Sei sulla pagina 1di 358

Lezione 06 ottobre 2020

CAPITOLO 0

UNITÀ DI MISURA
La conoscenza scientifica si fonda sulla misura delle grandezze fisiche. Misurare una grandezza
significa esprimere il rapporto tra entità di una proprietà dell’elemento in esame (per es. la
lunghezza, il peso) e l’entità di un’analoga proprietà di un elemento preso come riferimento.
La scelta dei campioni metrici deve rispondere ai seguenti 4 requisiti, anche se sono tutti
riconducibili alla seconda, in quanto una misura è corretta se credibile e riproducibile (operando
nelle stesse condizioni in cui abbiamo operato noi, un secondo operatore deve trovare gli stessi
numeri):
- Precisione
- Riproducibilità
- Accessibilità
- Invariabilità

GRANDEZZE FONDAMENTALI E SISTEMI DI UNITÀ DI MISURA


FATTORI DI CONVERSIONE

MISURA DELLA TEMPERATURA


Utilizzeremo i gradi centigradi, °C e Kelvin, K, ma come unità di misura finale ci affidiamo ai gradi
Kelvin tramite la relazione:
T(K) = t (°C) + 273.15
- Nelle differenze di temperatura abbiamo che: T1 – T2 = t1 – t2
- Nelle differenze di temperatura con potenze maggiori del 2 (le incontreremo nel capitolo
dell’irraggiamento) abbiamo che: T1^4 – T2^4 ≠ t1^4 – t2^4
- Nei rapporti di temperatura abbiamo che: T1\T2 ≠ t1\t2; Questo perché il 273.15 è un
fattore additivo e non moltiplicativo.
MISURA DELLA PRESSIONE
- Nel Sistema Internazionale l’unità di misura è il Pascal: 1Pa = 1 N\m^2
- Nel Sistema Tecnico l’unità di misura è l’Atmosfera tecnica: 1at = 1kgf \ cm^2
(kgforza = mg); 1at = 1kgf \ cm^2 = 1 (9.81 N\10^-4 m^2) =9.81 x 10^4 Pa .
- Nel gergo impiantistico (SI) altra unità di misura
utilizzata è il metro di colonna d’acqua, ovvero il
peso per m^2 esercitato alla base di una colonna
d’acqua alta ∆z = 1m. Essa ha un peso proprio,
pertanto dividendo la sua forza peso F per la base
d’appoggio A otteniamo la pressione.
F = mg = ϱ V g = ϱ A∆z g;
p = F\A = ϱ A∆z g  Pressione in funzione di ∆z della
colonna d’acqua  ϱ = densità dell’acqua.
1m c.d.a. = 9.81 kPa 1mm c.d.a. = 9.81 Pa

PRESSIONE RELATIVA E PRESSIONE ASSOLUTA


- Pressione relativa: è la pressione misurata dallo strumento (manometro) che indica la p in
quel dato dispositivo in relazione alla p atmosferica. Dunque è la p relativa al sito in cui ci
troviamo durante la misurazione. Questo perché su ogni sito della terra grava la colonna
d’aria dei gas atmosferici la quale rappresenta la pressione atmosferica.
- Se voglio risalire dalla Pressione relativa alla Pressione assoluta: devo sommare alla p
relativa quella che è presente in quel sito e che dipende dai gas atmosferici che gravano su
quel punto.
Pass = Prel + Patm (del sito)
- Pressione atmosferica di riferimento: a livello del mare (dove la colonna d’aria è uguale in
ogni sito del pianta), in condizioni di ciel sereno.
P0 = 1.013 bar = 1013 mbar = 1013 hPa

PRESSIONE ATMOSFERICA E METEOROLOGIA


- Al di sopra dei 1013 mbar alta pressione bel tempo;
- Al di sotto dei 1013 mbar bassa pressione brutto tempo: questo perché la forza che
muove i fluidi in natura è la differenza di pressione. Nelle zone di bassa p, i corpi nuvolosi
tendono a muoversi nella direzione dei fluidi, verso la terra e a minore pressione;
- La pressione atmosferica e assoluta si misurano in bar con il barometro.

NB:
- La grandezza fisica che muove i flussi elettrici (elettroni) è la differenza di potenziale
elettrico nel verso del gradiente negativo dei potenziali elettrici (dal più alto al più basso).
- La grandezza fisica che determina un passaggio di calore è la differenza di
temperatura. Il flusso del calore si muove nel verso del gradiente negativo della
temperatura.
CAPITOLO 1

PRIMO PRINCIPIO E APPLICAZIONI

COORDINATE TERMODINAMICHE
Le coordinate per un sistema di equilibrio termodinamico sono le variabili: T, p, v (volume
specifico, nonché volume per unità di massa: m^3\kg).
- Sono grandezze direttamente misurabili con i relativi strumenti di misura;
- L’equazione o funzione di stato, se esiste, è il legame fra le 3 coordinate, del tipo:
f (T, p, v) = 0
- La funzione di stato più semplice è la legge dei gas (Boyle-Mariotte) che rappresenta il
legame matematico fra le 3 variabili:
pv – RT = 0
- Le funzioni di stato permettono la scrittura sintetica delle leggi della fisica e sono:
1. Energia interna U
2. Entropia S
3. Entalpia H grandezza fisica di cui gli ingegneri si servono maggiormente.
4. Potenziale di Gibbs G
5. Potenziale di Helmotz F

- Esse godono delle proprietà fondamentali:


1- L’integrale di linea di dx (generica funzione di stato di x) non dipende dal percorso, ma dagli
𝟐
stati iniziale e finale: ∫𝟏 𝒅𝒙 = 𝑿𝟐 − 𝑿𝟏; l’integrale ciclico della funzione di stato è nullo,
perché avendo un processo ciclico, qualunque punto 1 scelgo, il punto 2 a fine giro
coinciderà con 1: Ф dX = 0.
2- Proprietà additiva: se ho un sistema e lo scompongo nella somma di sottosistemi, posso
fare lo stesso con le rispettive funzioni di stato: X = Xa + Xb.
3- Il calore Q ed il lavoro L non sono funzioni di stato, dunque dipendono anche dal tipo di
𝟐 𝟐 𝟐 𝟐
processo oltre che dagli stati iniziali e finali: ∫𝟏,𝒂 𝒅𝑳 ≠ ∫𝟏,𝒃 𝒅𝑳; ∫𝟏,𝒂 𝒅𝑸 ≠ ∫𝟏,𝒃 𝒅𝑸

CLASSIFICAZIONE DEI SISTEMI


VOLUME DI CONTROLLO (VC): porzione di spazio delimitata da una superficie ideale che include
il sistema da studiare e lo distingue dall’ambiente esterno. Su di esso individuiamo i flussi di
energia e massa osservabili in transito per particolarizzare le equazioni di bilancio.
SISTEMI APERTI: Scambiano con l’esterno
massa ed energia. I punti 1, 2 e 3 sono tutte e
sole le grandezze osservabili sul VC di cui potrò
scrivere le equazioni del comportamento fisico
del sistema, nonché la traduzione matematica
delle leggi di conservazione della massa,
quantità di moto, momento della quantità di
moto, corrente elettrica, ecc.
ESEMPI:
1. POMPE pressurizzano un liquido. La pompa è fatta da un albero (che ha bisogno di
lavoro meccanico per produrre il moto di un fluido) mantenuto in rotazione da un motore
elettrico che converte l’energia elettrica in meccanica riconosciuta nella rotazione
dell’albero stesso in cui vi sono le pale. Quando l’H2O si trova coinvolta in queste pale che
ruotano vorticosamente, essa viene spinta essendo, così, capace di percorrere circuiti e
quant’altro.
2. COMPRESSORE pressurizza un aeriforme.
3. TURBINE funzionano al contrario rispetto le pompe, in quanto al passaggio del fluido
esse producono lavoro meccanico. Nella turbina idraulica c’è la condotta forzata che
convoglia l’H2O in corrispondenza del rotore della turbina, il liquido colpisce le pale che
entrano in rotazione e trascinano in rotazione anche l’albero su cui sono calettate. La
turbina è un dispositivo capace di produrre lavoro meccanico che riconosco nella rotazione
dell’albero e che posso sfruttare in tanti modi (alzare pesi, produrre elettricità, ecc.)
4. CALDAIA scambia calore con l’esterno perché la sua temperatura è maggiore di quella
dell’aria; dunque essendoci una differenza di T, c’è passaggio si calore. Inoltre vi è transito
di massa: entra acqua fredda di ritorno dal variatore ed esce acqua calda. Vi è anche
transito di combustibile e comburente (aria) che escono sotto forma di trasformazione
chimica dei gas originari (ovvero sotto forma di fumi).
CARATTERISTICHE DEI SISTEMI (ATTRAVERSO IL VC)
La descrizione fisico-matematica di un sistema consiste nella scrittura di relazioni che:
- Interpretano le leggi generali della fisica (conservazione di massa, energia, ecc.)
- Si stabiliscono correlando tutte e sole le entità misurabili sul VC.
Ecco perché la scelta del VC è fondamentale ai fini della descrizione del sistema e va fatta in
modo da rendere matematicamente definite le incognite.

Consideriamo degli esempi:


ALTRI ESEMPI
SCAMBIATORI DI CALORE dispositivo transitato da due fluidi a temperatura diversa che
scambiano calore l’un l’altro (uno riceve, l’altro acquista). Lo scambio termico fra i due fluidi a
diversa temperatura avviene attraverso la parete metallica diatermica (superficie permeabile dal
calore che racchiude un sistema termodinamico in equilibrio) del condotto metallico.
Si tratta di un sistema aperto descrivibile dalla relazione
funzionale delle grandezze che entrano in gioco, del tipo:
f (Qe, m1, m2, X1i, X1u, X21, X2u) = 0
- Le portate m1 ed m2 entrano ed escono in diverse
condizioni fisiche;
- Qe è il calore che sfugge dallo scambiatore,
ovvero il calore che sfugge al fluido caldo; ma se
lo scambiatore fosse adiabatico verso l’esterno
(impenetrabile e ben isolato) non si avrebbe
perdita di calore ed il Qe sarebbe nullo: Qe = 0;

Però, essendo per noi interessante il flusso termico che i due fluidi si scambiano, cambiamo il
VC:
In questo caso abbiamo sempre un sistema aperto
descrivibile dalla relazione funzionale delle grandezze
fisiche in gioco, del tipo:
f (Q12, m1, X1i, X1u) = 0
Risulta banale che in uno scambiatore di calore il Q12
sia diversamente nullo, altrimenti non ci sarebbe
scambio di calore fra i due fluidi.
Come notiamo dal VC risulta visibile il flusso termico
che il fluido 1 scambia con il 2 questo ci fa capire
che cambiando il VC, cambia il punto di vista e di
analisi.

TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELLA MASSA ed equazione di continuità


- La massecola
entra ed esce dal
sistema.
- La massa totale
si conserva
laddove non ci
siano state
estrazioni e\o
immissioni di
massa attraverso
il VC, allora:
∆mi + mvc (𝜏) = ∆mu + mvc (𝜏 +∆ 𝜏)
- Riordinando, dividendo per l’intervallo temporale ∆ 𝜏 e passando al limite per ∆ 𝜏  0
otteniamo la formulazione analitica del teorema:
dmvc\d 𝝉 = ṁi - ṁu
- In condizioni stazionarie con un solo deflusso, la massa all’ingresso è la stessa di quella
in uscita:
dmvc\d 𝜏 = 0; ṁ1 = ṁu = ṁ la massa non si crea, né si distrugge.
Come riesco a capire quanta massa ṁ entra? Ci servono dei parametri: \---- dx-----\
1. Sezione S (diametro) del tubo in cui ṁ entra; w
2. Velocità w della massa in transito;
3. Parametro X termo-fisico della sostanza. S

- dm= ϱ dV = ϱ S dx (massa elementare = densità x volume elementare = ϱ S dx)


- Per trovare le portate divido per d 𝜏:
dm\d 𝜏 = ϱ S dx\d 𝝉

 ṁ = ϱ S w  equazione di continuità: lega le grandezze caratteristiche del sistema.

Può capitare che entrano 2 masse e ne escono 3 o viceversa in questo caso le masse si sono
fuse\divise. Come generalizzo la scrittura?

Detta gi un’eventuale produzione di massa generata all’interno del VC, si può dare la seguente
espressione
generale:

gi˙ rappresenta
eventuali sostanze
formate a seguito di una trasformazione chimica all’interno del VC. A volte possiamo considerare
questo termine superfluo se ha origine nella ∑mi ed integrarlo ad essa.

LAVORO NEI SISTEMI CHIUSI


Per esplicitare il lavoro scambiato tra un sistema chiuso e l’ambiente circostante, in funzione delle
coordinate termodinamiche del sistema, prendiamo in esame il caso di un gas confinato tra cilindro
e pistone.
- Il peso del pistone G è equilibrato dalla
pressione p che il gas esercita su di esso
attraverso la sezione A G = pA;
- Le due forze: G (Fp) e la reazione dal basso
verso l’alto della p si compensano ed il
sistema si mantiene in equilibrio.
- Se il pistone percorre lo spazio dx senza
attriti o effetti dissipativi, si genera il lavoro
reversibile, in cui: dx è lo spostamento
infinitesimo; dV è il volume elementare in
m^3; m è costante, perché si conserva,
dunque si tira fuori dal differenziale; v è il volume specifico dato dal rapporto fra V ed m
(m^3\kg). Allora:
dL = Fdx = pAdx = pdV = pd(mv) = mpdv
- Il lavoro per unità di massa (ottenuto dividendo per m) coincide con il lavoro specifico:
dlrev = dL\m = pdv (J\kg)

 In termini finiti:
𝟐
lrev = ∫𝟏, 𝒑𝒅𝒗

Questa quantità rappresenta il lavoro


reversibile per i sistemi chiusi, ma questo
avviene solo quando il processo è
reversibile (quasi mai), ovvero in una
condizione ideale in cui conosco solo il
punto iniziale e finale del processo e non ciò
che succede passando attraverso una
successione di stati di equilibrio.
In effetti, questi ultimi sono caratterizzati dai
seguenti principi:
1. Permangono indefinitamente nel tempo finché non intervengono forze esterne;
2. In ogni punto del sistema si misurano gli stessi valori di T, p, v;
3. Il passaggio da uno stato di equilibrio all’altro avviene senza effetti dissipativi (è
infinitamente lento);
4. Un processo che evolve secondo stati successivi di equilibrio è reversibile.

CASI NOTEVOLI: calcolo del lavoro reversibile per sistemi chiusi con gas ideali
- Legge dei gas ideali: pv = RT
2
- Processo isobaro: p = cost lrev = ∫1, 𝑝𝑑𝑣 = p (v2 – v1)
2
- Processo isocoro: v = cost lrev = ∫1, 𝑝𝑑𝑣 = 0. In questo caso per ottenere lavoro devo
ridurre il volume;
2 2 2
- Processo isotermo: T = cost (p=RT\v) lrev = ∫1, 𝑝𝑑𝑣 = ∫1, 𝑅𝑇\𝑣𝑑𝑣 = RT ∫1, 𝑑𝑣\𝑣 =
𝑹𝑻 𝐥𝐧 𝒗𝟐\𝒗𝟏
- Processo politropico: pv^n =cost ( p = (p1v1^n)\ v^n )
𝟐 𝟐 2
 lrev = ∫𝟏, 𝒑𝒅𝒗 = ∫𝟏 ((p1v1n )\ v n )dv = p1v1n ∫1, dv\v n = (p1v1n )\(n − 1) (1 +
− (p2\p1)n−1\n ) = (𝐑𝐓\𝐧 − 𝟏) (𝟏 − (𝐩𝟐\𝐩𝟏)𝐧−𝟏\𝐧
Notiamo che:
A parte i punti 1 e 2, estremi del processo con lavoro uguale, le espressioni del lavoro risultano
diverse per ogni processo. Ciò conferma che il lavoro dipende dal tipo di processo (isobaro,
isocoro, ecc.), dunque non è funzione di stato.
LAVORO PER SISTEMI APERTI
Analizziamo il caso più elementare di sistema aperto: il tubo di
flusso che interagisce con l’esterno, da cui si azionano le ventole
provocando, a loro volta, il movimento della massa; in questo modo
si ottiene lavoro meccanico l’.

- La massa fluida evolve tra la sezione di ingresso 1 e quella


di uscita 2 sulle quali si misurano rispettivamente le
pressioni p1, p2 e le superfici A1, A2.
- Per far entrare la massa all’interno del tubo serve del lavoro
di immissione, mentre per farla uscire dal VC vi è bisogno di
lavoro di estrusione.
- Il lavoro scambiato complessivamente tra il sistema e l’ambiente esterno vale:
l = l’+ le – li= l’ +∆l
In cui: l’ rappresenta il lavoro tecnico utile; le è il lavoro di estrusione ed li quello di immissione.
- Per esplicitare il ∆l consideriamo che le ed li rappresentano il lavoro svolto dalle forze di
pressione p1 e p2 sulle rispettive superfici A1 e A2:
∆L = F2x2 – F1x1 = ∆ (Fx) = ∆ (pAx) = ∆ (pV)
- Se la massa si conserva si ottiene il lavoro reale per sistemi aperti, ma si noti che questo
non è il lavoro reversibile, bensì il lavoro reale complessivamente scambiato fra il sistema
aperto e l’esterno:
∆ (pmv) = m∆ (pv) ∆l = ∆L\m = ∆ (pv) l = l’ + ∆ (pv)

TEOREMA DI CONSERVAZIONE DELL’ENERGIA: Primo principio della termodinamica


Dalle esperienze di Joule volte a studiare la relazione fra calore Q e lavoro L a metà del ‘400,
scopre che:
Per sistemi chiusi la quantità Q – L dipende solo dagli estremi (stato fisico iniziale e finale del
sistema) delle trasformazioni del sistema. Ciò si può scrivere come: Q – L = E2 – E1 = ∆E
La quantità ∆E = E2 – E1 è l’energia totale del sistema e risulta dalla somma dei contributi di:
1. Energia interna ∆U (moto delle particelle riconducibile alla T all’aumentare di T, aumenta
U);
2. Energia cinetica ∆Ec (velocità delle masse);
3. Energia potenziale ∆Ep (legata alla differenza di quota);
∆E = ∆U + ∆Ec + ∆Ep
(Funzione di stato, perché differenziale esatto)

Dunque: Q – L = ∆U + ∆Ec + ∆Ep (J)

- Q ed L vanno intesi come calore e lavoro reali complessivamente scambiati fra sistema e
ambiente, ossia: singolarmente non sono funzioni di stato, ma lo è la loro differenza.
- Bisogna differenziare il Q ed L entrante ed uscente Q = ∑𝑘 𝑄𝑘; L = ∑𝑗 𝐿𝑗
- A ciascun termine Qk e Lj verrà attribuito un segno positivo o negativo secondo la seguente
convenzione:
𝑄𝑘 > 0 → 𝑠𝑒 è 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 𝐿𝑗 < 0 → 𝑠𝑒 è 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒
{ {
𝑄𝑘 < 0 → 𝑠𝑒 è 𝑢𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒 𝐿𝑗 > 0 → 𝑠𝑒 è 𝑢𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒
- Equazione del primo principio per sistemi chiusi espressa per unità di massa:
∆w2
q – l = ∆u + g∆z + (J\kg) (1)
2

Per sistemi aperti vale: l = l’ + ∆(pv) l’ = l - ∆(pv)  dunque la (1) diventa:


∆w2
q – l’ = ∆u + ∆(pv) + g∆z + (J\kg) (2)
2

In definitiva, dato che la quantità ∆u + ∆(pv) = ∆h esprime l’Entalpia, l’espressione


esplicitata del primo principio per sistemi aperti diventa:
∆𝐰 𝟐
q – l’ = ∆h + g∆z + (J\kg)
𝟐

OSSERVAZIONI DULLE ESPRESSIONI DEL PRIMO PRINCIPIO PER SISTEMI


APERTI E CHIUSI

- L’energia interna ∆U è tipica dei sistemi chiusi, mentre l’entalpia ∆H è tipica dei sistemi
aperti.
- Le espressioni del primo principio (per sistemi chiusi e aperti) valgono in generale, quindi
anche per sistemi reali irreversibili.
- In nessuna delle due espressioni figura il termine che esplicita le irreversibilità del sistema
(attrito, effetti dissipativi, ecc.). Questi effetti vanno pensati inclusi nel termine Q, perché la
manifestazione sensibile degli attriti è il calore.
- L’energia interna U e l’entalpia H sono funzioni di stato e dunque definite a meno di una
costante arbitraria; in particolare all’entalpia H (∆h = h – h0) si attribuisce il valore zero
(h0=0) nelle seguenti condizioni:

ESPRESSIONE OPERATIVA DEL 1° PRINCIPIO PER SISTEMI APERTI


Abbiamo visto la formula per unità di massa, ma per poterla applicare da ingegneri dobbiamo
introdurre la portata ṁ.
Per un sistema attraversato da una portata ṁ di flusso, si ha:

In cui:
P= ṁ l’
Q˙
Possiamo assimilare l’energia meccanica a quella elettrica, perché numericamente cambia poco.
Per un sistema attraversato da 1, 2, 3…n deflussi, si ha l’equazione di energia per i sistemi
stazionari:
∆𝐰 𝟐
Q˙ - P = ∑𝒏𝒌=𝟏 ṁ𝒌 (∆𝐡 + 𝐠∆𝐳 + )𝒌
𝟐

∆𝐰 𝟐
In cui: ∆𝐡 rappresenta i termini entalpici; 𝐠∆𝐳 quelli gravimetrici e 𝟐
rappresenta i termini cinetici.

Se le correnti fluide si mantengono distinte le une dalle altre, ossia in assenza di mescolamenti o
separazioni, bisogna generalizzare con una nuova espressione del primo principio.

ESPRESSIONE GENERALIZZATA DEL PRIMO PRINCIPIO


Il primo principio si esprime nella forma: Q – L = E2 – E1  bilancio energetico
- Questa scrittura vale per sistemi chiusi
- La dimostrazione è analoga a quella del primo principio vista prima, solo che qui figura
l’energia totale negli stati iniziali e finali del sistema e non figura la massa al variare del
tempo.

Si considera allora un sistema all’istante 𝝉 + 𝒅𝝉 costituito da un VC e da una massecola


aggiuntiva, ∆m1, che all’istante 𝝉 si trova a ridosso della sezione di ingresso 1, cui competono tutte
le caratteristiche termiche e meccaniche del punto 1; all’istante 𝜏 + 𝑑𝜏 essa si trova a ridosso della
sezione di uscita 2 con le caratteristiche termiche e meccaniche di quel punto (∆m2). A questo
punto si può porre la seguente equazione nella forma:
Q – L= E (𝜏 + ∆𝜏) − E(𝜏)
L’energia totale assume all’istante iniziale e finale la forma:
w12
E(𝜏) = ∆m1 (u1 + p1v1 + gz1 + ) + Evc(𝜏)
2

w22
E (𝜏 + ∆𝜏) = ∆m2 (u2 + p2v2 + gz2 + ) + Evc (𝜏 + ∆𝜏)
2

Dunque:
w22 w12
Q – L = ∆m2 (u2 + p2v2 + gz2 + ) + Evc (𝜏 + ∆𝜏) - ∆m1 (u1 + p1v1 + gz1 + ) + Evc(𝜏)
2 2

- Dividendo per ∆𝝉 primo e secondo membro e passando al limite per ∆𝜏 → 0, si ottiene che :
wj2 wk2 dEvc
Q˙ - P = ∑𝑑𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑢𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑖 ṁ𝑗 (hj + gzj + 2
) − ∑𝑑𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑖 ṁ𝑘 (𝑘ℎ + 𝑔𝑧𝑘 +
2
)+
𝑑𝜏
𝐝𝐄𝐯𝐜
 Questo termine rappresenta l’energia che si accumula nel VC nell’intervallo di tempo.
𝒅𝝉

- Questa è l’espressione generalizzata del primo principio della termodinamica;


𝐝𝐄𝐯𝐜
- Se il sistema fosse stazionario: =0
𝒅𝝉
- Quando c’è corrispondenza fra i deflussi in ingresso e uscita (j = k) si ritrova l’equazione
precedente:
∆w2
Q˙ - P = ∑𝑛𝑘=1 ṁ𝑘 (∆h + g∆z + )𝑘
2

ESEMPI DI BILANCI ENERGETICI ALLA LUCE DEL 1° PRINCIPIO

1. STUFA ELETTRICA dispositivo il quale converte tutta l’energia elettrica in calore


(potenza termica).
- Una stufa da 1 kW termico consuma 1 kW elettrico.
- Qui non ci sono deflussi di fluidi quindi il secondo membro del 1° principio è nullo.

2. LAMPADA ELETTRICA anche qui non ho deflussi di fluido in transito.


- Lampade che assorbono 100 W elettrici emettono 100 W termici; dunque esse sono
dispositivi sia illuminanti che riscaldanti.

3. CORPO UMANO si comporta come una stufa che emette le kcal assunte in forma
alimentare sotto forma di calore.
BILANCI ENERGETICI DI UN LOCALE
- Bilancio energetico sull’ambiente: il calcolo della potenza termica del radiatore (Qimp) è
rimandato al
calcolo del calore
trasmesso
attraverso le pareti
(Qtr) all’involucro
edilizio.

- Bilancio energetico sul radiatore: qui abbiamo un unico deflusso, perché c’è una portata in
transito nel VC; dunque figura un termine nella sommatoria.

Trascurando i termini cinetici e gravimetrici scopriamo che il calore erogato dal radiatore è pari a:
-Q˙imp ≅ ṁ (h2 – h1)
Da questa relazione è possibile ricavare una serie di dati utili ai fini del dimensionamento del
sistema di riscaldamento, come la portata attraverso il radiatore. Dunque devo sapere la portata
che la caldaia riesce a sostenere stabilendo le sezioni dei tubi con le equazioni di continuità:
1) Portata ṁ = Q˙imp \ (h1 – h2) = Q˙tr \ (h1 – h2)
2) Equazioni di continuità Sezione: S = ṁ \ ϱw = π𝛟𝟐\4; Diametro: 𝛟 = √(𝟒ṁ\𝛑 𝛠𝐰
Lezione 07 ottobre 2020
CAPITOLO 1
CARICO TERMICO DI UN LOCALE
Caso esempio interessante che vede come oggetto d’indagine le problematiche di tipo energetico
relative all’edificio.
Si rappresenta l’ambiente fisico confinato di uno spazio costruito. Si evidenziano le icone: del
soggetto umano, del radiatore, della lampada e l’involucro edilizio, costituito dalla parte muraria e
quella vetrata.
Caso invernale
- Individuiamo i flussi di
energia e di massa che
attraversano il VC.
Vediamo le grandezze entranti:
In questo caso (invernale) il
radiatore eroga calore (Qimp);
le persone erogano calore
metabolico in ambiente, come
se fossimo sorgente termica
(Qint); i flussi termici indotti
dalle lampade riversano in
ambiente sotto forma di calore
tanta energia quanta ne assorbono dalla rete in forma elettrica per il principio di conservazione;
attraverso la parete muraria, a seguito della differenza di T (interna ed esterna), c’è un flusso
termico osservabile sul VC (Qtr). Mentre la parte vetrata, oltre ad essere attraversata dal Qtr, è
sede anche di un flusso termico entrante, dovuto alla radiazione solare (Qsol) e di un flusso di
massa (deflusso, mv) legato all’aria di infiltrazione secondo cui, tanta aria entra nelle condizioni in
cui si trova all’esterno (freccia “e”), tanta ne esce nelle condizioni in cui si trova all’interno (freccia
“i”).
- Stabiliamo il bilancio energetico esplicitiamo l’equazione del 1 principio rispetto al VC che
abbiamo fissato.
Espressione generale: Q- P = ṁ x (termini entalpici, gravimetrici e cinetici)
- A primo membro esplicitiamo il Q e il P: P è rappresentativo delle potenze meccanico –
elettriche, ma nel nostro caso non compaiono nel VC. Q è il calore complessivamente
scambiato fra il sistema e l’ambiente.
Riconosciamo le grandezze di tipo Q entranti nel sistema: il Qimp, il calore che il radiatore
deve erogare, il Qint (costituito dalle persone e le sorgenti luminose, elettrodomestici,
chiamato calore endogeno, perché si sviluppa all’interno) ed il Qsol.
La grandezza uscente è il Qtr, per il fatto che all’interno ci troviamo ad una T > Test (avendo
detto che il calore si trasmette nel verso del gradiente negativo della T, il calore passa dalla T
più alta a quella più bassa); dunque il Qtr è negativo.
- A secondo membro supponiamo di trascurare i termini gravimetrici e cinetici rispetto al
termine entalpico, ritenendolo il termine dominante che moltiplica l’unico deflusso, quello
dell’aria (mv), che esce nelle condizioni interne (hi) ed entra in quelle esterne (he).
Questo secondo membro, in cui figura il prodotto del salto entalpico e della portata d’aria che
entra (kilisecondo/kiliora), è rappresentativo di un altro contributo energetico che chiamiamo
calore di ventilazione, Qv. Sarà positivo perché hi > he.
Q˙imp + Q˙int + Q˙sol – Q˙tr = ṁv (hi – he) = Q˙v
- Riordiniamo questa equazione in modo tale che a primo membro figuri Qimp (carico
termico del locale: il calore che devo immettere, in inverno, o estrarre, in estate, dal locale
per mantenerlo in condizioni termico-metriche assegnate, per ora riconducibili solo alla T,
parametro più importante).
Q˙imp = Q˙tr + Q˙v – (Q˙int + Q˙sol)
Questa relazione ci dice che ci sono due blocchi di termini contrapposti (separati dal segno
meno, due positivi e due negativi). Il Q˙tr e il Q˙v identificano il calore disperso (in uscita),
mentre il Q˙int e il Q˙sol sono guadagni termici.
Ne deduco che il radiatore deve erogare tanta energia quanta ne è rappresentata dalla
differenza fra quello che esce e quello che entra (anche accidentalmente, come il calore
endogeno e i guadagni solari).

Conseguenza immediata del carico termico (nonché fabbisogno calorico dell’ambiente,


Q˙imp):
Io ingegnere, devo progettare un impianto che mi permetta il massimo risparmio energetico, a
minor prezzo. C’è modo, suggerito da questa equazione, che ci permette il nostro scopo? Sì, ai
fini del risparmio energetico, il nostro obiettivo è quello di ridurre al minimo (zero), tramite vari
interventi, il termine Q˙imp.
Nel caso invernale ho gioco facile, perché è sufficiente fare in modo che i guadagni
compensino le perdite, in modo che i due termini della sottrazione a secondo membro siano
equipollenti (uguali numericamente) e dunque il risultato finale sia zero o tendente a zero. Da
un lato dobbiamo minimizzare il Q˙tr e il Q˙v, confidando di ottenere il max possibile dai
contributi solari (gratuiti) utilizzando al meglio il calore endogeno (Q˙int).
Dunque, innanzitutto posso minimizzare il calore trasmesso dalla parete con l’isolamento
termico, coibentando le pareti, mentre il calore di ventilazione, legato alla diff di T, lo
minimizzo con infissi il più stagni possibile, in modo da portare a zero la portata di ventilazione
(d’aria), ṁv. Ma non posso rendere l’ambiente letteralmente stagno, perchè non ci sarebbe il
ricambio fisiologico dell’aria, oltre al fatto che il nostro corpo esala gas e vapori attraverso i pori
che hanno rilevanza olfattive o ancora, quando un ambiente sta chiuso per tanto tempo i
materiali interni emettono anch’essi gas e vapori dello stesso tipo. Quindi il termine ṁv non
può essere mai zero, ciò che possiamo ridurre, senza scendere al di sotto di certi limiti è la
portata di ventilazione, per rendere complessivamente minimo il Q˙v.
D’altra parte dobbiamo esaltare la Qsol entrante progettando a dovere le vetrate per averne
beneficio tutto l’anno, minimizzando i carichi termici del locale soprattutto in inverno.
Attenzione però che a fronte di questo beneficio ci sono delle contropartite: di giorno entrano i
raggi del sole, ma la sera a causa della diff di T, il calore si disperde molto più velocemente
verso l’esterno (4\5 volte in più rispetto la superficie muraria). Dunque possiamo intervenire
aumentando il calore endogeno, con persone, illuminazione (entro i limiti).
Caso estivo
L’organizzazione della stanza rimane
uguale, ma l’elemento terminale d’impianto
sarà un dispositivo raffrescante che deve
estrarre calore dall’ambiente interno. Il
calore endogeno è sempre entrante come la
radiazione solare. Dall’esterno c’è un flusso
termico con direzione opposta rispetto al
caso precedete; il calore è entrante, perché
all’esterno c’è una T > dell’interno.
- Esplicitiamo l’equazione del 1 principio:
in questo caso cambiano alcuni segni da attribuire ai flussi termici ed energetici. L’impianto è
negativo, perché deve estrarre calore, mentre il Q˙int, Q˙sol ed il Q˙tr sono positivi. Il termine di
ventilazione, Q˙v, a secondo membro è negativo, perché he>hi.
- Q˙imp + Q˙int + Q˙sol + Q˙tr = ṁv (hi – he) = - Q˙v

- Riordinando i termini troveremo la seguente equazione:


Q˙imp = Q˙tr + Q˙v + Q˙int + Q˙sol
Possiamo commentare il fatto che prima il Q˙imp era uguale a 2 blocchi contrapposti, adesso tutti i
termini hanno segno concorde. Dunque, rifacendoci al nostro scopo, per minimizzare il Q˙imp,
devo minimizzare i termini uno ad uno, ovvero: il calore trasmesso attraverso l’involucro, Qtr,
coibentando le pareti ed un infisso a doppio\triplo vetro; il Qv, entro i limiti di ricambio fisiologico; Il
Qsol, con delle schermature (tende, piante...) che intercettino la radiazione solare; il Qint,
minimizzando le illuminazioni e la presenza di persone.
Dunque è chiaro che i carichi termici estivi e i conseguenti consumi energetici sono maggiori
rispetto quelli invernali, soprattutto nelle zone calde.

SCAMBIATORI DI CALORE
Prima (lezione 06 ottobre) abbiamo annunciato il tipo di funzione che avremmo potuto scrivere
mettendo insieme gli elementi evidenti sul VC, adesso abbiamo la forma esplicita dell’eq. del 1
principio:
CASO 1: Il VC comprende tutto il corpo dello scambiatore descritto dal seguente sistema di 4
equazioni:
Qui c’è un solo deflusso
energetico scambiato con
l’esterno, vi è il termine delle
dispersioni termiche (termini
gravimetrici e cinetici) del
corpo dello scambiatore, ma
se questo è ben coibentato
possiamo trascurarlo e
considerarlo come fosse
adiabatico. Non ci sono
potenze meccaniche ed
elettriche (P=0).
Sono presenti 2 deflussi o portate del fluido primario, quello che percorre i tubi all’interno, e del
fluido secondario che li lambisce dall’esterno (n=2).
Rispetto a quanto detto l’espressione precedente diventa:
∑ ṁ𝒌 ∆h𝒌 = 0 => ṁ1(hu – hi)1 + ṁ2(hu-hi)2 = 0
Espressione matematica che lega i termini attraverso il 1 principio (diventerà una delle espressioni
costitutive per la descrizione termo-energetica di questo oggetto imprescindibile in ogni impianto).
Però con questo VC non vediamo un dato importante tramite il quale scelgo lo scambiatore più
adatto al mio impianto, la potenza termica (o taglia) dello scambiatore che si scambiano i due
fluidi. Questo perché il calore che si scambiano i due fluidi non ricorre sul VC scelto.

CASO 2: Qui compare il calore scambiato fra i due fluidi, il Q12. Il sistema del primo principio
diventa il seguente.
C’è solo un
deflusso (n=1);
trascuriamo al
solito i termini
gravimetrici e
cinetici rispetto al
termine entalpico
a secondo
membro, dunque
l’espressione
finale sarà:

Q˙12 = ṁ1(hu-hi)1
(A breve vedremo come verrà esplicitato questo salto entalpico)

CASO 3: un semplice tubo apparentemente non inserito in uno scambiatore si può analizzare in
questa chiave.
Questo è il caso dei
condotti che
convogliano acqua
fredda o calda agli
elementi terminali di
impianto di
climatizzazione. Questi
fluidi, caldi o freddi che
siano, trasmettono il
calore alla stanza.
Apparentemente non è uno scambiatore, ma ne è un caso elementare, secondo cui lo scambiatore
è rappresentato solo dal tubo che scambia con un altro fluido, ovvero l’aria.
Le equazioni e la conclusione saranno le stesse, solo che la T dell’ambiante circostante sarà
costante e non variabile come la T del fluido secondario che entra ad una T1 ed esce ad una T2.
LAMINAZIONE
Caso esempio.
Questo processo riguardo i fluidi si verifica tutte le volte che essi passano da una sezione stretta o
da un setto poroso, una valvola, tutti dispositivi che inducono effetti dissipativi (moti caotici delle
particelle, turbolenze…)

Il primo principio in questo caso ci dice che:


- Il processo avviene talmente rapidamente da ritenerlo adiabatico (senza scambio di calore
con l’esterno), non ci sono nemmeno scambi di lavoro per la mancanza di dispositivi
meccanici. (Q=0; P=0).
- Il deflusso è unico (n=1)
Dunque: primo membro è nullo; i termini
cinetici e gravimetrici possiamo ancora
trascurarli rispetto al termine entalpico. La
conclusione è che l’entalpia dello stato
iniziale è uguale a quella dello stato finale
di questo fluido. In effetti la laminazione
viene anche definita come processo ad
entalpia costante. Questa scrittura hi=hu
non ci dice nulla riguardo l’entalpia degli
stati intermedi di non equilibrio, ma solo di
quelli estremi.

Nei processi irreversibili, il tratto che collega lo stato iniziale


a quello finale lo segno con un tratto spezzato (difficilmente
osservabile scientificamente, infatti ci concentriamo solo
sugli stati estremi di un processo).

EQUAZIONE DI BERNOULLI
Commentiamo la formula finale.
- Con l si indica il lavoro per unità di massa (J\kg);
- Il vdp è un termine che vede un integrale in funzione
del volume e della pressione cui va soggetto il deflusso fra
ingresso e uscita in una data sezione, (vado a valutare la
variazione di volume fra ingresso e uscita in funzione della pressione);
- Il g∆z è il termine gravimetrico, energia potenziale e il ∆w^2\2 è il termine cinetico,
energia cinetica. I delta rappresentano una differenza algebrica (z1-z2; w^1-w^2).
- Lo Ψ rappresenta le irreversibilità e le perdite energetiche associate al deflusso in un
condotto, attribuibili al deflusso di un fluido che provoca delle turbolenze, (ad esempio
quando ogni particella urta con le altre attraverso urti elastici e anelastici; in questi ultimi
una certa dose di energia cinetica si converte in calore), sviluppando attrito. Quest’ultimo
si manifesta sensibilmente come calore, dunque l’energia meccanica (associata alla
velocità del fluido o al suo stato pressorio) si converte in piccole quantità di calore, il quale
le sottrae entità.
Dunque nel termine PSI comprendiamo tutti e soli gli effetti dissipativi, quelli che impediscono al
sistema, arrivato da un punto 1 ad un punto 2, di ripercorrere gli stessi processi al contrario.
Questo perché una parte dell’energia si è dissipata.
Esempi di processi irreversibili:
1. La combustione, perché una volta che il comburente reagisce col combustibile, produce
fumi non potendo più distinguere le due sostanze come all’origine della reazione.
2. La trasmissione del calore, perché il passaggio da una T più alta ad una più bassa avviene
spontaneamente ed indietro spontaneamente non può tornare. L’energia meccanica, una
volta dissipata in calore per effetto dell’attrito, il calore non si riconvertirà mai nuovamente
in essa Perdita irrecuperabile.
3. I fenomeni di isteresi, ovvero quando una struttura elastica supera certe soglie di
deformazione e sconfina nel campo plastico, non può tornare nella sua conformazione
iniziale.
Ritornando all’equazione di Bernoulli, se la somma di questi termini non fosse stata zero, sarebbe
stato irrilevante ai fini della comprensione di questa equazione, perché sarebbero stati comunque
costanti. Cioè, la somma di questi termini quando un deflusso decorre in una sezione, sarà sempre
costante.
Altra legge di conservazione della fisica che mette in evidenza altre categorie di termini come
quello pressorio, gravimetrico, cinetico, lavoro, ovvero tutte le facce dell’energia meccanica e solo
meccanica, perché il calore non compare.
Dunque questa è l’espressione del bilancio energetico dell’energia meccanica del sistema. La
differenza con l’equazione generale del Primo principio sta nella presenza dello PSI, che in quel
caso non figura esplicitamente, ma era compreso nel termine calore o nell’entalpia. Dunque il
termine PSI rappresenta il trait d’union fra primo e secondo principio.

LAVORO REVERSIBILE PER SISTEMI APERTI


Applichiamo l’equazione di Bernoulli.
Parliamo di lavoro reversibile per ipotesi, quindi Ψ=0; trascuriamo i termini cinetici e gravimetrici.
Dunque dell’equazione di Bernoulli resta il termine l, lavoro reversibile, quindi sotto
le ipotesi di assoluta idealità e il vdp.
Subito si denota la differenza con il lavoro per i sistemi
chiusi: lì compariva il pdv ed il segno era positivo.
La rappresentazione grafica di questi processi, nonché di
un deflusso che evolve reversibilmente (linea continua) tra 1
e 2 sul piano di Clapeyron è tutta l’area sottesa fra il tracciato
del processo da 1 a 2 e l’asse delle ordinate, perché p sta lì
(nel caso dei sistemi chiusi fra la linea continua e l’asse delle
ascisse, dove vi è v).
A meno del segno, questo integrale è proporzionale, secondo il fattore di scala usato per
rappresentare il diagramma, all’area così costruita.

CASI NOTEVOLI: LAVORO REVERSIBILE PER SISTEMI APERTI (eseguito da un GAS


IDEALE)
In questo caso il gas è governato dall’equazione pv = RT.
Esaminiamo il caso di un processo isotermo: T=cost

Il v della funzione integranda lo esplicito come RT\p, di cui R e T sono costanti, quindi escono
dall’integrale, quindi risulta solo l’integrale di dp\p, la cui soluzione è il log.
Da qui si capisce che il lavoro reversibile dipende dal log del rapporto fra p1 e p2, allora esso sarà:
- Positivo se p1 >p2 è un lavoro uscente, nonché meccanico (nel caso di una turbina);
cioè se il fluido mi permette un’espansione, allora il dispositivo può offrire lavoro all’uomo;
- Negativo se p1<p2 è un lavoro entrante, cioè voglio la compressione di un gas, perché
sto passando da una p più alta ad una più bassa;
Dunque l’equazione mi dice di fornirci di una macchina che sviluppa lavoro, perché quel
compressore ha bisogno di lavoro meccanico. Dunque prenderemo un motore in cui mettiamo la
benzina; esso svilupperà energia cinetica di rotazione all’albero motore; innestiamo l’albero
rotante nel compressore; facciamo passare il gas e così quest’ultimo uscirà compresso.
Qual è il mio interesse a comprimere i gas? Dato che a seguito di una compressione, il volume del
gas si riduce, si riduce anche l’ingombro del dispositivo di stoccaggio così da risparmiare spazio
fisico e disporre di serbatoi più piccoli e più facilmente trasportabili (gas in bombola). L’unico
prezzo da pagare è il combustibile perché devo mettere un motore per fornire lavoro.
Per processi adiabatici o politropici ottengo espressioni diverse per questo lavoro reversibile, le
quali confermano che il lavoro non è una funzione di stato, perché dipende dal tipo di processo.

CALORI SPECIFICI
Ne esistono di due tipi: quello a volume costante e quello a pressione costante.
Il Cv è definito come variazione dell’energia interna rispetto alla T a parità di volume.
Il Cp è definito come variazione dell’entalpia rispetto alla T a parità di pressione.
Cerchiamo relazioni che legano l’energia interna e l’entalpia in funzione di parametri termo-fisici
misurabili, grandezze di stato che posso esplicitare in funzione di due qualunque delle tre
fondamentali (T, p, v).
- Per l’energia interna scelgo T e v u = u (T, v) e calcolo il differenziale totale du:

Il primo termine (du\dt) a parità di volume è il calore specifico a v costante, Cv ed il resto lo lascio
così.
- Per l’entalpia scelgo T e p h = h (T, p) e calcolo il differenziale totale dh:

Il primo termine (dh\dt) è il calore specifico a p costante, Cp ed il resto lo tengo così.


Ecco una prima esplicitazione dell’energia interna e dell’entalpia in funzione di grandezze
misurabili. Adesso analizziamo casi di particolare interesse: GAS IDEALI.
In questo caso:
L’energia interna dipende solo dalla T. Allora nel differenziale totale, du, il termine du\dv a parità
di T è zero e resta solo il dT: du= Cv dT.
L’entalpia, per definizione, è somma dell’energia interna e del prodotto pv che per i gas ideali
questo prodotto è uguale a RT, quindi essa dipende solo da T. Allora il termine dh\dp a parità di T
è zero e resta solo il dT: dh = Cp dT.

SOSTANZE INCOMPRIMIBILI (LIQUIDI E SOLIDI): V = COST


Per queste sostanze:

L’entalpia per definizione è data da u + pv, ma è chiaro che tutto quello che mette in gioco il
volume lo tolgo, perché sotto il segno di differenziale darebbe un contributo nullo. Dunque rimane il
du\dT a p e v costante, che in particolare a volume costante è uguale al Cv. Quindi per liquidi e
solidi: Cp = Cv.
Quindi posso esplicitare l’entalpia in funzione delle variabili termodinamiche fondamentali (T, v, p),
nel caso di solidi e liquidi, partendo dalla sua definizione: il du vale CdT (inutile specificare il
pedice); il d(pv) diventa vdp, perché essendo la sostanza incomprimibile, v = cost; dunque:
dh = du + d(pv) = CdT + vdp
Da qui nei processi in cui il vdp << CdT: esso sarà trascurabile e l’entalpia, sotto tutte queste
ipotesi (Gas ideali; Deflussi isobari; Sostanze incomprimibili in cui si ipotizza che vdp << CdT),
sarà: dh ≅ Cp dT
Vedremo che per l’acqua: Cp = 4,2 kJ \ (kg K) (chilo Joule al chilo grado Kelvin) e per l’aria:
Cp = 1,0 kJ \ kg K
Lezione 12 ottobre 2020
CAPITOLO 1
PREMESSA
Ricordiamo che l’espressione completa del salto entalpico dipende dal salto di T e p rispetto
all’espressione di carattere generale: dh = du + d(pv) = CdT + vdp;
Ma ci sono altri casi in cui il dh si può ridurre a CdT oltre a quello dei gas ideali. Ad esempio,
quando il vdp dovesse risultare regressivo, cioè di un ordine di grandezza più piccolo rispetto al
CdT; questo si verifica nel caso di deflussi (quelli più analizzati da noi). Nel caso in cui il deflusso
avviene a p cost, il CdT è un’espressione esatta e non approssimata, in tal caso il dp è zero e la
conversione dh = CdT è matematicamente esatta.
In seguito vedremo che l’espressione che adesso abbiamo chiamato “generale” dell’esplicitazione
dell’entalpia (dh = CdT + vdp) è vera solo se non ci sono cambiamenti di stato, perchè essi
metterebbero in gioco il calore latente, quantità energetica non associata al salto di T; dunque
l’espressione risulterebbe errata, perché c’è variazione di entalpia, ma secondo questa formula
non verrebbe registrata; Essa è un’aliquota del calore latente, infatti vedremo in seguito come
generalizzare ulteriormente questa espressione.

ESERCIZI SULL’USO DEL Cp


1. Passaggio attraverso un radiatore
Caso di un radiatore che emette il calore Q (potenza emessa) a seguito del passaggio di h2o calda
nel radiatore stesso. La portata dell’h2o è ṁ e le condizioni termofisiche all’ingresso e uscita
dell’h2o sono compresi nella seguente tabella:
Vediamo che l’acqua entra a 80 gradi ed esce a 70,
cioè vi è un raffreddamento; viene ceduto del calore
da parte dell’h20 all’ambiente oltre ad esserci un
caduta di p negativa (p2-p1 = -2kPa), perché la
pressione di uscita dell’h20 è più bassa rispetto a
quella di entrata a seguito delle perdite fluido-
dinamiche che l’h20 incontra passando attraverso il
radiatore.
I dati numerici sono realistici.

Problema: calcolare il calore ceduto dal radiatore quando questo è in esercizio.


Dobbiamo ricorrere al principio di conservazione dell’energia (Q-P = ṁ (∆h + g∆z + ∆w^2\2) )
individuando un VC appropriato, come quello illustrato in
foto, che ingloba il corpo del radiatore stesso, attraverso
cui riconosciamo il deflusso dell’h20 (portata unica), ṁ
ed il termine di energia termica uscente, Q. In quanto
uscente, secondo le convenzioni, al Q attribuiamo il
segno +.
- A primo membro ci aspettiamo di vedere anche un
“– P”, ma non vediamo potenze meccaniche o
termiche, dunque P è zero.
- A secondo membro vediamo i termini del salto entalpico, del salto geodetico (differenza di
altezza fra la superficie libera della sezione di presa dell’acqua ed il livello nella sezione del
corso d’acqua dov’è restituito il flusso) e la variazione di energia cinetica. Considerando
trascurabili questi due termini rispetto a quello entalpico, resta solo: ṁ (h2 – h1).
Questo salto entalpico lo esplicitiamo secondo l’espressione ∆h = Cp∆T + v∆p,
considerando che queste differenze vanno calcolate come condizione di uscita –
condizione di ingresso.
Inserendo i valori assegnati e svolgendo i calcoli costatiamo che il termine vdp è trascurabile
rispetto a quello di T, perché di ordine di grandezza più piccolo (v∆p << Cp∆T).
In definitiva possiamo approssimare l’ṁ ∆h come ṁ Cp∆T, dunque il radiatore in queste condizioni
eroga 3kW e il segno – indica che è un calore uscente, coerente all’ipotesi iniziale.

2. Entità del calore d’attrito in un condotto adiabatico


Quando decorre un deflusso all’interno di un condotto, il passaggio del fluido a contatto con le
pareti genera attrito, ovvero calore. Quanto vale questo calore d’attrito?
Teniamo conto che questo condotto è ben coibentato, quindi adiabatico il calore si mantiene
all’interno del fluido stesso, per cui all’uscita mi aspetto un incremento di T dovuto a questo calore
di attrito. Di quanto aumenta la T?
Per sapere ciò posso scrivere:
- L’eq. del 1° principio (nella forma elementare): q – l = ∆h + g∆z + ∆w^2\2
- L’eq. di Bernoulli, (lasciando a 1° membro –l): -l = Ψ + v∆p + g∆z + ∆w^2\2
Sottraiamo membro a membro e otteniamo: q = Cp∆T – Ψ.
Questo Ψ indica le perdite energetiche tra ingresso e uscita all’interno del sistema. Dunque
l’incremento di T è calcolabile in questo modo (ricordando che il condotto è adiabatico, q = 0):
∆T = Ψ\Cp
Anticipiamo alcuni passaggi.
Nella fluidodinamica un parametro caratteristico è la perdita energetica o di p per metro di
condotto, ϛ (zita). Queste perdite sono espresse sotto forma di cadute di pressione ∆pf (il pedice f
sta per “friction”, attrito), dunque gli effetti dell’attrito li posso valutare sotto forma di p. Qual è la
relazione fra ϛ e Ψ (perdita complessiva, nonché termine energetico calcolabile come il prodotto
fra volume specifico, v e caduta di p per attrito, ∆pf) Ψ = v ∆pf; se moltiplico e divido per L si
forma il rapporto:
Dunque: Ψ = Cp ∆T = ϛ L \ ϱ
Inoltre, un valore realistico del parametro ϛ, utile per la
progettazione di impianti è ϛ = 300 Pa\m;
da qui ricavo la caduta di pressione ∆T\L e scopro che le perdite di T per ogni metro di condotto
sono dell’ordine di 7 x 10 ^ -5 °C\m: ∆T\L = ϛ \ϱ Cp = 7 x 10 ^ -5 °C\m
Quest’ordine significa il 500 millesimo di grado, ovvero un incremento di T davvero insignificante.
Dunque, oltre all’ipotesi di adiabaticità, posso considerare il condotto anche isotermo.

3. Riscaldamento del fluido in sede di pompaggio


Il pompaggio di un liquido
avviene attraverso la
POMPA, che per
funzionare deve ricevere
lavoro meccanico
dall’esterno; infatti la
alimento elettricamente,
perché lo trovo più comodo;
converto poi quest’elettricità
in energia meccanica di rotazione dell’albero sul quale sono calettate da un motore elettrico le pale
per far arrivare al fluido energia meccanica.
La pressurizzazione del liquido avviene tanto velocemente da non esserci scambio di calore con
l’esterno quindi il processo lo considero adiabatico. Dunque mi chiedo che fine fa il lavoro
meccanico che le pale stanno inducendo sull’h2o; oltre alla variazione di energia cinetica, allo stato
pressorio del fluido, non ci sono effetti tali da indurre riscaldamento nel fluido?
Una parte di questa energia meccanica si trasforma in calore dovuto alla turbolenza che si
genera nel fluido, dove le particelle si urtano in modo soprattutto anelastico; inoltre nel corpo della
pompa c’è la parte statorica e quella rotorica, le quali si possono accoppiare attraverso un
dispositivo di lubrificazione o con cuscinetti che permettono la rotazione dell’albero fermo restando
il corpo esterno della pompa stessa.
Quindi qui, nonostante si tratti di attrito volvente, c’è una forma di conversione dell’attrito in
calore, perché essi sono sinonimi. Dunque devo pensare che l’h2o esce dalla pompa con un
incremento di T.
Quanto vale?
Prendo dei dati da catalogo, scrivo
l’espressione del primo principio,
impongo che il processo sia
adiabatico e calcolo i termini v∆p e
Cp ∆T. Il Cp lo porto a secondo
membro e scopro che sì, c’è un
incremento, ma di 5 centesimi di
grado, quindi oltre che adiabatico,
posso considerare questo processo
isotermo.
Questi esempi ci suggeriscono
di fare applicazioni semplici e
dirette, ma utili della scrittura del primo principio.

Nel caso del VENTILATORE, esso movimenta l’aria o promuove il moto di essa all’interno di un
canale o esegue un ricambio fisiologico; dunque l’aria in uscita ha una sua sovrapressione per
vincere le turbolenze che si sviluppano in caso del cambio di direzione e convergenze di corrente
(tutte perdite accidentali fluido-dinamiche che devono essere compensate con una
pressurizzazione dell’aria a monte).
Dunque il ventilatore ha lo scopo di imprimere energia cinetica all’aria e nello stesso tempo la
comprime in misure diverse secondo le mie finalità.

MISCELAZIONE ADIABATICA
Processo estremamente ricorrente, soprattutto la miscelazione di correnti; adesso analizziamo
quella delle correnti di fluidi convergenti in un punto, in cui essa avviene.
Le ipotesi per studiare il fenomeno sono:
1. Il deflusso dev’essere innanzitutto isobaro, perché se metto a contatto due ambienti a p
diversa, il processo avviene così rapidamente da scoppiarci tutto fra le mani. Se così non
fosse all’origine, devo depressurizzare uno dei fluidi.
2. Processo tanto rapido da poterlo considerare adiabatico.
3. Al momento voglio studiare il processo in condizioni stazionarie.
4. Trascurabilità dei termini cinetici e gravimetrici rispetto ai termini entalpici.
Il VC che mi conviene fissare è quello che circoscrive il punto
di miscelazione.
Le leggi della fisica che devo mettere in gioco sono il principio
di conservazione della Massa e dell’Energia.

Bilancio di massa
Se la miscelazione avviene fra queste due sole correnti, la
portata uscente (massa per unità di tempo) è pari alla somma
delle portate entranti: ṁ3 = ṁ1 + ṁ2.
Bilancio di energia
L’equazione a cui conviene riferirci è quella generalizzata, in quanto ci troviamo nel caso in cui il
numero dei flussi entranti è diverso da quello dei flussi uscenti:

L’hp di stazionarietà mi consente di eliminare l’ultimo termine dEvc\dt.


- A primo membro i termini Q e P sono entrambi nulli per l’hp di adiabaticità (Q = 0) e per
l’assenza di energia meccanica scambiata osservabile sul VC (P = 0).
- A secondo membro restano i termini entalpici: entalpia complessivamente uscente, Hout
(quella associata alla portata risultante, ṁ3) – entalpia complessivamente entrante, Hin
(quella associata alle portate del fluido 1 e 2, ṁ1 e ṁ2).
L’equazione 2.1 che viene fuori è un risultato utile: l’entalpia
dello stato finale, h3, pari alla media ponderata delle entalpie
concorrenti rispetto alle portate o masse (indifferente parlare di
una o dell’altra, perché, in riferimento all’unità di tempo, è fatta
dalle stesse grandezze al numeratore e al denominatore,
dunque il risultato non cambia, kg o kg-secondo al num. e al
den.).
Stabiliamo i seguenti
rapporti fra portate
eguagliate a salti
entalpici. Molto utili,
perché parliamo di
sussistenza della regola della leva (fondamentale per la risoluzione grafica di alcuni problemi).
Regola della leva
Abbiamo un’asta alle cui estremità gravano dei pesi. Questa è in equilibrio attorno un punto, il
fulcro; questo equilibrio è descritto dall’uguaglianza dei momenti in relazione al fulcro stesso.
La regola ci dice che Forza (F) x braccio (l) da un lato dev’essere uguale a F x l dall’altro lato.
In questo caso elementare parliamo di forza peso (m1g ed m2g); Chiamiamo i bracci l23 ed l13.
L’uguaglianza dei momenti porta a questa relazione: m1\m2 = l23\l13
Questa relazione è simmetrica a quelle che abbiamo appena dimostrato, infatti avevamo a primo
membro rapporti tra
masse e a secondo
differenze di
temperatura (salti
entalpici), così come
qui che abbiamo
distanza metrica fra
due punti.
CASI PARTICOLARI
Essendo che l’entalpia è una funzione di stato e definita a meno di una costante arbitraria, quindi
posto h0 = 0 (quando trattandosi di fluido, la sua t0= 0°C e la sua patm = 1,013 bar, a livello del
mare in una giornata serena), la 2.1 può essere scritta nella forma:

Inoltre, poiché t0 = 0°C, posso scrivere t3 in una forma più semplice rispecchiando l’espressione
dell’entalpia ricavata prima:

Vediamo come casi particolari:


Se i fluidi sono della stessa natura,
il Cp è lo stesso, dunque lo posso
eliminare fra numeratore e
denominatore. Se anche le due
portate fossero uguali allora la
media ponderale diventa
aritmetica.

ESERCIZIO-APPLICAZIONE: CONSUMO D’ACQUA CALDA E COSTO DI UNA DOCCIA


Ecco il sistema
fisico a cui mi devo
riferire.
Figura il serbatoio
di accumulo, VC 2
(in Italia boyler), il
quale riceve dalla
rete idrica la
portata d’h2o
fredda (pedice f)
che si riscalda per
la presenza di una
certa resistenza
elettrica (Pel), così
da avere h20
fredda e calda che
misceleremo a
nostro piacimento.
Inoltre il serbatoio ha un termostato che si può fissare a 50°C.
Assegniamo i dati: la TM è la T di miscelazione, T media pesata, quella alla quale vorremmo l’h20;
il serbatoio ha un termostato che si può fissare a 50°C, Tc; la T di rete, TF; Il tempo della doccia,
∆T; l’h20 consumata per una doccia in media, 40\50 l, dato di portanza per dimensionare i serbatoi
di accumulo negli alberghi; Cel, il costo della corrente elettrica al kWh.

1. Consumo di h20 calda mC:


- Iniziamo ad analizzare cosa avviene nel nodo VC 1 dove convergono la vena fredda e la
vena calda; scriviamo il bilancio di energia e di massa o più semplicemente usiamo la
formula risolutiva che abbiamo trovato prima in termini di T più che di entalpia. Per cui l’eq
che mi esprime la sintesi dei bilanci di energia e di massa è:
Le incognite sono: ṁM, (somma di ṁC + ṁF); Tc ed TF.
Accoppio alla prima equazione quella del bilancio della Massa e
determino le portate d’h20 fredda e calda:

ṁF = 0.025 kg \ s ; ṁC = 0.075 kg \ s

- Applichiamo il VC 2: evidenziamo il flusso in ingresso e in uscita e la Pel; supponiamo sia


ben coibentato da trascurare le perdite termiche (Q = 0) e scriviamo il bilancio di Energia
secondo l’espressione Q – P = ṁC ∆h, essendo la potenza elettrica entrante, ha segno
negativo Potenza assorbita dalla resistenza elettrica immersa nel serbatoio*:

- (-Pel) = ṁC Cp (Tc – TF (t di uscita – t di entrata)) = 0.075 x 4.2 x (50 – 10) = 12.6 kW (J\s)

Se moltiplichiamo questi kW per i minuti in cui stiamo sotto la doccia troviamo questi 2.1 kWh che
definiremo energia elettrica consumata nei 10 min (potenza integrata nel tempo); come ultimo
passaggio moltiplichiamo i kWh del costo della corrente elettrica per gli euro al kWh e otteniamo il
costo della doccia:

Osservazione*: quant’è la potenza assorbita da questa resistenza elettrica immersa nel


serbatoio? 12.6 kW (J\s).

Questo mi fa pensare, perché la potenza massima istallata in base al contatore a casa nostra
è di 3kW, dunque esso andrebbe in blocco con i 12.6 kW. Il calcolo non è sbagliato, ma questi
sono i kW che dovrebbero essere conferiti all’h2o per poterla portare a 40°C nel momento in
cui passa per la resistenza elettrica. Ciò è dettato dalle leggi di conservazione di energia e
massa.
Ecco il sistema fisico a cui mentalmente mi riferisco:

C’è il condotto, l’h2o che passa e al centro il resistore. In questo


caso ci vorrebbero questi 12.6 kW, ma siccome il sistema fisico
reale non è questo, l’h2o viene riscaldata da un resistore non
più di 1 kW. Dunque l’h2o viene riscaldata gradualmente.
Quando facciamo la doccia troveremo l’h2o a 50°C da mescolare
con quella fredda per arrivare ai 40 °C graditi.

Quindi il modo di risolvere il problema è di mettere un accumulatore termico il quale, grazie


alla sua inerzia termica è in grado di riscaldarsi gradualmente chiedendo una potenza erogata
di 1 kW e farlo trovare pronto quando necessario. Nel caso di una seconda doccia imminente,
si rimedia dimensionando opportunamente il boiler da 70\80 l, ecco perché è questa la sua
taglia commerciale.
2. I GAS IDEALI
I gas ideali, generalità
I gas ideali non esistono, sono entità astratte, ma risultano di grande aiuto per capire la realtà che
ci circonda.
Il gas ideale è un’astrazione come quella del ciclo di Carnot, o del corpo nero. Sono tutti
riferimenti ideali che ci servono per valutare la distanza da questi, agli eventi, le sostanze, i
sistemi, le situazioni reali.
pv-RT=0
Cosa si intende per gas ideale?
Si intende una sostanza che risponde a questi requisiti:
-tutte le particelle sono uguali tra loro;
-si muovono di moto casuale e caotico (sono soggetti a leggi non deterministiche, cioè la
traiettoria di una particella non si può prevedere);
-hanno dimensione molto minore della distanza che li separa (ad esempio se un gas è contenuto
in uno spazio sico molto ampio rispetto al volume che occupano le particelle nel caso in cui le
portassimo una vicina all’altra. Queste sono quindi libere di muoversi e percorrono lunghi tratti
senza interazioni con altre particelle);
-quando addensate tra di loro, occupano un volume molto minore del volume del contenitore;
- non sono soggette a forza di attrazione gravitazionale o coulombiana né da parte dell’una
sull’altra né, da parte delle pareti del contenitore (perché questo nirebbe per assoggettarle a
leggi deterministica, che contraddice l’ipotesi iniziale)

Nella realtà quelli che noi trattiamo sono gas ideali. I gas di cui ci occuperemo (in primis l’aria)
nelle condizioni operative (in termini di temperatura e pressione) per quanto reali, niscono poi per
presentare un comportamento sico che è veramente assimilabile a quello di un gas ideale. È una
fortuna perché del gas ideale conosciamo praticamente tutto: l’equazione di stato.

Formulazione operative della legge di Boyle


È necessario per noi
conoscere l’equazione di
stato per poi poterne
descrivere compiutamente
il comportamento ( nella
maggior parte dei casi)
qualunque sia il processo
a cui vanno incontro.
La prima scrittura (legge di Boyle ) è scritta in relazione all’unita di mole.
Di erenza tra pressione assoluta e pressione relativa: la pressione relativa è quella letta
sul manometro, mentre la pressione assoluta di ottiene sommando alla pressione
manometrica, la pressione atmosferica che c’è in quel sito in quel momento.
Quindi la temperatura di cui si parla è anch’essa quella assoluta, quindi da valutare
sempre in gradi kelvin.
Il V soprasegnato è il volume molare, quindi rappresentativo dello spazio sico occupato
da una mole del gas (m cubi per mol o per kmol ).
L’R soprasegnato è la costante universale dei gas.
ff
fi
fi
fi
fi
fi
Se ambo i membri
li moltiplichiamo
per n (numero di
moli):
Se invece dividiamo ambo i
membri dell’equazione
iniziale per la massa
molecolare del gas (i kg per
kmol di quella data
sostanza):
Dove M soprasegnato rappresenta la massa molare del gas, mentre v il volume speci co.
Il rapporto R soprasegnato/ M soprasegnato (=R) è la costante di quel dato gas. Ogni
dato gas ha la propria costante.
L’ultima relazione è quella in cui il primo e il secondo
membro vengono moltiplicati per m (la massa del gas
espressa in kg).
Dunque il prodotto mv esprime un prodotto sico espresso in metri cubi. Mentre al
secondo membro la m resta come simbolo a se stante, quantità espressa in kg.

Massa molare
di alcuni gas
notevoli.
Vediamo qui
come si
determinano:
basta prendere
il numero
atomico e moltiplicarlo per il numero di atomi di quella data sostanza.

Legge di Avogadro e condizioni normali


Questa legge è stata formulata da Avogadro a partire da una sua legittima curiosità: quale
sarebbe lo spazio sico occupato da 1 mole di gas;?quanti metri cubi occuperebbe 1
mole di un gas ideale?
Partiamo dalla legge di Boyle.
Prendiamo due gas ideali qualsiasi.
Supponiamo che questi due gas si trovino alle stesse condizioni di
temperatura e pressione.

Quanto vale il volume speci co?


Anche v soprasegnato è uguale per i due gas.
fi
fi
fi
fi
Ma quanto vale? Dipende dalla pressione e dalla temperatura a cui questo gas si trova,
che sono uguali per i due gas, quindi per avere un numero che descriva lo spazio sico
occupato da 1 mol di gas ideale devo sapere la pressione e la temperatura.
Da qui si enuncia la condizione cosiddetta
“normale di un gas“ che per de nizione
corrisponde a 0 °C (cioè 273,15 K) e la solita
pressione atmosferica normale in condizioni di
cielo sereno ( 1013 bar).
Fissate queste condizioni siche, dalla formula di Boyle mi ricavo il v soprasegnato
ovvero il volume normale.
Trovo che la mole di un generico
gas ideale occupa uno spazio
sico di 22,4 metri cubi. Per fare
capire che questi metri cubi si
riferiscono a una condizione di
temperatura e pressione ben
precisa (lo stato normale), prima del metro cubo inserisco la “N”; si legge “normal metri
cubi”.
Dunque la legge di Avogadro enuncia:
“Una kmole di un dato gas ideale, in assegnate condizioni di temperatura e pressione,
occupa lo stesso volume di un qualunque altro gas ideale che si trovi nelle stesse
condizioni di temperatura e pressione.”

De ussi con gas ideali


Partendo dalla de nizione di volume speci co
( volume/massa ), e pensando questo rapporto in
termini di erenziali, dividiamo numeratore e
denominatore per un tempo in nitesimo o per l’unità
di tempo. Così facendo si viene a costituire al numeratore la variazione del
volume nell’unita di tempo, ovvero la portata volumetrica; mentre al
denominatore la portata massica. Mi pongo il problema del volume speci co
perché la portata massica è una grandezza che prescinde da qualunque
condizione sica , dunque è una grandezza sica assoluta, non ha bisogno di
ulteriori riferimenti per essere individuata . Mentre il volume al contrario, varia
al variare della temperatura e della pressione . Quindi in funzione della temperatura e della
pressione, sulla base della legge di Boyle ricavo il volume speci co, lo moltiplico per la
massa o la portata massica e trovo il volume o la portata volumetrica di quel gas che sta
uendo in un condotto.
Il rapporto tra messe o portate massiche è lo stesso numero. Invece il
rapporto tra volumi o portate volumetriche è lo stesso numero solo se T
e P sono le stesse.
Stiamo ragionando a parità di portata massica.
Ecco la relazione che lega le due portate volumetriche.
fi
fl
fl
ff
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
v1 e v2 sono i volumi speci ci.
Se stiamo parlando di uno stesso gas la
costante è la stessa, dunque R si elide.
Quindi questa è la relazione che mi permettere di esprimere la portata volumetrica che mi
viene data nelle condizioni di temperatura e pressione del primo gas in funzione delle
temperature e pressione del secondo gas.
Se uno di questi due gas si trova in condizioni normali, il pedice 2 lo converto nel pedice
n (è una questione di nomenclatura).
Noto la portata volumetrica di un dato gas e le sue condizioni di temperatura e pressione,
a questo punto la relazione discende direttamente da quella precedente.

