.
2)Ci si sposta in corrispondenza del punto A e si traccia la parallela alla retta ausiliaria che rappresenterà la
“retta ambiente β ” nel diagramma di Mollier.
Si possono determinare poi le condizioni di immissione considerando la TA, e staccandoci 8-10 gradi da
questa al fine di individuare la TI (guarda segmenti arancioni orizzontali). All’intersezione tra la isoterma TI e
la retta ambiente troveremo il punto I (rappresentativo delle condizioni di immissione). Così facendo
potremo determinare anche gli altri parametri termofisici come il titolo, che leggeremo nell’asse delle
ascisse e l’entalpia.
TA
TI
Diagramma Carrier
Il diagramma di Carrier non permette il tracciamento delle pendenze negative della retta β.
Diagramma A.S.H.R.E.
Il polo P è posto all’origine del semicerchio e il tracciamento della retta ambiente è analogo ai precedenti.
Fissato il punto A si determina sul nomogramma il valore R o R’ e si traccia la congiungente P-R (o P-R’),
quindi si traccia la parallela passante per A (sempre collocato al 50% di umidità e a 26 °C).
Condizionamento estivo. Cicli termici (I)
Climatizzazione estiva. I dati conosciuti a priori sono: le condizioni climatiche rappresentate dal punto A
(relative all’ambiente interno), le condizioni del punto E perché rappresentative delle condizioni climatiche
esterne in cui sorge l’edificio, il carico termico (totale, sensibile e latente) e la produzione di vapore mv.
Possiamo cominciare a tracciare i punti sul diagramma di Mollier: il punto A che si trova a 26°C e 50% di
umidità, il punto E che in estate si troverà al di sopra del punto A e in possesso dei dati relativi al calore
sensibile, a quello totale e alla produzione di vapore è possibile individuare la retta β. Sulla base di questi
dati possiamo andare ad individuare la posizione del punto I. Il nostro obbiettivo è quello di prelevare aria
nelle condizioni esterne e portare questa alle condizioni del punto I, abbattendo così il carico termico totale
e la produzione di vapore.
Per passare dal punto E al punto I si utilizza il processo di raffreddamento con deumidificazione o il
processo di riscaldamento sensibile. In particolare osservando lo schema funzionale sulla sinistra vediamo
che:
-preleviamo aria nelle condizioni del punto E che faremo passare attraverso una batteria fredda (bf) che se
ha una potenza frigorifera adeguata realizzerà un raffreddamento e una deumidificazione rappresentata
nel grafico sulla destra dal tratto di curva che va dalla proiezione di E su ф al punto R. Dietro la batteria
fredda ci sarà un gruppo frigorifero che produrrà acqua fredda inviata alla batteria stessa. Quest’ultima
verrà attraversata dunque da una vena d’aria fino al punto R.
-A partire dal punto R l’aria verrà mandata alla batteria calda che provvederà ad operare il cosiddetto “post
riscaldamento” da R ad I, questo processo è isotitolo poiché alla batteria calda non è associata alcuna
emissione o immissione di vapore. Questo processo di fermerà nel punto I che assicurerà l’abbattimento
del vapore e di carichi termici totali.
Ragionando in modo inverso dal punto I possiamo trovare il punto R tracciando una verticale a partire dal
punto I fino ad intersecare la curva di saturazione ф=100%. Questo punto R ottenuto per costruzione
coinciderà sia con il punto di inizio post riscaldamento sia con il punto di fine deumidificazione.
Quale deve essere la potenza termica a carico della batteria calda e la potenza frigorifera che la batteria
fredda deve esprimere per servire il carico termico Qt assegnato?
1 2 3
A questo scopo è sufficiente eseguire un bilancio energetico sull’una e sull’altra batteria. E’ chiaro che il
bilancio energetico sulla batteria fredda mi porta ad esprimere l’equazione 1, la potenza della batteria
frigorifera è data dal prodotto della portata d’aria secca per la variazione di entalpia tra i punti E ed R
rispetto ai quali la batteria opera.
Analogamente per quanto riguarda la taglia della batteria calda (equazione 2), la potenza che questa deve
cedere all’acqua sarà data dal prodotto tra la portata di aria secca per la variazione di entalpia (salto
entalpico) corrispondente ai punti I e R sui quali la batteria opera.
Le prime due espressioni contengono un’incognita, ovvero la portata d’aria secca da convogliare in
ambiente. Per conoscerla possiamo eseguire un bilancio energetico sull’ambiente A ed otterremo
un’equazione (equazione 3) in cui il salto entalpico sarà quello che va dal punto I al punto A. l’equazione
vede al secondo membro il rapporto tra il carico termico totale e il salto entalpico perché abbiamo operato
il bilancio energetico in relazione al carico termico totale, ma noi possiamo anche ricavare espressioni
alternative andando a fare il bilancio energetico limitatamente alla parte sensibile del carico termico.
Ponendo al numeratore il carico termico sensibile, al denominatore avremo il prodotto C p(Δt), se invece
vado a fare il bilancio energetico limitatamente al calore latente, al denominatore andrò a scrivere r(Δx).
Abbiamo dunque trovato tre distinte formule da poter sfruttare al fine di ottenere la portata di aria secca.
OSSERVAZIONE: E’ chiaro che l’esercizio della batteria fredda come della batteria calda comportano dei
consumi energetici. La Batteria fredda perché alimentata da un chiller elettrico, quella calda perché
alimentata da una caldaia e quindi i rispettivi vettori energetici andranno poi pagati e costituiranno il
consumo energetico del sistema. Il nostro obiettivo è quello del risparmio energetico, quindi ci chiediamo
se sia possibile modificare lo schema al fine di conseguirlo. Possiamo pensare di non scaricare in atmosfera
tutta l’aria in uscita dall’ambienta, ma di recuperarne almeno una parta da dirottare sul canale di ingresso
onde realizzare una miscelazione adiabatica. Dunque io posso intercettare una determinata aliquota
(portata di ricircolo=mr) dell’aria convogliata nel canale che porto a ricongiungere con la portata d’aria
esterna. Otterrò una miscelazione adiabatica In corrispondenza del punto M. A questo punto non arriverà
più aria nelle condizioni E alla batteria fredda, ma aria nelle condizioni M e quindi il salto entalpico a carico
della batteria fredda non sarà più proporzionale al salto entalpico tra E ed R, ma tra M ed R. A parità di
portata che la batteria fredda dovrà elaborare dunque il salto entalpico si ridurrà, portando il fruitore ad
ottenere un risparmio energetico.
Titolo, entalpia e temperatura della miscela risultante sono pari alla media pesata di quelle delle vene
concorrenti rispetto alle portate.
Condizioni di immissione.
La scelta del punto I di immissione è arbitraria ma ha conseguenze sulla portata d’aria da trattare. Si ha
−𝑄̇
infatti: 𝑚 ̇ = sia pure entro i limiti ITI-TAI≤8/10 °C, il punto I va scelto in modo tale da minimizzare la
ℎ𝐴−ℎ𝐼
𝑚̇ e dunque le sezioni dei canali e la taglia della batteria calda e fredda.
Portata di ricircolo.
Ci chiediamo se la tecnica utilizzata precedentemente per ottenere un risparmio energetico sia sempre
applicabile. La risposta è no, poiché la quantità d’aria esterna da considerare è dettata dalle esigenze di
ventilazione degli ambienti. Nel caso in cui l’ambiente da servire con questo impianto di condizionamento
sia un ambiente in cui si sviluppano sostanze nocive (come un ambiente industriale o ospedaliero) ciò non è
possibile, poiché l’aria estratta dall’ambiente trattato non potrebbe essere ricircolata. La portata di ricircolo
è un beneficio dal punto di vista del risparmio energetico però non può scendere al di sotto di certe soglie.
Sarebbe infatti utile poter ricircolare tutta l’aria presente in ambiente, ma ciò è reso impossibile da motivi
di tipo igienico, e ci porterebbe a deteriorare gravemente la qualità chimico-olfattiva dell’aria. Per
comprendere quali sono i limiti da tenere in considerazione per utilizzare la tecnica del ricircolo dell’aria
bisogna tenere in considerazione norme come la Norma UNI 10339 che prescrive che almeno negli edifici di
tipo residenziale o terziario la portata d’aria sia: (aria esterna di rinnovo=aria presa
dall’esterno ed immessa nell’ambiente da trattare.)
La portata di ricircolo è sempre data dalla differenza tra la portata che dobbiamo immettere in ambiente
per abbattere i carichi termici meno la portata indispensabile per il ricambio fisiologico. 𝑚̇𝑟 = 𝑚̇ − 𝑚̇𝐸
Ottenere una portata negativa non avrebbe alcun senso fisico, dunque in questo caso non abbiamo alcun
ricircolo e l’impianto è detto “impianto a tutt’aria” poiché tutta l’aria esterna sarà utilizzata per
l’abbattimento dei carichi termici. I dunque non potrà essere scelto arbitrariamente ma dovrà soddisfare il
bilancio energetico totale (𝑄̇) o sensibile (𝑄̇𝑠). Allora, dato che I deve comunque giacere sulla retta β, la
coordinata hI o (TI) sarà:
Guardando lo schema funzionale a sinistra osserviamo che parte della corrente d’aria (Δm) nelle condizioni
del punto A viene dirottata, mentre la restante parte (mr-Δm= aria di ricircolo) si miscelerà con l’aria
esterna determinando le condizioni del punto M, successivamente la vena d’aria verrà raffreddata grazie
alla presenza della batteria fredda fino ad arrivare alle condizioni del punto R. Quando le due vene d’aria
(Δm nelle condizioni di A e quella nelle condizioni di R) si miscelaranno, daranno necessariamente luogo ad
un punto che giacerà sulla congiungente A-R, il punto I dunque determinerà le condizioni di immissione
dell’aria in ambiente. Il punto I inoltre appartiene alla retta β e perciò è tale da garantire l’abbattimento dei
carichi termici e del vapore dell’ambiente da trattare.
In questo caso il post- riscaldamento avviene per miscelazione (senza quindi l’ausilio della batteria calda)
tra aria nelle condizioni del punto A e aria nelle condizioni del punto R. Troviamo questa fortunata
condizione solo quando β interseca ф=100% e ciò avviene solo quando il carico sensibile è particolarmente
più grande del carico latente, infatti tanto è più alto il carico sensibile tanto più il punto I e il punto A
tenderanno a giacere sulla stessa curva isotitolo, viceversa il carico latente sarà tendente a zero, come ad
esempio nel caso in cui il fattore R è dell’ordine di 0,7 0,8. Per lo più questa condizione si verifica negli
ambienti residenziali in cui è sufficiente realizzare un ciclo termico che prescinde dall’utilizzo di una batteria
calda, in cui dunque la complessità impiantistica ed il costo dell’impianto saranno minori.
Nel piano psicomentrico il punto A si troverà in posizione più elevata rispetto al punto E
Conosciamo la condizione climatica esterna (punto E), la condizione climatica interna (punto A) e i carichi
termici, dunque possiamo tracciare la retta β che avrà una pendenza ruotata di 90° rispetto a quella
tracciata nel caso estivo. Anche qui al fine di determinare le condizioni dell’aria di immissione (I) è
sufficiente staccare un segmento di una decina di gradi in più rispetto a quelli della temperatura di A e
intersecare questa isoterma con la retta β.
Il nostro obiettivo è quello di portare l’aria dalle condizioni del punto A a quelle del punto I e per farlo
facciamo riferimento allo schema a sinistra. Ove possibile provvederemo ad effettuare un ricircolo e
dunque vi sarà la presenza del punto M di miscelazione. Al punto M seguirà una batteria calda che
chiameremo di “pre-riscaldamento” (bc1) che eseguirà un primo riscaldamento sensibile fino al punti N.
Dopo eseguiremo un processo isentalpico di saturazione adiabatica fino a totale saturazione dell’aria in
corrispondenza del punto P. Successivamente abbiamo una seconda batteria di “post-riscaldamento” (bc2)
che opererà nuovamente un riscaldamento a titolo costante fino a raggiungere le condizioni del punto I (di
immissione).
Anche qui possiamo operare bilanci energetici al fine di conoscere la potenza termica che le due batterie
devono erogare alla vena d’aria. Queste stesse potenze termiche sono rappresentative della potenza della
caldaia che le servirà entrambe in parallelo.
Assetto della centrale termofrigorifera.
Schema impiantistico funzionale, rappresenta l’assetto che l’impianto deve avere per poter servire carichi
termici estivi e invernali. Con il tratto nero spesso sono rappresentati i canali che convogliano l’aria a
partire dalle condizioni esterne E e quelle a partire dalle condizioni del punto A. Il punto M generato in
seguito alla miscelazione dell’aria alle condizioni E ed A prende il nome di “plenum”. A seguire troviamo
una sezione di filtro che intercetta il particolato e le batterie (nel caso invernale bc1 e bc2, nel caso estivo
bf e bc). Successivamente lungo il condotto vi è il ventilatore di mandata e la portata di aria trattata
destinata agli ambienti.
E’ possibile utilizzare tale impianto sia in stagione estiva che invernale senza necessità di modificarlo. Il
tutto è possibile grazie alla presenza delle valvole deviatrici che permettono di selezionare l’ingresso e
l’uscita del deflusso e dunque i percorsi che dovranno seguire rispettivamente i fluidi caldo e freddo.
Supponiamo di trovarci nella stagione estiva in cui abbiamo bisogno del gruppo frigo e della caldaia (non
abbiamo bisogno del saturatore adiabatico), quindi la sezione di saturazione continuerà ad essere presente
ma disattiva (con la pompa ferma) in modo che l’aria che vi transita non subisca alcun processo termo-
igrometrico. Lavoreranno le due batterie, la prima collegata al gruppo frigo e l’altra alla caldaia. In una
situazione di questo genere le due valvole saranno chiuse nella parte sinistra e dunque l’acqua uscita dal
gruppo frigorifero passerà attraverso la batteria fredda per poi ritornare al gruppo frigorifero. La caldaia
sarà attiva e produrrà acqua che sarà costretta a salire verso la bc2 senza poter percorrere il tratto di tubo
centrale poiché chiuso, dopo aver scambiato calore nella bc2 il fluido ritornerà alla caldaia.
Situazione invernale: non abbiamo bisogno di gruppo frigo che adesso sarà disattivato, entrambe le
batterie calde saranno alimentate dalla caldaia e la sezione di saturazione sarà attiva. Una parte dell’acqua
fuoriuscita dalla caldaia andrà verso la bc2, l’altra ora può proseguire fino a raggiungere il tratto che la
invierà alla bc1. Le valvole adesso saranno chiuse nella parte destra e dunque non permetteranno al fluido
di raggiungere il gruppo frigorifero. (guarda esercizi pag 11-14)
Varianti dell’Impianto di Condizionamento invernale a tutt’aria.
