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Introduzione

La termodinamica (dal greco «thermos» = «caldo» e «dynamis» = «forza/lavoro» ⇒ «forza del calore») è la branca
della fisica che studia e descrive le trasformazioni indotte dal calore e dal lavoro in un sistema così come la
conversione calore-lavoro e viceversa.
In questo corso, la termodinamica viene affrontata secondo un approccio macroscopico ⇒ la materia è vista come
un continuo, ignorandone la natura particellare.
Ciò determina una perdita di informazione (si effettuano medie su coordinate atomiche) ma garantisce lo snellimento
della trattazione e una buona generalità per svariate applicazioni ingegneristiche.
Si utilizzeranno le seguenti tipologie di leggi fisiche:

 leggi generali ⇒ applicabili indipendentemente dal mezzo in esame (esempi sono leggi di conservazione
della massa, dell’energia, della carica elettrica);
 leggi particolari (o relazioni costitutive) ⇒ descrivono, secondo un modello, il comportamento di un
particolare mezzo (esempi sono la legge di dell’elasticità di Hooke, la legge della viscosità di Newton, la legge
dei gas perfetti). Esse sono dunque legate alla natura del mezzo e la loro applicabilità è limitata ad un
determinato dominio spaziale.

Sistema e Ambiente
Lo studio della termodinamica con approccio macroscopico parte dalle definizioni di SISTEMA e AMBIENTE:
SISTEMA: è una quantità di materia o regione di spazio su cui si vuole condurre l’analisi;
AMBIENTE: è tutto ciò che è al di fuori del sistema.La superficie reale o immaginaria che separa il sistema
dall’ambiente rappresenta il confine del sistema ed è chiamata SUPERFICIE DI CONTROLLO. Essa NON è un terzo
elemento che si aggiunge al sistema e all’ambiente ⇒ ha spessore nullo.
Si usa la seguente classificazione:

 SISTEMA APERTO: la superficie di controllo è permeabile ai flussi di massa: SISTEMA e AMBIENTE


possono scambiare flussi di massa;
 SISTEMA CHIUSO: la superficie di controllo NON è permeabile ai flussi di massa: SISTEMA e AMBIENTE
NON possono scambiare flussi di massa;
 SISTEMA ISOLATO: particolare sistema chiuso la cui superficie di controllo NON è permeabile ai flussi di
massa e di energia: SISTEMA e AMBIENTE NON possono avere nessun tipo di interazione (e.g., universo).
Sistema e Ambiente
Nello studio dei sistemi termodinamici si adottano i seguenti approcci:
SISTEMI APERTI: approccio del VOLUME DI CONTROLLO (VC) , coordinate euleriane:
-la grandezza controllata è il volume;
-è consentita una variazione della MASSA del sistema;
-approccio particolarmente comodo in presenza di fluidi in moto (e.g., condotto).

SISTEMI CHIUSI: approccio della MASSA DI CONTROLLO (MC), coordinate lagrangiane:


-la grandezza controllata è la massa;
-i confini della MC possono essere mobili consentendo una variazione del VOLUME del sistema.

Proprietà di un Sistema
Come descrivere un sistema? A livello macroscopico, la descrizione e caratterizzazione di un sistema viene realizzata
in termini di
Proprietà termodinamiche.
Proprietà (termodinamica):
caratteristica di un sistema
espressa da una grandezza
macroscopica, di solito misurabile,
indipendente dalla storia del
sistema. Esempi sono la pressione
(p), la temperatura (T), la densità
(ρ), la conducibilità termica (k), la
massa (m), il volume (V), l’energia
interna (U), l’entropia (S), etc.
Le proprietà di un sistema si
distinguono in:

 Proprietà intensive: indipendenti dall’estensione del sistema, e.g., pressione, temperatura, conducibilità
termica. Non godono della proprietà additiva;
 Proprietà estensive: dipendenti dall’estensione del sistema, e.g., massa, volume, energia interna,
entropia. Godono della proprietà additiva.

Proprietà di un Sistema
Il rapporto tra una proprietà estensiva e la massa di un sistema definisce una proprietà specifica (che è chiaramente
una proprietà intensiva). Solitamente si usa la seguente simbologia:

 lettera maiuscola, ad es. Y ⇒ proprietà estensiva


 lettera minuscola, ad es. y = Y/m ⇒ corrispondente proprietà specifica
Esempi:

 V ⇒ volume [m3]; v = V/m ⇒ volume specifico [m3/kg];


 U ⇒ energia interna [J]; u = U/m ⇒ energia interna
specifica [J/kg].

Le proprietà di un sistema non sono tutte indipendenti. Ad


es., note il volume (V) e la massa (m) è nota anche la densità
(ρ = m/V).

Stato termodinamico di un Sistema


Lo stato termodinamico di un sistema è costituito
dall’insieme dei valori delle proprietà che lo
caratterizzano.
Le proprietà sono indipendenti dalla storia del
sistema ⇒ Proprietà = funzioni puntuali o funzioni
di stato: il loro valore è funzione sono dello stato del
sistema, indipendentemente dal modo in cui ci si è
arrivati. Ad es. in figura le proprietà nello stato B
sono sempre le stesse indipendentemente dal modo
in cui si arriva a B da A (percorso I o II).
Lo stato termodinamico di un sistema,
caratterizzato da n proprietà, è individuato se sono
note m (m < n) di queste. Infatti, come confermato
da osservazioni sperimentali, le n proprietà non sono
tutte indipendenti ma sono legate da equazioni di
stato o relazioni caratteristiche (leggi particolari).
Queste hanno un campo di validità limitato alla regione su cui si è condotta la sperimentazione.
Esempio: per un gas ideale ⇒ pV = mRT con R costante dipendente dal gas

Equilibrio termodinamico
La parola equilibrio indica una condizione
di bilanciamento; e.g., in meccanica indica un
bilanciamento tra forze. In un sistema che si trova in uno stato
di equilibrio, quindi, non possono essere presenti gradienti di
una qualsiasi proprietà perché, se così non fosse, ci
sarebbe una evoluzione spontanea del sistema tendente ad
uniformare tali proprietà.
L’equilibrio termodinamico comprende
l’equilibrio termico, quello meccanico, quello chimico e
quello delle fasi, pertanto richiede che la temperatura e la
pressione assumano lo stesso valore in ciascun punto del
sistema e che la composizione chimica del sistema non vari
così come la quantità in massa di ciascuna fase presente.

Sostanza pura e Fase


Si è parlato di equilibrio delle fasi. Cosa è una fase?
Si parte dalla definizione di sostanza pura: sostanza di composizione chimica fissata ed invariabile in tutta la massa
presa in esame.
Non è detto che una sostanza pura sia costituita da un unico elemento o composto. Anche una miscela di vari
elementi chimici può essere considerata una sostanza pura se la composizione chimica è omogenea.
Ad esempio, l’aria è una miscela di vari gas e può essere considerata una sostanza pura poiché la sua composizione
chimica è uniforme.
Invece una miscela di acqua e olio non è una sostanza pura poiché all’interno del sistema vi sono regioni differenti dal
punto di vista chimico.
Un sistema costituito da una sostanza pura è detto omogeneo se le sue proprietà specifiche non variano al variare
della regione in esame, viceversa è detto eterogeneo se tali proprietà presentano delle discontinuità.
Z
Sostanza pura e Fase
Consideriamo un sistema in equilibrio termodinamico, costituito da una sostanza pura. Una fase del sistema è
l’insieme di tutte le zone omogenee dello stesso, ed è dunque caratterizzata dall'uniformità delle proprietà specifiche
(e.g., densità). Quest'ultime presentano discontinuità passando da una fase all’altra anche se pressione e
temperatura sono uniformi. Possono essere presenti tre fasi:

1. fase solida;
2. fase liquida;
3. fase aeriforme.

A seconda del numero di fasi presenti, il sistema può essere monofasico o plurifasico (bifasico o trifasico) (fig. sx).
La figura a destra mostra la nomenclatura usata per indicare i cambiamenti di fase (passaggio da una fase ad
un’altra).
Postulato di Stato
Evidenze sperimentali
Se i valori delle proprietà termodinamiche che individuano lo stato del sistema non variano nel tempo il sistema è in
uno stato di equilibrio termodinamico.
Un sistema semplice è un sistema costituito da una sostanza pura il cui stato di equilibrio termodinamico è
individuato da due proprietà intensive indipendenti. L’influenza dei campi elettrici, magnetici e gravitazionali e della
tensione superficiale è trascurabile.
Un sistema semplice e comprimibile o sistema p, v, T è un sistema semplice il cui stato è descrivibile con le
proprietà pressione, volume specifico e temperatura due delle quali saranno considerate indipendenti.
Studieremo i sistemi semplici e comprimibili essendo:

 abbastanza generali da poter essere utilizzati in molte applicazioni ingegneristiche;


 sufficientemente semplici da poter essere trattati con procedimenti analitici non eccessivamente elaborati.

Processi e Trasformazioni
Un sistema è soggetto ad un processo se passa da uno stato di equilibrio ad un altro stato di equilibrio in seguito ad
un’interazione con l’ambiente o ad una modificazione dei vincoli interni.
Dunque un processo è caratterizzato da:

 stato (di equilibrio) iniziale e stato (di equilibrio) finale;


 interazioni con l’ambiente.

Se l’evoluzione del sistema (processo) avviene tanto lentamente da rendere trascurabili i gradienti spaziali delle
proprietà intensive in modo tale che ciascuno stato intermedio dell’evoluzione è praticamente uno stato di equilibrio
termodinamico, si parla di trasformazione quasistatica. In questo caso, si conoscono non solo gli stati iniziale e
finale ma anche gli stati intermedi ovvero si conosce il cammino della trasformazione.
Processi e Trasformazioni
Esempi di trasformazioni (iso ⇒ costante):

 isoterma⇒ trasformazione a temperatura costante;


 isocora⇒ trasformazione a volume costante;
 isobara⇒ trasformazione a pressione costante;
 isoentropica⇒ trasformazione a entropia costante;
 adiabatica o diatermica⇒ trasformazione in assenza di scambi di energia in modalità calore con l’ambiente;
 ciclica⇒ trasformazione in cui lo stato iniziale e quello finale coincidono.

Introduzione alla termodinamica degli stati


La termodinamica degli stati si occupa dello studio delle proprietà dei sistemi in differenti stati.
Si considerino sistemi semplici e comprimibili. Gli stati di equilibrio possono essere definiti mediante due proprietà
intensive indipendenti tra pressione (p), volume specifico (v) e temperatura (T). Quindi tali stati possono essere
rappresentati:

 da diagrammi caratteristici in piani termodinamici (e.g., p-v, T-v, p-T);


 da superfici caratteristiche in spazi termodinamici (e.g., p-v-T).
Vediamo come è possibile costruire tali diagrammi e superfici caratteristiche.
Esperimento: si consideri un sistema pistone-cilindro contenente una sostanza
pura, al quale viene somministrata energia in modalità calore (Q) a pressione
costante ⇒ riscaldamento isobaro.
Introduzione alla termodinamica degli stati
La sostanza parte dallo stato iniziale A e arriva allo stato finale L.
La trasformazione A ⇒ L può essere scomposta in 9 trasformazioni
isobare quasistatiche:

 A⇒B
 B⇒C
 C⇒D
 D⇒E
 E⇒F
 F⇒G
 G⇒H
 H⇒I
 I⇒L

Il sistema è inizialmente in fase solida. Attraverso le trasformazioni, passa prima in fase liquida e infine in fase
aeriforme (vedi trasformazioni sul piano T-v).

Passaggi di fase
Durante le trasformazioni di fusione ed evaporazione le fasi sono definite sature -> stato intensivo (p, T, u, v, etc.)
costante. Un sistema plurifasico in equilibrio è detto saturo.

Nell’esperimento, la p è sempre la stessa:

 la fusione (passaggio solido-liquido, trasformazione CE) avviene a T = cost = TC;


 l’evaporazione (passaggio liquido-aeriforme, trasformazione GI) avviene a T = cost = TG> TC.

Gli stati termodinamici corrispondenti ai punti del segmento G-I sono detti di «vapore saturo».
In corrispondenza del punto G la sostanza è in condizioni di «liquido saturo».
In corrispondenza del punto I la sostanza è in condizioni di «vapore saturo secco».
Passaggi di fase
Ripetendo l’esperimento del pistone-cilindro con
diverse pressioni, si possono costruire le curve
caratteristiche della sostanza pura in esame. I
passaggi di fase avvengono a p e T costante.
Al variare della p, cambia la T alla quale si verifica il
passaggio di fase ⇒ in una sostanza in equilibrio
bifasico esiste una corrispondenza
biunivoca tra p e T.
All’aumentare della p, aumenta il volume specifico in
condizioni di liquido saturo (v ls) mentre diminuisce il
volume specifico in condizioni di vapore saturo secco
(vvss); dunque al crescere della p il segmento
corrispondente agli stati relativi ai vapori saturi si
accorcia fino a ridursi ad un punto detto punto
critico C, i cui valori di p e T si dicono pressione
critica (pc) e temperatura critica (Tc).
A p>pc e/o T>Tc, non si verifica passaggio di fase.

Esempio: ACQUA ⇒ pc = 22 Mpa (220 bar) Tc = 373 °C.Riscaldando isobaricamente una sostanza pura in fase liquida
ad una p > pc, non si osserva nessun cambiamento di fase.
I punti A e B, pur essendo caratterizzati dalla stessa coppia di valori p e T, corrispondono a diversi stati
termodinamici; dunque la conoscenza di p e T in condizioni di saturazione non permette l’individuazione dello stato
termodinamico del sistema (essendo proprietà dipendenti per i vapori saturi).
Passaggi di fase
Effettuando riscaldamenti isobari a pressioni
sempre più basse, si osserva che al di sotto
di una determinata p non si verifica più il
passaggio dalla fase solida a quella liquida,
ma direttamente dalla fase solida a quella
aeriforme. Durante tale trasformazione
coesistono tutte e tre le fasi. La pressione
che separa questi due comportamenti è
detta pressione tripla (pt) e la
corrispondente temperatura di saturazione è
detta temperatura tripla (Tt).
Esempio: ACQUA ⇒ pt = 0.6 kpa (0.006 bar)
Tt = 0 °C.
Riscaldamento isobaro con p < pt ⇒ si
osserva il passaggio diretto solido-aeriforme
con la comparsa di entrambe le fasi. Tale
passaggio è detto sublimazione. Il
processo inverso (aeriforme ⇒ solido) è
detto brinamento.
Il v della fase liquida è maggiore di quello
della fase solida per quasi tutte le sostanze,
ma non per l’acqua che solidificando
espande (⇒ una bottiglia di acqua liquida
piena messa nel freezer rischia di
rompersi…)
L’esperimento del riscaldamento isobaro condotto a diversi livelli di pressione consente la costruzione
della superficie caratteristica f(p, v, T) = 0.
Superficie caratteristica f(p, v, T) = 0
La figura non è in scala in quanto i valori di v delle fasi solida e
liquida, per pressioni prossime a pt, sono di alcuni ordini di
grandezza inferiori a quelli dell’aeriforme.

 linea mC ⇒ linea del liquido saturo o curva limite


inferiore (CLI);
 linea nC ⇒ linea del vapore saturo secco o curva
limite superiore (CLS).

Tali curve formano una sorta di campana che racchiude la


regione dei vapori saturi.
Nell’ambito della termodinamica applicata, le regioni di maggior
interesse sono:

 monofase del liquido;


 monofase dell'aeriforme;
 bifase liquido/vapore ⇒ vapore saturo.

Nelle regioni monofasiche, lo stato è univocamente


determinato dalla conoscenza di una qualsiasi coppia di
proprietà.
Nelle regioni bifasiche, p e T sono tra loro dipendenti e quindi
occorre conoscere un’altra proprietà per definire lo stato.
La differenza tra i valori di v del vapore saturo secco e del liquido saturo diminuisce al crescere della pressione.

Superficie caratteristica f(p, v, T) = 0


Caratterizzazione degli stati di interesse per la termodinamica dei fluidi:

 liquido compresso o sottoraffreddato: stati a sinistra della curva


limite inferiore;
 liquido saturo: stati sulla curva limite inferiore;
 vapore saturo: stati interni alla regione bifasica liquido-vapore
(campana);
 vapore saturo secco: stati sulla curva limite superiore;vapore
surriscaldatostati compresi tra la curva limite superiore e l’isoterma
critica;
 vapore espanso o surriscaldato: stati compresi tra la curva limite
superiore e l'isoterma critica (T>Tc);
 gas: stati a «destra» dell’isoterma critica (T>Tc).

Esempio: Acqua (H20)


Si osserva che per l’acqua il volume specifico della fase liquida è minore
rispetto a quello della fase solida. Ciò è dovuto alla struttura cristallina di tale
sostanza.
Superficie caratteristica f(p, v, u) = 0
A titolo d’esempio si mostra anche la superficie caratteristica f(p, v, u) = 0 per una generica sostanza
pura. u è l'energia interna specifica [J/kg].
Proiettando una qualsiasi superficie caratteristica su un piano (termodinamico) individuato da due assi, si ottengono
i DIAGRAMMI TERMODINAMICI.
I diagrammi più utilizzati e di seguito illustrati sono i seguenti:

 T-v à temperatura – volume specifico;


 p-T à pressione – temperatura;
 p-v à pressione – volume specifico;
 T-s à temperatura – entropia specifica*;
 h-s à entalpia* specifica – entropia specifica;
 p-h à pressione – entalpia specifica.

* Il significato fisico di entropia ed entalpia verrà chiarito nelle lezioni successive.

Diagramma T-v
Unità di misura*:

- T, temperatura à Kelvin [K] (Sistema Internazionale)


o gradi Celsius [°C]
T[K] = T[°C] + 273.15. Ricorda: ΔT[K] = ΔT[°C].
Esempio: il corpo 1 si trova a T1 = 0 °C = 273.15 K, il
corpo 2 si trova a T2 = 0 °C = 273.15 K. La differenza
di temperatura tra i due corpi ΔT = T2 – T1 = 10 °C = 10
K
-v, volume specifico à m3/kg (Sistema Internazionale)

Si ottiene proiettando la superficie caratteristica f(p,


v ,T) = 0 sul piano T-v.
Le osservazioni fisiche relative al diagramma sono
riportate nelle slides precedenti (esperimento del
riscaldamento isobarico). Si ricorda che la regione
bifasica, racchiusa tra le curve CLI e CLS, forma una
sorta di campa.
* prestare attenzione all’uso delle lettere minuscole e maiuscole nelle unità di misura. Ad es.: Kelvin à K (K
maiuscola); kg (k minuscola).

Diagramma p-T
Unità di misura:
- T, temperatura à Kelvin [K] (Sistema Internazionale) o gradi Celsius
[°C]
- p, pressione à Pascal [Pa = N/m 2] (Sistema internazionale) o bar
p [Pa] = 105 p [bar]; 1 atmosfera (atm) = 1.013 bar

Si ottiene proiettando la superficie caratteristica f(p, v ,T) = 0 sul


piano p-T.
È detto anche diagramma di fase.
Le regioni bifasiche della superficie caratteristica sono rappresentate
da settori cilindrici con generatrice parallela all’asse del v. Quindi le
loro proiezioni sul piano p-T sono delle linee.
La linea corrispondente allo stato triplo si proietta nel punto triplo (T).
Diagramma p-T
A ⇒ C: raffreddamento isobaro
B ⇒ C: compressione isoterma
Comprimendo con un’isoterma una sostanza a T>Tc non si ha nessun cambiamento di fase (trasformazione D-F).
La temperatura critica (Tc) può essere quindi definita come quel valore di T che, se superato, non consente la
liquefazione della sostanza per compressione. Tc di alcune sostanze:
Metano ⇒ -82 °C
Acqua ⇒ 373°C
Aria ⇒ -141 °C
Ossigeno ⇒ -118 °C
Propano ⇒ -87 °C
Diagramma p-v
Unità di misura:
- p, pressione: Pa o bar
- v, volume specifico: m3/kg

Si ottiene proiettando la superficie


caratteristicaf(p, v ,T) = 0 sul piano p-v.
Sia regioni monofasiche che bifasiche si
proiettano come superfici:

 linea mC: curva limite inferiore (CLI);


 linea nC: curva limite superiore (CLS).

La CLI è quasi verticale in quanto il v dei liquidi


subisce minime variazioni. La regione bifasica,
racchiusa tra le curve CLI e CLS, forma una
sorta di campana.
Si può osservare come p e T di un vapore saturo
siano dipendenti tra loro ⇒ il
segmento corrisponde a infiniti stati alla
stessa p e T ma a differenti proprietà specifiche.
Quindi per definire lo stato di un vapore saturo è
necessaria un’altra proprietà oltre p e T , come v.

Diagramma T-s
Unità di misura:
- T, temperatura: K o °C
- s, entropia specifica: J/(kg K) (Sistema
Internazionale, J [N m] Joule)

L’entropia S [J/K] è una proprietà estensiva del sistema.


s è l’entropia specifica (proprietà intensiva).
Sia regioni monofasiche che bifasiche si proiettano
come superfici:

 linea ac: curva limite inferiore (CLI);


 linea bc: curva limite superiore (CLS);
 segmento : isoterma/isobara del punto
triplo.

La regione bifasica, racchiusa tra le curve CLI e CLS,


forma una sorta di campana. In questa
regione, isoterme e isobarecoincidono,
essendo p e T di un vapore saturo dipendenti tra loro. Quindi, sotto la curva a campana, anche le isobare sono linee
orizzontali.

Diagramma h-s
Unità di misura;
- h, entalpia specifica: J/kg
- s, entropia specifica: J/(kg K)

È noto anche come diagramma di Mollier.


L’entalpia H [J] è una proprietà estensiva del
sistema. h è l’entalpia specifica (proprietà intensiva).
È di grande utilità pratica per il calcolo delle proprietà
dei sistemi aperti dove occorre conoscere h.
Sia regioni monofasiche che bifasiche si proiettano
come superfici:

 linea ac: curva limite inferiore (CLI);


 linea bc: curva limite superiore (CLS);
 segmento : isoterma/isobara del punto
triplo.
La regione bifasica, racchiusa tra le curve CLI e CLS, forma una sorta di campana. Il punto critico C non si trova
all’apice della campana ma spostato verso sinistra.

Diagramma p-h
Unità di misura:
- p, pressione: Pa o bar
- h, entalpia specifica: J/kg

È di grande utilità pratica per il calcolo delle


proprietà nei cicli inversi. Sia regioni
monofasiche che bifasiche si proiettano
come superfici.
La regione bifasica, racchiusa tra le curve
CLI e CLS, forma una sorta
di campana «pendente» a destra.I segmenti
orizzontali sotto la curva a campana
rappresentano l’entalpia di
evaporazione/vaporizzazione. La
lunghezza di tali segmenti diminuisce
all’aumentare della p.
Le isoterme:

 nella regione del liquido, sono quasi


verticali;
 nella regione bifasica (sotto la
campana), sono orizzontali perché
coincidono con le isobare;
 nella regione dei vapori surriscaldati, hanno pendenza negativa e tendono a diventare verticali per basse p.

Regola delle fasi o di Gibbs per una sostanza pura


V=3-F
dove:

 F è il numero delle fasi coesistenti in equilibrio


 V è detta varianza, ossia il numero delle possibili variazioni indipendenti tra p e T, tale che F NON cambi.
Un sistema costituito da una sola fase è bivariante, ossia è possibile variare indipendentemente sia la temperatura
che la pressione senza cambiare fase.
Un sistema costituito da due fasi è monovariante, ossia variando ad esempio la temperatura, affinché le due fasi
continuano a coesistere la pressione deve variare in dipendenza.
Un sistema costituito da tre fasi è invariante, ossia una qualsiasi variazione della temperatura o della pressione
comporta la scomparsa di almeno una fase. In tale caso il sistema è al punto triplo.
Determinazione delle fasi di una sostanza pura
Proprietà NOTE: p e T
Si fa riferimento al diagramma di stato p-T.
Se T > Tc ⇒ sistema monofase aeriforme; se invece T ≤ Tc, si hanno le seguenti possibilità:
Si ragiona in termini di T:

 T < Tsat(p) ⇒ sistema monofase, liquido compresso o sottoraffreddato (stato A);


 T = Tsat(p) ⇒ sistema bifase, vapore saturo (B);
 T > Tsat(p) ⇒ sistema monofase, vapore espanso o surriscaldato (D).