Perché avrei bisogno di una tale formula ? Il gas che arriva a casa nostra (metano), arriva
in condizioni di temperatura variabile (quella che c’è in quel giorno), e pressione sempre
variabile (in base a tanti fattori esterni) più una decina di millibar altrimenti non uscirebbe
dall’ugello. Il gas si paga secondo una tari a espressa in euro al normal metro cubo, per
pagarlo in condizioni standard, che sono quelle normali.

Relazioni notevoli per i gas ideali

Riprendiamo l’espressione operativa dell’entalpia:


Scriviamola per i gas ideali, quindi pv secondo la legge di Boyle
diventa Rt.
Il du lo posso esprimere in funzione del Cv secondo la sua
de nizione, ed eliminiamo il dT in ogni parte.
Troviamo una relazione tra Cp, Cv e R.
Questa relazione ci dice che, siccome R di per se è un numero
positivo, è sicuro che il Cp sarà maggiore del Cv, quindi a sua volta il
loro rapporto è un numero maggiore di 1.
Questo rapporto viene simboleggiato con k.
fi
fi
ff
Equazione dell’adiabatica reversibile

Andiamo a considerare ora un processo che risponde a questi tre requisiti:

-aperto:
-adiabatico
-reversibile

È dunque un processo eseguito da un gas ideale, che esegue


un processo ideale (quindi senza irreversibilità) e che sia anche
adiabatico.

Andiamo a considerare il primo principio nella sua forma più


elementare e cominciamo da lì:

Il dq sarà reversibile, e siccome abbiamo detto che il processo


è reversibile lo poniamo uguale a zero. Nel caso di sistemi
aperti il dl reversibile è uguale a -vdp. Siccome si parla di gas
ideali il dh vale sempre CpdT

E quindi posso ricavare dT da quest’ultima espressione ...

Figura k che sarebbe Cv/Cp, che


battezzo come esponente
dell’adiabatica perché l’espressione che
abbiamo dimostrato è una delle tante
forme della legge del gas che vale in
base ai principi che abbiamo detto, in
particolare in caso di processi adiabatici.

Questa è l’equazione dell’adiabatica reversibile eseguita da un gas ideale.


Questa però è una relazione che lega solo pressione e volume, ma c’è un altro parametro
che a me interessa maneggiare ovvero la temperatura.
Equazione dell’adiabatica reversibile per i gas ideali
Per far apparire la temperatura parto
sempre da questa relazione appena
dimostrata, metto in gioco la legge
di Boyle, sostituisco, E ricavo: pv =
RT.

Questa è una relazione che lega


pressione e volume.

Se voglio una relazione che lega la


temperatura e il volume, combino
insieme l’equazione dell’adiabatica e
la legge di Boyle.

Visto che voglio la relazione tra la


temperatura e il volume, eliminerò
l’incognita p, sfruttando la relazione
di Boyle ( p=(RT)/v).

Se, invece, voglio la relazione tra pressione e temperatura vado ad eliminare il volume
speci co anziché eliminare la pressione.

Posso pensare a una generalizzazione della legge dei gas ideali, cioè

Che può essere particolarizzato a seconda del valore assunto dall’esponente n

Questa equazione viene detta “equazione della politropica” perché ricapitola tutti i casi
particolari che si possono considerare.
fi
Isoterme e adiabatiche sul piano

Come si presenta l’equazione di Boyle quando non


la rappresentiamo gra camente nel piano pressione
volume? Si determina un’iperbole equilatera.
Le isoterme sono quindi una famiglia di iperboli
equilatere.
La T funge da parametro, infatti al variare di T si
genera una famiglia, che vanno traslando sul piano
cartesiano verso l’alto man mano che T cresce.

Quanto vale il gradiente (dy/ dx) di questa generica curva?


Per trovare questo gradiente sottoponiamo al segno di di erenziale l’espressione pv=RT
la T è costante quindi il secondo membro sarà uguale a zero. Troviamo quindi -p/v.

Andiamo ora a considerare l’equazione dell’adiabatica

Che di erenza c’è tra il


gradiente della isoterma e
dell’adiabatica?
Il Gradiente
dell’adiabatica è uguale a
quello dell’isoterma ma
ampli cato di un fattore k.
Dico ampli cato perché
abbiamo dimostrato che
questo fattore k è sempre
maggiore di 1.

Quindi quando vado a


rappresentare l’adiabatica
nel piano pv, sarà una
curva molto più ripida delle isoterme, poiché ha un gradiente maggiore.
fi
ff
fi
fi
ff
LAVORO DI COMPRESSIONE SECONDO ISOTERME
O ADIABATICHE
Compressione interrefrigerata.

La compressione è il risvolto pratico di quello che abbiamo visto nora.


Qual è il problema di comprimere un gas? Problema è che comprimere un gas è
un’attività energivora, richiede energia meccanica per essere seguita.
Mi serve comprimere un gas per ridurre il volume a favore di un minor ingombro, e anche
ai ni dello stoccaggio e del trasporto.

Devo fare in modo di comprimere il gas spendendo meno possibile energia.


Quindi il mio obiettivo è la minimizzazione del lavoro di compressione.
Il lavoro di compressione è proporzionale all’area sottesa tra la curva che esprime il
processo e l’asse delle ordinate, in un diagramma pressione volume.
Per esaminare il problema parto da questo punto:
-una certa pressione p1,
- una certa Temperatura T1.

Il mio obiettivo è quello


di comprimere il gas
no a una pressione
p2, che dipende in
base a quale processo
devo fare, se faccio un
processo adiabatico il
punto due sarà in alto.
E il lavoro di
compressione sarà
l’aria compresa tra
questa curva e l’asse
delle ordinate. Se io
invece riuscissi a
comprimere
isotermicamente, il
lavoro è diverso è no al punto 2’.

Quali di questi due processi mi conviene eseguire o realizzare nell’ottica del risparmio
energetico? certamente quello isotermo.
Ma c’è un piccolo particolare, ovvero che io le compressioni isoterme non le riesco a fare,
perché è un processo tecnicamente impraticabile.

Non le posso fare perché quando io comprimo questo lavoro adiabatico si converte in
calore, e se pretendo una compressione isoterma questo calore lo devo smaltire
altrimenti la temperatura mi aumenta, ma questo della compressione è un processo
talmente rapido che io non riesco a smaltire il calore.
Quindi questo calore che non riesce a uscire dal compressore mi fa diventare un
processo adiabatico, e nel momento in cui questo è un processo adiabatico i problemi
sono quelli, ovvero devo spendere più lavoro rispetto a se il processo fosse stato
isotermo.
fi
fi
fi
fi
Devo cercare di avvicinarmi a quella condizione. Per farlo faccio il processo in due fasi
detti due stadi.

Una prima compressione dal punto 1 al punto 3 lungo l’adiabatica, no a una pressione
intermedia (dunque una compressione adiabatica), poi segue un processo che va dal
punto 3 al punto 4 di tipo isobaro. Ma nel corso di questo processo isobaro che cosa ne
è delle temperature? il punto 4 si trova nella stessa isoterma del punto 1, che è la
condizione iniziale del gas.

Lo Devo dunque ra reddare questo gas, passando da 3 a 4. Lo ra reddo attraverso uno


scambiatore di calore che mi chiede questo calore all’esterno.
Lo posso ra reddare questo gas, siccome lo sto buttando all’esterno, no al punto
quattro che l’isoterma della temperatura ambiente.
Poi devo Ricomprimere adiabaticamente perché io voglio la pressione p2 nale.

Lo schema funzionale a destra:


- Dal punto 1 al punto 3 abbiamo il compressore, che
riceve il uido da una sezione più grande e lo rilascia
da una sezione più stretta.
- Dal punto 3 al punto 4 abbiamo lo scambiatore di
calore, che scambia calore con l’esterno
- Dal punto 4 al punto 2 un altro compressore, riceve
riceve il gas da una sezione più grande e lo rilascia
da una sezione più stretta, e lo scarica poi al
serbatoio nale.

Il lavoro totale di compressione:


Ne ho fatti
due. Uno
nel tratto
13, E l’altro
nel tratto
42.
fl
fi
ff
ff
ff
fi
fi
fi
Ci si chiede allora quale sia la pressione intermedia pi tale da rendere minimo il lavoro di
compressione. La dobbiamo scegliere noi, perché noi stiamo progettando il sistema.
Questa deve essere scelta in base al criterio di minimizzazione del lavoro complessivo di
compressione.Allora ora il mio compito è quella di andare a cercare il minimo di una
funzione.La funzione è il lavoro totale.

Troverò il valore della pressione intermedia che mi rende minimo il lavoro.


Faccio le derivate e trovo cioè che mi interessa.

La pressione intermedia ottima si calcola come la media geometrica tra le pressioni


estreme p1 e p2.
Dunque mi conviene fare più stadi di compressione in modo tale da avere una linea di
compressione (gra camente) che è tutta seghettata dovuta appunto a più stadi.
Invece di fare 2 compressioni, ne faccio n, ma ovviamente devo mettere tanti più
scambiatori di calore.
Quindi se risparmio in termini di energie per l’esercizio dell’impianto, devo considerare
anche che la struttura dell’impianto si complica perché ho più compressori e scambiatori
di calore.
Quante compressioni intermedie mi conviene fare? Dipende dal budget.

In sintesi:

La compressione può essere adiabatica, con interrefrigerazione ottima e isoterma. Si può


notare come la potenza di compressione va diminuendo da 23.9 no a 14 kW.
-Nel primo caso visto che è adiabatica non ho bisogno di scambiatore di calore,perché la
comprimo in un’unica fase.
-Con l’interrefrigerazione ottima devo installare lo scambiatore, e quella è la potenza di
scambio termico che mi deve assicurare.
-Nel caso dell’isoterma,invece, avrei la minima spesa energetica, ma allo stesso tempo lo
scambiatore di calore è necessario e ha una potenza maggiore. In questo caso lo
scambiatore di calore deve cedere tanta energia(in forma termica) quanta ne assorbe il
compressore in forma di energia meccanica.
fi
fi
3. SECONDO PRINCIPIO
Enunciati del secondo principio

Enunciato di Kelvin-Plank:
“È impossibile costruire una macchina ciclica che trasformi tutto il calore in lavoro.”

Enunciato di Clausius:
“È impossibile costruire una macchina ciclica il cui unico e etto sia il trasporto del calore
da un corpo a temperatura più bassa ad un corpo a temperatura più alta.”

Osservazioni:
1. I due enunciati esprimono delle impossibilità (di solito le leggi siche sono enunciate
con frasi a ermative).
2. Le impossibilità non sono tecnologiche ma siche (concettuali) non possono essere
risolte, superate.
3. Riguardano le macchine cicliche e non i processi aperti o niti.Ma perché dovremmo
convertire una forma di energia in un’altra ? E perché nell’esigenza di convertire una
forma di energia in un’altra dovremmo ricorrere ai processi ciclici? Convertiamo una
forma di energia in un’altra in base alle esigenze. Ci sono diverse forme di energia dal
punto di vista dell’utilizzabilità sul piano tecnico-pratico. Ci sono forme di energia più
versatili e meno versatili. Ecco perché ho L’esigenza di convertire una forma di energia
in un’altra, perché punto a ottenere un’energia per me più utile in quel caso. L’energia
più utile sul piano pratico è l’energia elettrica. Quindi il grande problema è produrre
l’energia elettrica, è il bene più importante della tecnologia. Oggi il problema è anche
produrre energia elettrica minimizzando l’inquinamento ambientale. Per rispondere
alla seconda domanda, noi abbiamo bisogno di energia in forma continua. Per questo
utilizza processi ciclici perché miro a convertire l’energia in forma continua. Qui
incorro nel secondo principio della termodinamica secondo l’enunciato di Kelvin.
4. Le macchine cicliche sono di massimo interesse per l’uomo, ai ni delle possibilità di
conversione il calore in lavoro in forma continua, ossia non intermittente.
5. L’enunciato di Kelvin-Plank riguarda la macchina a ciclo diretto e postula un serbatoio
freddo in cui conferire il calore non convertito in lavoro (esame termico).
6. L’enunciato di Clausius riguarda la macchina a ciclo inverso e postula la fornitura di
lavoro. Parliamo di un processo che in natura non esiste, poiché il calore passa dal
corpo a temperatura più alta a quello a temperatura più bassa. A noi, invece , servono
dei processi che vanno contro natura. Questa operazione si può fare, ma ad un
prezzo, ovvero quello di spendere del lavoro. Dunque la macchina a ciclo inverso
realizza questo processo richiedendo lavoro meccanico da fornire dall’esterno.
7. In ambedue i casi la prestazione della macchina è valutabile attraverso il rapporto tra
energia ottenuta nelle forme desiderate ed energia spesa, denominato: rendimento.
ff
fi
fi
ff
fi
fi
Quindi se abbiamo bisogno di energia meccanica a partire da energia termica, non c’è
nessuna speranza di poter convertire al 100% tutta l’energia termica in energia
meccanica. Dunque una parte residua viene dissipata in un serbatoio termodinamico di
più bassa temperatura.

Cosa si intende per serbatoio termodinamico ad alta temperatura? Una sorgente termica.
Stiamo parlando di energia termica da fornire alla macchina. Questo calore si produce,
per esempio, attraverso la combustione ( reazione chimica di ossidazione).
Per me la sorgente termica è costituita dai prodotti della combustione ovvero i fumi caldi
della combustione.

Cosa si intende per serbatoio dinamico a bassa temperatura? Non è altro che l’ambiente
naturale che molto concentramento identi co in uno dei tre elementi della natura (aria,
acqua e terreno). Il cascame termico è quella quota di energia termica che la macchina
non riesce a convertire in lavoro meccanico, che rilascio a uno di questi tre elementi
naturali. Innanzitutto in aria (come fa la macchina o moto), o in acqua del mare ( come
fanno le grandi centrali termoelettriche).

Per noi nasce l’esigenza di valutare la prestazione termodinamica di queste macchine di


conversione dell’energia. Parliamo soprattutto dei cicli diretti, il cui schema funzionale è
riportato nell’immagine .
Abbiamo un serbatoio termodinamico ad alta temperatura (T1), e uno a più bassa
temperatura (T2) e un circoletto che nella sua semplicità vorrebbe rappresentare tutto
l’insieme delle operazioni di tipo ciclico eseguite dell'impianto che danno
complessivamente in uscita il lavoro meccanico.
Il lavoro meccanico lo dobbiamo pensare sempre materializzato in un albero rotante.
Questa energia meccanica in questa forma la posso poi utilizzare in tanti modi, per
esempio facendo muovere le ruote di un’automobile oppure anche innestando su questo
Albero rotante un dispositivo meccanico e in uscita ottengo energia elettrica che poi viene
iniettata attraverso gli elettrodotti che portano l’elettricità nelle nostre case.

Abbiamo bisogno di valutare l’e cienza di queste macchine a ciclo diretto sulla base di
un indice di prestazione che chiamiamo rendimento o e cienza, che ha una de nizione
universale.
La def generalissima dell’e cienza: innanzitutto è una dimensionale, ed è data dal
rapporto tra il risultato utile ottenuto in relazione alla spesa energetica. Quindi al
numeratore metto l’energia richiesta dell’utenza (nelle forme in cui la richiede, perché ogni
utenza ha diritto di richiede una forma o un’altra forma di energia in base agli scopi),
mentre al denominatore metto l’energia che la macchina richiede per funzionare ( sempre
nella forma in cui la macchina la richiede) nel caso di cicli diretti la macchina richiede
energia in forma termica (calore), ma ci possono essere cicli in cui ad esempio entra
energia elettrica ed esce energia meccanica (frullatore o asciugacapelli).

L’e cienza della macchina termina che esegue un ciclo diretto, non può che essere
de nita come L/ Q1.
Il pedice C indica il ciclo di Carnot, che ha un rendimento che è dato da 1- T2/T1, e mi
serve per fare il confronto con il rendimento del ciclo reale.
T1 e T2 quando si parla di ciclo di Carnot rappresentano le temperature dei due serbatoi
termodinamici tra i quali lavora la macchina di Carnot, inoltre sono anche rappresentativi
anche delle temperature del uido di lavoro che opera nel ciclo di Carnot.
fi
ffi
ffi
fl
ffi
fi
ffi
fi
T1 è la temperatura del uido quando riceve calore, T2 è la temperatura del uido quando
cede calore. Quindi il T1 rappresenta simultaneamente la temperatura della sorgente e la
temperatura del uido di lavoro.
Ma perché il calore passi al uido di lavoro, tra queste due temperature ci deve essere un
gradiente, una di erenza nita.

Il ciclo di Carnot è talmente ideale, che noi dobbiamo ipotizzare che questa di erenza di
temperatura sia in nitesima, poiché se fosse nita, li si veri cherebbero delle irreversibilità
che farebbero perdere l’idealità al ciclo di Carnot. Dunque è un caso di estrema
idealizzazione.
Devo trovare un ciclo di Carnot che sia equivalente (devono avere qualcosa in comune: le
temperature estreme) a quello reale. Solo così posso confrontare questi due rendimenti, e
mi accorgo che la mia macchina ha sempre un rendimento minore di quello del ciclo di
Carnot. Non può essere mai uguale perché il ciclo di Carnot rappresenta la idealità più
estrema, e a sua volta è un numero minore di 1.
Cosa ci vuole perché il ciclo di Carnot abbia rendimento pari a 1? Deve essere 0 K.
Ma T2 non può essere uguale a 0 k perché in queste condizioni si veri cherebbe
un’energia interna della materia pari a 0, tutti i moti e le vibrazioni molecolari si
pietri cherebbero, ed è improbabile.
Dunque possiamo a ermare che lo 0 k è irraggiungibile, come enuncia il terzo principio
della termodinamica.
Quindi nemmeno il rendimento del ciclo di Carnot può essere uguale a 1 perché
niremmo per contraddire il terzo principio della termodinamica.

Il ciclo inverso permette di estrarre calore da un serbatoio termodinamico a bassa


temperatura e lo trasporta verso un altro serbatoio termodinamico a più alta temperatura.
fi
fi
fl
ff
fi
ff
fl
fi
fl
fi
fi
fi
fl
ff
Questa è l’operazione contro natura che il ciclo inverso mi permette di fare.
La produzione del freddo è importante non solo per ra reddare l’ambiente ma anche per
conservare i cibi ad esempio.
L’indice di e cienza termodinamica secondo la de nizione è composto al numeratore dal
risultato utile ottenuto, Q2 che andiamo ad estrarre dall’ambiente che vogliamo
mantenere a temperatura più bassa . Il prezzo da pagare è l’energia in forma meccanica
di cui il sistema necessità per il suo funzionamento, quindi L che è preso in valore
assoluto anche se secondo le convenzioni della termodinamica dovrebbe avere segno
negativo (non vogliamo indici negativi). Possiamo esplicitare L anche sulla base del
risparmio energetico fatto sulla macchina.
Anche in questo caso possiamo dire che il rendimento delle macchine a ciclo inverso
regali è minore del rendimento dell’ equivalente ciclo inverso di Carnot, ossia costruito
sulla base delle temperature estreme del ciclo reale.

Primo teorema di Clausius


Entropia

Ora tendiamo ad andare verso le formulazioni matematiche, del secondo principio,


funzionali ai calcoli tecnici al ne di risolvere problemi concreti.
La base di partenza è quello di confrontare due cicli termici, uno reale e uno di Carnot.
Supponiamo di costruire una macchina reale che miracolosamente abbia la stessa
e cienza di una macchina di Carnot. Il suo rendimento vale:

Quindi imponiamo la seguente uguaglianza:

Quindi riordinando i termini arriveremo a questo ultimo risultato. Questo è quello che
accade quando consideriamo una macchina termica che opera tra due soli serbatoi
termodinamici.
ffi
ffi
fi
fi
ff
Se ,invece, consideriamo una macchina termica che opera tra più serbatoi termodinamici:

Ci troviamo di fronte a una sommatoria di termini del tipo Q/T.


Questa è una situazione che descrive compiutamente una realtà in cui abbiamo un
numero in nito di serbatoi termodinamici tra i quali questa macchina ciclica opera
scambiando delle quantità nite di calore.
Se il numero di macchine e il numero di serbatoi termodinamici fosse comunque grande,
e nello stesso tempo il calore scambiato fosse piccolo (dQ), allora la sommatoria si
trasforma in un integrale ciclico. Il Q di cui parliamo si deve ritenere come scambiato
reversibilmente tra il uido di lavoro e l’esterno, tra la macchina e tutto ciò che la
circonda, poiché diversamente contraddiremmo l’ipotesi di idealità.
È un di erenziale esatto, e il di erenziale esatto esprime una funzione di stato.
Esso prende il nome di entropia, che per de nizione è:

Secondo teorema di Clausius


Disequazione dell’entropia

Ora conduciamo lo stesso confronto, ma tra un ciclo di Carnot e un


ciclo reale.
Il rendimento reale è minore di quello del ciclo di Carnot.
Gli step sono simili a quelli precedenti.
Finiamo concludendo che l’integrale ciclico di dQ/T ora è strettamente
minore di zero. Questa scrittura la posso generalizzare aggiungendo il
segno uguale, in quanto mi riporta al caso precedente.
Questo è noto come disuguaglianza di Clausius ed esprime le
conclusioni del cosiddetto secondo teorema di Clausius.
Questa è una delle tante formulazioni analitiche del secondo principio
della termodinamica ( no ad ora ne abbiamo parlato in termini
concettuali).
ff
fi
fl
fi
fi
ff
fi
Questa macchina è in grado di produrre il lavoro L
di 450 kJ a fronte della fornitura di calore di 1000
kJ da parte di una sorgente termina a 500 K,
cedendo il cascame termico a un serbatoio
termodinamico che si trova a 300 K.

La comprereste questa macchina ?

Sottoponiamola alla veri ca del secondo principio


della termodinamica.

Posso trasformare questo integrale in una somma di termini perché sono tutte quantità
nite e le temperature sono tutte costanti.
Scopro che è violato il secondo principio della termodinamica.
Posso fare anche un’altra veri ca calcolando il rendimento di questa macchina reale Per
poi confrontarlo con il rendimento dell’equivalente macchina di Carnot.

Il rendimento di questa macchina è addirittura maggiore rispetto rendimento della


macchina di Carnot, dunque la macchina non è sicamente realizzabile.
fi
fi
fi
fi
Principio di incremento dell’ entropia

Consideriamo un processo ciclico attraverso


due punti di equilibrio termodinamico 1 e 2
costituito da un tratto reversibile e uno
irreversibile.
Applichiamo a questo processo ciclico il
secondo teorema di Clausius:

Possiamo spezzare questo integrale ciclico in due


integrali de niti.
Uno relativo al tratto reversibile e l’altro relativo al
tratto irreversibile. Tutto questo in base al secondo
principio di Clausius deve essere minore uguale di
zero.
Questo ultimo termine mi permette di invocare la
de nizione di entropia, quindi questo integrale vale S2-
S1.
Se questo sistema è adiabatico o isolato, il termine
relativo all’integrale automaticamente è uguale a zero.
Quindi in conclusione possiamo dire che:

Questo signi ca che il sistema nel suo stato nale nisce per avere un’entropia che è
maggiore di quello allo stato iniziale. Questo è un modo per introdurre il principio di
incremento di entropia dell’universo, perché l’universo è l’esempio più clamoroso di
sistema isolato.
Nell’universo in un qualunque istante temporale, sicuramente si veri cherà un qualche
evento ,naturale o indotto dall’uomo, che porterà il sistema a uno stato diverso dal
momento precedente a quello dell’evento stesso. Dunque nello stato nale l’universo si
trova ad un livello di entropia maggiore di quello nello stato iniziale. L’entropia
nell’universo tende ad un massimo. Questo è il secondo aforisma dil Clausius che
sintetizza in maniera concettuale il portato del secondo principio della termodinamica.
Due sono gli aforismi di Clausius che sintetizzano tutta la termodinamica classica:
1. L’energia dell’universo è costante (L’energia per essere costante vuol dire che è una
dote dell’universo, immutabile nella sua quantità, incorruttibile, eterna).
2. L’entropia dell’universo tende ad un massimo (perché qualunque processo ha luogo in
natura, mi dimostra che c’è una tendenza verso il disordine, il caos, ed è irreversibile).
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
L’attuarsi di un processo denota il passaggio di uno stato di ordine verso uno stato di
disordine, da uno stato di maggiore informazione a uno stato di minore informazione. Per
esempio prima del passaggio del calore, due corpi sono distinguibili in base alla loro
temperatura. Al raggiungimento dell’equilibrio termico non lo sono più perché alla stessa
temperatura. Quando tutti gli squilibri che muovono i processi si saranno risolti, nirà la
vita nell’universo. La natura dunque procede verso il degrado, il disordine e la morte.

Il primo principio della termodinamica è stato subito accolto, in quanto tutti questi
aggettivi ( eterno, immutabile) erano attribuiti anche a Dio.
Il secondo principio della termodinamica, invece, ebbe vita di cile ad a ermarsi presso la
comunità scienti ca, anche se discendeva dall’osservazione della natura.

Equazione dell’entropia
Come abbiamo visto prima, questa è una quantità sempre maggiore uguale a 0, in cui il
caso uguale si riferisce alla pura idealità.

Questa quantità la chiamiamo sigma, ed esprime la produzione di irreversibilità del


sistema. Per questo prende il nome di “ Produzione di entropia”.
Il secondo principio si può anche esprimere in questa forma:

Che chiamiamo “ Equazione dell’entropia”.

Signi cato dei termini:


-S2-S1: rappresenta la variazione dell’entropia, la calcolo utilizzando la de nizione di
entropia.
-L’integrale di dQ/T: dQ è il calore che il sistema scambia con l’esterno il irreversibilmente,
è il Q reale (tutte le irreversibilità ora sono concentrate sul sigma).

Se il processo anziché essere nito, è ciclico, tutti i termini di quell’equazione vengono


sottoposti all’integrale ciclico: allora l’integrale ciclico del primo termine diventa nullo
perché il dS è un di erenziale esatto, nel secondo integrale mettiamo il simbolo di ciclicità
e il sigma è complessivo e mantiene sempre il suo signi cato.
fi
fi
ff
fi
fi
ffi
ff
fi
fi
Precisazioni circa il signi cato e l’uso dell’equazione dell’entropia.

Il pedice sigma serve per ricordare che quello è il Q scambiato attraverso i con ni del
sistema in maniera reale. Se questo valore rappresenta una quantità nita, e non
in nitesima, e la temperatura alla quale avviene lo scambio termico è costante, allora quel
l’integrale diventa una sommatoria di termini del tipo Q/T.

S2-S1 invece è la variazione dell’entropia. Attenzione a non confondere la produzione di


entropia, detta anche irreversibilità e simboleggiata dal sigma, con la variazione di
entropia che è una di erenza algebrica e che cascolo sempre sulla base della de nizione
di entropia.

Calcolo pratico di S1-S2


fi
ff
fi
fi
fi
fi
Qui viene esplicitato nel caso di sistemi aperti e di sistemi chiusi come si può calcolare
S2-S1.
Si parte dall’equazione del primo principio, rispettivamente nel caso di sistemi aperti e
chiusi, avremo il dh da un lato e il du dall’altro.
Se si tratta di gas ideali la funzione integranda la possiamo esplicitare, solo in questo
caso perché per i uidi che non siano gas ideali diventa più problematico, A meno che
non si tratta di una categoria molto particolare, di uidi incomprimibili (es. l’acqua il cui
volume speci co è costante).

Generalizzazione dell’equazione dell’entropia


Bilanci entropici nei sistemi aperti

*leggere questa pagina*

La conclusione a cui si arriva è:

Questo termine è dipendente dal tempo. È la variazione di entropia che si


veri ca all’interno del volume di controllo nell’ intervallo tao.
L’equivalente di questo termine nel caso dell’energia rappresenta l’energia
che si accumula all’interno del sistema ricompreso dentro il volume di
controllo nell’intervallo temporale dato.

C’è una grande di erenza tra la scrittura del principio di conservazione dell’energia nel
caso di sistemi chiusi e nel caso di sistemi aperti.
L’energia di qualunque tipo in condizioni stazionarie a quale legge risponde ?
In condizioni stazionarie quando abbiamo energia che entra nel sistema, che evolve
secondo certi processi, e dai in uscita un’altra forma di energia. Queste due energie in
condizioni stazionarie sono governate dalla legge “ Ei - Eu =0”, poiché l’energia si
conserva quindi questa equazione mi dice che entra tanta energia quanta ne esce.
fi
fi
ff
fl
fl
Ei - Eu è uguale alla variazione di energia interna
nell’intervallo temporale dato che distingue lo
stato iniziale e dallo stato nale. Ci sarà una
variazione di energia interna del sistema
associata al volume di controllo, in poche parole
questa energia si accumula all’interno del volume
di controllo E nell’istante successivo viene
rilasciata.
Quindi non è vero che il regime dinamico Ei- Eu=0, ma è diverso da zero ed equivale alla
variazione di energia interna del sistema. A sua volta questa variazione di energia interna
del sistema è uguale a :

Dove C è il calore speci co per la massa che c’è all’interno del volume di controllo.
Questo prodotto del calore speci co per la massa del sistema prende il nome di capacità
termica e si simboleggia con C.

Nei casi che tratteremo noi, e molto ricorrenti nella pratica sono costanti quindi Cp per m
lo possiamo levare e all’interno del segno di di erenziale resta solo la temperatura.

Quindi ecco come posso scrivere questo bilancio energetico in regime dinamico:

Mentre le equazioni stazionarie sono semplici equazioni algebriche, quelle dinamiche


sono equazioni di erenziali.

Ritornando all’equazione generalizzata dell’entropia.


Il termine m2s2, invece, viene sottoposto a una sommatoria estesa a tutte le portate di
uscita.
m1s1 si trasforma in tutte le sommatorie in una sommatoria estesa a tutte le portate in
ingresso.
Il signi cato degli altri simboli rimane uguale.
fi
ff
fi
fi
fi
ff
Se parliamo di sistemi stazionari il termine sarà uguale a zero, se il de usso è

uno solo le due sommatorie si ridono ad una perché il pedice j e k sono gli stessi.
Quindi si arriva a questa espressione:

L’equazione di Bernoulli dall’equazione dell’entropia


Possiamo dimostrare L’equazione di Bernoulli dall’equazione dell’entropia.

*leggere questa pagina*

Analisi entropica di processi irreversibili


1. Miscelazione adiabatica dei de ussi

La miscelazione è un processo irreversibile, perché è una volta avvenuta i due uidi non si
separeranno più.

Ipotesi:
1. Sistema adiabatico: Q=0
2. Processo isobaro: p=cost

Si parte dall’equazione generale del secondo principio

In ambedue i casi il processo per noi è adiabatico, dunque il secondo termine va a 0:

La produzione di irreversibilità è calcolabile semplicemente come la variazione di entropia


del sistema tra lo stato nale e lo stato iniziale.
fi
fl
fl
fl
L’entropia è una funzione di stato, e come tutte le funzioni
di Stato gode della proprietà additiva, quindi la posso
scrivere come:

Ora
dobbiamo
calcolare
uno a uno
questi
termini:

= CvdT Perché c’è l’energia interna (ha origine nel du).

Nel caso si sistemi aperti l’approccio è


identico, cambia solo il fatto che vado ad
esplicitare il dq reversibile in modo diverso.
Analisi entropica di processi irreversibili
2. Cicli diretti e cicli inversi

Cicli diretti

Il primo principio della termodinamica ci permetteva il


bilancio energetico sul sistema.
Dobbiamo partire dall’equazione di Clausus:

L’integrale ciclico è nullo, quindi il sigma è uguale:

Le temperature le supponiamo costanti.


Il calore entrante Q1 è una quantità nita (con segno positivo).
Il Q0 è un’altra quantità nita che in quanto uscente è preceduta dal segno negativo .
Quindi possiamo ricavare Q0:

Usiamo l’equazione appena


trovata per ricavarci il lavoro.
Lc simboleggia il rendimento
del ciclo di Carnot tra le due
temperature, tra cui la
macchina reale opera.

Nel caso reale il lavoro è dato da quello che si avrebbe se la macchina fosse di Carnot,
meno qualcosa. Questo qualcosa è proporzionale al sigma cioè alla produzione di
irreversibilità. In sigma sono concentrate tutte le imperfezioni tecnologiche della
macchina, Che costituiscono motivo di perdita energetica.
Dunque la produzione di irreversibilità ci danneggia.

Questa quantità rappresenta una quantità che a meno del


rapporto T0/T1 è proporzionale al sigma.
Quindi queste irreversibilità si ripercuotono anche sul rendimento.
fi
fi
Dunque il rendimento della macchina reale è minore del rendimento della macchina di
Carnot in misura prevista da questa quantità:

Se sigma fosse uguale a zero, ripercorrendo le formule si ritroverebbe tutto quello che si
può scrivere del ciclo di Carnot, lavoro estratto, rendimento, calore rilasciato verso
l’esterno.

Se nel ciclo di Carnot il calore rilasciato verso l’esterno viene rappresentato da


quest’ultima formula, nel ciclo reale il calore rilasciato verso l’esterno e quest’altra
quantità:

Questo calore rilasciato verso l’esterno nel ciclo reale e come quello del ciclo di Carnot
ma in più si aggiunge qualcosa, il quale è il lavoro che perdo e che va nell’ambiente
naturale sotto forma di cascame termico. Quest’ultimo rappresenta l’imperfezione
tecnologica della macchina, che al giorno d’oggi vediamo anche sotto forma di
inquinamento termico.
Chiaramente ci sono altri tipi di inquinamento causato dalle macchina (di ogni tipo) come
quello chimico.
Analisi entropica di processi irreversibili
3. Trasmissione del calore attraverso una parete

Un caso classico è quello di una parete che separa due ambienti, a temperature diverse
si instaura un usso termico. Analizziamo in che misura questo è un processo
irreversibile. Per quanti care l’irreversibilità utilizziamo l’equazione di Clausus.

Inizialmente disegnerei la prima gura della parete che è attraversata dal usso termico
dovuto al salto della temperatura. Lo schema della gura uno è perfettamente uguale allo
schema della gura due. Nella seconda gura c’è un Q2 in più che nella prima non avevo
esplicitato, è chiaro però che Q1 e Q2 sono uguali per il principio di conservazione
dell’energia. Li distinguo con il pedice per scrivere l’equazione di Clausius in maniera più
semplice:

Quindi in de nitiva ho:

Ed esplicitando sigma che è la nostra incognita:


fi
fi
fl
fi
fi
fi
fi
fl
1. Q è una quantità nita da un lato e dall’altro.
Le temperature sono costanti da un lato e dall’altro (T1 e T2 sono valori ssi).
2. Q2 è preceduto dal segno meno perché è uscente dal volume di controllo.

Poi risolvo le parentesi e le frazioni e trovo l’espressione risolutiva.


Questa produzione di irreversibilità è proporzionale all’entità del usso termico, ma anche
alla di erenza di temperatura.
Si producono tante più irreversibilità quanto maggiore è il salto termico a cavallo della
nostra parete divisoria. Signi ca che la produzione di irreversibilità che provoco tenendo
questa stanza a 25° quando fuori ci sono 2° è maggiore della produzione di irreversibilità
che avrei se questa stanza la tenessi a 18-20° quando fuori c’è la stessa temperatura di
2°.
Ma qual è la forma più appropriata per utilizzare del calore a una data temperatura?
Ci potrei ricavare lavoro, e la forma più furba per produrre lavoro è quella di produrla da
una macchina termica di Carnot, poiché è la macchina termica di e cienza più alta di cui
dispongo. La sua e cienza mi rende in termini di lavoro quanto più alta è la temperatura
massima del ciclo.
Questo modo di ragionare mi fa capire qual è il valore sul piano tecnico-pratico di una
data quantità di energia termica disponibile a una data temperatura, il suo valore in
termini di utilizzabilità è innanzitutto legato alla sua temperatura. Maggiore è la
temperatura, maggiore è il valore che ha il calore per ni tecnici.
Quindi quando provo con usso termico dovuto a 25° piuttosto che a 20°, sto
distruggendo potenzialità di compiere lavoro, sto utilizzando male il potenziale energetico
di questo calore.
Allora se io qui ho bisogno di 20° per riscaldare questa stanza, qual è la sorgente termica
a cui ricorro ?
Se scelgo un piano di riscaldamento ordinario attaccato ad una caldaia, la temperatura di
questo serbatoio termodinamico la identi co come temperatura massima del sistema
cioè la temperatura di amma (poiché la caldaia brucia un combustibile) di 1200-1300°.
Mi devo fare un conto per capire se mi conviene.
Ho bisogno di 20°, e associato a questi 20°, il usso termico di cui ho bisogno per
compensare le perdite termiche dipende da tante cose (dal lavoro, dall’involucro edilizio,
dai materiali...)quindi supponiamo sia circa 2-3 kW . I 20° sono la temperatura di
riferimento per calcolare il valore del calore di cui ho necessità. Per ottenere 20° sto
partendo da una temperatura di 1200°, quindi potrei produrre tanto lavoro se questo
calore lo conferisse a una macchina di Carnot, molto più di quanto otterrei se mi riferissi
ai 20° di cui ho strettamente bisogno in questa stanza. Quindi c’è un enorme divario, cioè
uno spreco di potenziale energetico tra quello di cui io ho strettamente bisogno e il
potenziale energetico a cui io vado a ricorrere ( i 1200 gradi di temperatura di amma).
Il primo principio non mi evidenzia lo spreco energetico.
Una sorgente termica più appropriata per riscaldare questa stanza sarebbe, ad esempio,
un pannello solare la cui piastra ha una temperatura di circa 70-80° in confronto ai 1200
della caldaia.
Il ragionamento è analogo. Mi chiedo qual è la temperatura massima associata al
funzionamento di un pannello solare, cioè la temperatura della piastra di 70-80°.
Quindi il potenziale energetico che io vado a impegnare per il mio scopo È molto più
appropriato di quanto non lo sia un potenziale energetico molto più alto come quello della
caldaia. Invece se io devo fondere i metalli, in questo caso, i 1200° vanno bene.
Dunque questi ragionamenti vengono messi in luce da un’analisi del secondo principio.
Questo discorso è sempli cato nel signi cato del termine sigma T0.
ff
ffi
fi
fi
fi
fl
fi
fi
fi
fl
fi
fl
ffi
fi
fi
Il signi cato sico della produzione di irreversibilità È la quantità espressa dal sigma.
In questo caso utilizza l’espressione che ho appena ricavato:

La posso manipolare leggermente no A scrivere una di erenza di termini.


Ciascuno di questi termini mi rappresenta il lavoro Che sarebbe capace di compiere una
macchina di Carnot Che riceve dall’esterno il calore Q, E che opera tra le temperature
rispettivamente T1 e T0, e T2 e T0 cioè L1 e L2:

Le quantità moltiplicate da Q sono i rendimenti della macchina di Carnot che operano tra
la temperatura T1 e T2.
Quando le moltiplico per Q ottengo il lavoro.
Il segno meno di mezzo signi ca che la produzione di irreversibilità equivale a una perdita
di lavoro o capacità di compiere lavoro. È come del potenziale energetico che viene
sottratto all’umanità per i suoi utilizzi futuri.
Dunque produrre irreversibilità è un danno termodinamico.
Da qui nasce l’obiettivo da parte dell’ingegnere di ottimizzare i sistemi in maniera tale da
evitare inconvenienti di questo tipo. Si può fare di volta in volta andando a valutare la
produzione di irreversibilità.

Questa produzione di irreversibilità Che si produce in un processo di scambio termico


equivale a una perdita di capacità di compiere lavoro, quindi in disponibilità di energia per
I futuri scopi dell’umanità. Quindi il nostro scopo è l’ottimizzazione dei sistemi attraverso
la tecnologia, minimizzare la produzione di irreversibilità.

Qual è la potenza dello strumento che abbiamo messo a disposizione ?


Pensiamo ad un sistema complesso come un edi cio, una città, ecc.
Immaginiamo di suddividere questo sistema complesso in tanti sottosistemi magari più
semplici. Per ognuno di questi sottosistemi possiamo andare a calcolare con l’equazione
di Clausius la rispettiva produzione di irreversibilità sigma 1, sigma 2,..., sigma n.
Poi possiamo riordinarli in ordine crescente o decrescente e poi andare a individuare quali
sono i componenti più responsabili della produzione di irreversibilità, cioè quelli più
suscettibili o meritevoli di attenzione da parte nostra nel senso di interventi correttivi da
adottare. Solo il secondo principio della termodinamica ci permette di fare questo, quindi
fi
fi
fi
fi
fi
ff
di avere un criterio di intervento correttivo sul sistema, al ne di correggere i componenti
maggiormente responsabili.

Diagrammi (T,S)
L’area di un ciclo termico rappresentato nel diagramma Temperatura Entropia è
proporzionale al lavoro che scambia con l’esterno. Sarà lavoro uscente se il ciclo è
diretto, entrante se il ciclo è inverso.

Rappresentando queste due espressioni nel piano, quella di erenziale mi dice che il
calore elementare ha un equivalente gra co nel rettangolino che ha per base il dS e per
altezza il T. Estendendo questa considerazione a tutta l’area sottesa, mi rappresenta il Q
che il sistema scambia con l’esterno in forma reversibile.
fi
fi
ff
L’area sottesa tra il tratto A C, passando attraverso B, e l’asse delle ascisse rappresenta il
Q che questo ciclo termico riceve dall’esterno .
Mentre l’area sottesa tra il tratto C A, passando attraverso D, e l’asse delle ascisse, anche
questo è il Q che il sistema scarica verso l’esterno.
In sintesi l’area ricompreso all’interno del ciclo rappresenta la di erenza tra Q1 e Q2, che
in un ciclo termico è uguale al lavoro.
È lavoro positivo o se si tratta di cicli diretti, sarà lavoro negativo, cioè richiesto dal
sistema, nel caso di cicli inversi.

Isobare e isocore nel piano (T,S)


Partiamo da un sistema aperto:

E inseriamo le seguenti ipotesi:

Se mettiamo insieme questo due ipotesi, troviamo:

E integrando:

S0 è il valore convenzionale che attribuiamo all’entropia, dunque una costante arbitraria.


ff
il Cp chiaramente è maggiore di Cv, quindi è chiaro che la pendenza delle isobare è
minore della pendenza delle isocore.

I processi isotermi sono rappresentati da un segmento che inizia nello stato iniziale nisce
allo stato nale, orizzontale.
I processi Isoentropici sono rappresentati invece da un segmento verticale.
Questa è la premessa per poter rappresentare gra camente i processi.
fi
fi
fi
Espansioni e compressioni nel piano (T,S)
Rendimento isentropico

Espansione
Il Gas si trova ad inizialmente in
certe condizioni di temperatura e
pressione, quindi nel gra co TS
marco il punto 1. P1 e T1 sono
noti e assegnati. Allora siccome
le asta delle ordinate e delle
ascisse sono graduate, vado a
leggere sull’asta delle ordinate il
valore T1 che ti ho assegnato. La
P1 corrisponde a una delle
isobare che appartiene alla curva
delle famiglie isobare, vado a
prendere l’isobara che
corrisponde alla pressione P1,
che ti ho assegnato.
All’intersezione tra l’isoterma e
l’isobara posso marcare il punto
1 che in forma gra ca
rappresenta le condizioni siche
di questo gas.
Supponiamo che questo gas in queste determinate condizioni siche sia sottoposto ad
espansione, ciò signi ca che si porterà a una pressione più bassa.
Assegnato il valore di pressione P2 alla quale questo gas viene fatto espandere, si va a
individuare l’isobara P2 che si troverà al di sotto dell’isobara P1.
Quindi per ora dello stato nale del gas io conosco solo la pressione, ma voglio
conoscere anche la temperatura. Per determinarla so che tanti tra gli in niti punti
dell’isobara P2 sono rappresentativi della condizione sica del gas in termini di
temperatura. Per risolvere il problema posso pensare di trasformare questa espansione in
forma ideale in modo tale da renderla un processo isentropico.
Per dimostrare che è un’espansione reale è isentropica utilizzo l’equazione di Clausius
che è la seguente:

Osservo inoltre che l’espansione, così come la compressione, è un processo che avviene
così rapidamente da poter essere considerato adiabatico quindi il Q è uguale a zero, così
posso eliminare l’integrale.
Mi resta la seconda equazione che mi fa capire che l’entropia dello stato 2 in generale è
pare all’entropia dello stato 1 più qualcosa rappresentato dal termine sigma, ovvero le
irreversibilità del sistema, le imperfezioni tecnologiche. Queste imperfezioni tecnologiche
associate a un’espansione le riconosco ,per esempio nelle turbine, negli attriti che l’albero
motore (che deve avere possibilità di ruotare) realizza nel supporto meccanico attraverso
sistemi a cuscinetto oppure di lubri cazione. Questi ultimi appunto sviluppano attriti, i
quali sono danni irreversibili.
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
fi
Quindi se riuscissi a eseguire un’espansione ideale, cioè prova di tutti questi e etti
dissipativi, sigma varrebbe zero, quindi L’entropia dello stato nale S2 è uguale
all’entropia dello stato iniziale S1.
Il punto 2 nel diagramma si colloca lungo la verticale tracciata a partire dal punto 1.
Questo punto 2, che sta per ideale, risponde a questi requisiti:
1. La sua pressione è quella nale assegnata, P2.
2. Il processo sarebbe ideale, quindi isentropico.
Il punto 2 resta così univocamente determinato.
Se il processo, invece ,è quello che so fare con i miei mezzi umani, non è ideale ma reale,
dunque il sigma è un numero positivo. Il punto 2 è discosto dall’ S1 di una quantità pari a
sigma.
Quindi lo spostamento rispetto a S1 è pari a sigma e la pressione sarà sempre la
pressione nale assegnata nel punto 2.
A me, ingegnere, interessa quanto lavoro posso estrarre da questa espansione, e ricavare
quanta più energia meccanica.

Ecco come opera il sistema:


Il gas entra nelle condizione 1 ed esce nella condizione
2.
Il trapezio è il simbolo tecnico della turbina, un tipico
dispositivo di espansione.
La turbina è caratterizzata da un albero, e la freccia
rivolta verso il basso suggerisce la rotazione.
L è il lavoro meccanico.
Note le condizioni iniziali di temperatura e pressione,
note le condizioni nale di pressione e temperatura, E
nota la portata del uido che faccio lavorare in questa
turbina, posso scrivere l’espressione del primo principio
della termodinamica:

I puntini rappresentano i soliti termini cinetici e gravimetrici che non scrivo perché ritenuti
trascurabili rispetto al termine entalpico.
La turbina per noi è un dispositivo adiabatico, quindi Q=0.
P= prodotto della portata per il lavoro, quindi lo posso sostituire direttamente e
sempli care.
fi
fi
fi
fl
fi
fi
ff
h2 - h1 se parliamo di gas ideali, posso sostituirli.
In de nitiva:

Il punto 1 è assegnato.
Sarà T2i se l’espansione
è ideale, T2reale se
l’espansione è reale.
Ai ni della produzione di
lavoro fa molta di erenza,
perché il lavoro che
riesco a ricavare è
sempre proporzionale alla
distanza T1-T2, che è
minore della distanza T1-
T2 ideale. Questo porta a
dire che la produzione di
irreversibilità mi ha fatto
perdere lavoro
meccanico.

C’è un parametro che rappresenta un indice di qualità tecnologica del processo di


espansione: il rendimento esentropico di espansione.
Questo indice di e cienza energetica è de nito come:

Il lavoro reale è sempre minore del lavoro ideale


quindi questo rapporto è sempre un numero
minore di uno, che comunque è un numero positivo.
L’unica incognita è h2, gli altri punti sono conoscibili per posizione gra ca
fi
fi
ff
ffi
fi
fi
Compressione

Parto da una condizione ideale


nota di temperatura e di
pressione T1 e P1 e A seguito di
una compressione il gas viene
portato a una pressione più alta,
quindi l’isobara P2 si trova sopra
la P1. Se la compressione fosse
ideale, il processo sarebbe
isentropico e quindi lo stato
nale lo posso individuare
gra camente tracciando la
verticale a partire dal punto 1
no a intersecare la P2, e
incontro il punto 2i.
Se la compressione, invece, è
reale chiaramente ci sarà una
produzione di irreversibilità, di
conseguenza il punto 2 si
troverà alla destra rispetto a 2i.
Per stabilire quale temperatura T2 raggiungo mi viene in contro il parametro del
rendimento isentropico

Leggere questo esercizio di facile applicazione con le formule precedentemente viste.


fi
fi
fi
Lezione 14 ottobre 2020
CAPITOLO 4

DIAGRAMMI DI STATO
Adesso diamo rappresentazione grafica ai processi nel caso di
sostanze reali a partire dai dati sperimentali.
Il fluido che ci interessa massimamente è l’h2o. Ci riferiamo ai
diagrammi sperimentali che riportano in un diagramma
tridimensionale (perché sono tre le variabili termodinamiche
fondamentali T, p, v) i vari stati di aggregazione dell’h2o: solido,
liquido e aeriforme. Notiamo la linea del liquido saturo, vapore
saturo, il punto critico…
Ma per noi ingegneri un diagramma tridimensionale è poco
utilizzabile, perché sarebbe difficile cogliere i dati numerici. Infatti i
diagrammi bidimensionali sono più comodi e precisi.
Il diagramma bidimensionale di maggior
interesse è il (T,s), che nel caso dell’h2o
presenta la curva di Andrews, con andamento a
campana che culmina nel punto critico.
Notiamo a sinistra l’area liquido sotto-
raffreddato; al di sotto della curva abbiamo la
zona del vapore umido (fase liquida e fase
vapore coesistono in equilibrio) e a destra il
vapore surriscaldato.
L’andamento delle isobare è quello di una
spezzata (prima crescente, poi rettilinea e poi
nuovamente crescente):

- A seguito di un processo di riscaldamento dell’h2o, (allo stato liquido, in certe condizioni fisiche
iniziali a p cost), essa si trova nel primo punto di intersezione fra l’isobara e la curva limite inferiore
(c.l.i.), nonché linea del liquido saturo (saturo, perché in queste condizioni, nel liquido si forma la
prima bolla di vapore in corrispondenza del punto di intersezione).

- Continuando nel riscaldamento a p costante, gli stati fisici si dispongono su una linea orizzontale,
perché una volta iniziata l’ebollizione a partire dal punto verde, del grafico sottostante, nonostante
si continui a somministrare calore, l’h2o lo riceve, ma la sua T si mantiene costante. Dunque nella
zona del vapore umido si mantengono costanti la p e la T, infatti vi è una corrispondenza biunivoca
fra esse.

- Quando questo processo di riscaldamento procede, ci spostiamo da sinistra verso destra; l’h2o
continua a bollire, diminuisce la fase liquida a favore di quella vapore fino al secondo punto di
intersezione, arancione, in cui la condizione fisica del fluido è quella di una miscela liquido-vapore
in cui cessa la fase liquida e vi è solo vapore.
- Continuando il riscaldamento a p costante, continuiamo ad avere solo vapore e la T riprende a
crescere.

Che succede se questo processo di riscaldamento


avviene a p più alta? Mi devo mettere su un’isobara
più alta ripetendo i passaggi descritti. In questo caso
è minore la quantità di calore necessaria per
vaporizzare completamente il fluido. Dunque, man
mano che salgo con le isobare la zona bifase (vapore-
umido) va restringendosi fino al punto critico, C, dove
non c’è più distinzione fra fase liquida e fase vapore e
il calore latente si riduce a zero. L’isobara per questo
punto si chiama, isobara critica.

Differenza fra calore latente e sensibile


Calore sensibile: è rilevabile sensorialmente, non solo dai nostri sensi, ma anche da uno strumento. Si
manifesta attraverso una variazione di T; quindi se quel dato ambiente o fluido sta subendo un processo di
riscaldamento o raffreddamento capisco che è in atto uno scambio termico.
Calore latente: si manifesta senza variazione di T del fluido; la sua manifestazione sensibile è il
cambiamento di fase (nel nostro caso quello che accade nel corso del vapore umido è un riscaldamento o
raffreddamento che opero sul fluido, ma senza che avvenga un variazione di T; infatti, in forma sensibile
cambia lo stato di aggregazione del fluido che da liquido diventa vapore, se riscaldo e da vapore diventa
liquido, se raffreddo).
Ciò che abbiamo illustrato è la presentazione iniziale delle proprietà dell’h2o nel piano T, s.
Possiamo presentare un diagramma
più tecnico in cui notiamo le isobare
sul ramo sinistro della curva di
Andrews (ovvero sulla curva limite
del vapore) talmente addensate
quasi a sovrapporsi alla curva e
risultare indistinguibili. Queste
isobare, poi, si distinguono a partire
dalla zona vapore liquido. In seguito
notiamo altre curve, come le linee
isoentalpiche (ad entalpia costante;
le linee curve non evidenziate che
scendono) che come suggeriscono le
unità di misura, rappresentano il
volume specifico del fluido
(m^3\kg). Le isoterme sono segmenti
orizzontali; mentre delle curve “x”
parleremo più avanti.
CONSIDERAZIONI SUI DIAGRAMMI DI STATO
Parlavamo della corrispondenza biunivoca fra T e p nella zona vapore
umido, in cui per ogni data pressione corrisponde uno ed un sol valore
di T. Questa corrispondenza è riportata in forma tabellare in cui
notiamo la colonna della T espressa in °C, la p in bar e il calore di
vaporizzazione (latente), ovvero il calore che serve alla totale
vaporizzazione del fluido in questione, per portare l’unità di massa,
nonché il kg d’h2o, dallo stato liquido a quello di totale vapore, nel caso
di riscaldamento e viceversa nel caso di raffreddamento.
Per i calcoli tecnici, possiamo usare la formula analitica che interpreta i
dati della tabella e ci fornisce la p di saturazione associata ad un
assegnata T in gradi K.
Questa è la pressione alla quale, ad una certa T, l’h2o comincia a bollire
o il vapore comincia a condensare.

Anche qui abbiamo la rappresentazione grafica di questa corrispondenza


biunivoca in cui vediamo come man mano che la T (°C) aumenta, la p alla
quale l’h2o cambia di stato, aumenta a sua volta.

DIAGRAMMA DI MOLLIER DEL VAPORE


Questo diagramma porta in ordinate entalpia h ed in ascisse
l’entropia s. Preferiamo questo diagramma al (T, s) perché, le
entalpie sono riportate su un’asta graduata che ne facilita la
lettura con la dovuta
precisione numerica. Qui
la curva di Andrews, che
nel (T, s) era abbastanza
simmetrica, si deforma; Le
isoterme non sono
orizzontali, ma inclinate,
fermo restando la
corrispondenza biunivoca
nella zona di vapore
liquido. Il resto rimane invariato. Vi è anche una rappresentazione più
realistica, di cui analizzeremo solo la parte più interessante, perché
nell’altra le curve si addensano troppo. Qui notiamo l’andamento delle
isobare; delle isoterme, che in corrispondenza della p di saturazione
coincidono ciascuna con la rispettiva isobara di saturazione, ma da un
certo punto in poi deviano e assumono un andamento tendenzialmente
orizzontale. Vediamo che la T cresce dal basso verso l’alto. E infine
notiamo le curve del titolo del vapore.
CALORE LATENTE E TITOLO DEL VAPORE
Una volta rappresentate le entalpie sulle ordinate, l’entità del calore latente la possiamo valutare anche
graficamente.
Per ogni data pressione il calore latente, r, si manifesta
dal punto A al punto B; quindi esso è dato dalla differenza
dell’entalpia del punto B – l’entalpia del punto A (hB –
hA). Questa differenza, quindi r, si riduce man mano che
ci spostiamo su isobare crescenti. r = hB - hA

Un altro parametro che


ricorre è il titolo del
vapore, x.
Esso è il rapporto fra massa di vapore e massa totale del
fluido (massa di liquido + massa di vapore) che varia tra il
valore zero del punto A (qui x = 0, perché il vapore non
c’è) e il valore 1 di B (qui x = 1, perchè c’è tutto vapore).
L’entalpia di un punto generico all’interno del vapore umido, tipo Y, la
leggo direttamente dal diagramma di Mollier riportando la sua posizione
sull’ordinata oppure analiticamente ricordando che h, essendo funzione
di stato, gode della proprietà additiva e dunque sommando la parte
entalpica della fase liquida (pedice l) con quella della fase vapore (pedice
v), determino la formula finale.
Dunque quando x = 0 h = hA; quando x = 1  h = hB.

TABELLE
Per valutare le grandezze fisiche dei dati della porzione mancante del diagramma di Mollier mi servo delle
tabelle del vapore (vedi dispensa: Capitolo 4, pag. 9-12), in cui troviamo altre grandezze fisiche oltre T, p, v.
I dati numerici di queste tabelle si riferiscono esclusivamente ai punti della curva limite inferiore e
superiore, corrispondenti cioè agli stati di saturazione. Questi dati sono la soluzione in tabella della curva
di Andrews, non sono riferiti né a punti interni né a punti esterni ad essa.
ESEMPLIFICAZIONE 2 (sull’uso del diagramma di Mollier): ESPANSIONE IN TURBINA
Nell’esempio precedente
abbiamo trattato
l’espansione di un gas
ideale, adesso trattiamo
come fluido di lavoro il
vapore. Gas e vapore, in
quanto aeriformi, sono
comprimibili ed espandibili;
mentre i liquidi, come i
solidi, sono incomprimibili
ed inespandibili.
Le turbine che espandono
vapore sono fondamentali
nei grandi impianti che ci
forniscono energia elettrica.

In questa turbina a vapore viene iniettato del vapore nelle sue pale, ad alta p e v, nelle condizioni del
punto 1 (T1 e p1 = 3 MPa = 30 atm; la pressione atmosferica ha 1atm e a livello del mare, in giornata serena
c’è 1 bar, quindi deduciamo che nel problema analizzato, 30 bar è una pressione notevole) mandandole in
rotazione. A loro volta, esse trascinano in rotazione l’albero della turbina producendo energia meccanica.
Quanto vale questa produzione di energia meccanica?
Fisso la p di fine espansione, p2 = 0.003 MPa = 3 centesimi di atm.
Ciò significa che in questa turbina non vi è un ambiente naturale (1atm), ma uno spazio fisico tenuto ad una
p davvero bassa. Lo scopo di avere un p2 così bassa è quello di consentire al vapore un ampio salto
entalpico, (nell’esempio del gas ideale parlavamo di salto di T), perché più alto è, maggiore sarà la
produzione di potenza.
Calcoliamo la produzione di potenza meccanica nel caso di espansione ideale o reale con il rendimento
isentropico di turbina a vapore. Posso risolvere il problema analiticamente o graficamente.

Risoluzione grafica
Individuo il punto 1 nel diagramma in alto con le coordinate assegnate, p e T. Traccio l’isobara in rosso
corrispondente ai 30 MPa e l’isoterma, la cui T è di 300°C. All’intersezione trovo il punto 1. Cerco l’isobara
inferiore corrispondente a p2 e poi calcolo l’espansione nel caso ideale, quindi il p2 ideale. Essendo il caso
ideale un processo reversibile a entropia costante, mi metto i corrispondenza del punto 1, traccio una linea
verticale in blu fino ad intersecare l’isobara della p finale assegnata, p2. Il punto di intersezione, 2i è il
punto di fine espansione nel caso di espansione ideale.
1) Quanto vale la potenza meccanica estratta nel caso ideale? Ci serviamo della formula:

P= ṁ (hf – fi).
L’hf è quella corrispondente al punto 2i sulle ordinate (h2i) e l’hi è quella corrispondente al punto 1
(h1).
2) Quanto vale la potenza meccanica estratta nel caso reale? In alternativa del sigma conosciamo il
rendimento isentropico di espansione, ηis, ne vediamo la formula per calcolare l’entalpia h2r
(reale).
h2r = h1 – ηis ( h1 – h2i)
I dati che conosco sono: h1, ηis e h2i calcolata
prima. Inoltre h2r la posso leggere dal
diagramma di Mollier al contrario. Cioè:
Entro con h2r all’intersezione con l’isobara,
determino il punto 2r. L’espansione avviene
lungo la linea tratteggiata. Dunque questo è il
percorso che immagino, perché parlando di
processi irreversibili conosco solo lo stato
iniziale e finale, ma non so quali siano i reali
punti di questa linea.
Conclusione: a causa delle irreversibilità del
sistema ricapitolate nel rendimento
isentropico di espansione, la potenza
meccanica che otteniamo nel caso reale è inferiore rispetto a quella che potremmo ottenere in un caso
ideale.

ESEMPLIFICAZIONE 3: SCAMBIATORI DI CALORE ARIA-VAPORE

VC

mv = portata di vapore di pressione e titolo assegnati (pv, x);


L’utenza si aspetta aria calda per riscaldare un’ambiente in inverno. Entra del vapore nello scambiatore di
calore (fig1) che utilizzo per riscaldare l’aria nelle condizioni invernali iniziali (T0, p0).
Il nostro compito è quello di fare il progetto dello scambiatore e dimensionare i tratti di canale che
convogliano l’aria nello scambiatore e la distribuiscono nei vari ambienti. Ci sono due tratti di canale: uno di
aspirazione e uno di mandata. Dunque mi servo del vapore in assegnate condizioni iniziali di p e x, da cui
estraggo calore fino a condensarlo e raffreddarlo in modo da avere liquido; cioè sto estraendo tutto il
calore latente del vapore a favore dell’utenza.
Come operiamo?
Traccio sul diagramma di Mollier quello che ho e
quello che voglio ottenere.
- Dispongo di vapor d’h2o nelle condizioni di
p e x assegnati. Traccio l’isobara, in rosso,
corrispondente alla pv assegnata e la curva
del titolo assegnato, in blu; all’intersezione
delle curve trovo il punto iniziale del
vapore, i.
- Poi estraiamo tutto il calore latente
possibile dal vapore fino a portarlo allo
stato di liquido saturo alla stessa p, quindi
il calore che estraggo corrisponde al salto entalpico verso il basso, che utilizzo al fine del
riscaldamento dell’aria attraverso lo scambiatore di calore.
A quale T mando l’aria sul canale di mandata che poi arriverà nell’ambiente vissuto?
- Per ottenere questo parametro faccio il bilancio energetico sullo scambiatore. Disegno il VC (fig1)
sullo scambiatore e scrivo il 1° principio della
termodinamica.
A primo membro il P è nullo, il Q è quello scambiato fra il sistema e l’ambiente esterno rappresentato
dalla perdita termica, Qd.
A secondo membro le portate in gioco in questo scambiatore sono due, quella del vapore e quella
dell’aria che entrano ed escono. Il termine entalpico relativo all’aria lo converto in un salto di T (Cp∆T);
lo posso fare perché tratto l’aria come un gas ideale. Non posso fare lo stesso col salto entalpico del
vapore, perché essendo in fase condensante, la T di ingresso e di uscita sono uguali, dunque otterrei un
salto entalpico pari a zero, cioè il vapore non cederebbe calore. Ciò risulta impossibile, il calore in gioco,
infatti, è quello latente che equivale al salto entalpico decrescente segnato prima, così come ad una
variazione di titolo. Questa la posso calcolare graficamente o con la formula: ṁ x r (r = calore latente
complessivo).
Questa è un’equazione ad un’incognita, perchè: l’mv è assegnato, il ∆hv lo leggo dal diagramma, nel
Cp∆T il T0 è la T esterna. Ciò che non conosco è la T1, ovvero la temperatura a cui voglio arrivi l’aria.
Quindi la ricavo con la formula inversa del bilancio energetico (trovo che T1= 303.73 K = 30°C).
- Dimensioniamo i canali circolari come ultimo passaggio:
Dobbiamo stabilirne il diametro e la sezione, dunque mi rivolgo all’equazione di continuità: ṁ = S w ϱ.
Per la sezione vedi S0 = 0.172 m^2; la densità dell’aria la calcolo dalla formula di Boyle (con l’inverso del
volume specifico) considerando che sto pescando aria a p atmosferica, alla temperatura T0. Il diametro è
legato alla sezione dalla formula d0.

Per quanto riguarda la sezione del condotto di mandata è differente rispetto quella del condotto di
aspirazione, perché cambia la densità dell’aria anche se il testo ipotizza che la sua velocità sia uguale in
entrambi i condotti. Questo avviene perché la T dell’aria nel condotto di aspirazione è di 0°C, mentre nel
condotto di mandata la T1 = 30°C.
Dunque calcolo la densità sempre sulla base della legge di Boyle e in seguito la sezione di uscita (con
l’equazione di continuità) che corrisponde ad un canale delle dimensioni del relativo diametro d1.
- Confrontando i due risultati d0 e d1 notiamo che il canale di mandata è più largo di quello di
aspirazione, perché la densità è aumentata, a parità di velocità e l’equazione di continuità mi fa
determinare un diametro maggiore. Ciò avviene perché, a densità più bassa, il gas occupa
maggiore volume e dunque maggiore sezione di passaggio se pretendo che la velocità di transito
dell’aria sia la stessa.
Lezione 19 ottobre 2020
CAPITOLO 5

COMBUSTIONE
I processi di combustione stanno alla base di tantissime tecnologie energetiche. Essi rendono alla comunità
grandi servizi a partire dal fornire calore nei fornelli attraverso le caldaie domestiche, fino alla produzione
di elettricità nelle grandi centrali termoelettriche.
L’uomo si serve di questi processi dall’antichità grazie al fuoco. Oggi gli usi dei processi di combustione
vengono visti sotto l’aspetto ambientale, perchè tra i prodotti di combustione ci sono sostanze di un certo
impatto ambientale, come il C, che bruciandolo produce anidride carbonica provocando, ad esempio,
incremento del livello del mare a causa dello scioglimento dei ghiacciai.
La combustione è un processo ossidativo esotermico, cioè il C e l’H sono elementi utili che quando si legano
all’O2 formano rispettivamente anidride carbonica e h2o con sviluppo di calore. L’aria in questi processi fa
da comburente, quindi risulta essere ineliminabile.
Altri prodotti di combustione inquinanti sono: l’ossido di carbonio, gli idrocarburi incombusti, il particolato
che emerge nei combustibili solidi, gli ossidi di zolfo e azoto, (SO pedice x, NO pedice x). Quando
quest’ultimi vengono a contatto con il vapor d’acqua presente nell’atmosfera, nel caso dei primi si ha la
conversione diretta dell’anidride solforosa e solforica in acido solforoso e solforico; per quanto riguarda gli
ossidi di azoto si ha la conversione in acido nitrico. Parliamo, dunque, di acidi e quindi sostanze corrosive
per materiali e ambiente.
Gli ossidi di zolfo li ritroviamo nei prodotti di combustione che chiameremo fumi a seguito della presenza
dello zolfo nel combustibile originario (liquido o solido che sia, come il petrolio).
Ecco perché studiare queste sostanze è importante per limitare le problematiche di impatto ambientale,
come l’emissione di anidride carbonica in atmosfera.

PRESSIONI PARZIALI E LEGGE DI DALTON


Ricordiamo la legge dei gas ideali. Consideriamo uno spazio fisico di un certo volume V che abbia al suo
interno una miscela di gas, con n1, n2, n3 (ecc.) indichiamo il numero di moli di ciascuno di questi gas
(quindi della miscela) e la condizione fisica in cui questi si trovano è caratterizzata da un certo V, T e p che
leggeremo nei relativi strumenti.
Scriviamo per una certa miscela di gas la
legge di Boyle conoscendo il numero di
moli n:
p è la pressione letta dallo strumento però
va corretta, in modo da esprimere la p
assoluta; V è il volume fisico in m^3
occupato dalla miscela; R la costante
universale dei gas e T è la temperatura dei
gas componenti della miscela che si
presuppone siano tutti in equilibrio.
1- Se isoliamo la p si formano, a secondo membro, termini additivi che esprimono le pressioni parziali
dei singoli gas (pressione che quel dato gas assumerebbe nel caso in cui si trovasse ad occupare da
solo tutto lo spazio fisico).
- La p della miscela di gas è calcolabile come la somma algebrica delle p parziali dei singoli gas, come
vediamo nella seconda espressione che esprime la legge di Dalton, secondo cui: “la pressione di
una miscela di gas ideali è pari alla somma delle pressioni parziali dei gas componenti”.
- La generica pressione parziale pk la calcoliamo in base al numero di moli nk del gas preso in
considerazione.