Questa configuazione coincide con quella che abbiamo studiato in precedenza. La posizione del punto M
permette di stabilire quale sia il rapporto tra le portate (esterna e di ricircolo). E’ chiaro che se il punto M
dovesse avanzare verso il punto A avremmo una confugurazione di questo genere:
Questo schema vede un impianto di condizionamento ridotto all’indispensabile in cui ci serviamo di una
sola batteria termica. La portata di ricircolo è ridotta al minimo è l’impianto è a tutt’aria esterna.
Fattore di By-Pass.
Non tutta l’aria che passa attraverso una batteria di scambio termico viene trattata per
come ce lo aspettiamo. Le batterie da noi utilizzate sono batterie alettate, costituite cioè
da banchi di tubi collocati all’interno di lastre metalliche molto sottili. L’aria che
materialmente lambisce le alette subisce il riscaldamento, raffreddamendo o
deumidificazione, ma c’è un’aliquota di portata d’aria che passa nel vano tra le due piastre
senza lambire le superfici e dunque senza subire trasformazioni termoigrometrche,
uscendo alle stesse identiche condizioni in cui entra (come se non venisse trattata).
All’uscita della batteria termica è come se una certa portata d’aria venisse a by-passare la
batteria stessa, per poi però miscelarsi successivamente con l’aria trattata. Il rapporto tra
quest’aliquota di aria e la portata d’aria totale che entra nella batteria prende il nome di
𝑚̇𝑏𝑃
“fattore di by-pass”. 𝐵𝐹 = 𝑚̇
Il processo può schematizzarsi come una miscelazione adiabatica tra l’aria di by-pass (mbp) nelle condizioni
M e l’aria trattata (m-mbp) nelle condizioni R. Le condizioni di uscita sono quelle del punto F, che giace allora
sulla congiungente MR.
Esecuzione dei cicli del condizionamento. Tenendo conto del BF.
Caso di impianto di condizionamento in condizioni estive con ricircolo: il post riscaldamento non parte da R
ma da F che risente del fattore di by-pass.
Fino ad ora abbiamo partato di impianti a tutt’aria in cui il fluido di lavoro utilizzato è solo ed
esclusivamente l’aria, questi però hanno dei limiti dal punto di vista applicativo poiché non rispondono
bene quando si tratta di condizionamento di edifici con notevole articolazione in pianta, oppure quando
questi edifici presenzano contemporaneamente impianti esposti ad est e ad ovest ecc.. In questi casi i
carichi termici sono molto diversi tra le zone e dunque è necessario un impianto più flessibile di quello a
tutt’aria.
L’impianto a doppio canale è caratterizzato dalla compresenza di due canali, uno che convoglia aria calda,
uno fredda dai quali attingere opportune portate d’aria da fare miscelare tra loro onde ottenere le
appropriate condizioni termoigrometriche per ogni data zona termica.
1° Schema.
Abbiamo una linea di mandata ed una di ricircolo grazie a cui l’aria si miscela poi con quella proveniente
dall’ambiente esterno e dal punto M in poi la vena d’aria si divide in due rami. Un’aliquota di questa
portata verrà convogliata lungo il canale in cui si troverà la batteria calda, l’altra verrà convogliata verso la
batteria fredda. La vena d’aria calda si troverà sulla stessa linea isotitolo del punto M, l’altra avendo subito
un processo di raffreddamento e deumidificazione si troverà nelle condizioni del punto F. Per servire la
zona 1 utilizzerò aria miscelata che si troverà lungo la congiungente CF (guarda schema a sinistra) e giacerà
sulla retta β1 (rappresentativa dei caichi termici della zona 1). Trovato il punto I 1 potrò definire la portata di
aria calda e di aria fredda da prelevare dai rispettivi canali. Ragionando analogamente definirò la portata
d’aria da prelevare in ciascun tratto di canale e da questi dati procedere con il dimensionamento della rete
di canale (progetto idraulico). Guarda esercizio pag 19
Impianti misti aria-acqua
REGIME ESTIVO
L’impianto misto utilizza come fluido termovettore non solo l’aria, ma anche l’acqua e ciò è reso possibile
grazie alla presenza di terminali di impianto chiamati “ventilconvettori”.
Al suo interno contiene uno scambiatre di calore alettato che riceve acqua calda o fredda a seconda della
stagione e un ventilatore che provvede a soffiare contro la batteria alettata l’aria che prelevata dalla griglia
di aspirazione poi viene rilasciata in ambiente. Inoltre il ventilconvettore dispone di un pannello con delle
manopole che permettono di eseguire la regolazione della potenza termica erogata.
Nell’immagine a destra possiamo vedere lo schema funzionale, mentre a sinistra il corrispondente ciclo
termico. A destra abbiamo dunque una batteria fredda, il ventilconvettore e i canali di mandata e di
espulsione dell’aria. L’aria entra nelle condizioni del punto E e subisce un processo di raffreddamento e
deumidificazione fino al punto F, per poi essere immessa in ambiente attraverso l’apposito canale. Il
ventilconvettore dunque aspirerà aria nelle condizioni ambiente (punto A), esegue un raffreddamento
sensibile isotitolo e rilascia aria nelle condizioni del punto B che si troverà nella isotitolo (verticale) passante
per A ma senza ancora toccare la curva di saturazione. La vena d’aria nelle condizioni B si miscela con quella
nelle condizioni F in ambiente dando luogo alle vere e proprie condizioni termoigrometriche rappresentate
dal punto I che quindi si troverà nella congiungente FB. D’altra parte affinchè quest’aria immessa in
ambiente possa abbattere il carico termico deve necessariamente giacere sulla retta ambiente β. La
posizione del punto I mi permetterà di risalire alle portate: quella di aria primaria proveniente dal canale e
quella di aria secondaria proveniente dal ventilconvettore.
Ci chiediamo quando è possibile utilizzare l’impianto di climatizzazione con ventilconvettore-> risposta:
Quando è necessario eseguire un controllo preciso della temperatura e dell’umidità relativa dell’ambiente
in considerazione e tutte le volte in cui si vuole operare una regolazione autonoma delle condizioni
termoigrometriche di quel locale rispetto a quelle di un altro.
Il punto I per come lo abbiamo determinato è semplice ottenerlo solo nel caso in cui la retta ambiente sia
sufficientemente inclinata, tanto da poter toccare la FB. Se invece il carico termico ambiente è maggiore
questa retta ruoterà attorno al punto A verso sinistra sollevantosi e non intersecherà più la FB, dunque
bisognerà modificare lo schema al fine di poter ottenere una soluzione.
In questa soluzione è presente la batteria calda di post riscaldamento. Viene prelevata aria dall’esterno
nelle condizioni del punto E che subisce un raffreddamento e una deumidificazione grazie alla presenza
della batteria fredda bf fino al punto F e dunque l’aria viene sottoposta ad un post-riscaldamento sensibile
fino a C per poi essere immessa in ambiente. Osservando lo schema a sinistra notiamo che la retta
ambiente ha una pendenza tale da intersecare la congiungente CB nel punto I perché l’aria che alla fine del
processo verrà immessa in ambiente sarà frutto della miscelazione di aria nelle condizioni di B e aria nelle
condizioni di C.
Dimensionamento del ventilconvettore
Negli impianti misti l’aria primaria, trattata in centrale, ha il compito di fornire il ricambio fisiologico e
abbattere i carichi latenti. L’aria secondaria (elaborata dal ventilconvettore) ha invece il compito di
contribuire ad abbattere i carichi sensibili locali (una parte di questi viene abbattuta dall’aria primaria). Per
il dimensionamento del ventilconvettore occorre determinare la potenzialità termica 𝑄̇𝐹𝐶 e la portata 𝑚̇2 .
Per parlare di dimensionamento del ventilconvettore partiamo studiando lo schema fisico del sistema.
𝑚̇𝑤
Abbiamo il canale principale che convoglia aria nelle condizioni R e il ventilconvettore simboleggiato con un
rettangolo con la siglia FC (fan coil). In ambiente abbiamo aria nelle condizioni R e aria rilasciata dal
ventilconvettore nelle condizioni B che si misceleranno. Il volume di controllo tratteggiato è
rappresentativo dell’aria ambiente e in questo sono indicati i flussi termici (in ingresso:carico termico
sensibile indotto da radiazioni solari e persone. In uscita: 1) potenza frigorifera estratta dal ventilconvettore
sottoforma di acqua fredda che viene riscaldata asportando calore 2) potenza elettrica con la quale
alimentiamo il ventilatore del ventilconvettore) i flussi di massa (In ingresso:m1=aria primaria proveniente
dalla centrale. In uscita: m1. La portata m2 si svolge tutta all’interno del volume di controllo).
A destra abbiamo lo schema funzionale che è molto simile a quello degli impianti a tutt’aria
precedentemente visti a meno della presenza del ventilconvettore nel singolo ambiente. L’aria entra nel
condotto nelle condizioni del punto E, subisce un primo riscaldamento presso la bc1 ed un post
riscaldamento grazie alla bc2 fino al punto H per poi essere immessa in ambiene dove si miscelerà con aria
alle condizioni B in uscita dal ventilconvettore. Il FC è alimentato da acqua calda e dunque il processo subito
dal fluido dal punto A al punto B sarà un processo isotitolo di riscaldamento.
Per quanto riguarda la ricostruzione del ciclo termico (a sinistra) osserviamo che ovviamente il punto E
essendo in condizione invernale si troverà molto più in basso rispetto al punto A. Il punto I sarà frutto della
miscelazione tra aria alle condizioni H ed aria alle condizioni B, dunque si troverà sulla congiungente HB.
Nello specifico il punto I sarà il punto di intersezione tra questa congiungente e la retta ambiente.
CAPITOLO 15
Fluidodinamica
Sforzi tangenziali nei fluidi in moto-viscosità
Osservando il grafico rappresentato in figura si nota il
comportamento del fluido su una piastra: a contatto con
la piastra il fluido ha velocità relativa nulla (rispetto alla
piastra); per la sua viscosità il fluido, man mano che si
allontana dalla piastra, risente meno della sua presenza
e le velocità dei singoli filetti di fluido aumentano sempre
più e asintoticamente. Da una certa distanza dalla
piastra il fluido non risente più della presenza della
piastra e si muove a velocità indisturbata.
Bilancio delle forze nell’elementino di fluido:
Tra la faccia superiore e la faccia inferiore
dell’elementino di fluido c’è uno sforzo di taglio dovuto al
fatto che la superficie superiore sta a contatto con un
filetto di fluido che viaggia a una velocità superiore,
mentre quella inferiore è adesa a un filetto di fluido che
viaggia a una velocità inferiore.
Viscosità cinematica
Dipendenza notevole dalla temperatura e piccolissima dipendenza dalla
pressione.
Deflussi laminari e turbolenti
Caratterizzazione dei deflussi
Sperimentalmente è possibile osservare due tipi di deflussi: laminare e turbolento.
a) Il deflusso laminare è caratterizzato da un assetto ordinato dei filetti fluidi, ognuno dei quali
mantiene inalterata la velocità e la posizione rispetto a tutti gli altri filetti, per quanto
tortuoso possa essere il percorso.
b) Il deflusso turbolento è caratterizzato da una totale casualità della velocità e della direzione
di tutte le particelle.
Il tipo di deflusso è una diretta
conseguenza della velocità dello
stesso deflusso, velocità basse
permettono ai filetti di muoversi in
modo ordinato, al crescere della
velocità l’ordine dei filetti inizia ad
alterarsi, e si entra in uno stato di
transizione, fin quando non si
raggiunge una velocità critica oltre la
quale le particelle vengono tutte
animate da moti casuali e disordinati.
Numero di Reynolds
Si può generalizzare la conclusione precedente circa il ruolo della velocità nella caratterizzazione
del deflusso, osservando che il fluido è sottoposto a due tipi di forze: le forze viscose che tendono
a mantenere i filetti tra loro coesi e ordinati (forze ordinatrici) e le forze d’inerzia che tendono ad
animare le particelle in modo causale e disordinato, procurando vortici e turbolenze (forze
caotiche).
L’instaurarsi dell’uno o dell’altro tipo di deflusso dipende dal rapporto tra i due tipi di forze.
w= velocità media del fluido; v= viscosità
cinematica; X= parametro geometrico
caratteristico.
Per i condotti circolari X=d (diametro); per piastre piane X=L (distanza dal bordo d’attacco).
La transizione dal regime laminare al turbolento avviene avviene quando il numero di Reynolds
supera un dato valore critico Rec, che è diverso a seconda della geometria:
Le resistenze distribuite sono da identificarsi negli attriti alla parete (prevalenti nei tratti rettilinei del
condotto), mentre le resistenze localizzate o concentrate ricorrono nei punti di diramazione o
convergenza di correnti fluide, nei bruschi cambiamenti di direzione o di sezione, nel passaggio
attraverso valvole, radiatori, caldaie, etc.
Per un tratto di condotto in cui sussistono perdite distribuite e perdite concentrate si può scrivere:
Le cadute di pressione nei condotti circolari sono proporzionali all’energia cinetica del deflusso e
calcolabili con la seguente formula che permette il calcolo quando è noto il diametro, quindi nel
caso di sezioni circolari:
Formula di Darcy
Il fattore d’attrito, che è un parametro adimensionale, dipende da due parametri a loro volta
adimensionali: il Re e la rugosità relativa:
Calcolo del fattore d’attrito
Diametro equivalente
Quando il deflusso avviene attraverso sezioni di passaggio non circolari (come nel caso del fluido
secondario degli scambiatori di calore, che lambisce dall’esterno il fascio tubiero), il diametro da
adottare nella formula di Darcy è il diametro equivalente definito dalla formula
seguente:
Esempi:
Resistenze concentrate
Sono resistenze occasionali, accidentali; sono anch’esse proporzionali e calcolabili con
l’espressione:
Nella pratica impiantistica, piuttosto che in kj/kg, la prevalenza viene spesso espressa come
pressione equivalente ∆𝑝𝑒𝑞(Pa) o altezza
equivalente Heq (m)
La pressione equivalente indica la pressione che
l’organo motore deve conferire al fluido per
contrastare i termini di perdita.
La prevalenza espressa come pressione equivalente è data da:
Circuiti chiusi
Nel caso di circuiti chiusi tutti i termini dell’Eq. Di Bernoulli vanno sottoposti a integrale ciclico
Quindi:
Questo risultato è rilevante nella tecnica degli impianti di distribuzione dei fluidi. In particolare
risulta che nei circuiti chiusi il lavoro della pompa non dipende dalla quota cui il fluido viene
pompato, ma solo dalle resistenze passive del condotto. Quindi per esempio negli impianti di
riscaldamento, ai fini del dimensionamento della pompa, non è rilevante l’altezza dell’edificio ma
solo l’entità delle resistenze passive (o perdite di carico). L’altezza dell’edificio è importante non in
sé, quanto piuttosto perché tanto più alto è l’edificio, maggiore è l’estensione dei circuiti e di
conseguenza maggiore è il termine ψ
Rendimento idraulico
POTENZA
Calcoliamo il flusso
termico trasmesso a
seguito di questa
differenza finita di temperatura sulla base del postulato di
Fourier. Proporzionale al salto di temperatura e inversamente
proporzionale al rapporto s su λ
troviamo delle somiglianze
con la legge di Ohm
in quanto:
- I (intensità di corrente) equivale al flusso termico q
- V (potenza elettrica) equivale alla potenziale termica
- R (resistenza elettrica) equivale alla resistenza termica
Resistenza termica
Ti e Te sono le due
temperature note a
priori.