Oppure, si ragiona in termini di p:

 p < psat(T) ⇒ sistema monofase, vapore espanso o surriscaldato (D);


 p = psat(T) ⇒ sistema bifase, vapore saturo (B);
 p > psat(T) ⇒ sistema monofase, liquido compresso o sottoraffreddato (A.;

Tsat(p) è la T di saturazione alla pressione p; psat(T) è la p di saturazione alla temperatura T. Tali valori sono reperibili
in tabelle.
Determinazione delle fasi di una sostanza pura
Proprietà NOTE: α e β con α ∈ {p, T} e β ∈ {h, s, u, v}
Se αT ≤ α ≤ αC, con l’indice T che fa riferimento al punto triplo e C al punto critico:

 β < βL(α) ⇒ sistema monofase, liquido (stato A);


 βL(α) ≤ β≤ βVS(α)⇒ sistema bifase, vapore saturo (B);
 β > βVS(α)⇒ sistema monofase,vapore surriscaldato (D)

dove:

 βL(α): valore di β assunto dal liquido


saturo in condizioni di saturazione α;
 βVS(α): valore di β assunto dal vapore
saturo secco in condizioni di
saturazione α.

Tali valori sono noti e riportati in tabelle.


Equazioni di Gibbs

Temperatura dinamica [K] ⇒ ⇒ rappresenta la derivata parziale dell’energia interna U [J] rispetto
all’entropia S [J/K] a volume V [m3] costante.

Pressione dinamica [Pa] ⇒ ⇒ rappresenta l'opposto della derivata parziale dell'energia interna U
[J] rispetto al volume V [m3] ad entropia S [J/K] costante.
Per un sistema semplice:

Da cui deriva la prima equazione di Gibbs:


TdS = dS + pdV o in termini specifici Tds = du + pdv
Per definizione (come sarà chiarificato nelle lezioni successive), l'entalpia H [J] è data da:
H = U + pV. Differenziando ⇒ dU = dH - pdV - Vdp
Sostituendo dU nella prima equazione di Gibbs, si ricava la seconda equazione di Gibbs:
TdS = dH - Vdp o in termini specifici Tds = dh - vdp

Calori specifici
Per incrementare della stessa entità la temperatura di differenti sostanze è necessario
somministrarre differenti quantità di energia in forma calore (Q).
Per ottenere la stessa variazione di temperatura in sistemi costituiti dalla stessa sostanza ma in differenti
stati termodinamici, è necessario somministrarre differenti quantità di energia in forma calore (Q).
Quindi, a parità di variazione di T, tali sistemi immagazzinano differenti quantità di energia. Ne deriva la necessità di
definire delle proprietà per valutare la capacità di immagazzinare l’energia somministrata, a parità di variazione di T:

 calore specifico a volume costante energia termica da somministrare


all’unità di massa di un sistema chiuso attraverso una trasformazione isocora per incrementare di 1 K = 1°C la
T;

 calore specifico a pressione costante energia termica da


somministrare all’unità di massa di un sistema chiuso attraverso una trasformazione isocora per incrementare
di 1 K = 1°C la T.

I calori specifici sono delle proprietà termodinamiche (o funzioni di stato) essendo definiti da relazioni in cui
compaiono solo proprietà termodinamiche.
Come determinare le proprietà termodinamiche di una sostanza pura?
Tale problematica può essere risolta attraverso i seguenti strumenti:

 l’applicazione di modelli;
 l’utilizzo di tabelle;
 la lettura da diagrammi.

Sceglieremo lo strumento più adatto a seconda della fase in cui si trova la sostanza.
Con riferimento alle fasi di interesse per la termodinamica dei fluidi, utilizzeremo i seguenti strumenti per la
determinazione delle proprietà di una sostanza pura:
gas ⇒ modello di gas ideale;
liquidi ⇒ modello di liquido incomprimibile;
vapori saturi ⇒ tabelle e utilizzo della definizione di titolo;
vapori surriscaldati ⇒ tabelle.
Per tutte le fasi, la determinazione delle proprietà può essere realizzata attraverso la lettura
da diagrammi termodinamici (che sono facilmente reperibili). Tuttavia, l’accuratezza ottenuta è generalmente
inferiore rispetto a quella assicurata dall’uso degli altri strumenti.

Modello di gas ideale


Tale modello permette di valutare
le proprietà di una
sostanza aeriforme assumendo
che:
le molecole sono puntiformi e
pertanto hanno un volume
trascurabile; interagiscono tra loro
e con le pareti del recipiente nel
quale l’aeriforme è contenuto
mediante urti perfettamente
elastici;

 non esistono forze di


interazione a distanza tra
le molecole (⇒ molecole
non interagenti);
 le molecole sono
identiche tra loro e
indistinguibili;
 il moto delle molecole è
casuale e disordinato in
ogni direzione ma
soggetto a leggi
deterministiche.

Tali ipotesi si considerano verificate – e quindi si può applicare il modello di gas ideale – quando: T>Tc e/o p <<
pc (aeriforme molto rarefatto) con Tc ⇒ temperatura critica, pc ⇒ pressione critica.
In tal caso, vale l’equazione di stato dei gas ideali:
pV = mRT ⇒ pv = RT con R [J/(kg K)] costante caratteristica di
ciascun gas. E risulta: cv = costante e cp = costante e Relazione di Mayer ⇒ cp - cv = R
Modello di gas ideale: Esperienza di Joule
Joule dimostrò che per un gas ideale l’energia interna è funzione della sola temperatura:
u = u(T)
Essendo per definizione h = u + pv e applicando l’equazione di stato, si ha:
h = u(T) +RT = h(T)
Quindi anche l’entalpia è funzione della sola temperatura.
Risulta quindi:

Da qui, differenziando l’espressione di h:


⇒ Relazione di Mayer

Esperienza di Joule
Si considera un sistema isolato contenente un gas ideale: la massa m di
gas alla temperatura T1 occupa il volume V1. La pressione vale:

Si apre il rubinetto ⇒ la massa m va ad occupare il volume .


Conseguentemente il volume aumenta e la pressione dimimuisce,
essendo:

Joule osservò sperimentalmente che la temperatura invariata, come resta


invariata l'energia interna trattandosi di un sistema isolato, mentre p e V
cambiano.
Quindi per un gas ideale l'energia interna è funzione della sola T ⇒ u = u(T)
Modello di gas ideale: Trasformazioni
Trasformazione isobara (1 ⇒ 2p) ⇒ p = cost ⇒ dp = 0

Dalla seconda legge di Gibbs ⇒


Tale trasformazione sul piano T-s ha pendenza positiva.
Trasformazione isocora (1 ⇒ 2v) ⇒ v = cost ⇒ dv = 0

Dalla prima legge di Gibbs ⇒


Tale trasformazione sul piano T-s ha pendenza positiva ed è più pendente dell’isobara essendo cp>cv per Mayer.
Modello di gas ideale: Piano T-s

Trasformazione isobara ⇒ pendenza:

Trasformazione isocora ⇒ pendenza:


Dato che la pendenza di isobare e isocore dipende solo dalla T con una dipendenza lineare crescente, si ha che:

 date due generiche isobare p1 e p2 (o due


isocore v1 e v2), fissata T, la pendenza è la
stessa. Quindi tutte le isobare derivano da una
stessa isobara traslata orizzontalmente. Allo
stesso modo tutte le isocore derivano da una
stessa isocora traslata orizzontalmente;
 fissata s la pendenza delle isobare e delle
isocore aumenta con T. Figura ⇒ la pendenza
dell’isobara in A è minore della pendenza
dell’isobara in B; la pendenza dell’isocora in C è
minore della pendenza dell’isocora in D.

Quindi, due generiche isobare p1 e p2 (o due isocore v1 e


v2) tendono a divergere per s crescenti ⇒ la distanza
verticale tra le isobare (segmento AB) e quella tra le
isocore (segmento CD) aumentano per s crescenti:
A’B’>AB; C’D’>CD.

Modello di liquido incomprimibile


Tale modello permette di valutare le proprietà di una sostanza liquida assumendo che il volume

specifico v è costante (dv=0). Quindi anche la densità è costante.


Essendo v costante, una proprietà intensiva è fissata e quindi lo stato termodinamico di un sistema semplice in fase
liquida – adottando tale modello – è funzione di una sola proprietà intensiva. Quindi:

Essendo v costante si definisce esclusivamente il calore specifico a v costante (cv), indicato semplicemente con c

Il modello assume c costante con T, per cui


Modello di liquido incomprimibile: Come determinare le proprietà?
Fissato lo stato 1, si possono determinare le proprietà di un generico stato 2 utilizzando le relazioni della slide
precedente nota una proprietà (oltre v).
Come determinare le proprietà di uno stato generico se non è noto uno stato di riferimento 1?
Si fissa uno stato di riferimento e si utilizzano le relazioni di cui sopra.
Per comodità occorre fissare il riferimento nello stato di liquido saturo (indicato con il pedice L) alla stessa
temperatura dello stato da caratterizzare:

 proprietà dello stato dacaratterizzare ⇒ v,p, T, h, u, s


 proprietà del liquido saturo allastessa temperatura ⇒ v,psat(T), T, hL(T), uL(T), sL(T)

Modello di liquido incomprimibile: Come determinare le proprietà?


I due stati sono caratterizzati dallo stesso v (liquido in incomprimibile). Il liquido saturo si trova alla pressione di
saturazione alla temperatura T.
Le sue proprietà, e il valore di v, si possono ricavare dalle tabelle dei vapori saturi.
Risulta:

Modello di liquido incomprimibile: Piani T-s e p-v


Applicando il modello di liquido incomprimibile:

 nel piano T-s, le isobare collassano sulla curva limite inferiore (CLI) (fig. a) ⇒ sono schiacciate sulla CLI e
quindi si sovrappongono. Infatti, se ciò non accadesse, liquidi allo stessa T (quindi sulla stessa isoterma ⇒
retta orizzontale) avrebbero una diversa s e ciò non può accadere essendo s=s(T). Ciò non succede nei
diagrammi di un liquido reale (fig. b) in quanto le isobare tendono alla CLI ma non si sovrappongono a essa;
 nei piani di interesse p-v e T-v, la CLI è verticale (fig. a) poiché tutti gli stati di liquido hanno lo stesso v e
quindi devono trovarsi sulla stessa isocora ( ⇒ retta verticale). Per lo stesso motivo, tutti i punti che
rappresentano uno stato di liquido si trovano sulla CLI e la regione alla sinistra di tale curva non è popolata
da stati. Ciò non succede nei diagrammi di un liquido reale (fig. b) in cui la CLI ha una leggera pendenza
positiva.

Modello di liquido incomprimibile: Piani T-s e p-v


I diagrammi di liquido incomprimibile e di liquido reale non coincidono perché un modello NON rappresenta mai
pedissequamente la realtà. Tuttavia, tale modello assicura un’ottima approssimazione perché il v di un liquido reale
subisce minime variazioni. Negli esercizi, si consiglia di utilizzare i diagrammi relativi al liquido
incomprimibile poiché si utilizza tale modello per il calcolo delle proprietà.

Vapori saturi: Definizione di titolo


Un vapore saturo è una miscela bifasica (monovariante) di liquido e vapore in equilibrio:
ml ⇒ massa di liquido; ms ⇒ massa di vapore (s ⇒ steam); m = ml + ms ⇒ massa totale.
Il titolo x è una proprietà adimensionale che esprime la composizione della miscela

con 0 ≤ x ≤ 1; x = 0 ⇒ liquido saturo; x = 1 ⇒ liquido saturo secco


Si vogliano determinare le proprietà di un generico stato di vapore saturo:

 proprietà dello stato da caratterizzare ⇒ p, T, x, v, h, u, s


 proprietà del liquido saturo alla stessa p e T ⇒ pedice l
 proprietà del vapore saturo secco alla stessa p e T ⇒ pedice s

Chiaramente:
p = pl = ps = pressione di saturazione del vapore saturo
T = T l = Ts = pressione di saturazione del vapore saturo
Utilizzando la definizione di titolo e delle proprietà da valutare:
Vapori saturi: Calcolo proprietà
Utilizzando la stessa procedura applicata a v, si possono esprimere tutte le proprietà specifiche in funzione di x:

Quindi, noti x e condizioni di saturazione (psat ↔ Tsat), è noto lo stato termodinamico del vapore saturo.
Le espressioni riportate a destra possono essere utilizzate per calcolare x a seconda della proprietà specifica nota.
Le proprietà del liquido saturo (l) e del vapore saturo secco (s) si determinano con l’utilizzo delle tabelle di
saturazione.

Vapori saturi: Tabelle di saturazione


Le tabelle di saturazione riportano le proprietà specifiche del liquido saturo (l) e del vapore saturo secco (s) in
funzione delle condizione di saturazione ⇒ psat e Tsat.
Come dato di ingresso si può utilizzare psat (fig. a) o Tsat (fig. b) a seconda del dato a disposizione.

Vapori surriscaldati: Tabelle


Un vapore surriscaldato è un aeriforme che non rientra nella definizione di gas (deriva dal «surriscaldamento» di un
vapore saturo). Per la determinazione delle proprietà si fa riferimento a tabelle o diagrammi.
Le tabelle (in figura) assicurano una maggiore accuratezza e consentono di determinare le proprietà di un generico
stato termodinamico, a partire dalla conoscenza di due proprietà intensive tra p, T, v, u, h o s. Nelle tabelle, sono
presenti anche valori relativi a gas (T>Tc). Infatti, in molti casi, bisogna valutare le proprietà di un solo stato gassoso,
e non si hanno due punti (1 e 2) per applicare le relazioni dei gas ideali per il calcolo di Δu, Δh e Δs.

Interpolazione lineare
Quando si utilizzano le tabelle – sia per vapori saturi che surriscaldati – non è detto che sia presente l’esatto valore
della proprietà intensiva con cui si entra in tabella. In questo caso, si ricorre all’interpolazione lineare.
Esempio: Calcolare le proprietà dell’acqua note p = 5.00 bar e T = 220 °C. Essendo T>Tsat(5 bar) = 151.86 °C, si è in
condizioni di vapore surriscaldato per cui è possibile calcolare v, u, h, s utilizzando le tabelle riportate in figura, in
cui è presente il valore p = 5.00 bar, ma non T = 220 °C. Si rende dunque necessaria l’interpolazione lineare.

Interpolazione lineare
Essendo presente il valore di p ma non quello di T, il valore di input dell’interpolazione sarà zinput = T = 220°C:

N.B. Usare sempre lo stesso numero di cifre significative (preferibilmente 3 o 4).


Bilancio di una generica grandezza
Per eseguire il bilancio di una generica grandezza estensiva occorre:

 Definire accuratamente il sistema oggetto dell’analisi;


 Individuare le interazioni che avvengono sul confine tra il sistema e l’ambiente, ovvero individuare le
modalità secondo le quali la grandezza può essere trasferita dal sistema all’ambiente o viceversa;
 Valutare ciò che accade alla grandezza all’interno del sistema stesso

Bilancio di una generica grandezza


Riferendosi ad una generica grandezza G in un intervallo di tempo Δθ:
Quantità di G entrata nel sistema nell’intervallo di tempo Δθ +
Quantità di G generata nel sistema nell’intervallo di tempo Δθ =
Quantità di G uscita nel sistema nell’intervallo di tempo Δθ +
Quantità di G distrutta nel sistema nell’intervallo di tempo Δθ +
Quantità di G accumulata nel sistema nell’intervallo di tempo Δθ
ΔGe + ΔGgen = ΔGu + ΔGdis + ΔGsist
Bilancio di una generica grandezza
Se si divide per l’intervallo di tempo Δθ e si considera il limite
per Δθ tendente a zero:

rappresenta la portata di G che in un certo istante entra nel


sistema.

[Saldo finale – saldo iniziale] = [accrediti + versamenti] –


[prelievi + addebiti] + + [interessi attivi] – [interessi passivi]

Bilancio di massa
Scriviamo il bilancio visto in precedenza riferendoci alla variazione di massa Dm, con riferimento anche alle
portate massiche indicate con

1
La massa è una grandezza conservativa, non può né
generarsi né distruggersi:

Sistema chiuso
Per un sistema chiuso, possiamo scrivere:

Sistema aperto
Per un sistema aperto, possiamo scrivere:

Se ci sono più varchi di ingresso e/o di uscita, si esegue la sommatoria come indicato in Figura.

Regime stazionario
Quando la variazione col tempo delle proprietà in ciascun punto del sistema è trascurabile, il sistema è in
condizioni di regime stazionario.
Se il sistema è in regime stazionario, la quantità di massa contenuta nel sistema non varia nel tempo:

In condizioni di regime stazionario, la somma delle portate massiche entranti eguaglia quella delle portate
massiche uscenti.
Se il sistema ha un solo ingresso ed una sola uscita, la portata massica entrante è uguale a quella uscente:

Flusso monodimensionale
Il flusso é monodimensionale quando le proprietà hanno un valore uniforme in ciascuna sezione ortogonale alla
direzione del modo e varia solo lungo la coordinata che identifica il moto del fluido

2
Portata massica e volumetrica
Definiamo la portata massica in funzione di altre grandezze

Stesso discorso per quanto riguarda la portata volumetrica:

Bilancio di Energia
L’energia E è una grandezza conservativa, non può né generarsi nè distruggersi.

L’energia può fluire attraverso i confini di un sistema come calore o come lavoro.

Flusso convettivo
Se una portata massica attraversa la superficie di controllo di un sistema, con essa entra o esce dal sistema
energia. Tale flusso di energia è detto flusso convettivo.

Calore
La differenza di temperatura esistente tra il sistema e l’ambiente causa un trasferimento di energia dal sistema a
temperatura maggiore verso l’ambiente a temperatura minore. Tale flusso di energia è detto calore.
L’energia è una proprietà del sistema, il calore (Q, misurato in joule) no.
Un sistema i cui confini non consentono trasferimento di calore è detto adiabatico.

3
Lavoro
Lavoro di variazione di volume (solo per sistemi chiusi)
Del fluido è contenuto in un sistema pistone-cilindro; il pistone è messo in movimento da una forza esterna che
determina la compressione del fluido.

Lavoro di elica (solo per sistemi aperti)


Una girante posta in rotazione da un motore elettrico, per esempio un ventilatore posto in un condotto, cede
energia al fluido causando un aumento di pressione ed in definitiva il suo moto nel condotto. Questa interazione può
avvenire anche in verso opposto; si pensi ad una turbina idraulica.

Lavoro
Lavoro di pulsione
E’ come se vi fosse un pistone immaginario che esercita una forza F sulla massa Δm per spingerla all’interno o
all’esterno del sistema.
Il lavoro compiuto nell’intervallo di tempo Δθ è pari a:

Bilancio di energia per sistemi aperti


Ipotizzando che nei varchi d’ingresso il lavoro è trasferito dall’ambiente al sistema, e viceversa per quanto riguarda i
varchi d’uscita, si scrive il seguente bilancio riferito ad un intervallo di tempo finito Δθ:

4
Bilancio di energia per sistemi aperti
Il bilancio istantanteo è:

Con, posto e = u + gz + w2/2 e definita h = u + pv la grandezza entalpia:


e + pv = pv + u + gz + w2/2 = h + gz + w2/2
Indicando con Q la potenza termica netta entrante e con L la potenza meccanica netta uscente:

Il bilancio di energia si scrive come:

La quantità di energia contenuta in un sistema può variaresoltanto attraverso l’interazione energetica che ha luogo
attraverso il confine con l’ambiente esterno. Tale interazione può avvenire secondo la modalità calore, secondo la
modalità lavoro e per mezzo dei flussiconvettivi, includendo in essi anche il lavoro di pulsione.

Bilancio di energia per sistemi aperti


Nell’ipotesi di regime stazionario, la quantità di energia contenuta nel sistema non può variare per cui
dEsist/dθ = 0:

Questa equazione indica che i flussi di energia in ingresso al sistema bilanciano quelli in uscita dal
sistema.
Nell’ipotesi aggiuntiva che ci sia un solo varco di ingresso ed un solo varco di uscita, l’equazione di
bilancio dell’energia si scrive:

Molto spesso è possibile trascurare i termini cinetici e potenziali

Bilancio di energia per sistemi chiusi


Nel caso di un sistema chiuso, l’energia contenuta nel sistema può variare solo per effetto dei flussi come calore e
lavoro; in questo caso l’equazione di bilancio è:

Come già visto, si possono trascurare le variazioni di energia cinetica e potenziale del sistema:

Riferendoci ad un intervallo di tempo Δθ, possiamo esprimere l’energia contenuta nel sistema sia in
forma estensiva che specifica:

5
Infine si esprime il bilancio in forma differenziale, riferendosi ad un volume di controllo di
estensione infinitesima nella direzione del moto (la stessa cosa vale anche per i sistemi aperti):

In cui si specifica che il simbolo δ indica che calore e lavoro sono solo quantità elementari in
quanto non sono proprietà del sistema e dunque non rappresentano dei differenziali esatti.

Enunciato prima legge della termodinamica


La quantità di energia contenuta in un sistema isolato dall’ambiente non può variare; se si riscontra una
variazione della quantità di energia contenuta in un sistema, si può concludere che tale sistema non è isolato
e che tale variazione è perfettamente bilanciata dai flussi di energia che attraversano la superficie di
controllo.

Scelta della superficie di controllo


La scelta della superficie di controllo adatta è utile per comprendere quali flussi energetici sono coinvolti in un
processo.
Negli esempi, si riporta come in un caso l’unico flusso ad uscire (o entrare) dal sistema è calore, in un altro il lavoro,
e nel terzo nessuno dei due.

Esempio numerico
Al fine di comprendere come calcolare le quantità di calore/lavoro attraverso la prima legge della termodinamica,
nonchè la variazione di energia interna, di seguito si riportano due modalità alternative riferite al sistema chiuso
rappresentato in figura.

I modo: valori assoluti

II modo: valori netti

6
7
Limiti prima legge e qualità energia
L’energia è in definitiva una grandezza conservativa.
Ciò significa che non può essere generata né distrutta, ma solamente convertita da una forma ad un’altra.

Limiti prima legge e qualità energia


Esempio 1
L’energia potenziale dell’acqua è
trasformata in energia cinetica e poi
energia meccanica. Quest’ultima
alimenta una pompa che trasporta
l’acqua ad alta quota.

1
Limiti prima legge e qualità energia
Esempio 2
L’energia potenziale del peso è trasformata in lavoro d’elica e poi
in energia interna del fluido.L’esperienza indica che è impossibile
percorrere al contrario questa trasformazione!

Limiti prima legge e qualità energia


Esempio 3
Immaginiamo di avere una tazza di caffè caldo (80 °C) in un ambiente a temperatura
inferiore (20 °C). Cosa può accadere?

Limiti prima legge e qualità energia


Caso a)
Il trasferimento di energia avviene dal sistema verso l’ambiente: il caffè si raffredda e l’ambiente circostante si
riscalda:

Caso b)
Il trasferimento di energia avviene dall’ambiente verso il sistema: il caffè si riscalda e l’ambiente circostante si
raffredda:

Sia il caso a) che il caso b) verificano il principio di conservazione dell’energia!

Limiti prima legge e qualità energia


Esempio 4
Immaginiamo di avere un sistema pistone-cilindro con all’interno aria
compressa a 200 kPa. Cosa accade se il pistone viene lasciato libero?