2- Se isoliamo V ne discende una nuova scrittura che combinata con l’espressione della generica pk
otteniamo una relazione che lega la p parziale di un generico gas della miscela alla p della miscela.
Secondo questa scrittura le due pressioni sono proporzionali secondo la frazione molare (il
rapporto yk = nk\ntot)

Concludendo diremo che dalla relazione di queste espressioni arriviamo alla formula seguente:
yk = nk\ntot = pk\p

CONCETRAZIONE E FRAZIONE MOLARE

- La prima è pari al rapporto fra la massa del generico componente della miscela e quella totale della
miscela stessa;
- La seconda è pari al rapporto fra il Volume del generico gas se fosse pensato da solo ad occupare
tutto lo spazio e il volume totale della miscela;
- La terza la frazione o concentrazione molare che abbiamo dimostrato pocanzi.
Una relazione molto importante è quella che possiamo dimostrare qui di seguito:

- Consideriamo la concentrazione in volume ck = Vk \ Vmis


- Dividiamo numeratore e denominatore per il volume molare di un gas ideale in c.n. (22.4
m^3\kmole(misc)).
- Sulla base di una verifica dimensionale di questo terzo
membro riconosciamo che il numeratore esprime il numero
di moli nk (o kmoli) del generico componente k-esimo e il
denominatore esprime in numero di moli totali della miscela
ntot.
Ecco che dichiariamo che il dato numerico espresso come
frazione volumetrica coincide con quello espresso dalla frazione
molare del dato gas. Osservazione che ci servirà nel calcoli
ingegneristici.

Possiamo fare tesoro della legge di Dalton per dire che: yk = nk \ ntot = pk \ p

Da qui possiamo esplicitare la concentrazione massica partendo dalla sua definizione xm:

Al numeratore troviamo: Mk (soprassegnato), massa molecolare del dato gas; nk numero di moli o kilo
moli questo prodotto esprime la massa in kg del generico componente della miscela.
A denominatore troviamo la stessa espressione, ma sottoposta al segno di sommatoria considerato che
vogliamo calcolare la massa totale della miscela.

Se dividiamo questo secondo membro per il numero totale di moli a numeratore e denominatore,
allora il rapporto nk \ ntot corrisponde alla frazione molare, yk, sia a numeratore e denominatore.

Ecco l’espressione esplicita che


esprime la concentrazione massica di
un dato componente in funzione delle
frazioni molari del gas.
COMPOSIZIONE DELL’ARIA STANDARD
Parliamo di aria, perché le reazioni di combustione sono reazioni di ossidazione dove reagisce il C e H con
O2 con l’avvertenza che esso non lo offriamo tal quale al processo di combustione, perchè comporterebbe
un estrazione dell’O2 dall’ h2o e dall’aria con impiego tecnologico e dispendio energetico. Dunque noi
offriamo al processo di combustione dell’aria che contiene ossigeno di per sé, ma in che misura? La tabella
seguente riassume la composizione dell’aria in termini di O2 e N2.

- L’O2 è contenuto nell’aria atmosferica nella misura del 21% in volume, cioè m^3 di O2 per metro
cubo d’aria; in termini di massa nella misura del 23%, ovvero 23 kg di O2 rispetto alla massa d’aria.
- L’N2 è contenuto nell’aria in termini di volume nella misura del 79% e 77%.
L’aria non contiene solo O2 e N2, ma anche altri gas che partecipano in misura molto minore, come: l’argon
(Ar), anidride carbonica (CO2), gas ultraleggeri (Ne, Kr, NO…). Questi gas non partecipano ai processi di
combustione, ma restano neutri.
Quindi, dal momento che scriveremo reazioni chimiche stechiometriche (teoriche), possiamo considerare
l’aria costituita solo da O2 e N2.

CARATTERISTICHE DELL’ARIA STANDARD


Massa Molare \ Peso Molecolare
La calcolo come la somma delle masse
molecolari dei singoli gas per le rispettive
frazioni molari, nel nostro caso le masse
molecolari e le frazioni molari in gioco
sono quelle dell’O2 ed N2.

Costante dell’aria
Rapporto fra costante universale e massa
molare.

Densità dell’aria standard


Rapporto fra massa molare e 22.4 (m^3
kg).
RAPPORTI NOTEVOLI PER L’ARIA
Rapporto volumetrico Azoto\Ossigeno
Rapporto fra le frazioni molari o
volumetriche (dal momento in cui esse
coincidono) dell’O2 e del N2. Ciò significa
che per ogni mole di O2 o per ogni Nm^3
(normal metro cubo) di O2 che offriamo per
un processo di combustione, questi metri
cubi di O2 portano con sé ben 3.76 mol
(m^3) di N2.

Rapporto massico Azoto\Ossigeno


In termini massici l’espressione si ricava
analogamente, basta utilizzare i dati delle
frazioni massiche.

Rapporto Aria\Ossigeno
L’aria costituisce il 100% del volume stesso, mentre l’ossigeno solo il 21%. Questo rapporto in termini di
volume quantifica il numero di moli d’aria per moli di O2 offerto alla combustione. In termini massici
questo rapporto vale 4,3.

REAZIONI ELEMENTARI DI OSSIDAZIONE


Con O2 puro:
C + O2  CO2
H2 + 1\2 O2  H2O (vapore)
CH4 + 2 O2  CO2 + H2O
*CH2 + 3\2 O2 CO2 + H2O

*CH2 formula semplificata per indicare il petrolio e i suoi derivati (come il gasolio o altri prodotti combustibili). Questa
sostanza rappresenta un rapporto di 1 a 2 in termini di C e H, da qui la formula.

Dunque, per quanto visto finora Per ogni mole di O2 messo in gioco, questa è accompagnata da 3.76 moli
di N2. Inoltre la reazione che tiene conto della reale composizione dell’aria è la seguente:
C + (O2 + 3.76 N2) CO2 + 3.76 N2
L’azoto, in sede di reazioni stechiometriche, accompagna l’O2 ma non resta coinvolto dal processo di
combustione. Dunque, ciò che troviamo a sinistra della reazione (il 3.76 N2) lo ritroviamo anche a destra.
BILANCIAMENTO DELLE REAZIONI CHIMICHE
Per bilanciare le reazioni chimiche basta fare appello alla legge di conservazione della massa delle singole
specie chimiche.
Prendiamo il caso del PROPANO (C3H8):
- Ci chiediamo quante moli di O2 occorre mettere in gioco per bruciare una mole di propano. I “?”
indicano le nostre incognite.
- Procediamo mettendo delle costanti moltiplicative su ogni termine della reazione, onde poi
determinarle numericamente invocando il principio di conservazione\bilancio delle masse
atomiche: “tante masse atomiche di quella data sostanza ci sono a sinistra della reazione,
altrettante ne dobbiamo trovare a destra.”
- Per il Carbonio: c = 3a (ovvero il C è presente con 3 atomi); per l’Idrogeno ci sono 8 unità, quindi
d = 4a; per l’Ossigeno b = 5a.
- A questo punto ci troviamo di fronte a 3 equazioni in 4 incognite (a, b, c, d), adesso basta imporre
un valore arbitrario ad una di queste incognite e ricavare le altre in funzione di questa. Solitamente
si usa imporre a = 1, in questo modo b, c e d rimangono determinate di conseguenza.
- Dunque nel
caso del
propano, la
reazione
completa è
quella
riquadrata in
blu.
- Se vogliamo
rendere la
situazione più
realistica
mettendo in
gioco l’aria,
aggiungiamo le
3.76 moli di N2
per ogni mole di
O2.

L’esempio del BUTANO


presente nella dispensa è esattamente analogo a questo.

Adesso ci occupiamo di una reazione chimica per noi di maggior interesse e che rappresenta la
generalizzazione delle reazioni chimiche presentate finora sotto forma di esempio.
COMBUSTIONE DI IDROCARBURI: Formula Generale
L’idrocarburo è una sostanza combustibile costituita da atomi di C e H in misura variabile, il cui simbolo è
CxHy. Al variare di x e y si genera la serie infinita di idrocarburi.
La reazione chimica di ossidazione in aria è la seguente:

- Supposta a = 1, si possono determinare di conseguenza tutte le altre incognite. Ecco la reazione


completa:

- Gli elementi che troviamo in parentesi in ambo i membri (x + y\4) sono il risultato della
quantificazione di queste costanti.
Inutile dire che da quest’espressione possiamo ricavare come caso particolare le sostanze elencate
precedentemente. Ad esempio:
Nel caso del Petrolio, CH2 x = 1 e y = 2 applicando la relazione precedente e particolarizzando questi
valori di x e y, essa mi fornisce i coefficienti moltiplicativi di ogni specie di reagenti e prodotti della
reazione.

Lo stesso procedimento lo possiamo applicare ad altri esempi come: Metano (CH4), Butano (C4H10),
Propano (C3H8).

RAPPORTO STECHIOMETRICO DI MISCELA


Parametro fondamentale per il processo di combustione. Esso rappresenta il rapporto fra la massa d’aria e
la massa di combustibile. Parliamo di massa, perché prescinde dalla condizione fisica cui si trova la data
sostanza, mentre il volume no, perché dipende da T e p.
Esplicitiamo la definizione del rapporto di miscela
in condizioni stechiometriche (ovvero teoriche)
per i nostri scopi moltiplichiamo e dividiamo a
numeratore e denominatore per la massa di O2,
mO2.
In questo modo si forma il rapporto noto, visto
pocanzi, tra massa d’aria (mas) ed mO2 uguale a
4.3, perché dipende dalla composizione chimica
dell’aria naturale.
Analizziamo l’esempio del petrolio, CH2:

- Per calcolare αs si scrive innanzitutto la reazione chimica e poi si va a vedere quanto vale il
rapporto mO2\mCH2;
- La mO2 la posso calcolare come il prodotto del numero di moli (3) per il massa molecolare (32) di
O2.
- La mCH2 la calcolo come
prodotto del numero di
moli (2) e la massa
molecolare (14, perché
C = 12 e H = 1 (ma preso 2
volte)) di CH2.

Tra i prodotti di raffineria, la


colonna di distillazione da in
uscita una serie di sostanze che possono essere liquidi o gas con un buon potere calorifero che vengono
raccolti insieme, condensati e venduti commercialmente. Il GPL è una miscela di questi gas combustibili
composto prevalentemente da Butano (30%) e Propano (70%). Per calcolare il rapporto stechiometrico di
miscela di questa sostanza basta applicare l’approccio visto prima per le singole sostanze partitamente al
Propano e Butano, salvo poi prenderle nelle rispettive proporzioni del 70% e 30%.
Questo procedimento è evidenziato dalla seguente espressione in cui si evidenziano le frazioni massiche
moltiplicate per le relative percentuali.

I rapporti di miscela che ne scaturiscono sono numeri abbastanza “grandini” (14.7; 15.6). Ciò significa che,
come anche suggerito dalle unità di misura, per ogni kg di petrolio devo offrire, in cambio di combustione,
14.7 kg d’aria; per ogni kg GPL devo offrire 15.6 kg d’aria. Quindi una quantità d’aria molto più grande
rispetto quella del combustibile che voglio bruciare.
CALCOLO DI αs

Una variante di quanto visto finora, nonché il calcolo dell’αs per combustibili di cui sia nota la composizione
in peso.

Si parte dalla definizione dell’αs e si moltiplica e divide per la massa dell’O2. In questo modo arriviamo
nuovamente al risultato: 4.3 x mO2\mb.
Questo vale per un elemento,
ma se il combustibile è formato
da varie sostanze è chiaro che
l’ultimo membro della prima
equazione va sottoposto a
sommatoria. All’interno di
quest’ultima, il rapporto
massico è stato moltiplicato e
diviso per la massa di un dato
componente della miscela, mk.
A questo punto evidenziamo la
frazione massica del k-esimo
componente rispetto alla
massa totale del combustibile
stesso, mk\mb. Questo
parametro è quello che
abbiamo nominato xk
(aggiungiamo il pedice k,
perché si riferisce al generico
componente).
La formula finale è la seguente, dove evidenziamo
un ulteriore termine, –xO2, che devo sottrarre alla
quantità di aria che la combustione richiede (nel
senso che non sono io a offrirlo dal momento che
l’O2 è contenuto nello stesso combustibile).
Determiniamo il termine mO2 \
mk per il C, H e lo S. Anche per lo
zolfo, perché è un elemento che
spesso fa parte del combustibile
e a sua volta utile alla
combustione. Esso bruciando da
luogo ad una combustione
esotermica, quindi contribuisce
alla produzione del calore.
Anche se lo ritroviamo nei fumi
sotto forma di anidridi solforosa
o solforica (SO2; SO3), le quali a
contatto con il vapore d’H2O
atmosferico, danno luogo agli acidi solforoso e solforico, altamente indesiderati.
Ecco perché il compito delle raffinerie è quello di depurare i combustibili, in particolare Carbonio e Petrolio,
dalla componente zolfo.
Qui di seguito la formula esplicita che ci permette di determinare l’αs una volta nota la concentrazione di C,
H, S, O2 del combustibile di partenza.

RAPPORTO STECHIOMETRICO VOLUMETRICO


Esso viene definito analogamente al rapporto massico, ma si riferisce ai volumi. Questa grandezza esprime
il rapporto fra i m^3 (o Nm^3) d’aria per ogni m^3 (o Nm^3) di combustibile. Questo parametro sarà utile
quando parleremo di combustibili gassosi.

- Moltiplichiamo e dividiamo per il V di O2, di modo che il primo termine rappresenti una quantità
nota, ovvero il rapporto volumetrico aria-O2 che è pari a 4.76.
- A secondo membro figurano il numero di moli di O2 e del combustibile che possiamo subito
ricavare una volta scritte le reazioni di ossidazione.
Esempio dell’H:

Nel caso di un SYNGAS (gas di sintesi a seguito dei processi in raffineria), di cui conosciamo la composizione
volumetrica, si arriva ad una scrittura perfettamente simmetrica rispetto a quella massica:
DENSITÀ RELATIVA dei combustibili gassosi
Questo termine è fondamentale ai fini della sicurezza. Essa è la densità di un combustibile gassoso rispetto
all’aria, a parità di T.
Prima si calcola questa densità di un dato combustibile e poi si confronta con quella dell’aria. I combustibili
gassosi più utilizzati sono il Metano e il GPL.
Per il Metano, CH4 possiamo calcolare questo rapporto riferendoci ai pesi molecolari, PM:
- PMCH4 = 16 (perché il C ha peso atomico 12 e l’H 1 preso 4 volte)
- PMaria = 29 (calcolato in precedenza; vedi CARATTERISTICHE DELL’ARIA STANDARD)

Ecco che γCH4 = PMCH4 \ PMaria = 0.55

Per il GPL sommando i componenti con le relative percentuali si ha che: 30% C3H8 + 70% C4H10, dunque
γGPL = (0.3 PMC3H8 + 0.7 PMC4H10) \ PMaria = 1.8
Analizzando i risultati notiamo che dal valore 0.55, il Metano è un gas più leggero dell’aria, mentre da 1.8 il
GPL è più pesante. Capiamo che quando si dovesse verificare una fuga il Metano, in quanto più leggero
dell’aria, tende a salire ed essere confinato dal soffitto. Il GPL invece tende a scendere verso il basso
depositandosi sul pavimento. Ecco che nell’atto in cui volessi predisporre uno strumento di misura che
faccia scattare un allarme, il sensore va posto in posizioni differenti in base al gas che utilizzo. Il dispositivo
di controllo culmina in una valvola d’ingresso del gas, la quale è collegata elettricamente al sensore e viene
chiusa non appena la concentrazione del gas (CH4 o GPL) supera certe soglie di rischio.

POTERE CALORIFICO
Parametro più importante atto a caratterizzare i combustibili. Esso è definito come il calore ricavabile dalla
combustione dell’unità di massa del combustibile e si misura in MJ\kg o kcal\kg o kWh\kg (unità di misura
atta ad esprimere energia). Attenzione: ci riferiamo alla massa perché è una grandezza che prescinde dalle
condizioni fisiche a cui questa massa si trova.
Per ottenere il potere calorifico secondo la definizione dovrei valutare l’energia termica associata ai fumi.
Questo lo faccio sperimentalmente raffreddando i fumi fino al primo formarsi della condensa (passaggio
allo stato liquido), ottenendo così una data quantità di calore che chiamo potere calorifico inferiore, Hi
(LHV: Lower Heating Value). Proseguendo nel raffreddamento fino a totale condensazione\liquefazione del
vapor d’H2O contenuto nei fumi (l’elemento H si ossida in H2O allo stato vapore), si ottiene tutto il calore
latente, nonché il potere calorifico superiore, Hs (HHV: Higher Heating Value).

La formula finale che ne deriva è Hs = Hi + r (ṁH2O)s  il puntino sopra la massa del vapor d’acqua presente nei fumi è un
asterisco * ; r = 2.5 MJ\kg.

r (ṁH2O)s = calore associato al calore latente del vapor d’acqua


presente complessivamente nei fumi. In realtà l’asterisco sta ad
indicare che (ṁH2O)s rappresenta il rapporto tra il vapor d’acqua o la
massa di vapore e la massa di combustibile.
Questa massa del vapor d’acqua complessivamente presente nei fumi, guardando la formula, è data sia dal
vapor d’acqua che si forma a seguito della combustione (mH2O)s, ma nei fumi c’è anche il vapor d’acqua
proveniente dall’H2O eventualmente già compresa nel combustibile di partenza (mH2O)b,
(b=combustibile).
ESEMPIO del METANO
- Si parte dalla conoscenza del potere calorifico inferiore, Hi, che si trova nelle tabelle;
- Per calcolare quello superiore, Hs, dobbiamo valutare il termine r (ṁH2O)s, dove (ṁH2O)s è dato
solo dal vapor d’acqua che si forma a seguito del processo di combustione, non essendoci h2o nel
metano di partenza. Quindi (mH2O)b vale zero.

Commento: in
questo caso Hs >
Hi nella misura di
circa il 10%, infatti
il 10% di 50 è 5
ecco che il risultato
viene 55 e
qualcosa.

ESEMPIO del PETROLIO:


Dall’ Hs notiamo un incremento dell’ordine del 4\5%, molto minore rispetto al caso del Metano. Ciò si
capisce, perché il metano è un combustibile che presenta 4 atomi di H per uno di C, mentre il petrolio
presenta solo 2 atomi di H per uno di C; dunque, essendo il metano un combustibile più idrogenato del
petrolio avrà nei fumi una maggior quantità di vapor d’acqua che poi innalzerà il suo potere calorifico
superiore alquanto rispetto quello inferiore.
POTERE CALORIFICO DEI PRINCIPALI COMBUSTIBILI
Questa tabella ci sarà utile più
avanti per semplificare qualche
calcolo. Essa ci mostra per ogni
combustibile il potere calorifico
inferiore, Hi; l’alfa stechiometrico,
αs; il rapporto fra il potere
calorifico superiore e l’alfa
stechiometrico, Hi\αs. Questo
rapporto è alquanto stabile,
dell’ordine di 3 per tutti i
combustibili:

Hi\αs = 3 MJ\kga = 3000 kJ\kga

POTERE CALORIFICO DI UN COMBUSTIBILE GASSOSO


Molto spesso, anziché trovarlo espresso in kJ\kg, lo troviamo in kJ\m^3 per un combustibile gassoso. Allora
nasce un problema, perché trattandosi di volume e non di massa devo esplicitare di volta in volta questo
m^3 di gas a quali condizioni di T e p lo devo riferire. Dunque, devo disporre di una formula generale che
mi permette di esprimere il potere di un combustibile una volta assegnato il potere calorifico in
determinate condizioni di T e p assegnate, per poterlo convertire in potere calorifico riferito a condizioni
normali di T e p (Tn=273.15 K; pn=1.013 bar).
Questo problema lo risolviamo ragionando a parità di potenza termica prodotta. Moltiplicando una certa
quantità di combustibile in termini massici (potata massica espressa in kg o kg\s) per il Hi (espresso in
kJ\kg) ottengo una certa potenza termica che esprimerò in kW.
Questa stessa potenza termica erogata la posso pensare prodotta da una portata volumetrica di un gas
espressa in Nm^3 \s che per ottenere sempre kW bisogna moltiplicarla per un Hi espresso a sua volta in
kJ\Nm^3 in condizioni normali (n).

Posso ottenere questi kW anche da una portata espressa in m^3\s, dove il gas si trova in condizioni di T e p
generiche; quindi essa dev’essere moltiplicata per un Hi espresso in kJ\m^3, dove il m^3 corrisponde alla T
e p assegnate.
Quindi c’è una certa equivalenza grazie alla quale posso ricavare una formula di passaggio. Basta isolare gli
ultimi 2 membri dell’equazione soprastante e ricavare il potere calorifico inferiore nelle condizioni di T e p
assegnate in funzione del resto.
Notiamo da questa nuova equazione un
rapporto volumetrico che posso
esprimere come prodotto fra portata
massica e volume specifico in c.n. a
numeratore e in condizioni generiche a
denominatore. Posso elidere la portata
massica, perché in questo processo non
ci sono né estrazioni né inserzioni di
massa. Dunque resta un rapporto fra i
volumi specifici ciascuno dei quali
esplicito con la legge dei gas. Il risultato
270 K\bar proviene dal rapporto Tn\pn,
da qui ne deriva la formula esplicita che
mi permette di passare da un’unità di
misura all’altra.

SEZIONE DI EFLUSSO PER METANO E GPL


Se fino a qualche tempo fa si usavano le bombole del gas GPL, oggi c’è Metano. Quest’ultimo lo utilizziamo
nelle nostre caldaie per riscaldare o nelle cucine per la cottura dei cibi. Ma dal passaggio da GPL a Metano
che ne è stato degli ugelli, ovvero gli elementi terminali dai quali questo gas viene erogato e a partire dai
quali il gas brucia? Vediamolo con un esercizio.
Ecco un ugello, condotto presso il quale il gas transita
ad una certa velocità w prima di incontrare l’aria,
realizzare la combustione e produrre potenza termica
Q; esso presenta una sezione S.
Problema: capire nel passaggio da GPL a metano come
cambia questo ugello, ovvero che relazione c’è fra queste due sezioni di efflusso.
- Ragioniamo a parità di potenza termica erogata Q e velocità w per confrontare la sezione di
efflusso dei due combustibili.
- Imponiamo che Q sia lo stesso. Esso è dato moltiplicando la portata volumetrica V˙ per il Hi*
volumetrico (MJ\Nm^3). La portata volumetrica V˙ (V punto) la esplicitiamo in base all’equazione di
continuità: w (velocità di transito) x S (sezione). Quindi scriviamo:
- Dato che i gas sono due e volendo ragionare a parità di velocità e
potenza resa si ha che:
Q = wS1(Hi*)1 = wS2(Hi*)2
- Da questa si ottiene che il rapporto tra le sezioni di efflusso dei due gas è pari al rapporto inverso
dei Hi* degli stessi:

Sostituiamo i numeri.
- Considerato che il GPL risultante dalla seguente miscela in volume è:
GPL = 70% Propano + 30% Butano
- Avendo i seguenti dati: (Hi*)C3H8 = 90.84 MJ\Nm^3; (Hi*)C4H10 = 118.4 MJ\Nm^3
- Risulta che:

Per assicurare al nostro dispositivo la produzione di potenza termica Q di cui necessita (quella per la
quale è stato dimensionato il sistema), nel passaggio da GPL a CH4, la sezione di efflusso deve essere
circa 3 volte più grande di quella che l’ugello predisponeva quando transitava GPL.
In questo modo abbiamo dimensionato la sezione di efflusso adatta per fra transitare Metano.

ECCESSO D’ARIA
Il rapporto di miscela aria-combustibile e l’αs di cui abbiamo parlato finora erano quelli stechiometrici,
cioè una combustione che avviene con la cosiddetta aria “teorica” e strettamente necessaria. Ma nella
realtà la combustione avviene:
- In tempi brevissimi (ossidazione da parte dell’O2);
- In spazi angusti e limitati (pensiamo alla camera di combustione o al focolare della caldaia o allo
spazio confinato fra cilindro e pistone);
- In ambienti a T non uniforme (in quanto nel focolare non tutti i punti si trovano alla stessa T).
Consideriamo il fatto che se combustibile e comburente si incontrano in un ambiente a T inferiore a
certe soglie (quella di accensione), essi non reagiscono e la combustione non avviene.
A seguito di queste considerazioni, non è sufficiente alimentare una buona combustione solo con l’aria
indispensabile che abbiamo visto finora. In altri termini, per aumentare la probabilità che combustibile
e comburente reagiscano è necessario operare una combustione con eccesso d’aria.
Ecco la quantità d’aria che dev’essere
fornita, ma, ovvero la massa d’aria
stechiometrica, mas + aliquota
ulteriore, ∆ma.
Riordinando i termini si ottiene una scrittura con due nuovi parametri, ε (eccesso d’aria) e λ (indice di
eccesso d’aria, sempre > o = 1).
Questi due parametri non si posso determinare con leggi o equazioni, ma sono suggeriti dalla pratica.
Ecco dei valori tipici.
Notiamo che le
percentuali
aumentano dall’alto
verso il basso, questo
per via della facilità
progressiva che si ha
per far incontrare
combustibile e
comburente passando
da combustibili
solidi liquidi gassosi; dunque passando dal solido gassoso l’eccesso d’aria ε va diminuendo.

NB: Nelle nostre caldaie l’ε è dell’ordine del 10%.

Ecco che se volessimo fare una descrizione ancor più realistica della reazione\equazione di ossidazione
prendendo il caso di un idrocarburo (caso più generale), essa dev’essere corretta aggiungendo l’indice di
eccesso d’aria λ che moltiplicherà tutti i termini rappresentativi dell’aria al fine di amplificarne la quantità
per una buona combustione:

APERTURE DI VENTILAZIONE
Pensiamo ad un edificio che necessita di riscaldamento a cui si
provvede con una caldaia. Indipendentemente dalla sua taglia,
cosa importante è attenzionare la giusta quantità di aria che le
serve per una buona combustione.
Dunque nel locale caldaia bisogna assicurare, per il transito
dell’aria, un’apertura di ventilazione con una sezione di passaggio
dell’aria S.
Dimensioniamo la sezione al fine di un corretto passaggio dell’aria
conoscendo la potenza termica e il rendimento termico del
generatore.

- Uso la relazione della portata massica del combustibile, ṁb, che lega il consumo di combustibile
alla potenza termica della caldaia, al rendimento di caldaia e al potere calorifico. Questa relazione
discende dalla definizione di rendimento di caldaia che vedremo più avanti.
- Ora combiniamo
questa relazione
con quella che
esprime la
portata
volumetrica
dell’aria
comburente
(m^3\h) che
posso calcolare
come rapporto
fra la portata
massica (kg\s) e la densità dell’aria (kg\m^3). Dunque questo rapporto esprime i m^3\h d’aria che
devo immettere nella caldaia.
- Adesso moltiplico e divido per ṁb e ci accorgiamo che possiamo sostituire il rapporto ṁa\ṁb con
λαs.
- Infine per dimensionare la sezione di passaggio dell’aria, riscrivo la formula della portata
volumetrica secondo l’equazione di continuità, combino le due equazioni e ricavo il rapporto fra S
e Q, trovando così i m^2 da riservare all’aria per kW di potenza istallata.

Dunque questa formula sintetica mi sarà di aiuto per il dimensionamento delle aperture di ventilazione
delle caldaie di assegnata potenza.

Basterà sostituire tutti i valori tipici:

Il valore tipico di λ è dell’ordine del 10%; la densità dell’aria è 1.29 quando la T esterna è di 0°C e ci
troviamo a livello del mare; il rendimento della caldaia è dell’ordine del 90%; la velocità di transito
attraverso la sezione la impongo io secondo un valore tipico di mezzo metro al secondo; infine il
rapporto Hi\αs lo vediamo nella tabella precedente.
Dunque mettendo insieme questi dati otteniamo il risultato finale. Cioè, per assicurare aria nelle
condizioni ordinarie bisogna disporre di una sezione di 6 cm^2\kW.
Adesso basta moltiplicare questo numero ricavato per la potenza della caldaia assegnata, ad esempio
da 10 kW, dunque la sua sezione di transito dell’aria sarà di 60 cm^2 (6x10).
PRODUZIONE DI FUMI
Bilancio di massa dei fumi. Facciamo riferimento a questa figura che rappresenta il
corpo caldaia col suo bruciatore sulla sinistra che riceve in ingresso dall’esterno la
massa d’aria ma, quella di combustibile mb e in uscita da luogo alla massa di fumi mf.

- Stabiliamo subito il bilancio di massa: la massa totale dei fumi è data dalla
somma della massa del combustibile + quella
dell’aria. Mettiamo in evidenza mb e
consideriamo che la quantità in parentesi
ma\mb è pari a λαs. Per scopi di calcolo portiamo mb a
denominatore ottenendo la massa dei fumi per ogni kg di
combustibile.

- Stabiliamo il volume dei fumi: lo


calcoliamo come rapporto fra
massa e densità dei fumi stessi. La
prima la ricavo tramite la
relazione precedente; la seconda
è data dalla massa dei fumi sotto
sommatoria (perché essi sono dati
da un certo numero di
componenti. Vapor d’acqua, CO2,
N2, aria, O2 libero…) diviso
22.4(kg x kmol \ Nm^3 x kmol).
- Esplicitiamo yi che per definizione
è dato dal rapporto fra ni ed il numero totale dei fumi ntot. Ecco
che otteniamo la formula riquadrata che ci da il volume dei fumi
per unità di massa di combustibile (Nm^3 per kg di combustibile
bruciato).

Per i combustibili gassosi è utile anche il rapporto volumetrico dato dai


Nm^3 di fumi per Nm^3 di combustibile. Inoltre dall’espressione
precedente otteniamo la densità del combustibile (peso molecolare
diviso volume molare). Ecco che si arriva all’ultima formula riquadrata di
interesse pratico.
Calcoli di esemplificazioni dei due parametri appena esaminati.

ESERCIZIO 1
Calcolo della produzione volumetrica dei fumi per un idrocarburo liquido. Ecco il caso del petrolio CH2:

Si scrive la reazione di ossidazione


in presenza d’aria e in suo eccesso
per la presenza di λ, per poi
calcolare i termini che sono figurati
nell’espressione precedente e
comporli tutti secondo il rapporto
Vf\mb al variare dell’indice di
eccesso d’aria, λ. Al crescere di
quest’ultimo la produzione di fumi
aumenta linearmente.

ESERCIZIO 2
Calcolo della produzione volumetrica dei fumi per idrocarburi gassosi. Ecco il caso dei 3 idrocarburi di
maggior interesse: Metano, CH4, Propano, C3H8 e Butano, C4H10.
Questa tabella la consultiamo di volta in volta secondo x e y da attribuire al relativo combustibile in modo
da ottenere tutti i termini necessari per comporre la formula della produzione volumetrica.

Pag. 20
Per sapere quanti fumi stechiometrici si producono per unità di calore reso (in Nm^3\MJ), si dividono gli
stessi in Nm^3\Nm^3 per il potere calorifico del rispettivo combustibile.
Utilizzando i dati della tabella si può costruire un diagramma grafico. Da qui si notano quanti fumi in Nm^3
si producono per ogni Nm^3 di combustibile bruciato.
- Innanzitutto mettiamoci su un indice di eccesso d’aria che esprima
un valore tipico in questi casi dell’ordine del 10%, ad esempio λ=1.1.
- Così dal grafico notiamo che il Metano ha una produzione di fumi
molto minore di quella del GPL. Ciò ci spiega come nelle nostre case si è
passati da GPL a Metano. Abbiamo sostituito gli ugelli nella caldaia e nella
cucina, ma non siamo intervenuti sulla canna fumaria, perché la
produzione di fumi del Metano è inferiore di quasi 3 volte di quella che
darebbe luogo il GPL a parità di potenza termica resa dai dispositivi.

Qual è l’utilizzo pratico del calcolo della produzione di fumi per idrocarburi
liquidi?
Problema: Se ho un locale caldaia, essa comporta un camino che deve
raggiungere altezze opportune per fare evacuare i fumi di combustione in
atmosfera. Quanto vale la sezione di questo camino da effettuare nel soffitto
per far sì che ciò avvenga?
- Una volta assegnato il combustibile si può utilizzare l’equazione di pag.
20 determinando tutti i termini, si calcolano i m^3 per kg di
combustibile bruciato, mb (m^3\ mb);
- Poi si moltiplica questa quantità per la portata\consumo di
combustibile bruciato ṁb (= potenza Q \ rendimento di caldaia ηc x
potere calorifico Hi).
- Ecco che si ricava la portata volumetrica:

V˙ = (m^3\ mb) x Q \ (ηc x Hi).

Questa rappresenta i m^3\h di fumi da smaltire che possiamo


correlare con la sezione S attraverso l’equazione di continuità:
V˙ = w x S S = V˙ \ w.

- Dalla sezione si risale al diametro del condotto dal momento che si tratta perlopiù di sezioni
circolari, abbiamo S=ϕπd^2\4 d = 2√(𝐒\ϕπ)
GENERATORI DI CALORE (CALDAIE)
Schematizzazione della caldaia ordinaria.
- Riconosciamo i termini: ma ed mb in ingresso dal
bruciatore; Qd (calore uscente) le perdite termiche
attraverso l’involucro della caldaia, perché seppur ben
coibentata, quando esercita presenta una T
superficiale alquanto più elevata della T dell’aria
circostante; Qb lo rappresento come calore entrante
dall’esterno, anche se in realtà proviene dalle reazioni
esotermiche che avvengono all’interno del VC; Qu,
calore utile raccolto dall’acqua, ovvero quello che,
transitando attraverso la caldaia, fuoriesce a T più
elevata rispetto a quella con cui è entrato; mf,
fuoriuscita dei fumi.
- Il bilancio energetico si conduce a partire
dall’equazione del 1° principio, dove trascuriamo i
termini cinetici e gravimetrici:

Q-P = ∑ ṁk (Hout-Hin)

P si trascura perché non vediamo potenze meccaniche nel VC; mentre figurano 1 Q entrante, Qb, e 2
uscenti, Qd e Qu; a destra dell’equazione ci sono i termini entalpici, Hin e Hout, che per ogni fluido
dobbiamo valutare quelli in ingresso e quelli in uscita. In uscita abbiamo solo i fumi con il salto di T (Tf-T0),
dove T0 è la T di riferimento dell’ambiente esterno naturale. In ingresso ci sono la massa d’aria, ma e di
combustibile, mb, ognuno con la propria portata, calore specifico e salto di T fra ingresso e uscita.

- Esplicitiamo i termini: Qb = ṁb Hi; mf = mb (1+ λαs).


- Ipotizziamo che Ta e Tb (T dell’aria di ingresso e del combustibile) siano pari a T0.
- Dunque sostituendo mf, Qb ed eliminando i salti (Tb – T0) e (Ta - T0),
riordiniamo i termini dividendo primo e secondo membro per la
portata di ṁb e otteniamo l’espressione esplicita della
termodinamica\termofisica della caldaia.
Dunque il calore utile offerto dalla caldaia all’utente è dato dalla differenza
tra il calore sviluppato (a seguito del processo di combustione), Hi, meno le 2
perdite. La prima è quella che avviene attraverso l’involucro della caldaia al
camino; la seconda è quella che avviene attraverso il camino che rilascia fumi
caldi alla temperatura Tf.

- Inoltre definiamo il rendimento della caldaia\generatore di calore ηc. Lo definiamo come il


rapporto utile ottenuto, Qu, a fronte del calore sviluppato in sede di combustione, ṁb Hi. Questa è
l’espressione operativa che discende dalla definizione di rendimento per una caldaia. Ecco che
capiamo, quando si parlava di aperture di ventilazione, da cosa deriva ṁb.
Infine ecco alcune considerazioni per massimizzare il calore utile fornito:
- Minimizzare le perdite attraverso il “mantello”, ovvero l’involucro della caldaia. Questo si fa con un
adeguato isolamento termico, quindi rivestendo la caldaia di materiali isolanti con uno spessore di
almeno 10cm.
- Minimizzare le perdite al camino intervenendo sull’eccesso d’aria che dev’essere contenuto entro
limiti ammissibili. Seppur l’eccesso d’aria migliori il processo di combustione, allo stesso tempo
produce maggior quantità di fumi che andranno in atmosfera.
- Minimizzare la T di rilascio dei fumi Tf con uno studio accurato di scambiatori di calore fumi-acqua.
Consideriamo che i fumi, oltre a contenere i gas come CO, CO2, presentano anche vapor d’acqua,
portatore di un notevole contributo entalpico associato al suo calore latente. Quest’ultimo lo
potremmo recuperare a favore dell’utenza nelle cosiddette caldaie a condensazione, evoluzione più
recente della tecnologia relativa alle caldaie.
Come fare a recuperare il calore latente associato ai fumi? Dobbiamo predisporre di uno scambiatore
secondario lato fumi, il quale raffredda i fumi fino a totale liquefazione del vapor d’acqua contenuto nei
fumi stessi.

Lezione 20 ottobre 2020


CALDAIE A CONDENSAZIONE
Come fare a recuperare il calore latente associato ai fumi? Dobbiamo
predisporre di uno scambiatore secondario lato fumi, il quale raffredda i fumi
fino a totale liquefazione del vapor d’acqua contenuto nei fumi stessi.
- Per fare queste quantificazioni bisogna tornare al bilancio energetico
della caldaia avendo cura, a secondo membro, di particolarizzare i
termini entalpici associati ai fumi (f), all’aria (a) e al combustibile (b).

- Ammesso che h0 = ha = hb aria e combustibile si trovano in condizioni


ambiente. In questo modo tutto il termine in parentesi graffa si trascura
e l’espressione si semplifica notevolmente.

- Specifichiamo la portata\massa di fumi considerando che essi sono


fatti da una parte secca (mfs) e una vapore (mH2O).

- Il salto entalpico (hf-h0) va anch’esso particolarizzato attribuendolo alla parte secca e vapore. Per
quanto riguarda la parte secca dei gas, il salto entalpico lo possiamo esprimere con un termine del
tipo CpdT, Cpfs(Tf – T0); quanto alla parte vapore dei fumi ricordiamo che va incontro ad un
particolare processo che vediamo riportato nel diagramma di Mollier.

Pag. 23
Il vapore si troverà alla
sua pressione (p parziale
del vapor d’acqua, pv) e
ad una sua T (Tsat), la
stessa dei fumi, in
quanto la parte vapore è
in equilibrio termico con
l’insieme dei fumi secchi.
Questo ci permette di
marcare il punto in blu
rappresentativo delle
condizioni fisiche del
vapore.
Passando attraverso lo
scambiatore secondario,
esso si raffredda a p
costante, pv, dal punto
blu a quello rosso (dove il vapore è allo stato di aeriforme surriscaldato e il salto entalpico,
Cpv(Tf – T0), lo calcoliamo assimilando il vapore come un gas ideale, dunque come prodotto CpdT). La
parte al di sotto della curva rappresenta la zona in cui coesistono fase vapore e liquido.
La totale condensazione del vapore la incontriamo nel punto verde; se poi questo liquido lo raffreddiamo di
qualche grado in più per raggiungere le condizioni ambiente (alla T più bassa, quella esterna) arriviamo al
punto viola.
Notiamo che il salto entalpico complessivo, (hf – ho)v, a cui va incontro il vapore è dato dalla somma di 3
contributi entalpici: il Cpv (Tf – T0) relativo al calore sensibile del vapore che produce un contributo dovuto
al raffreddamento del gas, dove si verifica un cambio di temperatura, da Tf a Tsat corrispondente alla p
parziale del vapore (ricordiamo che ad ogni isobara corrisponde una e una sola T che chiamiamo di
saturazione per quella relativa pressione); poi abbiamo la parte del calore latente, r(pv), che dipende dalla
pv; l’ultimo piccolo tratto, Cpw(Tsat – T0) relativo all’ulteriore raffreddamento del liquido. In questo tratto
l’isobara è indistinguibile dalla curva limite inferiore, dunque non è stata differenziata graficamente.
Passando alla descrizione analitica, i contributi entalpici relativi alla parte sensibile del raffreddamento del
vapore e del liquido saturo sono trascurabili rispetto al calore latente, r, dunque l’espressione si semplifica
ulteriormente.
Riordinando i termini, lasciamo a primo membro solo il calore
utile, Qu, ed eventualmente dividere per la portata di
combustibile, mb. Ecco da questa formula una
rappresentazione chiara e avanzata della risposta della caldaia
in sede di esercizio. Dunque abbiamo il calore utile dato dalla
differenza fra il potere calorifico, Hs, sviluppato in sede di
combustione, meno i termini che rappresentano le perdite:
- Il Qd rappresenta una perdita autentica, perché sono quelle al mantello;

- Il secondo termine sembra rappresentare le perdite al camino, ma parte di questo calore sensibile
associato ai fumi verrà recuperato. Lo vediamo dalla fig.2 a Pag. 23 (Caldaia con recupero del calore
dai fumi) considerando la differenza di temperatura (Tf – T0), ovvero che tra Tf e T0 (ambiente
esterno) vi è lo scambiatore di calore.
Dunque spezzando questa differenza di T, otteniamo (Tf – Tout) +
(Tout – T0), il termine che rappresenta la vera perdita è quello
legato a (Tout – T0), mentre (Tf – Tout) è proporzionale al calore
sensibile che riesco a recuperare dai fumi stessi;

- Infine l’ultimo termine, (mH2O\mb) r, rappresenta il calore latente che grazie allo scambiatore
secondario non è da considerarsi una vera e propria perdita, ma verrà recuperato in quanto lo
scambiatore recupera questo calore che verrà convogliato sul ramo di mandata e destinato
all’utenza.

Concludiamo dicendo che le perdite vere e proprie risultano quelle a secondo membro: la perdita al
camino, Qd\mb + quella al mantello (perdite irrecuperabili). Invece il calore latente e quello sensibile dei
fumi si possono recuperare attraverso lo scambiatore secondario, i quali verranno sommati al calore utile
in assenza di recupero ecco che otteniamo il calore utile totale, ovvero complessivamente ricavato
dall’esercizio della caldaia e che andrà a favore dell’utente.

Ecco che notiamo il vantaggio di utilizzare queste nuove caldaie che dispongono dello scambiatore
secondario.
Adesso ci interessiamo di problemi che caratterizzano questa nuova tecnologia.
Ad esempio, quale dei combustibili è più appropriato da utilizzare in una caldaia a condensazione?

Questa tabella ne considera 4 dei più frequenti e ne riporta: la reazione chimica; il potere calorifico
superiore corrispondente, Hs (perché del combustibile stiamo utilizzando tutto il potenziale energetico e
quello più alto che possiamo attribuire ad un combustibile è descritto proprio dall’Hs, in quanto
comprensivo del calore latente estraibile dai fumi; mentre quello inferiore manca di questo ulteriore
contributo); poi figura il parametro che ci fa valutare la produzione di vapor d’acqua dovuto a ciascuno dei
combustibili elencati, mH2O*. Ciò perché più alta è la quantità di vapor d’acqua presente nei fumi,
maggiore sarà la potenza termica recuperabile attraverso il calore latente. Dunque calcoliamo la massa
d’acqua per unità di massa (chilo) di combustibile: numero di moli, n, x peso molecolare dell’H2O \ n x
peso molecolare del combustibile. Scopriamo che tra i combustibili elencati, il Metano è quello più
favorevole da utilizzare, perché produce più massa d’H2O per kg di combustibile (2.25); infine nell’ultima
colonna viene riportato il valore che indica quanto vapor d’acqua viene trovato nei fumi per unità di
potenza termica sviluppata nella combustione (mH2O*\Hs).

SCHEMA FUNZIONALE DI UNA CALDAIA A CONDENSAZIONE


Tecnologia più avanzata
in termini di rendimento
termico e imposta per
legge quando si tratta di
ristrutturazione o
sostituzione di dispositivi
in ambito termico.
- Nel punto 2
riconosciamo il
bruciatore con le
fiammelle che si
sviluppano a
seguito della
ricezione del gas
e della
miscelazione con
aria che avviene
all’interno della
camera di
combustione
(bruciatore);
- Al di sopra abbiamo lo scambiatore principale (9.) che vede il transito dell’acqua di ingresso o di
ritorno del circuito che entra attraverso il condotto di ritorno (4.) ad una certa T ed esce attraverso
quello di mandata (1.) ad un’altra T per poi arrivare all’utenza (radiatori o scambiatori per produrre
acqua sanitaria);

- Le fiammelle prodotte dal bruciatore producono fumi caldi che arrivano allo scambiatore, cedono
gran parte del loro contenuto entalpico e si muovono nella direzione della freccia in grassetto
destinati, poi, ad attraversare lo scambiatore secondario che chiamiamo recuperatore a
condensazione (8.).
In esso avremo come fluido primario i fumi ed in controcorrente avremo l’acqua di ritorno o di ingresso che
entra dal punto 4. Quest’acqua si dirama in 2 correnti: gran parte di essa è diretta verso lo scambiatore
principale; l’altra parte viene dirottata verso lo scambiatore secondario (recuperatore), dove assorbe il
calore residuo dei fumi e viene convogliata a sua volta verso lo scambiatore principale. Infine da qui alle
utenze.
- Nel punto 6 abbiamo il ventilatore di estrazioni fumi indispensabile perché i fumi, a seguito
dell’ulteriore raffreddamento che subiscono nello scambiatore secondario (8.), si trovano nel punto
6 ad una T molto bassa tale da non garantire i tiraggio naturale del camino. Quindi questi fumi
rilasciati ad una certa T che salirebbero per convezione e tiraggio naturale, non hanno questa forza
propulsiva; dunque per convogliarli verso il camino ed espellerli è necessario un ventilatore che li
aspira e li sospinge lungo il canale del camino stesso (scarico dei fumi, 7.).

- Vediamo poi un collo d’oca che suggerisce la presenza di un condensato che verrà eliminato
attraverso lo scarico condensa (5.).

- Riprendendo il punto 8 in cui il vapor d’acqua condensa particolarmente, esso si combina con gli
ossidi di azoto indotti dal combustibile e dall’aria; questi combinandosi, appunto, col vapor d’acqua
danno luogo alle condense acide che assumono le caratteristiche di acidità (acido nitrico), le quali
tendono a corrodere il materiale metallico con cui è fatto lo scambiatore secondario. Per
contrastare quest’aggressività dell’acido nitrico, lo scambiatore dev’essere costruito con acciaio
inossidabile.

RENDIMENTO DELLE CALDAIE A CONDENSAZIONE


Il rendimento delle caldaie a condensazione oggi si presenta molto alto, anche dell’ordine di 104, 105,
106%. Il rendimento di questo tipo di caldaie risulta superiore al 100%, perché il riferimento non è il potere
calorifico superiore (come sarebbe giusto), ma il potere calorifico inferiore del combustibile. In questo caso
non tengo conto del calore latente associato ai fumi e dunque il rendimento supera il 100%.

Inoltre il rendimento delle caldaie a condensazione viene riferito al Hi anche per sottolineare che parliamo
di questo tipo di caldaie con un numero superiore al 100%. In effetti, per evitare confusione, con Hs
bisognerebbe riferire il rendimento di tutte le caldaie indipendentemente che siano ordinarie o a
condensazione. Viceversa, siccome è invalso l’uso del Hi, allora dobbiamo accettare l’idea che il rendimento
delle caldaie a condensazione sia > 100%.
FORMAZIONE DEL CONDENSATO E CAMPI APPLICATIVI DELLE CALDAIE A CONDENSAZIONE

Adesso evidenziamo dei cenni di questa tipologia di caldaie che vertono sui campi applicativi.

Calcoliamo la T alla quale si


devono raffreddare i fumi
affinché abbia luogo la
condensazione del vapore.
Dunque c’è del vapore e noi
intendiamo estrarre del calore
latente; per far ciò lo dobbiamo
condensare. A quale T mi devo
portare nel raffreddamento dei
fumi perché questo vapore condensi effettivamente?

Riferiamoci al Metano: scriviamo la reazione di ossidazione e calcoliamo la concentrazione molare del


vapor d’acqua (moli d’H2O, li leggiamo a secondo membro della reazione\numero totale di moli nei fumi,
sommiamo i coefficienti di tutti i termini del secondo membro della reazione).

Se l’eccesso d’aria si adotta normalmente col 10% e con λ=1.1 la frazione molare risulta pari a 0.174.

Per quanto riguarda la pressione parziale di questo vapore (pH2O), se i fumi si trovano alla pressione
atmosferica in una giornata a ciel sereno (1.013 bar), per la legge di Dalton essa è data dalla frazione
molare per la p atmosferica della miscela.

La T di saturazione, nonché quella alla quale a questa p il vapor d’acqua comincia a condensare, la troviamo
nelle tabelle della dispensa dove parlavamo dei diagrammi termodinamici e del vapor d’acqua. Da queste
troviamo che alla p di 177mbar la Tsat = 57°C. Ciò significa che se voglio condensare il vapor d’acqua
presente nei fumi dovrò raffreddarli portandoli a 57°C.

Questa è la base di partenza per capire le curve caratteristiche di una caldaia a condensazione.
Il diagramma mostra in
ordinate il rendimento della
caldaia (P.C.I. = percentuale
del potere calorifico inferiore)
in cui notiamo che si arriva a
valori maggiori del 100%. In
ascissa è rappresentata la T di
ritorno dell’H2O in caldaia. Si
parla di T di ritorno quando la
caldaia è inserita in un circuito
o un percorso chiuso, ma la
caldaia può essere predisposta
anche per fornire acqua calda
per uso igienico-sanitario, in
quel caso si tratta di un
circuito aperto e vi è sono una
T di ingresso dell’acqua di
rete; ecco perché è più
corretto scrivere nell’ascissa T
di ingresso dell’acqua in caldaia, in quanto si tratta di una dicitura più generale.

CURVA A curva del rendimento.

- Vediamo che al diminuire della T di ritorno (80, 70) il rendimento tende a salire seppure molto
debolmente. Ciò perché, più è bassa la T dell’H2O di ingresso in caldaia, minore è la T media del
corpo caldaia e dunque minori saranno complessivamente le sue perdite termiche, quanto meno
attraverso il mantello. Quindi è chiaro che minori perdite danno luogo ad un miglior rendimento,
perché più calore va all’utenza che non al camino.
- Dal punto blu in avanti, questa curva subisce un’impennata straordinaria, un gradiente molto più
forte del precedente. Questo perché, in corrispondenza di questo preciso punto siamo a cavallo fra
i 50 e 60°C, dunque in prossimità di quei 57°C che segnano la Tsat di inizio condensazione. Dunque
da questo momento in poi la caldaia comincia a funzionare come una vera e propria caldaia a
condensazione, mentre fino a questo punto ha lavorato come una caldaia ordinaria.

CURVA B massa di compensati (gr per kJ di compensasti che si formano). Vediamo che la curva va
crescendo.

CURVA C temperatura dei fumi. Più raffreddo i fumi, più bassa sarà la loro T quando rilasciati al camino.

Da questo si capisce qual è il campo di utilizzo elettivo (più appropriato) delle caldaie a condensazione. Per
far sì che esse rendano bene e dunque lavorino spingendo fino a condensazione del vapor d’acqua, la T
dell’acqua di ingresso o di ritorno deve essere minore di 57°C.

Le applicazioni tecnico-ingegneristiche-impiantistiche a questo scopo riguardano gli impianti che


richiedono T molto moderate dell’utenza, non di certo impianti a radiatori in ghisa o di acciaio dove la T di
ingresso al radiatore dev’essere di 70\80°C, perché poi la T di ritorno sarebbe a 60\70 e a questi valori la
caldaia non arriva a condensare (lo vediamo dalla curva B che parte al di sopra della soglia dei 57°C).
Ecco che gli elementi terminali di impianti che consentono basse T dell’H2O di ritorno sono, per esempio, i
fan-coil (radiatori attrezzati con ventilatore che realizza uno scambio termico molto efficace ed erogano il
calore richiesto a T d’ingresso molto moderate, per cui le T di uscita sono <50°C) o gli impianti a pavimento
radiante che consistono in una serpentina annegata nel solaio dove si fa transitare H2O a T moderata (max
40°C la T di ritorno sarebbe dell’ordine dei 35\36°C dunque saremmo nella zona in cui la
condensazione avviene ampiamente); ancora il riscaldamento delle piscine sportive e non termali, dove la
T dell’H2O è di 25\26\27°C, quella alla quale l’acqua stessa entra in caldaia.

Ma l’applicazione più appropriata per il riscaldamento in caldaia è la produzione di acqua calda sanitaria.
Infatti, nel caso in cui in un edificio ci fosse una caldaia dedicata completamente alla produzione di acqua
sanitaria, quella sarebbe la soluzione ottimale perché la T di ingresso in caldaia coincida con la T di rete,
nonché dell’ordine di 11\12\13°C secondo la stagione o il giro che fa l’acqua nel sottosuolo; quindi saremo
all’estremità del grafico dove la condensazione è massima e potrebbe benissimo spingersi fino a totale
liquefazione del condensato raggiungendo ordini di rendimento veramente alti (105\106%).

Con questo, però, dobbiamo stare attenti a consigliare questi elementi terminali di impianto in base alla
tipologia impiantistica in cui sono inseriti.

CAMINI
In questa pagina troviamo spiegato il comportamento del camino alla luce anche dell’equazione di Bernoulli
e a che cosa corrisponde di preciso il tiraggio del camino e la forza propulsiva che mette l’aria, ad una T più
alta della T esterna, di eseguire il percorso ascensionale verso l’alto fino al punto 2 dove vi è lo sbocco del
camino stesso. Nel caso in cui, lungo il canale del camino, ci dovessero essere perdite fluidodinamiche
gravose sarà necessario adottare un ventilatore di estrazione fumi per promuovere l’evacuazione di questi.

2.

1.
DIMENSIONAMENTO DEL CAMINO

Per il dimensionamento del camino si fa uso di diagrammi predisposti dal costruttore del canale camino.
Bisogna selezionare il diagramma in base alla T di rilascio dei fumi, entrare nei diagrammi con l’altezza del
camino e la potenza termica utile della caldaia per andare ad individuare la curva che fa per noi. Queste
curve dei diagrammi sono rappresentative della sezione del camino; se si parla poi di sezioni circolari, i
numeri accanto le curve indicano i mm del diametro della canna fumaria. Dunque la scelta da catalogo è
rapida e immediata.

CALDAIE PRESSURIZZATE CALDAIE A GAS


TEMPERATURA DI CONDENSA ACIDA
Cicli diretti a vapore
I cicli diretti sono distinti dal fluido di lavoro utilizzato, hanno come finalità la produzione di lavoro
meccanico.

Macchine cicliche. Classificazioni


Ciclo diretto: produzione di Ciclo inverso: produzione del freddo
potenza meccanica/elettrica

• il cerchio rappresenta l’insieme dei dispositivi •Il calore viene estratto dall’ambiente da
che compongono l’impianto è operano refrigerare a bassa temperatura (T1), il quale
ciclicamente per convertire in lavoro il calore previa fornitura di lavoro meccanico viene
che riceve da una sorgente ad alta rilasciato nell’ambiente naturale a
temperatura. Il calore non trasformato in lavoro temperatura T0.
viene poi dissipato come cascame termico,
rilasciato in uno degli elementi naturali come
aria o acqua

Ciclo diretto Ciclo inverso

Ruolo degli impianti a vapore


I grandi impianti sono sostanzialmente dedicati alla produzione di energia elettrica, vitale per la società
tecnologica industrializzata.

• il diagramma mostra l’andamento storico dei consumi


di energia primaria ed elettrica dai primi anni 60 agli
anni 90
Per energia primaria si intende energia che proviene
da forne fossili (carbone, petrolio, gas), ovvero le
sorgenti energetiche non rinnovabili
Ad oggi si può dire che una quota sempre maggiore di
energia primaria viene convertita in energia elettrica,
sia per la crescita della popolazione sia per le
esigenze tecnologiche che crescono
esponenzialmente

L’energia elettrica si ottiene da energia meccanica che a sua volta si può ottenere attraverso cicli termici a
partire da energia termica. Il calore a sua volta è prodotto ordinariamente bruciando combustibile, spesso
combustibili fossili non rinnovabili
Irrealizzabilià tecnica del ciclo di Carnot

Il ciclo di Carnot è il processo ciclico ideale da realizzare, definito dalla


fisica generale da due isoterme e da due adiabatiche

-Rendimento di Carnot:
•La sua efficienza, data per definizione dal rapporto tra lavoro fornito e calore assorbito

•Può essere poi esplicitata come sulla base del bilancio energetico del sistema stesso come 1-
Q rilasciato su Q fornito.
• Il calore rilasciato lo si può calcolare come il prodotto della temperatura per il salto entropico, per la
definizione della funzione entropia. Analogamente si potrà fare per il calore ricevuto dalla macchina
• Per la costituzione del ciclo di Carnot questi salti entropici sono gli stessi e nel rapporto possono
elidersi.

-Caratteristiche salienti del ciclo di Carnot:


• nella fase di fornitura e di estrazione del calore, la sorgente termica e il fluido di lavoro si devono trovare
alla stessa temperatura, pena la produzione di irreversibilità allo scambio termico
• l’espansione (2-3) e la compressione (0-1) avvengono lungo linee adiabatiche e isentropiche.

Le sostanze pure presentano due linee isoterme nella zona di vapore umido, nella zona bifase.
Potremmo pensare di realizzare un ciclo di Carnot utilizzando ad esempio acqua

Inserendo il ciclo (rettangolo) all’interno


della curva di Andrews
•il tratto 1-2 quello corrispondente alla
ricezione del calore fornito dall’esterno che
porterebbe l’acqua dalla fase liquida ad
una fase totalmente di vapore
•dal punto 2 al 3 vi è un’espansione,
poichè il punto 3 si trova a pressione più
bassa del punto 2

•dal punto 3 al punto 0 vi è una condensazione


•per chiudere il ciclo vi è una compressione dal punto 0 al punto 1

-Quali sarebbero i componenti impiantistici da utilizzare?


•dal punto 0 al punto 1 la compressione dovrebbe essere eseguita da un compressore
•dal punto 1 al punto 2 vi è la fase di raccoglimento del calore da parte del fluido di lavoro (acqua)
proveniente dalla sorgente termica che potrebbero essere i fumi prodotti da una combustione
• nella fase 2-3 vi è un’espansione da realizzarsi attraverso una turbina
•dal punto 3 al punto 0 vi è una condensazione, in quanto al punto 3 vi è una percentuale molto alta di
vapore e al punto 0 si riduce

Tuttavia tali cicli in pratica non sono tecnicamente realizzabili per i seguenti motivi:
•impossibilità di trovare sorgenti termiche a temperatura costante, poiché nel momento in cui la sorgente
termica eroga calore questa scende di temperatura
•impossibilità di trasmettere il calore tra la sorgente e il fluido di lavoro con ΔT nulli, ciò va in contrasto con
il principio della trasmissione di calore
•irrealizzabilità di espansioni o compressioni adiabatiche è isentropiche (ma solo adiabatiche), i dispositivi
(turbine e compressori) non riescono ad eseguire processi ideali (isentropici).
•impossibilità tecnica dell’espansione e della compressione di un vapore umido, pena il rapido
deterioramento dell’organo meccanico (pompa o turbina)
• impossibilità di fermare la condensazione in un punto intermedio (0) della linea di condensazione (3-0),
ossia necessità di proseguire il processo fino al totale condensazione (il punto zero deve ricondursi sulla
c.l.i.)
si deve pensare quindi di alterare questo ciclo per renderlo compatibile con le tecnologie attuali

Ciclo Rankine

•Si può pensare di operare una


condensazione fino a totale
liquefazione del vapore, dal punto 3
al punto 0 (che ora si trova sulla
curva del liquido saturo).
•il vantaggio è quello di poter
operare dal punto 0 al punto 1 con
una pressurizzazione dell’acqua
con una pompa idraulica per
pressurizzare l’acqua dalla
pressione P0 alla pressione P1
•possiamo inserire il ciclo in un
diagramma di Mollier (dove le
isobare hanno l’andamento 0-3)
•i salti entalpici che si vengono a
determinare sul diagramma di
Mollier sono molto più ampi

-Vantaggi:
• risolve il problema della condensazione parziale
• risolve il problema della compressione nella zona di vapore umido (processo 0-1 è una pressurizzazione
di liquido che può eseguirsi con una pompa)
• permane il problema dell’espansione della zona bifase 2-3
• la fornitura di calore il ciclo non viene più a tutta temperatura costante, perché nel tratto 1-1’ primo la
temperatura variabile
• il rendimento di tale ciclo vale (Pn: potenza utile netta, netta perché dalla turbina ricaviamo lavoro
meccanico mentre la pompa che deve operare tra 0 e 1 ha bisogno di lavoro meccanico)

-le potenze meccaniche sono date dai salti entalpici sulla pompa e sulla turbina tenendo conto che
entrambe operano adiabaticamente.
-Il calore fornito al sistema è fornito per riscaldare il fluido dal punto 1 al punto 2, quindi il salto entalpico
che il fluido riceve è duello che va dal punto 2 al punto 1

• come anche visibili dal diagramma, in questo tipo di cicli il salto entalpico sulla pompa è molto minore di
quello in turbina: h1-h0 << h2-h3 e quindi trascurabile rispetto a questo. Il rendimento quindi è da tutto questo
bene che cosa deriva il rendimento è dato dal rapporto del salto entalpico sulla turbina sul salto entalpico
sul generatore.
• un’espressione alternativa per il calcolo del rendimento di ciclo si può stabilire come segue:
Qout: calore rilasciato dal
condensatore nell’ambiente
esterno
Qin: calore in ingresso al sistema
-(h3-h0): processo in cui vi è trasferimento di calore che avviene a temperatura costante, quindi può essere
esplicitato come il prodotto della temperatura T0 per il salto entropico sulla base della definizione di entropia
-(h2-h1) è il salto entalpico 1-2.
- osserviamo che s0=s1 e s3=s2 (l’entropia è la stessa perché per ipotesi sono processi isentropici)

- questo rapporto è espressa da K° poiché le entalpie sono espresse da kJ/kg e le entropie sono
espresse da kJ/kg• K°. Questa temperatura è legata alle temperature nel tratto 1-2 ovvero il tatto in cui il
fluido riceve lavoro e prende il nome di Temperatura Termodinamica Media (T12)

• scrivendo il rendimento in questo modo si ha una forma che richiama quello del ciclo di Carnot.

Rimane però il problema dell’espansione in turbina, che non può essere condotta nella zona di vapore
umido (per salvaguardare la turbina l’espansione deve avvenire in maggior parte nella zona di vapore
surriscaldato)

Ciclo Hirn
• le turbine a vapore funzionano
correttamente quando
l’estrazione avviene nella zona
del vapore surriscaldato (privo
di particelle di liquido). Ciò che
si può ottenere facendo partire
l’espansione dal punto 2.
• la potenza meccanica
generata aumenta rispetto al
caso del ciclo di Rankine
perché è maggiore il salto
entalpico sulla turbina
; però è anche maggiore è la quantità di calore che bisogna fornire al
ciclo (linea 1-2).
• il rendimento di impianto è comunque maggiore del ciclo di Rankine per via della più alta “temperatura
termodinamica media” con quel calore viene fornito al ciclo
• il rendimento del ciclo vale:

-Al numeratore può essere ancora trascurato


il salto entalpico sulla pompa

Calcoli Tecnici
I bilanci energetici sui singoli componenti si eseguono a partire dall’equazione di Primo Principio,
considerando trascurabili i termini cinetici e gravimetrici rispetto al termine entalpico.
Vincoli tecnologici degli impianti a vapore
Per meglio comprendere l’evoluzione dei cicli a vapore verso più alti rendimenti verso più grande potenza
meccanica astratta, si parte dalla considerazione di ciclo Hirn e si osservi che in generale:

1. Il rendimento del ciclo è proporzionale alla temperatura termodinamica media (T12)


• per innalzare la temperatura termodinamica media si può pensare di elevare la temperatura T2 di
ingresso del vapore in turbina. A tutt’oggi problemi di resistenza dei materiali limitano a circa 550°C.
Oltre tale limite, a contatto col vapore ad alta temperatura, i comuni acciai ferritici si deteriorano,
mentre il ricorso ad acciai austenitici è problematico per motivi di costo.
2. La potenza astratta è proporzionale all’area del ciclo. Più estesa è l’area del ciclo tanto maggiore
sarà il lavoro che l’impianto può rendere

• per estendere l’area di ciclo, le azioni utili possono essere a) abbassamento della pressione di
condensazione (po) b) innalzamento della pressione al generatore (p1).

Vincoli di queste strategie:

• l’abbassamento della po è vincolato dalla temperatura ambiente Ta. Per


assicurare buone condizioni di smaltimento del cascame termico e non
eccessive dimensioni del condensatore deve risultare To-Ta≈10÷20°C
diminuendo eccessivamente questo salto termico finiremo per dilatare
notevolmente le dimensioni del condensatore, e non si potrebbe andare
al di sotto della temperatura dell’ambiente naturale

• la temperatura dell’ambiente naturale (acqua di fiume, di mare, o aria)


è dell’ordine dei 290°K, quindi To≈300÷310°K cui corrisponde una
po≈0.03÷0.06 bar.

• l’innalzamento della p1 a parità di T2 comporta sempre minori titoli di


fine espansione, con crescente deterioramento delle condizioni di
funzionamento della turbina accorciamento della sua vita utile il titolo di
fine espansione è opportuno che sia x3>0.88

•il problema del titolo x3 si risolve con i cicli a doppio surriscaldamento

Cicli Hirn a doppio surriscaldamento

• Nell’assetto con un solo surriscaldamento non sempre si riesce a garantire che tutta l’espansione
avvenga nella regione del vapore surriscaldato. Gli ultimi stadi della turbina vapore (TV) vanno soggette a
“pitching” (erosione dovuta alle particelle di liquido che, colpendo la superficie delle pale ad alta pressione
e ad alta velocità, ne alterano il profilo aerodinamico e provocano irregolarità di funzionamento, perdite di
rendimento ecc.)

• per limitare l’inconveniente si ricorre ai cicli Hirn con doppio surriscaldamento. A beneficiarne è anche il
rendimento di ciclo in quanto aumenta, rispetto al caso precedente, la temperatura termodinamica media di
fornitura del calore.
• l’espansione della turbina viene fatta in due fasi. Il
vapore che proviene dal generatore arriva nella
turbina di alta pressione, si espande (dal punto 2 al
punto 3r), poi viene riconvogliato nel generatore di
vapore dove viene nuovamente surriscaldato (dal
punto 3r al punto 4), e poi arriva nella turbina di bassa
pressione per completare l’espansione fino all’isobara
inferiore.

• in questo modo si ottengono due vantaggi: si garantisce la vita tecnica della turbina evitando che
l’espansione penetri nella zona di vapore umido, e un incremento di impianto.
Generatore di vapore
• costituito dalla zona dei bruciatori che ricevono aria e combustibile, li
mescolano insieme, e iniettano questa miscela nella camera di
combustione. Qui si sviluppano i fumi caldi che tendono a salire. Si ottiene
una produzione di calore radiante che va a riscaldare il fasciame tubiero
che costituisce le pareti membranate (parete di condotti metallici nelle
quali scorre l’acqua che riscaldata comincia a vaporizzare). I fumi sono poi
costretti a deviare verso un altro fasciame tubiero dove l’acqua si
vaporizza completamente fino a portarsi allo stato di vapore surriscaldato.
Il vapore surriscaldato è poi convogliato nella turbina a vapore.
I fumi, una volta esaurito il loro contenuto entalpico vengono avviati al
camino ed evacuati in atmosfera
generatore di vapore per usi
industriali Camera di combustione

•nei generatori di vapore


per usi industriali vi è la • camera di
presenza di grandi combustion
ventilatori che e con 4
convogliano l’aria nella grandi
zona dei bruciatori bruciatori
attraverso dei canali,
dove poi incontrerà il
combustibile.