Al denominatore
troviamo i termini
cherappresentano
le caratteristiche
geometriche (riflesse nello spessore dei vari stati) termofiche
(riflesse nella conducibità termica) della nostra parete. Inotre
troviamo αi e αe
RESISTENZS TERMICA GLOBALE TRASMITTANZA
infine
flusso termico
potenza termica
da questo
sistema di
equazioni stabilito
precedentemente
calcolo le
temperature
Fenomeno convettivo
Fenomeno conduttivo
Fenomeno convettivo
A A
T T
E E
R R
I I
A A
L L
I I
N C
A H
T I
U M
R I
A C
L I
I
Convezione
Convezione Forzata
L’equazione che governa la trasmissione del calore per convezione è quella di Newton
Le due temperature che figurano, ossia quella superficiale della parete (T s) e quella del fluido a
sufficiente distanza dal contorno della parete affinchè non risenta delle condizioni che la parete
offre al flusso termico (T∞), sono diverse fra loro.
In prossimità della parete la temperatura ha un andamento particolare, quando la temperatura del
fluido approssima al 99% la temperatura del fluido indisturbato si dice che lo spessore di questo
strato è quello dello strato limite termico
.
Determinazione del coefficiente convettivo
Le caratteristiche termofisiche (ρ, Cp, μ, λ), geometriche(d) e di moto (w) sono riconducibili al
coefficiente convettivo (α). Come caratteristiche termofisiche di un fluido dobbiamo pensare alla
densità, calore specifico, viscosità e conducibilità termica, quanto alla geometria del sistema si
deve pensare ad esempio nel caso di un condotto al raggio o diametro dello stesso, infine il campo
di moto è rappresentato dalla velocità del fluido. Ci si riduce quindi a una funzione con 7 variabili.
Noi parliamo di convezione forzata quando la velocità del fluido è nota a priori in quanto imposta
da un dispositivo propulsore, meccanico o sistema attivo. (pompa, ventilatore, mezzi meccanici
artificiali). Quando il modo è imposto invece da fenomeni naturali spontanei legati alla differenza di
temperatura tra il fluido e la parete si parla di convezione naturale.
Teorema di Buckingham
È ovvio come trovare le soluzioni di una funzione a 7 variabili diventa difficile. Ci viene allora in
aiuto il teorema di Buckingham che dice:
“Dato un sistema fisico caratterizzato da M variabili e detto L il numero delle unità di misura
fondamentali, è possibile stabilire un numero N=M-L di gruppi adimensionali”
Variabili M=7
.
I 3 numeri sono correlati tra loro tramite la relazione: (con A,B,C da determinare
sperimentalmente). Dalla relazione si può calcolare il Nu dal quale ricavare α e ricavare il flusso
termico.
I dati ottenuti per ispezione del diagramma sperimentale sono sufficienti a scrivere l’equazione
della retta.
Essendo noto il Nusselt possiamo ricavare infine il nostro coefficiente convettivo α e quindi il flusso
termico.
Principio di similitudine
Il comportamento di due sistemi è simile se, in punti omologhi, risultano uguali i rapporti tra:
Dimensioni geometriche, Campi di velocità e Campi di forze.
La temperatura a cui riferire i calcoli è la temperatura media di Film definita come la media tra la
temperatura del fluido indisturbato e la temperatura della parete con cui è a contatto.
Tm = (T∞ + Ts)/2
Convezione Naturale
Il moto del fluido è indotto da effetti naturali e non promosso da mezzi meccanici. Quando abbiamo
una parete piana a contatto con un fluido qualsiasi.
Supponiamo che la superficie della parete sia maggiore di quella dell’aria. La porzione di aria a
contatto con la parete assume la sua stessa temperatura, quindi in questo caso si riscalda. In forza
a quello che è la legge dei gas diminuisce la sua densità e subisce una spinta idrostatica verso
l’alto rispetto alla parete. Altra aria si sostituisce a quella precedente e subisce lo stesso destino. Si
instaura così una vero e proprio circolo dell’aria con moto di quest’ultima ascensionale.
Nel caso invece di una parete più fredda rispetto all’aria si realizza il caso opposto. L’aria a
contatto con il tubo si raffredda aumentando la propria densità e causando un moto discensionale.
Termofluidodinamica della convezione naturale
Pensando ad un elementino a contatto con una parete, questo stesso è a contatto con altri
elementini. È soggetto a un campo di forze:
La risultante è la spinta di Archimede o idrostatica. (Un corpo immerso in un fluido riceve una
spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato):
Analisi adimensionale per la convezione naturale
Il numero di Grashoff gioca il ruolo che il numero di Reynolds gioca nella convezione forzata. Il
significato fisico è:
SCAMBIATORI DI CALORE
Gli scambiatori di calore sono dei dispositivi che permettono il riscaldamento o il raffreddamento di
alcuni liquidi o gas, essi sono largamente usati nell’impiantistica a servizio degli edifici civili
Si dividono in 3 categorie a seconda della natura del fluido che scambia calore
Liquido liquido
Scambiatori a tubi concentrici.
Sono realizzati con condotti coassiali collegati tra di loro in modo da realizzare una superfice di
scambio termico opportunamente estesa. Chiameremo fluido primario quello che scorre all’interno
dei condotti, quello secondario quello che lambisce il condotto dall’esterno.
Inoltre se i fluidi si muovono in direzione opposta allora lo scambio sarà controcorrente se invece si
muovono nella stessa direzione si dirà equicorrente. Sono ricorrenti nelle applicazioni industriali
(industria farmaceutica e alimentare)
Scambiatore a fascio tubiero di tipo 1-1 Scambiatore a fascio tubiero di tipo 2-4
Scambiatore a piastre.
Formato da piastre metalliche di spessore
estremamente sottile sagomate in maniera tale
che unendole, formano dei canali attraverso i
quali il fluido può muoversi. Molto importante il
collegamento tra le piastre fatto con guarnizioni
in gomma e da dadi e bulloni.
Sono molto ricorrenti nel campo civile, perché
estremamente reattivi (bassa inerzia termica) e
facilmente assemblabili e di conseguenza
dimensionabili aggiungendo o eliminando piastre
per adeguarlo alle esigenze del impianto
Caratteristiche negative che invece talora ostacolano l'impiego degli scambiatori a piastre sono:
g) la particolare struttura e limitati valori di temperatura massima e della pressione d'esercizio a
causa del materiale delle guarnizioni. Per questi apparecchi i valori limite usuali sono 150° C e 1.5
MPa, anche se con costruzioni e materiali particolari questi limiti possono essere ecceduti.
h) ragioni di costo comparativo non giustificano l'impiego degli scambiatori a piastre (nei confronti
degli apparecchi a fascio tubiero) se non quando questioni di igiene (industria farmaceutica o
alimentare) o di resistenza alla corrosione richiedono l'impiego di materiali speciali (acciai
inossidabili, titanio, Cupronichel, Incoloy, Inconel, Hastelloy, etc.).
Liquido gas
Batteria alettata.
Costituita da una serie di condotti normalmente ripiegati
inseriti all’interno di una serie di piastre metalliche
(tipicamente alluminio) molto sottili. Attraverso queste
piastre metalliche viene soffiato il gas e il liquido invece
passa all’interno.
Gas gas
Scambiatore compatto a flussi incrociati. (a
letto fisso)
Le due vene d’aria che si scambiano in calore si
muovono in direzione ortogonale e i setti
separatori che creano questi canali sono in
materiali altamente conduttori e con spessori
molto sottili.
Questi sono molto leggeri ma comunque molto
ingombranti a differenza di quelli liquidi a causa
del volume specifico molto maggiore
Scambiatori di calore a letto mobile
È formato piastra ondulata, ripiegata su sé stessa a formare un tamburo che poi viene intelaiato e
fatto ruotare da un motore elettrico tramite una cinghia. Questo telaio consente la suddivisione del
corpo dello scambiatore in due parti in una vi passera l’aria calda nell’altra l’aria fredda. Il tamburo
ruotando permette all’aria calda, che lo attraversa, di raffreddarsi e quella fredda di raffreddarsi nel
semiciclo successivo le posizioni ruotano e di conseguenza nella parte più fredda del tamburo
passerà l’aria calda. I regimi di rotazione sono circa di 10 giri al minuto. Questo tipo di scambiatore
è molto utilizzata negli impianti civili per il recupero termico.
*Calore sensibile (indotto da una differenza di temperatura, non ci sono contributi di tipo latente)
Definiamo allora la capacità termica data dal prodotto del calore specifico per portata
Possiamo subito stabilire il bilancio energetico su un volume di controllo (una sezione molto
piccola del condotto primario con una superfice di scambio termico infinitesima dA e flusso
scambiato infinitesimo dQ)
Riconosciamo che non ci sono potenze meccanico elettriche scambiate e che il calore scambiato e
dQ. Di conseguenza il secondo membro conterrà solo il termine entalpico
Siccome abbiamo ipotizzato che il deflusso avviene isobaricamente la variazione di entalpia la
possiamo scrivere come e per semplificare la scrittura lo scriviamo come che
indica la capacita termica del fluido a. Con analogo approccio trattiamo il fluido b
Seguendo la breve dimostrazione concludiamo con l’espressione che lega il flusso termico 1 con le
grandezze caratteristiche del sistema dove
Q= potenza termica che i due fluidi si scambiano tra loro
A=superfice scambio termico
K= trasmittanza condotti
ΔT = temperatura logaritmica media
Profilo temperatura dei due fluidi quando percorrono il generico condotto di scambio termico
(opposti a si raffredda b si riscalda)
A questo punto possiamo definire l’efficienza rapporto tra il calore Q effettivamente scambiato tra
due fluidi e Q∞ quello che si scambierebbero se la superfice di scambio fosse infinitamente estesa.
Per comprendere Q∞ bisogna considerare la superficie di scambio termico infinita, così facendo la
temperatura del fluido "a", evolverebbe fino alla temperatura d'ingresso del fluido "b", e viceversa,
il profilo di temperatura sarebbe quindi quello tratteggiato per entrambi i fluidi. Dei due, il fluido che
di fatto tende alle condizioni dell'altro, è il fluido "termicamente più debole". o di minima inerzia
termica, quindi di minima capacità termica (Ce); il campo di temperature che copre è quello tra la
massima e la minima dello scambiatore (ΔTmax).
Allora possiamo esplicitarlo come prodotto della capacità termica di temperatura per il salto massimo di
temperatua
In conclusione
il termine q chiaramente può essere esplicitato anche grazie al bilancio energetico fatto sul singolo
condotto
Se nel calore scambiato ricorre anche calore latente bisogna sostituire il denominatore in modo da
generalizzare la formula
Casi particolari
In questo caso particolare, abbiamo due fluidi di cui uno che subisce uno scambio di temperatura,
(si raffredda da t1 a t2) e l’altro che rimane a temperatura costante (può avvenire se il fluido è in
fase evaporante/condensante, o quando ha una capacita termica estremamente grande)
Per esempio un condotto, percorso da un fluido, a contatto con l’ambiente, la temperatura dell’aria
rimane costante quella del fluido scende.
Per trovare T2 possiamo affidarci alle formule ricavate in precedenza
Delle applicazioni di esercizi come questo si trovano nell’ eserciziario e conviene andarle a vedere
(così dice lui)
Recuperi energetici dall’aria di ventilazione
Gli scambiatori permetto di avere un recupero energetico sull’aria d’espulsione, ipotizzando di
avere un ambiente che deve essere mantenuto a temperatura Ta tramite l’immissione d’’aria
prelevata dal esterno, che passa attraverso una batteria di scambio termico (riscaldata da una
caldaia), per poi essere espulsa. Ce un costo energetico dovuto all’riscaldamento dell’acqua per
portarla alla batteria di scambio termico nella misura richiesta da essa per portare da te a ti la
quantità d’aria necessaria
Una tecnica per rendere più efficiente il sistema consiste nel recuperare l’aria che espelliamo (che
sarà comunque più calda di quella esterna) portandola ad uno scambiatore di calore che, che
assume il ruolo di un recuperatore di calore. Q’ sarà minore di q
Scambiatori di calore alettati.
Sono estremamente ricorrenti nell’impiantistica a servizio del edificio (fingono da evaporatori e da
condensatori), sono essenziali per svolgere processo igrometrici nell’aria,
Un esempio è la batteria alettata, (una serie di condotti che attraversano, seguendo un reticolo
quadrato o rettangolare, un pacco di elementi metallici molto sottili sovrapposti uno sull’altro e di
stanziati di qualche millimetro) all’ esterno viene soffiata aria da un ventilatore
Dove al appaiono in ordine: resistenza convettiva lato interno, resistenza conduttiva attraverso la
parete del condotto stesso (molto piccolo se raggio esterno r2 e raggio interno r1 simili, tende a 1,
la conducibilità inoltre essendo di un materiale metallico è molto alta segue è trascurabile),
resistenza convettiva lato esterno
Consideriamo un tubo dove scorre acqua che entra a 90 gradi ed esce a 70 a fronte di uno
scambio termico con l’aria circostante a 20 gradi. Assegnata la velocita dell’acqua nel condotto e le
dimensioni del nostro tubo possiamo condure i calcoli
Ci interessa la potenza termica scambiata ottenuta tramite
La trasmittanza del condotto (Ki) la possiamo prendere dalla formula precedente con in più la
semplificazione delle resistenze convettive
Assumiamo Ai e Ae uguali.
All’ esterno invece l’aria che lambisce il tubo è in convezione naturale, quindi ci affidiamo alle
formule della convezione naturale quindi ci seve il Nusselt, (i cui calcoli sono riportati anche qui).
Invertendo la definizione del Nusselt possiamo ricavare
A questo punto riusciamo ad avere la trasmittanza del tubo “nudo” e tramite la relazione
fondamentale degli scambiatori di calore possiamo calcolare la potenza termica che l’acqua
scambia con l’aria e anche la potenza termica lineare.
Siamo interessati a migliorare questo scambio termico, perché migliorando lo scambio termico a
parità di potenza termica da scambiare possiamo diminuire la superfice di scambio, quindi
l’ingombro, in conclusione questo ci permettere una riduzione dei costi.