Limiti prima legge e qualità energia


Caso a)
Il trasferimento di energia avviene dal sistema verso l’ambiente: l’aria contenuta nel cilindro espande spostando verso
l’alto il pistone:

2
Caso b)
Il trasferimento di energia avviene dall’ambiente verso il sistema: l’aria contenuta nel cilindro si comprime spostando
in basso il pistone:

Sia il caso a) che il caso b) verificano il principio di conservazione dell’energia!

Limiti prima legge e qualità energia


L’esperienza insegna che i processi avvengono spontaneamente secondo un ben preciso verso che non può essere
identificato con la sola prima legge della termodinamica. Anche se i processi avvenissero in verso opposto, il principio
di conservazione dell’energia sarebbe rispettato ma l’esperienza palesemente contraddetta.
CAUSA SPINGENTE = DIFFERENZA DI POTENZIALE
UN PROCESSO SPONTANEO TENDE AD ANNULLARE LA DIFFERENZA DI POTENZIALE
È possibile ristabilire la condizione iniziale, ma non con un processo spontaneo. È necessario forzare il flusso di
energia nella direzione opposta a quella verificatasi nel processo spontaneo e questo comporta un costo in termini di
energia. Occorre, in generale, che combustibile o energia elettrica sia fornita a qualche dispositivo che ripristini la
condizione iniziale.

Limiti prima legge e qualità energia


L’energia chimica contenuta nel carburante è convertita, mediante il motore di un’automobile, in energia cinetica e/o
potenziale dell’automobile ed in energia interna dell’ambiente (gas di scarico, aria che refrigera il circuito di
raffreddamento del motore…). La quantità di energia in gioco nella situazione iniziale è perfettamente uguale a quella
relativa allo stato finale, la qualità è invece significativamente diversa.

Limiti prima legge e qualità energia


L’energia è dunque caratterizzata da una qualità oltre
che da una quantità.

3
Bilancio di entropia: definizione
Per formalizzare tutto quanto esposto si introduce un’altra grandezza, l’entropia, la cui equazione di bilancio
costituisce la seconda legge della termodinamica.
Essa consente di:

1. prevedere la direzione di un processo;


2. determinare la massima prestazione teoricamente raggiungibile da una macchina o da qualche altro
componente;
3. valutare quantitativamente i fattori che impediscono il raggiungimento di questa prestazione teorica.

L’entropia è una proprietà termodinamica estensiva nonconservativa.


Essa può essere generata ma non distrutta:

L’entropia è omogenea al rapporto tra l’energia e la temperatura termodinamica; nel Sistema Internazionale si misura
in J/K.

Bilancio di entropia
La variazione di entropia in un sistema è somma di due contributi:

 il flusso di entropia attraverso i confini del sistema;


 la generazione di entropia all’interno del sistema.

In quali modi l’entropia può fluire attraverso i confini del sistema?


Flusso entropico convettivo, legato all’ingresso e/o uscita di materia attraverso la superficie di controllo che delimita
il sistema.
In quali modi l’entropia può fluire attraverso i confini del sistema?
Flusso entropico diffusivo, legato al flusso di energia nella sola forma calore secondo la relazione δQ/T [W/K], in cui
δQ indica la quantità di energia trasferita come calore attraverso un elemento della superficie di controllo la cui
temperatura è T.

Bilancio di entropia per sistemi aperti


Il bilancio istantaneo prevede quindi flussi diffusivi e convettivi di entropia, il termine di generazione e la variazione di
entropia nel tempo:

Il flusso diffusivo al primo membro è il valore dei flussi entropici diffusivi in ingresso al netto dei flussi entropici diffusivi
in uscita:

Tutte le grandezze istantanee sono ottenute con un limite per :

4
Bilancio di entropia per sistemi aperti
Nell’ipotesi di regime stazionario, la quantità di entropia contenuta nel sistema non può variare, per cui dSsist/dθ=0.
L’equazione di bilancio dell’entropia per sistemi aperti diventa:

Nell’ipotesi aggiuntiva che ci sia un solo varco di ingresso ed un solo varco di uscita segue:

Ed in termini specifici:

Se ci si riferisce ad un volume di controllo di estensione infinitesima nella direzione del moto, l’equazione di bilancio
diventa:

Bilancio di entropia per sistemi chiusi


Qualora il sistema sia chiuso, la quantità di entropia contenuta nel sistema può variare sia per effetto dei flussi
entropici associati ai flussi energetici come calore, sia per effetto dell’entropia che si genera all’interno del sistema.
In questo caso l’equazione di bilancio è:

Moltiplicando per dθ, ottengo il bilancio di entropia per sistemi chiusi:

In termini specifici:

E considerando una variazione di tempo infinitesima.

Bilancio di entropia
L’equazione di bilancio dell’entropia, nelle sue varie forme, è spesso indicata come seconda legge della
termodinamica.
Per un sistema isolato, i flussi entropici sono ovviamente nulli, pertanto il bilancio entropico è:

5
Moltiplicando per dθ:

La quantità di entropia contenuta in un sistema isolato varia in misura pari a quella generata; segue quindi che
l’entropia di un sistema isolato è sempre in aumento.
Bilancio di entropia: esempio
1. Il contadino Antonio, proprietario dello stagno A, acquista acqua da Bartolomeo, proprietario dello stagno B.
Se piove, lungo il percorso la quantità di acqua contenuta nel secchio aumenta.
2. L’acqua contenuta nello stagno di Antonio aumenta sia per la pioggia che per quella riversata con il secchio.
Se Antonio misura l’acqua nel secchio appena l’ha prelevata dallo stagno di Bartolomeo non si accorge della
pioggia.
3. Se Antonio misura l’acqua nel secchio quando la sta riversando nel suo stagno, considererà anche la pioggia.

6
Reversibilità
Il sistema isolato SI è costituito dal sistema SIST e dell’ambiente AMB.
Lo stato iniziale è individuato da a per SIST e c per AMB; in seguito ad una
trasformazione, SIST si porta nello stato b ed AMB nello stato d.
È possibile riportare SIST ed AMB negli stessi stati iniziali?
La risposta è NO.
Durante la trasformazione che ha portato SIST da a a b ed AMB da c a d si è
generata entropia per cui è aumentata la quantità di entropia contenuta nel
sistema isolato.

Reversibilità
Se riportassimo SIST in a ed AMB in c, l’entropia riassumerebbe lo stesso valore (è una proprietà e quindi una
frazione puntuale); per ottenere ciò sarebbe necessario far diminuire la quantità di entropia contenuta nel sistema
isolato, il che è in contrasto con la seconda legge della termodinamica.

Le trasformazioni reali sono irreversibili, nel senso che il passaggio del sistema/ambiente da uno stato ad un altro è
caratterizzato da una traccia indelebile – la generazione di entropia – che rende impossibile il ritorno nello stato
iniziale.

1
Reversibilità
Se, per pura astrazione, la quantità di entropia generata durante una trasformazione tende a zero, la trasformazione
tenderebbe a poter essere invertita e si parla di trasformazione reversibile.
Una trasformazione è reversibile se sia il sistema che l’ambiente possono ritornare nello stato iniziale.
Sgen = 0: trasformazione reversibile
Sgen > 0: trasformazione irreversibile
Sgen < 0: trasformazione impossibile

Definizione di SET e SEM


Il SET è definito come Serbatoio di Energia Termica e rappresenta un sistema ideale di volume costante e di capacità
termica infinita atto al trasferimento di energia nella sola forma calore; questa energia è trasferita a temperatura a
costante senza generazione di entropia

I bilanci di energia ed entropia rispetto al SET possono essere scritti come:

Nella prima figura, l’individuo può essere considerato un SET rispetto al termometro.
Nella seconda figura, il mare può essere considerato un SET rispetto all’individuo che vi si immerge.

Definizione di SET e SEM


Il SEM è definito come Serbatoio di Energia Meccanica e rappresenta un sistema atto al trasferimento di energia solo
come lavoro; questa energia è trasferita senza generazione di entropia.

I bilanci di energia e di entropia per questo sistema sono:

Cause di generazione entropica


Esempio 1
Consideriamo il funzionamento di un dispositivo (freno, vedi figura)
sulla cui superficie viene applicata una forza d’attrito. Il lavoro
meccanico non è utile in quanto lavoro dovuto all’attrito. Tale
trasferimento di energia in modalità lavoro viene tutta trasferita
all’esterno come calore (accumulo di energia trascurabile nel freno)
sotto una differenza finita di temperatura. A fronte di questo
fenomeno, se si scrive un bilancio di seconda legge nelle ipotesi fatte
sul SI rappresentato in figura, risulta:

SSIgen=ΔSSI=ΔSSEM+ΔSD+ΔSSETSgenSI=ΔSSI=ΔSSEM+ΔSD+ΔSSET

ΔSSEM=0ΔSD=0ΔSSET=QTSETΔSSEM=0ΔSD=0ΔSSET=QTSET

SSIgen=QTSETSgenSI=QTSET

L’esempio fatto corrisponde al caso di strisciamento tra 2 pareti solide.

2
Un fenomeno simile avviene anche quando c’è attrito dovuto al moto relativo tra un fluido ed una parete (sia in un
moto libero del fluido che confinato) oppure al moto relativo tra particelle fluide (porzioni di fluido a differenti velocità in
un moto libero o confinato).

Cause di generazione entropica


Considerazioni relative all'esempio 1:

 A fronte di un fenomeno in cui è presente lavoro d’attrito, c’è generazione di entropia. Tale generazione di
entropia viene detta per cause meccaniche.
 È sempre possibile trasformare integralmente lavoro in calore ovvero questo è quanto accade
spontaneamente nell’evoluzione libera di un fluido in moto. Si verificherà in seguito che la trasformazione
inversa non è possibile (non sarà possibile ri-ottenere la stessa quantità di energia in modalità lavoro).
Pertanto la qualità dell’energia scambiata in modalità lavoro è migliore di quella trasferita in modalità
calore.
 Inoltre, si potrebbe dimostrare che qualora si riportasse il SEM nello stato iniziale con un secondo processo
reversibile, l’entropia finale del sistema isolato sarebbe maggiore di quella iniziale (è rimasta traccia
nell’ambiente del processo iniziale). Pertanto, il primo processo è irreversibile.

Cause di generazione entropica


Esempio 2
Consideriamo un sistema isolato composto da due SET A e B, con
temperatura TA>TB e liberi di interagire tra di loro. Grazie alla loro
differenza di potenziale (differenza di temperatura TA-TB), il SET A
cede energia sotto forma di calore al SET B.
Applicando la seconda legge della termodinamica, si ottiene:

SSIgen=ΔSSI=ΔSA+ΔSBSgenSI=ΔSSI=ΔSA+ΔSB

ΔSA=−QTAΔSB=QTBΔSA=−QTAΔSB=QTB

SSIgen=Q(1TB−1TA)=Q(TA−TBTATB)SgenSI=Q(1TB−1TA)=Q(TA−TBTATB)

Ci sarà quindi una generazione di entropia nel sistema isolato proporzionale al calore scambiato ed alla differenza di
temperatura sotto la quale si ha tale scambio di calore.
Qualora la differenza di temperatura tenda a 0, sarebbe idealmente possibile scambiare calore senza generazione
entropica.

Cause di generazione entropica


Considerazioni relative all'esempio 2:

 Quando si verifica uno scambio termico con una differenza finita di temperatura la
corrispondente generazione di entropia viene attribuita a cause di tipo termico.
 Lo scambio di calore da un corpo a temperatura maggiore verso un corpo a temperatura minore è sempre
possibile (generazione entropica positiva) ovvero questo è quanto accade spontaneamente tra due corpi a
differenti temperatura liberi di scambiare calore. Se si ipotizzasse di invertire lo scambio di calore (da un
corpo a temperatura inferiore verso un corpo a temperatura superiore) senza nessun intervento ulteriore, si
avrebbe una generazione entropica minore di zero. Pertanto questa trasformazione non può avvenire
spontaneamente.
 E’ possibile trasformare completamente una data quantità di calore ad alta temperatura (TA) in una pari
quantità di calore a temperatura più bassa (TB<TA), mentre la trasformazione nel verso opposto è
impossibile. Pertanto, la qualità dell’energia trasferita in modalità calore ad alta temperatura è migliore
della qualità del calore a bassa temperatura.
 Inoltre, si potrebbe dimostrare che qualora si riportasse il SET A nello stato iniziale con un secondo processo
reversibile, l’entropia finale del sistema isolato sarebbe maggiore di quella iniziale (è rimasta traccia
nell’ambiente del processo iniziale). Pertanto, il primo processo è irreversibile.

Cause di generazione entropica


Le cause di generazione entropica appena viste sono le seguenti:

 attrito, comprendendo anche i fenomeni di attrito in seno ad un fluido in moto;


 trasferimento di energia termica con differenza di temperatura finita;

3
Più in generale esistono ulteriori cause di generazione entropica, così come elencate di seguito:

 espansione libera di un fluido da una regione a pressione maggiore verso una a pressione minore;
 mescolamento spontaneo di materia di composizione differente e/o stati diversi;
 reazioni chimiche spontanee;
 flusso di una corrente elettrica attraverso una resistenza;
 fenomeni di isteresi magnetica o di polarizzazione;
 deformazione non elastica.

Le irreversibilità possono essere localizzate all’interno o all’esterno della superficie di controllo, pertanto si parla
di irreversibilità interna ed irreversibilità esterna.

Cause di generazione entropica


Negli esempi descritti si può sempre identificare un processo guidato alternativo a quello descritto che consenta di
ottenere del lavoro utile.

Nel caso del disco del freno il lavoro effettuato è un lavoro di attrito, che non ha alcuna possibilità di essere sfruttato,
cui è associata una generazione di entropia e una degradazione della qualità dell’energia (da lavoro in calore).

In alternativa, per esempio, si può decelerare l’automobile producendo energia elettrica (lavoro elettrico) da
accumulare in batterie (trasformazione di energia cinetica in energia potenziale elettrica). Questo processo consentirà
in una fase successiva di ottenere lavoro meccanico per muovere l’automobile tramite un motore elettrico. Pertanto, si
tende a trasformare lavoro meccanico in elettrico e viceversa, conservando la qualità dell’energia.

Questa sequenza, anche se non completamente reversibile (esistono delle cause minime di irreversibilità e
generazione di entropia), consentirà un migliore sfruttamento del potenziale iniziale, in quanto si ottiene maggiore
lavoro utile (nel caso del freno era nullo) e corrispondentemente una minore generazione di entropia.

Cause di generazione entropica


Negli esempi descritti si può sempre identificare un processo guidato alternativo a quello descritto che consenta di
ottenere del lavoro utile.

Nel caso in cui si vuole prelevare calore da un SET ad alta temperatura e lo si cede ad un SET a bassa temperatura,
non si ottiene alcun lavoro utile, avendo una generazione di entropia ed una degradazione della qualità dell’energia
(da calore ad alta temperatura in calore a bassa temperatura).

In alternativa, per esempio, si può introdurre una macchina termica che trasformi parzialmente il calore in lavoro. Si
pensi ad un combustibile utilizzato in un motore invece di bruciarlo liberamente.

Questa sequenza, anche se non completamente reversibile (esistono delle cause minime di irreversibilità e
generazione di entropia), consentirà un migliore sfruttamento del potenziale iniziale, in quanto si ottiene maggiore
lavoro utile (nel caso iniziale era nullo) e corrispondentemente una minore generazione di entropia e minore
degradazione dell’energia.

Questi concetti verranno chiariti meglio in seguito

Postulato entropico
Consideriamo un sistema chiuso le cui pareti sono rigide, fisse ed adiabatiche, composto da due sottosistemi A e B
separati tra loro da una parete rigida, fissa, adiabatica ed impermeabile ai flussi di massa.
Lo stato di equilibrio iniziale del sottosistema A è individuato dalla coppia e che rappresenta volume ed
energia interna.
Lo stato di equilibrio iniziale del sottosistema B, allo stesso modo, è rappresentato dalla coppia e .Di conseguenza, il
sistema isolato composto è rappresentato, nel suo stato iniziale, da:
e

4
Postulato entropico
Rimuovendo il solo vincolo di adiabaticità della parete di separazione, il sistema composto evolve spontaneamente
verso un nuovo stato di equilibrio.Lo stato di equilibrio finale del sottosistema A è individuato dalla coppia e .
Lo stato di equilibrio finale del sottosistema B è allo stesso modo individuato dalla coppia e .
Il sistema composto, nel suo stato di equilibrio finale, è quindi rappresentato da:
e
Alla luce della prima legge della termodinamica e compatibilmente con i vincoli non rimossi, le proprietà V ed U per i
sottosistemi A e B possono assumere i seguenti valori.
Il volume dei sottosistemi non può essere variato:
e

L’energia interna del sistema composto non può essere variata:

Postulato entropico
In altre parole, in seguito alla rimozione del solo vincolo di adiabaticità della parete di separazione può esserci solo
una ridistribuzione dell’energia interna tra i sottosistemi A e B. Tale ridistribuzione è compatibile sia con un aumento di
UA a spese di UB che con il verso opposto del flusso di energia.
Esistono infinite coppie di valori UA e UB che hanno la stessa somma e quindi sono possibili infiniti stati finali di
equilibrio.La prima legge della termodinamica non consente di prevedere il verso di una trasformazione spontanea
conseguente alla rimozione di un vincolo interno ad un sistema isolato e tanto meno permette di individuare lo stato di
equilibrio finale.

Postulato entropico
Il postulato entropico afferma che per un sistema termodinamico semplice, comprimibile, di massa assegnata in
equilibrio è definibile una proprietà estensiva S detta entropia che gode delle seguenti proprietà:

1. proprietà additiva;
2. in un sistema isolato, in seguito alla rimozione dei vincoli interni, i valori assunti dalle proprietà estensive
all’equilibrio sono tali da rendere l’entropia massima rispetto ai valori che essa potrebbe assumere
compatibilmente con i vincoli non rimossi;
3. l’entropia è una funzione continua, derivabile e monotonicamente crescente dell’energia interna;
4. l’entropia è nulla nello stato un cui la derivata parziale dell’energia interna rispetto all’entropia, a volume V
costante, è nulla.

Alla luce del postulato entropico le proprietà UA e UB assumeranno valori tali da rendere l’entropia del sistema isolato
massima rispetto a tutti i valori che essa assumerebbe in corrispondenza delle infinite coppie di valori di UA e UB.
È quindi possibile individuare lo stato di equilibrio finale e prevedere il verso della trasformazione.
Misurabilità dell’entropia
Derivando la funzione energia interna rispetto alle sue due variabili si ottiene:

Si definisce la temperatura termodinamica come

5
e la pressione termodinamica come

Essendo funzione di altre proprietà, le grandezze T e p sono esse stesse delle proprietà:
(1° equazione di Gibbs)

Misurabilità dell’entropia
Se si riesce a verificare che:

 la temperatura termodinamica coincide con quella empirica, ovvero con quella grandezza in comune tra due
sistemi all’equilibrio termico e quindi direttamente misurabile con un termometro;
 la pressione termodinamica coincide con quella empirica, ovvero con quella grandezza in comune tra due
sistemi all’equilibrio meccanico e quindi direttamente misurabile con un manometro.

Sarà quindi possibile misurare l’entropia attraverso misure di energia, temperatura, pressione e volume.

Misurabilità dell’entropia
Consideriamo nuovamente il sistema isolato precedentemente e rimuoviamo il solo vincolo di adiabaticità della parete
di separazione:

 VA e VB rimangono costanti, per cui dVA = dVB = 0;


 UA + UB = USI = cost, per cui dUA = - dUB

SSI = SA (UA, VA) + SB (UB, VB), definendo r come coefficiente di ripartizione dell'energia

essa è l'unica variabile indipendente: SSI = f(r).

Misurabilità dell’entropia
Partendo da

derivando rispetto alle due variabili:


Con si ottiene:

Dalla definizione precedente di temperatura termodinamica:

Riprendendo la definizione del parametro


Si può scrivere: e
Ottenedo quindi:

6
Misurabilità dell’entropia
La variabile r assumerà, nello stato di equilibrio finale, un valore
tale da rendere l’entropia del sistema isolato massima rispetto a
tutti i valori possibili

equazione risolta per:

La temperatura termodinamica di A coincide con la temperatura


termodinamica di B, per cui la temperatura termodinamica
coincide con quella empirica.

Misurabilità dell’entropia
In prossimità dello stato di equilibrio finale:

In seguito alla rimozione del solo vincolo di adiabaticità della parete di separazione, l’entropia del sistema isolato deve
aumentare:

Poiché se deve risultare che e quindi che:


e
Nel raggiungere l’equilibrio termico, il sistema che presenta una temperatura termodinamica maggiore
diminuisce la propria energia interna.

7
Sistemi chiusi: lavoro di variazione di volume
Richiamiamo la prima legge della termodinamica, la prima equazione di Gibbs e la seconda legge della
termodinamica:
δq−δl=du (1)
du=Tds−pdv (2)
δq−TδSgen=Tds (3)
Combinando le equazioni (1) e (2) si ottiene
δl=δq−Tds+pdv (4)
Infine, combinando la (4) con la (3) otteniamoδl=pdv−TδSgen(5)

Sistemi chiusi: lavoro di variazione di volume


Nell’ipotesi in cui la trasformazione è internamente reversibile, possiamo esprimere il tutto in
forma differenziale, estensiva e specifica:

Possiamo quindi definire il lavoro reale e il lavoro reversibile (Sgen = 0)

Da cui si evince che lreale < lrev. Osserviamo anche che nel caso di l < 0, possiamo concludere che |lreale|> |lrev|.
Tale espressione può essere applicata a casi reali come ad esempio i motori a combustione interna.

Equazione dell’energia meccanica


Lo scopo è ricavare un’equazione in cui compaiono tutti termini riconducibili ad energia di tipo meccanica. Con
riferimento al volume di controllo (striscia infinitesima) indicato in figura, si scrivono i bilanci di energia ed entropia, e
la seconda equazione di Gibbs:
Equazione dell’energia meccanica
Attraverso i passaggi di seguito riportati, ricaviamo l’espressione dell’equazione.
Esprimiamo il bilancio di energia in termini di lavoro, e utilizziamo l’equazione

Utilizziamo la seconda equazione di Gibbs:

Arriviamo infine a scrivere l’equazione dell’energia meccanica integrando tra l’ingresso 1 e l’uscita 2:

Equazione dell’energia meccanica


Ipotizzando una trasformazione reversibile , ricaviamo l’espressione per il lavoro reversibile

In cui possiamo anche fare le seguenti osservazioni

quazione dell’energia meccanica


Il lavoro trasferito dal sistema all’ambiente nel processo reale è minore, a causa della generazione di entropia, di
quello riferito al caso ideale di trasformazione reversibile

Il lavoro trasferito dall’ambiente al sistema nel processo reale è maggiore, a causa della generazione di entropia, di
quello riferito al caso ideale di trasformazione reversibile

Perdita di carico
Di solito si adopera la seguente sostituzione, definendo un termine indicato con r che è chiamato ‘’perdita di carico’’.

Si può dunque scrivere l’equazione dell’energia meccanica in forma differenziale, specifica ed estensiva.

In cui per trasformazione internamente reversibile possiamo scrivere


Equazione di Bernoulli
Scriviamo l’equazione dell’energia meccanica secondo le seguenti ipotesi:

 Trasformazione internamente reversibile (r = 0);


 Lavoro di elica nullo (le = 0);
 Fluido incomprimibile (v = cost)

Che può anche essere scritta nella seguente forma (Equazione di Bernoulli):

Disuguaglianza di Clausius
Partendo dalla seconda legge della termodinamica:

Scriviamo l’uguaglianza di Clausius per trasformazioni internamente reversibili

Combinando la seconda legge con l’uguaglianza di Clasius, si può ricavare la disuguaglianza di Clausius

Piani termodinamici
Si rappresentano ora le trasformazioni internamente
reversibili sui piani termodinamici (T,s) e (p,v).
Per quanto riguarda l’uguaglianza di Clausius, è stato visto
che:

Possiamo quindi definire l’area sottesa alla trasformazione

Piani termodinamici
Per quanto riguarda un sistema chiuso, è stato visto che:

Possiamo quindi definire l’area sottesa alla trasformazione

Per quanto riguarda un sistema aperto, è stato visto che:


Trasformazioni cicliche
In un ciclo, lo stato iniziale e lo stato finale coincidono. Dalla prima legge sappiamo che, tra lo stato iniziale e finale:

In figura, a sinistra è riportato il caso in cui viceversa a destra.