• dimensioni: rispetto all’uomo è come se fossero delle


grandi architetture in acciaio, rivestite di materiali isolanti
per limitare le perdite verso l’esterno

Turbina a vapore Composta da una parte rotorica (in alto) e una parte statorica
(parte che accoglie la serie delle pale e l’albero motore). Le
pale sono di dimensione crescente. Il vapore entra nella
sezione ristretta e sospinto dalla rotazione delle pale è
convogliato verso le sezioni più grandi della turbina così da
consentirne l’espansione. Il vapore viene iniettato contro le pale
della turbina che entrano in rotazione facendo ruotare anche
l’albero motore

•da dx verso dx si hanno le sezioni di alta pressione fino ad


arrivare a quelle di bassa pressione. Vi sono i condotti toroidali
che raccolgono il vapore in fase di condensazione per avviarlo
verso il condensatore
•le sezioni sono montate in posizione contrapposta. Il
vapore entra nella sezione ristretta per poi andare in 2
direzione opposte ai fini dell’espansione. Questa
disposizione è adottata al fine di compensare le spinte
assiali che il vapore induce sull’albero motore che
tenderebbero a far scorrere l’asse della turbina.
Queste spinte si generano a seguito della quantità di moto
che genera delle forze contrapposte che si annullano
reciprocamente quindi la turbina sta in sede senza bisogno
di particolare supporti

Condensatore a fascio tubiero di ventrale termoelettrica

• Immenso scambiatore di calore realizzato con milioni


di tubi dentro ai quali scorre il vapore destinato alla
condensazione. L’acqua di fiume o mare viene aspirata
da pompe idrovore che convogliano l’acqua nel
condensatore in modo da lambire i tubi dal lato esterno,
per poi essere rilasciata di nuovo nell’ambiente.
Questi tubi convogliano vapore a pressione bassissime,
dell’ordine di 3 centesimi di atmosfera, al fine di
garantire il massimo salto entalpico possibile per
ricavare la massima potenza possibile sulla turbina.
Questo stato di depressione dei vapori nei condotti
comporta l’utilizzo di pompe a vuoto che estraggono
l’aria che tenta di infiltrarsi dalle le giunzioni e le
saldature dei condotti, erodendo una certa aliquota, ma
modesta, della produzione elettrica della centrale.
Cicli diretti a gas
Il fluido termovettore è un gas (l’aria), considerato come gas ideale

Introduzione ai cicli a gas. Regola dei prodotti in croce

Cosa succede quando si ha un ciclo termico che


si volge tra 4 trasformazioni politropiche a due a
due uguali (con esponenti a due a due uguali)
• espressione della politropica: pvn=cost
• queste 4 politropiche danno luogo ad un ciclo
termico che si svolge tra i punti 1,2,3 e 4
• le politropiche 2-3 e1-4 hanno lo stesso
esponente, come la 1-2 e la 3-4
•possiamo scrivere lungo il tratto 1-2: p1v1b=p2v 2b
(perché questo prodotto con questo esponente è
una costante

• analogamente per i tratti


2-3: p2v2a=p3v3a
3-4: p3v3b=p4v4b
4-1: p4v4a=p1v1a

• moltiplicando membro a membro avremo: v1b-a v3b-a=v2b-a v4b-a. Essendo l’esponente uguale dappertutto
possiamo eliminarlo e ricavare la seguente equazione:

v1v3=v2v4 (che lega i volumi specifici).

• riprendendo l’equazione della politropica pvn=cost ed isolando il volume specifico v=cost p-1/n e
sostituendola nella precedente, eliminando gli esponenti poiché uguali, troveremo una relazione analoga
alla precedente ma in termini di pressione:

p1p3=p2p4.

• infine moltiplicando membro a membro la relazione relativa ai volumi specifici e la relazione in termini di
pressione, e tenendo conto della legge di Boyle (pv=RT), avremo:

T1T3=T2T4
• La terna di queste tre relazioni, v1v3=v2v4, p1p3=p2p4 e T1T3=T2T4, prende il nome di regola dei prodotti in
croce

Ciclo Joule a gas


Come si struttura un ciclo termico che utilizza un gas ideale (aria).

• è composto da due isobare(2-3,


1-4) e da due adiabatiche(1-2 3-4),
che per il momento consideriamo
isentropiche per parlare di un ciclo
ideale.
Componenti termomeccanici:
• 1-2 vi è un compressore, poiché si passa da una pressione più bassa ad
una più alta
• 2-3 vi è un processo isobaro con variazione di temperatura, quindi
potrebbe esserci una sorgente esterna che trasmette calore al fluido di
lavoro tramite uno scambiatore di calore
• 3-4 vi è un’espansione, in quanto il gas passa da una pressione più alta
ad una più bassa, quindi vi è una turbina da cui si ricava lavoro meccanico
• 4-1 per chiudere il ciclo si deve operare un raffreddamento a pressione
costante il che comporta la presenza di uno scambiatore di calore che
consenta l’evacuazione del cascame termico verso l’ambiente naturale

Questo ciclo termico può anche essere pensato come un ciclo aperto

• si potrebbe pensare di eliminare lo scambiatore di calore di bassa


temperatura se si pensa di utilizzare aria atmosferica che venga
prelevata nel punto 1, compressa, riscaldata, fatta espandere in
turbina e poi rilasciata nell’ambiente come cascame termico
• il ciclo continua ad essere un ciclo chiuso poiché l’ambiente
naturale è un serbatoio termodinamico a pressione costante a tutti
gli effetti. Quindi non si viola il secondo principio della
termodinamica.
• si può anche pensare di sostituire lo scambiatore di calore nel
tratto 2-3 con un combustore il quale riceve l’aria, assunta
dall’ambiente naturale e poi compressa, e del combustibile. Questo
genera una combustione, ovvero fumi caldi, che andranno ad
espandersi in turbina generando lavoro meccanico.

• La turbina ed il compressore sono palettati sullo stesso albero perché nel momento in cui la turbina ruota
trascina in rotazione anche il compressore fornendogli tutta la potenza necessaria per svolgere la sua
funzione. Una residua parte del lavoro prodotto dalla turbina andrà a convertirsi in energia elettrica poiché
alla destra dell’albero vi sarà un alternatore dal quale uscirà energia elettrica.

-Caratteristiche energetiche di rendimento dell’impianto:


• Il rendimento del ciclo joule a gas ideale viene così espresso mettendo in evidenza un parametro più
“utile” dal punto di vista ingegneristico, mettendo in evidenza il rapporto di compressione.
Per utilizzare il rapporto di compressione ci si rifà all’equazione per i gas ideali ottenuta nel caso di processi
adiabatici e reversibili.

• il k che figura all’esponente di β nell’equazione del rendimento per l’aria è un valore noto e vale 1.4

Ciclo Joule reale


Nel caso del ciclo reale dobbiamo ricordare che né la compressione né l’espansione sono ideali, ma sono
soggette a le irreversibilità. La compressione non procede nel tratto 1-2’ ma nel tratto 1-2, l’espansione non
procede da 3-4’ ma procede con le irreversibilità fino al punto 4. Si deve ricordare anche che l’isobara
inferiore è sempre quella fissata a priori che nella realtà è l’isobara ambiente.

• i punti 2 e 4, che sono caratteristici della condizione reale, e sono


i punti di fine compressione e fine espansione, sono calcolabili con
il rendimento isentropico di compressione

• il rendimento assume quindi la forma

- Rappresentazione grafica dell’espressione del rendimento

• Il diagramma riporta l’andamento delle curve


di rendimento termico in funzione del rapporto di
compressione β.
• per ogni assegnato rapporto T3/T1 led curve
presentano un massimo che corrisponde al
rendimento massimo.
• per avere i migliori rendimenti fissati i
rendimenti isentropici influisce molto il rapporto
T3/T1
•T3 è la temperatura massima di ciclo e la
temperatura di ingresso in turbina
•T1 è la temperatura dell’aria che il compressore
aspira dall’ambiente esterno, che è una costante
che dipende dal sito, dall’ora del giorno ecc.
Sulla condizione fisica del punto 1 quindi non si
può intervenire in alcun modo.
•si può intervenire quindi sulla T3. Per migliorare drasticamente quindi il rendimento più che intervenire sul
rapporto di compressione, poichè questo sale fino ad un certo punto e poi declina, bisogna puntare su
temperature di ingresso in turbina sempre più alte.
• T1 può esse più o meno pari a 300°K, e quando il rapporto T3/T1 è pari a 3.5 T3 potrebbe essere 900 o
1000°K.
Se ci spostassimo quindi su valori di T3 pari a 1500° potremmo passare da valori massimi di 0.25 a valori
massimi di 0.35. questo migliorerebbe l’efficienza del ciclo

Tecniche per il miglioramento delle prestazioni dei cicli Joule


un modo per migliorare le caratteristiche dei cicli dal punto di vista dell’assetto impiantistico sono i cicli
rigenerativi
• le temperature di uscita dalla
turbina sono dell’ordine di 400 500°
e dovrebbero essere scaricati in
atmosfera poiché non utilizzabili
•questi possono essere utilizzati
per preriscaldare i gas in uscita da
compressore prima di mandarli in
camera di combustione, sfruttando
così il cascame termico. I gas in
uscita dal compressore possono
così riscaldarsi fino al punto 5 e si
risparmia il combustibile necessario
per riscaldare i gas dal punto 2 al
punto 5

•la fornitura di calore netta dall’esterno parte dal punto 5 e


non più dal punto 2. Quest’operazione non altera
l’operatività della turbina
• il rendimento così aumenta di diversi punti percentuali

Un’altra possibilità è quella di operare la compressione interrerfriggerata

• elevate cessionaria, con cui si opera nel primo


combustore, consente di utilizzare l’ossigeno residuo per
una successiva combustione (post-combustione CC2)
•la compressione interrefrigerata (I.R.) riduce il lavoro di
compressione
•la rigenerazione (tramite lo scambiatore rigenerativo S.R.)
contribuisce al miglioramento del rendimento
•la compressione interrefrigerata viene operata in due stadi
1-2 e 3-4.
•la fornitura di calore dall’esterno vi è sono dal punto 5 al 6
•si esegue un’espansione frazionata il cui beneficio è legato
al fatto che le isobare divergono e la somma dei salti di
temperatura tra 6-7 e 8-9 è maggiore del salto di
temperatura che si avrebbe da punto 6 all’isobara inferiore,
così migliora ancora il rendimento
• se riuscissimo quindi ad operare un numero
teoricamente infinito di compressioni e
interrefrigerazioni, e di espansioni frazionate e in più la
rigenerazione termica otterremmo un ciclo fatto da due
isobare e due isoterme (ciclo ERICSON) il cui
rendimento si dimostra essere pari a quello di Carnot

Cicli combinati Gas-Vapore


• cicli in cui possono essere utilizzati gas che
provengono da un altro ciclo e hanno una
temperatura molto elevata e quindi un alto
contenuto entalpico
• i gas sono convogliati verso un grande
scambiatore di calore (caldaia a recupero) per
alimentare un ciclo a vapore “sottoposto”, per
ottenere un vapore surriscaldato da destinare ad
una turbina per avere del lavoro meccanico da
cui avremo energia elettrica

-Quali sono i benefici?


• ciclo top: ciclo a gas. Il calore entrante è ottenuto bruciando
combustibile che solitamente è metano che genera prodotti di
combustione che vanno a lavorare nella turbina a gas
•il quadrato al centro rappresenta la caldaia a recupero.
•Q2 rappresenta sia il cascame termico proveniente dal ciclo a gas
si l’input energetico che alimenta il ciclo a vapore
•Q3 è il cascame termico rilasciato dal ciclo

• il rendimento del
ciclo combinato si
pone in funzione dei
rendimenti dei singoli
impianti se operassero
da soli
• i cicli combinati sono
più efficienti dei singoli
impianti
Ruolo dei turbogas nella produzione elettrica di potenza
A quale esigenze risponde l’elettricità in una data area territoriale?
L’elettricità alimenta principalmente le attività antropiche in generale, ovvero le utenze civili ed industriali

• la distribuzione temporale presenta


un andamento con due gobbe. La
prima è relativa alle ore prime del
mattino/giorno, dovuta agli
assorbimenti elettrici che provengono
per lo più dalle attività industriali, le
quali nel corso del giorno tendono a
declinare
• la ricrescita degli assorbimenti elettrici
è dovuta all’illuminazione delle
abitazioni e delle città

-Come servire questo fabbisogno sulla rete nazionale o territoriale?


•Pensiamo di dividere il diagramma in due parti. La parte inferiore è servita solitamente dai grandi impianti,
come centrali termo elettriche, a vapore, cicli combinati e impianti nucleari. Queste categorie di impianti
presentano una grande inerzia in quanto vi è difficoltà nella modulazione della produzione di potenza nel
tempo e vanno lasciati lavorare alla potenza nominale, ovvero quella massima, per quale sono stati
progettati.
•la parte superiore, ovvero i picchi del diagramma, vengono serviti da impianti che presentano maggiore
flessibilità in sede di avviamento e di riduzione di potenza, ovvero gli impianti idroelettrici (attraverso le
paratie della diga si può modulare la quantità di acqua che scorre verso le turbine idrauliche), gli impianti
turbogas (possono essere modulati rapidamente), impianti di pompaggio…

• gli impianti di pompaggio sono impianti idraulici


realizzati quando si dispone di due bacini idrici a
quote diverse. Questi bacini sono collegati da
condotte forzate dove all’interno dei quali si
colloca una pompa turbina, ovvero un dispositivo
che può operare da pompa o da turbina in base
alle esigenze

•Durante le ore del giorno, quando vi sono i picchi di carico di energia, il dispositivo opera da turbina.
L’acqua scorre dal bacino a quota superiore a quello a quota inferiore producendo così energia elettrica
•Durante la notte, quando il fabbisogno di energia elettrica si riduce, il dispositivo opera da pompa
trasferendo l’acqua dal bacino a quota inferiore a quello a quota superiore in modo tale da riportare l’acqua
al bacino superiore per predisporlo per coprire i picchi di carico del giorno successivo.
• nella migliore delle ipotesi il bilancio energetico stagionale o giornaliero è nullo poiché vi sono delle
perdite sia nell’uso da pompa che nell’uso da turbina per via delle irreversibilità il bilancio è moderatamente
negativo.
Applicazioni aeronautiche • Pensando ad un dispositivo in
grado di aspirare aria, compressa
poi da un compressore in modo da
portarla a livello dell’isobara (punto
2). Prima di essere aspirata dal
compressore l’aria passa per una
sezione leggermente divergente.
Questo induce una compressione
dell’aria che fa guadagnare il
gradiente di pressione del punto a
(condizioni ambiente) fino al punto
1
• la compressione da parte del compressore avviene dal punto 1 al punto 2. In uscita l’aria passa attraverso
un combustore e infine i fumi vengono fatti espandere da una turbina (3-4). In uscita questi gas si trovano
ad una pressione e velocità tale da indurre una spinta meccanica. Escono quindi ad una velocità superiore
alla velocità in ingresso.
•La variazione di velocità moltiplicata per la portata d’aria in ingresso è una quantità di moto, e la variazione
di quantità di moto è uguale ad una forza (per il secondo principio della dinamica)
•questo oggetto nel suo complesso finisce per subire una spinta, ovvero una forza che lo fa muovere.
Questo dispositivo è il motore di un aereo

Trend tecnologici delle turbine a gas

•nel corso del tempo è aumentata


drasticamente l’efficienza di questi impianti.
Negli anni 70 vi erano rendimenti dell’ordine
del 25% o 26%, ad oggi abbiamo rendimenti
del 35% o 36%
• a questo miglioramento di efficienza vi è un
incremento della potenza prodotta.

• questi progressi sono legati al miglioramento


dei materiali di cui sono costituite le pale così
da aumentare la temperatura di ingresso in
turbina

•il diagramma mostra gli incrementi di


efficienza e di potenza subiti dai cicli
semplici e dai cicli combinati negli ultimi
tempi.
CAPITOLO 8 - MOTORI ENDOTERMICI

- CARATTERISTICHE DEI MOTORI ENDOTERMICI


L’ultima categoria di tecnologie che producono energia meccanica sulla base di cicli termici sono
i motori endotermici, usualmente definiti come motori automobilistici dato che servono
principalmente nel trasporto automobilistico. Questi motori sono applicabili anche in campo
navale e ferroviario data la loro versatilità.
Negli impianti che abbiamo visto fino ad adesso (impianti a vapore e impianti a gas) la produzione
del calore da offrire al ciclo avveniva esternamente al ciclo e il fluido di lavoro si muoveva
ciclicamente attraverso i vari componenti termo-meccanici , nei motori endotermici invece la
produzione del calore avviene all’interno del dispositivo e vi è una sequenza di operazioni che
vengono eseguite sul fluido, il quale, una volta entrato all’interno del dispositivo, non si muove e
subisce i processi che servono per convertire il calore in lavoro, per questa caratteristica i suddetti
motori vengono chiamati motori alternativi.
I motori possono essere alimentati a benzina o a gasolio, e questo comporta delle differenze di
carattere costruttivo e termodinamico, ed inoltre possono essere a 2 o a 4 tempi.

- COEFFICIENTE DI RIEMPIMENTO
Un primo parametro caratteristico dei motori endotermici è il coefficiente di riempimento che
rappresenta la penalizzazione che si ha nell’immissione di carica nel sistema cilindro-pistone. La
carica è la miscela aria-combustibile.
Questa penalizzazione è dovuta al fatto
che non tutta l’aria compressa tra cilindro
e pistone può di fatto essere riempita dalla
carica, questo perché bisogna lasciare uno
spazio morto per consentire l’apertura e la
chiusura delle valvole d’aspirazione ed
espulsione.

- NOMENCLATURA DEI MOTORI ENDOTERMICI


Il motore endotermico è fondato sull’uso
del sistema cilindro-pistone, cui si
affiancano le valvole d’aspirazione e
scarico.
La corsa è la distanza tra la quota del
punto morto inferiore e la quota del punto
morto superiore e indica lo spazio
occupabile della carica.
L’alesaggio è il diametro del cilindro.
- PRESSIONE MEDIA EFFETTIVA
Questi motori eseguono dei cicli termici
rappresentabili nel piano pressione-volume di
Clapeyron.
L’area ricompresa all’interno del circuito è
proporzionale al lavoro meccanico che si può
produrre.
Un altro parametro caratteristico dei motori
endotermici è la pressione media effettiva: ovvero
quel valore costante della pressione, per il quale,
operando il sistema tra il volume minimo e il
volume massimo consentito nell’escursione del
pistone , riproduce un’area perfettamente
equivalente a quella del ciclo autentico. La
pressione ottenuta quando queste due aree sono
uguali prende il nome di pressione media
effettiva.

Per cui il lavoro netto prodotto dal ciclo lo si può esprimere come :
CONFIGURAZIONE DI UN CICLO TERMICO REALIZZATO DA UN MOTORE ENDOTERMICO:

- CICLO OTTO
Nell’immagine troviamo:
1. Il diagramma P-V che rappresenta il ciclo termico
eseguito dal motore
2. In basso lo schema funzionale
3. In aggiunta abbiamo una candela, ovvero un
dispositivo in grado di far scoccare una scintilla.
Il pistone si muove alternativamente, quindi avanti e
indietro all’interno del cilindro, da qui il nome di
motore alternativo.

COME FUNZIONA IL CICLO IDEALE:

- SEGMENTO 0-1: Aprendo la valvola di aspirazione VA si aspira la carica (con carica si intende
la miscela precostituita di aria e combustibile nelle dosi opportune), la miscela quindi penetra
nello spazio disponibile. Quest’ingresso della miscela avviene man mano che il pistone arretra
dal punto morto superiore PMS al punto morto inferiore PMI. Quando mettiamo in
comunicazione la camera di combustione con l’ambiente esterno , entrambi sono alla stessa
pressione. Il punto 1 è il punto morto inferiore PMI, il pistone non può andare aldilà di questo
punto per ragioni di limiti costruttivi.
- SEGMENTO 1-2 | COMPRESSIONE ADIABATICA ISOENTROPICA: Nel momento in cui il
pistone arriva al PMI si chiude la valvola di aspirazione , la valvola di scarico VS rimane chiusa e
quindi il pistone comincia il suo moto da destra verso sinistra, dal punto morto inferiore PMI al
punto morto superiore PMS. Il moto del pistone porta ad una compressione adiabatica
isoentropica (ideale) della miscela che noi ancora consideriamo come un gas ideale.
- SEGMENTO 2-3 | ISOCORA | RISCALDAMENTO A VOLUME COSTANTE: Quando arriva al
PMS, il gas, è nelle sue condizioni di massima compressione e si trova ad una temperatura
idonea perché allo scoccare della scintilla, la miscela possa subire il fenomeno della ignizione,
ovvero possa prendere fuoco, si infiamma. Ecco quindi che, in queste condizioni, la pressione
subisce un salto da 2 a 3 a volume costante. Il volume è costante perché il pistone resta fermo
nella posizione del PMS.
- SEGMENTO 3-4 | ESPANSIONE ADIABATICA: Avvenuta la iniezione, il pistone inizia il suo moto
retrogrado dal PMS al PMI. Si realizza quindi una espansione adiabatica.
- SEGMENTO 4-5: Quindi si apre la valvola di scarico VS e rimane chiusa la valvola di
aspirazione VA, ciò consente la fuoriuscita del gas di combustione. Quando ciò accade, vi è un
crollo della pressione a volume costante che finisce per essere coincidente con il punto 1.
- SEGMENTO 5-0: Il moto di avanzamento del pistone verso il PMS agevola la fuoriuscita del gas
che avviene a pressione costante perché la camera di combustione si trova alla stessa
pressione dell’ambiente esterno. Si tratta della stessa pressione che abbiamo registrato in fase
di aspirazione.

È chiaro che nel conteggio dei processi energetici, il tratto 0-1 e 5-0 non viene conteggiato
perché è percorso 2 volte ma in senso opposto, quindi non da contributi energetici.
Il ciclo reale presenta delle modifiche rispetto al ciclo ideale, infatti nella realtà accade che:
- in fase di aspirazione se la pressione atmosferica è a questa quota, perché di fatto il gas entri
nella camera di combustione, all’interno di quest’ultima vi deve essere una pressione minore.
Diversamente non ci sarebbe un gradiente di pressione tale da permettere l’ingresso della
carica nello spazio di lavoro.
- nel momento in cui si apre la valvola di scarico VS, la pressione crolla ma la pressione della
camera di combustione è più alta rispetto a quella che vi è all’esterno, perché diversamente i
gas non uscirebbero da soli.

- RENDIMENTO IDEALE DEL CICLO DI OTTO


L’immagine è una rappresentazione del ciclo
stesso sui piani termodinamici.
Il primo piano è quello di Clapeyron che come
variabili la pressione ed il volume.
Il secondo piano è una trasposizione dello
stesso ciclo nelle variabili di temperatura ed
entropia.

Andiamo ad esaminare questi processi alla luce del 1° Principio della termodinamica in relazione
ai sistemi chiusi. Si parla di sistemi chiusi perché una volta che la carica è all’interno del sistema
cilindro-pistone, tutto si svolge senza transiti di massa all’interno di questo spazio. Per questo
adergeremo l’energia interna e non l’entalpia:

Il tratto 2-3 è la fase di ignizione, quindi di fornitura del calore al ciclo:

Il tratto 4-1 è la fase della cessione dei cascami termici:

Il rendimento del ciclo Otto in condizioni ideali si può rappresentare come:


Piuttosto che esprimere il rendimento in funzione di un rapporto tra le temperature, possiamo
scriverlo in funzione di un parametro caratteristico della macchina, ovvero il rapporto volumetrico
cioè il rapporto tra il volume massimo e il volume minimo.

Infine:

Nella realtà i rapporti volumetrici che riusciamo a realizzare nei motori a ciclo Otto sono nell’ordine
di 10, quindi questo rendimento teorico è nell’ordine del 60%.

- CICLO DI DIESEL
Si tratta ancora di un ciclo alternativo.
Mentre il motore a ciclo Otto è ad accensione comandata (al PMS, per intervento dello
spinterogeno, scocca la scintilla), il motore Diesel è ad accensione spontanea, ossia l’accensione
avviene per ignizione spontanea della miscela, a seguito del riscaldamento di questa dovuto alla
compressione.
Il ciclo Diesel si rappresenta nel piano
analogamente al ciclo Otto. Quindi abbiamo:
-0-1: aspirazione della carica
-1-2: compressione che il pistone esegue sulla
carica
-2-3: fenomeno della ignizione che si svolge ,
molto approssimativamente, a pressione
costante
-3-4: espansione
-4-1: apertura della valvola di scarico e
fuoriuscita dei gas di combustione attraverso la
valvola stessa.

Il rendimento ideale del ciclo Diesel si calcola introducendo la solita scrittura del medesimo:
- ESPLICITAZIONE DEI TERMINI CALORE E LAVORO NEI CICLI MCI
Qui vi è una sintesi di ciò appena spiegato, utile al fine della risoluzione di esercizi:
- CONFRONTO TRA CICLO OTTO E CICLO DIESEL
Questo diagramma riporta in ascissa il
rapporto volumetrico di compressione e in
ordinata il rendimento termico. Sono
rappresentate una famiglia di curve che si
distinguono per il parametro Rc , ovvero il
rapporto di combustione:
-Nel caso del del ciclo Otto —> Rc = 1
-Nel caso del ciclo Diesel —> Rc varia entro
un range piuttosto ampio.
Parlando di rendimenti volumetrici tipici
dell’ordine di 10, quindi rendimenti tipici di
un motore a ciclo Otto, il rendimento ideale è
nell’ordine del 60%. Se invece volessimo
utilizzare dei rapporti volumetrici più alti per il
ciclo Otto, per esempio 15/20, finiremo per
ottenere solo apparentemente rendimenti più
alti. Nella realtà, usando rapporti volumetrici
più alti per il ciclo Otto, si inducono fenomeni come la detonazione. La detonazione si verifica
quando la pressione, all’interno di un ciclo Otto, aumenta oltre una certa soglia e la miscela va in
ignizione prima ancora che la scintilla scocchi . Ciò determina un comportamento anomalo del
motore che può portare alla distruzione del motore stesso. Dunque rapporti volumetrici superiori a
10, per un ciclo Otto, sono assolutamente proibitivi per il subentrare di fenomeni distruttivi come la
detonazione.
Questo problema non si pone per il ciclo Diesel. Quest’ultimo pur partendo da rapporti di
combustione più bassi, dell’ordine di 3/4, con rapporti di compressione dell’ordine di 20 finisce
per superare il rendimento ottenibile dai cicli Otto.
A livello termodinamico possiamo concludere che sia dal punto di vista teorico e anche dal punto
di vista reale , i cicli Diesel presentano un rendimento termodinamico superiore a quello dei cicli
Otto. La contropartita dei cicli Diesel è il fato che noi utilizziamo combustibili più pesanti della
benzina, come il gasolio. Quest’ultimo è un derivato petrolifero che presenta residui di zolfo
maggiori a quelli della benzina ed in sede di prodotto di combustione presenta un particolato più
consistente di quello che presenterebbe un motore a benzina. Questo indurrebbe problemi
ambientali più severi che, tuttavia, oggi le marmitte catalitiche che e i filtri anti-particolati hanno in
gran parte risolto.
I rendimenti reali ad oggi sono nell’ordine del 30% nei motori a benzina e 40% nei motori Diesel.
Ecco perché i motori Diesel hanno una taglia maggiore rispetto ai motori a benzina.

- CICLO SABATHE’
Il ciclo Sabathè approssima, in modo
migliore rispetto al ciclo Otto e
Diesel, ciò che accade nella realtà.
La particolarità di questo ciclo è
quella di avere, in sede di ignizione,
un primo tratto a volume costante e
un secondo tratto a pressione
costante, gli altri processi sono i
medesimi descritti negli altri cicli.
Nel momento in cui si effettua
l’analisi termodinamica, l’espressione
risolutiva sarà del tipo:
- BILANCI ENERGETICI IN UN MOTORE

Questo valore di rendimento ci fa vedere come, sia trattandosi di un ciclo Otto sia avendo un ciclo
Diesel, questo motore endotermico è un dispositivo di conversione termo-meccanica dalle
prestazioni molto modeste. Perché se il rendimento è del 30% , il cascame termico è del 70%.
Il motore endotermico, quindi, funziona meglio come sorgente termica e dunque come macchina
per la produzione del calore piuttosto che come macchina per sviluppare energia meccanica.
CAPITOLO 9 I CICLI INVERSI

GENERALITÀ
I cicli inversi ci permettono di ottenere la produzione del freddo tramite una serie di tecnologie di
grande interesse e che nel loro complesso rendono un grande servizio all’umanità perché con la
produzione del freddo riusciamo a far fronte a tante esigenze che vanno dal condizionamento
dell’aria, rinfrescamento degli ambienti, dei locali, fino alla refrigerazione industriale, la
congelazione, surgelazione e conservazione degli alimenti e poi nei casi delle tecnologie di basse,
bassissime temperature si opera anche nel campo criogenico, riuscendo ad indagare i misteri della
natura che si rivelano solo quando la materia è portata a bassissime temperature e, dunque,
possiamo conoscere fenomeni che altrimenti non potrebbero manifestarsi e conoscere meglio la
natura della materia. Ad ognuno di questi campi corrispondono temperature operative diverse:

• CONDIZIONAMENTO: T= 3-5 °C
• REFRIGERAZIONE INDUSTRIALE: T=0- -5 °C
• CONGELAZIONE: T=-5- -10 °C
• SURGELAZIONE: T=-20- -30°C
• APPLICAZIONI CRIOGENICHE: T=-100- -270°C
Le temperature che bisogna raggiungere sono in ogni caso inferiori rispetto la temperatura
dell’ambiente che rientra nell’ordine dei 300K e dunque circa 20 °C. Le bassissime temperature
vanno dai -100 °C fino a -270 °C (0 K).

Lo schema funzionale concettuale di base per i Cicli inversi è quello


già visto per i cicli diretti.
Se utilizziamo macchine cicliche e ad esse forniamo lavoro
meccanico da parte nostra, possiamo operare il trasporto dell’energia
termica da un serbatoio a temperatura termodinamica più bassa ad
uno a temperatura termodinamica più alta, cosa mai vista in natura
realizzarsi spontaneamente.

L’efficienza di queste macchine frigorifere è data dal rapporto tra il


risultato utile ottenuto, rappresentato dal calore Q1 ed estratto dalla
pompa a temperatura più bassa e il lavoro da fornire alla macchina
per il suo funzionamento L. Questo lavoro fornito possiamo correlarlo,
sulla base del bilancio energetico della macchina nel suo complesso,
al calore Q1 e Q2 che attraversano la macchina: L=Q2-Q1
CICLO INVERSO DI CARNOT
L’efficienza ideale è quella della macchina di Carnot inversa,
rappresentata in figura da un rettangolo nel diagramma TS, capace
di significare le trasformazioni, 2 isoterme e 2 adiabatiche, tipiche
del ciclo di Carnot. Questa volta il ciclo è però percorso in senso
antiorario, caratteristica della macchina a cicli inversi.

L’efficienza della Macchina di Carnot inversa Ɛc risponde alla definizione generale di calore
estratto diviso lavoro fornito, e sono in forma reversibile sia l’uno che l’altro. Essendo in forma
reversibile, Q1 posso scriverlo invocando la definizione di entropia quindi come prodotto tra la
temperatura T1 e ΔS, Q2 posso scriverlo analogamente. Questo ΔS, essendo comune a
numeratore e denominatore, lo posso elidere.
Le nostre macchine avranno un’efficienza Ɛ minore di quella del Ciclo di Carnot. La macchina di
Carnot può raggiungere valori. L’efficienza è data da un numero positivo, dunque sempre
maggiore o uguale a 0, in base alla differenza tra T1 e T2 quindi delle due isoterme, infatti, T2 è
sempre maggiore di T1, dunque il denominatore è sempre positivo. Ma tanto più T2 e T1 sono
prossime l’una all’altra, tanto più è probabile che questo rapporto raggiunga valori superiori a 1,
dunque non dobbiamo meravigliarci se la macchina a ciclo inverso raggiunga valori maggiori di 1.
Così dicasi anche per i cicli reali delle macchine inverse. Dunque, questo Ɛ non ha limiti superiori,
possiamo pensare di raggiungere alti valori di efficienza delle macchine frigorifere, e questa è una
grande differenza con le macchine a ciclo diretto. Infatti, le macchine a ciclo diretto, compresa
quella di Carnot, non possono raggiungere un’efficienza unitaria, invece sia la Macchina di Carnot
inversa che le macchine inverse reali possono avere efficienza maggiore a quella unitaria.
PIANI TERMODINAMICI PER LO STUDIO DEI CICLI INVERSI
Possiamo rappresentare i processi dei Cicli inversi in un piano termodinamico, usando i piani
termodinamici visti finora, in particolare il piano Temperatura- Entropia o il piano Entalpia-Entropia.
In realtà, però, nei cicli inversi troviamo particolarmente comodo rappresentare i processi nel piano
termodinamico Pressione-Entalpia.

LEGENDA:

La curva limite vista negli altri piani termodinamici si deforma quando la rappresentiamo nel piano
p,h ed assume un andamento non tanto a campana ma un suo lontano ricordo. Le famiglie di
curve sono comunque chiaramente individuabili. Un processo a pressione costante sarebbe
rappresentato da un segmento orizzontale, un processo ad entalpia costante sarebbe
rappresentato da un segmento verticale. L’andamento delle isoterme sono quelle contrassegnate
dal valore T=cost. Le linee a ENTROPIA COSTANTE hanno un andamento piuttosto verticale e si
inclinano man mano che ci sposta verso destra. Nei piani termodinamici presso l’entalpia sono
rappresentate anche le curve ISOTITOLO simboleggiate con il simbolo x=01, 03, 05 fino a x=1. Il
punto K rappresenta il punto critico. Questo diagramma è puramente qualitativo.

Possiamo osservare alcuni diagrammi di fluidi di


lavoro delle macchine frigorifere. Questi fluidi di
lavoro sono identificati da una sigla alfa-numerica
che riporta sempre una lettera iniziale R, che sta per
Refrigerante o Refrigerant, e da una sigla numerica
che la segue e che ha origine in una formula che
discende dal conteggio degli atomi di carbonio,
idrogeno, fluoro, cloro ecc.., che costituiscono la
sostanza stessa. Quello rappresentato è R22, un
fluido di lavoro molto usato soprattutto nel passato
ed ancora utilizzato nelle macchine istallate da
qualche anno, ma che oggi tende ad essere
sostituito da altri fluidi refrigeranti.
Un altro fluido usato è l’ammoniaca,
R717.
La curva limite ha sempre un
andamento vagamente a campana.
Questa curva distingue a sinistra la
zona libera dalla zona bifase e a
destra la zona bifase da quella di
vapore surriscaldato, con tutte le
famiglie di curve identificabili dalle
diciture che ogni diagramma riporta in
modo chiaro, esplicito e visibilmente
facile da cogliere anche i valori
numerici più precisi.

Il fluido refrigerante più usato delle più recenti istallazioni è R-134°.


La tabella A.8 R-134a riporta le proprietà termofisiche sulla curva limite superiore e inferiore del fluido
refrigerante R134a.
CICLO INVERSO DI CARNOT
Per costruire un ciclo inverso, partiamo sempre dall’idea che sarebbe per noi bello realizzare
anche nella realtà un ciclo inverso di Carnot e a tal proposito ritornano utili le linee a temperatura
costante che presentano le sostanze pure all’interno della zona bifase.

In questo caso il ciclo si configurerebbe con in rettangolo


disegnato all’interno della curva di Andrews, qui rappresentato
nel piano TS. Questo rettangolo lo percorriamo in senso
antiorario. Dobbiamo pensare che tutto si svolge su due
isobare distinte, come del resto lo erano i cicli diretti. La prima
isobara, di cui qui si vede il tratto isotermo 1-4, ma poi questa
isobara proseguirebbe verso l’alto a partire dal punto 4 e verso
il basso dal punto 1. L’isobara inferiore, è quella di cui in figura
vediamo solo il tratto isotermo barico 2-3. Dunque, anche per i
cicli inversi, il ciclo si svolge tra due isobare che supponiamo
assegnate a priori per il momento. Dovendo percorrere questo
ciclo in senso antiorario, dobbiamo riconoscere che dal punto
1 al punto 2, dovendo passare da una pressione superiore ad
una inferiore, ci sarà un’espansione da eseguire, che
possiamo pensare di eseguire in una turbina onde ricavarne,
se possibile, lavoro meccanico. Dal punto 2 al punto 3
abbiamo un processo di vaporizzazione che possiamo indurre
assorbendo calore dall’ambiente a temperatura più bassa che
intendo refrigerare. Dunque, estraiamo Qev, dove ev sta per
evaporatore, dall’ambiente esterno tramite uno scambiatore di
calore che lo faccia passare dall’ambiente da refrigerare fino al
fluido di lavoro per consentirgli di passare dalla condizione 2
alla condizione 3. Dal punto 3 al 4, dovrei avere una
compressione per portare il fluido di lavoro da una pressione
più bassa ad una più alta, tramite un compressore che fornisce
anche lavoro. Dal punto 4 al punto 1 dovrei procedere con
una condensazione, come indicato dal verso della freccia. Nel
punto 4, infatti, il fluido di lavoro sarebbe allo stato di vapore
puro, al punto 1 allo stato di liquido puro, processo che
avviene inserendo uno scambiatore di calore che, per
l’occasione, prende il nome di condensatore, onde trasmettere
il calore dal fluido di lavoro verso l’ambiente esterno
sottoforma di cascame termico. Trasponendo questo ciclo sul
piano ph, la sagoma del ciclo di altererebbe
corrispondentemente. Il tratto 1-4 sarebbe oltre che isoterma
anche un’isobara visto che siamo all’interno della curva dietro,
così dicasi del tratto 2-3. Il tratto 3-4 sarebbe un’adiabatica
isentropica di compressione mentre il tratto 1-2 è un’adiabatica
isentropica di espansione.

L’efficienza del ciclo inverso di Carnot è data dalla


relazione.
Il ciclo inverso di Carnot è irrealizzabile per vari motivi.
Una compressione, per esempio, dal punto 3 al punto 4 dovrebbe avvenire nella zona del vapore
umido, ovvero dove il fluido di lavoro è composto in parte di fase liquida e in parte di fase vapore. Il
vapore si può comprimere ma il liquido no, quindi questo comporterebbe un malfunzionamento, o,
peggio, un deterioramento del compressore stesso. Analogamente, l’espansione nel tratto 1-2
dovrebbe avvenire nella zona del vapore umido, la parte vapore si lascerebbe espandere, la parte
liquida no. Dunque, con i mezzi tecnici di cui disponiamo, ovvero compressore e turbina, e per
come li sappiamo costruire, questi processi non possono essere eseguiti in questa zona bifase,
pena il deterioramento e la distruzione dei componenti meccanici. Quindi un ciclo di Carnot tal
quale non lo possiamo realizzare.

Per avvicinarci a ciò che si fa nella realtà e per evitare


questi inconvenienti, dobbiamo pensare di prolungare la
fase di evaporazione almeno fino alla curva limite superiore,
in modo tale che il fluido che entra al compressore siamo
ragionevolmente sicuri che non presenti più fase liquida,
particelle di liquido, ma solo vapore che, come tale, è
comprimibile senza pregiudizio per il compressore. È chiaro
che la compressione parte da 3, ma comunque devo
raggiungere l’isobara superiore, quindi comunque dobbiamo
raggiungere il punto 4 che appartiene all’isobara superiore.
Non dimentichiamo che l’isobara che passa per il punto 1,
poi a destra si innalza vertiginosamente fino all’intersezione
dell’isobara che troviamo nel punto 4 e la cui temperatura
possiamo leggerla nell’asse delle ordinate. La
condensazione, a questo punto partirà dal punto 4 e tramite
un raffreddamento di tipo sensibile (lungo il tratto da 4 al
pallino vuoto, scendendo) raggiunge il punto di saturazione
e prosegue ulteriolmente nella zona bifase, questa volta a
temperatura costante, fino a giungere alla condizione di
liquido saturo. Dal punto 1 al punto 2 dovremmo avere
un’espansione, quella che noi di fatto utilizziamo è un
organo di laminazione, ovvero il passaggio di questo fluido
da una sezione ristretta, una valvola che determini il
processo fisico che noi conosciamo come laminazione. La
laminazione comporta la depressurizzazione e il
raffreddamento del fluido in un processo che, a conti fatti,
come abbiamo dimostrato a suo tempo, (rivedere le pagine
di applicazioni del primo principio) è un processo ad
entalpia costante, ovvero l’entalpia dello stato iniziale è
uguale a quella dello stato finale. Quindi per conoscere lo
stato finale di questo fluido refrigerante, quando sottoposto
ad un processo di laminazione, è sufficiente andare ad
individuare l’isentalpica che passa per il punto1, seguirla col
dito fino ad intersecare l’isobara inferiore che è un valore
assegnato. All’intersezione il punto 2 rappresenta lo stato
fisico di fine espansione. Attraverso la valvola di
laminazione, però, dobbiamo ricordare, che noi non riusciamo ad estrarre lavoro, in quanto, la
valvola di laminazione o il setto poroso o la sezione ristretta attraverso cui facciamo passare
questo fluido non determina produzione di lavoro come avrebbe fatto la turbina. Quindi rinunciamo
a questa possibile produzione di lavoro, ma non è una gran perdita, perché come si potrebbe
dimostrare anche solo ridisegnando questo ciclo termico sul piano di Moulier (entalpia-entropia),
questo salto entalpico è molto piccolo, praticamente nullo. l’organo di laminazione, dunque il
processo possiamo adottarlo così tal quale. Questo è il ciclo termico in una versione più realistica.

Consideriamo vari componenti termomeccanici che permettono la realizzazione pratica di un ciclo


inverso.
COMPRESSORI PER MACCHINE FRIGORIFERE
1. COMPRESSORI ALTERNATIVI (CILINDRO-PISTONE)

La forma più classica di compressore è quella che


ancora fa uso del sistema cilindro-pistone, che
abbiamo visto anche nei motori endotermici,
cilindro, pistone, moto alternativo di questo
pistone all’interno del cilindro, valcola di
asprazione, valvola di scarico, nel suo moto
alternativo il pistone comprime il vapore e arrivato
al punto morto superiore la valvola di scarico si
apre e il gas viene scaricato nell’ambiente a
pressione superiore, viene dunque pressurizzato
per una riduzione del volume. Poi c’è un
dispositivo del tipo biella-manovella che permette
di convertire il moto traslazionale del pistone nel
moto rotatorio o viceversa il moto rotatorio del
sistema biella-manovella nel moto traslazionale
del pistone. Questi compressori hanno un campo
di applicazione estesissimo che copre dalle taglie
più piccole alle più grandi e sono inoltre quelli
affermati per primi e quindi dominano ancora il
mercato.
2. COMPRESSORI A VITE

Il compressore a vite è realizzato da una


vite e una madre vite, naturalmente di
materiale metallico, che immorsano l’uno
sull’altro delle quali uno viene trascinato in
rotazione dal motore e l’altro a seguire è
coinvolto dalle spire della madrevite.
Anche qui il vapore è costretto man mano
che attraversa il corpo del compressore ad
attraversare spazi via via più piccoli e
dunque ne esce compresso, che è
l’obbiettivo che volevamo raggiungere. Oggi
utilizzati per medie- grandi taglie.

3. COMPRESSORI SCROLL

Sono l’ultima generazione dei compressori meccanici per macchine frigorifere. Sono realizzati
con l’accoppiamento di due spirali di archimede che ruotano eccentricamente l’una rispetto
all’altro. Il gas, che in effetti è un vapore, ( il termine gergale gas in questo caso per designare
un vapore tecnicamente è sbagliato ma in ambito ingegneristico ci si continua ad esprimere in
questi termini) viene coinvolto tra queste spire che lo costringono nel loro moto rotatorio
eccentrico verso volumi sempre più piccoli, sempre più bassi, così da darne in uscita un vapore
compresso. Sono compressori molto apprezzati perché stabili, silenziosi, di lunghissima ditta
tecnica come lo sono anche i compressori a vite. Utilizzati per piccole – medie taglie di impianti.
Oggi le macchine più moderne, quelle ormai largamente disponibili in commercio usano di
preferenza compressori Scroll o a vite.
4. COMPRESSORI CENTRIFUGHI

Coprono le grandissime taglie, nell’ordine di centinaia di chilowatt frigoriferi, usati nei grandi
impianti frigoriferi, per grandi magazzini frigoriferi, per la conservazione delle derrate alimentari
che funzionano su tutt’altro meccanismo fisico. Il compressore, in figura, richiama da vicino
quelli che si usano negli impianti Turbo gas, il componente è sempre quello, a meno di
adattamenti al fluido di lavoro che qui sono diversi al caso dei turbo gas.
EVAPORATORI

1. EVAPORATORI ALETTATI

Evaporatore e condensatore sono scambiatori di calore, nello specifico, quando lo scambio


termico avviene con aria, questi scambiatori di calore assumono la forma di SCAMBIATORI O
EVAPORATORI ALETTATI. Il fluido di lavoro viaggia all’interno dei condotti che sono ripiegati
ad u varie volte mentre l’aria viene soffiata da delle soffianti, dei ventilatori contro questo fascia
tubiero e passando attraverso le alettature. Nelle figure sono rappresentati evaporatori di
piccole e grandissima taglia.

2. EVAPORATORI A PIASTRA

Sono quelli che troviamo nei nostri frigoriferi domestici. Qui il fluido di lavoro si muove all’interno
di due piastre che hanno un disegno particolare tale che accoppiandole si possano creare dei
varchi, dei canali o canalicoli che permettono la circolazione del fluido di lavoro tra ingresso ed
uscita.
CONDENSATORI
Anche essi sono scambiatori di calori.
1.CONDENSATORI AD ARIA (Dry Coolers)

Lo scambio termico avviene con aria, il cascame termico viene rilasciato nell’aria atmosferico e
sono di tipo alettato. Presenti nei nostri edifici universitari.

2.CONDENSATORI EVAPORATIVI (Evaporative Coolers)

3. TORRI EVAPORATIVE (Evaporative Towers)

Servono per l’evacuazione del cascame termico dei cicli del freddo verso l’ambiente esterno
all’area atmosferica
VALVOLA D’ESPANSIONE
È l’organo di laminazione nella sua forma realistica
CALCOLI TECNICI
Relazioni che permettono di eseguire qualche calcolo tecnico di dimensionamento.

CALORE ENTRANTE ALL’EVAPORATORE. È la potenza termica che riusciamo ad estrarre


dall’ambiente da refrigerare. Si tratta di eseguire un bilancio energetico su componenti
sull’evaporatore. L’evaporatore opera tra il punto 2 e il punto 3, quindi è sufficiente ritagliare un
volume di controllo attorno all’evaporatore, e riconoscere che è presente solo un deflusso in
transito che va dallo stato 2 allo stato 3 e dall’altra parte c’è un solo calore entrante che indichiamo
con Qev. Non essendoci potenze meccaniche ed elettriche nel volume di controllo e trascurando i
termini cinetici e volumetrici rispetto a quello ottenuto ne discende questa espressione:

CALORE USCENTE DAL CONDENSATORE. Analoga è la situazione per quanto riguarda il


condensatore, variano soltanto i pedici dei termini perché lo scambiatore di calore opera dal punto
4 al punto 1.

POTENZA ASSORBITA DAL COMPRESSORE. Il compressore opera tra 3 e 4. È un dispositivo


adiabatico, quindi residua dell’equazione del primo principio solo il termine potenza meccanica. Il
salto entalpico è sempre rappresentato dalla differenza di entalpia dello stato finale e l’entalpia
dello stato iniziale.

Possiamo quantificare i parametri caratteristici della macchina una volta note la portata di fluido
che circola all’interno della macchina, m, ed il salto entalpico su cui opera il componente.
EFFICIENZA. È il rapporto tra risultato utile ottenuto che noi identifichiamo come potenza estratta
dall’ambiente esterno da refrigerare, Qev, e la potenza meccanica con cui alimentiamo la
macchina, dunque la spesa energetica a carico nostro. P è posto in valore assoluto perché se lo
mettessimo così come si presenta, essendo un termine negativo, avremo un’efficienza negativa e
ciò non va bene.
LIMITI OPERATIVI DEL CICLO INVERSO
Tutto ha origine nella scelta iniziale delle isobaresuperiore e inferiore di ciclo, per cui dobbiamo
chiederci con che criterio vanno scelte. La risposta si può dare immediatamente, riflettendo sul
processo che si svolge lungo queste isobare.

Lungo l’isobara superiore si svolge il processo di condensazione, che comporta il rilascio di


cascame termico nell’ambiente naturale. Dunque, qual è la precondizione affinché questo
cascame termico possa trasferirsi spontaneamente dal fluido di lavoro verso l’ambiente esterno?
Tra questi due elementi deve esserci un salto finito di temperatura, dunque se il cascame termico
lo destino all’aria atmosferica e in estate essa ha una temperatura di circa 40 °C, allora il fluido di
lavoro deve essere ad una temperatura di almeno 10°C superiore. Nell’immagine T0 è
rappresentativa della temperatura dell’ambiente esterno e Tc è la temperatura più bassa che si
verifichi nel processo di condensazione. Tra queste due temperature deve esserci un salto finito di
temperatura dell’ordine circa di una decina di gradi. Ecco che abbiamo determinato l’isobara
superiore di ciclo: se la temperatura esterna è 40°C, 40+10 =50°C, dunque Tc deve essere 50°C.
L’isobara corrispondente la individuiamo nella tabella delle proprietà del fluido di lavoro, una
tabella del tipo A.8, riportata in precedenza, in cui sulla prima colonna abbiamo le temperature e
nella seconda le pressioni di saturazione, ovvero la pressione alla quale coesistono fase liquida e
fase vapore. Dunque, se la temperatura che deve avere il fluido affinché questo scambi bene
calore con l’esterno è 50°C, per quel fluido la pressione è 1.31 MPa. Analogamente possiamo dire
dell’isobara inferiore. Se abbiamo bisogno di produrre acqua fredda per i nostri scopi del
condizionamento dell’aria, come vedremo a 7/8/10 gradi, affinchè questo evaporatore immerso
nell’ambiente, immerso nel serbatoio d’acqua, possa ricevere questo calore, estrarre questo calore
dal serbatoio, la sua temperatura, in figura Tev, deve essere una decina di gradi inferiore rispetto
quella esterna T0, dunque la temperatura dell’evaporatore deve essere dell’ordine degli 0 gradi. La
pressione corrispondente possiamo leggerla dalla tabella precedente con lo stesso procedimento
adottato per l’isobara superiore. Ecco le due pressioni, superiore e inferiore di ciclo, che poi mi
permettono di rappresentare il ciclo stesso.
Consideriamo la temperatura del condensatore, e supponiamo che le condizioni estive si facciano
via via più gravose. La temperatura di condensazione richiesta dalla macchina è costretta ad
innalzarsi. Il lavoro di compressione a carico della macchina stessa e dunque quello che l’impianto
richiede per funzionare, ricordando che nei cicli termici tracciati in un grafico TS il lavoro è
proporzionale all’area del ciclo, innalzandosi la temperatura di condensazione e dilatandosi l’area
del ciclo, aumenta. Aumentando il lavoro che la macchina deve effettuare e a parità di potenza
termica fornita, diminuisce il fattore di efficienza della macchina stessa. Da qui possiamo giungere
alla prima conclusione circa l’efficienza delle macchine frigorifere, ovvero che le macchine
frigorifere hanno un’efficienza che va deteriorandosi al crescere della temperatura esterna alla
quale l’impianto è chiamato a lavorare. Ci sono temperature esterne oltre la quale la macchina non
riesce ad andare, ovvero dei limiti di temperatura esterna oltre la quale la macchina va in blocco. È
clamoroso che nei momenti di massima calura estiva e dunque in quei momenti in cui è massimo il
fabbisogno di freddo, queste macchine possono probabilmente andare in blocco, perché si riduce
eccessivamente il salto di temperatura tra Tc e T0 e la macchina si autoprotegge da efficienze
troppo basse, andando in blocco. Un’altra considerazione si può fare per la temperatura
all’evaporatore, quanto più è bassa la temperatura richiesta dall’utente, tanto maggiore sarà l’area
del ciclo ricompreso dal diagramma e tanto minore l’efficienza del ciclo stesso. Dunque, la
particolarità delle macchine termiche a ciclo inverso è che risentono in modo sensibile delle
condizioni operative, sia lato evaporatore che condensatore. L’immagine ci ricorda anche che la
compressione che va dal punto 3 al punto 4 può essere isentropica e allora il punto 4 si può
determinare per semplice costruzione grafica a partire dal punto 3 tracciando la verticale fino ad
intersecare l’isobara superiore. Nella realtà, invece, ci saranno delle irreversibilità che porteranno a
spostare il punto di fine compressione dal punto 4 al punto 4I. L’esatta posizione di questo nuovo
punto è deducibile una volta noto il rendimento isentropico di compressione.

CURVE CARATTERISTICHE DELLE MACCHINE FRIGORIFERE

Le curve rappresentate sono le curve caratteristiche


delle macchine frigorifere, ovvero sono le curve che
sintetizzano il comportamento delle macchine in
funzione delle condizioni operative, qui, in particolare,
la temperatura di evaporazione e di condensazione.
Per decifrare queste curve possiamo ragionare, ad
esempio, a parità di temperature di evaporazione.
Consideriamo di aver bisogno di una temperatura di
evaporazione di -5°C, al crescere della temperatura di
condensazione aumenta la potenza assorbita e
diminuisce la potenzialità frigorifera.
Possiamo notare graficamente, guardando il grafico ph,
quello che è all’origine di questo effetto. Qui stiamo
ragionando a parità di temperatura di evaporazione, dunque
a parità di temperatura richiesta dall’utente, vediamo che
succede quando le condizioni esterne richiedono al ciclo di
adeguarsi ad una temperatura esterna via via crescente.
Questo ciclo si deforma e quindi capiamo che il salto
entalpico al compressore tende ad aumentare, e quindi
avremo maggiori assorbimenti, e il salto entalpico
all’evaporatore tende a diminuire e quindi minore potenzialità
frigorifera a favore dell’utenza. Questo doppio danno si
riflette nel coefficiente di effetto frigorifero Ɛ. Il simbolo che
abbiamo usato per esprimere l’efficienza frigorifera è Ɛ, ma la
più recente simbologia ormai universalmente riconosciuta ha
sostituito questo simbolo con EER che sono l’acronimo di
Energy Efficiency Ratio, dunque nelle più recenti normative
tecniche viene usata questa sigla, così come
nell’eserciziario.
FLUIDI FRIGORIGENI E PROBLEMI AMBIENTALI
I fluidi frigorigeni utilizzati nelle macchine del freddo sono i FREON, una categoria di fluidi che,
nella quasi totalità, non esistono in natura e sono dunque sintetizzati in laboratorio dall’industria
chimica e sono a base di molecole di Cloro (Cl), Fluoro (F) e carbonio (C), da qui la sigla di
Clorofluorocarburi (CFC). Le sigle identificative sono indicate in tabella. Vi sono sostanze che
presentano anche una o più molecole di idrogeno e dunque gli Idroclorofluorocarburi. Questi fluidi,
quando le macchine del freddo vengono dismesse, vengono rilasciati nell’atmosfera
incontrollatamente e ciò induce dei danni ambientali come, in particolare, il Buco dell’ozono. I
Clorofluorocarburi, infatti, sviluppano delle reazioni chimiche innescate dalle radiazioni solari, in
particolare dalla componente ultravioletta della radiazione solare, che portano, in ultima analisi,
alla conversione dell’ozono, un isotopo dell’ossigeno, in ossigeno. Il problema di questa
conversione la analizzeremo meglio in seguito con la climatologia. L’ozono è l’unico gas, presente
negli alti strati dell’atmosfera, che provvede a schermare il pianeta Terra dalla radiazione
ultravioletta proveniente dal sole, ovvero la più penetrante e dunque la maggiore responsabile del
danno a carico delle cellule della pelle umana e degli animali e a carico della vegetazione. Il ridursi
della concentrazione di ozono nell’atmosfera fa presagire gravissimi danni ambientali, per
rimediare ai quali la comunità scientifica ha lanciato un allarme, recepito dagli organi più alti di
governo, così che verso la fine degli anni 80 si è deciso di porre fine alla produzione dei CFC, in
favore di fluidi frigorigeni più benigni nei confronti dell’ambiente. Nella tabella sono così riportati
alcuni dei vecchi e dei nuovi fluidi frigorigeni, evidenziando l’impatto di questi sull’ambiente e la
loro responsabilità nell’assottigliamento dello strato di ozono e nella produzione di effetto serra. In
particolare, l’assottigliamento dell’ozono è espresso dalla sigla ODP (Ozone Depletion Potential),
mentre il riscaldamento globale o in altri termini effetto serra è espresso dalla sigla GWP (Global
Warming Potential). Dunque, questi CFC, una volta rilasciati in atmosfera provocano anche danni
circa il riscaldamento globale. Con gli idroclorofluorocarburi il tasso di ODP si riduce, ma rimane
alto l’indice di GWP e dunque i danni ambientali circa l’effetto serra.

Per determinare l’impatto ambientale dei nuovi refrigeranti si può utilizzare l’indice di impatto
ambientale TEWI (Total Equivalent Warming Impact):
Dove:

Il secondo termine della somma è il contributo all’effetto serra indotto dalla produzione di elettricità
necessaria al funzionamento della macchina stessa. Molte volte i due termini dell’operazione si
controbilanciano e si può valutare quanto questi fluidi refrigeranti siano stati risolutivi per l’effetto
serra. Si è visto che dal punto di vista dell’effetto serra questa sostituzione di CFC con fluidi più
benigni non è stata così benefica come per l’assottigliamento dell’ozono. Ciò avviene perché le
macchine attualmente esistenti sono quelle progettate a partire dagli anni 30 e 40 e quindi
ottimizzate per l’uso i fluidi refrigeranti di vecchio tipo. Passando ai nuovi refrigeranti queste
macchine presentano una penalizzazione sul fronte dell’efficienza che ha finito per incrementare il
tasso di GWP e dunque c’è stata una compensazione in termini ambientali complessivi.

MACCHINE FRIGORIFERE AD ASSORBIMENTO


Quelle appena viste erano macchine del freddo a compressione di vapore, in quanto il cuore
dell’impianto è il compressore che opera sul vapore e lo induce ad eseguire il ciclo termico.
Adesso discuteremo le macchine ad assorbimento. Vediamo alcune differenze tra le due
macchine:

• Nella macchina a compressione (MC) il fluido di lavoro, qualunque esso sia, il Freon ma anche
altri refrigeranti come, nei grandi impianti l’ammoniaca o la CO2, è monocomponente ovvero
una sostanza omogenea. Nella macchina ad assorbimento (MA) il fluido di lavoro è
bicomponente ovvero costituito da due sostanze distinte mescolate insieme, dunque è un
miscuglio di due fluidi diversi di cui uno molto più volatile dell’altro, come, ad esempio, acqua
ammoniaca NH3+H2O oppure acqua bromuro di litio H2O+LiBr. Essendo un fluido più volatile
dell’altro, quando riscaldiamo questo miscuglio uno dei due fluidi deve produrre velocemente i
vapori che si sollevano dal miscuglio per eseguire il ciclo termico vero e proprio. Quindi se
consideriamo NH3+H2O il fluido più volatile è l’ammoniaca, mentre nell’acqua bromuro di litio il
fluido volatile è l’acqua, essendo anche l’unico fluido in quanto il bromuro di litio è un sale.

• Nella MC l’energia fornita è il lavoro meccanico che aziona il compressore, magari in origine
energia elettrica poi trasformata in energia meccanica, mentre nelle MA è calore, infatti queste
macchine producono il freddo a partire da energia termica cioè calore. Il calore di cui hanno
bisogno non è però a basse temperature ma deve avere una temperatura T≥ 90°C. Questo
calore può essere ottenuto o tramite tecniche ordinarie, ovvero processo di combustione,
caldaie che sviluppano fumi caldi e poi attraverso scambiatori di calore questa miscela viene
riscaldata, oppure anche da cascami termici se presenti come negli ambienti industriali, oppure
ancora da cascami termici che provengono da motori a combustione interna. In questi motori il
cascame viene evacuato in atmosfera e quindi disperso, perduto definitivamente, e può essere
utilizzato per alimentare queste macchine del freddo, anche perché i cascami termici dei motori
endotermici sono a temperature anche maggiori dei 90°C, come la temperatura dei fumi che è
oltre un centinaio di gradi. Il calore può anche essere prodotto da collettori solari che in
particolare in estate possono produrre fluidi a temperatura anche superiore ai 90°C. Per arrivare
a questi risultati, i collettori solari da usare non sono quelli piani, i più comuni ed a basso costo,
ma è necessaria una tecnologia sofisticata, ovvero collettori solari ad alta efficienza, ad alta
temperatura o alta concentrazione. Sarebbe interessante produrre il freddo a partire dall’energia
solare, non solo per il beneficio da un punto di vista ambientale in quanto l’energia solare è
rinnovabile. Consideriamo, infatti, anche il vantaggio di un collettore solare che deve
provvedere al raffrescamento di un edificio. In inverno, qualora utilizzassi l’energia solare per
riscaldare gli ambienti abbiamo il problema della non congruenza temporale tra massimo
fabbisogno e minima disponibilità di energia solare e dunque devo interporre tra l’impianto
solare e l’ambiente un accumulatore termico, che accumuli sole durante il giorno e lo rilasci la
notte oppure accumuli energia solare durante l’estate e la rilasci in inverno. D’estate c’è perfetta
sincronia tra il massimo fabbisogno e la massima disponibilità di energia solare, quindi potrebbe
non esserci bisogno di accumulatore termico. Da qui l’interesse di sviluppare questa tecnologia
del Solar Cooling, raffreddamento a partire da energia solare.

Osserviamo lo schema impiantistico di una macchina frigorifera ad assorbimento.


Abbiamo un generatore, all’interno del quale
si trova la miscela, supponiamo di utilizzare la
miscela acqua ammoniaca. Forniamo al
generatore del calore proveniente
dall’esterno indicato con Qg, la miscela si
riscalda e si innalzano i vapori di ammoniaca
che si muovono verso sinistra, ovvero verso il
condensatore. Attraverso il condensatore i
vapori di ammoniaca ad alta temperatura
rilasciano calore all’ambiente esterno, Qc, e
vengono convogliati attraverso la valvola di
laminazione che provvede a raffreddarli e a
depressurizzarli, l’impianto lavora su due
livelli di pressione, evidenziati graficamente
dalla linea nera tratteggiata. Questi vapori
raffreddati e depressurizzati, in seguito al
passaggio dalla valvola, vanno all’evaporatore. Essi si trovano ad una temperatura
sufficientemente bassa da poter asportare dall’ambiente da refrigerare tutto il calore necessario,
dunque entra il calore Qev, ovvero la potenza termica resa dalla macchina. Esaurito questo compito
l’ammoniaca viene convogliata nell’assorbitore, a cui giunge anche un secondo fluido che parte del
generatore e segue il percorso individuato dai numeri 8-9-10. Questo secondo fluido è la MISCELA
POVERA, nel nostro caso è la miscela povera di ammoniaca e dunque l’acqua che era rimasta nel
generatore in seguito all’evaporazione dell’ammoniaca. L’acqua dal generatore viene convogliata
verso il basso e depressurizzata per, poi, giungere all’assorbitore che si trova a pressione inferiore.
È dunque necessaria la presenza della valvola di laminazione che depressurizza l’acqua affinché
avvenga la miscelazione tra i due fluidi. Nell’assorbitore, infatti, ammoniaca ed acqua si miscelano
e danno vita ad un processo esotermico, dunque con rilascio di calore che, deve essere asportato
dall’assorbitore e rilasciato nell’ambiente esterno. Questa macchina, dunque, rilascia nell’ambiente
due forme di cascame termico, quello proveniente dal condensatore e quello proveniente
dall’assorbitore. La miscela ottenuta deve essere riportata al generatore per chiudere il ciclo e ciò
avviene attraverso una pompa, che è adesso in grado di pressurizzare la miscela perché essa si
trova allo stato liquido. Poiché la miscela povera che viene dal generatore è ad alta temperatura,
mentre la miscela ricostituita nell’assorbitore è a bassa temperatura e dovrà essere riscaldata nel
generatore, si può interporre uno scambiatore rigenerativo. Questo scambiatore ci permette di
risparmiare una quota parte del calore da fornire dall’esterno, fornendo benefici energetici. La linea
tratteggiata rossa divide la parte sinistra dalla parte destra dell’impianto. A sinistra troviamo
condensatore, valvola di laminazione ed evaporatore, ovvero tre dei componenti che abbiamo già
incontrato nelle macchine a compressione, manca tra i componenti il compressore. Possiamo
bene comprendere che tutto ciò che si trova a destra della linea rossa svolge nelle Macchine ad
assorbimento il ruolo che svolge il compressore nelle macchine a compressione, dunque è
sostitutivo del compressore. Queste macchine sono un’alternativa a quelle a compressione e
possono trovare un appropriato utilizzo dove c’è la disponibilità di cascami termici oppure si può
pensare di produrre il calore necessario con mezzi convenzionali, come la combustione. Queste
macchine, nella realtà, più che affidarsi alla disponibilità di cascami termici, usano il calore
proveniente dalla bruciatura di gas, in particolare del metano, in quanto il metano è facilmente
reperibile, non così inquinante come altri combustibili liquidi o solidi e poi capillarmente distribuito e
dunque ampiamente accessibile. Queste macchine, dunque sono commercializzate oggi per
un’alimentazione a metano.

EFFICIENZA IDEALE DELLE MACCHINE AD ASSORBIMENTO


Per quanto riguarda l’efficienza di una macchina ad assorbimento dal punto di vista della
definizione è il solito rapporto tra il risultato utile ottenuto, ovvero il calore all’evaporatore in quanto
rappresentativo della potenza termica estratta dall’ambiente da refrigerare, e tutte le forme di
energia di cui la macchina ha necessitato per il suo funzionamento che sono il calore al generatore
e la potenza meccanica assorbita dalla pompa ovvero Qg e P. La pompa è talmente piccola che
rispetto al calore fornito al generatore la potenza fornita alla pompa ha un valore trascurabile,
quindi possiamo approssimare il denominatore al solito termine Qg.

Correliamo l’efficienza con le temperature dei serbatoi


termodinamici tra cui la macchina lavora. I serbatoi termodinamici
tra cui la macchina lavora non sono più due come nella Macchina
a compressione, ma sono tre. Il primo serbatoio termodinamico è
quello dal quale attingiamo il calore che arriva al generatore,
ovvero l’ambiente da refrigerare, la potenza termica estratta. Il
secondo serbatoio termodinamico è quello ad alta temperatura,
ottenuto bruciando combustibile o disponendo di calore di scarto,
Qg. Infine, il terzo serbatoio termodinamico è l’ambiente naturale
verso cui scarichiamo i cascami termici che hanno due origini
l’assorbitore e il condensatore, Qa+Qc. L’altro elemento di tipo
energetico che entra nel bilancio della macchina è la potenza
meccanica P che entra per alimentare la pompa e che possiamo
tranquillamente trascurare.

Su questo schema progettuale andiamo a stabilire il BILANCIO ENERGETICO: energia


complessivamente entrante uguale a energia complessivamente uscente. L’energia uscente è
Qa+Qc, mentre l’energia uscente è data da Qev + Qg + P, ma poichè P è trascurabile, l’energia
uscente sarà data semplicemente da Qev + Qg.
Effettuiamo il BILANCIO ENTROPICO, ovvero scriviamo l’equazione di Clausius in relazione a
questo schema funzionale. Essendo uno schema ciclico abbiamo integrali ciclici. Il dS è una
funzione di stato quindi il suo integrale ciclico è nullo, mentre l’integrale ciclico di dQg/T possiamo
esplicitarlo come al solito. Considerato che queste temperature si mantengono costanti, posso
esplicitare questo termine come sommatoria di rapporti tra calore e temperatura, considerando i
calori con gli opportuni segni, positivo se calore entrante e negativo se calore uscente. Di entrante
abbiamo il calore all’evaporatore Qev e la temperatura alla quale questo calore viene scambiato è
Tev e il calore Qg a temperatura Tg. Di uscente abbiamo Qc e Qa che si rapportano entrambi con
l’ambiente esterno a temperatura T0. Aggiungiamo a questo σ e tutto risulta uguale a 0 in quanto
l’integrale ciclico di dS è 0.

Combinando le due equazioni ottenute per costruirne il rapporto, otteniamo l’espressione esplicita
che correla l’efficienza di queste macchine ad assorbimento con le temperature dei serbatoi
termodinamici con cui la macchina si rapporta.

Poiché nella relazione compare anche σ, possiamo affermare che se la macchina fosse ideale
questo sarebbe nullo e rimarrebbe un’efficienza Ɛi solo e soltanto in funzione delle tre temperature
in gioco.