Per prima cosa introduciamo una convezione forzata dell’aria tramite un ventilatore che soffia l’aria
attraverso i condotti per avere un migliore. Questa volta il NUsselt non sarà collegato al
grashoff ma al Reynolds
Confrontando i valori ci accorgiamo che c’è stato un buon incremento nei valori
Così facendo avremmo un grande aumento della trasmittanza (dal primo caso all’ultimo abbiamo
un incremento di due ordini di grandezza)
Inoltre l'alettatura va posta sempre "lato” aria in quanto è sul lato dell'aria che si verificano le
resistenze convettive più forti (per via dei più bassi coefficienti convettivi lato area rispetto a quelli
lato fluido). Per aumentare questi valori si agisce quindi con l'amplificazione della superficie di
scambio.
Si può ancora migliorare questo dispositivo? Si, passando da alette piane a alette ondulate,
intagliate o corrugate, che servono a creare delle turbolenze che determinano un incremento del
coefficiente di scambio termico
I tubi sono generalmente di rame e le alette di alluminio, Vi sono tentativi recenti di adottare anche
tubi di alluminio.
E della massima importanza, per il buon comportamento termico delle batterie alettate, che vi sia
un ottimo accoppiamento delle alette con il tubo; è necessario, cioè, che il collare che realizza il
contatto con il cubo sia integro e privo di screpolature e che l'operazione di bloccaggio della aletta
al tubo sia condotta in maniera perfetta. Se questo non accade, la resistenza termica di contatto
riduce disastrosamente l'efficienza della aletta stessa. L'altezza del collarino serve a determinare il
passo fra aletta e aletta.
I tubi alettati poi, infilati nel pacco dei lamierini, vengono mandrinati, ossia sottoposti a dilatazione
mediante un’ogiva spinta a forza da un'asta internamente ai tubi. I tubi subiscono una dilatazione
con un aumento del diametro di alcuni decimi di millimetro.
I pacchi alettati realizzano un rapporto Ae /Ai fra la totale superficie esterna e la superficie interna
dei tubi come indicati nella tabella seguente. In questa tabella e pure indicato il rapporto Ae/Af fra
la superficie esterna di un rango e la superficie frontale.
Si vede che le batterie più comunemente usate, con 12 o 14 alette per pollice, presentano una
superficie esterna circa quindici volte più grande della superficie interna. Con questo valore
pertanto si riduce di quindici volte la resistenza termica lato aria (non così tanto per la verità se
tiene conto della efficienza dell'alettatura), rendendo questa quasi eguale alla resistenza interna.
(Si veda quanto detto in precedenza a proposito dei valori di questa resistenza). E si comprende
come sia conveniente in generale aumentare ancora di più la superficie esterna, infittendo le
alette, ove non vi siano controindicazioni per un aumento della caduta di pressione dell'aria, o per
deposito di polvere o di vapore acqueo condensato.
CAPITOLO 14-Irragiamento
Introduzione
Un’ulteriore modalità di scambio termico è quella dell’irragiamento, che utilizza le onde elettromagnetiche,
manifestazione sensibile dell’energia interna della materia. Questa dipende dalla temperatura del corpo, e
facendo riferimento al terzo principio della dinamica, essendo impossibile che la temperatura di un corpo
raggiunga lo zero assoluto, tutti i corpi materiali emettono radiazioni elm.
Queste radiazioni sono invisibili ad occhio nudo, a meno di quelle che ricadono nell’intervallo Δλ=0.4÷0.8µm,
dette “luce visibile”. Il campo della radiazione termica cui siamo interessati adesso è quello che ricade
nell’intervallo Δλ=10−2 ÷102 . (Figura a sinistra)
L’emissione elm dipende dalla temperatura T del corpo, dalla direzione
(ε, θ) e dalla lunghezza d’onda λ considerata, ed è solitamente riferita
anche alla sua superficie (reale S o apparente 𝑆𝑆ε = S cos ε)
L’angolo solido, definizione e calcolo
L’emissione ha un carattere fortemente direzionale, che viene definito
attraverso il concetto di angolo solido. L’angolo solido è un'estensione
allo spazio tridimensionale del concetto di angolo piano. L’unità di
misura dell’angolo solido è lo steradiante (sr). (Figura sotto)
• Leggi di Lambert
• Legge di Planck
• Legge di Wien
• Legge di Stefan-Boltzman
• Legge di Kirchoff
Leggi di Lambert
Consideriamo due qualunque C.N. all’interno di una cavità nera, aventi la stessa T e indifferentemente disposti
nello spazio. Potremo notare come l’intensità apparente di un C.N. non dipende dalla direzione (ε, θ) ma solo
da T e λ, poiché visto che i due C.N. sono alla stessa T, il flusso netto scambiato tra i 2 è nullo.
Legge di Wien
La legge di Wien si può dedurre analiticamente da quella di Planck, derivata e annullata. La λ𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 utilizzata
nell’equazione rappresenta la lunghezza d’onda alla quale l’emissione è massima.
Legge di Stefan-Boltzman
Questa legge è molto importante e introduce la costante Costante di Boltzman σ= 5.67 10−8 (W𝑚𝑚−2 𝐾𝐾 −4 )
Possiamo vedere come l’emissione globale di un corpo è direttamente proporzionale alla temperatura.
Possiamo anche collegarla alle leggi di Lambert.
In questo grafico possiamo notare come l’emissione
aumenta proporzionalmente al valore della
Temperatura. Nell’ascissa avremo le λ e nell’ordinata
la T.
Costante solare
La radiazione solare è con buona approssimazione assimilabile a quella di un corpo nero. La costante solare
𝐶𝐶𝑠𝑠 è definita come l’energia radiante extra-atmosferica emessa dal sole per unità di superficie terrestre vista
dal sole. Poiché la distanza Terra- Sole varia continuamente a causa dell’ellellitticità dell’orbita, useremo una
𝑊𝑊
𝐶𝐶𝑠𝑠 calcolata alla distanza r media e sarà 𝐶𝐶𝑠𝑠 = 1353 2
𝑚𝑚
𝑄𝑄
Questo valore è stato ricavato da 𝐶𝐶𝑠𝑠 = , dove Q rappresenta il flusso netto scambiato tra il Sole e la Terra, e
𝐴𝐴𝑇𝑇
data la grande differenza la Terra è trascurabile.
Calcolo dell’emissione di un corpo nero in un intervallo 0÷ 𝛌𝛌
L’emissione di un C.N. all’interno di un intervallo di lunghezze d’onda si può calcolare dalla legge
dell’emissione globale emisferica integrata con la legge di Planck.
Tutta questa complessa operazione non è tuttavia necessaria, come vedremo con la prossima immagine, che
presenterà un esempio di applicazione e una tabella di riferimento con valori già calcolati.
Calcolo dell’emissione di un corpo nero in intervallo 𝛌𝛌𝟏𝟏 ÷ 𝛌𝛌𝟐𝟐
Anche questo calcolo sarà molto semplice, e lo ricaveremo per differenza, come vedremo nell’immagine
sottostante
Caratteristiche radiative dei materiali
Passiamo adesso alle caratteristiche radiative dei materiali, un po’ diverse dall’emissività che invece viene
considerata una proprietà, poiché dipende solo dalla natura del materiale, differentemente dalle caratteristiche
che dipendono anche dalla natura della sorgente G(λ) (Spettro emissivo)
Leggi di Kirchoff
Queste leggi saranno molto utili per definire le relazioni che intercorrono tra le caratteristiche radiative (ρ, α, ꞇ)
e l’emissività (ε)
Una superficie è diffondente quando la sua emissività è indipendente dalla direzione di emissione, poiché
emette con uguale intensità in tutte le direzioni.
Quali sono quindi le condizioni per validare la terza legge?
Essa varrà in due casi:
• (Primo caso) Se vale la 2.a legge di Kirchoff (Superficie diffondente) e se la sorgente irradia come un
corpo nero alla stessa temperatura T del corpo, ossia se
α (λ, T) = ε (λ, T) e G(λ) = 𝑒𝑒𝑛𝑛 (λ, T)
G(λ) è lo spettro emissivo della sorgente
• (Secondo caso) Se vale la 2.a legge di Kirchoff (Superficie diffondente) e se l’emissività è indipendente
da λ (Quindi dipenderà solo dalla Temperatura)
α (λ, T) = ε (λ, T) e ε (λ, T) = ε (T)
IMPORTANTE: i corpi per i quali ε (λ, T) = ε (T) prendono il nome di CORPI GRIGI
Alcune osservazioni
• Per i collettori solari termici è importante disporre di materiali che presentino elevati valori di
assorbimento e bassi di emissività.
Vetri
Il comportamento selettivo dei vetri rispetto a λ spiega l’Effetto Serra che ha luogo nelle cavità delimitate da
vetri (Edifici, collettori solari, ...).
Caratteristica da notare dei vetri è che oltre i 60° di incidenza della radiazione la trasparenza del vetro
diminuisce radicalmente e diventa perlopiù riflettente. Per questo nella pratica è inutile adottare un profilo
smussato dei montanti della finestra per fare entrare più luce, poiché appunto oltre un certo angolo i vetri
diventano riflettenti e non fanno passare i raggi solari.
SCAMBI TERMICI RADIATIVI
Sulla base di queste relazioni possiamo ricavare una prima importante proprietà per i fattori di vista:
relazione di reciprocità. Per concludere, il flusso netto che le due superfici si scambiano tra di loro
è dato dalla differenza tra quella che ogni superficie emette e quella che riceve.
Casi particolari:
Due superfici ortogonali tra loro e un Due superfici piane e parallele con i
lato in comune vertici che corrispondono
Una seconda proprietà da menzionare sui fattori di vista è l’additività. (vedi libro pag. 10 del capitolo)
Applicazioni
● Abbiamo due pareti: una omogenea (3) e una fatta da due elementi distinti,
tutte a temperature diverse, ognuna di queste irradia verso l’altra energia
radiante. Nasce l’esigenza di calcolare flussi termici scambiati e quindi dei
fattori di vista. Fra le superfici 2 e 3 è calcolabile facilmente perché caso
notevole. Invece per F31 (3 e 1 ortogonali tra loro ma non hanno lato in comune)
si considerano 1 e 2 come unica parete e poi si sottrae la 2.
F32 da diagramma
F31= F3(1+2) – F32
● Caso di una sorgente puntiforme P che
emette verso questa superficie che sta
ai piedi dell’asta che sorregge questo
punto P. Questa superficie la possiamo
considerare come complessiva, fatta da
quattro aree parziali. Si procede come
nel caso precedente, tramite additività.
Metodo della radiosità
Flusso radiativo scambiato tra due
oggetti che stanno all’interno di una
cavità chiusa (simula lo spazio
abitativo). Nell’immagine, lo schema di
questa cavità chiusa definita da un
certo numero n di superfici, dove ne
viene individuata una in particolare, la
superficie generica i-esima, esposta
alla radiazione che proviene da tutto
l’ambiente circostante. Quest’ultimo
emette verso questa superficie energia radiante espressa dalla funzione spettrale G i, questa ne
riemette una certa quantità in misura proporzionale. La parete riflette nella misura che la sua
riflessività gli consente (e quindi l’energia radiante riflessa è uguale a ρiGi). Eni è l’emissione che
avrebbe un Corpo Nero alla stessa temperatura della parete, questo per definizione di emissività.
La parete quindi emette la somma di queste aliquote, la quale dà la radiosità. Ai fini del bilancio
energetico la parete ha anche i suoi scambi termici con l’ambiente circostante, quindi ci sarà un
termine di flusso termico Qi. ρ si può convertire in 1-ɛi perché corpo opaco. Relazione del bilancio
energetico vero e proprio: 1) Bilancio energetico globale fatto in relazione al volume di controllo
rappresentato dalla curva tratteggiata. 2) Radiosità che è un’esplicitazione dei termini che figurano
nel bilancio energetico complessivo. Per descrivere compiutamente il comportamento di questa
parete dal punto di vista degli scambi radiativi abbiamo bisogno di scrivere le relazioni (1.1) e (1.2).
Dalla (1.1) la radiosità data dalla somma dell’energia radiante emessa dalla parete “per riflessione”
e l’energia radiante emessa “per temperatura” (vd. 2)). Riguardo la (1.2) vd. 1). Volendo possiamo
modificarle nella simbologia, scrivendo una coppia di equazioni. Ri e Rik sono delle quantità che
discendono dalla trattazione precedente. Ri dipende dalla emissività e dalla superficie con i; Rik
dipende dal fattore di vista di questa parete nei confronti di tutte le altre pareti.
Casi particolari
Effetto di bordo
trascurabile
Scambio
termico di Ac infinitamente più grande di Ap quindi Ac → ꝏ e tutto il
tipo radiativo termine al denominatore tende a 0, quindi sopravvivrà solo il
termine ɛ1 cioè l’emissività della parete più piccola che
possiamo conoscere. Quando lo scambio termico avviene tra
due superfici di cui una è molto più grande dell’altra, la formula
dello scambio termico si riduce notevolmente
Schermi radiativi
Due superfici a temperatura diversa, tra di loro
ricorre uno scambio radiativo. Supponiamo di
interporre tra questi un elemento 3. Andiamo a
scrivere l’espressione di Christiansen, ai poli
abbiamo un potenziale a temperatura T1 e uno a
temperatura T2 e nel mezzo andiamo a mettere
tutta la serie delle resistenze termiche di tipo
radiativo che l’onda termica di tipo radiante deve
attraversare per giungere al polo E n2. Se questi
schermi sono molto estesi e piccolo è l’effetto di
bordo possiamo assumere i fattori di vista uguali a 1, arrivando dopo qualche passaggio a Q 12. Se
le emissività dovessero essere tutte uguali si semplifica. Quando tra due elementi viene interposto
uno schermo di emissività circa uguale a quella delle due superfici in gioco il flusso termico radiativo
si dimezza.
Ambienti
termicamente
uniformi
Globotermometro
Tmr è misurabile tramite uno strumento detto globotermometro.
Abbiamo una cavità e disegniamo il volume di controllo che comprende
questo termometro, questo scambia con l’ambiente circostante calore
di tipo convettivo e radiativo, trascuriamo i suoi scambi di tipo
conduttivo con l’aria. Lo scambio convettivo avrà relazione con la
temperatura dell’aria, quello radiativo chiamerà in causa la Tmr. La
somma di queste due quantità è pari a 0 perché nel bilancio energetico
non ci sono altri termini che ricorrono. Ts è la temperatura superficiale; Tg è la temperatura dichiarata
dall’asta termometrica. Se c’è un buon contatto tra sfera e termometro le possiamo considerare
approssimativamente uguali. α è l’alfa convettivo degli scambi convettivi, è un coefficiente della
convenzione naturale dell’aria attorno alla sfera.