In entrambi i casi, si assume che e , andando però a cambiare la posizione degli indici a e b.

Trasformazione adiabatica internamente reversibile


Si scrive la prima equazione di Gibbs per una trasformazione isoentropica (ds = 0):

Per un gas ideale (pv = RT e du=cvdT), possiamo scrivere

Nell’ipotesi di calori specifici costanti con la temperaturac

Ricordando che R = cp-cv, k = cp/cv e quindi R/cv = k-1, si perviene alla seguente formulazione

Che per gas ideale (pv = RT) diventa

Trasformazione adiabatica internamente reversibile


Ricaviamo adesso il lavoro di variazione di volume per una trasformazione adiabatica internamente reversibile:
Introduzione
La macchina termica (MT) è un sistema termodinamico che interagendo con l’ambiente converte, con continuità,
energia dalla forma calore (energia termica) alla forma lavoro (energia meccanica).
L’ambiente circostante viene schematizzato attraverso sistemi ideali ⇒ SET e SEM.
L’energia in forma calore è generalmente ottenuta dalla combustione di un combustibile. La MT termica consente di
convertire parte di tale energia dalla forma calore alla forma lavoro. Generalmente, l’energia in forma lavoro viene poi
convertita in energia elettrica, che rappresenta la forma di energia più facilmente trasferibile.

Conversione dell’energia termica in meccanica


Poiché siamo interessati ad una conversione continua, la macchina termica
deve operare ciclicamente. Quindi, relativamente ad un intervallo di tempo
comprendente un numero intero di cicli, i bilanci di energia e di entropia per la
macchina termica (MT) sono:
Bilancio di energia su un volume di controllo (V.C.) che racchiude la
sola MT⇒ ΔUMT = 0
Bilancio di entropia su un V.C. che racchiude la sola MT ⇒ ΔSMT = 0
Possono verificarsi tre casi:
a) QA < L
b) QA = L
c) QA > L

Conversione dell’energia termica in meccanica


Il caso a) QA < L contraddice la prima legge della termodinamica, infatti (indicando cin SI il sistema isolato MT +
ambiente):
Bilancio di energia sul SI ⇒
ΔUSI = ΔUMT + Δ USET A + ΔUSEM
Δ USI = 0 - QA + L >0
Δ USI > 0 è un assurdo in quanto impone che dell’energia si generi all’interno del SI. In questo caso si otterrebbe una
1

macchina termica perpetua del primo tipo (impossibile).


Pag.
Il caso b) QA = L verifica la prima legge della termodinamica:
Bilancio di energia sul SI ⇒
ΔUSI = ΔUMT + ΔUSET A + ΔUSEM
ΔUSI = 0 – QA + L = 0
ma contraddice la seconda legge:
Bilancio di entropia sul SI* ⇒
Sgen = ΔSSI = ΔSMT + ΔSSET A + ΔSSEM
Sgen = ΔSSI = 0 – QA/TA + 0 < 0
Sgen < 0 è un assurdo in quanto impone che dell’entropia venga distrutta all’interno del SI. In questo caso si otterrebbe
una macchina termica perpetua del secondo tipo (impossibile).
*N.B. ⇒ le T vanno in Kelvin in tutta la trattazione relativa alla lezione 7

Conversione dell’energia termica in meccanica


È evidente che affinché sia verificata la seconda legge della termodinamica
deve essere presente un altro sottosistema la cui variazione di entropia
(positiva) sia pari almeno a QA/T A.
Quindi
Il caso c)QA > L è l’unico possibile; essendo QA > L la macchina dovrà
cedere al nuovo sottosistema l’aliquota di QA non convertita in lavoro e quindi
questo sottosistema deve essere un altro SET a
temperatura T B sufficientemente bassa da consentire il trasferimento.
Bilancio di energia sul SI ⇒
ΔUSI = ΔUMT + ΔUSET A + ΔUSET B + ΔUSEM = 0
ΔUSI = 0 – QA + QB + L = 0 ⇒ QA = QB + L
Bilancio di entropia sul SI⇒
Sgen= ΔSSI = ΔSMT + ΔSSET A + ΔSSET B + ΔSSEM
Sgen= ΔSSI = 0 – QA/T A + QB/T B + 0 ⇒ Sgen = – QA/T A + QB/TB

Macchina termica reversibile vs Macchina termica reale


(irreversibile)
Dai bilanci scritti in precedenza si ricava che se le trasformazioni sono reversibili (Sgen = 0) la quantità di calore non
convertita in lavoro è pari a:
QB, rev = QA ∙ T B /TA
Dunque, il lavoro reso disponibile da una macchina termica reversibile è pari a:
Lrev = QA ∙ (1 – T B /TA)
Nel caso reale irreversibile (Sgen > 0) la quantità di energia termica trasferita al SET B risulta maggiore di quella
relativa alla macchina reversibile mentre il lavoro è inferiore:
QB = QA ∙ T B /TA + TB ∙ Sgen ⇒ QB > QB, rev
L = QA ∙ (1 – T B /T A) – TB ∙ Sgen ⇒ L < Lrev
QB – QB, rev = Lrev – L = TB ∙ Sgen = Lavoro perso (Lp)
A parità di energia termica disponibile QA, a causa delle irreversibilità presenti, la macchina termica reale rende
disponibile una quantità di lavoro inferiore a quello reso dalla macchina reversibile. La differenza
tra Lrev e L costituisce il lavoro perso.

Rendimento termodinamico di prima legge (η) e seconda legge (ηII)


Il parametro adimensionale che descrive la «qualità termodinamica» di una macchina termica è il rendimento
termodinamico.
Il rendimento termodinamico di prima legge o semplicemente rendimento (ηI o semplicemente η) è definito come
il rapporto tra l’energia convertita (lavoro L) e quella da convertire (calore in ingresso QA):
η = L/ QA = (QA – QB)/ QA = 1 – QB/ QA = 1 – T B/ TA – TB ∙ Sgen / QA
con 0 < η < 1
Il valore massimo del rendimento si ha nel caso di Sgen = 0 ⇒ MT reversibile:
ηmax = ηrev = 1 – T B/ TA
per cui
0 η ≤ ηrev 1
Il rendimento termodinamico di seconda legge (ηII) è definito come il rapporto tra il rendimento di prima legge e il
rendimento di prima legge della MT reversibile operante tra le stesse temperature T A, TB:
ηII = η/ ηrev = η/(1 – T B/ TA) con 0 ηII ≤ 1
Quindi:

 η è una misura assoluta della «qualità» della MT ed è sempre minore di 1 (anche nel caso reversibile);
 ηII è una misura relativa della «qualità» della MT rispetto al caso reversibile (⇒ rendimento massimo) ed è
2
Pag.

dunque uguale a 1 per una MT reversibile.


Macchina termica di Carnot
Una macchina termica reversibile di rilevanza è la macchina di Carnot.
Il ciclo termodinamico seguito da questa macchina – noto come ciclo (diretto) di Carnot – è costituito da quattro
trasformazioni:

 due isoterme lungo le quali avvengono i trasferimenti di energia termica; affinché risulti Sgen = 0, la differenza
tra T A e la temperatura della isoterma superiore e la differenza tra la temperatura della isoterma inferiore
e T B devono essere infinitesime (dT);
 due adiabatiche che, essendo reversibili, sono isoentropiche.

ηCarnot = ηmax = ηrev = 1 – T B/ TA


Nella maggior parte delle applicazioni di interesse, il pozzo termico in cui viene riversata l’energia termica non
convertita in lavoro (QB) è l’ambiente circostante (aria, mare, fiume, …) per cui la temperatura TB è di fatto bloccata. In
figura è riportato l’andamento di ηCarnot in funzione di TA per TB = 293 K.

Introduzione
Per mantenere costante la temperatura in una cella frigorifera deve essere:
ΔU = 0 ovvero Qe = Qu
Occorre dunque asportare con continuità una quantità di energia termica (Qu) pari a quella che entra (Qe) attraverso le
pareti del frigorifero a causa della differenza di temperatura esistente tra l’ambiente circostante e la cella frigorifera.
Questa energia termica va riversata nell’ambiente in quanto esso è l’unico «SET» disponibile
Ragionamento simile vale per un locale climatizzato. Per mantenere costante la temperatura nel locale, ad es. nella
stagione invernale, deve essere:
ΔU = 0 ovvero Qe = Qu
Occorre dunque fornire una quantità di energia termica (Qe) pari a quella che esce (Qu) attraverso le pareti del locale
a causa della differenza di temperatura esistente tra il locale e l’ambiente esterno . Questa energia termica
va prelevata dall’ambiente in quanto esso è l’unico «SET» disponibile.
3
Pag.
Macchina frigorifera e Pompa di Calore
In entrambi gli esempi proposti, c’è l’esigenza del seguente PROCESSO: trasferire energia termica da un sistema
a temperatura inferiore ad uno a temperatura superiore. Tali sistemi possono essere schematizzati con due SET.
La macchina che realizza questo trasferimento è detta:

 Macchina Frigorifera (MF) se l’esigenza è quella di asportare l’energia termica dal SET a temperatura
inferiore ⇒ caso della cella frigorifera. Obiettivo ⇒ QB
 Pompa di Calore (PdC) se l’esigenza è quella di fornire l’energia termica al SET a temperatura
superiore ⇒ caso del locale da riscaldare in inverno. Obiettivo ⇒ QA

Macchina frigorifera e Pompa di Calore


Il PROCESSO in questione NON può avvenire spontaneamente. Infattil il bilancio di entropia sul SI ⇒
Sgen= ΔSSI = ΔSSET A + ΔSSET B = Q/TA – Q/TB = Q ∙ (TB – TA)/(TA ∙ TB) < 0
Si avrebbe generazione entropica negativa ⇒ Assurdo. Dunque, il trasferimento di energia termica da un sistema a
temperatura inferiore ad uno a temperatura superiore NON può avvenire spontaneamente ma è necessario installare
una Macchina Inversa (MF o PdC in funzione dell’obiettivo)

Macchina frigorifera e Pompa di Calore


Dunque per trasferire energia termica da un sistema a temperatura inferiore (TB) ad uno a temperatura
superiore (TA), è necessario che i flussi di energia termica in gioco, QB e QA siano diversi.
Infatti:
Sgen= ΔSSI = ΔSSET A + ΔSSET B = QA/TA – QB/TB
Affinché sia Sgen≥ 0, e dunque affinché il processo sia termodinamicamente possibile, occorre che il flusso entropico in
ingresso al SET A sia maggiore di quello in uscita dal SET B:
QA ≥ QB ∙ TA/TB

Macchina frigorifera e Pompa di Calore


È quindi necessario inserire una macchina inversa MI (MF o una PdC in funzione dell’obiettivo) a cui viene
4

somministrata energia meccanica (L) da un SEM (o energia termica*).


Pag.

Bilancio di energia sul SI ⇒


ΔUSI = ΔUMI + ΔUSET A + ΔUSET B + ΔUSEM = 0
ΔUSI = 0 + QA – QB – L = 0 ⇒ L = QA – QB
Risulta ΔUMI = 0 dal momento che tale macchina deve operare ciclicamente e nei bilanci si considera un intervallo di
tempo comprendente un numero intero di cicli.
L rappresenta il costo termodinamico da pagare per realizzare il processo.
* E’ il caso delle macchine inverse ad assorbimento, non trattate nel corso.

Coefficiente di Prestazione (COP)


Il parametro adimensionale che descrive la «qualità termodinamica» di una macchina inversa è il coefficiente di
prestazione (COP) (denotato anche con COP di prima legge e indicato con COPI), la cui definizione è diversa per MF
e PdC, rappresentando il rapporto tra obiettivo e spesa:

 Macchina Frigorifera: il COP è il rapporto tra l’energia termica da asportare dal SET a temperatura
inferiore (SET B) e l’energia meccanica da somministrare ⇒ COPMF = QB/L
 Pompa di Calore: il COP è il rapporto tra l’energia termica da fornire dal SET a temperatura superiore (SET
A) e l’energia meccanica da somministrare ⇒ COPPdC = QA/L

Dal precedente bilancio di energia sul SI in figura, risulta: COPPdC = COPMF +1

COP reversibile e COP di II legge (COPII) della MF


Per una MF, fissata la quantità di energia termica da asportare QB, nel caso di trasformazioni reversibili (Sgen= 0):
QA,rev = QB ∙ TA/ TB
Lrev = QA,rev – QB = QB ∙ (TA/ TB – 1) = Lminimo
COPMF,rev = QB/ Lrev = TB / (TA – TB)= COPMF,max
Lrev rappresenta il minimo lavoro necessario per trasferire la quantità di energia termica QB dal SET B al SET A.
Dunque COPMF,revrappresenta il COPMF massimo.
Nel caso reale (irreversibile), il lavoro richiesto è maggiore. Infatti dai bilanci precedenti:
L = QA – QB = QB ∙ (TA/ TB – 1) + TA ∙ Sgen = Lrev + TA ∙ Sgen
La differenza L – Lrev = TA ∙ Sgen rappresenta il lavoro aggiunto ed è direttamente proporzionale all’entropia
generata nel sistema.
Per le macchine inverse si può definire il COP di II legge (COPII) come rapporto tra il COP e il COPrev.
Per una MF:

COP reversibile e COP di II legge (COPII) della PdC


Per una PdC, fissata la quantità di energia termica da fornire QA, nel caso di trasformazioni reversibili (Sgen =0):
QB,rev = QA ∙ TB/ TA
Lrev = QA – QB,rev = QA ∙ (1-TB/TA) = Lminimo
COPPdC,rev = QA/ Lrev = TA / (TA – TB)= COPPdC,max
Lrev rappresenta il minimo lavoro necessario per trasferire la quantità di energia termica Q A al SET A.
Dunque COPPdC,rev rappresenta il COPMF massimo.
Nel caso reale (irreversibile), il lavoro richiesto è maggiore. Infatti dai bilanci precedenti:
5

L = QA – QB = QA ∙ (1-TB/TA) + TB ∙ Sgen = Lrev + TB ∙ Sgen


Pag.
La differenza L – Lrev = TB ∙ Sgen rappresenta il lavoro aggiunto ed è direttamente proporzionale all’entropia
generata nel sistema.
Anche per una PdC si può definire il COP di II legge (COPII) come rapporto tra il COP e il COPrev.

COPrev: Macchina frigorifera vs Pompa di Calore

Macchina frigorifera ⇒
Fissato TA (ad es. TA = Tambiente), COPMF,rev tende a 0 per TB tendente a O K, e tende a +∞ per TB tendente a TA

Pompa di Calore ⇒
Fissato TB (ad es. TB = Tambiente), COPPdC,rev tende a 1 per TA tendente a +∞ , e tende a +∞ per TA tendente a TB.

Macchina inversa di Carnot


Una macchina inversa reversibile di rilevanza è la macchina di Carnot che opera secondo un ciclo inverso.
Il ciclo termodinamico seguito da questa macchina – noto come ciclo inverso di Carnot – è costituito da quattro
trasformazioni:

 due isoterme lungo le quali avvengono i trasferimenti di


energia termica; affinché risulti Sgen = 0, la differenza tra la
temperatura della isoterma superiore e TA e la differenza
tra TB e la temperatura della isoterma inferiore devono essere
infinitesime (dT);
 due adiabatiche che, essendo reversibili, sono isoentropiche.

A differenza del ciclo diretto di Carnot, le isoterma TA e TB tagliano il


ciclo termodinamico nel piano T-s (mentre nel caso di ciclo diretto
sono esterne al ciclo).
6
Pag.
Componenti di sistemi termodinamici per la conversione di energia
Elementi meccanici per il trasporto di fluidi e/o per il collegamento di componenti in un impianto (condotti)

 macchine per il trasferimento di energia meccanica di elica (turbine, compressori, pompe)


 apparecchiature per il trasferimento di energia termica (caldaie, scambiatori di calore)
 dispositivi per la riduzione della pressione (valvole di laminazione)

Questi componenti possono essere schematizzati come sistemi aperti e saranno studiati nelle ipotesi di:

 regime stazionario
 flusso monodimensionale

I legge della termodinamica per sistemi aperti:

II legge della termodinamica per sistemi aperti:

Equazione dell’energia meccanica per sistemi aperti:

Condotti
L’equazione dell’energia meccanica, in assenza di organi meccanici che consentono il trasferimento di lavoro d’elica,
si scrive

Nell’ipotesi che il fluido sia liquido (v = costante) o di flusso incomprimibile:

Dividendo ambo i membri per il volume specifico v e ricordando che 1/v = "ρ", si ottiene:

Posto ⇒

1
Il bilancio di entropia consente di valutare l’entropia generata:

Nella maggior parte delle applicazioni

Perdite di carico
Le perdite di carico (r) possono essere:
concentrate:

con: ξ coefficiente adimensionale dipendente dalla geometria e dalla tipologia del disturbo localizzato e w2/2 energia
cinetica specifica media
distribuite:

con f fattore d’attrito. E’ un parametro adimensionale dipendente dalle proprietà del fluido, dalla sua velocità e dalla
geometria del condotto. E’ calcolabile con l’uso di abachi, tabelle e formule; L/D lunghezza del condotto
adimensionalizzata rispetto al suo diametro e w2/2 energia cinetica specifica media

Condotto orizzontale a sezione costante con fluido in fase liquida (ρ costante)


Vale innanzitutto la seguente uguaglianza:
zi = zu
Se il fluido di lavoro è liquido (ρi = ρu), è possibile scrivere:

Dunque:

La pressione del fluido che attraversa il condotto diminuisce a causa


delle irreversibilità presenti nel sistema (attrito interno al fluido a
causa della sua viscosità ed attrito tra il fluido in moto e le pareti del
condotto).

Condotto orizzontale a sezione costante con fluido in fase liquida (ρ costante)


Come nel caso precedente, se il fluido di lavoro è liquido (ρi = ρu),
ricordando l’ipotesi di regime stazionario, è possibile scrivere:

Essendo il condotto inclinato, vale che:

 il termine ρr dovuto alle perdite di carico tende sempre a far


diminuire la pressione;
 il termine ρg(zi-zu) tende a far aumentare la pressione nel caso in
cui zi>zu (condotto in discesa), mentre tende a farla diminuire nel
caso in cui zi<zu (condotto in salita).

Variazione di Temperatura nei condotti con fluido in fase liquida (ρ costante)


Dalla I legge della termodinamica si ha che:

Ricordando che ∆h=c ∆T+v ∆p, s ottiene:

2
Dall’equazione dell’energia meccanica:

Pertanto è possibile scrivere:

Nel caso di condotto adiabatico (q=0) e di trasformazione internamente reversibile (r=0) si ha

e quindi:

così come deve essere, avendo ipotizzato r = 0.

Macchine motrici e Macchine operatrici


Le macchine per il trasferimento di energia meccanica di elica sono dette macchine a fluido dinamiche per
distinguerle dalle macchine a fluido volumetriche in cui il lavoro trasferito è lavoro di variazione di volume.La
macchina a fluido può essere

 motrice: l’energia meccanica è trasferita dal fluido all’ambiente dove verrà opportunamente utilizzata;
 operatrice: l’energia meccanica è trasferita dall’ambiente, dove è resa opportunamente disponibile, al fluido.

Per questi dispositivi l’interazione energetica come lavoro di elica (le) è molto più significativa di quella come calore, a
meno che la macchina non sia intenzionalmente raffreddata come può accadere per un compressore. Per la maggior
parte delle macchine, anche le variazioni di energia cinetica e potenziale della portata massica tra i varchi di uscita e
di ingresso risultano trascurabili rispetto al lavoro di elica.
Ipotesi

Macchine motrici e Macchine operatrici


Quindi le leggi generali studiate per sistemi aperti si riducono (nell’ipotesi di 1 ingresso ed 1 uscita) a:
I principio della termodinamica:

II principio della termodinamica:

Equazione dell’energia meccanica:

Macchine motrici e macchine operatrici


Si osservi che nelle ipotesi fatte
TRASFORMAZIONE IDEALE REVERSIBILE
(la trasformazione è isoentropica)
TRASFORMAZIONE REALE IRREVERSIBILE

Dall’equazione dell’energia meccanica si ricava che:


MACCHINE MOTRICI

MACCHINE OPERATRICI

Turbina
La turbina è una macchina motrice a fluido che realizza la conversione di energia potenziale (entalpia) del fluido in
lavoro di elica.

3
Il fluido di lavoro può essere in fase:

 liquida ⇒ turbina idraulica TI*


 aeriforme
o vapore surriscaldato ⇒ turbina a vapore TV
o gas ⇒ turbina a gas TG

Scriviamo il bilancio di entropia per queste macchine:

da cui:
con
Nel caso di una trasformazione reversibile:
trasformazione isoentropica
*Non vengono trattate in questo corso

Turbina
Il raffronto tra la trasformazione reale e quella ideale può essere condotto in termini di rendimento isoentropico.
Esso pone a confronto il lavoro trasferito nel processo reale e quello che sarebbe trasferito in un processo reversibile
comunque adiabatico (quindi isoentropico) che parte dallo stesso stato iniziale e porta il fluido alla stessa pressione
finale del processo reale.
Il rendimento isoentropico della turbina è una grandezza adimensionale il cui valore può variare tra 0 ed 1 ed è
definito nel modo che segue:

con:

Il lavoro è un guadagno, che nel caso reale è minore.

Turbina a vapore
Le turbine a vapore (TV) sono usate nelle centrali termoelettriche accoppiate a generatori elettrici realizzando potenze
tra 15 e 1500 MW. Sono impiegate per trascinare macchine operatrici come pompe, compressori e ventilatori (0.5 –
10 MW) o per la propulsione navale (20 – 40 MW).
Possono essere:

 a condensazione ⇒ il fluido è scaricato in un ambiente a pressione


inferiore a quella atmosferica (un condensatore);
 a contropressione ⇒ il fluido è scaricato in un ambiente a pressione
atmosferica o anche ad essa superiore.

Di seguito si riportano il bilancio di massa e il bilancio di energia:


Massa:

Energia:

4
Turbina a vapore
Facciamo delle considerazioni per il caso reale irreversibile rispetto al caso ideale reversibile:
cresce ⇒ aumenta ⇒ il punto u di uscita si sposta più a destra ⇒ aumenta il valore di ⇒ decresce il
valore di

Turbina a vapore
ESEMPIO
10 kg/s di acqua a 10 MPa e 500 °C entrano in una turbina. Il 10 % della portata viene estratto alla pressione di 2
MPa ed alla temperatura di 300 °C, mentre la rimanente portata espande fino alla pressione di 20 kPa e titolo 92 %.
Valutare la potenza meccanica erogata.
Il bilancio di energia, relativamente al volume di controllo tratteggiato in Figura, si scrive:

con:

Turbina a gas
Le turbine a gas (TG) sono usate anch’esse per la produzione di energia
elettrica, per trascinare macchine operatrici e per la propulsione navale
ed aerea. Negli impianti termoelettrici la turbina a gas è impiegata per far
fronte alle punte di potenza richiesta mentre la turbina a vapore è usata
per la base costante nel tempo.
Di seguito si riportano il bilancio di massa e il bilancio di energia (sono gli
stessi di quelli per la turbina a vapore):

5
Massa:

Energia:

Turbina a gas
ESEMPIO
2 kg/s di aria alla temperatura di 500 °C ed alla pressione di 0.7 MPa entrano in una turbina. L’aria, all’uscita, è alla
temperatura di 200 °C ed alla pressione di 0.1 MPa. Valutare la potenza meccanica resa all’ambiente.
Il bilancio di energia, relativamente al volume di controllo tratteggiato in Figura, si scrive:

Da cui si ottiene:

Turbina a gas
Facciamo una considerazione sul diagramma T-s riportato in Figura:

Caso reale (i - u) =

Caso ideale (i - us) =


Essendo hi= ha poiché T i = T a e per un gas ideale h è funzione solo di T. La differenza le,s - le, pari all'area (3 us u 1),
rappresenta il lavoro perso a causa delle irreversibilità interne presenti nel sistema.