Il primo termine, (1-T0/Tg), è il rendimento di una macchina


di Carnot a ciclo diretto che opera tra le temperature Tg e T0,
ƞc. Il secondo termine è il rendimento di un ciclo inverso di
Carnot che opera tra T0 e Tev. Dunque, è come se fossero
disposti in cascata due cicli di Carnot, uno diretto ed uno
inverso. Quello diretto in quanto tale è capace di produrre
lavoro L, quello inverso è capace di assumere questo
stesso lavoro L e di operare il trasferimento di calore
dall’ambiente a temperatura più basso Tev verso l’ambiente
naturale a temperatura T0. Dunque, in definita l’efficienza
ideale delle macchine ad assorbimento è data dal rapporto
di queste due efficienze: Ɛi= ƞcƐc
L’efficienza di questa macchina in condizioni ideali ci permette di individuare gli ordini di grandezza
dell’efficienza di queste macchine. Inseriamo, dunque, qualche dato:
T0= 40°C=313K (consideriamo di essere in estate, e che l’ambiente esterno sia l’aria atmosferica)
Tev= 7°C= 280K (questo valore non è casuale, ma la temperatura alla quale noi ci proponiamo di
produrre l’acqua fredda conservata in un serbatoio dal quale poi attingere per fare il
condizionamento dell’aria)
Tg=110°C= 383K
Usando questi tre numeri otteniamo che il rendimento ideale di queste macchine per applicazioni
ordinarie tipiche del condizionamento dell’aria è Ɛi=1.55.
L’efficienza reale di queste macchine è, però, ovviamente minore di 1.55, circa la metà Ɛ≈0. 7
raramente arriva a 0.8.
ASSETTO IMPIANTISTICO DI MACCHINE AD ASSORBIMENTO

Immagini più realistiche delle macchine ad assorbimento: abbiamo i due serbatori, due vani che
non sono rappresentati da sfere ma da corpi cilindrici che hanno dentro ulteriori componenti e poi
troviamo varie circuitazioni. Per decifrare l’immagine aiutiamoci con le diciture e le simbologie.
Dall’immagine del generatore troviamo il fluido che sarà la miscela bicomponente, consideriamo
acqua ammoniaca, che viene condotto nella serpentina riscaldante, la quale convoglia calore, che
è stato prodotto separatamente in una parte di immagine qui non riportata, e Qg è il calore
entrante. I vapori di ammoniaca si sollevano e arrivano al condensatore, rappresentato
nell’immagine con una serpentina, per suggerirci l’idea di un vero e proprio scambiatore di calore
capace di assumere questo calore e convogliarlo all’esterno. Questa serpentina che rappresenta il
condensatore proviene dai livelli più bassi dove si ricongiunge all’assorbitore. Il fluido di
raffreddamento passa, dunque, per l’assorbitore dove raccoglie i cascami termici di questo
elemento sviluppati dalla reazione esotermica della miscela ricca e di quella povera. Poi continua
e raccoglie i cascami termici del condensatore e li scaricherà all’esterno, nell’atmosfera.
Dall’assorbitore fuoriesce il liquido ricostituito come miscela acqua e ammoniaca che, la pompa
assorbitore convoglia versa il condensatore, mentre la pompa travaso lo fa passare verso lo
scambiatore rigenerativo che lo convoglia al generatore. Confrontando le diciture e i numeri indicati
nel circuito si può ben capire il funzionamento del circuito.

Questi elementi individuati dai due cerchi dobbiamo


considerarli come sezioni della macchina vera e
propria, costituita dai due corpi cilindrici, superiori e
inferiori, con all’interno i vari componenti. Quella in
figura è una macchina ad assorbimento di grande
taglia, destinata al raffrescamento di complessi
edilizi come centri commerciali, ambienti ospedalieri
e quant’altro, quindi taglie dell’ordine di centinaia di
KW e forse qualche MW.
CHILLER A FIAMMA DIRETTA

Per i piccoli impianti, invece, quelli di taglie più piccole, quindi adatti per piccole o medie utenze, ad
esempio alcuni appartamenti o una villetta, disponiamo oggi di macchine di taglia di qualche
decina di KW quindi non proprio per un appartamento ma 3-4 appartamenti o una villetta.
Macchine che, però, possono far fronte anche a carichi termici o fabbisogni di freddo ben maggiori,
semplicemente usandone più di una in serie o in parallelo, e farle intervenire, una o più di una, a
seconda del momento e del fabbisogno istantaneo. Quella in figura è una tecnologia di cui in Italia
abbiamo il leader mondiale e che sta conquistando fette sempre maggiori di mercato
meritatamente perché notevole ed interessante.

MACCHINE BISTADIO AD ASSORBIMENTO

Da ultimo vediamo un’evoluzione di queste macchine


ad assorbimento ovvero le MACCHINE BISTADIO AD
ASSORBIMENTO. Esse sono, infatti, un’evoluzione
dello schema precedente, non ci sono due ma tre
serbatoi centrali: il generatore di alta pressione,
l’assorbitore, e in mezzo il generatore di bassa
pressione. Sono dunque due circuiti sovrapposti,
configurazione che assicura efficienze parecchio più
elevate. Abbiamo dunque valori di efficienza
conseguibili del tipo Ɛ≈1.1-1.3, ma a fronte di
temperature di alimentazioni ben maggiori rispetto i 90-
100°C. Le temperature necessarie sono, infatti, valori
del tipo Tg≈150-170°C, temperature che si raggiungono
con acqua pressurizzata, fluidi organici o con vapore
vero e proprio prodotto per questo scopo.
RAPPORTO DI ENERGIA PRIMARIA
Confrontiamo a questo punto le due tecnologie, MACCHINA FRIGORIFERA AD ASSORBIMENTO
e MACCHINA FRIGORIFERA A COMPRESSIONE, da un punto di vista di efficienza. Il problema
nasce nel momento in cui dobbiamo consigliare una di queste due tecnologie al nostro
committente. Per rispondere a questo quesito dobbiamo subito confrontare le efficienze.
L’efficienza delle macchine a compressione raggiunge oggi valori di 1.5-2.0-2.5, l’efficienza delle
macchine ad assorbimento monostadio assume valori dell’ordine di 0.6-0.7 e difficilmente 0.8,
mentre quelle bistadio raggiungono efficienze dell’ordine di 1.1-1.3. Quindi, da un punto di vista di
efficienza, le macchine a compressione sembrerebbero le vincenti e quindi le uniche che poi
finirebbero per potersi affermare sul mercato, ma così non è. Il confronto che abbiamo fatto, infatti,
non è corretto perché le efficienze di queste due macchine non rispondono alla stessa definizione.
Infatti, al numeratore abbiamo sempre la potenza frigorifera resa, ovvero ragioniamo a parità di
servizio reso, ma al denominatore la macchina a compressione presenta la potenza meccanica o
elettrica assorbita, mentre le macchine ad assorbimento presentano il calore fornito alla macchina.
Queste due forme di energia non sono equivalenti da un punto di vista di energia primaria a cui si
deve fare ricorso per ottenerle. Per capire il senso di quanto detto, capiamo intanto cosa si intende
per energia primaria. L’energia primaria è da intendersi come l’energia da fonti fossili, ovvero
l’energia non rinnovabile, quella che otteniamo bruciando i combustibili naturali, ovvero petrolio,
carbone e gas. L’energia elettrica ha un passaggio in più, parte dalla combustione di questi
combustibili ma poi passa attraverso un ciclo termico che ha una sua efficienza e dunque solo una
parte di energia primaria viene convertita in elettricità. Dunque, per fare un giusto confronto tra
queste macchine dobbiamo, per ciascuna di esse, risalire all’energia primaria utilizzata o spesa.
Per cui il confronto va fatto alla luce di un nuovo indice, ovvero il REP ( Rapporto di Energia
Primaria), definito come rapporto tra energia utile ottenuta e energia primaria utilizzata o
consumata che per noi coincide con le fonti primarie.

Confrontiamo le macchine con il nuovo indice ottenuto, assumendo i seguenti dati di riferimento:

MACCHINE A COMPRESSIONE:

In queste macchine l’energia primaria è tratta da fonti elettriche e coincide con Q1 che è il calore
da fornire al ciclo termico diretto per ottenere questa potenza elettrica. Questo Q 1 è pari al rapporto
tra potenza elettrica e rendimento della centrale termoelettrica, che in questo caso assumiamo pari
a 0.37. Il rapporto tra Q e Pel è pari all’efficienza della macchina a compressione che assumiamo
pari a 2.5, anche esso valore ormai molto cautelativo.
MACCHINE AD ASSORBIMENTO MONOSTADIO:

Lavorando sempre a parità di Q, l’energia primaria al denominatore sarà data dal rapporto tra Qg,
ovvero il calore al generatore, e ƞc il rendimento di caldaia o comunque del processo di
combustione che noi assumiamo pari a 0.9. Il rapporto tra Q e Qg rappresenta per definizione
l’efficienza delle macchine ad assorbimento che nel caso monostadio, assumiamo ottimisticamente
pari a 0.8.
MACCHINE AD ASSORBIMENTO BISTADIO:
Se la macchina ad assorbimento è bistadio, la sua efficienza è pari a 1.2.

Da questo confronto emerge che la macchina ad assorbimento monostadio è soccombente


rispetto alla macchina a compressione, mentre dovremmo andare a macchine bistadio per avere
vantaggi, avvicinarsi o superare anche se di poco la macchina a compressione. Dunque, dal punto
di vista di rendimento, queste macchine ad assorbimento fanno fatica ad affermarsi sulle macchine
a compressione, ma possiedono comunque una prospettiva di mercato per una serie di motivi.
Innanzitutto, le macchine ad assorbimento sono appropriate quando si dispone di calore di scarto
che butteremmo via, ma così possiamo utilizzare e sono inoltre da considerare in relazione al
costo del gas che poi è il combustibile utilizzato da queste macchine. Consideriamo che di inverno
il gestore di gas ce lo venda per usi di riscaldamento, di acqua sanitaria e per usi di cucina, tra i
tre, i consumi per riscaldamento sono quelli dominanti. D’estate il gestore può venderci il gas solo
per usi di cucina e di acqua sanitaria, dunque i consumi di gas dell’utente in estate sono molto
modesti. Questo allunga notevolmente i tempi di ritorno di tutte le infrastrutture che sono state
costruite per la distribuzione del gas, come la rete di gasdotti, condotti interrati che hanno
comportato investimenti notevolissimi. Ecco, dunque, che il gestore del gas può trovare
conveniente offrire una tariffa incentivante per l’uso di gas in estate qualora si disponga di una
macchina ad assorbimento per le esigenze di climatizzazione estiva. Questi motivi costituiscono
ottime premesse per una diffusione di macchine ad assorbimento, a discapito di valori di efficienza
che non sempre sono vantaggiosi se paragonati a macchine a compressione.
Pompe di calore
E’ un argomento strettamente collegato a quello degli impianti del freddo, poiché esse sono
macchine che eseguono cicli (inversi) frigoriferi anche se il loro scopo è quello di fornire calore
all’utenza.

- Nella macchina frigorifera l’utenza sta nel lato dell’evaporatore, è infatti l’ambiente da
refrigerare, e tramite l’utilizzo di una macchina ciclica che riceve lavoro dall’esterno
trasferisce questo calore all’ambiente esterno che sta da lato del condensatore.
- Nella pompa di calore: la macchina continua ad essere ed operare allo stesso modo, ma sono
scambiate le posizioni dell’ambiente esterno e dell’utenza. Essa assorbe calore da un
ambiente a temperatura minore T1(che può essere l’aria, l’acqua o il terreno), lo rigrada
attraverso fornitura di lavoro e produce calore destinato a fluidi di interesse tecnico (acqua,
aria) e quindi all’utenza che adesso si trova dalla parte del condensatore. Esistono quindi
pompe di calore del tipo aria-aria, aria-acqua, terreno-aria terreno-acqua ecc. in cui il primo
termine indica l’ambiente naturale e il secondo il fluido di lavoro.

Si chiama pompa di calore poiché in effetti opera alla stregua di una pompa idraulica che
muove l’acqua da un serbatoio a quota più bassa verso uno a quota più alta, previa fornitura di
lavoro.
L’indice di efficienza della pompa di calore è indicato con COP: coefficient of performance
|𝑄2 | 𝐿+𝑄1
COP= |𝐿|
= 𝐿
= 1 + 𝜀 COP≥1 (condizioni normali aria-aria: Tev=7°C Tc:=0°C; aria-acqua: Tev=7°C Tc=35°C)

La pompa di calore viene utilizzata per produrre calore alla stregua di altre apparecchiature
quali le stufe elettriche, le caldaie ma quale di queste tecnologie è vincente? Dal momento che
la caldaia è alimentata da energia termica e la stufa da energia elettrica, per confrontarle
bisogna risalire all’energia primaria consumata a parità di calore fornito. Bisogna quindi
confrontare il REP (calore reso/ unità di energia primaria consumata).

Confronto tra macchine per la produzione di calore


Riscaldamento elettrico: l’EP, proviene da una centrale termoelettrica, è dato dal rapporto tra
potenza elettrica e il rendimento di tale centrale; al numeratore la potenza termica è pari alla
potenza elettrica. Le due potenze vanno quindi semplificate, lasciando di fatto solo il
rendimento.
Caldaia: l’EP è pari al rapporto del fabbisogno dell’utenza (taglia della caldaia) e l’efficienza
termica della caldaia; le due Q si semplificano e resta solo il rendimento.
P.d.C.: il calore reso è il prodotto della potenza elettrica per il COP dichiarato dal produttore;
l’EP è pari alla potenza elettrica fratto il rendimento della centrale termoelettrica. Eliminando le
due potenze elettriche, il REP è il prodotto tra il COP e il rendimento.
Del punto di vista del consumo dell’energia primaria, il riscaldamento elettrico è quello che
presenta un rendimento disastrosamente basso, la caldaia in rapporto al riscaldamento è la
tecnologia più efficiente, ma se la P.d.C ha COP=3 è essa la più efficiente. Qual è quindi il
COP minimo al di sotto del quale non è conveniente utilizzare una P.d.C piuttosto che una
caldaia?

Il COPmin è dato
dall’intersezione tra il
grafico della PdC e la
caldaia. Al di sotto di
esso è vantaggioso
utilizzare una caldaia, al
di sopra una PdC.
Criterio economico

Essendo, per
definizione, il COP>1
allora tale rapporto è
sempre minore di
uno, ciò significa che
il costo di esercizio
della PdC è sempre
minore di quello del
riscaldamento
elettrico a parità di
calore fornito.

Affinché la PdC sia


vantaggiosa,
rispetto ai costi di
esercizio, in
relazione alla
caldaia la quantità
a quarto membro
deve essere ≤1.
sostituendo i dati numerici
suggeriti dalla pratica corrente,
ovvero i costi del metano e del
gasolio, possiamo calcolare il
COP minimo di caldaie a
metano e gasolio.

Oggi questi valori di COP sono


ampiamente superati. La
pompa di calore risulta quindi
più vantaggiosa, perlomeno dal
punto di vista dei costi di
esercizio.

Costi globali

Per completare l’analisi bisogna valutare anche il costo capitale (calcolato in €), oltre il costo di
esercizio calcolato in (€/anno o €/mese) non possono essere sommati, bisogna quindi
procedere con l’attualizzazione del costo capitale, tramite cui converto il costo capitale in
€/anno che posso sommare al costo di esercizio annuale(come se, per esempio, chiedo un
prestito alla banca per l’acquisto della macchina, somma che restituirò alla banca con
interessi). Tale valore si ottiene moltiplicando il costo capitale e il fattore di attualizzazione (che
dipende dal tasso di interesse bancario e il numero di anni in cui si intende saldare il debito).
Queste 3 equazioni
rappresentano 3
rette in funzione di f
(tempo di utilizzo
annuo in ore). Tali
rette avranno
origine nel punto
f=0 corrispondente
al costo delle varie
macchine ed hanno
anche una propria
pendenza data da f.
Le 3 rette si intersecano in diversi punti, individuando le aree in cui è più vantaggiosa usare
una tecnologia piuttosto che un’altra. il grafico ci fa capire quale tecnologia è economicamente
più vantaggiosa in funzione dei costi di esercizio, dei costi capitali e degli indici di prestazione
energetica.
Pompe di calore Reversibili o Bivalenti
Una Pdc, esegue di fatto un ciclo inverso, può essere usata come Pdc propriamente detta e
come macchina del freddo, la macchina è infatti uguale per entrambi i processi. Bisogna solo
scambiare l’ambiente esterno ed quello esterno, che può essere fatto attraverso l’utilizzo della
scatola di inversione.
Ciclo termico inverso (eseguito dalla macchina qualunque sia la
stagione): 1-2 Evaporazione; 2-3 compressione; 3-4 condensazione; 4-
1laminazione.

E: evaporatore; C: condensatore; K: compressore;


RISCALDAMENTO: l’utenza e il condensatore sono dal lato dell’ambiente interno;
l’evaporatore dal lato dell’ambiente esterno. Partendo da 1 il fluido viene compresso in K e
raggiunge la scatola di inversione da cui può fuoriuscire solo verso il punto 2 (il fluido si trova
alle stesse condizioni Con cui era uscito da K, non si è verificata alcuna trasformazione); in 2-3
si ha la condensazione passando attraveso lo scambiatore di calore (condendsatore) che
rilascia calore all’utenza; 3-4 fase di laminazione; 4-1 entra nell’evaporatore che si relazione
con l’ambeinte esterno, da cui il fluido di lavoro riceve calore, successivamente arriva al
bypass (manicotto, all’interno della scatola di inversione) che fa ricominciare il ciclo da 1.

RAFFREDDAMENTO: l’unica differenza è la posizione del manicotto che si sposta sulla


sinistra, in modo che il fluido di lavoro passi dal primo scambiatore di calore che funge da
condensatore e successivamente dall’evaporatore.
Grazie ad un dispositivo economico, la scatola di inversione, si può invertire il ruolo degli
scambiatori di calore (non il ciclo di funzionamento dell’impianto).

Curve di prestazione delle pompe di calore


Sono diagrammi che hanno in ascissa la
temperatura di evaporazione e in ordinata la
potenza termica prodotta o il COP della macchina
stessa. Se ragioniamo a parità di temperatura di
evaporazione (che in un PdC è in relazione alla
temperatura esterna) ad esempio 5°C, si può
vedere cosa accade alla potenza elettrica resa
della macchina (Heating Capacity) al variare della
temperatura di condensazione (che è in relazione
con l’utenza); se quest’ultima cresce la potenza
termica della macchina va diminuendo, così
come il COP. Ciò accade perché al crescere della temperatura di condensazione, la macchina
tende a spostare verso l’alto l’isotermobarica superiore dilatando l’area del ciclo che è
proporzionale al lavoro richiesto dalla macchina; aumentando tale lavoro a parità di potenza
termica erogata diminuisce il COP, a parità di COP diminuisce la potenza termica erogata.
Analoga considerazione possiamo fare se ragioniamo a parità di temperatura di
condensazione al variare della temperatura di evaporazione. Questo sottolinea la particolare
sensibilità di queste macchine alle condizioni operative, la macchina ha una prestazione in
controtendenza rispetto alle aspettative dell’utenza: più è freddo l’ambiente esterno tanto meno
calore la macchina riesce ad offrire. Ciò si riflette sul dimensionamento della macchina.
Considerano un piano cartesiano in cui
riportiamo in ascissa la temperatura esterna e
in ordinata la potenza termica. La T esterna la
consideriamo con un valore minimo che è
all’origine degli assi e che ovviamente dipende
dalla località, sullo stesso asse abbiamo i 20°
che è la temperatura da assicurare all’ambiente
interno. Se la temperatura esterna diminuisce,
aumenta il ΔT tra interno ed esterno ed
aumenta pure il fabbisogno termico che è
direttamente proporzionale al ΔT, nel grafico il fabbisogno termico ha una crescita lineare;
invece la potenza termica erogata dalla macchina in funzione della temperatura richiesta, nel
grafico ha andamento curvilineo. Le condizioni in cui la macchina riesce ad erogare il calore di
cui l’edificio ha bisogno sono individuate dal punto X, alla cui destra la macchina riesce ad
erogare ben di più di quello che ha bisogno l’edificio ed abbiamo quindi un esubero, a destra la
macchina eroga meno di quello che ha bisogno l’edificio e quindi bisogna compensare con un
sistema ausiliario.
Pompe di calore azionate da Motori a Combustione interna
Sono PdC di ultima generazione, che azionano il compressore con energia meccanica prodotta
da motore endotermico.
Se alimentiamo il motore con
100 unità di energia termica,
avendo il motore un rendimento
del 30%, tramite l’albero motore
arrivano al compressore della
PdC 30 unità di energia
meccanica. Avendo la PdC
COP=3 renderà una potenza
termica di 90 destinata
all’utenza. A tale potenza
termica possiamo aggiungere
una sostanziale aliquota di
cascami termici (ne ho
disponibili 100-30=70 ne
recupero il 60-70%). In definitiva, all’utenza arrivano 90 unità dalla PdC e 55 unità dai cascami
termici.
si ottiene un REP=1,45 che comparato al
REP=1,2 di una PdC elettrica, sempre con
COP=3, è nettamente maggiore.
Tali pompe possono essere edificate anche con l’acronimo GHP (Gas Healt Pump)
diversamente dalle EHP (Electric Healt Pump).
COGENERAZIONE
Indica la produzione simultanea di elettricità e calore, possibile tramite l’utilizzo macchine termiche
cicliche che producono lavoro meccanico, che provvederò a convertire in energia elettrica, e
cascami termici che cederò all’utenza.
Motori primi: motore endotermico
Il rendimento è del 30%.
Esso offre energia termica tramite i
cascami, gas a T superiori ai 300°C, che
posso recuperare per circa il 60%.
Il rapporto elettricità/calore è pari a circa
0.5

Motori primi: gruppi turbogas


Il rendimento è pari al 30%.
Il cascame termico è associato ai gas di
scarico dalla turbina e si presenta a circa
450°C. Posso recuperare circa il 60% del
cascame.
Il rapporto elettricità/calore torna ad
essere 0.5

Motori primi: gruppi a vapore


Il rendimento è pari al 35%.
Il rapporto elettricità/calore è circa 0.58
Presenta invece un problema la
temperatura a cui il cascame termico
viene rilasciato, 40°C. Ottengo infatti
megaWatt di cascami, a temperatura
però molto bassa che li rende
praticamente inservibili. Per ricavare
calore devo quindi fermarmi ad una
isotermobarica inferiore (vedi macchine
successive)
Motori a contropressione: imp. Cogenerativi con T.V.
Realizzo cicli in cui l’espansione dei
vapori in turbina è limitata, a questa
pressione (linea 2-3) corrisponde una T
di saturazione ben più alta rispetto al
caso precedente (es: 150/200°C).
Essendo però limitato il salto entalpico
la produzione di potenza elettrica
diminuirà in proporzione.

Impianti a ciclo combinato


Sulla sinistra si ha un impianto
turbogas, i cui gas di scarico sono
convogliati nella caldaia di recupero in
cui circola il vapore (fluido secondario)
che andrà a lavorare in un ciclo termico
così detto sottoposto, esso produrrà
altra energia elettrica da sommare a
quella prodotta dal turbogas. Questi
impianti sono caratterizzati da un
rendimento di circa il 60%. Per questo
tali cicli sono molti diffusi.
La cogenerazione, alla luce degli esempi fatti, è quindi tecnicamente fattibile. È quindi possibile
utilizzare macchine termiche cicliche per ricavare calore utile proveniente dai cascami termici.

Confronti tra produzione di elettricità e calore in assetto cogenerativo e separato.


Produzione separata
Dovendo produrre per un’utenza 100 unità di
energia elettrica e altrettante di energia termica,
dovrei utilizzare una centrale elettrica con un
rendimento di circa il 33% e quindi ricorrere a
300 unità di energia primaria (100/0.33); dovrei
inoltre utilizzare una caldaia con un rendimento
di circa 85% e quindi ricorrere a 115 (100/0.85)
unità di energia primaria.
Il rendimento totale sarà:
100+100
𝜂 = 300+115=0.48
Produzione cogenerata
Tramite un impianto in assetto cogenerativo posso
produrre 100 unità di energia elettrica e termica trami
l’utilizzo di, solo, 235 unità di energia primaria.
L’efficienza è quindi pari a:
100 + 100
𝜂= = 0.85
235

Il risparmio di energia primaria rispetto ad una produzione


separata è pari alla differenza tra i due consumi di energia
primaria. Passando alla formula esplicita di tale risparmio si nota la
dipendenza dal rapporto elettricità calore (E/Q), dal rendimento
dell’impianto cogenerativo ηc, dal rendimento elettrico che avrebbe una centrale termoelettrica ηe
e dal rendimento elettrico che avrebbe una caldaia ηt se elettricità e calore fossero prodotti
separatamente.
in grafico tale risparmio è riportato in
ordinata in funzione del E/Q, individuando il
valore appena calcolato 0.85, in
corrispondenza di un E/Q= 0.5 il risparmio è
del 30%.
La cogenerazione è dunque
energeticamente benefica.

Teleriscaldamento
Possiamo inoltre eseguire la cogenerazione su larga scala, in questo caso si parla di
teleriscaldamento: si ha una centrale elettrica che distribuisce l’energia prodotta tramite elettrodotti
ed i cui cascami vengono convogliati attraverso uno scambiatore sottoforma di vapore alle aree
urbane ed utilizzato per il riscaldamento. Il primo comune in Italia ad utilizzare tale metodo fu la
città di Brescia. Fu un progetto del 1972, avviato nel 1977, in grado di produrre 64MWe e 170MWt
tramite un motore diesel di 24MWe e 28MWt supportato da una caldaia policombustibile da
215MWt. Questo apparato serviva una volumetria di 25 milioni di metri cubi, a fronte di 40 milioni di
metri cubi di volumetria edificata.
Sezione del condotto interrato sotto il piano
stradale con condotti in acciaio, che
trasportano acqua surriscaldata a circa 110°C
all’interno di circuiti pressurizzati per evitare
che vada in ebollizione, per motivi funzionali e
di sicurezza.

Sono inoltre previsti progetti di questo genere in 27 città italiane (tra cui Padova, Modena, Cesena)

Vantaggi ambientali:
-Nella cogenerazione la sorgente inquinante è la centrale termoelettrica/ motore diesel/ caldaia ma
in quel caso i gas di scarico vengono emessi localmente e quindi facilmente sottoponibili a
verifiche e controlli, inoltre sono dotati di alti camini che ci assicurano una diluizione in quota delle
sostanze inquinanti.
-Nel riscaldamento privato la sorgente inquinante è distribuita e coinvolge tutta l’area urbana, è di
fatto incontrollabile ed inoltre le emissioni sono rilasciate a bassa quota.
La cogenerazione porta quindi benefici ambientali.
Tele raffreddamento
Come visto le città che usufruiscono del teleriscaldamento sono tutte città del nord, poiché
occorrono due requisiti fondamentali: l’alta densità abitativa (in modo che ci siano numerose
utenze che ripaghino gli investitori) e una lunga stagione di riscaldamento. Molte città del sud
soddisfano il primo requisito ma, generalmente, nessuna il secondo. Ciò scoraggia gli investitori e
pertanto in nessuna città del sud è presente un impianto di teleriscaldamento.
Il sud invece può usufruire del teleraffreddamento, tramite macchine ad assorbimento, che
produce il freddo a partire dal calore, di grandi taglie. Il problema è però di natura economica,
infatti le macchine hanno grandi costi, tuttavia in Italia ci sono alcuni esempi:
utilizzano calore prodotto a 120°C e
distribuiscono questo calore con circuiti
ad acqua surriscaldata e passano da
macchine ad assorbimento per trasferire
freddo all’utenza.

Le prospettive del teleraffreddamento in generale sono ottime, in quanto esso può ridurre i
sovraccarichi elettrici soprattutto nelle ore di punta ed inoltre per evitare il sottoutilizzo della rete
del gas nelle mezze stagioni e in estate.
Impianti Year Round
Con le tecnologie di cui disponiamo è possibile
fornire alle utenze energia elettrica, termica e
frigorifera simultaneamente in qualunque periodo
dell’anno, tramite l’utilizzo di un impianto turbogas
con albero collegato ad un compressore di un
ciclo frigorifero. I cascami termici del ciclo a gas
vengono fatti passare attraverso uno scambiatore
dal quale attinge una macchina ad assorbimento.
Sempre sfruttando i cascami termici si può
produrre calore tramite il teleriscaldamento. Tali
tecnologie realizzano la trigenerazione.

Impianti media taglia


È possibile utilizzare la cogenerazione per
servire le piccole utenze, in cui le potenze in
gioco sono di alcune decine di kW al
massimo. Si può utilizzare un motore
endotermico, che oltre lavoro meccanico
sviluppa cascami termici che provengono dai
fumi, dall’acqua e dall’olio di lubrificazione
che devono essere raffreddati, dall’aria di
precompressione nei motori turbo e dal
generatore elettrico il cui calore va dissipato.
Tutti questi cascami termici possono essere recuperati tramite una sequenza di scambiatori.
analizzando la sequenza con
cui questi cascami termici
vengono recuperati, vengono
recuperati nell’ordine
crescente, prima quelli a
temperatura minore
provenienti dall’olio e
dall’acqua e per ultimi quelli
dei gas di scarico.

Bilanci energetici in un MCI in assetto cogenerativo.

Sistemi total energy


Sistemi di piccola taglia che riescono ad offrire la soluzione trigenerativa all’utenza, e si ottengono
accoppiando:
- MCI+ macchine a compressione (Chiller)
- MCI+ Macchine ad Assorcimento
Totem
cogeneratore di piccola taglia, detto
totem, messo a punto dalla FIAT agli
inizi degli anni 80 e che utilizza il
motore della 127 ed offre 39kW
termici e 15kW elettrici, con
un’efficienza del 96%. Sono
macchine di piccola taglia, in grado
di soddisfare utenze più grosse
facendo collaborare più macchine di
questo tipo, che possono inoltre
modulare la potenza in base al
numero di macchine che si attivano.
Sistema total energy in assetto
tandem.
Usando un motore endotermico
possiamo produrre attraverso
l’alternatore energia elettrica, dal
motore stesso sfruttando cascami
ricaviamo energia termica e inoltre
possiamo collegare l’albero motore
ad un gruppo frigorifero a
conversione di vapore ricavandone energia frigorifera.
Sistema total energy ad
alimentazione ibrida
Dal motore ricaviamo energia
termica tramite i cascami,
tramite l’alternatore ricaviamo
energia elettrica di cui una parte
arriva all’utenza ed una parte
viene utilizzata da un gruppo
frigorifero elettrico.
Sistema total energy con
assorbitori

CONCLUSIONI
la cogenerazione è una soluzione irrinunciabile per conseguire risparmi energetici e rispetto
ambientale. Le tecnologie oggi disponibili sono innumerevoli, mature ed ampiamente accessibili.
1

CAPITOLO 12
IMPATTO AMBIENTALE DELLE TECNOLOGIE ENERGETICHE
QUALITA’ AMBIENTALE DELLE TECNOLOGIE ENERGETICHE
Impatto ambientale comportato dall‘uso delle tecnologie energetiche
Lo schema sintetizza l’universo dei processi e delle grandezze fisiche.
Rettangolo dove sono inclusi i processi di
combustione da cui dipendono la quasi
totalità di tutti i processi energetici e le
tecnologie energetiche di cui
disponiamo. Tali processi da un lato
consumano energia primaria EP
rappresentata a sinistra, questi processi a
cui danno luogo le attività di
combustione sono eseguiti dall’universo
delle tecnologie che danno in uscita le 3
forme di energia di cui l’umanità oggi ha
più bisogno: energia termica, frigorifera e
potenza che può essere interpretata
come elettrica o meccanica, forme di
energia utile Eu.

Questi processi emettono delle sostanze che sono potenzialmente inquinanti (come abbiamo visto nel
capitolo della combustione).
La massa di questi elementi inquinati la indichiamo con mp.
Tali elementi, in linea di principio possono non essere rilasciati direttamente in atmosfera, alcuni possiamo
sottoporli a processi di mitigazione dell’impatto ambientale, una parte di questi inquinanti può essere
controllata ed eliminata dalla contaminazione dell’ambiente anche se c’è una residua parte che viene
comunque emessa in atmosfera, detta mr.
Es mitigazione: tecnologie per limitare l’emissione degli ossidi di zolfo, i desolforatori.
Tutti questi processi, utilizzando per lo più macchine cicliche, producono cascami termici quindi calore che
viene rilasciato in ambiente e va ad alterare, almeno localmente, le condizioni ambientali.
Sono due le forme di inquinamento che analizzeremo: uno di tipo termico legato ai cascami termici
rilasciati in ambiente e un inquinamento di tipo chimico legato alle sostanze più aeriformi che vengono
rilasciate in ambiente.
Nomenclatura che ci permetterà di stabilire relazioni analitiche per fare i nostri calcoli finalizzati alla
valutazione degli impatti ambientali attraverso degli indici, dati sintetici, monomerici (se possibile) che
siano la sintesi di quello che è il danno ambientale indotto dall’uso delle tecnologie energetiche.
Definizioni:
2

Rapporto di energia primaria: REP= EU / EP

rapporto tra l’energia nella data forma richiesta dall’ utenza e l’energia primaria a cui si va a ricorrere per
servire questo scopo.

Fattore di emissione: FE = mp / EP (g/MJ)

rapporto tra la massa di inquinante rilasciato dal processo di combustione e l’energia primaria cui il
processo di combustione va ad attingere.

Fattore di rilascio dell’inquinante: FR = mr / mp (ad.)

rapporto tra la massa rilasciata in atmosfera rispetto alla massa entrante alla tecnologia di mitigazione

𝒎𝒂𝒃 𝒎𝒑−𝒎𝒓
Efficienza di abbattimento: ηDe = = = 1 – FR
𝒎𝒑 𝒎𝒑

rapporto tra la massa abbattuta dalla tecnologia di mitigazione rispetto alla massa inquinante entrante

𝒎𝒓 𝒎𝒓 𝒎𝒑 𝑬𝑷 𝑭𝑹 𝑭𝑬 𝑭𝑬(1−𝜼 𝑫𝒆)
Fattore di inquinamento chimico: 𝑰 = = = =
𝑬𝒖 𝒎𝒑 𝑬𝑷 𝑬𝒖 𝑹𝑬𝑷 𝑹𝑬𝑷

rapporto tra la massa di inquinante definitivamente rilasciata nell’ ambiente e l ‘energia utile prodotta.
Quando utilizzo una caldaia, questa mi produce il calore che io richiedo (energia utile) ma a fronte di questo
servizio emette in atmosfera CO2 ecc., la massa di questo dato inquinante andrà a costituire il numeratore
di questo indice o fattore di inquinamento chimico che posso esplicitare utilizzando le definizioni
precedenti come si vede nell’equazione. Per passare dalla definizione operativa che abbiamo dato al terzo
membro basta moltiplicare e dividere per mp e poi ancora moltiplicare e dividere per l’energia primaria e
allora si vede che mr/mp viene a costituire il fattore di rilascio, mp/EP viene a essere il fattore di emissione
ed Ep/Eu è l’inverso del REP, a sua volta Fr si può correlare con l’efficienza di abbattimento e troviamo
l’espressione finale.

Fattore di inquinamento termico: IQ = Qout / Eu


Il calore rilasciato in atmosfera Qout dal sistema per unità di energia utile resa, questi due indici mettono in
relazione il danno ambientale prodotto in termini o di massa o di calore (al numeratore) e la fornitura da
parte di quella data tecnologia dell’energia nella forma richiesta dall’utenza (denominatore).

Questi indici mettono in relazione quello che è il beneficio ottenuto dall’utilizzo di una data tecnologia con
il danno ambientale che quella tecnologia produce in termini di: massa di inquinante rilasciato o di calore
rilasciato a sua volta nell’ambiente.
3

INDICATORI AMBIENTALI DELL’ INQUINAMENTO TERMICO


L’ indice di inquinamento ambientale lo possiamo andare a calcolare per ognuna delle tecnologie
energetiche di primaria importanza sulla base di semplici bilanci energetici e della definitone dell’indice
stesso.
𝒄𝒂𝒔𝒄𝒂𝒎𝒆 𝒕𝒆𝒓𝒎𝒊𝒄𝒐 𝑄𝑜𝑢𝑡
Il nostro proposito è quello di esplicitare questo rapporto: 𝐼𝑄 =
𝒆𝒏𝒆𝒓𝒈𝒊𝒂 𝒖𝒕𝒊𝒍𝒆 𝐸𝑢

CICLO DIRETTO
Eseguito da molti impianti come le centrali termoelettriche, i motori a combustione interna.
Nello schema funzionale vanno specificati cosa sono il Qout ed Eu in modo
da essere chiaro a cosa corrispondono questi simboli, il Qout corrisponde al
Q0 cioè Il calore rilasciato in ambiente e l’energia utile è P, cioè la potenza
prodotta.
Il rendimento di questi impianti è dato per definizione
dal rapporto tra P e Q1. Q1 a sua volta posso esplicitarlo
sulla base del bilancio energetico fatto sulla macchina
nel suo complesso e quindi dato dalla seconda
espressione. Combinate queste due espressioni in modo
tale da potere esprimere l’indice
di inquinamento secondo la
definizione.

Distinguiamo i cicli inversi a compressione e ad assorbimento:

CICLI INVERSI A COMPRESSIONE


Nei cicli inversi il Qout è il calore rilasciato in
ambiente, cioè Q’0 a fronte del beneficio del Q2 che è
il calore che io estraggo dall’ ambiente da refrigerare,
a fronte della potenza T cioè il rapporto tra Q2 e p mi
definisce il rendimento ε.

Il Q’0 è correlato con P e Q2 attraverso il bilancio


energetico sulla macchina stessa e inoltre lo
riconosco come il cascame termico che va a
riscaldare l’aria esterna quindi motivo di
inquinamento termico dell’ambiente in cui utilizzo la
macchina.
Q’0 non è tutto il cascame termico di cui la macchina
è responsabile perché la macchina, per funzionare ha bisogno della potenza elettrica P del quale dispongo
perché ho utilizzato un motore primo che ho alimentato con energia primaria che identifico in Q1 e che,
siccome ha un rendimento minore di 1, quello che la macchina non è riuscita a convertire in potenza
meccanica o potenza elettrica lo ha rilasciato nell‘ambiente nella misura Q0.
Quindi nell’ambiente sto rilasciando il Q’0 e il Q0.
4

Il nostro obiettivo è quello di costruire questo rapporto IQ cioè il


rapporto tra il calore complessivamente rilasciato in ambiente
e l’energia utile (cioè Q2), mentre il cascame termico è Q0+Q’0.

Dividiamo il numeratore e il denominatore per P (potenza


elettrica richiesta dalla macchina), si creano dei rapporti che
riconosco facilmente:
Q2/p= indice di efficienza energetica della mia macchina
frigorifera e quindi ε

Q’0/P= P+ Q2/P
Q0/P= (1/n) - 1
semplifichiamo e con il risultato torniamo ad avere un indice di
inquinamento termico che è ancora una volta funzione
dell’efficienza delle due tecnologie che sto utilizzando, ε è associato alla macchina del freddo e η è invece
efficienza del motore primo.

Andando avanti e analizzando con analogo approccio i casi di cicli inversi ad assorbimento e le pompe di
calore troviamo delle espressioni in cui gli indici di inquinamento sono espressi in funzione delle tecnologie
che servono per il funzionamento della macchina in questione.

CICLO INVERSO AD ASSORBIMENTO


In questo caso oltre alla macchina del freddo c’è anche da mettere in gioco la caldaia che provvede alla
fornitura di calore.
Qout= Q0 + Q’0 Eu= Q2

1
𝐼𝑄 = +1
𝜂𝑐 𝜀
5

POMPE DI CALORE
0ltre al Q’0 c’è anche il Q0 che è il cascame termico della centrale termoelettrica che mi genera la potenza a
me richiesta che è la P.

Siamo riusciti, con questo tipo di analisi, a esprimere questo indice di inquinamento ambientale sempre e
solo in funzione di quelle che sono le efficienze termodinamiche delle macchine che utilizziamo.

FATTORE DI INQUINAMENTO TERMICO


Possiamo subito cogliere il messaggio finale che si ricava da questa analisi dell’inquinamento termico:
mettiamo in ascissa l’efficienza del motore primo e in ordinata l’indice dell’inquinamento termico Iq e
andiamo a riportare questo indice al variare dell’efficienza del motore primo e là dove ricorre anche
l’efficienza del dispositivo ausiliare come, per esempio, il COP nel caso delle pompe di calore.
Le curve indicano che per ogni data tecnologia l’indice di inquinamento termico è tanto minore quanto più
alta è l’efficienza del motore primo e quanto più alta è l’efficienza della macchina in sé.

Messaggio: la riduzione
dell’impatto ambientale
passa attraverso il
miglioramento dell’efficienza
energetica.
6

EMISSIONI DI CO2
Valutiamo l’indice di inquinamento chimico: il rapporto tra la massa di quel dato inquinante a cui siamo
interessati e l’energia che quella data tecnologia che utilizziamo ci offre.
Un inquinante particolarmente nocivo e che richiama la nostra attenzione è la CO2, perché è responsabile
del surriscaldamento globale che crea danni ambientali, su di esso dobbiamo esercitare delle verifiche.
La limitazione delle emissioni inquinanti in atmosfera può in generale conseguirsi attraverso:

• Interventi in sede di combustione, con particolari accorgimenti, dispositivi che hanno a che fare
con il processo in sé della combustione.

• Interventi a valle della combustione cioè sui fumi.


Gli interventi in sede di combustione per limitare la produzione di CO2 non vengono fatti dal momento che
la produzione di CO2 è un indice di buona qualità della combustione, guai se l ossidazione del carbonio si
fermasse a metà strada, cioè se invece di produrre CO2 producesse ossido di carbonio, quest’ultimo è
indesiderato per almeno 2 motivi: il primo è perché è una reazione termica ma molto meno energetica
della reazione completa, quella che porta al CO2, inoltre il CO è un gas altamente tossico, dunque in sede di
combustione operiamo per diminuirne la presenza.

Resta solo la possibilità di intervenire sui fumi, l’idea potrebbe essere quella di sottoporre a processi
chimici questi fumi per estrarne il componente CO2, liquefarlo e depositarlo in serbatoi geologici (grandi
caverne naturali nel sottosuolo a grandi profondità) oppure iniettarlo negli abissi marini, confidando sul
fatto che essendo una sostanza estremamente stabile non si decomponga velocemente, non sono
tecnologie usate correntemente

In definitiva, la co2 associata ai fumi che provengono da qualsiasi prodotto di combustione viene di fatto
rilasciato in atmosfera.

L’indice di CO2 che abbiamo definito correlando le definizioni che abbiamo dato. Possiamo dire che
l’efficienza di decontaminazione da CO2 di fatto è nulla:

In conclusione, questo indice di inquinamento chimico da CO2 si può calcolare molto semplicemente come
il rapporto tra il fattore di emissione e il rapporto di energia
primaria:

formula che mette a confronto: a numeratore il fattore di emissione che è una grandezza che dipende
esclusivamente dalla natura del combustibile e il REP che sintetizza la qualità tecnologica dell‘impianto che
andiamo a utilizzare per produrre la forma di energia richiesta dall’utenza.
Andiamo a particolarizzare questo indice di inquinamento chimico di CO2 nei vari casi di pratico interesse:
7

FATTORI DI EMISSIONE PER LA CO2


Il fattore di emissione è il rapporto tra la massa di CO2 prodotta per unità di energia consumata dal
processo di combustione. Distinguiamo i casi dei principali combustibili fossili: carbone, petrolio e gas
naturale.

CARBONE: quando viene estratto dalla miniera è carico di impurità e scorie ma in grandissima parte è
CARBONIO vero e proprio
La reazione di ossidazione del carbonio non
trascura di riportare quello che è l’entalpia di
reazione cioè il calore prodotto dalla esotermicità
della reazione.
Scriviamo il bilancio di massa: massa molecolare del carbonio= 12, dell’ossigeno=32 e massa molecolare
dello CO2 44.

PETROLIO: CH2 dà luogo a questa reazione chimica e le masse in gioco sono quelle al secondo rigo

Così via per il METANO

Dunque, possiamo osservare il potere calorifico di questi tre combustibili, questi valori che abbiamo
appena evidenziato nelle reazioni chimiche precedenti.

Possiamo calcolare preliminarmente il rapporto: massa di CO2 per chilo di combustibile utilizzato. Nel caso
del metano la massa di CO2 la posso calcolare come prodotto del numero di moli per il peso molecolare
della CO2, così facciamo pure per il petrolio e per il carbonio.

Siamo pronti, dunque, a determinare i FATTORI DI EMISSIONE secondo la definizione che abbiamo dato, è
sufficiente partire dal rapporto che abbiamo determinato precedentemente e andare a dividere per il
potere calorifico del dato combustibile, fatto ciò, possiamo esprimere questo fattore di emissione: o in
grammi di CO2 per MJ di energia primaria oppure in Kg di CO2 per KWh di energia primaria.
8

Ci troviamo una graduatoria che permette di giudicare il grado di responsabilità dal punto di vista
dell’inquinamento indotto da questi tre combustibili, per questo si sta passando dall’utilizzo del petrolio
verso al metano in tutto il mondo.
Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica. Essa in ogni nazione viene prodotta con un mix di
tecnologie, in Italia noi usiamo prevalentemente il metano ma ci sono ancora molte centrali che vengono
alimentate con altri combustibili e alcune ancora a carbone.
Il fattore di emissione deve quindi tenere conto della proporzione con cui questi combustibili vengono
utilizzati in Italia, nello specifico qui abbiamo un fattore emissione elettrico dell’ordine di:

Questo valore dipende dalla nazione, per esempio, in Francia dove l’energia elettrica viene prodotta ancora
in buona parte da fonte nucleare questo fattore è molto più basso, in Norvegia dove invece la maggior
parte dell’energia elettrica viene prodotta da fonte idroelettrica questo fattore di emissione è tendente a
zero.

RAPPORTO DI ENERGIA PRIMARIA (REP)


Non è possibile confrontare, dal punto di vista dell’efficienza energetica, due o più sistemi che utilizzino
forme diverse di energia di ingresso. Al fine di omogeneizzare il confronto tra sistemi che utilizzano sorgenti
elettriche diverse conviene assumere come riferimento l’energia primaria (energia da fonte fossile), ossia
quella direttamente legata al combustibile consumato per alimentare le macchine. È opportuno utilizzare
come indice di efficienza termodinamica il rapporto di energia primaria: REP= Eu/ EP
Espressioni esplicite per ognuna di queste tecnologie:

Quindi il REP è calcolabile esclusivamente in funzione del rendimento termodinamico dei dispositivi
utilizzati.
9

VALORI CORRENTI DEL REP


Siamo in grado di fare un confronto tra queste tecnologie dal punto di vista ambientale, i dati numerici che
possiamo adottare come valore tipici sono:

Utilizzando le formule operative della pagina precedente, i risultati sono:


10

CLASSIFICAZIONE DELLE TECNOLOGIE ENERGETICHE IN RELAZIONE ALLA PRODUZIONE DI CO2


Questo diagramma porta i dati precedenti al variare del REP
Ci sono tre curve, ognuna si
riferisce alla fonte primaria.
Quella più alta rappresenta le
tecnologie del carbone
(quelle che utilizzano il
carbone come fonte
primaria) come le centrali
termo-elettriche, quella
intermedia rappresenta le
tecnologie che fanno uso del
petrolio e l’ultima le
tecnologie che utilizzano i gas
come risorsa primaria.

Questo indice di inquinamento chimico dovuto al CO2 compete alle varie tecnologie, e le tecnologie che
presentano il minimo indice di inquinamento da CO2 sono, per esempio, sono le GHP (pompe di calore a
gas), le GFA (gruppi frigoriferi ad assorbimento, le CD (caldaie a condensazione) e poi man mano che
passiamo ai GFA_1sl, i GFC, i MCI e CTE/CC presentano degli indici di inquinamento via via più alti
Questo quadro di insieme mi fa capire quali sono le tecnologie a cui ci dobbiamo appellare quando si tratta
di realizzare impianti al servizio degli edifici.
Le tecnologie vincenti sono dunque tutte quelle che ricadono nella zona bassa di questo diagramma.

Nelle pagine seguenti vengono riportati elementi che tendono a sottolineare l’importanza delle emissioni di
CO2 nella determinazione delle alterazioni ambientali.
11

RILEVANZA DELLE EMISSIONI DI CO2


Calcoliamo innanzitutto a titolo di informazione quanti Kg o tonnellate di CO2 sono attribuibili a ogni essere
vivente in questo momento sulla terra. basta andare a prendere le statistiche che ci danno i consumi
mondiali in Mtep di carbonio, petrolio e gas.

Mtep è un’unità di misura che non abbiamo incontrato fin ora, acronimo di milione di tonnellate
equivalenti di petrolio. Il petrolio quando brucia produce qualcosa come 10000 Kcal per ogni Kg, quindi 1
milione di Kg è una tonnellata, noi parliamo invece di milioni di tonnellate equivalenti di petrolio che
producono qualcosa come 10^13 Kcal.
Determiniamo i rispettivi fattori di emissione: gCO2/MJ o come MtCO2/ Mtep.

Applichiamo a ognuno di questi combustibili il rispettivo fattore di emissione. In conclusione, le emissioni,


in miliardi di tonnellate che oggi si emettono nel mondo raggiungono la cifra di 36.9 miliardi di tonnellate.
Dividendolo per gli esseri viventi presenti sulla terra (circa 6 miliardi), scopriamo che ognuno di noi è
responsabile di 6 tonnellate per anno. Motivo per cui l’effetto serra non può che aggravarsi di anno in anno
considerato l’incremento della popolazione e dell’uso dell’energia.

INCREMENTO DELLA CO2 NELL’ ATMOSFERA TERRESTRE


Tutto ciò è confermato da questi dati statistici rilevati da diversi laboratori (in particolare nelle Hawaii) che
mostrano una tendenza assolutamente crescente di questa concentrazione di CO2 in atmosfera: dagli anni
60’ dov’era minima, fino allo stato attuale dove sono dell‘ordine di 390/400 parti per milione.
12

DISTRIBUZIONE % DEI GAS SERRA IN ATMOSFERA


Non è solo il CO2 a determinare l’effetto serra, ci sono anche altri gas, tra cui il metano, quello per esempio
che sfugge dai metanodotti o che producono le risaie, il protossido di azoto e gli HCFC che sono fluidi
refrigeranti delle macchine del freddo che quando vengono dismesse lasciano sfuggire questi gas in
atmosfera.

Lista dei GHG (Green house gases):


CO2 anidride carbonica
CH4 metano
N2O protossido di azoto
HCF idrofluorocarburi (vari)
PCF perfluorocarburi (vari)
SF6 esafluoro di zolfo

PROFILO TEMPORALE DEI GAS SERRA IN


ATMOSFERA
Immagine che mostra l’incremento della produzione
di CO2 in atmosfera da tempi memorabili fino ai
nostri giorni, da 10000 anni fa fino ad oggi.
Vi è un incremento abnorme subito negli ultimi 50/60
anni della presenza di CO2 in atmosfera.
13

CONSEGUENZE AMBIENTALI

Tutto ciò ha determinato un incremento della


temperatura media del pianeta terra, lo
scioglimento dei ghiacciai nei poli e di conseguenza
l’incremento del livello del mare che mette a
repentaglio tutte le zone costiere dove possiamo
conoscere criticità, soprattutto in Medio Oriente ma
anche nelle aree mediterranee.

PRODUZIONE DI CO2
Come determinare la produzione di CO2 da combustibili di cui è nota la formula chimica, tali combustibili,
gli idrocarburi in generale (particolarmente quelli di tipo gassoso come il metano, il propano ecc.) i quali
rispondono alla formula generale CxHy, poi ossidati in presenza d’aria danno luogo alla reazione di
ossidazione:

È sufficiente scrivere questa relazione per ricavare l’indice di nostro interesse.


Determiniamo preliminarmente la massa di CO2 associata all’uso di questo generico idrocarburo.
Portata massica di CO2:

possiamo scrivere subito la massa di CO2, moltiplichiamo e dividiamo al secondo membro questo mCO2 per
la massa o la portata di combustibile consumato onde poi poter esprimere il rapporto mCO2/Mb come
rapporto di prodotti, la massa la possiamo scrivere come prodotto del numero di moli per il peso
molecolare del CO2 al numeratore, del dato combustibile al denominatore e quindi poi andare a valutare
dalla reazione di ossidazione quante moli ci sono di CO2 e quanti moli del combustibile assegnato.

A sua volta mb che rappresenta il consumo di combustibile lo possiamo legare all’energia utile prodotta, al
rendimento del dispositivo utilizzato e al potere calorifico del combustibile stesso secondo la relazione già
citata.
14

Questa coppia di relazioni è di tutta generalità, quindi possiamo particolarizzarla:

nel caso della caldaia l’energia utile la identifichiamo nel calore utile prodotto, mente nel caso del motore a
combustione interna l’energia utile è l’energia meccanica, nel caso della centrale termo elettrica l’energia
utile sarà la produzione elettrica vera e propria, di conseguenza i rispettivi rendimenti: rendimento di
caldaia, meccanico del motore e della centrale termo elettrica.
Con la coppia di relazioni precedenti riusciamo a calcolare l’emissione ci CO2 in atmosfera in termini
massici. Dal momento che la CO2 è un gas possiamo anche disporre in termini volumetrici.
Portata volumetrica di CO2:

Il calcolo si può fare immediatamente considerando che tra il volume e la massa c’è di mezzo un volume
specifico, quindi il volume o la portata volumetrica di CO2, possiamo determinarlo a partire dalla portata
massica di CO2 semplicemente moltiplicando quest’ultimo per il volume specifico della CO2.
Questa prima operazione la possiamo fare in un contesto di condizioni normali e allora se (Vco2)m indica le
condizioni normali è chiaro che il volume specifico di CO2 è dato da 22.4 (volume molare normale) diviso la
massa molecolare del dato gas che nel caso della CO2 vale 44, questo rapporto è espresso in Nm^3/Kg,
moltiplicato per la portata massica di CO2 e quindi un numero espresso in Kg/s, fornisce un risultato
espresso in Nm^3/s.
Possiamo riportare questo dato in condizioni di generiche temperatura e pressione.
Stabiliamo come calcolare questa portata volumetrica in assegnate condizioni di temperatura e pressione:
moltiplichiamo e dividiamo per la portata volumetrica di assegnate condizioni T e P per la portata
volumetrica in condizioni normali.

Il primo rapporto lo possiamo esprimere come la portata massica per il volume ciclico, al numeratore la
CO2 nelle assegnate condizioni di Te P e al denominatore nelle condizioni normali. Ho la stessa portata
massica al numeratore che al denominatore quindi lo
posso elidere e ho il rapporto tra il volume specifico della
co2 in condizioni di temperatura e pressione e il volume
specifico in condizioni normali.
Questi volumi specifici a loro volta li posso esprimere secondo la legge di Boyle con la formula RT/P, ancora
una volta la R è la costante della CO2 e la posso semplificare quindi resta l’espressione esplicita che mi
interessa, in particolare al denominatore ho il rapporto tra la temperatura normale e la pressione normale,
è una costante che vale 270.
La formula esplicita che ne risulta mi mette in condizione di
poter convertire una portata volumetrica in condizioni
normali in una portata volumetrica in assegnate condizioni
di temperatura e pressione, con la sola avvertenza di
esprimere la temperatura in kelvin e la pressione assoluta
in bar.
15

Una relazione di questo genere nella pratica ingegneristica può essere molto utile perché ci permette di
verificare le emissioni inquinanti di un dato impianto, partendo dal dato misurato di CO2, riportando la
formula si può ricavare la Vco2 in condizioni normali, solo a questo punto possiamo confrontare questo
dato con quello dettato dalle normative, analogamente se progettiamo l’impianto
Definizione dell’indice di inquinamento da CO2:

Sequenza di relazioni analitiche che si possono dedurre una dall’altra che possono essere utilizzate in base
ai dati disponibili

ESEMPI

Calcoliamo l’indice di emissione di una caldaia a propano di cui vi si dichiara il rendimento nella misura
dell’80%.
-Vediamo qual è il potere calorifico del propano da una tabella (nella dispensa)
-Scriviamo la reazione di ossidazione del propano che ha formula chimica C3H8
L’indice di emissione lo possiamo calcolare con la formula

Abbiamo bisogno del numero di moli di CO2 (3), la massa molecolare della CO2 (44), al denominatore il
numero di moli del combustibile (1) per la massa molecolare del propano (3 atomi di carbonio con numero
atomico 12 e da 8 atomi di ossigeno con numero atomico 1)
Riportiamo in seguito il rendimento di combustione che è stato dichiarato (0.8), il potere calorifico espresso
in chilo joule al chilo piuttosto che MJ (50400)
Ricaviamo in maniera immediata questo indice, quindi per ogni kWh termico che la caldaia mi rende,
vengono rilasciati in atmosfera 0,267 Kg di CO2.
16

Il meccanismo di calcolo è identico per gli altri esempi.

PRODUZIONE DI CO2 ED SO2


da combustibili di cui è nota la concentrazione in peso di [C] e [S]
Dalle reazioni di ossidazione di Carbonio (C) e zolfo (S):

Possiamo calcolare la produzione di SO2, è l’anidride solforosa che si trova nei fumi nel caso in cui il
combustibile di partenza contiene dello zolfo, cioè nel petrolio e in tutti i derivati petroliferi in quantità
minore.
La conseguenza è che ci ritroviamo questo zolfo nei fumi, ossidato nella forma SO3, anidride solforica.
Il problema dell’anidride solforosa e solforica nei fumi si manifesta in forma grave quando l’anidride
solforica si va a combinare con il vapor d ‘acqua che si trova sia nei fumi ma anche nell’atmosfera stessa in
quanto da luogo rispettivamente all’acido solforoso H2SO3 all’acido solforico H2SO4, acidi che sono
responsabili dei degradi dei manufatti edili, della vegetazione ecc.
In questo genere di calcoli spesso SO3 viene assimilato all’SO2 quindi per noi è sufficiente stabilire le
formule indispensabili per quantificare questi effetti.
Lo possiamo fare con molta semplicità: scriviamo le reazioni di ossidazioni del carbone e dello zolfo,
elementi che si trovano nella composizione chimica dei combustibili di partenza.

Riportiamo anche i bilanci di massa


17

Scriviamo la massa di CO2 nella forma secondo membro e moltiplichiamo e dividiamo prima per la massa di
carbonio e poi per la massa o la portata di combustibile
Il primo rapporto lo esplicitiamo come prodotto del numero di moli per il peso molecolare. Il rapporto
mc/mb rappresenta invece la concentrazione di carbonio nel combustibile originario, quest’ultimo viene
fornito sottoponendo un campione del dato combustibile a un laboratorio di analisi, mb è il consumo di
combustibile in quella data applicazione.

Con identico approccio possiamo scrivere la produzione di SO2 nei fumi:


Il primo rapporto lo scriviamo analogamente al caso precedente, pure il secondo rapporto ms/mb
rappresenta la concentrazione di zolfo nel combustibile originario

A questo punto facciamo il rapporto membro a membro di queste due espressioni e ne otteniamo un'altra
che vede concentrata in una costante (0.545) il rapporto dei pesi molecolari, le masse molecolari di
carbonio, zolfo e del combustibile stesso e il rapporto della concentrazione dello zolfo e del carbonio.

Questa relazione ci permette di risalire alla presenza di zolfo nei fumi in funzione della produzione di CO2
che abbiamo calcolato con le relazioni precedenti, tutto in funzione di quelle che sono le concentrazioni di
carbonio e di zolfo che sono note sulla base di analisi chimiche preliminari
Ecco un altro elemento che possiamo sottoporre a verifica onde fare rientrare il nostro impianto ai vincoli
di legge o di capitolato, se questo risultato eccedesse bisognerebbe tornare sul progetto con interventi.
18

Nell’ultima parte della pagina vi sono le formule che permettono il passaggio dalle portate massiche alle
portate volumetriche.
PSICROMETRIA
INTRODUZIONE

La psicrometria è la scienza che studia le trasformazioni dell’aria umida. Il termine umida è incluso
nella stessa parola ‘psicrometria’, infatti la radice Ψυχρόν dal greco significa umido, bagnato.

Nell’aria atmosferica si ha la compresenza di gas propriamente detti (definiti gas secchi) come
l’azoto, l’ossigeno, l’anidride carbonica, altri gas in quantità inferiori e in più il vapore acqueo, il quale
induce a parlare di aria umida. La parte gassosa dell’aria atmosferica, costituita dai gas secchi, viene
considerata come una miscela di gas ideali; il vapore d’acqua, pur essendo vapore e non gas, si
trova alla stessa temperatura dei gas secchi e ad una pressione parziale sufficientemente bassa da
poter essere assimilato a sua volta ad un gas ideale: anche per il vapore possiamo utilizzare le
relazioni analitiche studiate per i gas ideali.

Per la legge di Dalton possiamo scrivere la pressione p della miscela come somma delle pressioni
parziali del vapore e dell’aria secca:

detta pv la pressione parziale del vapore e pas la pressione parziale dei gas secchi (detta anche aria
secca).

Si possono definire le masse molecolari e le costanti del gas e del vapore come segue:

Massa molecolare dell’aria secca: Mas

Costante dell’aria secca: Ras

Massa molecolare del vapore d’acqua: Mv


[H2O: H2 + O = (1)(2) + (16)(1) = 18]

Costante del vapore d’acqua: Rv


DEFINIZIONI

• Massa d’aria secca: mas

• Massa di vapore: mv

• Titolo dell’aria umida o umidità assoluta (x):

Massa di vapore per unità di massa d’aria secca (kg di vapore per kg di aria secca).

Da non confondere con l’analogo termine che ricorre quando si parla del diagramma di Mollier e
delle proprietà delle sostanze pure; li abbiamo definito il titolo di vapore come la massa di vapore
per unità di massa della miscela liquido-vapore. Qua il titolo è definito in maniera diversa poiché al
denominatore non c’è la massa totale aria-vapore, ma
solo la massa secca dell’aria.

Pensiamo di dividere mv e mas per il volume che essi


occupano e quindi massa diviso volume da la densità,
Equazione 1.1 la quale è l’inverso del volume specifico e siccome
abbiamo detto che possiamo considerare il vapore alla stregua di un gas ideale, è
lecito utilizzare la legge di Boyle per esplicitare l’inverso del volume specifico sia al numeratore che
al denominatore. In questo rapporto la temperatura si può elidere poiché in un metro cubo di aria,
l’aria secca e il vapore hanno la stessa temperatura, ovvero sono in equilibrio termico. Osservo che
il rapporto tra le costati Ras e Rv è a sua volta una costante e vale 0.622, dall’altro lato invece rimane
il rapporto tra la pressione parziale del vapore e la pressione parziale dell’aria secca.

• Umidità relativa (Φ):

Rapporto tra la massa di vapore e la massa di vapore in condizioni di saturazione.

Quanto vapore c’è in un metro cubo d’aria in termini massici? Quanto sarebbe, nello stesso metro
cubo d’aria, la quantità di vapore se l’aria si trovasse in condizioni di saturazione?
Sarebbe sicuramente una quantità ben maggiore e sarebbe quella quantità di vapore che si avrebbe
nel caso in qui fase liquida e fase vapore coesistessero tra di loro. Questo mi porta a dire che questa
quantità Φ dipende dalla temperatura della miscela ma anche dalla pressione parziale del vapore
stesso, ovvero la pressione di saturazione del vapore stesso.

Il rapporto che definisce l’umidità relativa lo posso esplicitare sulla base della legge di Boyle.
Pensiamo di dividere il numeratore e il denominatore per il volume e troviamo la densità, la quale è
l’inverso del volume specifico esplicitabile con la legge di Boyle. Anche qui
le temperature si semplificano perché siamo in condizioni di equilibrio
termico, si eliminano anche le costanti Rv. Residua solo il rapporto pv su
pvs; ricorda che la pressione parziale del vapore saturo dipende solo e
soltanto dalla temperatura alla quale questo vapore si trova, la quantità Pvs
al denominatore è una quantità che possiamo leggere immediatamente
dalle tabelle del vapore una volta assegnata la temperatura. Equazione 1.2

pv = pressione parziale del vapore alla temperatura T


pvs = pressione di saturazione del vapore alla temperatura T
Combinando insieme le equazioni 1.1 e 1.2 viene fuori un’espressione molto utile:

• Massa di aria umida:

Somma della massa di aria secca più la massa di vapore.

Mettendo in evidenza la massa di aria secca si viene a costituire dentro la parentesi mv su mas
che per definizione abbiamo detto essere il titolo dell’aria (x).
All’interno della parentesi ci sono due quantità: la x e la costante. Il valore che nella pratica
assume x, ovvero il titolo dell’aria, è dell’ordine di qualche grammo di vapore per kg d’aria.
Al fine di fare i calcoli, nelle applicazioni ordinarie, per il titolo x l’ordine di grandezza è:

x = 10-2 / 10-3 kgv / kgas;

dunque, 1+x è spesso assimilabile a 1 (x viene spesso trascurato).


Questa relazione ricorrerà spesso nei calcoli seguenti.

ENTALPIA DELL’ARIA UMIDA

• Entalpia dell’aria umida: Equazione 2

Un’altra grandezza per noi di massimo interesse è l’entalpia che dobbiamo attribuire all’aria umida.
Abbiamo già detto che l’aria umida è formata in parte d’aria secca e in parte da vapore, e quindi
ognuno di questi elementi ha il suo contenuto entalpico. Siccome l’entalpia è una funzione di stato,
e quindi gode della proprietà additiva, l’entalpia dell’aria umida, in quanto somma di vapore e aria
secca, è data dalla somma dell’entalpia dei due elementi. Al terzo membro le masse sono
rappresentate con il simbolo m, mentre le entalpie dal solito simbolo h con il rispettivo pedice.

• Entalpia specifica:

L’entalpia specifica è definita come l’entalpia dell’aria umida per unità di massa d’aria secca. Perché
non facciamo riferimento alla parte di aria umida nel suo complesso? Poiché solo la parte secca
dell’aria si mantiene costante qualsiasi sia il processo che andremo ad utilizzare, viceversa la parte
vapore può essere soggetta a variazione come nei processi di umidificazione e deumidificazione.
Nel caso di umidificazione la parte vapore tende ad incrementarsi mentre nel caso di
deumidificazione la parte vapore tende a diminuire. Solamente i gas secchi restano costanti in questi
processi quindi è giusto e opportuno considerare solo la parte secca dell’aria quando si parla di
entalpia.

Dall’espressione precedente basta dividere H per la massa di aria secca mas per ottenere le
espressioni esplicite opportune. Ricordando che il rapporto tra mv e mas corrisponde al titolo dell’aria
umida (x), l’entalpia dell’aria umida è data dall’entalpia dell’aria secca has più il prodotto dell’entalpia
del vapore hv per il titolo dell’aria umida stessa x. Come esplicitiamo queste quantità?
• Entalpia dell’aria secca:

Siccome si parla di gas propriamente detti, ideali, l’entalpia è legata solo alla temperatura e quindi
l’entalpia dell’aria secca è data dal prodotto Cp per ΔT a meno di una costante arbitraria h0.

• Entalpia del vapore:

L’ entalpia del vapore è ancora data dal prodotto Cp per ΔT che interpreta l’entalpia del vapore in
quanto aeriforme, ma anche dal termine r, poiché il vapore può andare incontro a condensazione,
E quindi possedere a sua volta tutto il calore di condensazione che simboleggiamo con r.

• Entalpia specifica dell’aria umida:

Queste due espressioni ricomposte secondo l’equazione 2 dell’entalpia dell’aria umida, esplicitate
con i dati numerici, esprimono il calore specifico dell’aria Cpa, il calore specifico del vapore Cpv, il
calore latente dell’acqua alla temperatura di 0 °C simboleggiato con r0, danno luogo a questa

espressione esplicita:

Guardando il grafico ci si rende conto di come si


costruisce l’entalpia dell’aria umida. Presa la
condizione del vapore per assegnate temperature e
pressione parziale, il primo tratto della curva è un
aeriforme e quindi è conteggaito nel termine Cp ΔT, il
secondo tratto rappresenta un salto entalpico che
coincide con il calore latente a 0 °C. Il punto finale è il
valore che disegniamo come riferito al livello entalpico
h0 che poniamo uguale a zero per convenzione, e
quindi ne discende l’equazione di prima:
DIAGRAMMI PSICROMETRICI

Le relazioni analitiche tra le variabili termodinamiche, stabilite precedentemente, trovano


rappresentazione grafica nei diagrammi psicrometrici. Il diagramma psicrometrico è tracciato per un
assegnata pressione p, su un piano termodinamico entalpia-titolo (h,x) ad assi obliqui e non
ortogonali dove in ordinata vi è riportata l’entalpia e in ascissa il titolo ove le temperature sono
rappresentate da una famiglia di curve; ma un rappresentazione di questo tipo non è molto adatta
per usi pratici del diagramma proprio perché ad assi obliqui.

Una rappresentazione molto più soddisfacente è quella che vede in ascissa il titolo dell’aria (x) e in
ordinata la temperatura, ovvero il grafico entalpia-temperatura (t,x), fissato così il piano cartesiano
le isentalpiche vengono a costituire una famiglia di curve ad andamento obliquo mentre le isoterme
sono rette leggermente inclinate rispetto all’ascissa; in questo grafico sono rappresentate anche le
curve ad umidità relativa costante che invece hanno un andamento divergente al crescere della
temperatura. Il diagramma è contornato da segmenti orientanti contrassegnati da valori numerici
espressi in kcal per kg di aria secca. L’uso del diagramma è immediato, infatti una volta assegnate
liberamente una coppia di coordinate termodinamiche, come temperatura e umidità relativa, si può
individuare il punto corrispondente allo stato fisico del sistema e una volta marcato questo posso
acquisire le altre coordinate termodinamiche che mancano come l’entalpia o il titolo dell’aria.