Lo strumento per
misurare ua è
l’ANEMOMETRO
2- Distribuzioni spaziali che viene ad assumere la Tmr. Risultato di una simulazione fatta dal
calcolatore implementando le formule sia di Tmr che dei fattori di vista. Questi valori di
temperatura media radiante in prossimità di una finestra tendono ad abbassarsi perché
risente delle temperature esterne (basse di notte). Dal lato opposto, un picco indotto dalla
presenza di un ipotizzato radiatore termico che in quello stesso istante è attivo; la sua
temperatura superficiale è dell’ordine di una settantina di gradi, il che induce dei picchi che
decadono abbastanza rapidamente per la legge dell’inverso del quadrato della distanza. Lo
dobbiamo pensare come un fotogramma, immaginiamo questa superficie al variare del
tempo, le temperature superficiali delle pareti vanno cambiando istante per istante.
CAPITOLO DELLA CARATTERIZZAZIONE CLIMATICA DEL
TERRITORIO
Che bisogno c’è di caratterizzare il territorio da punto di vista climatico? È molto importante farlo perché
l’edificio possa interagire con l’ambiente circostante. Il suo comportamento è dovuto dalle condizioni
climatiche circostanti, al fine di adeguare la struttura nelle sue forme architettoniche al contesto
climatico. “GUAI” costruire edifici che ignorino questi contesti perché non farebbe altro che aumentare i
consumi energetici.
Le condizioni climatiche e i loro dati vengono rappresentati in una norma, che viene periodicamente
aggiornata, UNI 10349. Vengono riportati i principali dati climatici che hanno relazione con la risposta
termica degli edifici.
Formata da una serie di grafici e tabelle che evidenziano i dati fondamentali come la Temperatura
esterna, la radiazione solare (nelle varie esposizioni EST-OVEST-NORD-SUD), la velocità del vento,
l’umidità relativa, ecc.
TEMPERATURA ESTERNA
Valori medi mensili- in questa tabella vengono
rappresentati i valori medi mensili delle varie città
nei mesi dell’anno. Ovviamente la curva va a
crescere nei mesi estivi e a decrescere in modo più
o meno simmetrico nei mesi invernali. Questi valori
medi possono essere usati in altre tabelle che
esprimono i valori orari di una determinata località
in un dato mese. Grazie ad un algoritmo che
introduce il fattore di forma.
Profilo orario della temperatura esterna- Esso lega il
fattore di forma al salto di temperatura minimo o
massimo di quella località in un determinato mese per
ricavare la temperatura esterna oraria. È dato dal
vettore F che moltiplica singolarmente ∆Tmax che si
trova nelle norme. In questo caso ogni singolo numero
(0,82-0,87-0,92-…) con la massima variazione della
temperatura, ottenendo la distribuzione oraria della
temperatura di quella determinata località in quel mese.
La figura accanto mostra la variazione delle
temperature nelle 24 ore. Nell’arco si può notare che il
picco massimo avviene verso le 15 e le 16.
Radiazione Solare-
È l’energia radiante emessa dal Sole nello spazio, generata dalle
radiazioni termonucleari di fusione che avvengono nel nucleo solare e che
producono radiazioni elettromagnetiche a varia frequenza.
Come si muove il sole rispetto ad un punto fisso sulla Terra (in questo
caso la persona in figura)? Il Sole come già si sa si muove da EST a
OVEST descrivendo un arco nella volta celeste con diversa lunghezza a
seconda della stagione. Dal solstizio invernale a quello estivo avviene un
incremento dell’arco e delle ore di luce.In base alla posizione del sole si
possono definire degli angoli che sono tipici della geometria sferica.Gli
angoli sono: Azimutale Ψ, Zenitale ζ, Angolo di altezza solare α.
L’angolo Azimutale avviene sull’angolo di appoggio della superficie
illuminata. Zenitale è l’angolo tra la posizione del Sole e la normale
rispetto al suolo. L’angolo di altezza solare si misura tra la posizione del
sole e il piano di appoggio stesso. Gli angoli di altezza solare durante gli
equinozi e i solstizi variano anche in base alla località e vengono utilizzati
per caratterizzare i territori e il clima locale, richiamando questi angoli nelle
formule di calcolo e simulazioni per il comportamento termico dell’edificio.
La disposizione dell’edificio deve essere studiata per consentire il
soleggiamento degli ambienti durante l’inverno e per evitarlo in estate.
Questo lo possiamo evitare anche usando elementi ombreggianti o anche
alberi.
Radiazione solare al suolo-
Le componenti della radiazione solare sono:
Diretta: la luce che arriva a noi lungo la congiungente tra il
sole e il punto di misura
Diffusa: ogni particella di gas colpita dalla luce la riemette
con uguale intensità in tutte le direzioni
Albedo/Riflessa: è la luce riflessa dall’ambiente circostante
(edifici, suolo, amb. naturale).
Il grafico mostra come evolve la radiazione solare nell’arco
dell’anno sulla base dei valori di irraggiamento medio
mensile (quantità espressa in KWh/m2) su metro quadro di
superficie ricevente. A Sud la massima radiazione avviene
nei mesi invernali, mentre a Nord la radiazione solare si
mantiene al di sotto del valore di tutte le altre esposizioni
perché l’esposizione Nord ha solo componenete diffusa e
riflessa della radiazione solare. Quindi è importante
l’esposizione dell’ambiente e delle pareti. La radiazione
solare dipende dalla poszione geografica quindi dalla
latitudine del luogo, l’ora del giorno e il giorno dell’anno. A
Est la radiazione solare aumenta a partire dall’alba fino a
raggiungere un picco e declinare verso il mezzogiorno e,
invece di andare a zero, continua sulla curva Nord
coincidendo con la curva Ovest dove avrà una curva uguale
a quella Est ma con comportamento opposto. La parete a
Est avrà tutte e tre le componenti fino a quando non arriva
sulla curva Nord e ha solo le componenti diffusa e riflessa. La
componente Orizzontale ha una radiazione molto intensa
perché il sole è abbastanza perpendicolare al piano
orizzontale ed è poco affetto all’angolo coseno, l’angolo di
inclinazione. Questa curva in estate è la più intensa.
Lo sfasamento temporale tra la radiazione solare (forzante) e
la temperatura dell’aria esterna (risposta) in uno stesso giorno
tipico viene rappresentato da questa curva. La distribuzione
della radiazione solare sull’orizzonte è simmetrica rispetto al
mezzogiorno, mentre la temperatura esterna ha un picco
discostato di un paio di ore dalle 12. Questo scostamento
avviene perché la Terra ha la sua inerzia termica e risente
della temperatura dell’aria e del ritardo che avviene sulla
Terra dovuto dai materiali e dal suolo che riemettono la
radiazione solare nell’aria. Infatti il picco massimo della
temperatura non avviene a mezzogiorno ma intorno alle 15 e
alle 16.
Caratteristiche igrometriche- sono date dalle
pressioni parziale del vapor d’acqua. Tra la pressione
del vapor d’acqua e l’umidità relativa intercorre una
semplice relazione (che si trova nelle pagine della
Pv.
psicometria) φ = Psat(t)
con pv in (mmHg) e G in (W/m2). Naturalmente pv è correlata all’umidità relativa ambiente dalla pv= ∅pvs(Te),
dove 𝐺 = 𝑓(𝑇𝑒, ∅𝑒).
La temperatura del cielo viene considerato come un corpo nero, si può calcolare imponendo: 𝐺 = 𝜎𝑇𝑐4
4 𝐺
𝑇𝑐 = 𝑓(𝑇𝑒, ∅𝑒) dove 𝑇𝑐 = √ oppure 𝑇𝑐 = 0.0552 𝑇𝑒1.5
𝜎
La temperatura del cielo è la temperatura che noi attribuiamo a quel elemento immaginario che è la volta
celeste. La immaginiamo come una semisfera centrata sul punto di misura che si trova con una sua
temperatura con la quale scambia calore radiante con tutti gli oggetti che sono appoggiati sulla terra. Se
disponessimo della temperatura della volta celeste potremmo calcolare molto agevolmente gli scambi
termici radioattivi come tra un edificio e la volta celeste, ma non possiamo averla perché la superficie non
esiste e non è misurabile strumentalmente. Secondo il principio di conservazione dell’energia i gas
assorbono calore che lo riemettono con uguale intensità in tutte le direzioni. Sono simili alle caratteristiche
di un corpo nero e quindi possiamo calcolare l’irradiazione G con la relazione di Stefan-Boltzmman. 𝑇𝑐4 è
la temperatura dell’elemento emittente e quindi della volta celeste, la temperatura del cielo è stata
correlata in base alla temperatura e l’umidità relativa delle località. È come dire che si può calcolare la
temperatura del cielo con
Nei grafici sotto possiamo vedere che la Temperatura esterna rappresenta come una famiglia di curve. Se
prendessimo il 60% di umidità relativa e la temperatura esterna a 10 °C vedremo che la temperatura del
cielo è -10°C ed è la temperatura della volta celeste a cui viene esposta una superficie in quelle situazioni
(in assenza di radiazioni solari) con un raffreddamento di tipo radiativo. Se poi dovessimo calcolare i Watt
troveremo valori che vanno dai 40-100 W/m2 e per questo avviene questo raffreddamento degli oggetti
esposti alla volta celeste. Viene detto raffreddamento radiativo perché il corpo scambia calore con la volta
celeste.
Raffreddamento radiativo- Un corpo (in ombra) appoggiato al suolo ed esposto alla volta celeste alla
temperatura Tc subisce un raffreddamento radiativo dell’ordine di 100 W/m2 e determina una temperatura
esterna “equivalente” di circa 5°C inferiore a quella dell’aria. Questo meccanismo spiega tanti fenomeni,
tra cui la formazione di brina nei corpi anche con la formazione di ghiaccio quando Te > 0°C.
La superficie piana è esposta ad un raffreddamento radiativo che porta la sua temperatura al di sotto della
temperatura di rugiada nell’aria. Porta a formarsi del condensato raggiungendo la brina e se questo
condensato continua a formarsi allora lo strato liquido diventa solido e quindi ghiaccio pure essendoci una
temperatura esterna maggiore dei 0°C perché c’è questo raffreddamento radiativo.
Se la temperatura media radiante è molto prossima a quella dell’aria, il numeratore si può scomporre
attraverso i binomi notevoli.
Nota: (T4-T4)= (T2-T2)(T2+T2) = (T-T)(T+T)(T2+T2)
Se Tsi è molto prossima a Ta – con questa ipotesi ci si trova maggiormente nel campo degli ambienti
termicamente uniformi - si può pensare di fare ulteriori approssimazioni e riscrivere la formula del
coefficiente di adduzione interno.
Dal lato esterno l’approccio è lo stesso: si prenda un punto qualsiasi della faccia esterna della parete la
quale riceve dagli strati profondi della parete stessa il calore q. Nel nodo questo q si distribuisce in forma
radiativa e convettiva. Lo scambio convettivo qce avviene con l’aria alla temperatura Te e lo scambio
radiativo qre avviene invece con gli elementi superficiali che si trovano dalla parte esterna in cui c’è anche
la temperatura del cielo Tc. La modellazione matematica è identica a quella di prima: mettendo in evidenza
(Tse-Te) si ottiene il coefficiente di adduzione lato esterno h0e.
Anche in questo caso si possono ricavare espressioni approssimate usando i meccanismi precedenti.
Qui in particolare si ha αe, coefficiente convettivo lato esterno, allora lì c’è convezione naturale? in prima
battuta potremmo dire di si, però non si deve dimenticare che il lato esterno della parete viene battuto
anche dal vento e quindi la convenzione sul lato esterno è veramente naturale? E’ difficile rispondere con
una risposta secca perché il vento impone una velocità. La Norma UNI 7357-74 suggerisce una
correlazione molto semplice che consente di calcolare αe direttamente in funzione della velocità del vento u
misurata in metri al secondo. In questo caso il valore raccomandato per gli edifici è 20 W/m 2K quindi c’è
una bella differenza con quello calcolato nel caso di lato interno.
In assenza di radiazione solare, il flusso trasmesso in sintesi si può scrivere nelle forme seguenti:
Dopo aver scritto il bilancio si isoli al primo membro il termine q che è rappresentativo del flusso
complessivamente trasmesso attraverso la parete. Tale flusso termico complessivo viene indotto dalla
temperatura superficiale esterna e dalla radiazione solare I assorbita dalla parete-la parte riflessa della
radiazione non ha influenza per la determinazione del flusso q. Poiché si tratta della radiazione solare
assorbita a moltiplicare I c’è l’assorbimento della parete αs .Il pedice s sottolinea che l’assorbimento è in
relazione allo spettro emissivo del Sole perché come si è visto il coefficiente di assorbimento o in generale
tutte le proprietà radiative (assorbimento, trasparenza, riflettività) dipendono ,oltre che dalla natura del
materiale, anche dallo spettro emissivo della sorgente che lo irradia, in questo caso il Sole.
L’espressione trovata è semplice, ma c’è un modo di creare una scrittura ancora più semplice che
coinvolga piuttosto che la Te e la radiazione solare una sola temperatura esterna, cioè una temperatura
esterna equivalente che comprende in sé anche gli effetti della radiazione solare? La temperatura aria-
sole.
Quindi nella realtà fisica si ha una parete sede di un flusso termico indotto dalla temperatura e
dall’irraggiamento, ma si cerca una temperatura che comprenda in sé i due effetti tale da determinare
ovviamente lo stesso flusso termico attraverso la parete che si ha nella situazione reale. Pertanto da un
lato si ha la situazione reale, quella della parete sollecitata dal flusso solare e dalla temperatura esterna,
dall’altro la situazione fittizia che vede una parete in ombra non soggetta alla radiazione solare
esplicitamente espressa. Si vogliono confrontare queste due realtà a parità di flusso termico trasmesso
complessivamente tra interno ed esterno, questo si traduce nella seconda equazione:
Al primo membro si ha il flusso termico così come descrivibile nella realtà fisica della parete dove c’è la
temperatura esterna e l’irraggiamento, al secondo membro si ha il flusso termico trasmesso attraverso una
parete sollecitata solo da una temperatura esterna equivalente che è la temperatura aria-sole. Si imponga
che i due flussi siano uguali e si trova la temperatura aria sole Tas che è uguale alla temperatura esterna
più il termine che tiene conto della radiazione solare.