Turbina a gas
Ricaviamo l’equazione di una trasformazione isoentropica per un gas ideale.
Trasformazione isoentropica ⇒ ds = 0

Gas ideale ⇒
Pertanto risulta possibile scrivere:

Ponendo e
N.B. Le T vanno in Kelvin

Pompa e compressore
La pompa e il compressore sono macchine operatrici a fluido che trasferiscono energia dall’ambiente esterno (il
motore che muove la girante) al fluido realizzando il voluto aumento di pressione.

6
La pompa elabora un liquido. Il compressore elabora un aeriforme.
Di seguito si riportano il bilancio di massa e il bilancio di energia:
Massa

Energia

Macchine operatrici
Il rendimento isoentropico è una grandezza adimensionale il cui valore può variare tra 0 ed 1 ed è definita nel modo
che segue:

con:

Il lavoro è una spesa, che nel caso reale è maggiore.

Pompa
Nel caso della pompa, applicando il modello di liquido incompribile, il rendimento isoentropico assume la
seguente espressione:

Difatti, si ha che:
Caso reale irreversibile -> e
Caso reale reversibile -> e

7
Compressore
Il fluido di lavoro è in fase aeriforme. Di seguito si riportano nuovamente il bilancio di massa, il bilancio di energia e
l’espressione del rendimento
Massa

Energia

Se è valido il modello di gas ideale, vale la seguente relazione

Facciamo una considerazione sul diagramma T-s riportato in Figura (si usa la stessa costruzione grafica proposta per
la TG).
Caso reale (i-u) ⇒
Caso ideale (i-us) ⇒
La differenza , pari all’area (2 a b 3), rappresenta il lavoro aggiunto a causa delle irreversibilità presenti nel
sistema.

Ponendo e

Compressione isoterma: Modello di gas ideale


Si consideri un altro caso limite, quello di compressione isoterma internamente reversibile (pedice t):

Dall'equazione dell'energia meccanica:


Piano p-v

8
Piano T-s

Compressione inter-refrigerata: Modello di gas ideale


La compressione isoterma è dunque vantaggiosa richiedendo un lavoro d’elica minore rispetto all’adiabatica.
Tuttavia, essa è difficilmente realizzabile dal punto di vista tecnico, dal momento che è difficile ottimizzare la
progettazione di una macchina che scambia significative quantità di energia termica e meccanica con l’ambiente
(sarebbero necessarie superficie di scambio termico considerevoli in presenza di organi meccanici in moto).
Pertanto la compressione isoterma viene «approssimata» da una compressione frazionata con refrigerazione
intermedia, nota anche come compressione inter-refrigerata. Si tratta di compressioni adiabatiche multiple
(generalmente due, vedi fig.) in serie intervallate da refrigerazioni intermedie. Nel caso riportato in figura, applicando il
modello di gas ideale, è possibile scrivere:

con:
La condizione minimizza la potenza meccanica richiesta per comprimere il gas dalla
pressione alla pressione , come si ricava annullando la derivata del lavoro rispetto a .
Come è possibile notare graficamente in fig, la compressione inter-refrigerata richiede un lavoro minore rispetto ad
un’unica compressione adiabatica. SPIEGAZIONE FISICA ⇒ l’inter-refrigerazione determina una riduzione del
volume specifico del gas ⇒ il lavoro d’elica di compressione richiesto diminuisce come chiaro dall’equazione
dell’energia meccanica.

9
10
Scambiatori di calore
Uno scambiatore di calore è un’apparecchiatura per modificare lo stato termodinamico di una corrente fluida
attraverso il trasferimento di energia termica.
Alcuni esempi di scambiatori di calore sono riportati nel seguito:

 generatore di vapore/caldaia: utile ad incrementare l’entalpia di una corrente d’acqua, prima che sia inviata
ad una turbina a vapore. Il prodotti della combustione costituiscono il fluido caldo, mentre l’acqua che scorre
all’interno corrisponde al fluido freddo;
 combustore: utilizzato per ottenere una corrente di gas ad alta temperatura per alimentare una turbina a gas.
Il fluido caldo corrisponde ai prodotti della combustione, mentre l’aria da riscaldare è il fluido freddo;
 evaporatore: nelle macchine frigorifere, è uno scambiatore di calore utile per far evaporare il
fluido refrigerante (fluido freddo) attraverso l’utilizzo di un fluido caldo.

Lo scambiatore di calore è analizzato attraverso le seguenti ipotesi:

 Flusso monodimensionale,
 Regime stazionario,
 Adiabaticità verso l’esterno.

Dal punto di vista termodinamico, possiamo distinguere le seguenti tipologie:

 Mescolatore adiabatico,
 Generatore di vapore,
 Scambiatore a superficie.

Mescolatore adiabatico
Il mescolatore adiabatico ha due correnti di fluido con
diverso contenuto energetico (a pari pressione), le quali
si mescolano affinchè all’uscita si ottenga una portata
nello stato termodinamico desiderato.
Bilancio di massa

Bilancio di energia

Bilancio di entropia

1
Generatore di vapore
Il generatore di vapore ha il fluido freddo che entra (i) ed esce (u) ad una
temperatura maggiore a causa dell’interazione con
un SET a temperaturamaggiore della temperatura d’ingresso.
Bilancio di massa

Bilancio di energia

Bilancio di entropia

Scambiatore di calore a superficie


Lo scambiatore a superficie permette l’interazione termica tra due portate di fluido senza farle mescolare,
permettendo lo scambio di calore attraverso l’aumento di entalpia per quanto riguarda la corrente fredda (e viceversa
per la corrente calda).
In tale scambiatore, i bilanci sono molto influenzati dalla tipologia di volume di controllo adottata. Di seguito, ci si
riferisce al volume di controllo riportato in figura.
Bilancio di energia

Bilancio di entropia

Scambiatore di calore a superficie


In tale scambiatore e volume di controllo, possiamo ricondurre
la generazione di entropia a due cause:

 trasferimento di energia termica tra il fluido caldo e freddo,


causato da una differenza finita di temperatura;
 attriti in seno ad entrambi i fluidi, e tra i fluidi e
le pareti dei condotti.

Si valutano separatamente i due contributi andando a variare


il volume di controllo; in particolare ci si riferisce al volume di
controllo V.C.1 riportato in figura, che si riferisce al solo fluido caldo,
lambendo la parte inferiore del setto separatore.

2
Scambiatore di calore a superficie
Bilancio di energia

Bilancio di entropia

Ipotizziando che entrambi i fluidi siano gas (nel volume elementare in figura,

Ricordando che Tuc < Tic, si perviene all’espressione finale

Tale entropia tiene conto solo degli attriti relativi al


fluido caldo (interni e fluido parete), dunque è dovuta a
cause meccaniche (Sgen,mecc).
Al fine di includere anche l’entropia generata per
causa termiche, si procede con l’assegnazione di un nuovo
volume di controllo V.C.2, riportato in figura.

Scambiatore di calore a superficie


Bilancio di energia

Bilancio di entropia

Ipotizziando che entrambi i fluidi siano gas (nel volume elementare in figura),

Scambiatore di calore a superficie


Dai bilanci di energia applicati in volumi di controllo relativi a solo il fluido caldo o al solo fluido freddo (visti in
precedenza), sappiamo che, ricordando l’ipotesi di gas,

Definiamo le seguenti temperature medie

Utilizzando le temperature medie appena definite, richiamando l’equazione vista precedentemente, si ha

E l’espressione finale

In tale espressione, si osserva che abbiamo sia il contributo termico che meccanico all’entropia generata.

Scambiatore di calore a superficie


Infine, si illustra il caso in cui si calcola l’entropia generata per cause termiche.
Il volume di controllo lambisce il setto separatore da entrambi i lati dello scambiatore, come indicato in figura.

3
In questo caso, ipotizziamo che il fluido freddo sia un gas, mentre il fluido caldo sia un fluido qualsiasi in cui
la pressione di ingresso sia uguale a quella d’uscita (trasformazione endoreversibile).

Scambiatore di calore a superficie


Bilancio di energia

Bilancio di entropia

Per ipotesi, ricordiamo che il fluido freddo è un gas

e che la trasformazione riferita al fluido caldo è endoreversibile

Svolgendo gli integrali, è possibile arrivare alla seguente espressione finale

In cui l’entropia generata è solo per cause termiche.

Valvola di laminazione
La valvola di laminazione è un semplice componente atto a ridurre la pressione di una corrente fluida in un
condotto.
La valvola realizza una parziale ostruzione al flusso; l’area della sezione libera al passaggio è
spesso regolabile dall’esterno manualmente o automaticamente. La maggiore o minore apertura della valvola
significa una maggiore o minore resistenza al flusso e quindi una minore o maggiore caduta di pressione.

4
Valvola di laminazione
Sotto le ipotesi di

Si scrivono i bilanci di massa

E di energia

Il processo che ha luogo in una valvola di laminazione è ovviamente per sua natura irreversibile in quanto è basato
su un fenomeno di attrito viscoso, volutamente indotto.
Esso rappresenta uno dei pochi casi in cui si introduce volontariamente una sorgente di generazione entropica;
questa spesa è compensata dalla semplicità del componente.

Valvola di laminazione
Introduciamo il bilancio di entropia

Da cui evinciamo che l’entropia aumenta, al contrario dell’entalpia che rimane uguale. Si analizzano adesso gli
andamenti di pressione e temperatura.
Per un gas ideale, in cui

Per un liquido sottoraffreddato, in cui,

5
Impianti motori
Si analizzano i sistemi termodinamici per convertire l’energia.

1. Un sistema è l’insieme di più componenti collegati in modo tale da perseguire uno specifico obiettivo;
2. gli impianti che convertono l’energia termica in meccanica sono detti impianti motori;
3. in base alla sostanza di lavoro, si parla di impianti a vapore o a gas;
4. i cicli di riferimento in funzione della sostanza di lavoro sono i cicli Rankine (vapore) e Joule (gas).

Ciclo di Carnot
La conversione dell’energia avviene tramite una macchina
generalmente detta macchina termica.
La macchina termica utilizzata come riferimento ideale è
il ciclo di Carnot, un ciclo endoreversibile composto da
due trasformazioni isoentropiche e due isoterme, il cui
rendimento è pari a

Con TA e TBtemperature superiore ed inferiore del ciclo,


rispettivamente: entrambe coincidono con le temperature
dei SET A e B, rispettivamente TSET,A e TSET,B.

Limiti del ciclo di Carnot


Il ciclo di Carnot è solo un riferimento ideale a causa dei seguenti limiti:

 impossibilità nell’eseguire dei trasferimenti di calore tra i SET e il ciclo con differenze di temperature
infinitesimi, in quanto servirebbe uno scambiatore di calore di area infinita;
 difficoltà pratica nella scelta di componenti idonei per poter effettuare le quattro trasformazioni.

Dal ciclo di Carnot al ciclo Rankine


Di seguito, si analizza come poter passare dal ciclo di Carnot al ciclo Rankine.
Siccome è richiesto che la adduzione/sottrazione di calore avvenga a temperatura uniforme, il ciclo è
rappresentabile sotto la curva a campana del piano (T,s): di conseguenza, si sfrutta il passaggio di fase.
Come fluido di lavoro si utilizza l’acqua in quanto gode di ottime proprietà termodinamiche ed è facile da reperire.

1
Dal ciclo di Carnot al ciclo Rankine
Oltre allo spostamento del ciclo, si elencano di seguito i componenti necessari alle varie trasformazioni:

 1⇒ 2 pompa (Lp),
 2⇒ 3 scambiatore di calore (generatore di vapore, Qgv),
 3⇒ 4 turbina a vapore (Ltv),
 4⇒ 1 scambiatore di calore (condensatore, Qco).

In figura si riportano le trasformazioni del fluido, ipotizzando componenti ideali (ηp ed ηtv = 1)

Dal ciclo di Carnot al ciclo Rankine


Per poter migliorare il ciclo, si possono effettuare le seguenti migliorie, trasformazione per trasformazione:

 1 ⇒ 2 il punto 1 è scelto in modo tale che aspiri liquido saturo, siccome la pompa lavora con i liquidi,
 2 ⇒ 3 il punto 3 è posto a temperatura più alta possibile, in modo da poter sfruttare il calore reso disponibile
dal SET A: il limite massimo è di natura tecnologica ed è di circa 600 °C,
 3 ⇒ 4 il punto 4 è scelto in modo tale che la turbina a vapore lavori con vaporisaturi ad altotitolo:
convenzionalmente, x4 ≥ 0,85,
 4 ⇒ 1 il condensatore garantirà il ritorno al punto 1, liquido saturo.

2
Ciclo Rankine
Infine, possiamo rappresentare il ciclo Rankine reale considerando per le macchine operatrici/motrici (pompa e
turbina a vapore) un rendimento minore di 1.

Bilanci di prima e di seconda legge


Con riferimento ai volumi di controllo riportati in figura, possiamo riportare i bilanci di prima e seconda legge per i
vari componenti.
Pompa
1° legge:
2° legge:
Generatore di vapore
1° legge:
2° legge:
Turbina a vapore
1° legge:
2° legge:
Condensatore
1° legge:
2° legge:

3
Bilanci di prima e di seconda legge
Infine, riportiamo l’espressione del rendimento in funzione delle entalpie:

Siccome Lp << Lt in quanto la pompa lavora con un liquido, che ha un basso volume specifico, il rendimento è
anche approssimabile con la seguente espressione:

Modifiche al ciclo Rankine


Una volta definito il rendimento del ciclo Rankine, è importante capire come fare per massimizzare il suo valore.

 Si possono modificare i parametri operativi;


 si può agire modificando il ciclo attraverso l’introduzione di ulteriori componenti.

Modifiche al ciclo Rankine


Si definisce il rendimento in funzione delle temperature medie superiore ed inferiore del ciclo, per
comprendere cosa fare per migliorarlo.

4
Dalla temperatura termodinamica, definiamo la temperatura media tra due stati di un’isobara:

A valle di quest’espressione, possiamo esplicitare la seguente espressione del rendimento:

Come rendimento in funzione delle temperature medie inferiore e superiore:

Modifiche al ciclo Rankine


Per poter migliorare il rendimento attraverso l’utilizzo della definizione del rendimento in funzione delle temperature
medie inferiore e superiore, si possono sfruttare le seguenti modifiche:

 abbassare la pressione al condensatore, e quindi la temperatura media inferiore;


 aumentare la temperatura massima del ciclo T3, e quindi la temperatura media superiore (riportato in
figura);
 aumentare la pressione al generatore di vapore, e quindi la temperatura media superiore.

Modifiche al ciclo Rankine: rigenerazione a superficie


Con l’utilizzo di un rigeneratore a superficie, si effettua uno spillamento di parte della portata massica che espande
in turbina: tale quantità serve a pre-riscaldare il fluido in ingresso al generatore di vapore.
In questo modo, aumentando la temperatura media superiore, il rendimento del ciclo risulterà aumentato.
C’è da osservare che, nonostante aumenti il rendimento, il lavoro netto risulterà diminuito.

5
Modifiche al ciclo Rankine: rigenerazione a superficie
Infine, possiamo anche dimostrare che il rendimento aumenta in quanto si riduce la
generazione entropica attraverso la seguente relazione

Schematizzando il generatore di vapore come un SET a temperatura pari alla Tms, attraverso
un bilancio riferito al volume di controllo:

Da dove si evince che si riducono sia il calore scambiato che il ΔT, dunque la generazione
entropica Sgen.

Modifiche al ciclo Rankine: rigenerazione a miscela


Con l’utilizzo di un rigeneratore a miscela, si effettua uno spillamento di parte della portata massica che espande in
turbina: tale quantità serve a pre-riscaldare il fluido in ingresso al generatore di vapore.
In questo modo, aumentando la temperatura media superiore, il rendimento del ciclo risulterà aumentato.
A differenza di prima, al fine di avere pressioni uguali nel rigeneratore a miscela, è necessario utilizzare un’altra
pompa invece della valvola di laminazione.

Modifiche al ciclo Rankine: risurriscaldamento


Si può aumentare il rendimento del ciclo Rankine anche attraverso il risurriscaldamento.
Con tale modifica, la turbina a vapore è sostituita da due turbine a vapore con diversi salti di pressione: il fluido,
dopo essere uscito dalla prima turbina a vapore, torna nel generatore di vapore per preriscaldare il fluido
e aumentare la temperatura media superiore.

6
7
Impianti operatori
Una delle conseguenze della seconda legge mostra che il trasferimento di energia termica da una sorgente a
temperatura inferiore ad una a temperatura superiore non può avvenire spontaneamente. È necessaria infatti una
sorgente, posta in ambiente, che fornisca energia.
I sistemi che, operando ciclicamente, realizzano questa conversione energetica, sono detti impianti operatori ed in
particolare impianti frigoriferi o pompe di calore a seconda che la finalità sia il refrigerare o il riscaldare.
Si parla inoltre di ciclo inverso in quanto è antiorario il verso di percorrenza secondo cui evolve il fluido di lavoro nella
rappresentazione del ciclo su un piano termodinamico.
La seguente trattazione si riferisce al tipo di impianto più diffuso, ovvero a quello correntemente indicato
come impianto a compressione di vapore.

Impianti a compressione di vapore


Per gli impianti a compressione di vapore, il funzionamento necessita di energia meccanica ed il ciclo è ubicato a
cavallo della regione bifasica.
L’analisi è svolta nell’ipotesi di regime stazionario e flusso monodimensionale. Sono inoltre esaminati sistemi
bitermici, cioè interagenti con due SET, uno a temperatura superiore (TA) ed uno a temperatura inferiore (TB).
Il fluido di lavoro è detto anche fluido frigorigeno, una sostanza tipicamente bassobollente, con caratteristiche tali da
renderlo idoneo alla particolare applicazione tecnologica. L’effetto refrigerante è prodotto dall’evaporazione del
fluido, che determina un flusso termico dall’ambiente al fluido stesso. Per ottenere un processo continuo, è necessario
che il vapore prodotto sia prima compresso per portarlo ad una temperatura idonea, condensato (per interazione
termica con l’ambiente esterno) e riportato al suo stato termodinamico iniziale con una riduzione di pressione.

Ciclo di Carnot inverso


Il ciclo inverso utilizzato come riferimento ideale è il ciclo di
Carnot inverso, cioè un ciclo reversibile composto da due
trasformazioni isoentropiche (1-2 di compressione e 3-4 di
espansione) e due trasformazioni isoterme (2-3 di sottrazione
di calore e 4-1 di adduzione di calore).
Il coefficiente di prestazione COPf,revvalutato per una macchina
frigorifera vale:

Dove TA e TB sono le temperature dei due SET che coincidono, a


meno di un infinitesimo, con le temperature superiore ed inferiore
del ciclo.

1
Limiti del ciclo di Carnot inverso
In concreto, le trasformazioni 2-3 e 4-1 devono avvenire
in degli scambiatori di calore che, se ideali, realizzano
isobare. Poiché nel ciclo di Carnot tali trasformazioni
sono isoterme, si deduce che il fluido di lavoro deve
necessariamente essere un vapore che bolle lungo la 4-1
e che condensa lungo la 2-3.

Limiti del ciclo di Carnot inverso


Un impianto di questo tipo non è concretamente realizzabile per i seguenti motivi:

 è necessario che ci sia una differenza finita tra il fluido di lavoro e l’ambiente interagente;
 il compressore dovrebbe operare su un vapore umido, e ciò non è possibile per problemi di usura meccanica
e di lubrificazione. Si preferisce quindi iniziare la fase di compressione almeno con un fluido in condizione
di vapore saturo secco (x=1). Ciò comporta un’isobara superiore che non è più isoterma, in quanto a fine
compressione il vapore sarà surriscaldato;
 il lavoro ottenibile nell’espansione 3-4 è trascurabile rispetto a quello necessario per la compressione;
l’impiego di una turbina non risulta essere economicamente vantaggioso. Si preferisce utilizzare quindi
una valvola di laminazione, che realizza la fase di espansione dalla pressione di condensazione a quella di
evaporazione tramite una perdita di carico concentrata.

Ciclo a compressione di vapore


Il ciclo così modificato prende il nome di ciclo a compressione di vapore standard, caratterizzato dall’irreversibilità
causata dai trasferimenti termici con una differenza di temperatura finita e dall’irreversibilità causata dal processo di
laminazione. Si elencano di seguito i componenti necessari alle varie trasformazioni:

 1->2 compressore (Lc);


 2->3 scambiatore di calore (condensatore, Qco);
 3->4 valvola di laminazione;
 4->1 scambiatore di calore (evaporatore, Qev).

In figura si riportano le trasformazioni del fluido sui piani (T-s) e (p-h) e lo schema dei componenti, ipotizzando vapore
saturo secco all’ingresso del compressore (x1=1), liquido saturo all’uscita del condensatore (x 3=0) e compressione
ideale (ηc = 1).

Bilanci di prima e di seconda legge


Con riferimento ai volumi di controllo riportati in figura, si riportano le equazioni di bilancio di prima e seconda legge
per i vari componenti.

2
Compressore
1° legge:
2° legge:
Condensatore
1° legge:
2° legge:
Valvola di laminazione
1° legge:
2° legge:
Evaporatore
1° legge:
2° legge:

Bilanci di prima e di seconda legge


Con riferimento all’intero impianto, unendo cioè tutti i volumi di controllo visti precedentemente:
1° legge:
2° legge:
La potenza meccanica fornita dal compressore uguaglia la differenza tra la potenza termica scaricata all’ambiente e
quella asportata a bassa temperatura. L’entropia globalmente generata è la differenza tra i due flussi entropici,
uscente ed entrante, causati dai trasferimenti di potenza termica e valutati rispettivamente alle temperature dei SET.Il
COP dell’impianto frigorifero a compressione di vapore è esprimibile in funzione del valore dell’entalpia nei punti
chiave:

Ciclo a compressione di vapore – Pompa di calore


La trattazione per la pompa di calore è del tutto analoga a quella sviluppata per la macchina frigorifera. In questo
caso, l’evaporatore è posto nell’ambiente esterno (a temperatura inferiore) dal quale preleva la potenza , e che il
condensatore è posto nell’ambiente confinato (a temperatura maggiore) a cui cede . Si riportano sinteticamente le
relazioni principali:

3
Fluidi di lavoro
Nei cicli a compressione di vapore l’effetto frigorifero è ottenuto grazie all’evaporazione di un fluido,
detto refrigerante o fluido frigorigeno, rappresentato tipicamente da sostanze bassobollenti, di origine naturale o
sintetici. Questi ultimi sono derivabili da idrocarburi quali metano, etano o propano per sostituzione parziale o totale
degli atomi di idrogeno con quelli di alogeni. I primi fluidi sintetici utilizzati su larga scala sono stati
i CFC (clorofluorocarburi), banditi dal protocollo di Montreal (1989) e soppiantati inizialmente
dagli HCFC (idroclorofluorocarburi) ed infine dagli HFC (idrofluorocarburi), a causa dei danni provocati all’ozono una
volta rilasciati in atmosfera. La famiglia di refrigeranti HFC, seppur innocui per l’ozono stratosferico, contribuisce
significativamente all’effetto serra, la cui riduzione è prevista dai successivi accordi internazionali di Kyoto
(1996) e Parigi (2016). Allo stato attuale, è attesa una graduale riduzione dell’utilizzo di fluidi HFC, che possono
essere sostituiti da fluidi sintetici differenti come gli HFO (idrofluoroolefine) oppure da fluidi naturali, come ammoniaca
ed anidride carbonica.