Diagramma di Mollier dell’aria umida


(da non confondere con il diagramma di Mollier del vapore visto in precedenza)
In materia di aria umida il diagramma di Mollier è usato molto in Europa (infatti nei nostri esercizi lo
utilizzeremo di più) ma non è l’unico, in America i diagrammi utilizzati sono addirittura due anche se
molto simili tra di loro:

1. Il primo porta il nome di un ingegnere che è il padre fondatore della moderna teoria del
condizionamento dell’aria, Carrier, il quale ha anche dato il nome ad un’industria mondiale
nella produzione di componenti impiantistici per il condizionamento.
Il diagramma Carrier vede in ascissa la temperatura e in ordinata il titolo (x), rappresenta
come curve divergenti quelle a umidità relativa costante e le curve isoentalpiche le
rappresenta oblique.

2. A.S.H.R.A.E. è un acronimo che vuol dire American Society of Heating, Refrigerating and
Air-Conditioning Engineers, e si riferisce all’associazione degli ingegneri termotecnici
specialisti nel riscaldamento, raffreddamento e condizionamento dell’aria. In Italia
l’equivalente di questa associazione culturale è l’A.I.C.A.R.R. che opera in collegamento con
l’A.S.H.R.A.E. e con altre associazioni che ruotano attorno a queste tematiche.
Il diagramma A.S.H.R.A.E. si presenta in forma equivalente al diagramma Carrier, anche qui
la temperatura si trova in ascissa e il titolo (x) in ordinata, la differenza sta nel nomogramma
che in questo diagramma è riportato in forma diversa rispetto agli altri diagrammi.
PROCESSI PSICROMETRICI ELEMENTARI

I processi psicrometrici elementari più importanti sono sicuramente:

• La miscelazione adiabatica tra due correnti fluide di aria umida;

• Il riscaldamento sensibile;

• Il raffreddamento sensibile;

• Il raffreddamento con o senza deumidificazione;

• La saturazione adiabatica;

MISCELAZIONE ADIABATICA

Due correnti fluide di aria umida che in condizioni iniziali assegnate si incontrano dando luogo ad
una miscelazione.

Le ipotesi di base sono le solite:

I. Deflusso isobaro, ovvero che i due deflussi volgono alla stessa pressione nel momento in
cui vengono in contatto l’uno con l’altro;
II. Processo adiabatico, non vi è scambio di calore con l’esterno;
III. Lavoro scambiato nullo, ovvero non vi è scambio di lavoro meccanico attraverso i confini
del sistema che per noi ricomprende il punto di miscela;
IV. Processo stazionario, si trascurano i termini cinetici e gravimetrici;
Siccome le masse sono due, aria secca e vapore, ognuno dei due elementi merita il proprio bilancio
di massa.

Bilancio di massa dell’aria secca:

Bilancio di massa del vapore:

La massa risultante sarà data dalla somma delle masse concorrenti, sia in termini di aria secca, che
in termini di vapore. Trascrivendo la relazione del vapore in funzione del titolo, le masse di vapore
mv1 e mv2 si possono esplicitare come mas1x1 e mas2x2 così come accade ad mv3 al primo membro
che diventa mas3x3 :

Bilanci di energia:

Al primo membro del primo principio della termodinamica vengono eliminati i termini Q e P per ipotesi
di adiabaticità e non abbiamo scambi di lavoro sul volume di controllo. I deflussi in ingresso sono
due, in uscita è solo uno e quindi la variazione complessiva di entalpia ΔH è data da l’equazione
finale già analizzata nei primi capitoli sul primo principio della termodinamica.

Con semplici passaggi algebrici ricaviamo le scritture riquadrate, il titolo dell’aria miscelata x3 e
l’entalpia dell’aria miscelata h3 (x3 e h3 sono le coordinate del punto di miscela); entrambe sono date
dalla media del titolo e dell’entalpia dei deflussi concorrenti, pesati rispetto alle portate.

Ritroviamo quanto già visto a suo tempo, quando si parlava di deflussi di due vene concorrenti di
tipo omogeneo. Anche qui sussiste la regola della leva e tutte le relazioni che da essa discendono.
Uguagliando x3 e h3 si ottiene:

Equazione 3
L’equazione 3 rappresenta l’equazione della retta tracciata nel piano psicometrico (h, x) passante
per i punti 1 e 2 e contenente il punto 3 al suo interno. Dalla relazione risulta altresì che il punto tre
divide il segmento 1-2 importi inversamente proporzionali alle rispettive masse, ovvero il punto 3 è
il baricentro delle masse 1 e 2 (dalla regola della leva). Il rapporto delle masse si può infine valutare
graficamente come rapporto delle distanze 3-2 e 3-1.
Volendo dare rappresentazione del processo
di miscelazione sul piano psicrometrico
dovremmo, per le condizioni iniziali 1 e 2,
conoscere a priori una qualunque coppia di
variabili termodinamiche per poter marcare sul
piano di Mollier il punto 1 e 2. Le relazioni
scritte, soprattutto l’equazione 3, ci dicono che
il punto tre sta all’interno del segmento 1-2 e
lo divide in parti inversamente proporzionali
alle masse: questo traduce la regola della
leva.

Lo stato fisico della miscela risultante è


rappresentato da un punto 3 che giace
all’interno della congiungente 1-2. Se le due
portate sono uguali, il punto 3 ricadrà nel punto
medio del segmento 1-2.

RISCALDAMENTO SENSIBILE

Soffiando una vena d’aria umida attraverso uno scambiatore di calore, nella fattispecie una batteria
alettata, avviene il riscaldamento sensibile. All’interno della batteria alettata entra dell’acqua a una
temperatura sufficientemente alta per cui l’aria che vi transita subisce un riscaldamento.

Il riscaldamento sensibile è un processo isotitolo, ovvero durante il processo il titolo x rimane


costante, x=cost

Come rappresentiamo il processo nel diagramma psicrometrico?

Supponiamo che l’aria in ingresso sia nelle condizioni del


punto 1, se non si verifica sull’aria nessuna aggiunta o
estrazione di vapore d’acqua, e così accade in casi del
genere, il titolo dell’aria x resta costante e il processo
evolverà in forma isotitolo e lo stato finale di quest’aria sarà
rappresentato da un punto 2 che starà sulla verticale
condotta dal punto 1. Dove ricade esattamente il punto 2
dipende dal calore fornito, dalla quantità di energia termica
che la vena d’aria riceverà. In ogni caso il suo stato fisico
finale avrà il valore del titolo uguale alla condizione fisica
iniziale.
Questo è lo schema funzionale del processo: vi è un canale
d’aria all’interno del quale si muove una vena d’aria che
inizialmente si trova nelle condizioni del punto 1. L’aria
attraversa una batteria di scambio termico che riceve calore
dall’esterno, per poi emergere nelle condizioni del punto 2.

Si può subito stabilire un bilancio energetico e partendo dal primo


principio della termodinamica e dal volume di controllo stabilito si ha:

Come abbiamo già detto il titolo dello stato finale è uguale al titolo dello stato iniziale:

RAFFREDDAMENTO SENSIBILE

Se all’interno della batteria alettata si fa scorrere acqua fredda, provochiamo una riduzione di
temperatura sul flusso d’aria che la attraversa.

È anch’esso un processo isotitolo (x=cost) ma vincolato alla condizione T2 > Tr ovvero temperatura
di rugiada.

Se lo stato iniziale dell’aria in ingresso è 1, a seguito del


raffreddamento, se viene operato senza immissione
estrazione di vapore d’acqua nell’atto in cui attraversa la
batteria di scambio termico, lo stato finale dell’aria avrà
una temperatura inferiore a quella iniziale e un titolo
uguale a quello iniziale: stato fisico rappresentato dal
punto 2.

Schema funzionale del processo:

Si può stabilire un bilancio energetico partendo dal volume di controllo e dal


primo principio della termodinamica, ricordando che il titolo rimane costante e la
temperatura T2 non scende oltre la Tr, ovvero la temperatura di rugiada delimitata
dalla curva di saturazione.
RAFFREDDAMENTO CON DEUMIDIFICAZIONE

In questo caso l’aria, in seguito al passaggio attraverso la batteria alettata con all’interno acqua
fredda, emerge non solo raffreddata ma anche deumificata ovvero ridotta nel suo contenuto di
vapore d’acqua poiché una parte del suo contenuto di vapore d’acqua si è convertita in condensato,
quindi è passata alla fase liquida, e il vapor d’acqua associato alla vena emergente è minore rispetto
al vapor d’acqua della vena entrante.
È anch’esso un processo isotitolo (x=cost) ma in questo caso T2 < Tr ovvero temperatura di rugiada.

Consideriamo adesso il caso in cui la potenza


termica estratta da questa batteria, ovvero la
temperatura dell’acqua che viene emanata nella
batteria, è talmente bassa da indurre la vena d’aria a
raffreddarsi ben oltre il punto 2. In questo caso il
raffreddamento procede fino a raggiungere la curva
di saturazione, che corrisponde ad un’umidità
relativa Φ del 100%, e prosegue ulteriormente. Nel
suo proseguire, la temperatura finale dell’aria sarà
sempre quella imposta dal bilancio energetico del
sistema e supponiamo che sia T2, la temperatura di
equilibrio dell’aria rispetto all’acqua con cui fa i conti.
L’aria quindi si raffredda secondo il processo isotitolo
dal punto 1 e quando incontra la curva di saturazione,
siccome non può andare oltre, devia la sua direzione
e scende allo stato di equilibrio rappresentato dal
punto 2. Il titolo dell’aria nel punto due è sicuramente
minore rispetto al titolo dell’aria nel punto 1, x2<x1.
Significa che parte del vapore d’acqua inizialmente
contenuto dall’aria in ingresso, è cambiato di fase e si
è liquefatto e ha prodotto il condensato che finirà per
gocciolare fuori dal sistema: vapore in forma liquida
ml, dove il pedice ‘l’sta appunto per liquido.

Quanto vale la produzione di condensato?


Lo possiamo ricavare eseguendo un bilancio di massa sul sistema stesso.

Bilancio di aria totale: Equazione 4

Sul volume di controllo entra dell’aria umida nelle condizione del punto 1, e quindi scriviamo:
Esce invece aria umida nelle condizioni del punto 2 accompagnata dal condensato che esce
dal volume di controllo:

Aria secca:

La massa di aria secca che figura al primo e al secondo termine dell’equazione 4 non cambia nel
transito e quindi è un termine che si può elidere tra primo e secondo membro perché si è conservato.

Ciò che residua dall’equazione precedente è proprio il vapore:

Che può essere interpretata in termini di titolo (tenendo in considerazione le formule per trovare il
titolo). Invertendo la formula si può ricavare la quantità di condensato che si
forma, proporzionale alla variazione di titolo tra ingresso e uscita e proporzionale
altresì alla massa della parte secca dell’aria. Questo è il condensato che si forma: Equazione 5
Bilancio di energia: abbiamo una batteria di scambio termico che estrae calore dal volume di
controllo e questo calore estratto lo simboleggiamo con Q.
Il sistema è aperto, trascurando i termini cinetici e gravimetrici, e considerando le portate entranti e
uscenti al secondo membro possiamo scrivere:

Tenendo conto che l’entalpia del liquidò può essere esplicitata con hl= Cp ΔT più la solita costante
arbitraria che però vale 0 avendo assunto questo valore come riferimento, ammesso che il liquido
sia a pressione costante.

Utilizzando l’ ultima equaizone combinata con l’equzione 5 precedente, in definitiva la potenza


termica scambiata dalla batteria su questa vena d’aria umida è:

Qui poi è immediato osservare che il termine evidenziato è solitamente minore rispetto al salto
entalpico h2 - h1 e quindi è trascurabile.

In definitiva la potenza termica da estrarre per portare l’aria umida dallo stato 1 allo stato 2 è data
da questa semplicissima espressione utilizzata ampiamente in seguito:
SATURAZIONE ADIABATICA

Pensiamo ad un canale d’aria che passa attraverso a questo dispositivo rappresentato in figura: un
bacino che riceve acqua di rete sottoposto a controllo a galleggiante; da qui pesca una pompa che
poi invia l’acqua sottoposta a pressione ad uccelli che polverizzano l’acqua così che quando passa
la vena d’aria questa possa essere ben umidificata. Quest’aria dopo il passaggio nel dispositivo esce
in condizioni sature, quando è stata assunta completamente tutta l’acqua che la vena può inibire e
quindi l’aria che esce è satura, ovvero il suo grado di umidità relativa è pari al 100%.

Andiamo a scrivere il bilancio di massa:

Al solito la masse entrante dell’aria umida è formata dalla parte secca e dal vapore in più vi è la
portata acqua che entra ovvero il liquido di reintegro, poiché l’acqua polverizzata viene trascinata
via dalla vena d’aria e questo livello di acqua deve essere ripristinato con tanta acqua quanta se ne
è consumata. In uscita abbiamo invece solo la massa di aria umida formata dalla parte secca e dal
vapore.

Ancora una volta la massa d’aria secca all’ingresso e all’uscita è la stessa e quindi possiamo eliderla;
ne viene fuori la relazione:

Che si può riscrivere in termini di titolo (x):

Il bilancio energetico si esegue ipotizzando il processo adiabatico, Q=0 e quindi scrivendo il primo
principio della termodinamica possiamo scrivere le solite espressioni:
Riordinando la scrittura e osserviamo che il termine evidenziato sia minore di h2 - h1 e quindi
trascurabile:

Concludiamo dicendo che il processo è non solo adiabtico per ipotesi ma anche isentropico:
L’entalpia dello stato iniziale è uguale all’entalpia dello stato finale.

Se così è possiamo dare immediata rappresentazione al pricesso sul piano psicrometrico. Se lo


stato iniziale dell’aria in ingresso è rappresentato dal punto 1 per conoscere lo stato finale è
sufficiente ricordare che il processo è
isentalpico e dunque la sua entalpia sarà
un determinata da un punto che giace sulla
linea isentalpica passante per 1. Se il
dispositivo è risultato efficace l’aria uscente
sarà aria satura e quindi il suo stato fisico
sarà rapprensentato dal punto 2 che
giacerà sulla curva di saturazione a Φ
uguale 100%. La temperatura che ne
discende, che leggo sull’asse delle
ordinate, prende il nome di temperatura di
saturazione adiabatica Tsa.

DETERMINAZIONE SPERIMENTALE DELL’UMIDITA’ RELATIVA

Come si fa a determinare la condizione fisica dell’aria in un determinato momento all’interno di un


ambiente? Bisognerebbe almeno individuare due parametri. Un primo dato facile da conseguire è la
temperatura osservabile da un comune termometro. L’altro parametro altrettanto facile da
determinare è l’umidità relativa, a questo scopo ci si serve di uno strumento che prende il nome di
psicrometro che lavora sullo stesso principio della saturazione adiabatica, processo visto pocanzi.
Lo psicrometro è costituito da due bulbi termometrici identici di cui uno ordinario e il secondo rivestito
da una garza imbevuta d’acqua, umida. Facciamo in modo che passi dell’aria a una certa velocità
attraverso la garza umida fino al raggiungimento dell’equilibrio termico tra l’aria che transita e il bulbo
termometrico. Fatta quest’operazione, le due temperature ta e tb indicate dal termometro saranno
diverse, tb < ta. Come mai tb è minore di ta? La garza imbevuta d’acqua, nel momento in cui passa
dell’aria che ne sollecita l’evaporazione, fa sì che l’aria che va a lambire il bulbo termometrico sia
aria satura; in altri termini è lo stesso processo di saturazione adiabatica che abbiamo visto nel caso
precedente. La temperatura tb che mi sta indicando il bulbo umido sarà la temperatura di saturazione
adiabatica; questo dato è rilevabile per semplice osservazione della scala termometrica. In uscita
da questa misurazione disponiamo di due dati, il primo è relativo alla temperatura del bulbo secco,
l’altro è la temperatura indicata dal bulbo umido.
Disegnando e rappresnetando le due temperature sul grafico psicrometrico e ricordando che il
processo è isentalpico (assimilabile ad un processo di saturazione adiabatica), per trovare il punto
1 traccio l’isoterma alla temperatura tb e la interseco con la relativa isentalpica. Successivamente
riporto la temperatura ta e interseco l’isoterma con l’isentalpica tracciata precedentemente: il punto
A è rappresnetativo della condizione ambiente (temperatura indicata dal bulbo secco e entalpia
uguale a quella dell’aria uscita dal bulbo umido). In questo modo determino lo stato ambiente. Se
voglio conoscere l’umidità relativa ambiente non devo far altro che vedere quale delle curve a umidità
relativa costante passa per A e per semplice ispizione del diagramma la posso trovare.

Tre sono le temperature che sono in grado di catatterizzare la condizione termicometrica


dell’ambiente.

Per ricapitolare abbiamo incontrato la temperatura dell’aria misurata dal termometro a bulbo secco,
poi la temperatura di saturazione adiabatica e coincide con la temperatura al bulbo umido e infine
abbiamo la temperatura di rugiada che consegue a un processo di raffreddamento con
deumidificazione quando, come abbiamo visto in precendeza, il raffreddamento procede oltre al
punto Tr ottenuto per costruzione dalla retta isotitolo e dalla curva di saturazione (oltre questa soglia
comincia la condesanzione). Questa ultima temperatura dalla quale si ha incipiente condensazione
prende il nome di temperatura di rugiada che noi indichiamo con Tr.
CALORE SENSIBILE, CALORE LATENTE E CALORE TOTALE
(scambiati in un processo psicrometrico)

Supponiamo di disporre di un canale dove viaggia


una vena d’aria nelle condizioni 1, questa
attraversa il volume di controllo all’interno del quale
sono ricompresi meccanismi che inducono un
processo termodinamico su tale vena d’aria. La
condizione di uscita dell’aria allo stato 2 sarà
diversa dalla condizione d’ingresso allo stato 1: ciò
ha comportato uno scambio termico rappresentato
da Q.

Il bilancio energetico è formulato secondo questa semplice espressione:

ovvero portata d’aria secca per il salto entalpico 2-1.

Ma di questo calore Q scambiato qual è l’aliquota di calore sensibile e quale quella di calore latente?
Non è affatto difficile, basta esplicitare l’espressione dell’entalpia nei due casi, stato 1 e stato 2,
richiamando le espressioni usate nelle pagine presendenti (entalpia specifica dell’aria umida):

Calcoliamo la differenza entalpica h2 – h1 e ritenendo la qualtità evidenziata trascurabile scriviamo:

Riportanto l’espressione del salto entalpico h2 – h1 nell’equazione


possiamo riscrivere di nuovo il bilancio energetico:

Adesso è visibile l’aliquota di calore sensibile e quella di calore latente. Il calore sensibile si manifesta
con sole variazioni di temperatura, mentre il calore latente è quello che si manifesta con variazioni
di titolo (cambiameneto di stato).
Queste quantità posssono essere riportate
graficamente. Supponiamo che il processo
a cui abbiamo assistito porta dallo stato 1
allo stato 2. Se traccio la verticale a partire
dal punto 1, e una linea orizzontale a partire
dal punto 2, le due linee si incontrano nel
punto 3. Il tratto 1-3 è un salto entalpico e le
entalpie le leggo dal piano termodinamico
poiché le isentalpiche sono delle famiglie di
curve oblique. Il salto entalpico siccome è
contrassegnato da una varaizione di
temperatura, è corrispondente al calore
sensibile. Il salto entalpico 3-2 è invece
caratterizzato da una variazione di titolo a
temperatura costante e dunque corrisponde
al calore latente.

La lunghezza dei due segmenti 1-3 e 3-2 è quindi rispettivamente proporzionale al calore sensibile
e al calore latente scambiati tra la vena d’aria e l’ambiente esterno attraverso gli impianti ricompresi
nel volume di controllo.
CAPITOLO 14. CONDIZIONAMENTO DELL’ARIA

Condizioni interne e bilanci energetici

Carico termico di un ambiente: calore che io devo immettere nell’ambiente in condizioni invernali o
estrarre da esso in condizioni estive per assicurare le assegnate condizioni termo-igrometriche di comfort.

Le condizioni interne di progetto in regime estivo e invernale sono rispettivamente:

condizioni estive: TA =26 o C ф=50%= umidità relativa

condizioni invernali: TA =20 o C ф=50%= umidità relativa

Qtr=calore trasmesso attraverso l’involucro edilizio dovuto alla differenza di temperatura che vi è tra
interno ed esterno. E’ un calore puramente sensibile, perché il flusso termico è indotto da una differenza di
temperatura.

Calore emesso dal radiatore= calore sensibile

Qv= calore di ventilazione, cioè il calore associato all’aria di ventilazione che entra nelle condizioni esterne
ed esce nelle condizioni interne. E’ un calore latente e sensibile allo stesso tempo: è sensibile perché vi è
una differenza di temperatura tra aria esterna ed aria interna, è latente perché vi è una differenza di titolo
tra queste. Dunque se moltiplico 𝑚̇ dell’aria di ventilazione per il calore latente per la variazione di titolo,
posso quantificare l’aliquota di calore latente.

Il calore rilasciato da elettrodomestici azionati elettricamente è un calore sensibile, mentre quello rilasciato
dal corpo umano è un calore sensibile e latente, la parte latente è legata alla variazione di titolo tra l’aria
inalata e l’aria espirata, mentre la parte sensibile è legata al fatto che vi è una differenza di temperatura tra
il corpo umano e l’ambiente circostante. L’aria espirata presenta un titolo maggiore di quella inalata perché
passando attraverso i polmoni l’aria assorbe vapor d’acqua.

Si osservi infine che al calore latente è associata una quantità complessiva di vapore m v‫ ﮲‬che l’impianto è
chiamato ad abbattere 𝑄̇𝐿 = 𝑟𝑚̇𝑣

La radiazione solare: calore di tipo sensibile


E’ possibile dunque calcolare tutti i contributi di tipo sensibile (Qs) e di tipo latente (QL). Il carico termico
totale ambiente ( Q‫﮲‬T = Q‫﮲‬imp ) può pensarsi come: 𝑄̇𝑇 = 𝑄̇𝑠 + 𝑄̇𝐿

Retta ambiente

L’impianto di climatizzazione ha il compito di abbattere il carico termico totale e il vapore prodotto in


ambiente convogliando un’opportuna quantità di aria in opportune condizioni di immissione (I) ed
estraendola nelle stesse condizioni dell’ambiente (A) (FIG.1)

Il sistema che teniamo in considerazione è l’edificio, che a sua volta è costituito da tanti piccoli ambienti.
Dunque tutto quello che diremo può essere riferito all’intero edificio come ad ogni ambiente di cui esso è
costituito.

Ritagliamo un volume di controllo attorno all’ambiente (rappresentato dal cerchio in figura). Conosciamo le
condizioni termo-igrometriche dell’ ambiente poiché assegnate. Questo volume di controllo viene
attraversato da un calore entrante (indicato in figura con il termine Qt) e con il termine m v indichiamo la
produzione di vapore che vi si sviluppa all’interno (è come se venisse immessa, per questo nel disegno è
indicata con la freccia entrante) dovuta alla presenza di persone e alla variazione di titolo dell’aria di
infiltrazione rispetto a quella dell’ambiente (dunque dell’aria in transito). Il sistema è poi attraversato da
una vena d’aria umida immessa tramite l’impianto nelle condizioni di immissione (I) che verrà estratta nelle
stesse condizioni dell’ambiente (A) ed avrà il compito di abbattere la produzione di vapore.

Per quanto riguarda il bilancio di energia vediamo che il carico termico totale è dato dal prodotto tra la
portata d’aria da immettere per la variazione di entalpia tra lo stato finale e lo stato iniziale.

Il bilancio di massa (di vapore) è dato dal prodotto tra la portata d’aria secca (𝑚̇𝑎𝑠 ) per la variazione di
titolo. Nelle condizioni iniziali noi abbiamo la portata del vapore (𝑚̇𝑣 ) più la portata d’aria umida (m‫﮲‬as
(1+xI)). In uscita abbiamo un solo deflusso nelle condizioni del punto A (𝑚̇𝑎𝑠 (1+xA ).

Eseguendo il rapporto membro a membro tra le equazioni di bilancio dell’energia e della massa otteniamo
l’equazione di una retta nel piano psicrometrico (h,xentalpia,titolo) passante per A, di pendenza β e che
contiene il punto I al suo interno. Il rapporto Δh/Δx è rappresentativo dunque della pendenza della retta
che è pari al rapporto tra il carico totale da abbattere e la produzione totale di vapore da abbattere. Le
condizioni del punto A e il rapporto β sono note e dunque il compito dell’ingegnere è quello di stabilire a
quali condizioni termo-igrometriche immettere l’aria in modo da abbattere il carico latente e il vapore; tali
condizioni devono soddisfare la legge matematica espressa dall’equazione. La retta β è detta retta
ambiente e rappresenta il luogo dei punti di possibile immissione dell’aria in ambiente. La conclusione è che
il punto I di immissione deve necessariamente giacere su questa retta, quindi è sufficiente scegliere come
condizione di immissione dell’aria quelle secondo cui essa questa abbia le caratteristiche del generico
punto I appartenente a questa retta (passante per il punto A noto a priori e con pendenza β).

Questo problema è definito dal punto di vista matematico. l’ingegnere si chiede tra gli infiniti punti
appartenenti alla retta in questione quali siano le specifiche condizioni alle quali conviene immettere l’aria
in ambiente. Bisogna ricorrere a un altro criterio di tipo tecnico-pratico: conviene che la temperatura di
immissione non si discosti molto da quella che si gradisce avere all’interno dell’ambiente. La temperatura di
immissione (TI) è soggetta a questo vincolo:

TA

Tracciata nel piano psicometrico la retta ambiente che ha origine nel punto A e pendenza β, individuiamo la
TA , andiamo a staccare nell’asse delle ordinate un segmento pari a circa 10 gradi che ci servirà per
l’individuazione del punto I all’intersezione con la retta ambiente.

Punto I=rappresentazione delle condizioni di immissione che sono tali da non risultare disturbanti per gli
occupanti e da garantire l’abbattimento del carico termico e del vapore che si produce in ambiente sia in
condizione estiva che invernale. Tra le due condizioni cambia la pendenza della retta β che è ruotata di 90°.

Il problema ricorre nel momento in cui bisogna rappresentare questa retta β in un piano del tipo
temperatura-titolo, però noi sappiamo che questo tipo di grafici ha origine in un diagramma h-x.
Tracciamento della retta ambiente

A prescindere dal diagramma psicometrico è possibile tracciare la retta a partire da due passaggi.

Parliamo del diagramma di Mollier (temperatura-titolo). Le curve divergenti presenti nel grafico sono
rappresentative dell’umidità relativa. Attorno al piano di Mollier vi è una corona di segmenti accompagnati
da dati numerici espressi in kcal/kg ed esprimono il rapporto QT/m cioè il rapporto tra il carico termico
totale e la produzione di vapore pre calcolata. Questi segmenti inoltre sono tutti orientati e convergenti
verso un unico punto che corrisponde allo 0°C (polo della rappresentazione).

𝑄𝑣
1)Per prima cosa si va a determinare il valore della pendenza β= , si individua il valore trovato tra i
𝑚𝑣
numeri a corona del piano cartesiano, si traccia la congiungente tra questo punto e il polo P (retta azzurra),
ottenendo così la “retta ausiliaria”.

2)Ci si sposta in corrispondenza del punto A e si traccia la parallela alla retta ausiliaria che rappresenterà la
“retta ambiente β ” nel diagramma di Mollier.

Si possono determinare poi le condizioni di immissione considerando la TA, e staccandoci 8-10 gradi da
questa al fine di individuare la TI (guarda segmenti arancioni orizzontali). All’intersezione tra la isoterma TI e
la retta ambiente troveremo il punto I (rappresentativo delle condizioni di immissione). Così facendo
potremo determinare anche gli altri parametri termofisici come il titolo, che leggeremo nell’asse delle
ascisse e l’entalpia.

TA

TI

Diagramma Carrier

Il tracciamento della retta ambiente si fa utilizzando il fattore termico R definito come:

𝑄̇ 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 𝑡𝑒𝑟𝑚𝑖𝑐𝑜 𝑠𝑒𝑛𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒


R= ̇ 𝑠 =
𝑄𝑇 𝑐𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒

Il fattore R equivale a β in quanto:


Si fa uso del nomogramma riportato alla destra dell’asse delle ordinate e costituito da segmenti graduati
convergenti nel polo P. Si traccia la retta ausiliaria a partile dal punto R determinato sul nomogramma fino
a congiungere il polo P, poi ci si sposta in corrispondenza del punto A assegnato e si traccia la retta β
parallelamente a quella ausiliaria.

Il diagramma di Carrier non permette il tracciamento delle pendenze negative della retta β.

Diagramma A.S.H.R.E.

Il nomogramma è in questo caso di forma circolare e doppiamente graduato. All’interno è riportato il


𝑄 𝑄
rapporto 𝑅′ = 𝑚𝑇 , mentre all’esterno il fattore termico 𝑅 = 𝑄𝑠 (valori positivi e negativi). Alla sinistra della
𝑣 𝑇
linea rossa tratteggiata interna al nomogramma troviamo valori rappresentativi delle condizioni estive a
destra delle condizioni invernali.

Il polo P è posto all’origine del semicerchio e il tracciamento della retta ambiente è analogo ai precedenti.
Fissato il punto A si determina sul nomogramma il valore R o R’ e si traccia la congiungente P-R (o P-R’),
quindi si traccia la parallela passante per A (sempre collocato al 50% di umidità e a 26 °C).
Condizionamento estivo. Cicli termici (I)

Climatizzazione estiva. I dati conosciuti a priori sono: le condizioni climatiche rappresentate dal punto A
(relative all’ambiente interno), le condizioni del punto E perché rappresentative delle condizioni climatiche
esterne in cui sorge l’edificio, il carico termico (totale, sensibile e latente) e la produzione di vapore mv.

Possiamo cominciare a tracciare i punti sul diagramma di Mollier: il punto A che si trova a 26°C e 50% di
umidità, il punto E che in estate si troverà al di sopra del punto A e in possesso dei dati relativi al calore
sensibile, a quello totale e alla produzione di vapore è possibile individuare la retta β. Sulla base di questi
dati possiamo andare ad individuare la posizione del punto I. Il nostro obbiettivo è quello di prelevare aria
nelle condizioni esterne e portare questa alle condizioni del punto I, abbattendo così il carico termico totale
e la produzione di vapore.

Per passare dal punto E al punto I si utilizza il processo di raffreddamento con deumidificazione o il
processo di riscaldamento sensibile. In particolare osservando lo schema funzionale sulla sinistra vediamo
che:

-preleviamo aria nelle condizioni del punto E che faremo passare attraverso una batteria fredda (bf) che se
ha una potenza frigorifera adeguata realizzerà un raffreddamento e una deumidificazione rappresentata
nel grafico sulla destra dal tratto di curva che va dalla proiezione di E su ф al punto R. Dietro la batteria
fredda ci sarà un gruppo frigorifero che produrrà acqua fredda inviata alla batteria stessa. Quest’ultima
verrà attraversata dunque da una vena d’aria fino al punto R.

-A partire dal punto R l’aria verrà mandata alla batteria calda che provvederà ad operare il cosiddetto “post
riscaldamento” da R ad I, questo processo è isotitolo poiché alla batteria calda non è associata alcuna
emissione o immissione di vapore. Questo processo di fermerà nel punto I che assicurerà l’abbattimento
del vapore e di carichi termici totali.

Ragionando in modo inverso dal punto I possiamo trovare il punto R tracciando una verticale a partire dal
punto I fino ad intersecare la curva di saturazione ф=100%. Questo punto R ottenuto per costruzione
coinciderà sia con il punto di inizio post riscaldamento sia con il punto di fine deumidificazione.

Quale deve essere la potenza termica a carico della batteria calda e la potenza frigorifera che la batteria
fredda deve esprimere per servire il carico termico Qt assegnato?
1 2 3

A questo scopo è sufficiente eseguire un bilancio energetico sull’una e sull’altra batteria. E’ chiaro che il
bilancio energetico sulla batteria fredda mi porta ad esprimere l’equazione 1, la potenza della batteria
frigorifera è data dal prodotto della portata d’aria secca per la variazione di entalpia tra i punti E ed R
rispetto ai quali la batteria opera.

Analogamente per quanto riguarda la taglia della batteria calda (equazione 2), la potenza che questa deve
cedere all’acqua sarà data dal prodotto tra la portata di aria secca per la variazione di entalpia (salto
entalpico) corrispondente ai punti I e R sui quali la batteria opera.

Le prime due espressioni contengono un’incognita, ovvero la portata d’aria secca da convogliare in
ambiente. Per conoscerla possiamo eseguire un bilancio energetico sull’ambiente A ed otterremo
un’equazione (equazione 3) in cui il salto entalpico sarà quello che va dal punto I al punto A. l’equazione
vede al secondo membro il rapporto tra il carico termico totale e il salto entalpico perché abbiamo operato
il bilancio energetico in relazione al carico termico totale, ma noi possiamo anche ricavare espressioni
alternative andando a fare il bilancio energetico limitatamente alla parte sensibile del carico termico.
Ponendo al numeratore il carico termico sensibile, al denominatore avremo il prodotto C p(Δt), se invece
vado a fare il bilancio energetico limitatamente al calore latente, al denominatore andrò a scrivere r(Δx).
Abbiamo dunque trovato tre distinte formule da poter sfruttare al fine di ottenere la portata di aria secca.

OSSERVAZIONE: E’ chiaro che l’esercizio della batteria fredda come della batteria calda comportano dei
consumi energetici. La Batteria fredda perché alimentata da un chiller elettrico, quella calda perché
alimentata da una caldaia e quindi i rispettivi vettori energetici andranno poi pagati e costituiranno il
consumo energetico del sistema. Il nostro obiettivo è quello del risparmio energetico, quindi ci chiediamo
se sia possibile modificare lo schema al fine di conseguirlo. Possiamo pensare di non scaricare in atmosfera
tutta l’aria in uscita dall’ambienta, ma di recuperarne almeno una parta da dirottare sul canale di ingresso
onde realizzare una miscelazione adiabatica. Dunque io posso intercettare una determinata aliquota
(portata di ricircolo=mr) dell’aria convogliata nel canale che porto a ricongiungere con la portata d’aria
esterna. Otterrò una miscelazione adiabatica In corrispondenza del punto M. A questo punto non arriverà
più aria nelle condizioni E alla batteria fredda, ma aria nelle condizioni M e quindi il salto entalpico a carico
della batteria fredda non sarà più proporzionale al salto entalpico tra E ed R, ma tra M ed R. A parità di
portata che la batteria fredda dovrà elaborare dunque il salto entalpico si ridurrà, portando il fruitore ad
ottenere un risparmio energetico.
Titolo, entalpia e temperatura della miscela risultante sono pari alla media pesata di quelle delle vene
concorrenti rispetto alle portate.

Condizioni di immissione e aria di ricircolo.

Condizioni di immissione.

La scelta del punto I di immissione è arbitraria ma ha conseguenze sulla portata d’aria da trattare. Si ha
−𝑄̇
infatti: 𝑚 ̇ = sia pure entro i limiti ITI-TAI≤8/10 °C, il punto I va scelto in modo tale da minimizzare la
ℎ𝐴−ℎ𝐼
𝑚̇ e dunque le sezioni dei canali e la taglia della batteria calda e fredda.

Portata di ricircolo.

Ci chiediamo se la tecnica utilizzata precedentemente per ottenere un risparmio energetico sia sempre
applicabile. La risposta è no, poiché la quantità d’aria esterna da considerare è dettata dalle esigenze di
ventilazione degli ambienti. Nel caso in cui l’ambiente da servire con questo impianto di condizionamento
sia un ambiente in cui si sviluppano sostanze nocive (come un ambiente industriale o ospedaliero) ciò non è
possibile, poiché l’aria estratta dall’ambiente trattato non potrebbe essere ricircolata. La portata di ricircolo
è un beneficio dal punto di vista del risparmio energetico però non può scendere al di sotto di certe soglie.
Sarebbe infatti utile poter ricircolare tutta l’aria presente in ambiente, ma ciò è reso impossibile da motivi
di tipo igienico, e ci porterebbe a deteriorare gravemente la qualità chimico-olfattiva dell’aria. Per
comprendere quali sono i limiti da tenere in considerazione per utilizzare la tecnica del ricircolo dell’aria
bisogna tenere in considerazione norme come la Norma UNI 10339 che prescrive che almeno negli edifici di
tipo residenziale o terziario la portata d’aria sia: (aria esterna di rinnovo=aria presa
dall’esterno ed immessa nell’ambiente da trattare.)

La portata di ricircolo è sempre data dalla differenza tra la portata che dobbiamo immettere in ambiente
per abbattere i carichi termici meno la portata indispensabile per il ricambio fisiologico. 𝑚̇𝑟 = 𝑚̇ − 𝑚̇𝐸
Ottenere una portata negativa non avrebbe alcun senso fisico, dunque in questo caso non abbiamo alcun
ricircolo e l’impianto è detto “impianto a tutt’aria” poiché tutta l’aria esterna sarà utilizzata per
l’abbattimento dei carichi termici. I dunque non potrà essere scelto arbitrariamente ma dovrà soddisfare il
bilancio energetico totale (𝑄̇) o sensibile (𝑄̇𝑠). Allora, dato che I deve comunque giacere sulla retta β, la
coordinata hI o (TI) sarà:

Cicli termici. (2)

Impianto a tutt’aria con ricircolo. (post riscaldamento a miscela)


Nello schema visto precedentemente abbiamo operato servendoci di un’apposita batteria calda. L’utilizzo
di questa comporta delle spese d’acquisto e di esercizio (perché dietro la batteria calda ci sarà
necessariamente una caldaia). Per evitare di dover utilizzare la batteria calda possiamo studiare uno
schema di questo tipo:

Guardando lo schema funzionale a sinistra osserviamo che parte della corrente d’aria (Δm) nelle condizioni
del punto A viene dirottata, mentre la restante parte (mr-Δm= aria di ricircolo) si miscelerà con l’aria
esterna determinando le condizioni del punto M, successivamente la vena d’aria verrà raffreddata grazie
alla presenza della batteria fredda fino ad arrivare alle condizioni del punto R. Quando le due vene d’aria
(Δm nelle condizioni di A e quella nelle condizioni di R) si miscelaranno, daranno necessariamente luogo ad
un punto che giacerà sulla congiungente A-R, il punto I dunque determinerà le condizioni di immissione
dell’aria in ambiente. Il punto I inoltre appartiene alla retta β e perciò è tale da garantire l’abbattimento dei
carichi termici e del vapore dell’ambiente da trattare.
In questo caso il post- riscaldamento avviene per miscelazione (senza quindi l’ausilio della batteria calda)
tra aria nelle condizioni del punto A e aria nelle condizioni del punto R. Troviamo questa fortunata
condizione solo quando β interseca ф=100% e ciò avviene solo quando il carico sensibile è particolarmente
più grande del carico latente, infatti tanto è più alto il carico sensibile tanto più il punto I e il punto A
tenderanno a giacere sulla stessa curva isotitolo, viceversa il carico latente sarà tendente a zero, come ad
esempio nel caso in cui il fattore R è dell’ordine di 0,7 0,8. Per lo più questa condizione si verifica negli
ambienti residenziali in cui è sufficiente realizzare un ciclo termico che prescinde dall’utilizzo di una batteria
calda, in cui dunque la complessità impiantistica ed il costo dell’impianto saranno minori.

Condizionamento invernale. Cicli termici.

AMBIENTE INTERNO Temperatura ambiente=20°C Umidità relativa=50%

AMBIENTE ESTERNO Temperatura=pochi gradi centigradi

Nel piano psicomentrico il punto A si troverà in posizione più elevata rispetto al punto E

Conosciamo la condizione climatica esterna (punto E), la condizione climatica interna (punto A) e i carichi
termici, dunque possiamo tracciare la retta β che avrà una pendenza ruotata di 90° rispetto a quella
tracciata nel caso estivo. Anche qui al fine di determinare le condizioni dell’aria di immissione (I) è
sufficiente staccare un segmento di una decina di gradi in più rispetto a quelli della temperatura di A e
intersecare questa isoterma con la retta β.

Il nostro obiettivo è quello di portare l’aria dalle condizioni del punto A a quelle del punto I e per farlo
facciamo riferimento allo schema a sinistra. Ove possibile provvederemo ad effettuare un ricircolo e
dunque vi sarà la presenza del punto M di miscelazione. Al punto M seguirà una batteria calda che
chiameremo di “pre-riscaldamento” (bc1) che eseguirà un primo riscaldamento sensibile fino al punti N.
Dopo eseguiremo un processo isentalpico di saturazione adiabatica fino a totale saturazione dell’aria in
corrispondenza del punto P. Successivamente abbiamo una seconda batteria di “post-riscaldamento” (bc2)
che opererà nuovamente un riscaldamento a titolo costante fino a raggiungere le condizioni del punto I (di
immissione).

Anche qui possiamo operare bilanci energetici al fine di conoscere la potenza termica che le due batterie
devono erogare alla vena d’aria. Queste stesse potenze termiche sono rappresentative della potenza della
caldaia che le servirà entrambe in parallelo.
Assetto della centrale termofrigorifera.

Schema impiantistico funzionale, rappresenta l’assetto che l’impianto deve avere per poter servire carichi
termici estivi e invernali. Con il tratto nero spesso sono rappresentati i canali che convogliano l’aria a
partire dalle condizioni esterne E e quelle a partire dalle condizioni del punto A. Il punto M generato in
seguito alla miscelazione dell’aria alle condizioni E ed A prende il nome di “plenum”. A seguire troviamo
una sezione di filtro che intercetta il particolato e le batterie (nel caso invernale bc1 e bc2, nel caso estivo
bf e bc). Successivamente lungo il condotto vi è il ventilatore di mandata e la portata di aria trattata
destinata agli ambienti.

E’ possibile utilizzare tale impianto sia in stagione estiva che invernale senza necessità di modificarlo. Il
tutto è possibile grazie alla presenza delle valvole deviatrici che permettono di selezionare l’ingresso e
l’uscita del deflusso e dunque i percorsi che dovranno seguire rispettivamente i fluidi caldo e freddo.

Supponiamo di trovarci nella stagione estiva in cui abbiamo bisogno del gruppo frigo e della caldaia (non
abbiamo bisogno del saturatore adiabatico), quindi la sezione di saturazione continuerà ad essere presente
ma disattiva (con la pompa ferma) in modo che l’aria che vi transita non subisca alcun processo termo-
igrometrico. Lavoreranno le due batterie, la prima collegata al gruppo frigo e l’altra alla caldaia. In una
situazione di questo genere le due valvole saranno chiuse nella parte sinistra e dunque l’acqua uscita dal
gruppo frigorifero passerà attraverso la batteria fredda per poi ritornare al gruppo frigorifero. La caldaia
sarà attiva e produrrà acqua che sarà costretta a salire verso la bc2 senza poter percorrere il tratto di tubo
centrale poiché chiuso, dopo aver scambiato calore nella bc2 il fluido ritornerà alla caldaia.

Situazione invernale: non abbiamo bisogno di gruppo frigo che adesso sarà disattivato, entrambe le
batterie calde saranno alimentate dalla caldaia e la sezione di saturazione sarà attiva. Una parte dell’acqua
fuoriuscita dalla caldaia andrà verso la bc2, l’altra ora può proseguire fino a raggiungere il tratto che la
invierà alla bc1. Le valvole adesso saranno chiuse nella parte destra e dunque non permetteranno al fluido
di raggiungere il gruppo frigorifero. (guarda esercizi pag 11-14)
Varianti dell’Impianto di Condizionamento invernale a tutt’aria.

Questa configuazione coincide con quella che abbiamo studiato in precedenza. La posizione del punto M
permette di stabilire quale sia il rapporto tra le portate (esterna e di ricircolo). E’ chiaro che se il punto M
dovesse avanzare verso il punto A avremmo una confugurazione di questo genere:

Aumenta la portata di ricircolo.

Se invece M si dovesse spostare ulteriormente otterremmo uno schema di questo tipo:

Questo schema vede un impianto di condizionamento ridotto all’indispensabile in cui ci serviamo di una
sola batteria termica. La portata di ricircolo è ridotta al minimo è l’impianto è a tutt’aria esterna.
Fattore di By-Pass.

Non tutta l’aria che passa attraverso una batteria di scambio termico viene trattata per
come ce lo aspettiamo. Le batterie da noi utilizzate sono batterie alettate, costituite cioè
da banchi di tubi collocati all’interno di lastre metalliche molto sottili. L’aria che
materialmente lambisce le alette subisce il riscaldamento, raffreddamendo o
deumidificazione, ma c’è un’aliquota di portata d’aria che passa nel vano tra le due piastre
senza lambire le superfici e dunque senza subire trasformazioni termoigrometrche,
uscendo alle stesse identiche condizioni in cui entra (come se non venisse trattata).
All’uscita della batteria termica è come se una certa portata d’aria venisse a by-passare la
batteria stessa, per poi però miscelarsi successivamente con l’aria trattata. Il rapporto tra
quest’aliquota di aria e la portata d’aria totale che entra nella batteria prende il nome di
𝑚̇𝑏𝑃
“fattore di by-pass”. 𝐵𝐹 = 𝑚̇

Il processo può schematizzarsi come una miscelazione adiabatica tra l’aria di by-pass (mbp) nelle condizioni
M e l’aria trattata (m-mbp) nelle condizioni R. Le condizioni di uscita sono quelle del punto F, che giace allora
sulla congiungente MR.
Esecuzione dei cicli del condizionamento. Tenendo conto del BF.

Caso di impianto di condizionamento in condizioni estive con ricircolo: il post riscaldamento non parte da R
ma da F che risente del fattore di by-pass.

Impianti a doppio canale.

Fino ad ora abbiamo partato di impianti a tutt’aria in cui il fluido di lavoro utilizzato è solo ed
esclusivamente l’aria, questi però hanno dei limiti dal punto di vista applicativo poiché non rispondono
bene quando si tratta di condizionamento di edifici con notevole articolazione in pianta, oppure quando
questi edifici presenzano contemporaneamente impianti esposti ad est e ad ovest ecc.. In questi casi i
carichi termici sono molto diversi tra le zone e dunque è necessario un impianto più flessibile di quello a
tutt’aria.
L’impianto a doppio canale è caratterizzato dalla compresenza di due canali, uno che convoglia aria calda,
uno fredda dai quali attingere opportune portate d’aria da fare miscelare tra loro onde ottenere le
appropriate condizioni termoigrometriche per ogni data zona termica.

1° Schema.

Abbiamo una linea di mandata ed una di ricircolo grazie a cui l’aria si miscela poi con quella proveniente
dall’ambiente esterno e dal punto M in poi la vena d’aria si divide in due rami. Un’aliquota di questa
portata verrà convogliata lungo il canale in cui si troverà la batteria calda, l’altra verrà convogliata verso la
batteria fredda. La vena d’aria calda si troverà sulla stessa linea isotitolo del punto M, l’altra avendo subito
un processo di raffreddamento e deumidificazione si troverà nelle condizioni del punto F. Per servire la
zona 1 utilizzerò aria miscelata che si troverà lungo la congiungente CF (guarda schema a sinistra) e giacerà
sulla retta β1 (rappresentativa dei caichi termici della zona 1). Trovato il punto I 1 potrò definire la portata di
aria calda e di aria fredda da prelevare dai rispettivi canali. Ragionando analogamente definirò la portata
d’aria da prelevare in ciascun tratto di canale e da questi dati procedere con il dimensionamento della rete
di canale (progetto idraulico). Guarda esercizio pag 19
Impianti misti aria-acqua

REGIME ESTIVO

L’impianto misto utilizza come fluido termovettore non solo l’aria, ma anche l’acqua e ciò è reso possibile
grazie alla presenza di terminali di impianto chiamati “ventilconvettori”.

Al suo interno contiene uno scambiatre di calore alettato che riceve acqua calda o fredda a seconda della
stagione e un ventilatore che provvede a soffiare contro la batteria alettata l’aria che prelevata dalla griglia
di aspirazione poi viene rilasciata in ambiente. Inoltre il ventilconvettore dispone di un pannello con delle
manopole che permettono di eseguire la regolazione della potenza termica erogata.

Nell’immagine a destra possiamo vedere lo schema funzionale, mentre a sinistra il corrispondente ciclo
termico. A destra abbiamo dunque una batteria fredda, il ventilconvettore e i canali di mandata e di
espulsione dell’aria. L’aria entra nelle condizioni del punto E e subisce un processo di raffreddamento e
deumidificazione fino al punto F, per poi essere immessa in ambiente attraverso l’apposito canale. Il
ventilconvettore dunque aspirerà aria nelle condizioni ambiente (punto A), esegue un raffreddamento
sensibile isotitolo e rilascia aria nelle condizioni del punto B che si troverà nella isotitolo (verticale) passante
per A ma senza ancora toccare la curva di saturazione. La vena d’aria nelle condizioni B si miscela con quella
nelle condizioni F in ambiente dando luogo alle vere e proprie condizioni termoigrometriche rappresentate
dal punto I che quindi si troverà nella congiungente FB. D’altra parte affinchè quest’aria immessa in
ambiente possa abbattere il carico termico deve necessariamente giacere sulla retta ambiente β. La
posizione del punto I mi permetterà di risalire alle portate: quella di aria primaria proveniente dal canale e
quella di aria secondaria proveniente dal ventilconvettore.
Ci chiediamo quando è possibile utilizzare l’impianto di climatizzazione con ventilconvettore-> risposta:
Quando è necessario eseguire un controllo preciso della temperatura e dell’umidità relativa dell’ambiente
in considerazione e tutte le volte in cui si vuole operare una regolazione autonoma delle condizioni
termoigrometriche di quel locale rispetto a quelle di un altro.

Quali sono i limiti di uno schema funzionale di questo tipo?

Il punto I per come lo abbiamo determinato è semplice ottenerlo solo nel caso in cui la retta ambiente sia
sufficientemente inclinata, tanto da poter toccare la FB. Se invece il carico termico ambiente è maggiore
questa retta ruoterà attorno al punto A verso sinistra sollevantosi e non intersecherà più la FB, dunque
bisognerà modificare lo schema al fine di poter ottenere una soluzione.

In questa soluzione è presente la batteria calda di post riscaldamento. Viene prelevata aria dall’esterno
nelle condizioni del punto E che subisce un raffreddamento e una deumidificazione grazie alla presenza
della batteria fredda bf fino al punto F e dunque l’aria viene sottoposta ad un post-riscaldamento sensibile
fino a C per poi essere immessa in ambiente. Osservando lo schema a sinistra notiamo che la retta
ambiente ha una pendenza tale da intersecare la congiungente CB nel punto I perché l’aria che alla fine del
processo verrà immessa in ambiente sarà frutto della miscelazione di aria nelle condizioni di B e aria nelle
condizioni di C.
Dimensionamento del ventilconvettore

Negli impianti misti l’aria primaria, trattata in centrale, ha il compito di fornire il ricambio fisiologico e
abbattere i carichi latenti. L’aria secondaria (elaborata dal ventilconvettore) ha invece il compito di
contribuire ad abbattere i carichi sensibili locali (una parte di questi viene abbattuta dall’aria primaria). Per
il dimensionamento del ventilconvettore occorre determinare la potenzialità termica 𝑄̇𝐹𝐶 e la portata 𝑚̇2 .

Per parlare di dimensionamento del ventilconvettore partiamo studiando lo schema fisico del sistema.

𝑚̇𝑤

Abbiamo il canale principale che convoglia aria nelle condizioni R e il ventilconvettore simboleggiato con un
rettangolo con la siglia FC (fan coil). In ambiente abbiamo aria nelle condizioni R e aria rilasciata dal
ventilconvettore nelle condizioni B che si misceleranno. Il volume di controllo tratteggiato è
rappresentativo dell’aria ambiente e in questo sono indicati i flussi termici (in ingresso:carico termico
sensibile indotto da radiazioni solari e persone. In uscita: 1) potenza frigorifera estratta dal ventilconvettore
sottoforma di acqua fredda che viene riscaldata asportando calore 2) potenza elettrica con la quale
alimentiamo il ventilatore del ventilconvettore) i flussi di massa (In ingresso:m1=aria primaria proveniente
dalla centrale. In uscita: m1. La portata m2 si svolge tutta all’interno del volume di controllo).

Stabilisco il bilancio energetico sul calore sensibile sul VC:

(segno – uscente, segno+ entrante).


Sulla base della portata d’acqua il progettista dimensionerà la rete dei condotti dell’acqua.

Guarda esercizio pag 22-23

Impianti misti aria-acqua

A destra abbiamo lo schema funzionale che è molto simile a quello degli impianti a tutt’aria
precedentemente visti a meno della presenza del ventilconvettore nel singolo ambiente. L’aria entra nel
condotto nelle condizioni del punto E, subisce un primo riscaldamento presso la bc1 ed un post
riscaldamento grazie alla bc2 fino al punto H per poi essere immessa in ambiene dove si miscelerà con aria
alle condizioni B in uscita dal ventilconvettore. Il FC è alimentato da acqua calda e dunque il processo subito
dal fluido dal punto A al punto B sarà un processo isotitolo di riscaldamento.

Per quanto riguarda la ricostruzione del ciclo termico (a sinistra) osserviamo che ovviamente il punto E
essendo in condizione invernale si troverà molto più in basso rispetto al punto A. Il punto I sarà frutto della
miscelazione tra aria alle condizioni H ed aria alle condizioni B, dunque si troverà sulla congiungente HB.
Nello specifico il punto I sarà il punto di intersezione tra questa congiungente e la retta ambiente.
CAPITOLO 15
Fluidodinamica
Sforzi tangenziali nei fluidi in moto-viscosità
Osservando il grafico rappresentato in figura si nota il
comportamento del fluido su una piastra: a contatto con
la piastra il fluido ha velocità relativa nulla (rispetto alla
piastra); per la sua viscosità il fluido, man mano che si
allontana dalla piastra, risente meno della sua presenza
e le velocità dei singoli filetti di fluido aumentano sempre
più e asintoticamente. Da una certa distanza dalla
piastra il fluido non risente più della presenza della
piastra e si muove a velocità indisturbata.
Bilancio delle forze nell’elementino di fluido:
Tra la faccia superiore e la faccia inferiore
dell’elementino di fluido c’è uno sforzo di taglio dovuto al
fatto che la superficie superiore sta a contatto con un
filetto di fluido che viaggia a una velocità superiore,
mentre quella inferiore è adesa a un filetto di fluido che
viaggia a una velocità inferiore.

Sforzo tangenziale nel fluido in moto:


E’ crescente verso l’alto ed è proporzionale al
gradiente della velocità in direzione ortogonale
al moto.

Viscosità dinamica, o Newtoniana:


E’ una proprietà intrinseca dell’elementino ed
indica la resistenza alla deformazione che lo
stesso elementino oppone al moto. La formula si
può ricavare dall’analisi dimensionale.

Viscosità cinematica
Dipendenza notevole dalla temperatura e piccolissima dipendenza dalla
pressione.
Deflussi laminari e turbolenti
Caratterizzazione dei deflussi
Sperimentalmente è possibile osservare due tipi di deflussi: laminare e turbolento.
a) Il deflusso laminare è caratterizzato da un assetto ordinato dei filetti fluidi, ognuno dei quali
mantiene inalterata la velocità e la posizione rispetto a tutti gli altri filetti, per quanto
tortuoso possa essere il percorso.
b) Il deflusso turbolento è caratterizzato da una totale casualità della velocità e della direzione
di tutte le particelle.
Il tipo di deflusso è una diretta
conseguenza della velocità dello
stesso deflusso, velocità basse
permettono ai filetti di muoversi in
modo ordinato, al crescere della
velocità l’ordine dei filetti inizia ad
alterarsi, e si entra in uno stato di
transizione, fin quando non si
raggiunge una velocità critica oltre la
quale le particelle vengono tutte
animate da moti casuali e disordinati.

Profili di velocità nei condotti


Il fluido scorre come se fosse un insieme di
cilindri coassiali che scorrono a velocità
decrescente verso i lati del condotto.
I profili sono assial simmetrici,
conseguentemente al fatto che il condotto è
cilindrico.

Numero di Reynolds
Si può generalizzare la conclusione precedente circa il ruolo della velocità nella caratterizzazione
del deflusso, osservando che il fluido è sottoposto a due tipi di forze: le forze viscose che tendono
a mantenere i filetti tra loro coesi e ordinati (forze ordinatrici) e le forze d’inerzia che tendono ad
animare le particelle in modo causale e disordinato, procurando vortici e turbolenze (forze
caotiche).
L’instaurarsi dell’uno o dell’altro tipo di deflusso dipende dal rapporto tra i due tipi di forze.
w= velocità media del fluido; v= viscosità
cinematica; X= parametro geometrico
caratteristico.
Per i condotti circolari X=d (diametro); per piastre piane X=L (distanza dal bordo d’attacco).
La transizione dal regime laminare al turbolento avviene avviene quando il numero di Reynolds
supera un dato valore critico Rec, che è diverso a seconda della geometria:

Dunque, se Re<Rec il regime è laminare, se Re>Rec il


regime è turbolento

Deflussi con attrito


Il flusso di un liquido all’interno di un condotto crea attrito tra il condotto stesso e tra gli stessi filetti
fluidi.
Dalla termodinamica è noto che l’equazione di Bernoulli esprime nel
termine ψ gli effetti dissipativi che, nel caso dei deflussi, sono attribuiti
all’attrito, che però non è l’unico effetto dissipativo.
Tali effetti possono essere valutati come “cadute di pressione” e simboleggiate con ∆𝑝𝑓

Le resistenze distribuite sono da identificarsi negli attriti alla parete (prevalenti nei tratti rettilinei del
condotto), mentre le resistenze localizzate o concentrate ricorrono nei punti di diramazione o
convergenza di correnti fluide, nei bruschi cambiamenti di direzione o di sezione, nel passaggio
attraverso valvole, radiatori, caldaie, etc.
Per un tratto di condotto in cui sussistono perdite distribuite e perdite concentrate si può scrivere:

Le cadute di pressione nei condotti circolari sono proporzionali all’energia cinetica del deflusso e
calcolabili con la seguente formula che permette il calcolo quando è noto il diametro, quindi nel
caso di sezioni circolari:
Formula di Darcy

Il fattore d’attrito, che è un parametro adimensionale, dipende da due parametri a loro volta
adimensionali: il Re e la rugosità relativa:
Calcolo del fattore d’attrito

Formule esplicite per il calcolo del fattore d’attrito

Diametro equivalente
Quando il deflusso avviene attraverso sezioni di passaggio non circolari (come nel caso del fluido
secondario degli scambiatori di calore, che lambisce dall’esterno il fascio tubiero), il diametro da
adottare nella formula di Darcy è il diametro equivalente definito dalla formula
seguente:
Esempi:
Resistenze concentrate
Sono resistenze occasionali, accidentali; sono anch’esse proporzionali e calcolabili con
l’espressione:

Calcolo della pompa


Per prevalenza di una pompa s’intende il lavoro della pompa come ricavabile dall’applicazione
dell’equazione di Bernoulli al sistema in esame, quindi:

Nella pratica impiantistica, piuttosto che in kj/kg, la prevalenza viene spesso espressa come
pressione equivalente ∆𝑝𝑒𝑞(Pa) o altezza
equivalente Heq (m)
La pressione equivalente indica la pressione che
l’organo motore deve conferire al fluido per
contrastare i termini di perdita.
La prevalenza espressa come pressione equivalente è data da:

La prevalenza espressa come altezza equivalente è data da:

L’assorbimento elettrico della pompa si calcola dalla formula:

Con si indica il rendimento della pompa, fornito dal


costruttore.
Selezione della pompa da catalogo
Per la scelta della pompa occorre precisare
prevalenza e portata. Tali dati vengono utilizzati per
selezionare la pompa dai cataloghi commerciali,
sulla base di diagrammi del tipo in figura. Le aree
indicate con A, B, C, .. identificano il campo di
funzionamento delle pompe. Nei cataloghi troviamo
il codice descrittivo della pompa.

Circuiti chiusi
Nel caso di circuiti chiusi tutti i termini dell’Eq. Di Bernoulli vanno sottoposti a integrale ciclico

Gli ultimi tre termini sono però identicamente nulli, essendo le


funzioni integrande funzioni di stato:

Quindi:

Questo risultato è rilevante nella tecnica degli impianti di distribuzione dei fluidi. In particolare
risulta che nei circuiti chiusi il lavoro della pompa non dipende dalla quota cui il fluido viene
pompato, ma solo dalle resistenze passive del condotto. Quindi per esempio negli impianti di
riscaldamento, ai fini del dimensionamento della pompa, non è rilevante l’altezza dell’edificio ma
solo l’entità delle resistenze passive (o perdite di carico). L’altezza dell’edificio è importante non in
sé, quanto piuttosto perché tanto più alto è l’edificio, maggiore è l’estensione dei circuiti e di
conseguenza maggiore è il termine ψ
Rendimento idraulico

Schemi impiantistici del riscaldamento

A colonne montanti A collettori complanari


Bilanciamento dei circuiti
Con resistenze distribuite

Con resistenze concentrate


CAPITOLO 16
TRASMISSIONE DEL CALORE- GENERALITA’
Conduzione Convenzione
Irraggiamento
CONDUZIONE
Cosa è la conduzione?
- Modalità di trasmissione del calore che si verifica in tutti i
mezzi materiali (solidi, liquidi e gassosi) che avviene senza
apparente movimento di materia, indotta solo da una
differenza di temperatura.

Per formularne le leggi dobbiamo:


- Individuare due punti o due linee i cui punti sono tutti a
T=cost (per ciascuno delle 2 isoterme, distanti una certa
quantità e caratterizzate da una certa conducibità termica)
- Individuate sul corpo in esame queste due linee isoterme
distante dx e dt (dal
punto di vista
geometrico e termico)
- La legge che descrive il
flusso termico che si
trasmette dall’una
all’altra di queste linee
isoterme è quella che
passa sotto il nome di
Fourier.
Cosa ci dice questo postulato?

omogeneo ovvero fatto della stessa materia in tutti i suoi punti


isotropo ovvero che la conducibilità non sia diversa a seconda delle direzioni di
misura
(tutto ciò risponde ad una astrazione poiché nessun materiale per quanto
omogeneo può perfettamente considerarsi isotropo)

Almeno nei mezzi isotropi e omogenei questa Potenza termica


Q, trasmessa attraverso queste due superfici isoterme è dotata
dall’ espressione

Questa espressione è proporzionale rispetto :


- alla differenza di temperatura T e T+dT tra queste due
superfici isoterme
- alla superfice di scambio termico A
- Alla conducibità termica λ (altro non è che la proprietà che
ha il materiale di farsi pervadere dall’onda termica)
è Inversamente proporzionale alla distanza che le separa dx
Spesso noi utilizzeremo il Flusso termico q

Il segno – a secondo membro indica che il calore si trasmette dal


punto a temperatura più alta a quello più bassa.

L’ordine di gradezza della conducibità termica


EQUAZIONE DI FOURIER DELLA CONDUZIONE
Andiamo a stabilire l’equazione fondamentale della
conduzione, onde capire come si diffonde il calore in un
mezzo ritenuto omogeneo e isotropo, sia nello spazio che
nel tempo.
- Consideriamo un volume di un dato
materiale che sia sede di un flusso
termico conduttivo. Ritagliamo attorno
a questo volume di materia un volume
di controllo e andiamo a scrivere il 1°
principio della termodinamica
(nella forma dei sistemi chiusi dato che
non ci sono deflussi in evidenza)

- Se il passaggio del calore attraverso la forma di questo


volumetto non inducono alcuna interazione di tipo
geometrico o meccanico sull’elemento preso in
considerazione allora il termine dL=0
Esplicitiamo dU d(C x T) C=capacità termica
d(m x Cp x T) Cp= calore specifico
poiché m e Cp possono ritenersi indipendente dal tempo

POTENZA

La potenza termica Q la possiamo attribuire al calore trasmesso


conduttivamente Qλ e al calore Qi ovvero l’eventuale calore
generato all’interno del corpo (es: per effetto di reazioni
chimiche)
Esplicitiamo Qλ in funzione della conducibilità termica e della
distribuzione di temperatura interna del corpo (secondo una
dimostrazione che ha detto di leggere, diamo per buono il
risultato finale)

l’equazione di Fourier diventa


Si immagina di avere una parete infinitamente alta e profonda
ma di spessore finito. Al fine di vedere quale è il profilo di
temperatura e il flusso termico trasmesso attraverso la parete
piana di spessore finito.

- osserviamo il fenomeno in regime stazionario e senza


generazione interna di calore (quindi si riduce l’equazione di
Fourier espressa in precedenza)

- prescindo dalla distribuzione lungo l’asse y e z, quindi resta

come troviamo C1 e C2? Imponende delle condizioni al contorno


sostituendo nell’equzione precedente otteniamo

questa relazione mi descrive la dipendenza spaziale della


temperatura in questa parete piana. La temperatura varia
linearmente con x
l’andamento delle
temperature all’interno
di questo strato è lineare

Calcoliamo il flusso
termico trasmesso a
seguito di questa
differenza finita di temperatura sulla base del postulato di
Fourier. Proporzionale al salto di temperatura e inversamente
proporzionale al rapporto s su λ
troviamo delle somiglianze
con la legge di Ohm

in quanto:
- I (intensità di corrente) equivale al flusso termico q
- V (potenza elettrica) equivale alla potenziale termica
- R (resistenza elettrica) equivale alla resistenza termica

Resistenza termica

l’inverso della resistenza termica è la Conduttanza


- Stato stazionario
- Nessuna produzione di calore generato all’interno di questi
strati
Questa parete separa due ambienti a temperature diversa Ti
(temperatura interna) e Te (temperatura esterna)
Scriviamo l’ equazioni rappresentative del sistema fisico
L’osservazione preliminare che facciamo è a seguito della
differenza di temperatura finita tra Ti e Te, è sicuro che si stabilirà
attraverso la parete un flusso termico (che muove dalla
temperatura più alta a quella piu bassa)
Questo flusso termico che si viene a stabilire da sinistra a destra,
attraverserà lo strato liminare (starto a diretto contatto con la
ffaccia interna della parete). Darà luogo ad un fenomeno
convettivo (dal contatto di un fluido aeriforme con la faccia
interna della parete solida). Coefficiente di scambio termico αi
L’equazione che governa i fenomeni convettivi è l’equazione di
Newton

T interna – T1 (T.della parete)

si verifica una conduzione del


calore che porta l’onda
termica dal punto 1 a 2,
da 2 a 3, e da 3 a 4. Descritta
dal postulato di Fourier

il flusso termico attraversa lo


strato liminare lato esterno,
fenomeno convettivo.

Caratterizzato dal coefficiente di convezione αe


- λ1= conducibità del materiale del primo strato
- s1= spessore dello strato 1

tutte le equazioini hanno in comune il flusso termico q (ed è


l’elemento che si conserva in questa trasmissione del calore
portiamo al primo membro tutti quei termini che
ci consentono di lasciare dall’altro lato solo le
temperature
sommiamo membro a membro questo sistema di
equazioni
mettiamo il q a fattor comune e raccogliere in
parentesi i termini che lo moltiplicano
a secondo membro la somma delle temperature
porta alla eliminazione delle temperature
intermedie

Ti e Te sono le due
temperature note a
priori.
Al denominatore
troviamo i termini
cherappresentano
le caratteristiche
geometriche (riflesse nello spessore dei vari stati) termofiche
(riflesse nella conducibità termica) della nostra parete. Inotre

troviamo αi e αe
RESISTENZS TERMICA GLOBALE TRASMITTANZA
infine

flusso termico
potenza termica

come varia la temperatura all’interno della parete?


Riutilizziamo i dati che abbiamo dichiarato fino ad ora in maniera
opportuna, ovvero:
- conosciamo gli spessori s1 e s2 s3 ecc..
- le conducibilità termiche dei vari materiali
- i coefficenti convettivi αi αe
- le temperature estreme Ti e Te
invertiamo il procedimento di calcoli eseguiti in precedenza
calcolando la trasmittanza e flusso termico

da questo
sistema di
equazioni stabilito
precedentemente
calcolo le
temperature

cosi siamo in grado di precisare dei valori


numerici a T1 T2 T3 T4 e tracciare il grafico
Es: condotti

Esso convogliano fluidi a date


temperature che scambia
calore con l’ambiente
esterno (li dove è collocato).
Può trovarsi a temperatura
diversa e attraverso le pareti
del condotto ricorre un
problema di scambio termico

T dipenderà dal raggio r secondo una legge logaritmica


Più che il profilo di temperatura sulla parete del condotto ci
interessa il flusso termico
dobbiamo ricorrere al postulato di Fourier scritto anche esso in
coordinate cilindriche

Q sarà direttamente proporzionale al salto di temperatura T1 T2


e sarà inversamente proporzionale ad una quantità che nel suo
complesso inteso come Resistenza termica (che la parete
cilindrica oppone alla trasmissione del calore)
Sia nella faccia interna che
esterna troviamo un fluido,
indice di uno scambio termico
convettivo (sulla faccia interna
ed esterna).
Questi effetti convettivi sono
caratterizzati da un coefficiente
di scambio termico αi αe sulle
rispettive pareti

Fenomeno convettivo

Fenomeno conduttivo

Fenomeno convettivo

le equazioni sono scritte in maniera da avere le temperature al


secondo membro. Sommiamo membro a membro e otteniamo
termine conduttivo, il più delle volte è trascurabile rispetto alla
somma degli altri due termini al denominatore, perché i condotti
presentano pareti sottili e quindi r1 e e2 sono circa uguali
In questo caso parliamo di condotti che convogliano fluidi a T
molto diversa dalla temperatura che c’è all’esterno del condotto.
Attraverso la parete del
condotto si verifica una
forte perdita termica. Per
limitare questo scambio
termico tra fluido interno ed
l’aria esterna, il tubo viene
coibendato (rivestito da
isolante al fine di conservare
le caratteristiche di
temperatura del fluido
convogliato)
Si può studiare questo problema in maniera analoga ai
precedenti, dobbiamo considerare il fatto che c’è uno strato
conduttivo in più, che si va ad aggiungere ai termini del
denominatore.