In presenza di radiazione solare, quindi della Tas, il flusso trasmesso si può scrivere in una delle forme
seguenti:
1)attraverso il coefficiente di adduzione h0e per il salto di temperatura tra Tas e la Tse;
2)Attraverso la trasmittanza globale K della parete( in cui sono comprese anche le resistenze liminari) e il
salto di temperatura tra a Tas e la temperatura interna Ti. Questa espressione è quella più semplice ed
interessante, infatti gli effetti della radiazione solare qui sono tutti ricompresi nella Tas;
3)Oppure, nell’ultima espressione, basta mettere in gioco al numeratore la differenza di temperatura
superficiale esterna e superficiale interna e al denominatore le resistenze termiche che ricorrono tra i due
punti. Qui il flusso complessivamente trasmesso si scrive come rapporto tra il potenziale energetico che lo
promuove e le resistenze termiche che ricorrono tra i due punti. Spiegazione denominatore:
Nella parete vi è il nodo i, cioè quello dell’ambiente interno, e il nodo e, cioè quello dell’ambiente esterno. Si
aggiungano poi le resistenze liminari dello strato d’aria che è a immediato contatto con la parete e che è
sede degli effetti convettivi αi e αe. Si può pensare di sostituire a quest’ultimi i coefficienti di adduzione,
essendo parametri più generali in quanto tengono conto, oltre che del termine convettivo, anche del
termine radiativo. Come si può scrivere l’espressione per q? in vari modi: il primo è quello del rapporto tra il
salto di temperatura tra Ti e Te con la resistenza totale tra il punto i ed e che corrisponde a tutti gli elementi
che oppongono resistenza alla trasmissione del calore tra il nodo i ed e.
Un modo alternativo di esprimerlo è considerando il rapporto tra la differenza tra Tsi e Tse e la resistenza
tra il nodo si e il nodo se. Tra questi due nodi le resistenze che si oppongono al flusso termico sono quelle
conduttive degli strati solidi di tipo s/λ e le resistenze di gap.
Riprendendo la prima espressione: se c’è radiazione solare I, si dovrebbe alterare radicalmente la scrittura,
ma si può evitare ciò se al posto della Te si inserisce la Tas perché ricomprende anche gli effetti della
radiazione solare. Al denominatore non cambia niente perché i nodi sono sempre quelli.
Nota: cosa vuole ricordare il simbolo αs ?
Se si torna indietro nella tabella che riporta il coefficiente di assorbimento per i vari materiali da costruzione
(proprietà radiative di materiali edili-p.26 cap. irraggiamento) si nota che i valori per ogni materiale sono 2 o
almeno 2 per un motivo legato alla definizione che si era data dei coefficienti di assorbimento.
Nell’altra tabella (caratteristiche radiative dei materiali-p.17 cap. irraggiamento) si era detto di vedere in
particolare i valori globali che dipendono non solo dalla temperatura del materiale, ma anche da qualcosa
che non ha niente a che fare con il materiale e che è rappresentata da G(λ) che rappresenta la funzione
spettrale della sorgente, cioè la distribuzione alle varie lunghezze d’onda della sorgente che irradia questi
materiali. Quindi è chiaro che la riflettività, l’assorbimento e la trasparenza non possono essere considerate
proprietà autentiche del corpo perché i valori di cui si dispone non sono legati esclusivamente al
comportamento naturale del materiale. Da qui nasce l’esigenza di ricondurre questi 3 parametri a uno che
è invece una proprietà radiativa autentica del materiale: l’emissività, in cui al numeratore si ha l’emissione
del corpo e al denominatore l’emissione che avrebbe un corpo nero che è un riferimento assoluto. Come
fare per ricondurre le 3 proprietà all’emissività? Attraverso le leggi di Kirchhoff: La prima legge riguarda
l’emissività e l’assorbimento monocromatico e direzionale che è sempre valida; la seconda legge è valida
solo per superfici diffondenti, quindi per emettitori perfetti; la terza legge vale solo sotto particolari
condizioni espresse nella pagina successiva (p.18 cap. irraggiamento).
Tutto ciò si riflette nei valori numerici che si usano per valutare l’assorbimento. Quest’ultimo assume valori
diversi a seconda che a irradiare il materiale sia il Sole, perché questo emette come fosse un corpo nero
alla temperatura di 6000 K, o un qualunque altro oggetto che si trovi a temperatura ambiente. Ecco perché
si distinguono questi due casi, sono quelli di maggiore interesse. I materiali infatti possono essere irradiati
dal Sole poiché usati per superfici esterne , o irradiati da altre pareti (che irradiano nell’infrarosso)se i
materiali sono usati all’interno. Nel caso della parete esterna di cui ci si sta occupando in sede di
temperatura aria sole, l’intonaco di finitura viene irradiato intanto dalla radiazione solare e quindi è chiaro
che il coefficiente di assorbimento è quello nel solare e non quello all’infrarosso.
Come forzante alla parete esterna, cioè come potenziale energetico capace di indurre un flusso, agisce la
temperatura esterna poiché quella interna la si suppone fissa. Nel primo grafico è rappresentato
l’andamento della temperatura esterna in 24 h. Il secondo grafico rappresenta la distribuzione oraria della
radiazione solare in condizione estiva alla latitudine di Catania (37° di latitudine). I due diagrammi riportano
i due dati di cui si ha bisogno per calcolare la temperatura aria sole, ovvero la Te temperatura esterna e I
radiazione solare. Si calcoli allora la Tas alla latitudine di Catania in regime estivo.
I grafici sono 2 perché uno si riferisce ad una parete con rivestimento chiaro e l’altra con rivestimento
scuro.
α= 0.3 rappresenta la temperatura aria sole per parete chiara. La Tas nel caso di parete scura con α=0.8
presenta dei valori più alti.
In questo secondo caso qual è la parete più soggetta a flussi termici, che in estate si dovranno contrastare
con il raffreddamento, tra quella posta ad est e quella posta ad ovest? La parete ovest, nonostante la
temperatura esterna e la radiazione solare delle due pareti siano uguali, così come l’energia sottesa della
curva est ed ovest, essendo curve antisimmetriche. Sulla parete est, prima delle ore 12, si combina una
certa radiazione solare e un certo dato di temperatura, invece ad ovest, nelle ore post meridiane quindi 16-
17-18, si ha una radiazione solare che è la stessa di est, ma la temperatura esterna è molto più alta. Per la
parete ovest c’è una combinazione tra alti valori di radiazione e di temperatura esterna nello stesso arco di
tempo.
L’esposizione più critica in assoluto dal punto di vista dei flussi termici e dei carichi termici dell’ambiente è
l’orizzontale perché su questa la radiazione solare è superiore rispetto a qualunque altra esposizione.
Pertanto le pareti esposte ad ovest e le coperture piane sono quelle più critiche dal punto di vista dei flussi
termici trasmessi all’interno dell’ambiente in modo particolare nelle condizioni estive quando questi ingressi
di calore aggravano il carico termico. Da qui l’interrogativo che si pone l’ingegnere: cosa fare per limitare i
flussi trasmessi attraverso le pareti soleggiate? Il criterio discende dall’espressione del flusso termico
trasmesso dove Ti è fissa:
; con
Il flusso termico dipende dalla trasmittanza K , la quale è influenzata dalla presenza dell’isolante: più
isolante si mette e più bassa si fa la trasmittanza. Esplicitando la temperatura aria sole si scopre che ci
sono altri parametri su cui intervenire: il coefficiente di assorbimento nel solare, si deve scegliere un
materiale di colore chiaro in modo tale che il coefficiente sia basso; l’altro elemento su cui si può intervenire
è l’irraggiamento I. La radiazione solare ha 3 componenti: diretta, diffusa e riflessa(albedo). Non si può
intervenire sulla diffusa perché deriva dai gas atmosferici che diffondono la radiazione solare, lo stesso
sull’albedo perché dipende dall’ambiente circostante. Si può però intervenire sulla componente diretta della
luce con elementi aggettanti o vegetazione. In questo modo si elimina la componente più energetica della
radiazione solare.
Quindi la parete non è solo soggetta alla forzante di tipo temperatura ma anche a quella di tipo flusso che
agisce sia dall’esterno e dall’interno quale flusso rappresentativo della radiazione elettromagnetica inviata
sulla parete da oggetti e altre pareti.
Per il flusso ϕ proveniente dagli ambienti interni bisogna considerare che una parte viene assorbita e poi
viaggia verso l’ambiente esterno, mentre una parte viaggia all’interno creando un ulteriore contributo che è
q’1* la cui dimostrazione porta ad esplicitarlo secondo la formula:
Si consideri una parete con le caratteristiche termofisiche e geometriche dei suoi materiali. Le condizioni a
contorno note a priori dal lato esterno sono rappresentate dalla temperatura esterna e dalla temperatura
del cielo, mentre dal lato interno dalla temperatura interna e dalla temperatura media radiante. L’ interesse
è quello di stabilire quanto vale il flusso termico trasmesso in queste condizioni realistiche. Si può scrivere
in diversi modi:
Scrivendolo per nodo esterno, interno (attraverso termine radiativo e convettivo) o usando un’espressione
in cui si scrive il flusso termico trasmesso tra il nodo interno ed esterno. Esplicitando queste equazioni:
Nella 2° espressione si suppone che i flussi radianti provenienti dalle altre pareti siano trascurabili e che
tutto sia compreso nella Tmr.
E’ possibile semplificare le equazioni: nella 1° si ricorre al coefficiente di adduzione; analogamente nella 2°;
nella 3° si ricopia il numeratore e si esplicita il denominatore. Ecco la terna per determinare il flusso
trasmesso. Si ottengono tre equazioni in 3 incognite (q, Tse e Tsi) e risolvendo il sistema si può calcolare il
flusso termico complessivamente trasmesso in una situazione realistica.
Esercizio
La parete presenta inoltre tamponamento interno, esterno e gap d’aria di cui si conoscono i dati assegnati.
Bisogna calcolare il flusso tramesso.
Si nota in particolare che per trovare il flusso si ha bisogno della temperatura superficiale interna Tsi. Ma
come calcolarla? L’equazione va risolta iterativamente. Il Tsi è l’unica incognita ed è un parametro che
ricorre sia al primo che al secondo membro. Si ipotizza un certo valore di Tsi e si calcola di volta in volta il
primo e il secondo membro per verificare se questi risultati sono vicini o lontani. Se sono vicini il Tsi
ipotizzato è quello giusto, altrimenti si deve ipotizzare di nuovo. Il calcolo è molto lungo ma si può alleviare
se si trova un criterio:
Sulla soluzione per tentativi delle equazioni non lineari – metodo grafico-
Si indichi con qI e qII rispettivamente il primo e il secondo membro, si osservi che questi rappresentano
due curve: il primo è una retta che dipende da Tsi alla prima potenza, il secondo rappresenta invece una
curva del quarto ordine. La soluzione per tentativi di simili equazioni può condursi graficamente tracciando
l’andamento del termine lineare e non lineare e osservando per quale valore dell’ascissa le due curve si
intrecciano. Quello sarà infatti il valore che rende soddisfatta l’uguaglianza tra i due membri ed è quindi la
soluzione dell’equazione.
Visto che il primo membro rappresenta una retta, per tracciarla sono sufficienti due qualunque valori
dell’incognita Tsi (per due punti passa una retta) e un piano cartesiano. Per il secondo termine non lineare
più di due. Bisogna trovare l’intersezione con la retta già tracciata e per questo bisogna procedere per
iterazione e ipotizzare di volta in volta valori di Tsi e vedere se i membri sono vicini. Può aiutare il senso
fisico, infatti si osserva che la Tsi cercata sicuramente sarà intermedia tra la temperatura interna da un lato
e la temperatura esterna dall’altro. Tsi non può assumere valori minori della minima temperatura e maggiori
della massima temperatura a cavallo delle quali la parete si trova. Questo delimita il campo numerico del
Tsi. Se per esempio si sceglieranno valori che ricadono nell’intervallo
CAPITOLO 8
I VETRI
Si può però additivare alla pasta vitrea delle sostanze come ossidi metallici attraverso due processi cioè la
PIROLISI e la ELETTRODEPOSIZIONE e quindi si possono conferire al vetro delle caratteristiche ottiche
particolari che nel grafico sono rappresentate dalla curva del Vetro Antisolare che hanno valori di trasparenza
elevati entro 1 𝜇𝑚 nell’intervallo del visibile. Questi vetri sono definiti antisolari perché della radiazione
solare, che si esaurisce nell’arco dei 3 𝜇𝑚, fanno passare solo la aliquota di energia che ricade nell’intervallo
del visibile e quindi escludono la parte di energia solare che costituisce un aggravio termico senza beneficio
ai fini della visione. In quali situazioni conviene adottare questa tipologia di vetro? In tutti quei casi in cui si
voglia escludere dall’ambiente che sta al di là del vetro tutti gli effetti termici portati da quella componente
della radiazione solare che non serve per la visone. I vetri antisolari possono adottarsi quando al di là del
vetro possono deteriorarsi a seguito del calore sviluppato dalla radiazione solare e che non serve per la
visione o l’osservazione di oggetti che stanno al di là del vetro come per esempio delle vetrine. Si possono
usare questi vetri anche negli edifici al fine di limitare le radiazioni solari all’interno dall’ambiente onde
limitare i carichi termici indotti dalla radiazione solare.
Il vetro antisolare ha delle contropartite: la prima è che il vetro antisolare penalizza il fattore luminoso cioè
fa entrare molta meno luce rispetto ad un vetro comune sebbene nell’intervallo visibile ci siano dei valori di
trasparenza di qualche grado inferiori, se questa caratteristica antisolare è spinta oltre certe misure, nei vetri
oscurati, seppure in pieno giorno è necessario compensare l’ammanco di luce naturale con la luce artificiale.
Seconda contropartita dei vetri antisolari è la visione a senso unico cioè consentono la visione dall’ambiente
meno illuminate a quello più illuminato dunque di giorno non sarà possibile la visione dall’esterno verso
l’interno e viceversa di notte.
VETRI BASSO- EMISSIVI
Vetri in cui la pasta vitrea è stata additivata da opportuni ossidi i quali conferiscono al vetro un carattere di
bassissima emissività all’infrarosso. il vetro comune è un carattere di emissività nell’ordine di 0.8, la norma
UNI cita un valore preciso uguale a 0.837. il vetro basso- emissivo invece grazie a questi interventi correttivi
può portare la emissività a valore bassissimi dell’ordine di 0.2 fino a 0.004. Questo fattore ha importantissime
conseguenze sul valore della trasmittanza perché il coefficiente convettivo- lato interno, come anche
suggerito dalla norma si può calcolare da:
Questo valore è direttamente proporzionale all’emissività, se l’emissività è quella di un vetro comune allora
𝜀 = 0.837 e quindi il rapporto vale 1 e il coefficiente convettivo-lato interno è dell’ordine di 8 circa. Quando
però 𝜀 è quello di un vetro a bassa emissività il suo valore scende drasticamente e quindi h0i si riduce a sua
volta, questo porta valori della trasmittanza bassi quindi si
passerebbe da valori di 5/6 (W/m2 K) per vetro ordinario (una lastra
da 3mm per esempio) a valori di 3/3.5. Un infisso dotato di vetro
basso- emissivo riduce drasticamente i carichi termici per
trasmissione attraverso l’infisso stesso, questo va a ridurre i carichi
termici dell’ambiente. Una contropartita dei vetri basso-emissivi è
una penalizzazione sulla luce entrante nell’ambiente stesso perché
riducono il coefficiente di trasparenza.