Effetto proprietà del refrigerante sul ciclo termodinamico


A parità delle temperature dei due SET A e B, si analizzano gli effetti di alcune proprietà termofisiche dei refrigeranti
sulle prestazioni del ciclo.

 Una maggiore pendenza della curva


limite superiore determina una minore
temperatura di fine compressione,
con conseguente ridotta differenza di
temperatura tra fluido e SET e
generazione entropica al
condensatore. La pendenza della
curva limite superiore è influenzata
dal rapporto tra i calori specifici cp e
cv della fase vapore.
 Una maggiore differenza tra la
temperatura critica del fluido e la
temperatura del SET A comporta
ancora una volta minori temperature
di fine compressione e quindi minore
generazione entropica al
condensatore. Inoltre, la variazione di
entropia nella valvola di laminazione
risulta maggiore, incrementando la
generazione entropica per cause
meccaniche.
 Una maggiore pendenza della curva
limite inferiore determina una
maggiore variazione di entropia nella
valvola di laminazione e quindi una
maggiore generazione entropica in
questo componente. La pendenza
della curva limite inferiore è
dipendente dal calore specifico del
liquido.

4
Scelta del fluido di lavoro
A differenza di un tradizionale ciclo Rankine, in cui il fluido di lavoro è sempre l’acqua, per i cicli a compressione di
vapore sono quindi disponibili diverse sostanze, che vanno scelte in funzione della loro idoneità all’applicazione
tecnologica di riferimento. La selezione avviene effettuando le seguenti considerazioni.
Fissate le temperature dei SET A e B ed il ΔT minimo negli scambiatori di calore, si deve avere:

 Pev> 1 bar (per evitare rientrate di aria


atmosferica);
 Pco < 25 bar (per evitare problemi di tenuta negli
scambiatori di calore);
 Tcr>TA+ΔT (per avere un ciclo subcritico ed
evitare temperature di fine compressione troppo
alte);
 Ttr<TB-ΔT (Al di sotto del punto triplo si avrebbe la
formazione di fase solida).
 Si valuta l’utilizzo di fluidi infiammabili e tossici in
relazione all’applicazione ed ai vincoli di legge.
 Verificare la compatibilità del fluido con i materiali
(ad esempio l’ammoniaca è incompatibile con il
rame e le sue leghe!)
 Verificare la compatibilità del fluido con i vincoli di
impatto ambientale.

Modifiche al ciclo a compressione di vapore


A differenza del ciclo Rankine, nel ciclo a compressione di vapore
non c’è un componente che genera molta più entropia degli altri. In
particolare, l’incidenza percentuale delle generazioni entropiche dei
singoli componenti sulla generazione entropica totale dipende dalle
scelte progettuali (tipologia fluido, superfici degli scambiatori di
calore, qualità del compressore,…) e dalle condizioni operative.
Come mostrato nell’esempio in figura, a parità di potenza
termica scambiata all’evaporatore, il peso relativo dell’entropia
generata nella valvola di laminazione e nel compressore aumenta se
diminuisce la temperatura di evaporazione Tev.
Per applicazioni in cui si ha un elevata differenza tra la temperatura
di condensazione e quella di evaporazione, quindi, è necessario
modificare il ciclo affinché le generazioni entropiche relative a
compressore e valvola di laminazione possano essere ridotte.

Modifiche al ciclo: FGR (flash-gas removal)


Il fluido che espande nella valvola di laminazione dalla pressione di condensazione a quella di evaporazione produce
una certa quantità di vapore (flash gas). Quest’ultimo, non potendo evaporare ulteriormente, non contribuisce
all’effetto frigorifero ed inoltre costituisce una spesa per la successiva fase di compressione.
Immaginiamo di frazionare la fase di espansione in due parti, separando liquido e vapore prodotti dalla prima
espansione, per poi farli espandere separatamente fino alla pressione di evaporazione e ricombinarli. Questa
configurazione (volume di controllo B in figura), a parità di stato 3 di partenza, è del tutto equivalente alla
configurazione tradizionale (volume di controllo A in figura).
Dallo schema del volume di controllo B e dal piano p-h in figura risulta evidente che la laminazione della fase vapore
nel punto 8 genera un vapore surriscaldato (punto 9), la cui ricondensazione fino al punto 4 avviene a spese della
corrente liquida in 7.
La portata di vapore in 8 pertanto è controproducente per l’effetto desiderato all’evaporatore (sottrae liquido utile
all’evaporatore), ed inoltre richiede di essere compressa dalla pressione minima del ciclo Pev alla pressione di
condensazione Pco.

5
Modifiche al ciclo: FGR (flash-gas removal)
Lo schema del ciclo frigorifero con rimozione del flash gas con le corrispondenti trasformazioni sul piano p-h sono
riportate in figura. La fase di espansione è frazionata utilizzando un livello di pressione intermedia P i tra quella di
evaporazione Pev e quella di condensazione Pco. Il vapore prodotto dalla prima espansione in valvola (punto 8) non
prosegue per la successiva laminazione ma viene direttamente compresso tramite un secondo compressore C2 fino
alla pressione di condensazione Pco. Il liquido prodotto dalla prima laminazione in condizione 6 viene invece
ulteriormente laminato fino alla pressione di evaporazione ed inviato all’evaporatore per ottenere l’effetto utile,
proseguendo infine nel compressore principale C1 che porta il vapore alla pressione di condensazione Pco. I vapori
surriscaldati in uscita dai due compressori si mescolano adiabaticamente ottenendo il punto 11 di ingresso al
condensatore.
Con questa modifica di impianto si evita l’effetto dannoso della portata di vapore sull’effetto utile all’evaporatore,
contribuendo all’aumento del COP dell’impianto.

Modifiche al ciclo: compressione bi-stadio e FGR


Per ridurre la temperatura di fine compressione del compressore C1 del ciclo modificato con FGR, è possibile
renderla bi-stadio tra le pressioni Pev e Pi e Pi e Pco, usando il liquido saturo disponibile nel ricevitore a pressione
intermedia Pi per abbassare la temperatura di inizio compressione dello stadio successivo (da Pi a Pco). Lo schema di
impianto modificato con compressione bi-stadio è raffigurato in figura. Il compressore C1 è sostituito da due
compressori C1’ e C3’. Dopo il primo stadio di compressione da Pev a Pi, il vapore surriscaldato in 12 viene
raffreddato fino alla condizione di vapore saturo secco grazie all’evaporazione del liquido a pressione Pi proveniente
dal ricevitore. La corrente complessiva allo stato 8, quindi, completa il secondo stadio di compressione fino alla
pressione di condensazione Pco con il compressore C3’, portandosi al punto 13, che verrà mescolato con il punto 10
proveniente dalla compressione del flash gas prima di entrare nel condensatore.

6
Modifiche al ciclo: compressione bi-stadio e FGR
Il frazionamento della compressione, nell’ipotesi di rendimento isoentropico dei compressori costante, comporta
sicuramente un aumento del COP rispetto alla sola rimozione del flash gas, in quanto:

poiché il compressore C3’ nel tratto di compressione da Pi a Pco elabora la stessa portata sotto lo stesso ΔP del
precedente compressore C1, ma utilizza un fluido più freddo con un volume specifico in aspirazione più basso.Nella
realtà, il rendimento isoentropico di compressione è funzione del rapporto di compressione, per cui la modifica è
conveniente solo se ogni stadio ha un rapporto tra le pressioni finali ed iniziali almeno pari a 2.5.

Modifiche al ciclo: compressione bi-stadio e FGR


Si nota che i compressori C2 e C3’ lavorano tra gli stessi livelli di pressione ed entrambi aspirano vapore saturo secco
alla pressione intermedia Pi. Per questo motivo, è possibile considerare un unico compressore che effettua la fase di
compressione finale dalla pressione intermedia a quella di condensazione.
Due schemi equivalenti di un ciclo a compressione bi-stadio più rimozione del flash gas sono rappresentati in figura. A
sinistra, i due stadi di compressione vengono eseguiti da un unico compressore multi-stadio con gas-liquid injection. A
destra, i due compressori rimangono separati da un separatore di fase/miscelatore che ha anche il compito di
raffreddare il vapore surriscaldato in uscita dal primo stadio.

7
Modifiche al ciclo: scambiatore interno
Fissate le temperature dei due SET A e B, il
COP dell’impianto aumenta al ridursi del ΔT
minimo con il fluido durante le fasi di
condensazione e di evaporazione, in quanto
innanzitutto diminuiscono le generazioni
entropiche agli scambiatori per cause termiche,
ed inoltre la variazione di pressione nella valvola
di laminazione sarà più ridotta con conseguente
decremento della generazione entropica per
cause meccaniche.
Come evidenziato dalla figura, però, la
diminuzione del ΔT minimo negli scambiatori
riduce i margini per ottenere un surriscaldamento
del vapore all’aspirazione del compressore ed un
sottoraffreddamento del liquido in ingresso alla
valvola di laminazione, condizioni desiderate per
il corretto funzionamento di questi componenti.

Modifiche al ciclo: scambiatore interno


È possibile ottenere contemporaneamente il surriscaldamento del vapore all’aspirazione del compressore ed il
sottoraffreddamento del liquido in ingresso alla valvola di laminazione con l’utilizzo di uno scambiatore di calore
interno senza far interagire il fluido di lavoro con i due SET.
In particolare, come evidente dalla figura, il surriscaldamento del vapore saturo secco in uscita dall’evaporatore è
ottenuto proprio a spese del fluido caldo in condizioni di liquido saturo all’uscita del condensatore, che invece si
sottoraffredda.
Da un bilancio sullo scambiatore di calore interno risulta:

Modifiche al ciclo: scambiatore interno


Rispetto al ciclo base, la potenza termica scambiata all’evaporatore è aumentata in quanto il sottoraffreddamento del
liquido in ingresso alla valvola comporta una riduzione di entalpia nel punto 4.

Per contro, anche la potenza richiesta dal compressore, rispetto al ciclo base, è aumentata, in quanto si va a
comprimere un vapore surriscaldato a temperatura iniziale maggiore e quindi con un volume specifico più alto.

Per questo motivo, con l’inserimento dello scambiatore interno non è possibile determinare a priori la variazione del
COP.

8
Esempio di analisi termoeconomica
In questo esempio si vuole dimensionare l’area del condensatore di un ciclo a compressione di vapore che lavora tra
le temperature dei SET TA e TB. La scelta della superficie di scambio termico segue il criterio della minimizzazione dei
costi totali, intesi come somma dei costi di impianto e dei costi di esercizio.
Si parte innanzitutto dalla relazione dello scambio termico, che indica come la potenza termica scambiata al
condensatore possa essere espressa come prodotto di una UA equivalente e del ΔT minimo tra il fluido in
condensazione e l’ambiente.

All’aumentare della superficie di scambio termico Atot, è quindi possibile ridurre il ΔT minimo, come mostrato nei profili
di temperatura nel condensatore in figura.

Esempio di analisi termoeconomica


Con la riduzione del ΔT minimo tra fluido e SET, la generazione entropica
nello scambiatore sarà progressivamente minore incrementando il COP
dell’impianto. In linea teorica, aumentando indefinitamente la superficie di
scambio termico, il ΔT minimo tenderà a 0 con il COP che a sua volta
raggiunge un valore asintotico (COPΔT=0) corrispondente a generazione
entropica minima (non nulla a causa del tratto di desurriscaldamento a T
non uniforme) nel condensatore.
In ogni caso, il COP rimarrà inferiore rispetto al COP reversibile, a causa
sia del tratto di desurriscaldamento che delle ulteriori perdite computabili
agli altri componenti dell’impianto.

Esempio di analisi termoeconomica


È possibile infine definire le funzioni di costo di impianto e di esercizio.
Per l’analisi in esame, i costi di impianto possono essere espressi da un valore costante (costo del compressore e di
ulteriori componenti), più una funzione lineare della superficie di scambio termico (costo dello scambiatore di calore).

I costi di esercizio invece sono esprimibili come una costante c (costo specifico dell’energia elettrica) per l’energia
elettrica consumata nel tempo di funzionamento Δθ. La potenza elettrica richiesta al compressore può essere inoltre
indicata come rapporto tra la potenza frigorifera richiesta all’impianto ed il COP dello stesso che, come dimostrato
precedentemente, è funzione della superficie di scambio termico.

Esempio di analisi termoeconomica


I costi complessivi, da minimizzare, sono rappresentati quindi dalla somma dei costi di impianto e dei costi di
esercizio:

Diagrammando (figura) le tre funzioni con la superficie di scambio termico al condensatore, si nota come i costi di
impianto crescono all’aumentare dell’ingombro dello scambiatore, mentre quelli di esercizio sono progressivamente
ridotti grazie ad una maggiore efficienza dell’impianto. La curva relativa ai costi totali è quindi caratterizzata dalla
presenza di un minimo, in corrispondenza del quale si ottiene il valore della superficie di scambio termico A* di ottimo
progettuale.

9
10
Obiettivi

 Definire l’aria umida in quanto miscela di gas (unità 1);


 Illustrare i modelli utilizzati per lo studio dell’aria umida (unità 1);
 Definire le proprietà dell’aria umida (unità 1-2);
 Costruzione del diagramma psicrometrico (unità 2).

L’aria umida - Definizioni

 L’aria atmosferica è dotata di diversi costituenti


 Definiamo l’aria atmosferica secca come l’aria atmosferica priva di vapore d’acqua e contaminanti
 L’aria umida è una miscela di aria secca e vapore d’acqua tipicamente in condizioni di pressione atmosferica
 Il vapore d’acqua può condensare dando vita ad una miscela eterogenea a due fasi
 L’aria umida si definisce satura se è in equilibrio con una fase condensata dell’acqua

La legge di Dalton

 L’aria umida può essere studiata come una miscela di gas ideali
 Al fine di poter considerare l’intera miscela come un gas ideale, trascurando eventuali interazioni mutue tra
diverse molecole, bisogna poter ipotizzare che entrambe le componenti siano a loro volta dei gas ideali

1. L’aria secca è considerata un gas ideale in quanto t/tc >> 1, con t temperatura dell’aria umida (compresa tra
circa -10 °C e 50 °C) e tc temperatura critica dell’aria secca (tc = -141 °C);

1
2. Il vapore d’acqua è considerato un gas ideale in quanto p/pc << 1, con p pressione di saturazione del
vapore acqueo alle temperature dell’aria umida (circa 0.12 bar se t = 50 °C) e pc pressione critica dell’acqua
(pc = 221 bar).

 La legge di Dalton ci dice che la pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è pari alla
somme delle pressioni parziali esercitati dai gas se questi fossero presenti da soli in un pari volume

La pressione parziale è la pressione esercitata da un componente in una miscela di gas nell’ipotesi in cui questo si
trovasse ad occupare l’intero volume della miscela a parità di T

 Per il nostro caso, possiamo dunque scrivere che

pt = p a + p v
Con pt pressione totale, pari alla pressione atmosferica, pa pressione riferita all’aria secca e pv pressione parziale
riferita al vapore acqueo

Le proprietà dell’aria umida – Quante ne servono?


 L’aria umida si definisce satura se è in equilibrio con una fase condensata dell’acqua
 E’ possibile definire una coppia di proprietà intensive per poter caratterizzare univocamente lo stato
termodinamico intensivo della miscela di aria umida?

1. Note la pressione totale pt e la temperatura t, vi sono infinite combinazioni di miscele gassose in tali
condizioni;
2. Le condizioni dipendono dal rapporto tra le masse dell’aria secca e del vapore d’acqua.

 Lo stato termodinamico di una miscela gassosa di due componenti è determinabile attraverso tre proprietà
intensive indipendenti

1. Una di queste tre proprietà è la pressione totale, la quale è pari alla pressione atmosferica;
2. Le altre due proprietà intensive sono indipendenti e una di queste è spesso riferita alla composizione
della miscela in termini di massa.

Umidità specifica

 Una proprietà dell’aria umida è l’umidità specifica. Essa è definita come

Dove ω è l’umidità specifica, mv è la massa di vapore acqueo, mentre ma è la massa di aria secca

 Tale rapporto è riferito all’aria secca in quanto costante al variare della massa di vapore acqueo
 Si voglia ora dimostrare il legame tra l’umidità specifica ω e le varie pressioni pt, pv e pa. Essendo entrambe le
componenti della miscela dei gas ideali, applichiamo per entrambe l’equazione di stato dei gas ideali e
scriviamo il rapporto, ricordando che il volume V e la temperatura T (la maiuscola è utilizzata per indicare che
in questo caso la temperatura è espressa in kelvin invece che in celsius) sono le stesse

Attraverso le opportune semplificazioni, ricordando l’equazione (1), ed osservando che Rv/Ra = 0.622, possiamo
scrivere

Umidità specifica

 Dall’equazione (3), ricordando che pt = pa + p v, possiamo arrivare alla seguente espressione

2
 Dall'equazione (4), osserviamo che all’aumentare di ω la pressione del vapore acqueo pv aumenta
 Tale pressione pv aumenterà fino ad arrivare alla pressione di saturazione del vapore acqueo a quella
temperatura, psat(t)
 Se pv = psat (t), l’aria umida è satura e non potrà più accogliere del vapore acqueo al suo interno
 Tale trasformazione è riepilogata in Fig. 3, in cui l’aria umida, partendo dallo stato A, si porta allo stato B a
causa dell’aumento della massa di vapore d’acqua, dunque dell’umidità specifica ω.

Umidità relativa

 L’umidità specifica fornisce informazioni riguardo il rapporto tra masse, ma non riguardo la quantità di
vapore acqueo che può accogliere la miscela: non sappiamo quanto siamo lontani dalla condizione
di saturazione
 Un’altra proprietà che si definisce è l’umidità relativa Φ

Con mvs quantità di vapore acqueo relativa alla condizione di saturazione, fissate la temperatura t e la pressione
totale pt.

 Come in precedenza, possiamo correlare l’umidità relativa Φ con la pressione del vapore acqueo pv e con la
pressione del vapore acqueo in condizioni di saturazione pvs. Applicando la legge dei gas ideali sia per il
vapore d’acqueo che per questo in condizioni di saturazione, scrivendo il rapporto

Si arriva alla seguente espressione per quanto riguarda l’umidità relativa

Con Φ= 1 (o, analogamente, 100% se espresso in percentuale) in condizioni di saturazione

Il diagramma psicrometrico

 Si vogliano adesso correlare l’umidità specifica ω e l’umidità relativa Φ. Richiamando l’espressione di ω in


funzione di pv e pt (Eq. 4) ed applicando la definizione di umidità relativa (Eq. 7), possiamo pervenire alle
seguenti espressioni

3
Attraverso tali espressioni, e ricordando che la pressione del vapore d’acqueo in condizioni di saturazione dipende
dalla temperatura ossia pvs = psat(t), possiamo quindi definire l’umidità specifica ω al variare della temperatura t,
per diversi valori di Φ

 Si costruisce un diagramma (ω,t) (Fig. 4), con diverse curve ad umidità relativa Φ costante. Tale diagramma
è noto come diagramma psicrometrico. La variabile t è spesso espressa come tba (temperatura di bulbo
asciutto), che verrà illustrata in seguito.

Temperatura di rugiada

 Un’altra proprietà è la temperatura di rugiada tr


 Si ipotizzi di raffreddare dell’aria umida che non sia in condizioni di saturazione: tale processo avverrà
ad umidità specifica costante e a pressione parziale costante in quanto non vi è variazione di massa nella
nostra massa di aria umida; tuttavia vi sarà una variazione dell’umidità relativa in quanto ci avviciniamo alla
condizione di saturazione poichè la temperatura si sta riducendo

In cui t ↓, psat(t) ↓ e dunque a parità di pv accade che Φ ↑

 In Fig. 5 sono riportate le trasformazioni subite dall’aria umida sul piano (t,s) e sul diagramma psicrometrico.
Dal piano (t,s) si evince per ogni isobara relativa alla pressione pv esiste una sola temperatura di rugiada tr;
dal diagramma psicrometrico invece si evince che, partendo da uno stato generico A, l’intersezione tra la
retta parallela all’asse t e la curva di saturazione per Φ = 100% è la temperatura di rugiada.

4
 Se la massa di aria umida fosse raffreddata ulteriormente dopo aver raggiunto la curva per Φ = 100%, si
avrebbe condensazione e dunque un abbassamento dell’umidità specifica (e quindi della quantità di
vapore acqueo presente)

Entalpia dell’aria umida - Definizione


Un’altra proprietà è l’entalpia dell’aria umida H, che è esprimibile anche come entalpia specifica h
L’entalpia è data dalla somma delle aliquote relative all’aria secca ed al vapore acqueo H = Ha + Hv, mentre
l’entalpia specifica è data dal rapporto tra H e la massa d’aria secca m a, vale a dire h = H/ma
Possiamo esprimere l’entalpia specifica come somma delle componenti, in cui compare anche l’umidità specifica ω

Entalpia dell'aria umida - Definizione

 Partendo dall’equazione (11), si voglia trovare un’espressione dell’entalpia specifica dell’aria umida h in
funzione della temperatura, oltre che dell’umidità specifica
 Analizziamo le singole componenti; per quanto riguarda l’aria secca, nell’ipotesi di gas ideale e dunque
richiamando l’equazione di stato dh = cp dT, possiamo scrivere che

Per quanto riguarda l’aria umida, si ipotizza che tRIF = 0 °C, e che hRIF (tRIF) = 0 J/kg K; se cpa = 1.005 kJ/kg K, ne
segue che l’entalpia dell’aria secca ha in kJ/kg K relativa all’equazione (11) si può esprimere come

 Per quanto riguarda l’entalpia relativa al vapore acqueo hv, nota la pressione parziale pv e la temperatura t,
questa può essere letta sulle tabelle del vapore surriscaldato; tuttavia, si voglia adesso ricavare
un’espressione per hv che sia funzione della sola temperatura
 Al fine di definire hv, occorre innanzitutto definire uno stato di riferimento hv,RIF; per comodità in quanto è un
valore noto dalle tabelle, si decide di utilizzare come stato di riferimento l’entalpia calcolata a pressione
atmosferica in condizioni di liquido saturo hv,RIF = hvs (0 °C)

Entalpia dell’aria umida - Definizione

 In Figura 6, è riportato il punto A relativo al vapore acqueo (a cui corrisponde l’entalpia hv nella presente
trattazione) che è parte della miscela di aria umida, e il punto RIF relativo allo stato di riferimento adottato.
Essendo l’entalpia una funzione di stato, la differenza hv – hv,RIF non dipende dal percorso della
trasformazione ma solo dagli stati iniziale e finale
 Per comodità, come indicato in Figura 6 si sceglie il percorso più comodo, che prevede che la
trasformazione tra il punto di riferimento ed il punto A avvenga lungo la stessa isobara (pt = 1 atm)

5
 Tale trasformazione è dividibile in più tratti. Posto B lo stato per cui il vapore acqueo è in condizioni di vapore
saturo secco alla pressione pt, è possibile riferire l’entalpia come integrale tra i singoli tratti tali che la
somma corrisponda alla variazione di entalpia tra hv ed hv,rif. Noto che in tali condizioni hv,RIF = 0 J/kg K

 Osservando la figura, si evince che l’entalpia tra gli stati RIF e B corrisponde al calore latente di
vaporizzazione Δhvs = 2500.5 kJ/kg, mentre per quanto riguarda l’entalpia calcolata tra gli stati B ed A
possiamo riferirci all’equazione di stato (con trif = 0°C in quanto il punto B è a 0 °C) ed utilizzare un valore di
calore specifico a pressione costante cpv = 1.805 kJ/kg K; fatte tali premesse, possiamo quindi
definire l’entalpia relativa al vapore acqueo hv

Entalpia dell’aria umida – Espressione finale

 Raggruppando le equazioni (13) e (15), si perviene all’espressione finale per l’entalpia dell’aria umida

 Da tale espressione, fissato il valore di entalpia specifica h, è possibile tracciare sul diagramma psicrometrico
le varie curve per h = cost; in particolare, dall’equazione (16) si evince che tali curve sono tutte delle rette
parallele, che crescono all’aumentare del valore di h = cost

6
Volume specifico - Rappresentazione

 Un’altra proprietà dell’aria umida è il volume specifico v, anche esso riferito alla sola massa di aria secca
 Posto il volume specifico pari a v = V/ma, possiamo definirlo utilizzando la legge dei gas ideali

 Si voglia adesso tracciare le curve a v = cost sul diagramma psicrometrico. Partendo dall’Eq. (17),
possiamo esprimere la pressione dell’aria secca in funzione dell’umidità specifica ω attraverso l’Eq. (3)
e ricordando che pt = pa + p v

In cui la temperatura va espressa in kelvin. In Figura


8, si riportano le varie curve a v = cost, le quali
risultano più pendenti delle isoentalpiche e crescenti
nel verso dell’umidità specifica

7
Temperatura di saturazione adiabatica – Il saturatore adiabatico

 Un’altra proprietà dell’aria umida è la temperatura di saturazione adiabatica t*, che verrà descritta nel
seguito attraverso l’introduzione di un dispositivo chiamato saturatore adiabatico
 In Fig. 9, si rappresenta un saturatore adiabatico. Il saturatore adiabatico è un dispositivo di lunghezza L in
cui l’aria umida entra nello stato 1 ed esce nello stato 2. All’interno di tale dispositivo vi è dell’acqua liquida
immessa nello stato L, utile a reintegrare l’acqua evaporata. Il saturatore, adiabatico verso l’esterno,
presenta una lunghezza L tale da poter garantire che l’aria umida sia in condizioni di saturazione all’uscita,
ossia ϕ2 = 100%.
 La temperatura t2 alla quale esce la miscela d’aria umida è detta temperatura di saturazione adiabatica,
altresì contrassegnata con t*, ed è una proprietà dell’aria umida, come verrà dimostrato nel seguito

Temperatura di saturazione adiabatica – Misura dell’umidità specifica

 L’utilità di tale dispositivo consiste nel poter misurare in maniera indiretta l’umidità relativa ϕ e l’umidità
specifica ω in quanto

1. L’umidità relativa ϕ non è una proprietà misurabile direttamente;


2. L’umidità specifica ω è una grandezza difficile da misurare in maniera diretta.

 Con il saturatore adiabatico, si può risalire all’umidità relativa ϕ ed all’umidità specifica ω attraverso misure di
temperatura e bilanci di massa ed energia
 Nel seguito, si adopera un saturatore adiabatico per conoscere l’umidità specifica dell’aria umida in ingresso
nelle condizioni 1, vale a dire ω1. Si ipotizza che l’aria umida in uscita sia in condizioni di saturazione
all’uscita (ϕ2 = 100%), e che l’acqua di reintegro sia ad una temperatura pari alla
temperatura d’uscita dell’aria umida, tL = t2. Con riferimento ad un volume di controllo che racchiude tutto il
saturatore adiabatico, possiamo scrivere i seguenti bilanci di massa, rispettivamente per l’aria secca e il
vapore d’acqua

Da cui segue che, attraverso la combinazione delle equazioni e la definizione di umidità specifica (Eq. 1)

8
Temperatura di saturazione adiabatica – Misura dell’umidità specifica

 Scriviamo ora un bilancio di prima legge per lo stesso volume di controllo, ricordando che l’entalpia
specifica è riferita alla portata d’aria secca in quanto costante

Richiamando l’Eq. (19c), possiamo esprimere la seguente relazione per calcolare ω1.