Questo è il termine che tiene conto della presenza di questo


materiale isolante (un termine di tipo conduttivo)
possiamo scrivere la trasmittanza come

termine conduttivo relativo alla parete del condotto

termine conduttivo relativo all’isolante

il termine relativo alla parete del condotto è trascurabile rispetto


agli altri per i motivi elencati in precedenza
Ottenibili tramite processi industriali, vera e propria filatura del
materiale vitreo o materiale calcareo. Possono essere assemblati
per produrre lastre o rotoli
M M

A A

T T

E E

R R

I I

A A

L L

I I

N C

A H

T I

U M

R I

A C

L I

I
Convezione
Convezione Forzata
L’equazione che governa la trasmissione del calore per convezione è quella di Newton

Le due temperature che figurano, ossia quella superficiale della parete (T s) e quella del fluido a
sufficiente distanza dal contorno della parete affinchè non risenta delle condizioni che la parete
offre al flusso termico (T∞), sono diverse fra loro.
In prossimità della parete la temperatura ha un andamento particolare, quando la temperatura del
fluido approssima al 99% la temperatura del fluido indisturbato si dice che lo spessore di questo
strato è quello dello strato limite termico

.
Determinazione del coefficiente convettivo

Le caratteristiche termofisiche (ρ, Cp, μ, λ), geometriche(d) e di moto (w) sono riconducibili al
coefficiente convettivo (α). Come caratteristiche termofisiche di un fluido dobbiamo pensare alla
densità, calore specifico, viscosità e conducibilità termica, quanto alla geometria del sistema si
deve pensare ad esempio nel caso di un condotto al raggio o diametro dello stesso, infine il campo
di moto è rappresentato dalla velocità del fluido. Ci si riduce quindi a una funzione con 7 variabili.
Noi parliamo di convezione forzata quando la velocità del fluido è nota a priori in quanto imposta
da un dispositivo propulsore, meccanico o sistema attivo. (pompa, ventilatore, mezzi meccanici
artificiali). Quando il modo è imposto invece da fenomeni naturali spontanei legati alla differenza di
temperatura tra il fluido e la parete si parla di convezione naturale.
Teorema di Buckingham

È ovvio come trovare le soluzioni di una funzione a 7 variabili diventa difficile. Ci viene allora in
aiuto il teorema di Buckingham che dice:
“Dato un sistema fisico caratterizzato da M variabili e detto L il numero delle unità di misura
fondamentali, è possibile stabilire un numero N=M-L di gruppi adimensionali”

Variabili M=7

Unità di misura fondamentali: L=4


Numeri di gruppi adimensionali N=M-L
I 3 gruppi adimensionali sono:
Il numero di Reynolds formulato come prodotto della velocita (w) del fluido per il diametro del
condotto diviso la viscosità cinematica (viscosità dinamica/densità).
Il numeri di Prandlt dato dal prodotto della viscosità dinamica per il calore specifico diviso la
conducibilità.
Il numero di Nusselt dato dal prodotto del coefficiente convettivo per la densità diviso la
conducibilità

.
I 3 numeri sono correlati tra loro tramite la relazione: (con A,B,C da determinare
sperimentalmente). Dalla relazione si può calcolare il Nu dal quale ricavare α e ricavare il flusso
termico.

Significato fisico dei gruppi adimensionali


I gruppi adimensionali hanno inoltre un significato fisico:
Re è il rapporto tra le forze di inerzia e le forze viscose. Le forze di inerzia sono riflesse nel termine
w che rappresenta la velocità del fluido. Le forze viscose sono invece riflesse nel termine v (ni)
viscosità cinematica.
Il Nu simboleggia invece il rapporto fra resistenze conduttive e resistenze convettive.
Il Pr risulta invece al rapporto fra la viscosità cinematica e la diffusività termica.
A,B,C determinate sperimentalmente: immaginiamo di operare con un fluido newtoniano che
scorre all’interno di un condotto. Il fluido ha note le caratteristiche termofisiche e ha velocita w.
Tale fluido è riscaldato dall’esterno tramite un flusso termico q fornito al condotto. È possibile
misurare in laboratorio il diametro del condotto, le temperature del fluido, la temperatura della
parete del condotto e il flusso termico trasmesso. Rappresentando su un piano cartesiano la
velocita w in ascissa e il flusso termico q in ordinata. Finiremo per trovare una serie di coppie (w,q)
con distribuzione caotica ma, operando in maniera logica seguendo i nostri scopi, moltiplicando
sull’ascissa la velocità per il diametro e dividendo per la viscosità si ottiene il numero di Reynolds.
Operando anche sull’asse delle ordinate e dividiamo il flusso termico q per altri valori noti come la
temperatura della parete meno la temperatura del fluido, ottenendo così il coefficiente convettivo α.
A tal punto ripetendo lo studio dei punti sul piano cartesiano otteniamo punti correlati fra loro e in
uno spazio più circoscritto. Dividendo α per la conducibilità e moltiplicando per il diametro
otteniamo il Nu sulle ordinate. Si ottiene così un ulteriore progresso notando che le coppie si
addensano su uno spazio circoscritto e con una direzione ben precisa. Dividendo il Nu per il Pr
elevato a 0.3 e applichiamo il logaritmo al rapporto e anche all’ascissa (Re) Il risultato ha una
precisa direzione e se ne può cercare l’espressione analitica.
Esempio di deduzione di correlazione adimensionale (Correlazione di Dittus-Boelter)

I dati ottenuti per ispezione del diagramma sperimentale sono sufficienti a scrivere l’equazione
della retta.

Essendo noto il Nusselt possiamo ricavare infine il nostro coefficiente convettivo α e quindi il flusso
termico.
Principio di similitudine
Il comportamento di due sistemi è simile se, in punti omologhi, risultano uguali i rapporti tra:
Dimensioni geometriche, Campi di velocità e Campi di forze.
La temperatura a cui riferire i calcoli è la temperatura media di Film definita come la media tra la
temperatura del fluido indisturbato e la temperatura della parete con cui è a contatto.
Tm = (T∞ + Ts)/2

Convezione Naturale
Il moto del fluido è indotto da effetti naturali e non promosso da mezzi meccanici. Quando abbiamo
una parete piana a contatto con un fluido qualsiasi.
Supponiamo che la superficie della parete sia maggiore di quella dell’aria. La porzione di aria a
contatto con la parete assume la sua stessa temperatura, quindi in questo caso si riscalda. In forza
a quello che è la legge dei gas diminuisce la sua densità e subisce una spinta idrostatica verso
l’alto rispetto alla parete. Altra aria si sostituisce a quella precedente e subisce lo stesso destino. Si
instaura così una vero e proprio circolo dell’aria con moto di quest’ultima ascensionale.
Nel caso invece di una parete più fredda rispetto all’aria si realizza il caso opposto. L’aria a
contatto con il tubo si raffredda aumentando la propria densità e causando un moto discensionale.
Termofluidodinamica della convezione naturale
Pensando ad un elementino a contatto con una parete, questo stesso è a contatto con altri
elementini. È soggetto a un campo di forze:
La risultante è la spinta di Archimede o idrostatica. (Un corpo immerso in un fluido riceve una
spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato):
Analisi adimensionale per la convezione naturale

Si individuano le grandezze caratteristiche e si utilizza nuovamente il teorema di Buckingham.


I parametri da cui dipende la convezione sono:

Le unità fondamentali sono:


Per il teorema di Buckingham i gruppi adimensionali sono:
N=M-L=3
e sono:

Il numero di Grashoff gioca il ruolo che il numero di Reynolds gioca nella convezione forzata. Il
significato fisico è:
SCAMBIATORI DI CALORE
Gli scambiatori di calore sono dei dispositivi che permettono il riscaldamento o il raffreddamento di
alcuni liquidi o gas, essi sono largamente usati nell’impiantistica a servizio degli edifici civili
Si dividono in 3 categorie a seconda della natura del fluido che scambia calore
Liquido liquido
Scambiatori a tubi concentrici.
Sono realizzati con condotti coassiali collegati tra di loro in modo da realizzare una superfice di
scambio termico opportunamente estesa. Chiameremo fluido primario quello che scorre all’interno
dei condotti, quello secondario quello che lambisce il condotto dall’esterno.
Inoltre se i fluidi si muovono in direzione opposta allora lo scambio sarà controcorrente se invece si
muovono nella stessa direzione si dirà equicorrente. Sono ricorrenti nelle applicazioni industriali
(industria farmaceutica e alimentare)

Scambiatore a fascio tubiero.


Composto da un reticolo di tubi quadrato o rettangolare. Alla vista appaiono con due testate
collegate tra loro da dei tubi, attraverso due piastre tubiere, dove passa il fluido primario (rosso) e
da un secondo percorso, adiacente ai tubi principali, che è intervallato da diaframmi (creano un
percorso tortuoso che turbolenze che favoriscono lo scambio di calore) dove passa il fluido
secondario (blu). Lo scambio termico avviene attraverso la superfice dei condotti cilindrici.
Vengono classificati tramite due numeri che rappresentano il numero di volte in cui ogni fluido
percorre lo scambiatore.

Scambiatore a fascio tubiero di tipo 1-1 Scambiatore a fascio tubiero di tipo 2-4
Scambiatore a piastre.
Formato da piastre metalliche di spessore
estremamente sottile sagomate in maniera tale
che unendole, formano dei canali attraverso i
quali il fluido può muoversi. Molto importante il
collegamento tra le piastre fatto con guarnizioni
in gomma e da dadi e bulloni.
Sono molto ricorrenti nel campo civile, perché
estremamente reattivi (bassa inerzia termica) e
facilmente assemblabili e di conseguenza
dimensionabili aggiungendo o eliminando piastre
per adeguarlo alle esigenze del impianto

Caratteristiche positive degli scambiatori a piastre sono le seguenti:


a) lo scambiatore può essere facilmente e rapidamente disassemblato
nei suoi singoli componenti per operazioni di pulizia meccanica o
ispezione;
b) lo scambiatore può, in molti casi, essere facilmente adeguato a
mutate condizioni d'impiego l'aggiunta di nuove piastre o soppressione
parziale di quelle esistenti.
c) l'alta turbolenza indotta nei fluidi e la mancanza di zone morte nei
canali di piastra rendono lo scambiatore meno affetto da sporcamento nel confronto di altri tipi di
apparecchiature di scambio termico
d) eventuali perdite del fluido per difettosa tenuta delle guarnizioni non vanno ad inquinare l'altro
fluido;
c) l'elevato grado di uniformità nel tempo di permanenza delle particelle fluide nello scambiatore lo
rendono particolarmente adatto nei trattamenti termici quali la pastorizzazione, la sterilizzazione o
la cottura;
f) la formatura delle piastre per stampaggio alla pressa permette l'utilizzo anche di materiali che
mal si prestano a costruzioni saldate, come il titanio, di uso assai favorevole ad esempio per
l'acqua di mare grazie alla sua elevata resistenza alla corrosione.

Caratteristiche negative che invece talora ostacolano l'impiego degli scambiatori a piastre sono:
g) la particolare struttura e limitati valori di temperatura massima e della pressione d'esercizio a
causa del materiale delle guarnizioni. Per questi apparecchi i valori limite usuali sono 150° C e 1.5
MPa, anche se con costruzioni e materiali particolari questi limiti possono essere ecceduti.
h) ragioni di costo comparativo non giustificano l'impiego degli scambiatori a piastre (nei confronti
degli apparecchi a fascio tubiero) se non quando questioni di igiene (industria farmaceutica o
alimentare) o di resistenza alla corrosione richiedono l'impiego di materiali speciali (acciai
inossidabili, titanio, Cupronichel, Incoloy, Inconel, Hastelloy, etc.).

Liquido gas
Batteria alettata.
Costituita da una serie di condotti normalmente ripiegati
inseriti all’interno di una serie di piastre metalliche
(tipicamente alluminio) molto sottili. Attraverso queste
piastre metalliche viene soffiato il gas e il liquido invece
passa all’interno.
Gas gas
Scambiatore compatto a flussi incrociati. (a
letto fisso)
Le due vene d’aria che si scambiano in calore si
muovono in direzione ortogonale e i setti
separatori che creano questi canali sono in
materiali altamente conduttori e con spessori
molto sottili.
Questi sono molto leggeri ma comunque molto
ingombranti a differenza di quelli liquidi a causa
del volume specifico molto maggiore
Scambiatori di calore a letto mobile
È formato piastra ondulata, ripiegata su sé stessa a formare un tamburo che poi viene intelaiato e
fatto ruotare da un motore elettrico tramite una cinghia. Questo telaio consente la suddivisione del
corpo dello scambiatore in due parti in una vi passera l’aria calda nell’altra l’aria fredda. Il tamburo
ruotando permette all’aria calda, che lo attraversa, di raffreddarsi e quella fredda di raffreddarsi nel
semiciclo successivo le posizioni ruotano e di conseguenza nella parte più fredda del tamburo
passerà l’aria calda. I regimi di rotazione sono circa di 10 giri al minuto. Questo tipo di scambiatore
è molto utilizzata negli impianti civili per il recupero termico.

Calcolo scambiatori di calore


Esempio di uno scambiatore di calore dove il fluido primario e li fluido secondario si scambiano
calore

*Calore sensibile (indotto da una differenza di temperatura, non ci sono contributi di tipo latente)
Definiamo allora la capacità termica data dal prodotto del calore specifico per portata

Possiamo subito stabilire il bilancio energetico su un volume di controllo (una sezione molto
piccola del condotto primario con una superfice di scambio termico infinitesima dA e flusso
scambiato infinitesimo dQ)
Riconosciamo che non ci sono potenze meccanico elettriche scambiate e che il calore scambiato e
dQ. Di conseguenza il secondo membro conterrà solo il termine entalpico
Siccome abbiamo ipotizzato che il deflusso avviene isobaricamente la variazione di entalpia la
possiamo scrivere come e per semplificare la scrittura lo scriviamo come che
indica la capacita termica del fluido a. Con analogo approccio trattiamo il fluido b
Seguendo la breve dimostrazione concludiamo con l’espressione che lega il flusso termico 1 con le
grandezze caratteristiche del sistema dove
Q= potenza termica che i due fluidi si scambiano tra loro
A=superfice scambio termico
K= trasmittanza condotti
ΔT = temperatura logaritmica media

Profilo temperatura dei due fluidi quando percorrono il generico condotto di scambio termico
(opposti a si raffredda b si riscalda)
A questo punto possiamo definire l’efficienza rapporto tra il calore Q effettivamente scambiato tra
due fluidi e Q∞ quello che si scambierebbero se la superfice di scambio fosse infinitamente estesa.

Per comprendere Q∞ bisogna considerare la superficie di scambio termico infinita, così facendo la
temperatura del fluido "a", evolverebbe fino alla temperatura d'ingresso del fluido "b", e viceversa,
il profilo di temperatura sarebbe quindi quello tratteggiato per entrambi i fluidi. Dei due, il fluido che
di fatto tende alle condizioni dell'altro, è il fluido "termicamente più debole". o di minima inerzia
termica, quindi di minima capacità termica (Ce); il campo di temperature che copre è quello tra la
massima e la minima dello scambiatore (ΔTmax).

Allora possiamo esplicitarlo come prodotto della capacità termica di temperatura per il salto massimo di
temperatua

In conclusione

il termine q chiaramente può essere esplicitato anche grazie al bilancio energetico fatto sul singolo
condotto

Se nel calore scambiato ricorre anche calore latente bisogna sostituire il denominatore in modo da
generalizzare la formula
Casi particolari
In questo caso particolare, abbiamo due fluidi di cui uno che subisce uno scambio di temperatura,
(si raffredda da t1 a t2) e l’altro che rimane a temperatura costante (può avvenire se il fluido è in
fase evaporante/condensante, o quando ha una capacita termica estremamente grande)

Per esempio un condotto, percorso da un fluido, a contatto con l’ambiente, la temperatura dell’aria
rimane costante quella del fluido scende.
Per trovare T2 possiamo affidarci alle formule ricavate in precedenza

Delle applicazioni di esercizi come questo si trovano nell’ eserciziario e conviene andarle a vedere
(così dice lui)
Recuperi energetici dall’aria di ventilazione
Gli scambiatori permetto di avere un recupero energetico sull’aria d’espulsione, ipotizzando di
avere un ambiente che deve essere mantenuto a temperatura Ta tramite l’immissione d’’aria
prelevata dal esterno, che passa attraverso una batteria di scambio termico (riscaldata da una
caldaia), per poi essere espulsa. Ce un costo energetico dovuto all’riscaldamento dell’acqua per
portarla alla batteria di scambio termico nella misura richiesta da essa per portare da te a ti la
quantità d’aria necessaria

Una tecnica per rendere più efficiente il sistema consiste nel recuperare l’aria che espelliamo (che
sarà comunque più calda di quella esterna) portandola ad uno scambiatore di calore che, che
assume il ruolo di un recuperatore di calore. Q’ sarà minore di q
Scambiatori di calore alettati.
Sono estremamente ricorrenti nell’impiantistica a servizio del edificio (fingono da evaporatori e da
condensatori), sono essenziali per svolgere processo igrometrici nell’aria,
Un esempio è la batteria alettata, (una serie di condotti che attraversano, seguendo un reticolo
quadrato o rettangolare, un pacco di elementi metallici molto sottili sovrapposti uno sull’altro e di
stanziati di qualche millimetro) all’ esterno viene soffiata aria da un ventilatore

Il contatto tra aletta e tubo (fig.5) deve avvenire nel


migliore dei modi, perché questa giunzione permette
la trasmissione del calore tra il fluido e il gas
Possiamo trovare le batterie alettate nei
ventilconvettori o negli aerotermi, che a differenza dei
primi hanno forma toroidale, nelle unità
motocondensanti, nei condensatori per usi industriali,
nei radiatori di automobili
Per comprendere a pieno il loro funzionamento conviene partire da delle domande: Perché questi
scambiatori vengono fatti così? Non basterebbe solo il tubo? Che necessità abbiamo di fare
l’alettatura? Per rispondere a questa domanda basta far parlare i calcoli
Facendo un richiamo all’esercizio sul condotto cilindrico del capitolo sulla trasmissione del calore
la formula che ne deriva è

Dove al appaiono in ordine: resistenza convettiva lato interno, resistenza conduttiva attraverso la
parete del condotto stesso (molto piccolo se raggio esterno r2 e raggio interno r1 simili, tende a 1,
la conducibilità inoltre essendo di un materiale metallico è molto alta segue è trascurabile),
resistenza convettiva lato esterno

Consideriamo un tubo dove scorre acqua che entra a 90 gradi ed esce a 70 a fronte di uno
scambio termico con l’aria circostante a 20 gradi. Assegnata la velocita dell’acqua nel condotto e le
dimensioni del nostro tubo possiamo condure i calcoli
Ci interessa la potenza termica scambiata ottenuta tramite

La trasmittanza del condotto (Ki) la possiamo prendere dalla formula precedente con in più la
semplificazione delle resistenze convettive
Assumiamo Ai e Ae uguali.

Ci mancano quindi . Considerando che all’interno del condotto si ha una convezione


forzata quindi procediamo con il calcolo tramite il numero di Reynolds e Nusselt come abbiamo
visto nel caso di convezione forzata

All’ esterno invece l’aria che lambisce il tubo è in convezione naturale, quindi ci affidiamo alle
formule della convezione naturale quindi ci seve il Nusselt, (i cui calcoli sono riportati anche qui).
Invertendo la definizione del Nusselt possiamo ricavare

A questo punto riusciamo ad avere la trasmittanza del tubo “nudo” e tramite la relazione
fondamentale degli scambiatori di calore possiamo calcolare la potenza termica che l’acqua
scambia con l’aria e anche la potenza termica lineare.

Siamo interessati a migliorare questo scambio termico, perché migliorando lo scambio termico a
parità di potenza termica da scambiare possiamo diminuire la superfice di scambio, quindi
l’ingombro, in conclusione questo ci permettere una riduzione dei costi.
Per prima cosa introduciamo una convezione forzata dell’aria tramite un ventilatore che soffia l’aria
attraverso i condotti per avere un migliore. Questa volta il NUsselt non sarà collegato al
grashoff ma al Reynolds

Confrontando i valori ci accorgiamo che c’è stato un buon incremento nei valori
Così facendo avremmo un grande aumento della trasmittanza (dal primo caso all’ultimo abbiamo
un incremento di due ordini di grandezza)
Inoltre l'alettatura va posta sempre "lato” aria in quanto è sul lato dell'aria che si verificano le
resistenze convettive più forti (per via dei più bassi coefficienti convettivi lato area rispetto a quelli
lato fluido). Per aumentare questi valori si agisce quindi con l'amplificazione della superficie di
scambio.
Si può ancora migliorare questo dispositivo? Si, passando da alette piane a alette ondulate,
intagliate o corrugate, che servono a creare delle turbolenze che determinano un incremento del
coefficiente di scambio termico

Un ulteriore affinamento si può ottenere realizzano ina


zigrinatura interna al condotto che a sua volta induce a
turbolenze che anch’esse migliorano lo scambio
termico
L’alettatura viene utilizzata in molti altri campi, per esempio possiamo considerare il manico di una
tazza o di una padella come un’aletta che permette la dissipazione del calore. Nell’edificio troviamo
anche il ballatoio che favorisce la dispersione di calore. Un altro uso si trova nei componenti
elettronici
Questa parte il prof non la ha menzionata nella spiegazione ma era presente nel libro
Le alette possono essere individuali per ciascun tubo, oppure possono essere continue per un
insieme di tubi. Nel secondo che le alette sono formato da un’unica lamina ove seno praticati i fori
per il passaggio dei tubi. Di queste ci si vuole qui più particolarmente occupare. Le batterie
possono essere composite di pia ranghi di tubi.
La geometria di una siffatta allena e caratterizzata da de= diametro esterno dei tubi che può
variare fa 5/16” (7,93 mm) e 5/8” (15,38 mm); si distanza fra rango e rango nella direzione del
flusso d'aria, fra 12.5 e 60 mm; sl = distanza fra tubo e tubo di uno stesso rango, fra 25 e 60 mm; p
= passo o distanza fra le alette, fra 1,6 e 4,2 mm corrispondere a un numero fra 16 e 6 alette per
pollice (FPI = fins per inch); δ - spessore delle alette tra 0,10 e 0,30 mm

I tubi sono generalmente di rame e le alette di alluminio, Vi sono tentativi recenti di adottare anche
tubi di alluminio.
E della massima importanza, per il buon comportamento termico delle batterie alettate, che vi sia
un ottimo accoppiamento delle alette con il tubo; è necessario, cioè, che il collare che realizza il
contatto con il cubo sia integro e privo di screpolature e che l'operazione di bloccaggio della aletta
al tubo sia condotta in maniera perfetta. Se questo non accade, la resistenza termica di contatto
riduce disastrosamente l'efficienza della aletta stessa. L'altezza del collarino serve a determinare il
passo fra aletta e aletta.
I tubi alettati poi, infilati nel pacco dei lamierini, vengono mandrinati, ossia sottoposti a dilatazione
mediante un’ogiva spinta a forza da un'asta internamente ai tubi. I tubi subiscono una dilatazione
con un aumento del diametro di alcuni decimi di millimetro.
I pacchi alettati realizzano un rapporto Ae /Ai fra la totale superficie esterna e la superficie interna
dei tubi come indicati nella tabella seguente. In questa tabella e pure indicato il rapporto Ae/Af fra
la superficie esterna di un rango e la superficie frontale.

Si vede che le batterie più comunemente usate, con 12 o 14 alette per pollice, presentano una
superficie esterna circa quindici volte più grande della superficie interna. Con questo valore
pertanto si riduce di quindici volte la resistenza termica lato aria (non così tanto per la verità se
tiene conto della efficienza dell'alettatura), rendendo questa quasi eguale alla resistenza interna.
(Si veda quanto detto in precedenza a proposito dei valori di questa resistenza). E si comprende
come sia conveniente in generale aumentare ancora di più la superficie esterna, infittendo le
alette, ove non vi siano controindicazioni per un aumento della caduta di pressione dell'aria, o per
deposito di polvere o di vapore acqueo condensato.
CAPITOLO 14-Irragiamento
Introduzione
Un’ulteriore modalità di scambio termico è quella dell’irragiamento, che utilizza le onde elettromagnetiche,
manifestazione sensibile dell’energia interna della materia. Questa dipende dalla temperatura del corpo, e
facendo riferimento al terzo principio della dinamica, essendo impossibile che la temperatura di un corpo
raggiunga lo zero assoluto, tutti i corpi materiali emettono radiazioni elm.
Queste radiazioni sono invisibili ad occhio nudo, a meno di quelle che ricadono nell’intervallo Δλ=0.4÷0.8µm,
dette “luce visibile”. Il campo della radiazione termica cui siamo interessati adesso è quello che ricade
nell’intervallo Δλ=10−2 ÷102 . (Figura a sinistra)
L’emissione elm dipende dalla temperatura T del corpo, dalla direzione
(ε, θ) e dalla lunghezza d’onda λ considerata, ed è solitamente riferita
anche alla sua superficie (reale S o apparente 𝑆𝑆ε = S cos ε)
L’angolo solido, definizione e calcolo
L’emissione ha un carattere fortemente direzionale, che viene definito
attraverso il concetto di angolo solido. L’angolo solido è un'estensione
allo spazio tridimensionale del concetto di angolo piano. L’unità di
misura dell’angolo solido è lo steradiante (sr). (Figura sotto)

Quando la radiazione è invece diretta


verso una superficie sferica o porzioni di
questa, torna utile impiegare le
coordinate sferiche, tramite le quali il
generico punto P è individuato dalla
terna di coordinate (r, ε, θ).
Per determinare l’angolo solido relativo
ad un’area dA (supposta quadrata)
costruita attorno al punto P, si considera
una (semi)sfera centrata in O, con r che
è la distanza tra O e P. Per una
proprietà della sfera sappiamo che
quest’area sarà ortogonale alla
direzione r considerata. Avremo:
(Figura a destra)
𝜃𝜃 𝜀𝜀 𝜃𝜃 𝜀𝜀
Per cui avremo che l’angolo solido Ω = ∬ 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝜀𝜀 𝑑𝑑𝜃𝜃 𝑑𝑑 𝜀𝜀 = ∫𝜃𝜃 2 𝑑𝑑𝑑𝑑 ∫𝜀𝜀 2 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝜀𝜀 𝑑𝑑𝑑𝑑 = [𝜃𝜃]𝜃𝜃21 [−𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 ]𝜀𝜀 21
1 1

Qui di seguito alcuni dei casi possibili: (Figura sotto)

Come possiamo notare vi è anche il caso in


cui la superficie intercettata ha simmetria
assiale (non dipende cioè dall’angolo
azimutale θ), e quindi sarà più veloce
calcolare l’angolo solido considerando una
corona sferica elementare.

Grandezze fisiche dell’irragiamento


Andiamo adesso a vedere alcune delle
grandezze fisiche fondamentali
dell’irragiamento:(Piccola premessa: il prefisso
mono sta ad indicare la grandezza calcolata
per una determinata λ, mentre globale integra
per tutte le λ)
Flusso monocromatico (O Spettro emissivo):
potenza della superficie emittente per unità di
superficie
Intensità monocromatica: flusso ricadente
all’interno di un intervallo infinitesimo di λ,
all’interno di uno spazio fisico definito da Ω
Intensità apparente monocromatica: si
considera nel caso di una superficie apparente
(La superficie apparente è la superficie
emittente proiettata nella direzione di
osservazione)
Emissione monocromatica emisferica: con Ω/2
si intende il semispazio sovrastante il piano
d’appoggio della sorgente.
Sarà molto importante l’emissione globale
emisferica (Radianza)
Qualora però il piano su cui giace la
superficie dA intercettata dall’angolo
solido non è ortogonale alla direzione r
considerata, occorre ruotare tale
superficie di un angolo j e pertanto
avremo che 𝑑𝑑𝐴𝐴˔ = 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 (Figura a
destra)

Da ciò avremo che l’espressione esplicita


dell’intensità apparente monocromatica
(riprendendo anche la formula per
calcolare l’angolo solido) risulta:

Da precisare, per evitare errori, che con ε


ed S si farà riferimento alla superficie
emittente, mentre con j ed A si farà
riferimento alla superficie ricevente. Qui di
seguito vedremo ora un esercizio
riguardante una sorgente radiante
Il corpo nero IMPORTANTE (Il pedice n viene usato per riferirsi al corpo nero)
Introduciamo adesso l’argomento del corpo nero (C.N.), un elemento di riferimento ideale col quale
confrontare le proprietà radiative dei corpi reali, che non esiste in natura, e che presenta alcune
caratteristiche:

• È un assorbitore perfetto (assorbe tutta l’energia che lo investe)


• È un emettitore perfetto
• È un diffusore perfetto (Emette le i* e I* costantemente in tutte le direzioni)

È possibile realizzare un (quasi) corpo nero creando una cavità


perfettamente isolata alla quale si pratica un foro sottilissimo
dal quale la radiazione entra e fuoriesce (Figura a lato).
Per il C.N. le leggi della radiazione termica assumono forma
analitica semplice e sono le seguenti:

• Leggi di Lambert
• Legge di Planck
• Legge di Wien
• Legge di Stefan-Boltzman
• Legge di Kirchoff

Leggi di Lambert

Consideriamo due qualunque C.N. all’interno di una cavità nera, aventi la stessa T e indifferentemente disposti
nello spazio. Potremo notare come l’intensità apparente di un C.N. non dipende dalla direzione (ε, θ) ma solo
da T e λ, poiché visto che i due C.N. sono alla stessa T, il flusso netto scambiato tra i 2 è nullo.

Andando infatti ad eguagliare le 2 potenze radianti che i corpi


si scambiano, semplificando avremo che le intensità apparenti
monocromatiche e globali dei 2 corpi risultano uguali.

Tramite queste leggi andremo a trovare una relazione (il π,


calcolato in steradianti tramite angolo solido) tra emissione
monocromatica emisferica e intensità apparente
monocromatica (stessa relazione vale per le globali).
Parleremo quindi di corpo lambertiano nel caso di un diffusore
perfetto per il quale la distribuzione spaziale dell’intensità
segue la cosiddetta “legge del coseno”
Legge di Planck
Questa legge, dedotta da planck nel 1900 , esprime la dipendenza dell’emissione monocromatica emisferica
soltanto da T e λ, con l’introduzione di 2 costanti 𝐶𝐶1 e 𝐶𝐶2

Legge di Wien
La legge di Wien si può dedurre analiticamente da quella di Planck, derivata e annullata. La λ𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 utilizzata
nell’equazione rappresenta la lunghezza d’onda alla quale l’emissione è massima.

Legge di Stefan-Boltzman

Questa legge è molto importante e introduce la costante Costante di Boltzman σ= 5.67 10−8 (W𝑚𝑚−2 𝐾𝐾 −4 )
Possiamo vedere come l’emissione globale di un corpo è direttamente proporzionale alla temperatura.
Possiamo anche collegarla alle leggi di Lambert.
In questo grafico possiamo notare come l’emissione
aumenta proporzionalmente al valore della
Temperatura. Nell’ascissa avremo le λ e nell’ordinata
la T.

In questo possiamo invece notare diversi elementi


quale l’intervallo della “Luce visibile” e il Luogo dei
massimi (dalla legge di Wien). Vediamo anche che la
temperatura apparente del sole calcolata dalla Terra è
di 5760 K, contro quell’ambiente di 300 K.

Costante solare
La radiazione solare è con buona approssimazione assimilabile a quella di un corpo nero. La costante solare
𝐶𝐶𝑠𝑠 è definita come l’energia radiante extra-atmosferica emessa dal sole per unità di superficie terrestre vista
dal sole. Poiché la distanza Terra- Sole varia continuamente a causa dell’ellellitticità dell’orbita, useremo una
𝑊𝑊
𝐶𝐶𝑠𝑠 calcolata alla distanza r media e sarà 𝐶𝐶𝑠𝑠 = 1353 2
𝑚𝑚

𝑄𝑄
Questo valore è stato ricavato da 𝐶𝐶𝑠𝑠 = , dove Q rappresenta il flusso netto scambiato tra il Sole e la Terra, e
𝐴𝐴𝑇𝑇
data la grande differenza la Terra è trascurabile.
Calcolo dell’emissione di un corpo nero in un intervallo 0÷ 𝛌𝛌
L’emissione di un C.N. all’interno di un intervallo di lunghezze d’onda si può calcolare dalla legge
dell’emissione globale emisferica integrata con la legge di Planck.

Tutta questa complessa operazione non è tuttavia necessaria, come vedremo con la prossima immagine, che
presenterà un esempio di applicazione e una tabella di riferimento con valori già calcolati.
Calcolo dell’emissione di un corpo nero in intervallo 𝛌𝛌𝟏𝟏 ÷ 𝛌𝛌𝟐𝟐
Anche questo calcolo sarà molto semplice, e lo ricaveremo per differenza, come vedremo nell’immagine
sottostante
Caratteristiche radiative dei materiali
Passiamo adesso alle caratteristiche radiative dei materiali, un po’ diverse dall’emissività che invece viene
considerata una proprietà, poiché dipende solo dalla natura del materiale, differentemente dalle caratteristiche
che dipendono anche dalla natura della sorgente G(λ) (Spettro emissivo)

Come possiamo vedere qui di fianco,


avremo che:
L’Emissività è il rapporto tra l’energia
emessa da quel materiale rispetto a
quella emessa da un corpo nero
La Riflettività è il rapporto tra energia
riflessa ed energia incidente
L’Assorbimento è il rapporto tra
energia assorbita ed energia
incidente
La Trasparenza è il rapporto tra
energia trasmessa ed energia
incidente

Leggi di Kirchoff
Queste leggi saranno molto utili per definire le relazioni che intercorrono tra le caratteristiche radiative (ρ, α, ꞇ)
e l’emissività (ε)

Una superficie è diffondente quando la sua emissività è indipendente dalla direzione di emissione, poiché
emette con uguale intensità in tutte le direzioni.
Quali sono quindi le condizioni per validare la terza legge?
Essa varrà in due casi:

• (Primo caso) Se vale la 2.a legge di Kirchoff (Superficie diffondente) e se la sorgente irradia come un
corpo nero alla stessa temperatura T del corpo, ossia se
α (λ, T) = ε (λ, T) e G(λ) = 𝑒𝑒𝑛𝑛 (λ, T)
G(λ) è lo spettro emissivo della sorgente

• (Secondo caso) Se vale la 2.a legge di Kirchoff (Superficie diffondente) e se l’emissività è indipendente
da λ (Quindi dipenderà solo dalla Temperatura)
α (λ, T) = ε (λ, T) e ε (λ, T) = ε (T)

IMPORTANTE: i corpi per i quali ε (λ, T) = ε (T) prendono il nome di CORPI GRIGI

Qui di seguito un esercizio sui corpi grigi:


Relazione tra assorbimento, riflettività e trasparenza

Queste tre caratteristiche presentano questa relazione: ρλT + αλT + ꞇλT = 1


Per materiali opachi avremo una trasparenza nulla (ꞇλT = 0)
Per materiali trasparenti avremo invece un assorbimento nullo (αλT = 0)

Alcune osservazioni

• I coefficienti di assorbimento, riflettività e trasparenza presentano una debole dipendenza dalla


temperatura T del corpo (quindi tendenzialmente l’influenza della T in queste caratteristiche viene
ignorata, sia nelle monocromatiche che nelle globali).
• Non è invece trascurabile la dipendenza dell’emissività dalla temperatura T, che aumenta per i metalli
all’aumentare della T e decresce per i non-metalli all’aumentare della stessa.
• Da notare è la dipendenza di ε dall’angolo di emissione, che tendenzialmente è massima nella
direzione normale al piano d’appoggio.
• Il comportamento ottico dei materiali dipende molto dal campo di lunghezza d’onda considerato.
• Lo spettro di emissione di un corpo è la distribuzione dell’intensità energetica della radiazione in
funzione della lunghezza d’onda.
• Per i materiali conviene distinguere tra comportamento nel solare (S) (T apparente di 5760 K) e
comportamento all’infrarosso (I.R.) (T ambiente di 300 K). È costruttivo confrontare le variazioni di ε (o
α) rispettivamente alle due Temperature.

Notiamo come nel Solare abbiamo un assorbimento piccolo per


colori chiari e grande per colori scuri (Questo è molto rilevante
sul comportamento termico delle pareti esterne degli edifici).
All’infrarosso avremo invece che tutti i materiali presentano
valori di assorbimento elevati, assimilabili a quelli di un corpo
nero.
(La parte a I.R. fa riferimento specialmente ai materiali che
vengono usati all’interno di edifici per esempio.) (Figura a
sinistra)

• Per i collettori solari termici è importante disporre di materiali che presentino elevati valori di
assorbimento e bassi di emissività.
Vetri
Il comportamento selettivo dei vetri rispetto a λ spiega l’Effetto Serra che ha luogo nelle cavità delimitate da
vetri (Edifici, collettori solari, ...).
Caratteristica da notare dei vetri è che oltre i 60° di incidenza della radiazione la trasparenza del vetro
diminuisce radicalmente e diventa perlopiù riflettente. Per questo nella pratica è inutile adottare un profilo
smussato dei montanti della finestra per fare entrare più luce, poiché appunto oltre un certo angolo i vetri
diventano riflettenti e non fanno passare i raggi solari.
SCAMBI TERMICI RADIATIVI

Introduzione ai fattori di forma (1)


Si consideri un Corpo Nero disposto in un certo punto
dello spazio che emette una sorgente puntiforme.
Supponiamo che questo irradi secondo una certa
temperatura T e ci proponiamo di calcolare quanta
della sua energia radiante emessa vada a ricadere
sulla superficie piana. A questo scopo dobbiamo
specificare le relazioni geometriche che intercorrono
tra il punto P e la superficie, quindi ci dobbiamo riferire
a un caso che ci permetta di svolgere i calcoli in
maniera semplice. Per ipotesi supponiamo che questo
punto P appartenga ad un piano che sia parallelo a quello della superficie ricevente e che P si trovi
sulla distanza da un vertice di questa superficie che riteniamo un rettangolo, esso si trova alla
distanza c dalla superficie A. Stabiliamo le relazioni di calcolo. Innanzitutto si individua un’areola su
A (area elementare) detta dA, si
prende un punto all’interno di
quest'area, si traccia la normale, che
sarà anche la normale al piano
stesso (n) e successivamente si
tracciano gli altri elementi come d
(distanza tra P e dA); si stabilisce un
sistema di assi cartesiani ortogonali.
Fondamentali sono gli angoli: ɛ e j. ɛ
ha relazione con la sorgente, j ha
relazione con l’elemento ricevente.
Per calcolare la potenza radiante che
emessa da P va a ricadere nella
superficie A possiamo andare a
evocare la definizione di intensità di
emissione apparente, cioè quella
vista da un osservatore che guarda la
superficie (i*), in funzione di λ, T, ɛ. Riportiamo quella espressione che risponde alla definizione di
questa intensità apparente onde lasciare a primo membro la potenza radiante. Essendoci tre
differenziali dobbiamo introdurre un integrale triplo. Prima osservazione è quella che risponde alle
ipotesi, se così è, per la definizione di Corpo Nero, ci si può ridurre a i*n (λ, T). sulla base di questo
lo possiamo spezzare in un integrale doppio, a sua volta il primo sarà uguale all’intensità globale. Si
studia il secondo integrale e si esplicita dꭥ secondo la definizione, quindi l’area dell’areola
elementare dA=dxdy la dobbiamo proiettare in modo da renderla ortogonale alla direzione d e
ruotarla dell’angolo j. Abbiamo in definitiva il flusso (Q/S). Lo scopo di dividere e moltiplicare per π
fa sì che venga a costituire πI*n che per la legge di Stefan-Boltzmann è uguale a σT4. Il termine in
parentesi è una quantità che dipende da tutti e soli i parametri geometrici del sistema, questa
quantità la definiamo come Fattore di vista (o di forma). Ha inoltre significato fisico, ovvero esprime
la quota parte del flusso emesso dal punto sorgente che finisce per ricadere nell’area considerata.
Introduzione ai fattori di forma (2)
Si consideri il caso in cui P appartenga ad un piano ortogonale al paino
della superficie ricevente A. Approccio analogo al caso precedente,
cambiano solo le relazioni elementari che legano l’angolo j e ɛ agli altri
parametri geometrici. Cambia la funzione integranda perché cambia la
geometria del sistema. Il calcolo di questi integrali doppi e dei fattori di
forma li possiamo trattare analiticamente oppure li possiamo affidare a
CAD matematici oppure calcolarli e presentare i risultati sotto forma di
diagramma o tabella.

Fattori di forma e proprietà


Si possono affrontare i casi complementari precedenti,
cioè l’elemento sorgente diventa l’intera superficie e
l’elemento ricevente diventa P. Troveremmo le stesse
espressioni analitiche perché il fattore di vista dipende
solo dalla geometria del sistema. Nel caso del calcolo
del flusso termico che si scambiano due superfici
emittenti che irradiano la radiazione elettromagnetica
l’uno verso l’altro, tra le due c’è un flusso termico
radiante netto scambiato. Si parte dall’espressione dell’intensità apparente globale e si va ad
esplicitare il flusso trasmesso; dꭥ1 è l’angolo solido sotto il quale il punto di sorgente vede l’areola
dell’area ricevente.
Analogamente si può ragionare in relazione alla superficie 2)

Sulla base di queste relazioni possiamo ricavare una prima importante proprietà per i fattori di vista:
relazione di reciprocità. Per concludere, il flusso netto che le due superfici si scambiano tra di loro
è dato dalla differenza tra quella che ogni superficie emette e quella che riceve.

Casi particolari:

Due superfici ortogonali tra loro e un Due superfici piane e parallele con i
lato in comune vertici che corrispondono

Una seconda proprietà da menzionare sui fattori di vista è l’additività. (vedi libro pag. 10 del capitolo)
Applicazioni
● Abbiamo due pareti: una omogenea (3) e una fatta da due elementi distinti,
tutte a temperature diverse, ognuna di queste irradia verso l’altra energia
radiante. Nasce l’esigenza di calcolare flussi termici scambiati e quindi dei
fattori di vista. Fra le superfici 2 e 3 è calcolabile facilmente perché caso
notevole. Invece per F31 (3 e 1 ortogonali tra loro ma non hanno lato in comune)
si considerano 1 e 2 come unica parete e poi si sottrae la 2.
F32 da diagramma
F31= F3(1+2) – F32
● Caso di una sorgente puntiforme P che
emette verso questa superficie che sta
ai piedi dell’asta che sorregge questo
punto P. Questa superficie la possiamo
considerare come complessiva, fatta da
quattro aree parziali. Si procede come
nel caso precedente, tramite additività.
Metodo della radiosità
Flusso radiativo scambiato tra due
oggetti che stanno all’interno di una
cavità chiusa (simula lo spazio
abitativo). Nell’immagine, lo schema di
questa cavità chiusa definita da un
certo numero n di superfici, dove ne
viene individuata una in particolare, la
superficie generica i-esima, esposta
alla radiazione che proviene da tutto
l’ambiente circostante. Quest’ultimo
emette verso questa superficie energia radiante espressa dalla funzione spettrale G i, questa ne
riemette una certa quantità in misura proporzionale. La parete riflette nella misura che la sua
riflessività gli consente (e quindi l’energia radiante riflessa è uguale a ρiGi). Eni è l’emissione che
avrebbe un Corpo Nero alla stessa temperatura della parete, questo per definizione di emissività.
La parete quindi emette la somma di queste aliquote, la quale dà la radiosità. Ai fini del bilancio
energetico la parete ha anche i suoi scambi termici con l’ambiente circostante, quindi ci sarà un
termine di flusso termico Qi. ρ si può convertire in 1-ɛi perché corpo opaco. Relazione del bilancio
energetico vero e proprio: 1) Bilancio energetico globale fatto in relazione al volume di controllo
rappresentato dalla curva tratteggiata. 2) Radiosità che è un’esplicitazione dei termini che figurano
nel bilancio energetico complessivo. Per descrivere compiutamente il comportamento di questa
parete dal punto di vista degli scambi radiativi abbiamo bisogno di scrivere le relazioni (1.1) e (1.2).
Dalla (1.1) la radiosità data dalla somma dell’energia radiante emessa dalla parete “per riflessione”
e l’energia radiante emessa “per temperatura” (vd. 2)). Riguardo la (1.2) vd. 1). Volendo possiamo
modificarle nella simbologia, scrivendo una coppia di equazioni. Ri e Rik sono delle quantità che
discendono dalla trattazione precedente. Ri dipende dalla emissività e dalla superficie con i; Rik
dipende dal fattore di vista di questa parete nei confronti di tutte le altre pareti.

Caso delle due sorgenti concave


Applichiamo la coppia di equazioni al caso di
una cavità definita da due sole superfici la 1 e
la 2, ognuna con la propria temperatura ed
emissività e fattore di vista; sulla seconda e
terza equazione si possono effettuare delle
semplificazioni. Tramite i vari passaggi
arriviamo alla formula di Christiansen (o dello scambio radiativo tra due superfici). La quantità al
numeratore esprime il potenziale energetico che induce questo flusso radiativo e che dipende dalla
differenza della quarta potenza della temperatura. Al denominatore abbiamo una somma di termini
che nel loro complesso rappresentano la resistenza termica di tipo radiativa che si oppone alla
trasmissione del calore radiante tra le due superfici e che è fatta di tre termini: due dipendono
dall’emissività (ɛ1-ɛ2) e prendono il nome di resistenza superficiale perché le emissività sono
caratteristiche delle superfici; uno prende il nome di resistenza spaziale perché dipende dal fattore
di vista sotto il quale una superficie vede l’altra. Queste resistenze si presentano come disposte in
serie. Ai capi di questa serie di resistenze abbiamo i due corpi che si scambiano calore
radiativamente. Equivalente anche a quella che sarebbe una rete elettrica equivalente.

Casi particolari

Effetto di bordo
trascurabile

Tutta l’energia radiante emessa


da 1 ricade su 2, non vale lo
stesso sulla 21, una parte finirà
sulla stessa superficie 2

Scambio
termico di Ac infinitamente più grande di Ap quindi Ac → ꝏ e tutto il
tipo radiativo termine al denominatore tende a 0, quindi sopravvivrà solo il
termine ɛ1 cioè l’emissività della parete più piccola che
possiamo conoscere. Quando lo scambio termico avviene tra
due superfici di cui una è molto più grande dell’altra, la formula
dello scambio termico si riduce notevolmente
Schermi radiativi
Due superfici a temperatura diversa, tra di loro
ricorre uno scambio radiativo. Supponiamo di
interporre tra questi un elemento 3. Andiamo a
scrivere l’espressione di Christiansen, ai poli
abbiamo un potenziale a temperatura T1 e uno a
temperatura T2 e nel mezzo andiamo a mettere
tutta la serie delle resistenze termiche di tipo
radiativo che l’onda termica di tipo radiante deve
attraversare per giungere al polo E n2. Se questi
schermi sono molto estesi e piccolo è l’effetto di
bordo possiamo assumere i fattori di vista uguali a 1, arrivando dopo qualche passaggio a Q 12. Se
le emissività dovessero essere tutte uguali si semplifica. Quando tra due elementi viene interposto
uno schermo di emissività circa uguale a quella delle due superfici in gioco il flusso termico radiativo
si dimezza.

Temperatura media radiante


Trovando un solo valore di temperatura da attribuire all’ambiente nel suo complesso si possono
semplificare i calcoli, in modo da ridurci a calcolare poi questo flusso radiante tra l’oggetto a cui
siamo interessati e tutto l’ambiente circostante. Esiste un valore unico di temperatura da attribuire
allo spazio confinato che ci metterebbe nella
condizione di scrivere una relazione semplice per
valutare il flusso scambiato. Introduciamo la
temperatura media radiante che ci porta a
considerare 2 situazioni: ambiente reale dove
ogni parete ha la sua T; ambiente immaginario
dove tutte le pareti hanno stessa T (superficiale).
Queste due situazioni hanno in comune che scambiano, con un qualunque oggetto all’interno della
cavità, lo stesso flusso radiativo. Andiamo a determinare quello che è il flusso radiativo scambiato
nell’ambiente reale onde poi imporne l’uguaglianza di questo a quello che si avrebbe in ambiente
fittizio e questa è la Temperatura Media Radiante Tmr. Valutiamo adesso qual è il flusso termico
relativo scambiato nella situazione reale. Per flusso netto scambiato si intende la differenza tra ciò
che viene assorbito dall’oggetto e quello che esso
stesso emette. Esplicitiamo il termine di calore
assorbito che sarà uguale al prodotto del
coefficiente di assorbimento e di tutti i flussi radianti
che provengono dalle superfici che definiscono
questo spazio chiuso, ognuna di queste irradia
secondo la sua radiosità. Invochiamo a questo
punto il teorema di reciprocità. Il flusso radiante
che esso stesso emette secondo i due meccanismi
visti precedentemente: per temperatura e per
riflessione. Riflessività molto bassa quindi
trascurabile.
Per eliminare il problema dei fattori di vista si può adottare l’espressione semplificata, quando
queste pareti hanno tutte una temperatura prossima alle altre. Quindi Tmr si può calcolare come
media pesata delle temperature superficiali delle pareti rispetto alle superfici delle pareti stesse.

Ambienti
termicamente
uniformi

Globotermometro
Tmr è misurabile tramite uno strumento detto globotermometro.
Abbiamo una cavità e disegniamo il volume di controllo che comprende
questo termometro, questo scambia con l’ambiente circostante calore
di tipo convettivo e radiativo, trascuriamo i suoi scambi di tipo
conduttivo con l’aria. Lo scambio convettivo avrà relazione con la
temperatura dell’aria, quello radiativo chiamerà in causa la Tmr. La
somma di queste due quantità è pari a 0 perché nel bilancio energetico
non ci sono altri termini che ricorrono. Ts è la temperatura superficiale; Tg è la temperatura dichiarata
dall’asta termometrica. Se c’è un buon contatto tra sfera e termometro le possiamo considerare
approssimativamente uguali. α è l’alfa convettivo degli scambi convettivi, è un coefficiente della
convenzione naturale dell’aria attorno alla sfera.

Lo strumento per
misurare ua è
l’ANEMOMETRO

Tmr non è suscettibile di misura diretta ma indiretta.


Temperatura media radiante (in relazione al soggetto umano)
Si può procedere in egual modo se questo oggetto è il nostro corpo umano.
Ciò che cambia dal caso precedente sta nei fattori di vista che non si possono
ricavare facilmente tramite diagrammi e tabelle. Colui che se ne occupò fu
P.O. Fanger, padre fondatore della moderna teoria del comfort termico,
tramite sistema sperimentale.
Grafici
1- Ci dà l’idea di quelle che sono le distribuzioni spaziali che vengono fuori quando si parla di
fattori di vista.

2- Distribuzioni spaziali che viene ad assumere la Tmr. Risultato di una simulazione fatta dal
calcolatore implementando le formule sia di Tmr che dei fattori di vista. Questi valori di
temperatura media radiante in prossimità di una finestra tendono ad abbassarsi perché
risente delle temperature esterne (basse di notte). Dal lato opposto, un picco indotto dalla
presenza di un ipotizzato radiatore termico che in quello stesso istante è attivo; la sua
temperatura superficiale è dell’ordine di una settantina di gradi, il che induce dei picchi che
decadono abbastanza rapidamente per la legge dell’inverso del quadrato della distanza. Lo
dobbiamo pensare come un fotogramma, immaginiamo questa superficie al variare del
tempo, le temperature superficiali delle pareti vanno cambiando istante per istante.
CAPITOLO DELLA CARATTERIZZAZIONE CLIMATICA DEL
TERRITORIO

Che bisogno c’è di caratterizzare il territorio da punto di vista climatico? È molto importante farlo perché
l’edificio possa interagire con l’ambiente circostante. Il suo comportamento è dovuto dalle condizioni
climatiche circostanti, al fine di adeguare la struttura nelle sue forme architettoniche al contesto
climatico. “GUAI” costruire edifici che ignorino questi contesti perché non farebbe altro che aumentare i
consumi energetici.
Le condizioni climatiche e i loro dati vengono rappresentati in una norma, che viene periodicamente
aggiornata, UNI 10349. Vengono riportati i principali dati climatici che hanno relazione con la risposta
termica degli edifici.

Formata da una serie di grafici e tabelle che evidenziano i dati fondamentali come la Temperatura
esterna, la radiazione solare (nelle varie esposizioni EST-OVEST-NORD-SUD), la velocità del vento,
l’umidità relativa, ecc.
TEMPERATURA ESTERNA
Valori medi mensili- in questa tabella vengono
rappresentati i valori medi mensili delle varie città
nei mesi dell’anno. Ovviamente la curva va a
crescere nei mesi estivi e a decrescere in modo più
o meno simmetrico nei mesi invernali. Questi valori
medi possono essere usati in altre tabelle che
esprimono i valori orari di una determinata località
in un dato mese. Grazie ad un algoritmo che
introduce il fattore di forma.
Profilo orario della temperatura esterna- Esso lega il
fattore di forma al salto di temperatura minimo o
massimo di quella località in un determinato mese per
ricavare la temperatura esterna oraria. È dato dal
vettore F che moltiplica singolarmente ∆Tmax che si
trova nelle norme. In questo caso ogni singolo numero
(0,82-0,87-0,92-…) con la massima variazione della
temperatura, ottenendo la distribuzione oraria della
temperatura di quella determinata località in quel mese.
La figura accanto mostra la variazione delle
temperature nelle 24 ore. Nell’arco si può notare che il
picco massimo avviene verso le 15 e le 16.

Gradi-Giorno GG- Sono un indice numerico che


esprimono la severità del clima in una data stagione
in una determinata area. Basta diagrammare le
temperature mensili partendo da luglio per avere un
andamento della curva che presenta un picco minimo
nei mesi freddi e risale nei mesi caldi. Come legare
l’andamento climatico al fabbisogno di energia per il
𝑃
riscaldamento degli edifici? La formula GG=∫0 (𝑇𝑖 −
𝑇𝑒(𝜏))𝑑𝜏 indica il carico termico che è proporzionale
al salto di temperatura interna ed esterna. Dal salto di
temperatura dipendono le dispersioni termiche,
maggiore è il salto maggiore sarà il carico termico e
quindi il fabbisogno di energia per la climatizzazione
invernale. La differenza di temperatura integrata nel
tempo stima il fabbisogno di energia termica (nel caso
di Catania è tratteggiata dall’area gialla). L’esigenza
di accendere l’impianto termico avviene quando la Te
< 12°C. l’area che rappresenta il carico termico è
quella determinata dalla temperatura esterna (12°C) e la
temperatura interna (20°C). L’area delimitata dal colore azzurro
indica il carico termico per Catania, quello rosso per Milano. Ogni
comune ha il suo valore GG, più è alto il valore più è severo il clima.
I gradi giorno servono per classificare il territorio italiano in sei
zone in relazione alle condizioni climatiche. Queste zone danno
la possibilità di avere un certo periodo e ore limitato di
riscaldamento, in questo caso Catania essendo in zona B (833
di GG) ha 8 ore ammissibili per il riscaldamento dal 1° Dicembre
al 31 Marzo.

Radiazione Solare-
È l’energia radiante emessa dal Sole nello spazio, generata dalle
radiazioni termonucleari di fusione che avvengono nel nucleo solare e che
producono radiazioni elettromagnetiche a varia frequenza.
Come si muove il sole rispetto ad un punto fisso sulla Terra (in questo
caso la persona in figura)? Il Sole come già si sa si muove da EST a
OVEST descrivendo un arco nella volta celeste con diversa lunghezza a
seconda della stagione. Dal solstizio invernale a quello estivo avviene un
incremento dell’arco e delle ore di luce.In base alla posizione del sole si
possono definire degli angoli che sono tipici della geometria sferica.Gli
angoli sono: Azimutale Ψ, Zenitale ζ, Angolo di altezza solare α.
L’angolo Azimutale avviene sull’angolo di appoggio della superficie
illuminata. Zenitale è l’angolo tra la posizione del Sole e la normale
rispetto al suolo. L’angolo di altezza solare si misura tra la posizione del
sole e il piano di appoggio stesso. Gli angoli di altezza solare durante gli
equinozi e i solstizi variano anche in base alla località e vengono utilizzati
per caratterizzare i territori e il clima locale, richiamando questi angoli nelle
formule di calcolo e simulazioni per il comportamento termico dell’edificio.
La disposizione dell’edificio deve essere studiata per consentire il
soleggiamento degli ambienti durante l’inverno e per evitarlo in estate.
Questo lo possiamo evitare anche usando elementi ombreggianti o anche
alberi.
Radiazione solare al suolo-
Le componenti della radiazione solare sono:
Diretta: la luce che arriva a noi lungo la congiungente tra il
sole e il punto di misura
Diffusa: ogni particella di gas colpita dalla luce la riemette
con uguale intensità in tutte le direzioni
Albedo/Riflessa: è la luce riflessa dall’ambiente circostante
(edifici, suolo, amb. naturale).
Il grafico mostra come evolve la radiazione solare nell’arco
dell’anno sulla base dei valori di irraggiamento medio
mensile (quantità espressa in KWh/m2) su metro quadro di
superficie ricevente. A Sud la massima radiazione avviene
nei mesi invernali, mentre a Nord la radiazione solare si
mantiene al di sotto del valore di tutte le altre esposizioni
perché l’esposizione Nord ha solo componenete diffusa e
riflessa della radiazione solare. Quindi è importante
l’esposizione dell’ambiente e delle pareti. La radiazione
solare dipende dalla poszione geografica quindi dalla
latitudine del luogo, l’ora del giorno e il giorno dell’anno. A
Est la radiazione solare aumenta a partire dall’alba fino a
raggiungere un picco e declinare verso il mezzogiorno e,
invece di andare a zero, continua sulla curva Nord
coincidendo con la curva Ovest dove avrà una curva uguale
a quella Est ma con comportamento opposto. La parete a
Est avrà tutte e tre le componenti fino a quando non arriva
sulla curva Nord e ha solo le componenti diffusa e riflessa. La
componente Orizzontale ha una radiazione molto intensa
perché il sole è abbastanza perpendicolare al piano
orizzontale ed è poco affetto all’angolo coseno, l’angolo di
inclinazione. Questa curva in estate è la più intensa.
Lo sfasamento temporale tra la radiazione solare (forzante) e
la temperatura dell’aria esterna (risposta) in uno stesso giorno
tipico viene rappresentato da questa curva. La distribuzione
della radiazione solare sull’orizzonte è simmetrica rispetto al
mezzogiorno, mentre la temperatura esterna ha un picco
discostato di un paio di ore dalle 12. Questo scostamento
avviene perché la Terra ha la sua inerzia termica e risente
della temperatura dell’aria e del ritardo che avviene sulla
Terra dovuto dai materiali e dal suolo che riemettono la
radiazione solare nell’aria. Infatti il picco massimo della
temperatura non avviene a mezzogiorno ma intorno alle 15 e
alle 16.
Caratteristiche igrometriche- sono date dalle
pressioni parziale del vapor d’acqua. Tra la pressione
del vapor d’acqua e l’umidità relativa intercorre una
semplice relazione (che si trova nelle pagine della
Pv.
psicometria) φ = Psat(t)

L’umidità relativa è datat dalla pressione del vapore


d’acqua e la pressione di saturazione al temperatura
assegnata.
Se di una data località disponiamo della pressione
parziale del vapore e temperatura, mettendo in
rapporto questi due numeri troveremo l’umidità relativa
della località e distribuirla nei suoi valori medi mensili o
nei suoi valori orari.
Infatti unendo le due tabelle della pressione al vapor
d’acqua e di saturazione troveremo quella di umidità
relativa.

Irradiazione e temperatura del cielo- l’irradiazione è diversa dall’irraggiamento ed è la radiazione


elettromagnetica che proviene dai gas atmosferici. I gas atmosferici vengono attraversati dalla radiazione
solare e quella termica, che proviene dalla Terra, in tutte le direzioni. Questi gas assorbono la radiazione
che poi viene riemessa, infatti secondo la conservazione dell’energia tanto energia assorbono e tanto ne
rimettono. Anche in assenza di radiazione solare arriva un calore radiante emessi da questi gas e rivolto
verso la terra e prene il nome di “irradiazione” indicata con G. Questa è misurabile attraverso un comune
radiometro e la sua entità risulta correlata alle condizioni atmosferiche. Sul display appare un valore
espresso in W/m2 e rappresenta l’irradiazione. Questi valori si devono fare in assenza di radiazione solare
cioè in ombra, utile per definire la temperatura del cielo. Sono correlazioni che esprimono G in funzione
della temperatura dell’aria Te e della pressione parziale del vapor d’acqua pv. Verrà definita come formula
𝐺
di Brunt:
𝜎𝑇𝑒4 = 0.55 + 0.0654√𝑝𝑣

con pv in (mmHg) e G in (W/m2). Naturalmente pv è correlata all’umidità relativa ambiente dalla pv= ∅pvs(Te),
dove 𝐺 = 𝑓(𝑇𝑒, ∅𝑒).

La temperatura del cielo viene considerato come un corpo nero, si può calcolare imponendo: 𝐺 = 𝜎𝑇𝑐4
4 𝐺
𝑇𝑐 = 𝑓(𝑇𝑒, ∅𝑒) dove 𝑇𝑐 = √ oppure 𝑇𝑐 = 0.0552 𝑇𝑒1.5
𝜎

La temperatura del cielo è la temperatura che noi attribuiamo a quel elemento immaginario che è la volta
celeste. La immaginiamo come una semisfera centrata sul punto di misura che si trova con una sua
temperatura con la quale scambia calore radiante con tutti gli oggetti che sono appoggiati sulla terra. Se
disponessimo della temperatura della volta celeste potremmo calcolare molto agevolmente gli scambi
termici radioattivi come tra un edificio e la volta celeste, ma non possiamo averla perché la superficie non
esiste e non è misurabile strumentalmente. Secondo il principio di conservazione dell’energia i gas
assorbono calore che lo riemettono con uguale intensità in tutte le direzioni. Sono simili alle caratteristiche
di un corpo nero e quindi possiamo calcolare l’irradiazione G con la relazione di Stefan-Boltzmman. 𝑇𝑐4 è
la temperatura dell’elemento emittente e quindi della volta celeste, la temperatura del cielo è stata
correlata in base alla temperatura e l’umidità relativa delle località. È come dire che si può calcolare la
temperatura del cielo con

l’irradiazione, la temperatura e l’umidità relativa. Permette di calcolare la formula di Brunt e ricavare G in


funzione della temperatura esterna e la pressione parziale del vapore.

Il bilancio energetico sul corpo, considerato come


corpo grigio, soggetto a radiazione solare I, alla
irradiazione G alla temperatura esterna Te, si può
formulare come nell’immagine a fianco. Grazie a
Tc possiamo calcolare tutti gli scambi radiativi
esposti alla volta celeste, è importante trovare Tc
per i calcoli dei flussi termici. Nella figura la
superficie scambia calore convettivamente e
radiativamente che riceve dal sole e che a sua
volta immette per Temperatura, a bilanciare questi
flussi termici c’è un termine q che è legato al
bilancio energetico e specificato dai parametri di Termine Effetti
radiativo convetti
temperatura. vi

Nei grafici sotto possiamo vedere che la Temperatura esterna rappresenta come una famiglia di curve. Se
prendessimo il 60% di umidità relativa e la temperatura esterna a 10 °C vedremo che la temperatura del
cielo è -10°C ed è la temperatura della volta celeste a cui viene esposta una superficie in quelle situazioni
(in assenza di radiazioni solari) con un raffreddamento di tipo radiativo. Se poi dovessimo calcolare i Watt
troveremo valori che vanno dai 40-100 W/m2 e per questo avviene questo raffreddamento degli oggetti
esposti alla volta celeste. Viene detto raffreddamento radiativo perché il corpo scambia calore con la volta
celeste.
Raffreddamento radiativo- Un corpo (in ombra) appoggiato al suolo ed esposto alla volta celeste alla
temperatura Tc subisce un raffreddamento radiativo dell’ordine di 100 W/m2 e determina una temperatura
esterna “equivalente” di circa 5°C inferiore a quella dell’aria. Questo meccanismo spiega tanti fenomeni,
tra cui la formazione di brina nei corpi anche con la formazione di ghiaccio quando Te > 0°C.

La superficie piana è esposta ad un raffreddamento radiativo che porta la sua temperatura al di sotto della
temperatura di rugiada nell’aria. Porta a formarsi del condensato raggiungendo la brina e se questo
condensato continua a formarsi allora lo strato liquido diventa solido e quindi ghiaccio pure essendoci una
temperatura esterna maggiore dei 0°C perché c’è questo raffreddamento radiativo.

Scambio termico radiativo

Scambio termico convettivo

Il flusso termico calcolato dal bilancio


energetico fatto sull’oggetto trovando una
capacità W/m2, e non è affatto
trascurabile.
TERMOFISICA DELL’EDIFICIO
Coefficiente di adduzione- lato interno
Si consideri ciò che accade in una parete dal lato interno,
cioè dalla faccia esposta all’ambiente interno, a seguito degli
scambi convettivi e radiativi che questa parete ha con ciò
che la circonda. Si individui un punto qualsiasi della parete la
cui temperatura superficiale interna è la Tsi;Ta è la
temperatura dell’ambiente interno; Tmr è la temperatura
media radiante di cui è caratterizzato l’ambiente circostante
(Tmr caratterizza il campo radiante con un solo dato
numerico).
Bilancio energetico attorno al punto considerato:
qri= scambio radiativo; qci= scambio convettivo; q= il flusso
termico che proviene dagli strati interni della parete e
dall’ambiente esterno che bilancia qri e qci. Esplicitando
rispettivamente il termine radiativo e convettivo,
considerando che αi è il coefficiente convettivo lato interno, e
mettendo in evidenza (Tsi-Ta) si ottiene il coefficiente di
adduzione lato interno h0i.
Considerando ora il termine del rapporto tra le temperature

Se la temperatura media radiante è molto prossima a quella dell’aria, il numeratore si può scomporre
attraverso i binomi notevoli.
Nota: (T4-T4)= (T2-T2)(T2+T2) = (T-T)(T+T)(T2+T2)

Se Tsi è molto prossima a Ta – con questa ipotesi ci si trova maggiormente nel campo degli ambienti
termicamente uniformi - si può pensare di fare ulteriori approssimazioni e riscrivere la formula del
coefficiente di adduzione interno.

Valore del coefficiente di adduzione- lato interno


Usando valori ordinari di Ta; σ di Boltzman ed ε tipico dei materiali da costruzione, quindi un valore molto
alto, prossimo all’unità; αi convettivo sulle pareti è stato calcolato nel capitolo della convezione naturale,
allora il coefficiente di adduzione assume valori dell’ordine di 8 W/m2K. Questo coefficiente di adduzione si
può riferire non solo alla parete verticale ma anche al pavimento e al soffitto poiché quest’ultimi hanno i loro
scambi radiativi e convettivi simultaneamente. In definitiva il coefficiente h0i finisce per assumere valori che
vanno da 6 a 8 W/m2K.
Coefficiente di adduzione- lato esterno

Dal lato esterno l’approccio è lo stesso: si prenda un punto qualsiasi della faccia esterna della parete la
quale riceve dagli strati profondi della parete stessa il calore q. Nel nodo questo q si distribuisce in forma
radiativa e convettiva. Lo scambio convettivo qce avviene con l’aria alla temperatura Te e lo scambio
radiativo qre avviene invece con gli elementi superficiali che si trovano dalla parte esterna in cui c’è anche
la temperatura del cielo Tc. La modellazione matematica è identica a quella di prima: mettendo in evidenza
(Tse-Te) si ottiene il coefficiente di adduzione lato esterno h0e.
Anche in questo caso si possono ricavare espressioni approssimate usando i meccanismi precedenti.