In questo modo si ottengono valori di trasmittanza dell’infisso nel suo complesso estremamente bassi. Ai fini
dell’abbattimento della trasmittanza può essere utile il gas che si pone all’interno dell’intercapedine, questo
gas può essere aria disidratata (privata dei contenuti di vapore d’acqua, che potrebbe dar luogo a condizioni
di condensa che sarebbe ineliminabile essendo la struttura sigillata) che è anche un materiale basso-
conduttivo. Altrimenti si può riempire l’intercapedine con altri gas, ancora più basso - conduttivi dell’aria
quali: l’argon (Ar) , il cripton (Kr) , il Freon e l’esafluoruro di zolfo (SF6) .
Le vetrate isolanti di buona fattura portano i valori di trasmittanza del vetro a valori molto bassi dell’ordine
di K= 1.3 / 1.5 (W/m2 K) si vede così la progressione della trasmittanza dei vetri , parliamo di 5/6 (W/m2 K)
per vetri singoli da 3 o 4 mm di spessore, a valori fino a 2/3 per vetri basso emissivi e scendono ulteriormente
a valore di 1.3 (W/m2 K) per vetrate isolanti di buona fattura. L’adozione di vetrate isolanti è determinante
nelle operazioni di recupero energetico degli edifici: il vetro è un elemento termicamente debole
dell’involucro edilizio e quindi in un intervento di recupero energetico dell’edificio, prima ancora di pensare
all’isolamento sulle pareti, bisogna pensare alla sostituzione degli infissi favorendo i vetri basso-emissivi e o
le vetrate isolanti, che sono quelle maggiormente responsabili della trasmissione del calore e quindi dei
carichi termici caldi o freddi. (leggere le pagine successive sulla trattazione dell’intercapedine del gep di una
vetrata isolante. L’utilizzo dei gas nei vetri basso- conduttivi sono determinanti nell’abbattimento della
trasmittanza della vetrata stessa).
(prodotto del coefficiente di conduzione-lato interno per il salto di temperatura Tsuperficiale – Tinterna)
Ho bisogno di due equazioni perché due sono le incognite: Flusso trasmesso e la temperatura superficiale
interna che posso ricavare da: 𝑇 = 𝑇 − (𝑇 − 𝑇 )
Quindi la temperatura superficiale interna dipende dalla temperatura esterna e dalla trasmittanza.
Disposto un piano cartesiano dove in ascissa vi è la Te e in ordinata la Tsi, e come parametro la trasmittanza
del vetro. Il grafico che ne discende è:
Nel caso del vetro singolo la Tsi è nell’ordine di 6 gradi. Mentre nel caso di un infisso vetro isolante la Tsi
sarà più alta ovvero di 16/17 gradi. Ci saranno rilevanti conseguenze in termini di scambio termico
radiativo con il nostro corpo che si trova a 36/37 gradi centigradi. Per evitare il disagio termico che è
proporzionale al salto di temperatura (fra il nostro corpo e la superfice del vetro) conviene ricorrere a
infissi isolanti, doppi vetri o una vetrata isolante di buona qualità.
ASIMMETRIE TERMICHE NEGLI AMBIENTI
Riguardo il comfort termico è importante ricordare l’importanza delle asimmetrie termiche negli ambienti e
la gradevolezza termica, o il disagio termico, percepito dagli occupanti.
Mettiamoci nel caso di un ambiente dotato di una
grande finestra in condizioni invernali laddove
all’esterno ci siano temperature particolarmente
rigide. Queste condizioni inducono una temperatura
superficiale del vetro molto bassa, mentre tutte le
altre pareti si trovano ad una temperatura prossima a
quella dell’aria (circa 20 gradi centigradi). Il corpo umano si trova esposto a cambi radianti molto diversi a
seconda se si considera il semispazio rivolto verso la superficie vetrata o il semispazio rivolto verso le altre
pareti a temperatura più alta, ci sono dunque due cambi radianti a cui il corpo è esposto simultaneamente.
Per ciascuno di questi semispazi si pensi, se è possibile, di determinare la rispettiva temperatura media
radiante, si avranno cioè due temperature medie radianti: quella che guarda il semispazio verso la vetrata e
quella che guarda il semispazio alle spalle del soggetto.
I flussi termici di tipo radiativo scambiati tra il corpo umano e l’ambiente sono caratterizzati dalla
Temperatura media radiante: 𝑇 = (∑ 𝑇 𝐹 )/
La differenza tra le due temperature medie radianti darà un dato rappresentativo del grado di asimmetria
radiante a cui il corpo è esposto. Legato a questa asimmetria del campo radiante cui il corpo è esposto c’è un
diverso livello di disagio termico (discomfort termico). Questo legame è stato possibile coglierlo attraverso
misure sperimentali dove si è coinvolto un gran numero di persone che vennero sottoposte a laboratori che
riproducono queste situazioni di ambienti termicamente asimmetrici, onde poi raccogliendone i giudizi di
gradevolezza termica o di accettabilità termica di questi soggetti per poi ricavare un legame quantitativo tra
la percentuale di soggetti insoddisfatti della situazione termica e l’asimmetria termica misurata dalla
differenza algebrica tra le due temperature medie radianti.
Esso dipende non solo dalla trasparenza τ ma anche dalle conseguenze del coefficiente di assorbimento del
vetro α che per quanto piccolo è diverso da zero.
𝛼ℎ
𝑞 = 𝐾(𝑇 − 𝑇 ) + 𝜏 + 𝐼 = 𝐾(𝑇 − 𝑇 ) + 𝐺𝐼
ℎ +ℎ
tale relazione è identica a quella ottenuta sotto l’ipotesi della Ripartizione del flusso assorbito (rivedere
questo capitolo)
CAP 9 PROCESSI TERMOIGROMETRICI
Per evitare l’insorgere delle problematiche, occorre capire il meccanismo fisico che porta alla formazione
della condensa superficiale. Per questo ci viene utile guardare i grafici legati alla circuitazione dell’aria
umida e il diagramma di Mollier dell’aria umida.
L’ aria ambiente che viene a contatto con la parete tende a portarsi ad una temperatura superficiale tS.
A questo punto è possibile distinguere due casi:
• tS = tB L’aria esce dal volume di controllo avendo subito un raffreddamento isotitolo, dunque non vi
sarà alcuna formazione di condensa sulla superficie.
• tS = tC L’aria subisce un raffreddamento con deumidificazione, dunque una volta che entra in
contatto con la superficie avrà un minor titolo; ciò si traduce in una maggiore densità dell’aria, la
quale a causa del suo peso scenderà verso il basso dando il via a dei processi di circuitazione
dell’aria, con la formazione di condensa superficiale.
Il verificarsi di una o dell’altra condizione dipende dal raggiungimento o meno della temperatura di rugiada
tR, infatti:
• tS ≤ tR c’ è formazione di condensa
• tS > tR non c’ è formazione di condensa
La relazione che sussiste tra le caratteristiche termofisiche della parete (trasmittanza K) e lo stato
termoigrometrico dell’aria è ricavabile dall’ equazione del flusso termico trasmesso:
DA CUI →
affinché non si formi condensa deve risultare:
in modo da poter discriminare i casi in cui si forma condensa da quelli in cui non se ne forma.
Da questa ultima formula ricavata si capisce in particolare come risolvere il problema della formazione
superficiale della condensa riducendo opportunamente la trasmittanza della parete; in particolare,
introducendo un materiale isolante.
esplicitando la trasmittanza
all’ interno di questa formula vi sono questi particolari termini (Siso e λ isol ) che rappresentano la resistenza
conduttiva dell’isolante. Effettuando dunque dei semplici passaggi algebrici:
da cui
Altro problema interessante è quello relativo al calcolo della produzione di condensa in g/h*m2 sulla
superficie
Si noti che il punto S si trova sulla curva di saturazione, dunque l’aria esce satura dal V.C.
PUNTI DELL’EDIFICIO FAVOREVOLI ALLA FORMAZIONE DI CONDENSA SUPERFICIALE
A parità di TA, la formazione di condensa dipende dall’umidità, al crescere di questa, infatti, si riduce la
distanza tA-tR, quindi fa sì che la condensa si formi nelle pareti meno fredde.
Per evitare ciò, dobbiamo ricordare che anche la presenza fisica di persone aumenta la presenza di vapor
d’acqua, dunque occorre che il locale sia adeguatamente ventilato, eventualmente attraverso dei sistemi di
ventilazione /climatizzazione/deumidificazione che permettano di controllare temperatura e titolo dell’aria.
CONDENSA INTERNA
Al contrario di quella superficiale, questa non è visibile all’occhio umano; ciò non significa tuttavia che non
agisca comunque e che non sia dannosa. Innanzitutto, occorre comprendere in che modo questa si forma.
Premesso che ogni materiale ha un grado assegnato di permeabilità, premesso che sappiamo che ciò che
muove i fluidi è il gradiente di pressione in segno negativo, il vapore d’acqua si muoverà seguendo il
gradiente negativo di pressione parziale del vapore d’acqua che vi è tra la temperatura esterna e la
temperatura interna. È importante notare come sia nell’ambiente interno sia in quello esterno vi sia la
stessa p0, mentre quella che a noi interessa in questo caso è la pressione parziale del vapore d’acqua, non
quella complessiva dell’aria contenente tutti gli altri gas secchi.
METODO DI GLASER
se: pvs > pv il contenuto d’ acqua presente nell’aria umida si trova allo stato di vapore
pvs ≤ pv il contenuto d’ acqua presente nell’aria umida si trova allo stato liquido
Dunque, per valutare se una parete multistrato è sede di formazione interna di condensa occorre
controllare sezione per sezione ogni singolo punto della parete per stabilire se c’è condensa. Per fare
questo si utilizza un metodo chiamato metodo di Glaser:
LEGGE DI FICK
dove :
Per ricavare il profilo delle pressioni parziali del vapore in pareti multistrato occorre mettere a sistema le
diverse equazioni di Flick relative ai diversi strati, (tenendo presente che pressione parziale del vapore pv1 e
pv4 corrispondono rispettivamente alle pressioni parziali nell’ ambiente interno e in quello esterno)
Noto dunque mV è possibile ricavare il profilo delle pvk dello strato k-esimo sostituendola nel sistema
precedente.
DIAGRAMMA DI GLASER
BARRIERE AL VAPORE
Ogni materiale ha una data resistenza al vapore μ; in particolari sono detti barriere al vapore quei materiali
che presentano una μ molto più elevata rispetto ai normali materiali. È dunque utile sfruttare queste
conoscenze al fine di impedire la migrazione di vapore ‘’sul nascere’’.
NOTE CONCLUSIVE
Per impedire la condensa interna è consigliabile scegliere dei particolari materiali traspiranti che
permettano il transito del vapore d’acqua. Inoltre, è importante accertarsi quale sia l’origine della presenza
dell’acqua, infatti in questo capitolo abbiamo escluso tutti quei fenomeni in cui non sono coinvolti processi
termoigrometrici (per esempio la capillarità).
GRANDEZZE CARATTERISTICHE DEGLI EDFICI
PONTI TERMICI
Qui in questo esempio dove non arriva l’isolante nel tetto come,
per esempio, nella falda del tetto o nel solaio ci sono dei ponti
termici. Dalla parete l’isolante sale lasciando comunque una zona
libera li dove vi saranno dei ponti termici.
Per l’identificazione delle caratteristiche del ponte termico è stata introdotta una grandezza che prende il
nome di trasmittanza lineare:
Quantità misurata in Watt su metro per grado. Questo parametro si misura in metro in quanto si riferisce al
perimetro o al contorno dell’elemento non isolato o isolabile. Disponendo di questo parametro Kl la
potenza termica trasmessa sarà data dal prodotto:
con L misura dell’elemento che stiamo considerando. Questo valore di Kl si ricava da tabelle che
permettono di selezionare il tipo di ponte termico da calcolare.
Nasce dall’esigenza di misurare questa dispersione dei ponti termici attraverso la parete. Ognuno di questi
elementi dell’involucro edilizio possono essere conteggiati singolarmente e come attraversato in parallelo
dall’onda termica.
Vediamo il caso di una parete composta
di trasmittanza Km e il vetro con la sua
trasmittanza Kv. Poi abbiamo i ponti
termici attorno l’infisso con K1 e K2.
Attorno a questi elementi abbiamo un
flusso termico in transito che si muove
al seguito del gradiente di temperatura
Ti-Te. La potenza termica
complessivamente trasmessa da questa
parete composta è data dalla somma
dei prodotti di ciascuno di questi
elementi.
Nel caso di una parete interna che separa due ambienti abbiamo lo
stesso identico approccio al problema.
TRASMITTANZA EQUIVALENTE
Il flusso termico trasmesso lo possiamo dunque calcolare come nell’approccio precedente comprendendo i
ponti termici.
Possiamo caratterizzare ora la parete nel suo complesso con un valore di trasmittanza equivalente che da
luogo ad una potenza termica trasmessa uguale alla potenza termica trasmessa dalla parete reale, ossia
composta dai vari elementi:
Se fossero trascurabili i ponti termici si potrebbe trascurare la seconda sommatoria posta al numeratore.
Tale valore numerico così calcolato è in grado di esprimere la caratteristica della parete composita dal
punto di vista della trasmissione del calore. Per cui poi disponendo di questo dato è possibile calcolare sia la
potenza termica trasmessa che il flusso pari a:
Quella esaminata fino ad ora è la classica parete stratificata con una resistenza termica convettiva interna
ed esterna. Possiamo descrivere il processo di scambio termico con una rappresentazione tipica della rete
termica equivalente. Per cui possiamo rappresentare le resistenze di tipo termico come le resistenze
elettriche. È come se ci fosse un flusso termico perfettamente equivalente a quello termico che parte dal
nodo I e giunge al nodo E promosso da una differenza di potenziale termico. Questo potenziale termico è
associato alla differenza di temperatura. Questa onda termica attraversa la resistenza di tipo convettivo
pari a:
Affronta anche la resistenza che c’è tra i due nodi dalla serie degli strati che vengono attraversati a loro
volta in serie. La somma delle resistenze è pari alla resistenza totale che siamo abituati a vedere nella
formula esplicita della trasmittanza:
Ecco un'altra
esemplificazione
dell’utilità di questo
approccio. La parete è
fatta da una pila di
mattoni separati da uno
spessore di malta.
Ognuno di questi
elementi può avere una
resistenza termica
diversa. Le resistenze
dei mattoni sono R1 e
R3 mentre quella della malta è R2. Fermo restando che sulle facce estreme vi siano delle resistenze
convettive. Nella parte superiore della figura 4 abbiamo i nodi estremi I ed E. Il flusso termico quando si
muove da sinistra a destra affronta prima la resistenza convettiva Ri. È chiaro che questo flusso termico si
dirama in tre direzioni; un’aliquota si muoverà lungo R1, una seconda lungo R2 e una terza lungo R3.