 Si voglia ora definire l’intero sistema di equazioni necessario per ottenere i valori di umidità specifica in
ingresso ω1 attraverso l’Eq. (21). I termini incogniti nell’Eq. (21) sono esplicitabili attraverso le Eq. (10) e (16)

Temperatura di saturazione adiabatica – Misura dell’umidità specifica

 Al fine di risolvere il sistema appena introdotto per conoscere il valore dell’umidità specifica in ingresso ω1,
bisogna

1. Avere noti i valori di cpa (1.005 kJ/kg K), cpv (1.805 kJ/kg K) e di c (pari a 4.186 kJ/kg K) per l’acqua in fase
liquida),
2. Richiamare l’ipotesi in cui l’aria umida in uscita sia satura (ϕ2 = 100% quindi ϕ2 = 1),
3. Conoscere attraverso misure le temperature dell’aria umida in ingresso t1 e in uscita t2.

La temperatura di uscita dal saturatore adiabatico, t2, è nota anche con il simbolo t* ed è detta temperatura di
saturazione adiabatica: essa è una proprietà dell’aria umida in quanto, noto lo stato 1, l’equazione (21) può essere
vista come un’equazione nell’incognita t2 = t*
Noto lo stato di una corrente di aria umida, esiste una ed una sola temperatura di uscita T* alla quale tale corrente
uscirà in condizioni di saturazione attraverso un saturatore adiabatico. Tale temperatura è detta temperatura di
saturazione adiabatica.

Temperatura di saturazione adiabatica – Relazione con la temperatura di rugiada

 Si osserva che generalmente l’evaporazione implica che t* < t1 in quanto l’energia necessaria
all’evaporazione è ottenuta a spese dell’abbassamento di temperatura della corrente d’aria umida, ossia

Q∼Δt1→2∼Δω1→2
Dalla relazione si evince che l’energia richiesta all’evaporazione è proporzionale alla differenza di temperatura tra
ingresso e uscita, nonché alla variazione in termini di umidità specifica (i. e. massa di vapore acqueo)

 D’altro canto, possiamo anche dire che t* > tr1 in quanto l’umidità specifica aumenta (e quindi anche
la pressione parziale del vapore). Ne segue che

tr1≤t∗≤t1
Dove il simbolo di uguaglianza vale nel caso in cui la corrente d’aria umida entra già in condizioni di saturazione.
In Fig. 10 è riportata la rappresentazione sul piano (t,s)

9
Temperatura di saturazione adiabatica - Rappresentazione

 Si vogliano ora rappresentare le curve a t* costante sul diagramma psicrometrico. Partendo dall’Eq. (21), è
possibile esplicitare l’equazione rispetto alla differenza di entalpia

h2−h1=hL(ω2−ω1) (22)
Analizzando gli ordini di grandezza, osserviamo che (ω2-ω1)∼o(10-3) mentre hL∼o(102); sulla base di ciò
possiamo concludere che h2≈h1h2≈h1
E quindi che le curve a t* = cost sono approssimabili a curve con h = cost (Fig. 11). Volendo
trovare un’espressione per tale famiglia di curve, utilizzando la definizione di entalpia (Eq. 16) attraverso l’Eq. (22), si
arriva alla seguente formulazione

10
Psicrometro - Funzionamento

 La misura dell’umidità specifica, seppur indiretta,


è complessa a causa dei forti vincoli dettati dal saturatore
adiabatico: si può ricorrere all’utilizzo di uno strumento
chiamato psicrometro e rappresentato in Fig. 12
 Tale strumento è dotato di due sensori: uno dei due è
ricoperto da una garza imbevuta d’acqua, nella quale l’acqua
proveniente da un piccolo serbatoio risale per capillarità
 L’aria umida è aspirata da una ventola e finirà in parte sui
due sensori, che devono essere schermati rispetto
alla radiazione termica. Rispettivamente sul sensore
ricoperto dalla garza e su quello non ricoperto, si possono
misurare due temperature

1. La temperatura di bulbo bagnato, tbb;


2. La temperatura di bulbo asciutto, tba.

 Siccome l’evaporazione implica che tbb < tba, in certe


condizioni che dopo verranno introdotte si può concludere
che tbb ≈ t*

Psicrometro - Funzionamento

 La temperatura di bulbo bagnato tbb NON è una proprietà dell’aria umida in quanto dipende anche
dal campo di velocità nell’intorno dell’interfaccia tra aria umida e garza, e dalla geometria di questa
 Il valore di tbb approssima quello della temperatura di saturazione adiabatica t* (quindi , tbb ≈ t*) qualora la
misura è condotta nelle seguenti condizioni

1. Velocità dell’aria a monte compresa tra 2.5 e 5 m/s;


2. Bulbi schermati dalla radiazione termica;
3. Garza che ricopre anche qualche centimetro dello stelo del bulbo in modo da poter trascurare il flusso
termico conduttivo lungo l’asse dello stelo;
4. L’acqua utilizzata deve essere distillata e ad una temperatura circa pari a tbb;
5. La garza sia di un certo materiale, con una certa geometria e pulita.

Diagramma psicrometrico finale e riepilogo proprietà

 Di seguito si riporta il diagramma psicrometrico finale (Fig. 13), il quale è riferito ad una pressione pari a
quella atmosferica.
 Nel diagramma è anche riportata la
pendenza pari al rapporto tra differenza di
entalpia ed umidità specifica
 Si riepilogano nel seguito
le proprietà dell’aria umida; note tre di
queste (una di solito è
la pressione atmosferica) è possibile
determinare univocamente lo stato

1. Pressione totale (spesso atmosferica),


ptot
2. Temperatura, t (nota anche come
temperatura di bulbo asciutto tba)
3. Temperatura di saturazione adiabatica,
t*
4. Temperatura di rugiada, tr
5. Umidità relativa, ϕ
6. Umidità specifica, ω
7. Volume specifico, v
8. Entalpia specifica, h

11
12
Obiettivi

 Illustrare le varie trasformazioni relative all’aria umida (unità 1);


 Combinare le varie trasformazioni in trasformazioni in sequenza (unità 2);

Semplice riscaldamento

 Un tipico campo di applicazione dell’aria umida è la climatizzazione, che prevede di studiare attraverso
quali processi è possibile condizionare in ambienti confinati i parametri attraverso cui il corpo umano è
sensibile per il proprio benessere
 Si vogliano analizzare le varie trasformazioni che può subire una corrente d’aria umida; la prima è
il semplice riscaldamento, in cui l’aria umida lambisce una superficie ad una temperatura t tale che t > tba
 In Fig. 2 è rappresentato uno schema dell’impianto necessario a far avvenire tale trasformazione. Si ipotizza
che l’aria umida entra nelle condizioni 1, ed esce ad una temperatura maggiore t2 > t1 in quanto lambisce
una superficie a temperatura superiore. Si osserva che l’umidità specifica ω, e dunque il contenuto di vapore
acqueo, non varia in quanto non vi è nessun processo di addizione/sottrazione (dunque,
umidificazione/deumidificazione).

Semplice riscaldamento - Bilanci

 Si vogliano ora scrivere le varie equazioni di bilancio. Nelle usuali ipotesi (regime stazionario, flusso
monodimensionale, trascurabilità dei contributi di energia cinetica e potenziale), utilizzando un volume di

1
controllo che racchiude la sola aria umida in ingresso (1) ed in uscita (2), abbiamo rispettivamente i bilanci di
massa per l’aria secca e per il vapore acqueo, nonché il bilancio di energia riferito all’aria umida

Dove Q̇ è la potenza termica trasferita dalla batteria alla corrente di aria umida. Richiamando la definizione di umidità
specifica ω = mv/ma vista in precedenza, e risolvendo l’equazione (1c) rispetto alla potenza termica, è possibile
riscrivere rispettivamente le equazioni (1b) e (1c)

Da cui si può concludere che l’umidità specifica non varia, e che è possibile calcolare la potenza termica
necessaria al riscaldamento della massa di aria umida attraverso l’equazione (2b), ricordando che le espressioni
per l’entalpia dell’aria umida sono state già viste nelle lezioni precedenti

Semplice raffreddamento

 Una trasformazione analoga a quella vista in precedenza è quella di semplice raffreddamento, in cui la
batteria è utilizzata per asportare potenza termica e quindi permettere che t2 < t1.
 Tale trasformazione è rappresentata in Fig. 3 ed è del tutto analoga a quella già vista di semplice
riscaldamento. Si riportano di seguito i bilanci di massa ed energia, nelle usuali ipotesi (d’ora in poi omesse
per tutti i bilanci che verranno presentati nella presente lezione), analoghi a quelli già visti in precedenza ed
espressi già nella forma finale riportata nelle equazioni (2a) e (2b)

Mescolamento adiabatico

 Un’altra trasformazione tipica dell’aria umida è il mescolamento adiabatico, in cui due correnti d’aria umida
a differente temperatura t1 e t2 si mescolano per ottenere una corrente d’aria umida ad una temperatura
intermedia t3
 Tale trasformazione è riportata sul diagramma psicrometrico in Fig. 4. Si osserva come, congiungendo i
punti 1 e 2 è possibile trovare il punto 3, la cui distanza relativa da 1 e 2 dipende dal rapporto tra le masse,
come verrà dimostrato nelle slides successive.

2
Mescolamento adiabatico – Bilanci e stato finale
 Si vogliano ora scrivere le varie equazioni di bilancio rispettivamente per l’aria secca (massa), per il vapore
acqueo (massa) e per l’aria umida (energia)

Possiamo risaltare l’andamento lineare definendo le seguenti costanti

Le quali, sostituite nelle equazioni (4b) e (4c), permettono di esplicitare le proprietà dello stato finale 3

Dalle equazioni (5a) e (5b) si evince che l’umidità specifica e l’entalpia specifica dello stato finale 3
sono combinazioni lineari degli stati di ingresso 1 e 2, i cui coefficienti lineari dipendono dal rapporto tra
le portate massiche in ingresso rispetto al totale. Siccome il diagramma psicrometrico è in coordinate (h, ω) se
consideriamo la coordinata obliqua h, è possibile trovare il punto 3 in un punto posto sulla retta che congiunge i
punti 1 e 2

Mescolamento adiabatico – Bilanci e stato finale

 E’ possibile risalire allo stato d’uscita 3 anche attraverso identificazione grafica. Risolvendo l’equazione (5a)
rispetto ad ṁa2, e sostituendo rispettivamente le equazioni ottenute rispetto ad ṁa2 nelle equazioni (5b) e
(5c), possiamo avere la seguente uguaglianza

 Lo stesso ragionamento può essere fatto per quanto riguarda la costante k2, risolvendo allo stesso modo
l’equazione (5a) rispetto ad ṁa1 ed applicando passaggi analoghi. Si evince quindi che il punto 3 si trova sulla
retta che congiunge i punti 1 e 2 ad una distanza tale che

3
Ne segue che quando si mescolano adiabaticamente due correnti d’aria umida in due differenti stati 1 e 2, lo stato
finale 3 è posto sul segmento che collega i punti 1 e 2 ad una distanza dagli estremi del segmento che è funzione
delle portate massiche secondo le equazioni (7) come evidente in Fig. 4.

Raffreddamento e deumidificazione

 Si illustreranno ora delle trasformazioni dell’aria umida più complesse da poter essere ritenute in sequenza
 Si ipotizza di avere un raffreddamento di una corrente d’aria umida il cui stato in ingresso è contrassegnato
da 1, dovuto alla presenza di una batteria a temperatura minore rispetto alla temperatura della corrente d’aria
umida. Qualora dovesse accadere che, posti tl temperatura della batteria fredda e tr1 temperatura di rugiada
della corrente d’aria umida, tl < tr1, vi è la possibilità che la temperatura della corrente d’aria diventi pari a
quella di rugiada, determinando la formazione di condensa
 Tale trasformazione è detta di raffreddamento e deumidificazione, in quanto si hanno sia un abbassamento
di temperatura che la formazione di condensa, opportunamente drenata. Tale trasformazione è
rappresentata in Fig. 5 sul diagramma psicrometrico (nell’ipotesi di flusso perfettamente monodimensionale,
dunque trascurando eventuali variazioni di temperatura e pressione parziale lungo la direzione normale al
moto), e si osserva come l’umidità specifica diminuisca mentre quella relativa vada ad aumentare.
 Il trasferimento di energia è causato dalle seguenti differenze di temperatura e pressione, e all’interno del
processo si osserva come, a valle del raffreddamento, ulteriore sottrazione d’energia implica
la diminuzione della temperatura dell’aria, nonché la deumidificazione di questa.

Raffreddamento e deumidificazione - Bilanci

 Si vogliano ora scrivere delle equazioni di bilancio, riferiti al solito volume di controllo che racchiude la sola
aria umida e nelle usuali ipotesi. Ricordando che la massa di aria secca ṁa non varia, si hanno
rispettivamente per la massa di vapore acqueo e per l’energia relativa all’aria umida

Da cui è possibile ottenere la portata di liquido condensato e la potenza da sottrarre, rispettivamente


m˙L=m˙a(ω1−ω2)(9a)
Q˙=m˙a[(h1−h2)−(ω1−ω2)hL](9b)
Siccome la condensa si forma a temperature comprese tra 2 e 2’, si utilizza un criterio cautelativo che sovrastima
la potenza termica da sottrarre, dunque si utilizza la variabile t2 all’interno dell’equazione (9b)

4
Raffreddamento e deumidificazione – Il fattore di by-pass

 Siccome l’ipotesi di trascurabilità dei gradienti trasversali per quanto riguarda Tba e ω è abbastanza forte, e
considerando che la batteria ha dimensioni finite con superficie di contatto con l’aria che garantisce un
contatto solo parziale col flusso d’aria, si introduce un fattore di by-pass che tiene conto del fatto che
non tutto il flusso d’aria lambisce la batteria
 Il fenomeno risulta complesso da descrivere; nel seguito è modellato approssimandolo con
un mescolamento adiabatico in cui la corrente 1 si mescola con la corrente che lambisce la batteria
(nell’ipotesi in cui sia alla temperatura Ts), ottenendo quindi lo stato finale 2. Tale trasformazione è raffigurata
in Fig. 6. Si definisce quindi il fattore di by-pass, riferendosi alla portata m˙′a come la portata che non
entra in contatto con la superficie, esprimibile anche in funzione delle entalpie richiamando le correlazioni
viste per il mescolamento adiabatico

 Come già visto per il mescolamento adiabatico, la posizione dello stato 2 dipende da numerosi fattori come
ad esempio il flusso di massa e di energia, nonché l’estensione della batteria nella direzione del flusso: Fbp è
inoltre pari ad 1 se il contatto è nullo, e 0 se completo

Raffreddamento e deumidificazione – Calore latente e sensibile

 Con riferimento all’Eq. (9b), è possibile osservare che il termine relativo al flusso convettivo
d’energia (quindi, variazione di umidità specifica) è spesso trascurabile, ottenendo quindi che la potenza da
sottrarre è approssimabile come

A valle di ciò, è possibile dividere la potenza da sottrarre in due aliquote, rispettivamente potenza sensibile Q̇S e
potenza latente Q̇L

 In Fig. 6, vista in precedenza, è possibile osservare la presenza del punto 3. In particolare, si osserva che tale
punto ha la stessa temperatura del punto 1 e la stessa umidità specifica del punto 2. Ne segue che la

5
potenza sensibile Q̇S è l’aliquota necessaria per raffreddare la corrente d’aria umida da tba1 a tba2, mentre la
potenza latente Q̇L è quella necessaria alla deumidificazione per poter passare da ω1 ad ω2

Riscaldamento ed umidificazione

 La presente trasformazione consiste in due distinte trasformazioni, in cui prima l’aria umida dalle
condizioni 1 è riscaldata da una batteria fino alle condizioni 2’, per poi
essere umidificata attraverso l’iniezione di acqua in fase liquida (nebulizzata) o vapore, arrivando allo stato
2.
 Tale trasformazione è rappresentata in Fig. 7. Noto che t2’ > t1 essendo un riscaldamento semplice, per
quanto riguarda l’umidificazione accadrà che ω2 > ω2’ a causa dell’aggiunta di acqua. Tuttavia, possiamo
distinguere due casi a seconda della fase in cui è inserita l’acqua

1. Nel caso in cui l’acqua è liquida (nebulizzata), l’energia per il passaggio di fase da liquido a vapore è
prelevata dalla corrente d’aria umida, ragione per la quale t2 < t2’ (Fig. 7);
2. Nel caso in cui l’acqua è in fase vapore, essendo questa già vapore tale fenomeno non accadrà per cui t2 ≈
t2’ (Fig. 7)

Riscaldamento ed umidificazione - Bilanci

 Nelle usuali ipotesi, si vogliano scrivere i bilanci di massa e di energia. Omettendo i passaggi analoghi a
quanto visto già prima, si riportano di seguito la potenza termica necessaria per portare la corrente di aria
umida dal punto 1 al punto 2’, e la portata di liquido necessaria per poter umidificare l’aria dal punto 2’ al
punto 2

 Si voglia ora esprimere l’Eq. (12a) in funzione dello stato d’ingresso 1 e dello stato d’uscita 2. Scriviamo un
bilancio di energia in un volume di controllo compreso tra gli stati 2’ e 2, che dunque riguarda
la sola umidificazione

Sostituendo l’Eq. (12b) nell’Eq. (13a) risolta rispetto ad h2’, e a sua volta nell’Eq. (12a), si ottiene
la seguente espressione

6
Le Eq. (12b) e (13b) forniscono le informazioni necessarie per la scelta della batteria calda e della quantità
d’acqua da immettere

Umidificazione adiabatica - Bilanci


 Si voglia analizzare il caso in cui si ha solo umidificazione della corrente d’aria umida. Nell’ipotesi
di adiabaticità, parleremo di umidificazione adiabatica. Le equazioni viste in precedenza (Eqs. 12-14)
possono essere particolarizzate nel caso in cui Q̇ = 0 ottenendo i seguenti bilanci di massa ed energia
(coincidenti anche con i bilanci ottenuti con volumi di controllo relativi alla sola umidificazione della
trasformazione di riscaldamento ed umidificazione)

Mentre la pendenza sarà data da

Umidificazione adiabatica – Caso con liquido

 Si voglia adesso ricercare più dettagliatamente l’andamento della trasformazione di umidificazione adiabatica
in funzione della fase in cui è immessa l’acqua.
 Per quanto riguarda il caso in cui l’acqua è liquida (nebulizzata), possiamo scrivere l’Eq. (16) tra due stati
di ingresso ed uscita 1 e 2, risolvendola rispetto ad h2 – h1 e ricordando che hL = ctL

Analizzando gli ordini di grandezza, ricordando che generalmente l’entalpia h è espressa in kJ/kg, il calore specifico
c in kJ/kg K, la temperatura t in °C e l’umidità specifica ω in gv/kg a, possiamo ritenere che ctL = o(102), nonchè
ω2 –ω1 = o(10-3). Ne segue che h2 – h1 = o(10-1), allora con buona approssimazione possiamo ritenere che,
relativamente al caso con liquido
h2≈h1(18)
E che dunque la trasformazione è un’isoentalpica. Tale trasformazione è rappresentata in Fig. 8.