Qui in particolare si ha αe, coefficiente convettivo lato esterno, allora lì c’è convezione naturale? in prima
battuta potremmo dire di si, però non si deve dimenticare che il lato esterno della parete viene battuto
anche dal vento e quindi la convenzione sul lato esterno è veramente naturale? E’ difficile rispondere con
una risposta secca perché il vento impone una velocità. La Norma UNI 7357-74 suggerisce una
correlazione molto semplice che consente di calcolare αe direttamente in funzione della velocità del vento u
misurata in metri al secondo. In questo caso il valore raccomandato per gli edifici è 20 W/m 2K quindi c’è
una bella differenza con quello calcolato nel caso di lato interno.

In assenza di radiazione solare, il flusso trasmesso in sintesi si può scrivere nelle forme seguenti:

1) usando il coefficiente di adduzione;


2) come rapporto tra salto di temperatura interno – esterno e la
resistenza termica Ri_e che ricorre tra il punto i ed e, cioè quello
interno ed esterno. Ma qual è la resistenza termica offerta dalla
parete tra i due nodi? Di mezzo tra i due nodi c’è tutta la parete
con la sua stratigrafia e con i suoi coefficienti di adduzione lato
interno ed esterno. Quindi 1/h0i è la resistenza convettiva lato
𝑠𝑘
interno; 1/h0e è la resistenza convettiva lato esterno; ∑𝑘 strati della parete di vari materiali; Rg resistenza
𝜆𝑘
termica del gap d’aria;
3) Ulteriore formula per scrivere q fa riferimento alle temperature superficiali Tsi e Tse e alla resistenza
Rsi_se che è pari alla precedente meno le resistenze di tipo convettivo interne ed esterne.
Il messaggio che emerge da questa analisi è che si può scrivere in diversi modi il flusso trasmesso
attraverso una parete, ma in ogni caso bisogna attenersi rigorosamente alla coerenza tra quello che figura
al numeratore e quello che figura come resistenza al denominatore. Cioè se si considera Ti e Te al
numeratore, al denominatore si deve considerare la resistenza tra i nodi i ed e.
Domanda: quando i coefficienti di adduzione sono uguali? Non accade perché dal lato interno si può
affermare che c’è convezione naturale e quindi il coefficiente di convezione è di pochi W/m2K (2 o 3 al più),
mentre all’esterno bisogna considerare che c’è l’azione del vento che impone una velocità misurabile con
l’anemometro e quindi non si tratta di convezione naturale autentica. Per questo la Norma suggerisce di
legare il coefficiente convettivo alla velocità del vento il quale produce effetti convettivi. Pertanto la parete
dal lato esterno scambia calore più energicamente rispetto al lato interno perché il vento, lambendo la
faccia della parete, rimuove il calore o induce il calore se la temperatura esterna è maggiore della
temperatura superficiale. In ogni caso lo scambio termico è molto più intenso di quello di una convezione
naturale propriamente detta. Solo nel caso di un tramezzo, in cui si separano due ambienti nelle stesse
condizioni operative, i coefficienti convettivi li possiamo assumere uguali, vi è infatti convezione naturale da
entrambi i lati.
Temperatura aria-sole

Si consideri una parete esterna che si confronta


con l’ambiente circostante in cui vige la
temperatura esterna Te, quella del cielo Tc e
l’irraggiamento ,il quale entra in gioco nella
determinazione della risposta termica della
parete. Attraverso il volume di controllo,
disegnato attorno ad un punto della parete
esterna, si riconosce il flusso termico q ,che
proviene dagli strati interni della parete, e
dall’altra parte i flussi termici di tipo radiativo e
convettivo e poi l’irraggiamento I. La superficie
esterna della parete si trova ad una temperatura Tse.
Considerando l’equazione vista in precedenza:
Il bilancio energetico sarà:

Dopo aver scritto il bilancio si isoli al primo membro il termine q che è rappresentativo del flusso
complessivamente trasmesso attraverso la parete. Tale flusso termico complessivo viene indotto dalla
temperatura superficiale esterna e dalla radiazione solare I assorbita dalla parete-la parte riflessa della
radiazione non ha influenza per la determinazione del flusso q. Poiché si tratta della radiazione solare
assorbita a moltiplicare I c’è l’assorbimento della parete αs .Il pedice s sottolinea che l’assorbimento è in
relazione allo spettro emissivo del Sole perché come si è visto il coefficiente di assorbimento o in generale
tutte le proprietà radiative (assorbimento, trasparenza, riflettività) dipendono ,oltre che dalla natura del
materiale, anche dallo spettro emissivo della sorgente che lo irradia, in questo caso il Sole.
L’espressione trovata è semplice, ma c’è un modo di creare una scrittura ancora più semplice che
coinvolga piuttosto che la Te e la radiazione solare una sola temperatura esterna, cioè una temperatura
esterna equivalente che comprende in sé anche gli effetti della radiazione solare? La temperatura aria-
sole.

Quindi nella realtà fisica si ha una parete sede di un flusso termico indotto dalla temperatura e
dall’irraggiamento, ma si cerca una temperatura che comprenda in sé i due effetti tale da determinare
ovviamente lo stesso flusso termico attraverso la parete che si ha nella situazione reale. Pertanto da un
lato si ha la situazione reale, quella della parete sollecitata dal flusso solare e dalla temperatura esterna,
dall’altro la situazione fittizia che vede una parete in ombra non soggetta alla radiazione solare
esplicitamente espressa. Si vogliono confrontare queste due realtà a parità di flusso termico trasmesso
complessivamente tra interno ed esterno, questo si traduce nella seconda equazione:

Al primo membro si ha il flusso termico così come descrivibile nella realtà fisica della parete dove c’è la
temperatura esterna e l’irraggiamento, al secondo membro si ha il flusso termico trasmesso attraverso una
parete sollecitata solo da una temperatura esterna equivalente che è la temperatura aria-sole. Si imponga
che i due flussi siano uguali e si trova la temperatura aria sole Tas che è uguale alla temperatura esterna
più il termine che tiene conto della radiazione solare.
In presenza di radiazione solare, quindi della Tas, il flusso trasmesso si può scrivere in una delle forme
seguenti:

1)attraverso il coefficiente di adduzione h0e per il salto di temperatura tra Tas e la Tse;
2)Attraverso la trasmittanza globale K della parete( in cui sono comprese anche le resistenze liminari) e il
salto di temperatura tra a Tas e la temperatura interna Ti. Questa espressione è quella più semplice ed
interessante, infatti gli effetti della radiazione solare qui sono tutti ricompresi nella Tas;
3)Oppure, nell’ultima espressione, basta mettere in gioco al numeratore la differenza di temperatura
superficiale esterna e superficiale interna e al denominatore le resistenze termiche che ricorrono tra i due
punti. Qui il flusso complessivamente trasmesso si scrive come rapporto tra il potenziale energetico che lo
promuove e le resistenze termiche che ricorrono tra i due punti. Spiegazione denominatore:
Nella parete vi è il nodo i, cioè quello dell’ambiente interno, e il nodo e, cioè quello dell’ambiente esterno. Si
aggiungano poi le resistenze liminari dello strato d’aria che è a immediato contatto con la parete e che è
sede degli effetti convettivi αi e αe. Si può pensare di sostituire a quest’ultimi i coefficienti di adduzione,
essendo parametri più generali in quanto tengono conto, oltre che del termine convettivo, anche del
termine radiativo. Come si può scrivere l’espressione per q? in vari modi: il primo è quello del rapporto tra il
salto di temperatura tra Ti e Te con la resistenza totale tra il punto i ed e che corrisponde a tutti gli elementi
che oppongono resistenza alla trasmissione del calore tra il nodo i ed e.
Un modo alternativo di esprimerlo è considerando il rapporto tra la differenza tra Tsi e Tse e la resistenza
tra il nodo si e il nodo se. Tra questi due nodi le resistenze che si oppongono al flusso termico sono quelle
conduttive degli strati solidi di tipo s/λ e le resistenze di gap.
Riprendendo la prima espressione: se c’è radiazione solare I, si dovrebbe alterare radicalmente la scrittura,
ma si può evitare ciò se al posto della Te si inserisce la Tas perché ricomprende anche gli effetti della
radiazione solare. Al denominatore non cambia niente perché i nodi sono sempre quelli.
Nota: cosa vuole ricordare il simbolo αs ?

Se si torna indietro nella tabella che riporta il coefficiente di assorbimento per i vari materiali da costruzione
(proprietà radiative di materiali edili-p.26 cap. irraggiamento) si nota che i valori per ogni materiale sono 2 o
almeno 2 per un motivo legato alla definizione che si era data dei coefficienti di assorbimento.
Nell’altra tabella (caratteristiche radiative dei materiali-p.17 cap. irraggiamento) si era detto di vedere in
particolare i valori globali che dipendono non solo dalla temperatura del materiale, ma anche da qualcosa
che non ha niente a che fare con il materiale e che è rappresentata da G(λ) che rappresenta la funzione
spettrale della sorgente, cioè la distribuzione alle varie lunghezze d’onda della sorgente che irradia questi
materiali. Quindi è chiaro che la riflettività, l’assorbimento e la trasparenza non possono essere considerate
proprietà autentiche del corpo perché i valori di cui si dispone non sono legati esclusivamente al
comportamento naturale del materiale. Da qui nasce l’esigenza di ricondurre questi 3 parametri a uno che
è invece una proprietà radiativa autentica del materiale: l’emissività, in cui al numeratore si ha l’emissione
del corpo e al denominatore l’emissione che avrebbe un corpo nero che è un riferimento assoluto. Come
fare per ricondurre le 3 proprietà all’emissività? Attraverso le leggi di Kirchhoff: La prima legge riguarda
l’emissività e l’assorbimento monocromatico e direzionale che è sempre valida; la seconda legge è valida
solo per superfici diffondenti, quindi per emettitori perfetti; la terza legge vale solo sotto particolari
condizioni espresse nella pagina successiva (p.18 cap. irraggiamento).
Tutto ciò si riflette nei valori numerici che si usano per valutare l’assorbimento. Quest’ultimo assume valori
diversi a seconda che a irradiare il materiale sia il Sole, perché questo emette come fosse un corpo nero
alla temperatura di 6000 K, o un qualunque altro oggetto che si trovi a temperatura ambiente. Ecco perché
si distinguono questi due casi, sono quelli di maggiore interesse. I materiali infatti possono essere irradiati
dal Sole poiché usati per superfici esterne , o irradiati da altre pareti (che irradiano nell’infrarosso)se i
materiali sono usati all’interno. Nel caso della parete esterna di cui ci si sta occupando in sede di
temperatura aria sole, l’intonaco di finitura viene irradiato intanto dalla radiazione solare e quindi è chiaro
che il coefficiente di assorbimento è quello nel solare e non quello all’infrarosso.

Forzanti termiche dell’edificio in regime estivo


Nella tabella precedente i coefficienti di assorbimento dei materiali edili nel solare riflettono il loro colore
naturale, nel senso che materiali di colore chiaro hanno coefficienti di assorbimento bassi mentre i materiali
di colore scuro hanno coefficienti di assorbimento alti (prossimi a 1).

Come forzante alla parete esterna, cioè come potenziale energetico capace di indurre un flusso, agisce la
temperatura esterna poiché quella interna la si suppone fissa. Nel primo grafico è rappresentato
l’andamento della temperatura esterna in 24 h. Il secondo grafico rappresenta la distribuzione oraria della
radiazione solare in condizione estiva alla latitudine di Catania (37° di latitudine). I due diagrammi riportano
i due dati di cui si ha bisogno per calcolare la temperatura aria sole, ovvero la Te temperatura esterna e I
radiazione solare. Si calcoli allora la Tas alla latitudine di Catania in regime estivo.
I grafici sono 2 perché uno si riferisce ad una parete con rivestimento chiaro e l’altra con rivestimento
scuro.

α= 0.3 rappresenta la temperatura aria sole per parete chiara. La Tas nel caso di parete scura con α=0.8
presenta dei valori più alti.
In questo secondo caso qual è la parete più soggetta a flussi termici, che in estate si dovranno contrastare
con il raffreddamento, tra quella posta ad est e quella posta ad ovest? La parete ovest, nonostante la
temperatura esterna e la radiazione solare delle due pareti siano uguali, così come l’energia sottesa della
curva est ed ovest, essendo curve antisimmetriche. Sulla parete est, prima delle ore 12, si combina una
certa radiazione solare e un certo dato di temperatura, invece ad ovest, nelle ore post meridiane quindi 16-
17-18, si ha una radiazione solare che è la stessa di est, ma la temperatura esterna è molto più alta. Per la
parete ovest c’è una combinazione tra alti valori di radiazione e di temperatura esterna nello stesso arco di
tempo.
L’esposizione più critica in assoluto dal punto di vista dei flussi termici e dei carichi termici dell’ambiente è
l’orizzontale perché su questa la radiazione solare è superiore rispetto a qualunque altra esposizione.
Pertanto le pareti esposte ad ovest e le coperture piane sono quelle più critiche dal punto di vista dei flussi
termici trasmessi all’interno dell’ambiente in modo particolare nelle condizioni estive quando questi ingressi
di calore aggravano il carico termico. Da qui l’interrogativo che si pone l’ingegnere: cosa fare per limitare i
flussi trasmessi attraverso le pareti soleggiate? Il criterio discende dall’espressione del flusso termico
trasmesso dove Ti è fissa:

; con

Il flusso termico dipende dalla trasmittanza K , la quale è influenzata dalla presenza dell’isolante: più
isolante si mette e più bassa si fa la trasmittanza. Esplicitando la temperatura aria sole si scopre che ci
sono altri parametri su cui intervenire: il coefficiente di assorbimento nel solare, si deve scegliere un
materiale di colore chiaro in modo tale che il coefficiente sia basso; l’altro elemento su cui si può intervenire
è l’irraggiamento I. La radiazione solare ha 3 componenti: diretta, diffusa e riflessa(albedo). Non si può
intervenire sulla diffusa perché deriva dai gas atmosferici che diffondono la radiazione solare, lo stesso
sull’albedo perché dipende dall’ambiente circostante. Si può però intervenire sulla componente diretta della
luce con elementi aggettanti o vegetazione. In questo modo si elimina la componente più energetica della
radiazione solare.

Ipotesi della ripartizione del flusso assorbito


Si tratta di considerazioni che portano ad analizzare il problema dello scambio termico attraverso una
parete con una nuova prospettiva. Si consideri una parete che confina con l’esterno e quindi soleggiata
dove I è la radiazione solare. A seguito della differenza di temperatura tra quella esterna ed interna c’è un
flusso termico trasmesso e inoltre c’è anche il contributo della radiazione solare che incide sulla parete.
Una parte di questa radiazione viene assorbita Ias e poi viaggiando attraverso gli strati interni finisce per
sboccare nell’ambiente interno, mentre l’altra parte viene riflessa verso l’esterno e non ha più valore per i
nostri scopi perché non partecipante allo scambio termico con l’ambiente interno. In merito alla stessa
aliquota assorbita Ias c’è tuttavia da ammettere che essa non viene trasmessa tutta all’interno, dal momento
che una sua quota parte viene riemessa verso l’esterno. In altri termini si ipotizza un meccanismo fisico per
cui il flusso assorbito Ias : 1. Abbia luogo sulla faccia esposta della parete, appena sotto lo strato liminare; 2.
Sia composto da due contributi qi* e qe* diretti rispettivamente verso l’ambiente interno e verso l’ambiente
esterno tali che:
Nell’ambiente esterno come flussi termici arriveranno il contributo qk legato alla trasmittanza k,perché
dovuto alla differenza di temperatura tra interno ed esterno, e il termine qi* che è l’aliquota di radiazione
solare inizialmente assorbita che poi va nell’ambiente interno. In definitiva il flusso trasmesso si compone di
questi due termini che esplicitati danno luogo ad una somma che ricomposta algebricamente riproduce la
temperatura aria sole.
Flussi incidenti sulla parete dall’interno
Si può utilizzare lo stesso approccio considerando che la parete non è soggetta solo alla forzante di tipo
flusso indotta dalla radiazione solare, ma anche da una forzante di tipo flusso proveniente dall’ambiente
interno, infatti anche sulla faccia interna della parete (ossia rivolta verso l’ambiente interno) possono
incidere dei flussi termici. Si possono citare i seguenti:

Quindi la parete non è solo soggetta alla forzante di tipo temperatura ma anche a quella di tipo flusso che
agisce sia dall’esterno e dall’interno quale flusso rappresentativo della radiazione elettromagnetica inviata
sulla parete da oggetti e altre pareti.

Per il flusso ϕ proveniente dagli ambienti interni bisogna considerare che una parte viene assorbita e poi
viaggia verso l’ambiente esterno, mentre una parte viaggia all’interno creando un ulteriore contributo che è
q’1* la cui dimostrazione porta ad esplicitarlo secondo la formula:

In definitiva il flusso q complessivamente trasmesso all’ambiente interno è dato da questa espressione:


Superfici vetrate
Anche le superfici vetrate possono essere trattate con analogo approccio. Essendo la parete vetrata, in
ambiente giunge il contributo della radiazione solare. Tale radiazione in parte passa all’interno nella misura
consentita dalla trasparenza del vetro e quindi all’interno arriverà un contributo pari a τI ; in parte viene
assorbita secondo il coefficiente di assorbimento del vetro nel solare. Di quest’ultima una parte viene
respinta all’esterno e quindi non entra più in gioco per i nostri scopi, mentre un’ulteriore parte prosegue
verso l’ambiente interno ricostituendo il termine qi*. La parete di vetro è soggetta anche a un flusso termico
qk indotto dalla differenza di temperatura interna esterna e quindi legato alla trasmittanza k. Ecco che nella
parete vetrata il flusso complessivamente trasmesso si sostanzia di questi tre contributi. Naturalmente sul
vetro arriva anche la radiazione che proviene dall’ambiente interno che costituisce un ulteriore termine
rappresentato dalla quantità:

e allora l’espressione finale sarà:


Il rapporto k/hoe, è il rapporto trasmittanza/ coefficiente di adduzione lato esterno; G non ha in questo
contesto il significato di irradiazione, ma è la caratteristica ottico energetica del vetro che tiene conto della
trasparenza τ e dell’aliquota che racchiude gli effetti dell’energia solare assorbita dal vetro e poi riversata
verso l’ambiente interno. Questa aliquota discende dal fatto che il vetro ha un suo assorbimento e di questa
energia che assorbe solo una parte viaggia verso l’interno.
Nota: τ= qer/ qinc cioè il rapporto tra l’energia trasmessa e l’energia incidente (radiazione solare)
Scambi termici globali con l’ambiente
In questa pagina ci sono esempi su come si stabiliscono i bilanci energetici di un qualunque oggetto che si
relaziona con l’ambiente esterno e caratterizzato da una temperatura esterna e temperatura media
radiante.
Esempio No.2 -la parete esterna di un edificio

Si consideri una parete con le caratteristiche termofisiche e geometriche dei suoi materiali. Le condizioni a
contorno note a priori dal lato esterno sono rappresentate dalla temperatura esterna e dalla temperatura
del cielo, mentre dal lato interno dalla temperatura interna e dalla temperatura media radiante. L’ interesse
è quello di stabilire quanto vale il flusso termico trasmesso in queste condizioni realistiche. Si può scrivere
in diversi modi:

Scrivendolo per nodo esterno, interno (attraverso termine radiativo e convettivo) o usando un’espressione
in cui si scrive il flusso termico trasmesso tra il nodo interno ed esterno. Esplicitando queste equazioni:

Nella 2° espressione si suppone che i flussi radianti provenienti dalle altre pareti siano trascurabili e che
tutto sia compreso nella Tmr.
E’ possibile semplificare le equazioni: nella 1° si ricorre al coefficiente di adduzione; analogamente nella 2°;
nella 3° si ricopia il numeratore e si esplicita il denominatore. Ecco la terna per determinare il flusso
trasmesso. Si ottengono tre equazioni in 3 incognite (q, Tse e Tsi) e risolvendo il sistema si può calcolare il
flusso termico complessivamente trasmesso in una situazione realistica.
Esercizio

La parete presenta inoltre tamponamento interno, esterno e gap d’aria di cui si conoscono i dati assegnati.
Bisogna calcolare il flusso tramesso.
Si nota in particolare che per trovare il flusso si ha bisogno della temperatura superficiale interna Tsi. Ma
come calcolarla? L’equazione va risolta iterativamente. Il Tsi è l’unica incognita ed è un parametro che
ricorre sia al primo che al secondo membro. Si ipotizza un certo valore di Tsi e si calcola di volta in volta il
primo e il secondo membro per verificare se questi risultati sono vicini o lontani. Se sono vicini il Tsi
ipotizzato è quello giusto, altrimenti si deve ipotizzare di nuovo. Il calcolo è molto lungo ma si può alleviare
se si trova un criterio:
Sulla soluzione per tentativi delle equazioni non lineari – metodo grafico-

Si indichi con qI e qII rispettivamente il primo e il secondo membro, si osservi che questi rappresentano
due curve: il primo è una retta che dipende da Tsi alla prima potenza, il secondo rappresenta invece una
curva del quarto ordine. La soluzione per tentativi di simili equazioni può condursi graficamente tracciando
l’andamento del termine lineare e non lineare e osservando per quale valore dell’ascissa le due curve si
intrecciano. Quello sarà infatti il valore che rende soddisfatta l’uguaglianza tra i due membri ed è quindi la
soluzione dell’equazione.
Visto che il primo membro rappresenta una retta, per tracciarla sono sufficienti due qualunque valori
dell’incognita Tsi (per due punti passa una retta) e un piano cartesiano. Per il secondo termine non lineare
più di due. Bisogna trovare l’intersezione con la retta già tracciata e per questo bisogna procedere per
iterazione e ipotizzare di volta in volta valori di Tsi e vedere se i membri sono vicini. Può aiutare il senso
fisico, infatti si osserva che la Tsi cercata sicuramente sarà intermedia tra la temperatura interna da un lato
e la temperatura esterna dall’altro. Tsi non può assumere valori minori della minima temperatura e maggiori
della massima temperatura a cavallo delle quali la parete si trova. Questo delimita il campo numerico del
Tsi. Se per esempio si sceglieranno valori che ricadono nell’intervallo
CAPITOLO 8

I VETRI

Il vetro è un materiale che viene utilizzato fin dall’antichità


nell’uso presso l’edilizia. La composizione del vetro è rimasta
sempre immutata nel tempo a meno di piccole varianti di
Silice, che è l’elemento dominante. Gli altri componenti
variano secondo le tecnologie e la tradizione costruttiva del
territorio.

 I COLORI DEL VETRO


Additivando alla pasta vitrea altre sostanze come l’ossido di ferro, l’ossido di rame o di cobalto, si possono
conferire al vetro delle colorazioni differenti,
quindi la curva di trasparenza del vetro in
funzione della lunghezza d’onda assume
andamenti alquanto diversi. La parte del
diagramma che deve essere presa in
considerazione è la parte del visibile perché la
restante parte non è visibile all’occhio umano.
Nella parte visibile quindi a seconda della
sostanza con la quale viene additivata la parte
vitrea si determinano curve diverse che sono la
rappresentazione grafica dell’effetto cromatico
della luce che attraversa il vetro.

 CARATTERISTICHE OTTICHE DEI VETRI


Per il vetro è possibile definire diversi parametri ottico-energetici. Quelli più importanti sono la
trasmissione luminosa:
𝐸𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑚𝑒𝑠𝑠𝑎 𝑛𝑒𝑙 𝑣𝑖𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒
𝑇𝐿 =
𝐸𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎 𝑠𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑣𝑖𝑠𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒
e la trasmissione energetica:
𝐸𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑠𝑚𝑒𝑠𝑠𝑎
𝑇𝐸 =
𝐸𝑛𝑒𝑟𝑔𝑖𝑎 𝑠𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑖𝑑𝑒𝑛𝑡𝑒
La trasmissione luminosa viene particolarmente impiegata più in campo illuminotecnico che in campo
termico perchè parlandosi di luce ci si limita a considerare quella porzione della radiazione elettromagnetica
capace di generare percezione visiva. Il parametro TL ha a che fare con la ergonomia della visione mentre la
TE ha a che fare con l’energetica dell’edificio quindi con i carichi termici e i consumi energetici.
 VETRI ANTISOLARI
Il vetro è un materiale trasparente, un materiale chiaro. Che andamento della trasparenza presenta il vetro?
𝜏 Da questo grafico è possibile vedere
l’andamento della trasparenza 𝜏 rispetto
alle lunghezze d’onda 𝜆. Il vetro antisolare
è il quarzo che ha delle aliquote molto
basse di ossido di ferro ma anche il vetro
comune ha una curva che, a meno di
leggere ondulazioni, presenta dei livelli
molto alti di trasparenza ed è attribuibile a
questa caratteristica del vetro la
spiegazione che viene data dell’effetto
𝜆 serra.

Si può però additivare alla pasta vitrea delle sostanze come ossidi metallici attraverso due processi cioè la
PIROLISI e la ELETTRODEPOSIZIONE e quindi si possono conferire al vetro delle caratteristiche ottiche
particolari che nel grafico sono rappresentate dalla curva del Vetro Antisolare che hanno valori di trasparenza
elevati entro 1 𝜇𝑚 nell’intervallo del visibile. Questi vetri sono definiti antisolari perché della radiazione
solare, che si esaurisce nell’arco dei 3 𝜇𝑚, fanno passare solo la aliquota di energia che ricade nell’intervallo
del visibile e quindi escludono la parte di energia solare che costituisce un aggravio termico senza beneficio
ai fini della visione. In quali situazioni conviene adottare questa tipologia di vetro? In tutti quei casi in cui si
voglia escludere dall’ambiente che sta al di là del vetro tutti gli effetti termici portati da quella componente
della radiazione solare che non serve per la visone. I vetri antisolari possono adottarsi quando al di là del
vetro possono deteriorarsi a seguito del calore sviluppato dalla radiazione solare e che non serve per la
visione o l’osservazione di oggetti che stanno al di là del vetro come per esempio delle vetrine. Si possono
usare questi vetri anche negli edifici al fine di limitare le radiazioni solari all’interno dall’ambiente onde
limitare i carichi termici indotti dalla radiazione solare.

Il vetro antisolare ha delle contropartite: la prima è che il vetro antisolare penalizza il fattore luminoso cioè
fa entrare molta meno luce rispetto ad un vetro comune sebbene nell’intervallo visibile ci siano dei valori di
trasparenza di qualche grado inferiori, se questa caratteristica antisolare è spinta oltre certe misure, nei vetri
oscurati, seppure in pieno giorno è necessario compensare l’ammanco di luce naturale con la luce artificiale.
Seconda contropartita dei vetri antisolari è la visione a senso unico cioè consentono la visione dall’ambiente
meno illuminate a quello più illuminato dunque di giorno non sarà possibile la visione dall’esterno verso
l’interno e viceversa di notte.
 VETRI BASSO- EMISSIVI
Vetri in cui la pasta vitrea è stata additivata da opportuni ossidi i quali conferiscono al vetro un carattere di
bassissima emissività all’infrarosso. il vetro comune è un carattere di emissività nell’ordine di 0.8, la norma
UNI cita un valore preciso uguale a 0.837. il vetro basso- emissivo invece grazie a questi interventi correttivi
può portare la emissività a valore bassissimi dell’ordine di 0.2 fino a 0.004. Questo fattore ha importantissime
conseguenze sul valore della trasmittanza perché il coefficiente convettivo- lato interno, come anche
suggerito dalla norma si può calcolare da:

h0i= 3.6 + 4.4


.

Questo valore è direttamente proporzionale all’emissività, se l’emissività è quella di un vetro comune allora
𝜀 = 0.837 e quindi il rapporto vale 1 e il coefficiente convettivo-lato interno è dell’ordine di 8 circa. Quando
però 𝜀 è quello di un vetro a bassa emissività il suo valore scende drasticamente e quindi h0i si riduce a sua
volta, questo porta valori della trasmittanza bassi quindi si
passerebbe da valori di 5/6 (W/m2 K) per vetro ordinario (una lastra
da 3mm per esempio) a valori di 3/3.5. Un infisso dotato di vetro
basso- emissivo riduce drasticamente i carichi termici per
trasmissione attraverso l’infisso stesso, questo va a ridurre i carichi
termici dell’ambiente. Una contropartita dei vetri basso-emissivi è
una penalizzazione sulla luce entrante nell’ambiente stesso perché
riducono il coefficiente di trasparenza.

 VETRATE ISOLANTI – combinazione di vetri antisolari e basso-emissivi


Due lastre: una che ha subito un trattamento antisolare e una costituita da un vetro basso-emissivo. Intelaiate
insieme e separate da un’intercapedine.

In questo modo si ottengono valori di trasmittanza dell’infisso nel suo complesso estremamente bassi. Ai fini
dell’abbattimento della trasmittanza può essere utile il gas che si pone all’interno dell’intercapedine, questo
gas può essere aria disidratata (privata dei contenuti di vapore d’acqua, che potrebbe dar luogo a condizioni
di condensa che sarebbe ineliminabile essendo la struttura sigillata) che è anche un materiale basso-
conduttivo. Altrimenti si può riempire l’intercapedine con altri gas, ancora più basso - conduttivi dell’aria
quali: l’argon (Ar) , il cripton (Kr) , il Freon e l’esafluoruro di zolfo (SF6) .

Le vetrate isolanti di buona fattura portano i valori di trasmittanza del vetro a valori molto bassi dell’ordine
di K= 1.3 / 1.5 (W/m2 K) si vede così la progressione della trasmittanza dei vetri , parliamo di 5/6 (W/m2 K)
per vetri singoli da 3 o 4 mm di spessore, a valori fino a 2/3 per vetri basso emissivi e scendono ulteriormente
a valore di 1.3 (W/m2 K) per vetrate isolanti di buona fattura. L’adozione di vetrate isolanti è determinante
nelle operazioni di recupero energetico degli edifici: il vetro è un elemento termicamente debole
dell’involucro edilizio e quindi in un intervento di recupero energetico dell’edificio, prima ancora di pensare
all’isolamento sulle pareti, bisogna pensare alla sostituzione degli infissi favorendo i vetri basso-emissivi e o
le vetrate isolanti, che sono quelle maggiormente responsabili della trasmissione del calore e quindi dei
carichi termici caldi o freddi. (leggere le pagine successive sulla trattazione dell’intercapedine del gep di una
vetrata isolante. L’utilizzo dei gas nei vetri basso- conduttivi sono determinanti nell’abbattimento della
trasmittanza della vetrata stessa).

 TEMPERATURA SUPERFICIALE DEI VETRI E COMFORT TERMICO


Il nostro problema è quello di determinare la temperatura superficiale della lastra di vetro, perché è quella
che entra in gioco quando mi propongo di determinare il flusso radiante con cui io (soggetto interno) mi
relaziono con il vetro stesso. Più è prossima la temperatura della superfice del vetro alla mia temperatura
corporea, minore sarà il flusso radiativo che il mio corpo cede al vetro stesso (fattore più evidente in inverno)
e quindi maggiore sarà il mio disagio termico quando mi trovo in prossimità della superfice vetrata,
soprattutto se è a grande estensione. Per fare questo dobbiamo scrivere il bilancio energetico sul vetro
stesso, utilizzando una doppia equazione:

𝑞 = 𝐾 (𝑇 − 𝑇 ) Flusso termico = trasmittanza x salto di temperatura interno ed esterno


Ma è anche vero che lo posso calcolare come: 𝑞 = 𝐾 (𝑇 − 𝑇 ) = ℎ (𝑇 − 𝑇 )

(prodotto del coefficiente di conduzione-lato interno per il salto di temperatura Tsuperficiale – Tinterna)

Ho bisogno di due equazioni perché due sono le incognite: Flusso trasmesso e la temperatura superficiale
interna che posso ricavare da: 𝑇 = 𝑇 − (𝑇 − 𝑇 )

Quindi la temperatura superficiale interna dipende dalla temperatura esterna e dalla trasmittanza.

Disposto un piano cartesiano dove in ascissa vi è la Te e in ordinata la Tsi, e come parametro la trasmittanza
del vetro. Il grafico che ne discende è:

In una condizione realistica invernale, considerando


la temperatura esterna di zero gradi centigradi:
andiamo a vedere qual è Tsi che dipende dalla
trasmittanza del vetro. Se è un infisso con un vetro
singolo di 3 mm con un valore di K dell’ordine di 5/6
(W/m2 K) oppure una vetrata isolante con
trasmittanza dell’ordine di 1.3(W/m2 K).

Nel caso del vetro singolo la Tsi è nell’ordine di 6 gradi. Mentre nel caso di un infisso vetro isolante la Tsi
sarà più alta ovvero di 16/17 gradi. Ci saranno rilevanti conseguenze in termini di scambio termico
radiativo con il nostro corpo che si trova a 36/37 gradi centigradi. Per evitare il disagio termico che è
proporzionale al salto di temperatura (fra il nostro corpo e la superfice del vetro) conviene ricorrere a
infissi isolanti, doppi vetri o una vetrata isolante di buona qualità.
 ASIMMETRIE TERMICHE NEGLI AMBIENTI
Riguardo il comfort termico è importante ricordare l’importanza delle asimmetrie termiche negli ambienti e
la gradevolezza termica, o il disagio termico, percepito dagli occupanti.
Mettiamoci nel caso di un ambiente dotato di una
grande finestra in condizioni invernali laddove
all’esterno ci siano temperature particolarmente
rigide. Queste condizioni inducono una temperatura
superficiale del vetro molto bassa, mentre tutte le
altre pareti si trovano ad una temperatura prossima a
quella dell’aria (circa 20 gradi centigradi). Il corpo umano si trova esposto a cambi radianti molto diversi a
seconda se si considera il semispazio rivolto verso la superficie vetrata o il semispazio rivolto verso le altre
pareti a temperatura più alta, ci sono dunque due cambi radianti a cui il corpo è esposto simultaneamente.
Per ciascuno di questi semispazi si pensi, se è possibile, di determinare la rispettiva temperatura media
radiante, si avranno cioè due temperature medie radianti: quella che guarda il semispazio verso la vetrata e
quella che guarda il semispazio alle spalle del soggetto.
I flussi termici di tipo radiativo scambiati tra il corpo umano e l’ambiente sono caratterizzati dalla
Temperatura media radiante: 𝑇 = (∑ 𝑇 𝐹 )/
La differenza tra le due temperature medie radianti darà un dato rappresentativo del grado di asimmetria
radiante a cui il corpo è esposto. Legato a questa asimmetria del campo radiante cui il corpo è esposto c’è un
diverso livello di disagio termico (discomfort termico). Questo legame è stato possibile coglierlo attraverso
misure sperimentali dove si è coinvolto un gran numero di persone che vennero sottoposte a laboratori che
riproducono queste situazioni di ambienti termicamente asimmetrici, onde poi raccogliendone i giudizi di
gradevolezza termica o di accettabilità termica di questi soggetti per poi ricavare un legame quantitativo tra
la percentuale di soggetti insoddisfatti della situazione termica e l’asimmetria termica misurata dalla
differenza algebrica tra le due temperature medie radianti.

Asimmetria della temperatura media radiante: 𝛥𝑇 = ⃒𝑇 − 𝑇′ ⃒


Questo grafico indica il risultato delle indagini sperimentali.
In ascissa è riportata l’asimmetria della temperatura radiante e
in ordinata è riportato il parametro ottenuto dalle risposte dei
soggetti intervistati come percentuale di insoddisfazione
termoidrometrica interna.
PPD=percentuale prevista di insoddisfazione
Il disagio termico è determinato dalla parete calda, dal soffitto
freddo, dalla parete fredda o dal soffitto caldo.
A parità di temperatura media radiante si considera un’asimmetria dell’ordine di 6-10 gradi. Segnando
verticalmente una linea a partire dal valore 10 di temperatura, si nota che a sovrastare tutte le altre curve
c’è quella del soffitto caldo che è la condizione più disagievole in quanto si ha una percentuale di
insoddisfazione PPD del 20%; poi vi è il disagio indotto dalla parete fredda che dà un PPD del 5%; mentre i
valori di PPD per il soffitto freddo e per la parete calda sono molto bassi.
Per sfruttare al meglio questo grafico è necessario prefissarsi una percentuale ammissibile di PPD e trovare
le condizioni di temperatura sulla determinata curva interessata. Se ad esempio si considera un PPD del 5%,
la massima asimmetria radiante ammissibile nella parete fredda è quella pari a 10 °C. Si utilizza questo
risultato per andare a verificare se sul nostro ambiente l’asimmetria è di quest’ordine di grandezza o meno:
se l’asimmetria radiante per l’ambiente così come è progettato dovesse essere superiore al valore soglia
determinato, bisogna intervenire con interventi correttivi come ad esempio ridurre, se è possibile, la
dimensione della superficie vetrata, oppure se la superficie vetrata deve rimanere nelle dimensioni originarie,
si possono adottare dei doppi vetri oppure vetrate isolanti. L’effetto che si ottiene è quello di innalzare la
temperatura superficiale del vetro, in quanto legata alla diversa trasmittanza, e ridurre lo scostamento tra le
due temperature medie radianti e quindi ridurre l’asimmetria. Tale diagramma può essere utilizzato per
verificare le ipotesi che portano poi a definire un progetto qualitativamente accettabile dal punto di vista
della fruibilità termica del locale.

 ANALISI ENERGETICA DEGLI ELEMENTI VETRATI – IL FATTORE SOLARE G


L’approccio è analogo a quanto visto precedentemente con qualche leggera variante.

Il Fattore Solare G è l’elemento ottico caratteristico di ogni tipo di vetro dato da : 𝜏 +

Esso dipende non solo dalla trasparenza τ ma anche dalle conseguenze del coefficiente di assorbimento del
vetro α che per quanto piccolo è diverso da zero.
𝛼ℎ
𝑞 = 𝐾(𝑇 − 𝑇 ) + 𝜏 + 𝐼 = 𝐾(𝑇 − 𝑇 ) + 𝐺𝐼
ℎ +ℎ
tale relazione è identica a quella ottenuta sotto l’ipotesi della Ripartizione del flusso assorbito (rivedere
questo capitolo)
CAP 9 PROCESSI TERMOIGROMETRICI

È di fondamentale importanza studiare i processi termoigrometrici poiché questi possono portare


all’insurrezione di problemi nella costruzione edilizia, in particolare quelli legati alla presenza di acqua in
fase liquida, sia all’interno della parete sia sulla superficie di essa. Fin quando l’acqua si trova allo stato di
vapore acqueo essa non causa problemi all’organismo edilizio; al contrario la presenza di questa allo stato
liquido potrebbe portare alla formazione di funghi, prolificazione di batteri, deterioramento della parete
nella sua superficie ma anche al suo interno (non potendo dunque più garantire l’efficienza strutturale a cui
deve rispondere).

FORMAZIONE DI CONDENSA SUPERFICIALE

Per evitare l’insorgere delle problematiche, occorre capire il meccanismo fisico che porta alla formazione
della condensa superficiale. Per questo ci viene utile guardare i grafici legati alla circuitazione dell’aria
umida e il diagramma di Mollier dell’aria umida.

L’ aria ambiente che viene a contatto con la parete tende a portarsi ad una temperatura superficiale tS.
A questo punto è possibile distinguere due casi:

• tS = tB L’aria esce dal volume di controllo avendo subito un raffreddamento isotitolo, dunque non vi
sarà alcuna formazione di condensa sulla superficie.
• tS = tC L’aria subisce un raffreddamento con deumidificazione, dunque una volta che entra in
contatto con la superficie avrà un minor titolo; ciò si traduce in una maggiore densità dell’aria, la
quale a causa del suo peso scenderà verso il basso dando il via a dei processi di circuitazione
dell’aria, con la formazione di condensa superficiale.

Il verificarsi di una o dell’altra condizione dipende dal raggiungimento o meno della temperatura di rugiada
tR, infatti:

• tS ≤ tR c’ è formazione di condensa
• tS > tR non c’ è formazione di condensa

La relazione che sussiste tra le caratteristiche termofisiche della parete (trasmittanza K) e lo stato
termoigrometrico dell’aria è ricavabile dall’ equazione del flusso termico trasmesso:

DA CUI →
affinché non si formi condensa deve risultare:

in modo da poter discriminare i casi in cui si forma condensa da quelli in cui non se ne forma.

Da questa ultima formula ricavata si capisce in particolare come risolvere il problema della formazione
superficiale della condensa riducendo opportunamente la trasmittanza della parete; in particolare,
introducendo un materiale isolante.

Per calcolare lo spessore s di un isolante, di assegnata λ:

Posto deve risultare

esplicitando la trasmittanza

all’ interno di questa formula vi sono questi particolari termini (Siso e λ isol ) che rappresentano la resistenza
conduttiva dell’isolante. Effettuando dunque dei semplici passaggi algebrici:

da cui

avendo definito come la trasmittanza della parete priva di isolante.

Altro problema interessante è quello relativo al calcolo della produzione di condensa in g/h*m2 sulla
superficie

Questo è possibile attraverso un sistema formato da due semplici equazioni,


ovvero:

Da tale sistema è possibile ricavare la formula→

Si noti che il punto S si trova sulla curva di saturazione, dunque l’aria esce satura dal V.C.
PUNTI DELL’EDIFICIO FAVOREVOLI ALLA FORMAZIONE DI CONDENSA SUPERFICIALE

A causa della conformazione strutturale dell’organismo vi sono


delle strutture che non sono isolabili, in particolare i pilastri ad
angolo e le travi dei solai, in quanto lo strato isolante non è
installabile lungo tutti i punti in superficie. Per rimediare è
possibile studiare un sistema isolante apposito ed accurato
proprio per evitare la formazione di condensa.

CONDIZIONI FAVOREVOLI ALLA FORMAZIONE DI CONDENSA

A parità di TA, la formazione di condensa dipende dall’umidità, al crescere di questa, infatti, si riduce la
distanza tA-tR, quindi fa sì che la condensa si formi nelle pareti meno fredde.

Per evitare ciò, dobbiamo ricordare che anche la presenza fisica di persone aumenta la presenza di vapor
d’acqua, dunque occorre che il locale sia adeguatamente ventilato, eventualmente attraverso dei sistemi di
ventilazione /climatizzazione/deumidificazione che permettano di controllare temperatura e titolo dell’aria.

CONDENSA INTERNA

Al contrario di quella superficiale, questa non è visibile all’occhio umano; ciò non significa tuttavia che non
agisca comunque e che non sia dannosa. Innanzitutto, occorre comprendere in che modo questa si forma.
Premesso che ogni materiale ha un grado assegnato di permeabilità, premesso che sappiamo che ciò che
muove i fluidi è il gradiente di pressione in segno negativo, il vapore d’acqua si muoverà seguendo il
gradiente negativo di pressione parziale del vapore d’acqua che vi è tra la temperatura esterna e la
temperatura interna. È importante notare come sia nell’ambiente interno sia in quello esterno vi sia la
stessa p0, mentre quella che a noi interessa in questo caso è la pressione parziale del vapore d’acqua, non
quella complessiva dell’aria contenente tutti gli altri gas secchi.

METODO DI GLASER

Considerando la definizione di umidità relativa ø:

Dove la pvs dipende solo dalla temperatura, calcolabile dalla relazione

Mentre la pv è determinabile dalla legge di Flick

se: pvs > pv il contenuto d’ acqua presente nell’aria umida si trova allo stato di vapore

pvs ≤ pv il contenuto d’ acqua presente nell’aria umida si trova allo stato liquido

Dunque, per valutare se una parete multistrato è sede di formazione interna di condensa occorre
controllare sezione per sezione ogni singolo punto della parete per stabilire se c’è condensa. Per fare
questo si utilizza un metodo chiamato metodo di Glaser:
LEGGE DI FICK

Tale legge regola il trasporto di massa attraverso i materiali:

dove :

p1 e p2 :pressioni del fluido sulle sez 1 e 2

s : spessore dello strato considerato

χ : permeabilità del mezzo diffondente al fluido considerato

Nel caso della diffusione del vapore in un mezzo solido:


Legge di Fick per una parete composta

Per ricavare il profilo delle pressioni parziali del vapore in pareti multistrato occorre mettere a sistema le
diverse equazioni di Flick relative ai diversi strati, (tenendo presente che pressione parziale del vapore pv1 e
pv4 corrispondono rispettivamente alle pressioni parziali nell’ ambiente interno e in quello esterno)

Noto dunque mV è possibile ricavare il profilo delle pvk dello strato k-esimo sostituendola nel sistema
precedente.

DIAGRAMMA DI GLASER

A questo punto è possibile tracciare il diagramma di Glaser,


di facile interpretazione, in quanto i punti in cui pvs ≤ pv sono
quelli in cui si avrà condensa interna.

BARRIERE AL VAPORE

Ogni materiale ha una data resistenza al vapore μ; in particolari sono detti barriere al vapore quei materiali
che presentano una μ molto più elevata rispetto ai normali materiali. È dunque utile sfruttare queste
conoscenze al fine di impedire la migrazione di vapore ‘’sul nascere’’.

Possibili materiali da utilizzare come barriere al vapore sono:

• materiali asfaltici e bitumosi


• fogli di alluminio
• PVC in fogli
• Polietilene in fogli
Poiché appunto a muovere il vapore è il gradiente negativo della pressione parziale del vapore, conviene
disporre la barriera in cui la pv risulta maggiore. Dal grafico temperatura- pressione parziale del vapore
ricaviamo che tale punto corrisponde con il lato caldo della parete.

NOTE CONCLUSIVE

Per impedire la condensa interna è consigliabile scegliere dei particolari materiali traspiranti che
permettano il transito del vapore d’acqua. Inoltre, è importante accertarsi quale sia l’origine della presenza
dell’acqua, infatti in questo capitolo abbiamo escluso tutti quei fenomeni in cui non sono coinvolti processi
termoigrometrici (per esempio la capillarità).
GRANDEZZE CARATTERISTICHE DEGLI EDFICI

PONTI TERMICI

Si definiscono ponti termici quelli costituiti da un elemento


dell’involucro edilizio o non isolato o non isolabile come, ad
esempio, travi e pilastri o altri elementi strutturali di giunzioni
o collegamento. Questi sono elementi che si prestano al
transito dell’energia termica con conseguenze in termini di
carico termico estivo o invernale degli ambienti.

Qui in questo esempio dove non arriva l’isolante nel tetto come,
per esempio, nella falda del tetto o nel solaio ci sono dei ponti
termici. Dalla parete l’isolante sale lasciando comunque una zona
libera li dove vi saranno dei ponti termici.

Altri esempi li abbiamo in presenza di travi o di pilastri ad angolo.

Per l’identificazione delle caratteristiche del ponte termico è stata introdotta una grandezza che prende il
nome di trasmittanza lineare:

Quantità misurata in Watt su metro per grado. Questo parametro si misura in metro in quanto si riferisce al
perimetro o al contorno dell’elemento non isolato o isolabile. Disponendo di questo parametro Kl la
potenza termica trasmessa sarà data dal prodotto:

con L misura dell’elemento che stiamo considerando. Questo valore di Kl si ricava da tabelle che
permettono di selezionare il tipo di ponte termico da calcolare.

FLUSSO TERMICO ATTRAVERSO LA PARETE

Nasce dall’esigenza di misurare questa dispersione dei ponti termici attraverso la parete. Ognuno di questi
elementi dell’involucro edilizio possono essere conteggiati singolarmente e come attraversato in parallelo
dall’onda termica.
Vediamo il caso di una parete composta
di trasmittanza Km e il vetro con la sua
trasmittanza Kv. Poi abbiamo i ponti
termici attorno l’infisso con K1 e K2.
Attorno a questi elementi abbiamo un
flusso termico in transito che si muove
al seguito del gradiente di temperatura
Ti-Te. La potenza termica
complessivamente trasmessa da questa
parete composta è data dalla somma
dei prodotti di ciascuno di questi
elementi.

Nel caso di una parete interna che separa due ambienti abbiamo lo
stesso identico approccio al problema.

TRASMITTANZA EQUIVALENTE

Vediamo di caratterizzare ora con


un unico parametro una parete
composta (la parete è costituita da
più elementi di natura diversa, ad
esempio, parte muraria porta e
finestra), in questo caso ogni
superficie che compone la parete
ha la sua trasmittanza.

Il flusso termico trasmesso lo possiamo dunque calcolare come nell’approccio precedente comprendendo i
ponti termici.

Possiamo caratterizzare ora la parete nel suo complesso con un valore di trasmittanza equivalente che da
luogo ad una potenza termica trasmessa uguale alla potenza termica trasmessa dalla parete reale, ossia
composta dai vari elementi:
Se fossero trascurabili i ponti termici si potrebbe trascurare la seconda sommatoria posta al numeratore.
Tale valore numerico così calcolato è in grado di esprimere la caratteristica della parete composita dal
punto di vista della trasmissione del calore. Per cui poi disponendo di questo dato è possibile calcolare sia la
potenza termica trasmessa che il flusso pari a:

RESISTENZE IN SERIE E PARALLELO- RETI TERMICHE EQUIVALENTI

Quella esaminata fino ad ora è la classica parete stratificata con una resistenza termica convettiva interna
ed esterna. Possiamo descrivere il processo di scambio termico con una rappresentazione tipica della rete
termica equivalente. Per cui possiamo rappresentare le resistenze di tipo termico come le resistenze
elettriche. È come se ci fosse un flusso termico perfettamente equivalente a quello termico che parte dal
nodo I e giunge al nodo E promosso da una differenza di potenziale termico. Questo potenziale termico è
associato alla differenza di temperatura. Questa onda termica attraversa la resistenza di tipo convettivo
pari a:

Affronta anche la resistenza che c’è tra i due nodi dalla serie degli strati che vengono attraversati a loro
volta in serie. La somma delle resistenze è pari alla resistenza totale che siamo abituati a vedere nella
formula esplicita della trasmittanza:

Ecco un'altra
esemplificazione
dell’utilità di questo
approccio. La parete è
fatta da una pila di
mattoni separati da uno
spessore di malta.
Ognuno di questi
elementi può avere una
resistenza termica
diversa. Le resistenze
dei mattoni sono R1 e
R3 mentre quella della malta è R2. Fermo restando che sulle facce estreme vi siano delle resistenze
convettive. Nella parte superiore della figura 4 abbiamo i nodi estremi I ed E. Il flusso termico quando si
muove da sinistra a destra affronta prima la resistenza convettiva Ri. È chiaro che questo flusso termico si
dirama in tre direzioni; un’aliquota si muoverà lungo R1, una seconda lungo R2 e una terza lungo R3.
Queste tre resistenze non sono in serie ma in parallelo in quanto vengono attraversate simultaneamente
dal flusso termico per poi ritrovarsi congiunte sulla faccia opposta della parete corrispondente al nodo B.
L’ultima resistenza da affrontare è quella convettiva dal lato esterno Re per poi concludere nel nodo
esterno.

Le resistenze R1, R2 ed R3 sono delle resistenze in parallelo di cui posso calcolare la resistenza equivalente
Rab. La somma delle resistenze in serie Ri,Rab ed Re da luogo alla resistenza totale Rtot. La resistenza
equivalente, la trasmittanza equivalente saranno pari a:

TRASMITTANZA DI PARETI COMPOSTE E RETI TERMICHE EQUIVALENTI

In aggiunta alla situazione precedente abbiamo un ulteriore strato R4 facendo conto che R1, R2 e R3 siano
file di mattoni. R4 supponiamo sia strato di isolante. Alla rappresentazione precedente bisogna giungere un
ulteriore elemento di resistenza termica.

RICAMBI ORARI

Per ricambio orario intendiamo la portata d’aria di ventilazione per unità di volume ambiente, ossia i metri
cubi ora d’aria da immettere in ambiente al fine di diluire con aria di rinnovo i microinquinanti ambientali
che si manifestano in ambiente per via della presenza delle persone e delle emissioni gassose dei materiali.

Al fine di diluire e riportare entro limiti fisiologici la concentrazione di questi microinquinanti bisogna
ventilare il locale utilizzando aria esterna onde garantire il ricambio fisiologico. Questa portata d’aria di
rinnovo quando vengono rapportati ai metri cubi ambiente nasce un parametro ricambio orario:
Le cui unità di misura sono 1/h. Al numeratore sono metri cubi di aria mentre al denominatore vi sono i
metri cubi dello spazio fisico racchiuso dall’ambiente.

Questa ventilazione per ricambio d’aria ha un suo costo energetico perché l’aria all’interno ha un valore
entalpico proprio come l’aria all’esterno. È chiara come la potenza termica costituisce il costo energetico
delle esigenze fisiologiche della ventilazione. Vale sul principio di conservazione delle energie:

Avendo una portata massica in funzione della portata volumetrica come passaggio successivo dovremmo
anche scrivere la densità dell’aria. Moltiplicando e dividendo per il volume ambiente si viene a creare il
fattore di ricambio orario “n”.

Nel caso invernale la formulazione esplicita del costo energetico della ventilazione potendosi trascurare i
contributi associati alla variazione di titolo resta solo il termine di temperatura:

Nel caso estivo questo contributo della parte latente non è trascurabile ed è il caso di mantenere
l’espressione generale:

COEFFICIENTI VOLUMETRICI DI DISPERSIONE

Sono dei parametri molto sintetici circa la responsabilità del costituirsi del carico termico:

Il Cd ha a che fare con le perdite per trasmissione del calore attraverso l’involucro edilizio. Questa potenza
termica viene rapportata al volume ambiente e al salto di temperatura interno ed esterno:

Bisogna attribuire le dispersioni per trasmissione alle pareti esterne, alle pareti interne e poi agli infissi (i
ponti termici).

Il termine Cv ha a che fare con le perdite termiche per ventilazione e riguardo il costo energetico relativo
alla ventilazione dei locali:

Fissato il valore del ricambio orario “n” il termine Cv tende ad assumere il valore di una costante.

Il termine Cg prende il nome di coefficiente volumetrico globale che rappresenta la caratteristica


dell’edificio dal punto di vista energetico. Esprime quanti Watt o Kilowatt per metro cubo di ambiente
riscaldato per unità di salto termico l’onere energetico dal punto di vista di carichi termici invernali.
Questi tre parametri vennero introdotti dalla prima legge che in Italia regolò i consumi energetici negli
edifici, la 373 del 1976. Oggi questi parametri non sono utilizzati nella normativa attuale ma restano
estremamente significativi della termofisica dell’edificio in quanto riescono a condensare brevemente le
caratteristiche energetiche dell’edificio.

VERIFICHE SUL RENDIMENTO GLOBALE DI IMPIANTO

Per caratterizzare gli impianti a combustibile fossile sono stati contemplati i seguenti parametri:

Il rendimento di produzione del calore coincide con il rendimento vero e proprio di caldaia.

Il rendimento di distribuzione è un parametro che ha a che fare con la rete di distribuzione del calore quindi
i condotti che convogliano l’acqua calda fino agli elementi terminali di impianto. Strada facendo questi
condotti disperdono una parte della potenza termica in ingresso per via di cattivo isolamento delle
tubazioni.

Il rendimento di emissione è attinente all’efficienza dell’elemento terminale di impianto, qualunque


dispositivo che è soggetto ad un’efficienza. Le sue perdite potrebbero essere quelle per andare a riscaldare
la parete che lo disperderà all’esterno. Dunque, il calore usufruibile dall’utente è affetto da una perdita,
come tale il dispositivo di emissione è affetto da un rendimento di emissione.

Il rendimento di regolazione si rifà alle centraline di regolazione che servono a modulare la erogazione di
potenza termica all’utente. I dispositivi di regolazione devono intervenire per adeguare istantaneamente la
potenza erogata per l’effettivo fabbisogno. I dispositivi di regolazione hanno i loro limiti per cui non si riesce
a modulare in maniere accurata l’erogazione di potenza termica, dunque vi sono delle perdite.

Il rendimento globale di impianto è dato dal prodotto di questi rendimenti perché sono tutti dispositivi che
intervengono in cascata sulla potenza termica.

Per far fronte al fabbisogno di energia termica negli edifici si usano caldaie, pompe di calore etc… Queste
caldaie non possono essere scelte liberamente nel mercato ma bisogna considerare solo quelle che hanno
un rendimento globale di impianto tale da garantire il rispetto di certe soglie imposte dalla legge come la
seguente:

dove Pn è la potenza nominale della caldaia espressa in Kilowatt. Per pompe di calore il vincolo è dato in
termini di rapporto di energia primaria REP secondo la seguente relazione al fine di adeguarsi alle migliori
tecnologie presenti sul mercato:
CONSUMI ENERGETICI E IMPATTO AMBIENTALE

Scriviamo il carico termico dell’edificio considerando il parametro Cg o Coefficiente Globale. Utilizzando


questo termine possiamo scrivere il carico termine dell’edificio nel complesso secondo la seguente formula
che mi esprime il carico termico istantaneo. Bisogna considerare comunque la variazione di temperatura
esterna variabile in funzione del tempo:

Se disponiamo del rendimento globale di impianto l’Energia Primaria EP la posso calcolare come segue:

L’impianto di riscaldamento viene poi utilizzato nell’arco dell’intera stagione in un periodo di tot giorni che
dipende dalla località e dalla zona climatica. Quanto vale il consumo di energia primaria nell’intero arco
stagionale? Basta semplicemente calcolare l’integrale di EP nel tempo nel periodo P di riscaldamento:

Per definizione l’integrale al secondo passaggio esprime i Gradi Giorno, parametro atto a caratterizzare la
severità del clima locale di un dato territorio. La relazione lega l’energia primaria consumata nell’intero arco
stagionale con i parametri significativi quali il volume e i gradi giorno e il Cg.

Il nostro scopo è quello di confrontare edifici tra loro dal punto di vista di consumi energetici. Un edificio
sito a Catania consumerebbe molto meno rispetto ad un comune montano per via delle condizioni
climatiche. Questo parametro dipende ancora dalle condizioni climatiche e non ha nulla a che fare con
l’edificio in sé.

Per confrontare bene due edifici io devo poter prescindere dagli effetti indotti dal clima locale solo allora
posso pensare ad un confronto fatto indipendentemente dalla collocazione geografica dell’edificio avendo
un parametro che ha a che fare con la costituzione fisica dell’edificio. Possiamo determinare un indice che
risponde al requisito relativo alle caratteristiche dell’edificio.

Questo parametro è il Fabbisogno Energetico Normalizzato o FEN che si ottiene dividendo l’energia
primaria EP per il volume riscaldato e i Gradi Giorno GG:

Il FEN è significativo delle caratteristiche termo-energetiche dell’edificio indipendentemente dalle


condizioni climatiche.

Possiamo determinare i consumi di combustibile cosa semplice nel caso di


edifici riscaldati da caldaie dividendo l’EP per il potere calorifico inferiore:
Questa formula ci è d’aiuto nel momento in cui volessimo valutare l’impatto ambientale della
climatizzazione degli edifici e determinare la produzione di CO2. Questa massa di CO2 rilasciata in
atmosfera è pari a:

Possiamo calcolare la massa di CO2 per unità di potenza termica installata e prende il nome di Indice di
inquinamento ambientale e si ottiene dividendo e moltiplicando per l’Energia primaria EP:

Nel caso specifico degli impianti a caldaia il REP può essere sostituito dal rendimento globale.

IL RAPPORTO S/V NELL’ARCHITETTURA

Tale grandezza ha a che fare con la forma dell’edificio. Per superficie dobbiamo considerare la superficie
disperdente e come volume il volume riscaldato, rappresentante le dimensioni dell’edificio stesso:

Questo parametro ha relazione con i consumi energetici. A parità di volume riscaldato consuma di più un
edificio che ha una superficie disperdente maggiore. Questo rapporto non può non rientrare tra i parametri
che caratterizzano le prestazioni energetiche dell’edificio.

Il solido geometrico che ha la minima superficie disperdente per volume riscaldato è la sfera. Quindi
idealmente l’edificio che ha la minima dispersione termica dovrebbe essere di tipo sferico, cosa
naturalmente improponibile di tipo esecutivo. Vi sono però esempi di architettura spontanea che
prescindono dalla conoscenza della geometria euclidea quale ad esempio l’igloo, usato da abitanti di zone
polari perché si adatta nel modo possibile per minimizzare le dispersioni termiche.

Alcuni esempi di architettura moderna contraddicono questo principio mediante l’uso di volumi sfalsati. Le
ampie superfici a contatto con l’aria sono premessa per pessime caratteristiche energetiche di questi
edifici.

COSTANTI DI TEMPO DI UN CORPO A RESISTENZA INTERNA TRASCURABILE

È un parametro che ha a che fare con la dimensione dinamica dell’edificio, in quanto vive in una
dimensione temporale. Le sue risposte termiche alle forzanti termiche sia esterne che interne all’edificio
stesso sono collocate in una dimensione temporale, dunque, questi fattori andrebbero studiati in base ad
una costante di tempo che tiene conto del comportamento dinamico dell’edificio. Tuttavia, questa costante
viene richiamata anche nei modelli statici.

Andiamo a considerare una situazione semplice, quella del transitorio a cui va incontro un oggetto di
piccole dimensioni che inizialmente ha temperatura assegnata T0 e successivamente viene immerso in un
fluido a temperatura diversa. È chiaro che esso andrà incontro ad un transitorio termico che ha un profilo di
temperatura nel tempo che ci proponiamo di determinare. Conviene precisare allora alcune ipotesi a tal
riguardo. Supponiamo che le dimensioni dell’oggetto siano sufficientemente piccole da poterne
considerare la temperatura in un punto come quella che si avrebbe in tutti i punti del corpo senza
distribuzione spaziale di temperatura. Supponiamo che del corpo si conosca massa e superficie attraverso
cui esso scambia calore col fluido circostante attraverso un meccanismo convettivo di cui conosciamo il
coefficiente di adduzione h. Conosciamo anche il suo Calore Specifico. Supponiamo infine che il corpo
venga immerso in un fluido a temperatura più bassa e che dunque il corpo è soggetto ad un processo di
raffreddamento. Dobbiamo dimostrare l’equazione di bilancio energetico tra il corpo e il fluido in ottica di
regime dinamico.

Vediamo come in regime stazionario vige il principio di conservazione dell’energia. Noi ci limiteremo a
considerare solo la forma termica dell’energia in termini di calore trasmesso o scambiato. In regime
transitorio questa differenza di calore è diversa da zero ed il valore è pari a quella che si accumula
nell’intervallo di tempo considerato all’interno del volume di controllo che andrà a modificare l’energia
interna del sistema stesso. Considerando la definizione del calore specifico a pressione costante possiamo
scrivere la U come il prodotto tra massa e Calore Specifico che essendo costanti possono essere portati
fuori dal segno di differenziale. Il primo membro relativo tra flusso entrante ed uscente del sistema può
essere inteso come una sommatoria di termini da prendere con segno diverso in base al fatto se il flusso è
entrante o uscente. Fatte queste precisazioni l’equazione che ne discende è la seguente:

Il flusso termico che il nostro corpo di piccole


dimensioni scambia viene scambiato in forma
convettiva, e dunque è possibile calcolarlo come il
prodotto tra il coefficiente convettivo h per la
variazione di temperatura tra corpo e fluido. A
questo prodotto dobbiamo premettere il segno
negativo poiché ipotizziamo che il corpo si raffreddi.
Questa equazione differenziale si può risolvere
mediante il processo di separazione delle variabili.
Risolta l’equazione e integrata nel tempo, la funzione soluzione è la seguente:

si tratta di un’espressione esponenziale con andamento della temperatura del corpo che segue il profilo di
esponenziale decrescente, che però non può mai scendere al di sotto della temperatura Tf. L’esponente
della e è pari a:

Il valore al denominatore pari a 1/hA rappresenta la resistenza di tipo convettivo che l’onda termica deve
affrontare per passare dal corpo al fluido. Mentre il prodotto mc è la capacità termica del corpo (la capacità
che ha il corpo di accumulare e rilasciare calore). Questo prodotto si presenta come l’inverso di un prodotto
resistenza R e capacità C. La quantità RC la possiamo simboleggiare come segue e l’equazione precedente la
possiamo scrivere come:

Per 𝜏 = 𝜏 abbiamo che − = −1 𝑑𝑢𝑛𝑞𝑢𝑒 𝑎𝑣𝑟𝑒𝑚𝑚𝑜 𝑒 𝑐ℎ𝑒 è 𝑢𝑛 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 ottenendo così:

La differenza 𝑇 − 𝑇 rappresenta la massima


escursione di temperatura possibile a cui il corpo
può andare in contro. Il valore 𝜏 per definirlo posso
rappresentarlo in maniera grafica. Ad esso
corrisponde un elemento indicativo della rapidità
con cui il transitorio viene eseguito. Il valore 𝜏
diventa dunque un indicatore di quella che è
l’inerzia termica del sistema correlata alla capacità
termica del sistema, tale valore prende il nome di
Costante di tempo termica del sistema fisico.

COSTANTE DI TEMPO DELL’EDIFICIO

Tale costante può essere anche rappresentata come il rapporto tra la Capacità termica e la trasmittanza H.
La capacità termica è caratterizzata da tutti i materiali di cui è composto l’edificio con le sue pareti
multistrato:
Tale capacità termica sarà data dalla somma dei valori di densità, calore specifico e spessore che si trovano
in tabelle e moltiplicata per la superficie. La trasmittanza generalizzata H è data dalla somma delle perdite
per trasmissione Ht e perdite per ventilazione Hv. Il valore n indica il numero di ricambi orari.

La costante di tempo dell’edificio è una sua caratteristica termofisica e ci proietta nella dimensione
dinamica dell’edificio e viene utilizzato pur essendo un parametro dinamico viene utilizzato nel modello di
calcolo dei carichi termici allo stato stazionario essendo un parametro che consente di effettuare calcoli un
po' più precisi.

REGIME INVERNALE – FATTORI DI UTILIZZAZIONE DEGLI APPORTI GRATUITI

Il termine 𝑄 rappresenta quello che è il carico termico del locale.

Commentando il seguente bilancio termico abbiamo sottolineato che vi siano due blocchi di termini: il
primo rappresenta le perdite termiche mentre il secondo rappresenta i carichi endogeni ossia i guadagni
termici che bilanciano e compensano le stesse perdite.

Noi vorremmo che il calore endogeno fosse il più alto possibile, addirittura che i guadagni pareggiassero in
entità le perdite, in modo tale da avere degli edifici che non abbiano bisogno di apporto energetico esterno
mediante impianti di climatizzazione, realizzando il massimo risparmio energetico. Nella realtà questo
guadagno compensa solo in parte quelle che sono le perdite. Però rimane ancora da chiedersi se i guadagni
riesco a sfruttarli pienamente all’interno dell’edificio come calcolati sulla base della relazione.
Può succedere che nell’arco della giornata che in alcuni
periodi i guadagni possano superare le perdite. Nel
diagramma possiamo vedere l’andamento nel tempo i
guadagni e le dispersioni. Le perdite termiche vanno
declinando nelle ore centrali del giorno fino a raggiungere
valori minimi. In queste stesse ore in cui le perdite sono
minime i guadagni potrebbero risultare massimi. Le pareti e i
solai restituiscono con ritardo la radiazione solare che era
entrata nelle ore precedenti. Può veramente capitare che
dunque in alcuni periodi i guadagni superino le perdite e può
capitare che questi non vengano utilizzati (come, ad esempio,
quando apro le finestre per ventilare i locali). Non sempre
tutto il calore gratuito viene sempre utilizzato per attenuare le perdite. Per andare a calcolare il rapporto
tra dispersioni e apporti gratuiti bisogna utilizzare codici di calcolo che simulino il transitorio dell’ambiente,
dunque, delle simulazioni con i modelli dinamici dell’edificio. Ricavare da queste simulazioni questi dati che
permettono di quantificare questi effetti in termini di coefficiente o fattore di utilizzazione degli apporti
gratuiti 𝑛 , .

Questo rapporto esprime quanta parte degli apporti gratuiti nelle condizioni operative posso
effettivamente utilizzare. Utilizzando il fattore di utilizzazione degli apporti gratuiti la formula descritta
all’inizio di questo capitolo può essere rappresentata anche nella forma che segue:

Il termine QL rappresenta le perdite, il termine QG rappresenta degli apporti gratuiti e 𝑛 , mi rappresenta


quanti degli apporti gratuiti posso effettivamente utilizzare nell’edificio le cui caratteristiche termofisiche
sono quelle già note. Tale parametro mi permette di portare dentro un modello stazionario gli effetti che
possono cogliersi solamente nel regime dinamico.

In ascissa abbiamo il rapporto tra i


guadagni e le perdite mentre in ordinata
abbiamo il fattore di utilizzazione degli
apporti gratuiti che è altresì funzione della
costante di tempo dell’edificio 𝜏.
REGIME ESTIVO – FATTORE DI UTILIZZAZIONE DELLE PERDITE

Analogamente si può pensare di determinare il fattore di utilizzazione delle perdite termiche che invece
vengono in aiuto al carico termico nel caso estivo. Le perdite termiche tendono ad attenuare il carico
termico dell’edificio e anche in questo caso non riusciamo ad utilizzarle pienamente ma solo una quota
parte espressa dal seguente fattore di utilizzazione:

Anche nel caso estivo questo fattore di utilizzazione delle perdite termiche si può calcolare con apposito
diagramma mediante approccio concettuale totalmente analogo al precedente descritto.

Potrebbero piacerti anche