Queste tre resistenze non sono in serie ma in parallelo in quanto vengono attraversate simultaneamente
dal flusso termico per poi ritrovarsi congiunte sulla faccia opposta della parete corrispondente al nodo B.
L’ultima resistenza da affrontare è quella convettiva dal lato esterno Re per poi concludere nel nodo
esterno.
Le resistenze R1, R2 ed R3 sono delle resistenze in parallelo di cui posso calcolare la resistenza equivalente
Rab. La somma delle resistenze in serie Ri,Rab ed Re da luogo alla resistenza totale Rtot. La resistenza
equivalente, la trasmittanza equivalente saranno pari a:
In aggiunta alla situazione precedente abbiamo un ulteriore strato R4 facendo conto che R1, R2 e R3 siano
file di mattoni. R4 supponiamo sia strato di isolante. Alla rappresentazione precedente bisogna giungere un
ulteriore elemento di resistenza termica.
RICAMBI ORARI
Per ricambio orario intendiamo la portata d’aria di ventilazione per unità di volume ambiente, ossia i metri
cubi ora d’aria da immettere in ambiente al fine di diluire con aria di rinnovo i microinquinanti ambientali
che si manifestano in ambiente per via della presenza delle persone e delle emissioni gassose dei materiali.
Al fine di diluire e riportare entro limiti fisiologici la concentrazione di questi microinquinanti bisogna
ventilare il locale utilizzando aria esterna onde garantire il ricambio fisiologico. Questa portata d’aria di
rinnovo quando vengono rapportati ai metri cubi ambiente nasce un parametro ricambio orario:
Le cui unità di misura sono 1/h. Al numeratore sono metri cubi di aria mentre al denominatore vi sono i
metri cubi dello spazio fisico racchiuso dall’ambiente.
Questa ventilazione per ricambio d’aria ha un suo costo energetico perché l’aria all’interno ha un valore
entalpico proprio come l’aria all’esterno. È chiara come la potenza termica costituisce il costo energetico
delle esigenze fisiologiche della ventilazione. Vale sul principio di conservazione delle energie:
Avendo una portata massica in funzione della portata volumetrica come passaggio successivo dovremmo
anche scrivere la densità dell’aria. Moltiplicando e dividendo per il volume ambiente si viene a creare il
fattore di ricambio orario “n”.
Nel caso invernale la formulazione esplicita del costo energetico della ventilazione potendosi trascurare i
contributi associati alla variazione di titolo resta solo il termine di temperatura:
Nel caso estivo questo contributo della parte latente non è trascurabile ed è il caso di mantenere
l’espressione generale:
Sono dei parametri molto sintetici circa la responsabilità del costituirsi del carico termico:
Il Cd ha a che fare con le perdite per trasmissione del calore attraverso l’involucro edilizio. Questa potenza
termica viene rapportata al volume ambiente e al salto di temperatura interno ed esterno:
Bisogna attribuire le dispersioni per trasmissione alle pareti esterne, alle pareti interne e poi agli infissi (i
ponti termici).
Il termine Cv ha a che fare con le perdite termiche per ventilazione e riguardo il costo energetico relativo
alla ventilazione dei locali:
Fissato il valore del ricambio orario “n” il termine Cv tende ad assumere il valore di una costante.
Per caratterizzare gli impianti a combustibile fossile sono stati contemplati i seguenti parametri:
Il rendimento di produzione del calore coincide con il rendimento vero e proprio di caldaia.
Il rendimento di distribuzione è un parametro che ha a che fare con la rete di distribuzione del calore quindi
i condotti che convogliano l’acqua calda fino agli elementi terminali di impianto. Strada facendo questi
condotti disperdono una parte della potenza termica in ingresso per via di cattivo isolamento delle
tubazioni.
Il rendimento di regolazione si rifà alle centraline di regolazione che servono a modulare la erogazione di
potenza termica all’utente. I dispositivi di regolazione devono intervenire per adeguare istantaneamente la
potenza erogata per l’effettivo fabbisogno. I dispositivi di regolazione hanno i loro limiti per cui non si riesce
a modulare in maniere accurata l’erogazione di potenza termica, dunque vi sono delle perdite.
Il rendimento globale di impianto è dato dal prodotto di questi rendimenti perché sono tutti dispositivi che
intervengono in cascata sulla potenza termica.
Per far fronte al fabbisogno di energia termica negli edifici si usano caldaie, pompe di calore etc… Queste
caldaie non possono essere scelte liberamente nel mercato ma bisogna considerare solo quelle che hanno
un rendimento globale di impianto tale da garantire il rispetto di certe soglie imposte dalla legge come la
seguente:
dove Pn è la potenza nominale della caldaia espressa in Kilowatt. Per pompe di calore il vincolo è dato in
termini di rapporto di energia primaria REP secondo la seguente relazione al fine di adeguarsi alle migliori
tecnologie presenti sul mercato:
CONSUMI ENERGETICI E IMPATTO AMBIENTALE
Se disponiamo del rendimento globale di impianto l’Energia Primaria EP la posso calcolare come segue:
L’impianto di riscaldamento viene poi utilizzato nell’arco dell’intera stagione in un periodo di tot giorni che
dipende dalla località e dalla zona climatica. Quanto vale il consumo di energia primaria nell’intero arco
stagionale? Basta semplicemente calcolare l’integrale di EP nel tempo nel periodo P di riscaldamento:
Per definizione l’integrale al secondo passaggio esprime i Gradi Giorno, parametro atto a caratterizzare la
severità del clima locale di un dato territorio. La relazione lega l’energia primaria consumata nell’intero arco
stagionale con i parametri significativi quali il volume e i gradi giorno e il Cg.
Il nostro scopo è quello di confrontare edifici tra loro dal punto di vista di consumi energetici. Un edificio
sito a Catania consumerebbe molto meno rispetto ad un comune montano per via delle condizioni
climatiche. Questo parametro dipende ancora dalle condizioni climatiche e non ha nulla a che fare con
l’edificio in sé.
Per confrontare bene due edifici io devo poter prescindere dagli effetti indotti dal clima locale solo allora
posso pensare ad un confronto fatto indipendentemente dalla collocazione geografica dell’edificio avendo
un parametro che ha a che fare con la costituzione fisica dell’edificio. Possiamo determinare un indice che
risponde al requisito relativo alle caratteristiche dell’edificio.
Questo parametro è il Fabbisogno Energetico Normalizzato o FEN che si ottiene dividendo l’energia
primaria EP per il volume riscaldato e i Gradi Giorno GG:
Possiamo calcolare la massa di CO2 per unità di potenza termica installata e prende il nome di Indice di
inquinamento ambientale e si ottiene dividendo e moltiplicando per l’Energia primaria EP:
Nel caso specifico degli impianti a caldaia il REP può essere sostituito dal rendimento globale.
Tale grandezza ha a che fare con la forma dell’edificio. Per superficie dobbiamo considerare la superficie
disperdente e come volume il volume riscaldato, rappresentante le dimensioni dell’edificio stesso:
Questo parametro ha relazione con i consumi energetici. A parità di volume riscaldato consuma di più un
edificio che ha una superficie disperdente maggiore. Questo rapporto non può non rientrare tra i parametri
che caratterizzano le prestazioni energetiche dell’edificio.
Il solido geometrico che ha la minima superficie disperdente per volume riscaldato è la sfera. Quindi
idealmente l’edificio che ha la minima dispersione termica dovrebbe essere di tipo sferico, cosa
naturalmente improponibile di tipo esecutivo. Vi sono però esempi di architettura spontanea che
prescindono dalla conoscenza della geometria euclidea quale ad esempio l’igloo, usato da abitanti di zone
polari perché si adatta nel modo possibile per minimizzare le dispersioni termiche.
Alcuni esempi di architettura moderna contraddicono questo principio mediante l’uso di volumi sfalsati. Le
ampie superfici a contatto con l’aria sono premessa per pessime caratteristiche energetiche di questi
edifici.
È un parametro che ha a che fare con la dimensione dinamica dell’edificio, in quanto vive in una
dimensione temporale. Le sue risposte termiche alle forzanti termiche sia esterne che interne all’edificio
stesso sono collocate in una dimensione temporale, dunque, questi fattori andrebbero studiati in base ad
una costante di tempo che tiene conto del comportamento dinamico dell’edificio. Tuttavia, questa costante
viene richiamata anche nei modelli statici.
Andiamo a considerare una situazione semplice, quella del transitorio a cui va incontro un oggetto di
piccole dimensioni che inizialmente ha temperatura assegnata T0 e successivamente viene immerso in un
fluido a temperatura diversa. È chiaro che esso andrà incontro ad un transitorio termico che ha un profilo di
temperatura nel tempo che ci proponiamo di determinare. Conviene precisare allora alcune ipotesi a tal
riguardo. Supponiamo che le dimensioni dell’oggetto siano sufficientemente piccole da poterne
considerare la temperatura in un punto come quella che si avrebbe in tutti i punti del corpo senza
distribuzione spaziale di temperatura. Supponiamo che del corpo si conosca massa e superficie attraverso
cui esso scambia calore col fluido circostante attraverso un meccanismo convettivo di cui conosciamo il
coefficiente di adduzione h. Conosciamo anche il suo Calore Specifico. Supponiamo infine che il corpo
venga immerso in un fluido a temperatura più bassa e che dunque il corpo è soggetto ad un processo di
raffreddamento. Dobbiamo dimostrare l’equazione di bilancio energetico tra il corpo e il fluido in ottica di
regime dinamico.
Vediamo come in regime stazionario vige il principio di conservazione dell’energia. Noi ci limiteremo a
considerare solo la forma termica dell’energia in termini di calore trasmesso o scambiato. In regime
transitorio questa differenza di calore è diversa da zero ed il valore è pari a quella che si accumula
nell’intervallo di tempo considerato all’interno del volume di controllo che andrà a modificare l’energia
interna del sistema stesso. Considerando la definizione del calore specifico a pressione costante possiamo
scrivere la U come il prodotto tra massa e Calore Specifico che essendo costanti possono essere portati
fuori dal segno di differenziale. Il primo membro relativo tra flusso entrante ed uscente del sistema può
essere inteso come una sommatoria di termini da prendere con segno diverso in base al fatto se il flusso è
entrante o uscente. Fatte queste precisazioni l’equazione che ne discende è la seguente:
si tratta di un’espressione esponenziale con andamento della temperatura del corpo che segue il profilo di
esponenziale decrescente, che però non può mai scendere al di sotto della temperatura Tf. L’esponente
della e è pari a:
Il valore al denominatore pari a 1/hA rappresenta la resistenza di tipo convettivo che l’onda termica deve
affrontare per passare dal corpo al fluido. Mentre il prodotto mc è la capacità termica del corpo (la capacità
che ha il corpo di accumulare e rilasciare calore). Questo prodotto si presenta come l’inverso di un prodotto
resistenza R e capacità C. La quantità RC la possiamo simboleggiare come segue e l’equazione precedente la
possiamo scrivere come:
Per 𝜏 = 𝜏 abbiamo che − = −1 𝑑𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑎𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑒 𝑐ℎ𝑒 è 𝑢𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 ottenendo così:
Tale costante può essere anche rappresentata come il rapporto tra la Capacità termica e la trasmittanza H.
La capacità termica è caratterizzata da tutti i materiali di cui è composto l’edificio con le sue pareti
multistrato:
Tale capacità termica sarà data dalla somma dei valori di densità, calore specifico e spessore che si trovano
in tabelle e moltiplicata per la superficie. La trasmittanza generalizzata H è data dalla somma delle perdite
per trasmissione Ht e perdite per ventilazione Hv. Il valore n indica il numero di ricambi orari.
La costante di tempo dell’edificio è una sua caratteristica termofisica e ci proietta nella dimensione
dinamica dell’edificio e viene utilizzato pur essendo un parametro dinamico viene utilizzato nel modello di
calcolo dei carichi termici allo stato stazionario essendo un parametro che consente di effettuare calcoli un
po' più precisi.
Commentando il seguente bilancio termico abbiamo sottolineato che vi siano due blocchi di termini: il
primo rappresenta le perdite termiche mentre il secondo rappresenta i carichi endogeni ossia i guadagni
termici che bilanciano e compensano le stesse perdite.
Noi vorremmo che il calore endogeno fosse il più alto possibile, addirittura che i guadagni pareggiassero in
entità le perdite, in modo tale da avere degli edifici che non abbiano bisogno di apporto energetico esterno
mediante impianti di climatizzazione, realizzando il massimo risparmio energetico. Nella realtà questo
guadagno compensa solo in parte quelle che sono le perdite. Però rimane ancora da chiedersi se i guadagni
riesco a sfruttarli pienamente all’interno dell’edificio come calcolati sulla base della relazione.
Può succedere che nell’arco della giornata che in alcuni
periodi i guadagni possano superare le perdite. Nel
diagramma possiamo vedere l’andamento nel tempo i
guadagni e le dispersioni. Le perdite termiche vanno
declinando nelle ore centrali del giorno fino a raggiungere
valori minimi. In queste stesse ore in cui le perdite sono
minime i guadagni potrebbero risultare massimi. Le pareti e i
solai restituiscono con ritardo la radiazione solare che era
entrata nelle ore precedenti. Può veramente capitare che
dunque in alcuni periodi i guadagni superino le perdite e può
capitare che questi non vengano utilizzati (come, ad esempio,
quando apro le finestre per ventilare i locali). Non sempre
tutto il calore gratuito viene sempre utilizzato per attenuare le perdite. Per andare a calcolare il rapporto
tra dispersioni e apporti gratuiti bisogna utilizzare codici di calcolo che simulino il transitorio dell’ambiente,
dunque, delle simulazioni con i modelli dinamici dell’edificio. Ricavare da queste simulazioni questi dati che
permettono di quantificare questi effetti in termini di coefficiente o fattore di utilizzazione degli apporti
gratuiti 𝑛 , .
Questo rapporto esprime quanta parte degli apporti gratuiti nelle condizioni operative posso
effettivamente utilizzare. Utilizzando il fattore di utilizzazione degli apporti gratuiti la formula descritta
all’inizio di questo capitolo può essere rappresentata anche nella forma che segue:
Analogamente si può pensare di determinare il fattore di utilizzazione delle perdite termiche che invece
vengono in aiuto al carico termico nel caso estivo. Le perdite termiche tendono ad attenuare il carico
termico dell’edificio e anche in questo caso non riusciamo ad utilizzarle pienamente ma solo una quota
parte espressa dal seguente fattore di utilizzazione:
Anche nel caso estivo questo fattore di utilizzazione delle perdite termiche si può calcolare con apposito
diagramma mediante approccio concettuale totalmente analogo al precedente descritto.