Umidificazione adiabatica - Caso con vapore

 Si voglia adesso analizzare il caso in cui si inserisce del vapore surriscaldato. In Fig. (9) è rappresentato il
diagramma psicrometrico, insieme ad una mezzaluna in alto a sinistra che si riferisce alla pendenza della
trasformazione Δh/Δω, che per l’Eq. (14) già vista in precedenza corrisponde ad hL.
 L’entalpia hL, che qui si riferisce ad acqua immessa in fase vapore surriscaldato, si può calcolare con la
seguente relazione

7
Ipotizzando che il vapore surriscaldato sia immesso ad una temperatura di circa 120°C, ne segue che hL è uguale a

La trasformazione è rappresentata in Fig. 9. Partendo dal punto 1, si traccia una retta parallela al valore di 2.7 J/g
(circa 2717.10, come riportato nell’Eq. 20) all’interno della mezzaluna posta in alto a sinistra. Noto che il punto 2 si
troverà nel verso dell’umidità specifica crescente, si può concludere che
t2 ≈ t 1
Quanto detto vale con buona approssimazione anche nel caso in cui il vapore sia immesso ad una temperatura
superiore

8
Obiettivi

● Introduzione della ​necessità ​di ​climatizzare u


​ n ambiente confinato attraverso il concetto di ​benessere
termoigrometrico ​(unità 1);
● Trasformazioni necessarie per la climatizzazione ​estiva ​(unità 2);
● Trasformazioni necessarie per la climatizzazione ​invernale ​(unità 3);

Benessere termoigrometrico
● Si definisce nel seguito il​benessere termoigrometrico​come

Atteggiamento mentale di soddisfazione dal punto di vista termico

● Il benessere termoigrometrico dipende da ​due fattori

1. Soggettivo​(sensazione soggettiva di caldo o freddo)


2. Ambientale

● Il ​
secondo​fattore è quello su cui si può ​agire​nell’ambito della climatizzazione;
le ​variabili ​che ​influenzano ​questo provengono da esperimenti effettuati su persone vestite mediamente, di
diverso tipo e verificandone il comfort termoigrometrico. Tali variabili sono:

1. La temperatura ambiente,
2. L’umidità relativa,
3. La velocità dell’aria relativa all’impianto di climatizzazione.

Zona di benessere termoigrometrico


● Attraverso gli esperimenti menzionati, attraverso uno standard ASHRAE (American Society of Heating,
Refrigerating and Air-Conditioning Engineers) è possibile definire una​zona di benessere termoigrometrico
● Siccome ​due variabili ambientali​sono la temperatura ambiente t​​ba​ e l’umidità relativa ϕ, tale ​zona​è
una ​porzione​del diagramma (ω, t) ed è rappresentata in Fig. 2; in tale diagramma,
possiamo ​ identificare​sulla ​sinistra​un ​limite invernale ​e sulla ​destra​un ​limite​​estivo
● Per quanto riguarda la configurazione ​invernale​, si osserva che alla ​temperatura​di 20 °C corrispondono
più ​
valori​dell’umidità relativa; ne segue che con buona approssimazione si può considerare la
seguente ​condizione​di benessere termoigrometrico per la configurazione ​invernale:

1. t​ba​ = 20 °C

1
2. ϕ = 20-30 / 70-80 %

● Per quanto riguarda la configurazione ​estiva​, osserviamo ​come la curva​limite prevede ​diverse​coppie di
e t​ba​; tuttavia, si può concludere che la​condizione di benessere termoigrometrico per la
valori di ω ​
progettazione​di un impianto di condizionamento estivo ​corrisponde​a

1. t​ba​ = 26 °C
2. ϕ = 50%

● In entrambi i casi, la ​velocità​dell’aria massima sarà di circa 0.15-0.20 m/s.

Condizioni di benessere termoigrometrico - Bilanci di energia


● Al fine di capire come garantire le condizioni di benessere termoigrometrico in termini di temperatura​​ e umidità
relativa, è utile fare dei​bilanci di energia​in condizioni di regime stazionario sull’intero spazio confinato
● Si supponga di voler​climatizzare una stanza​, rappresentata dalla casetta in Fig. 3. Attraverso dei bilanci di
energia, è possibile capire come trattare l’aria per poter garantire le condizioni desiderate
● Posta A la ​condizione d’esercizio​ed E la condizione dell’​ ambiente esterno​, si riportano di seguito le
variabili adoperate

1. Q̇amb​ ​=​ potenza​termica entrante/uscente​dall’esterno, variabile nel tempo, e che è data dal contributo
radiativo (sole) nonché dal contributo ​convettivo​(vento oppure convezione naturale dell’aria esterna). Il
calcolo di tale potenza termica è un tipico problema di trasmissione del calore. Essa è ​entrante o uscente ​ a
seconda di se il rapporto t​​E​/t​A​ è maggiore o minore di 1. Ad esempio, in configurazione estiva t​​E​/t​A​ < 1;
2. Q̇vi​ = potenza ​termica relativa all’ambiente interno​. Tale potenza termica, intesa come un ​contributo​per
l’innalzamento della ​temperatura​all’interno dello spazio, è dovuta alla presenza di persone e oggetti nello
spazio confinato quali computer, lampade etc.;
3. ṁvi​ ​= contributo in termini di ​massa relativa​ad
esempio ​ all’acqua​che ​evapora​all’interno dello spazio
confinato. Tale termine può essere ad esempio l’acqua che
evapora in una cucina.

2
Bilanci di energia
● Il ​
condizionamento​dell’aria in ambienti confinati si ​ottiene​attraverso una ​serie ​di trasformazioni
dell’aria ​
umida​viste nella lezione precedente
● Nella presente lezione, si comprenderanno le ​trasformazioni​necessarie all’​aria umida ​per
poter ​climatizzare​uno ​spazio confinato ​in configurazione ​estiva
● Si riepiloga la ​nomenclatura​utilizzata nella lezione precedente, introducendo anche la lettera I che indica la
condizione alla quale l’aria umida è immessa nell’ambiente al fine di garantire la condizione di esercizio A

1. A = condizione di ​esercizio​;
2. E = condizione ​ambiente​;
3. I = condizione di ​immissione ​aria.

Infine, con riferimento alle potenze termiche e alle potate massiche precedentemente introdotte, esse avranno
i​
seguenti segni ​ (in questo caso​, t​E​/t​A​ > 1)
Q​˙​amb​>​0
m​˙​vi​>​0
​Q​˙​i​>​0

3
Bilanci di energia – La retta ambiente

● A valle di quanto osservato nelle Eq. (2), possiamo capire in quale​porzione del diagramma
psicrometrico ​dovrà necessariamente trovarsi la coppia di punti (​h​I​,ω​I​).
● In Fig. 6, è riportato il ​diagramma​​psicrometrico​con tale regione evidenziata. Nello stesso diagramma, è
riportato anche il punto A, noto dalla normativa ASHRAE. Il punto I si troverà necessariamente nella regione
evidenziata.
● Ipotizzando​un valore di portata d’aria ​ṁa​,​ è possibile attraverso i bilanci (1a) ed (1b) determinare la
posizione del punto I. Tuttavia, questa posizione ​dipende dalla portata d’aria immessa​; tracciando tutte le
possibili soluzioni, troveremo un ​luogo d ​ i ​punti ​che si trova su una ​retta passante ​per A, e la parte di tale
retta che ricade all’interno della porzione evidenziata è detta ​retta ambiente p ​ oiché caratterizza
la ​
relazione ​tra lo ​stato ​di ​immissione ​I e lo stato d
​ esiderato ​A.

Bilanci di energia – Condizioni limite dell’aria

4
● In generale possiamo osservare che, ​posto​​Δω = ω​A​ – ω​I​ e ​Δh = h​A​ – h​I​,​ e che ​ṁa​ ​∝​ ω​∞​ con
ω​∞​ velocità d’immissione dell’aria:

ω​∞​ cresce, Δω e Δh decrescono;


1. se ​
​ ​∞​ decresce, Δω e Δh crescono.
2. se ω

● Si osserva che per un ​valore​​infinito​di ​velocità​dell’aria, il ​punto​di immissione I e quello desiderato


A​coincidono​; tuttavia, bisogna decidere con ​criterio​il valore da assegnare alla velocità ω​∞​. Questo criterio è
dato dalla ​
differenza​di ​temperatura​tra il punto I ed il punto A, vale a dire t​I-A

1. Δt​I-A​ ​piccolo​, ​ω​∞​ troppo ​grande​e potrebbe causare ​problemi​ad esempio per chi passa vicino alla
bocchetta dell’aria a causa della ​velocità ​troppo ​elevata​;
2. Δt​I-A​ ​grande​, ​ω​∞​ troppo ​piccolo​e potrebbe causare ​problemi​ad esempio per chi passa vicino alla
bocchetta dell’aria a causa della ​temperatura ​troppo ​bassa​.

● A valle di ciò, si stabilisce che la ​velocità dell’aria deve essere minore di 0.15 – 0.20 m/s,​ e con un
Δt​I​-A​ ​compreso​tra 3-4 °C ed 8-9 °C: questo ​spiega​a cosa serve il ​post​-​riscaldamento​, come verrà spiegato
in seguito. In Fig. 7, si rappresenta il diagramma psicrometrico in cui si tiene conto delle differenze di
temperatura appena menzionate

Unità di Trattamento Aria (UTA)


● Si vogliano adesso vedere le ​trasformazioni​​necessarie​all’aria umida affinchè sia possibile immettere l’aria
umida nello spazio confinato nello stato I ed ottenere le condizioni desiderate A
● L’Unità di Trattamento Aria (UTA)​è ​un’apparecchiatura​al cui interno vi sono dei ​componenti​necessari
per ​trattare​l’aria ​prima​di ​immetterla​in ​circolo​all’interno dello spazio confinato. Tali componenti sono dati
dall’insieme di alcune delle ​trasformazioni​viste nella lezione precedente. Un ​esempio​di UTA è riportato in
Fig. 8.

5
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie

● In una giornata ​estiva​, sono ​note​le​condizioni dell’aria esterna​E e quelle desiderate A,

t​E​=32​°​C​,​ϕ​E​=70​°​C​;​t​A​=26​°​C​,​ϕ​A​=50%
Si ​
ipotizzi​che l’impianto di ​trattamento​sia tutto con ​ricircolo​​interno​. In altre parole, l’aria umida è ​prelevata​nelle
condizioni ​desiderate​A, trattata nell’UTA e re-immessa nello spazio confinato, senza essere mai mescolata con l’aria
esterna E.

● Si vogliano scegliere le ​trasformazioni​tali da poter immettere nel sistema l’aria umida nelle condizioni di
immissione I e garantire le condizioni desiderate A. Per prima cosa, ​noto​il punto A, si determina la posizione
​ ​I​, ω​I​ ed ṁa​ ricordando
del punto I attraverso la risoluzione delle Eq. (1a) ed (1b) rispetto alle incognite h
i​
seguenti vincoli

1. h​I​ < h​A​;


2. ω​I​ < ω​A​;
​ a​ ​è funzione di ​ω​A​)
3. ω​∞​ < 0.15 m/s in modo tale che ​Δt​I-A​ compreso tra 3 ed 8 (si ricorda che ṁ

● Nota la ​
posizione​del punto di immissione I, è possibile ​determinare​il ​modo​con cu​i l’aria umida passa​dal
punto E (​immissione nell’UTA​) al punto I (​immissione nell’ambiente ​da climatizzare); le trasformazioni che
essa subirà sono le seguenti (Fig. 9)

1. Raffreddamento ed umidificazione;
2. Semplice riscaldamento.

6
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie

● In Fig. 10, si raffigurano le ​varie trasformazioni​subite dall’aria umida, insieme alle trasformazioni sul
diagramma psicrometrico che fanno capire i singoli punti relativi alle trasformazioni
● Tale criterio ​non si applica​nei locali pubblici in quanto per la legge vanno effettuati un certo numero di
ricambi d’aria con l’esterno in funzione dell’utenza (l’aria, contaminata, va trattata)
● A tale scopo, vi sono gli​impianti a parziale ricircolo

Unità di Trattamento Aria (UTA) - Parziale ricircolo

● Gli impianti a ​parziale ricircolo​prevedono che​l’aria umida​, prima di essere immessa nell’UTA nelle
condizioni A, sia sottoposta ad un ​mescolamento adiabatico ​con ​l’aria esterna​nelle condizioni E
● In Fig. 11, si rappresenta lo schema dell’UTA (la parte interna, non riportata, è grossolanamente sempre la
stessa) in cui è inserito un ​mescolatore adiabatico a monte​; ne segue che​l’aria, mescolata​tra le
condizioni interne A e le condizioni esterne E, ​entrerà​nell’UTA nelle condizioni M
● Il punto M risulterà ​leggermente più in alto​di A, in funzione del rapporto tra le portate di rinnovo e di
ricircolo; ne segue che la trasformazione di ​raffreddamento​, che precede quella di deumidificazione, si
troverà ​traslata​verso ​l’alto

7
Bilanci di energia

● Si voglia analizzare adesso la configurazione relativa alla ​climatizzazione​i​nvernale


● Si richiama la ​nomenclatura​utilizzata fino ad ora

1. A = condizione di ​esercizio​;
2. E = condizione ​ambiente​;
3. I = condizione di ​immissione ​aria.

Infine, con riferimento alle ​potenze termiche ​e alle potate massiche


precedentemente introdotte, esse avranno i seguenti segni (in questo
caso​, t​E​/t​A​ < 1)
Q​˙​amb​<​0
m​˙​vi​>​0
Q​˙​l​>​0

8
Bilanci di energia – Caso con poca generazione interna

● Nella presente analisi, si voglia analizzare il caso in cui ​h​A​ < h​I​, ossia |​Q̇i​|<|Q̇amb​|
● In Fig. 14 è rappresentata la​porzione di piano​in cui è garantito il ​benessere​termoigrometrico, e dunque
dove avremo la retta ambiente; si richiama che la normativa ASHRAE non prevede criteri riguardo l’umidità
relativa da garantire ​ϕ​A
● Nella stessa figura, come per il ​caso estivo​ipotizziamo di poter calcolare I risolvendo le​equazioni di
bilancio​(3a) ed (3b); anche in questo caso, sarà necessario avere un criterio riguardo il valore della velocità
di immissione ω​ ​∞​.
● Δt​I-A
Generalmente​, tale criterio è dato dalla ​differenza​di ​temperatura​tra il punto I ed il punto A, vale a dire ​

1. Δt​I-A​ ​piccolo​, ​ω​∞​ troppo ​grande ​e potrebbe causare ​problemi​ad esempio per chi passa vicino alla
bocchetta dell’aria a causa della ​velocità​troppo ​elevata​;
grande​, ​ω​∞​ troppo ​piccolo​e potrebbe causare ​problemi​ad esempio per chi passa vicino alla
2. Δt​I-A​ ​
bocchetta dell’aria a causa della ​temperatura ​troppo ​elevata​.

● criterio​è più ​largo​rispetto al caso estivo in quanto un ​Δt​I-A​ ​è più ​tollerabile​rispetto al caso
Tuttavia, il ​
estivo; possiamo dunque poter decidere di avere un ​Δt​I-A​ pari a 20-25 °C (​non eccessivamente alto​ )

9
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie

● Si voglia ora capire ​come è fatta​una UTA per configurazione ​invernale​. Si suppongono i seguenti valori per
le condizioni dell’aria esterna E, nonché le condizioni desiderate A,

t​E​ = 2 °C; t​A​ = 20 °C

● A differenza del caso estivo, accade che il ​punto E ​si troverà ​molto in basso​e sulla parte sinistra del
diagramma; ne segue che questo risulterà più vicino ad I rispetto al caso estivo.
● In tali condizioni, è dunque p​referibile utilizzare l’aria ​esterna per il nostro impianto. Le trasformazioni che
essa subirà sono le seguenti (Fig. 15)

1. Riscaldamento ed umidificazione​ (in Fig. 15, è riportato il caso con liquido nebulizzato);
2. Semplice riscaldamento

10
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie
● In Fig. 16, si raffigurano le​varie trasformazioni ​subite dall’aria umida, insieme alle trasformazioni sul
diagramma psicrometrico che fanno capire i singoli punti relativi alle trasformazioni
● Si osserva che tale esempio ​riguarda il caso​in cui l’umidificazione adiabatica si effettua
con ​liquido​​nebulizzato​; nel caso in cui questa venga fatta con vapore surriscaldato, la trasformazione 1-2
risulterà verticale (​t​2​≈t​1​)​ con conseguente ​riduzione​della ​potenza termica richiesta​per permettere la
trasformazione 2-I (a ​patto​ovviamente di avere ​vapore​​surriscaldato​disponibile)

11
12
Obiettivi
 Introduzione dei tre meccanismi di trasmissione del calore (unità 1);

 Legame tra i vari meccanismi e coesistenza (unità 1)

La trasmissione del calore – Cosa è?


 La termodinamica è in grado di fornirci informazioni sulla quantità/qualità di calore scambiata da un
sistema durante un processo che modifica le condizioni di equilibrio, senza però fornirci nulla
riguardo modalità e durata del processo

 Lo scambio termico è definito come il trasferimento di energia termica a causa di differenze di


temperatura tra due sistemi nel rispetto delle leggi della termodinamica

 La trasmissione del calore è la disciplina che studia i vari meccanismi di scambio termico, nonché la
rapidità con cui è trasferito il calore tra diversi corpi

 Si possono definire diverse modalità con cui avviene la trasmissione del calore

1. La conduzione, in cui lo scambio termico è riferito ad un mezzo (o più mezzi diversi a contatto) che può
essere solido o fluido il quale presenta delle differenze di temperatura;

2. La convezione, in cui lo scambio termico avviene tra una superficie ed un fluido in movimento quando
sono a differenti temperature;

3. L’irraggiamento, in cui lo scambio termico è dovuto al fatto che tutte le superfici ad una certa temperatura
emettono energia sotto forma di onde elettromagnetiche, implicando un trasferimento di energia
(scambio termico) tra superfici a diverse temperature.

 Si illustrano brevemente tali tipologie in Fig. 2; nella presente lezione, verranno introdotti i tre meccanismi, i
quali verranno poi approfonditi in lezioni successive

1
La conduzione - Fenomenologia
 Definiamo la conduzione come il trasferimento di energia per effetto dell’interazione delle particelle di una
sostanza dotate di maggiore energia con quelle adiacenti dotate di minore energia

 La conduzione può avvenire nei gas e nei liquidi a causa delle collisioni delle molecole durante il loro moto
casuale, mentre nei solidi a causa delle vibrazioni delle molecole all’interno del reticolo e al trasporto di
energia da parte degli elettroni liberi (metalli)

 Nel seguito, si proverà a spiegare dal punto di vista fisico cosa accade per il meccanismo di scambio termico
conduttivo prima nei fluidi (gas/liquidi) e poi nei solidi (metallici e non)

 Per quanto riguarda i fluidi, si ipotizza di avere una porzione di spazio occupata da un gas (Fig. 3) in cui è
presente un gradiente di temperatura, e non sono presenti moti macroscopici significativi di tale gas

 In ogni punto, la temperatura del gas può essere associata all’energia delle molecole, in particolare alle
loro energie

1. Cinetica (traslazionale);

2. Vibrazionale;

3. Rotazionale.

La conduzione - Fenomenologia
 Le molecole a maggior temperatura presentano un’energia (e quindi una mobilità) maggiore di quelle a
temperatura minore; quando le molecole a temperatura maggiore colpiscono quelle a temperatura minore,

2
trasferiscono una parte della loro energia cinetica, in maniera simile a quando due sfere elastiche a
pari massa e diversa velocità collidono

 Maggiore è la temperatura, maggiore è il moto delle molecole e del numero di urti, e


conseguentemente maggiore è la trasmissione del calore all’interno del gas in esame; secondo la teoria
cinetica dei gas, tale fenomeno aumenta pure al diminuire della massa molare del gas in esame

 Con riferimento alla Fig. 3 riferita alla slide precedente, possiamo considerare una linea ipotetica (coordinata
x0) che è anche soggetta all’attraversamento delle varie molecole; essendo le molecole
poste sopra x0 a temperatura (energia) maggiore, queste risulteranno più mobili di quelle sottostanti, e di
conseguenza vi sarà un trasferimento di energia verso il basso (vettore flusso termico qx)

 Si può dunque definire il trasferimento di energia dovuto al moto delle molecole (oltre al trasferimento dovuto
agli urti) come una diffusione d’energia; la stessa analisi può essere fatta per quanto riguarda i liquidi, in
cui però le molecole sono poste più vicine e le interazioni tra molecole sono più forti e frequenti, implicando
una migliore capacità nel trasferire calore per conduzione rispetto ai gas.

La conduzione - Fenomenologia
 Per quanto riguarda i solidi, consideratone un reticolo cristallino possiamo individuare due cause per
quanto riguarda la conduzione termica

1. Sia per non-metalli e metalli, vi è un trasporto di energia sotto forma di onde dovuto al moto vibrazionale
degli atomi/reticolo;

2. Per i soli metalli, vi è un ulteriore trasporto di energia dovuto al moto traslazionale degli elettroni liberi.

 Alcuni esempi di conduzione termica possono essere rappresentati in Fig. 4;

1. Un cucchiaino freddo immerso in una tazza di caffè caldo vedrà aumentare la propria temperatura a causa
del contatto con il caffè caldo, a causa del trasferimento di energia (scambio termico) per conduzione;

2. Una bacchetta metallica fredda posta sopra la fiamma di una candela vedrà aumentare la propria
temperatura a causa della presenza della fiamma , a causa del trasferimento di energia (scambio termico)
per conduzione.

La conduzione – Legge di Fourier


 La quantità di energia termica trasferita per conduzione, spesso riportata come potenza termica, è nota
dalla legge di Fourier, che verrà approfondita successivamente

 Sappiamo dall’esperienza che la potenza termica che si propaga per conduzione tra due regioni di un
corpo (Fig. 5) dipende dalle seguenti variabili

3
1. Geometria (A, Δx);

2. Caratteristiche del corpo (k);

3. Differenza di temperatura (ΔT).

 Si consideri nell’ipotesi di regime stazionario di avere un cilindro coibentato sulla superficie laterale, di
lunghezza Δx, sezione A, soggetta alla differenza di temperatura ΔT = T2 – T1 tra le facce che la delimitano
(Fig. 5). In base alle osservazioni di Fourier notiamo che

1. A parità di Δx e ΔT, la potenza termica QQ cresce linearmente con la sezione A;

2. A parità di A e ΔT, la potenza termica QQ è inversamente proporzionale alla lunghezza Δx;

3. A parità di Δx ed A, la potenza termica QQ cresce linearmente con la differenza di temperatura ΔT.

La conduzione – Legge di Fourier


 In base a queste considerazioni, si può scrivere che

 Possiamo introdurre una costante di proporzionalità k detta conducibilità termica (W/m K), osservando
anche che a parità di tutte le variabili la potenza termica varia in base al materiale adoperato

 Infine, possiamo ripetere lo stesso ragionamento per un filo infinitamente piccolo (Δx →0) e ricordando che
il calore è sempre diretto nella direzione delle temperature decrescenti in base alla seconda legge della
termodinamica

 L’Eq. (3) è la legge di Fourier che verrà approfondita nella lezione successiva. Tale Eq. (3) può anche essere
espressa in termini di flusso termico come segue

4
La conducibilità termica
 Nell’Eq. (2) è stata introdotta la conducibilità termica k, vale a dire una variabile che dipende dal materiale
preso in esame e che quindi ha un ruolo fondamentale nello scambio termico per conduzione; essa esprime
la potenza scambiata per conduzione (watt) per spessore unitario di materiale (metri) relativi ad
una differenza di temperatura di un grado (kelvin)

 Gli ordini di grandezza tipici della conducibilità termica sono riportati in Fig. 6, evidenziando come
gli aeriformi presentano conducibilità bassissime, mentre i metalli puri risultano essere i materiali con la
conducibilità termica più elevata (come ad esempio il rame)

 Possiamo inoltre menzionare che la conducibilità termica dipende dalla temperatura (Fig. 6), e che

1. I metalli risultano essere sia buoni conduttori di elettricità che di calore (rame, alluminio, etc.);

2. I solidi cristallini altamente ordinati presentano conducibilità termiche molto elevate (diamante, silicio) ma
conducibilità elettriche basse;

3. Le leghe metalliche presentano conducibilità termiche più basse di quelle dei singoli metalli puri a causa
della presenza di molecole diverse nella lega;

4. I superconduttori sono dei solidi che a temperature prossime allo 0 K hanno conducibilità termiche
elevatissime (circa 20000 W/m K).

La diffusività termica
 Nell’ambito della trasmissione del calore possiamo definire delle proprietà come

1. Proprietà di trasporto (ad esempio la conducibilità termica k), legate quindi a fenomeni
di trasporto/diffusione;

2. Proprietà termodinamiche (ad esempio la densità ρ e il calore specifico cp), legate allo stato d’equilibrio di
un sistema

 Spesso ci si riferisce al prodotto ρcp, misurabile in J/m3 K, in quanto capacità termica volumetrica, definita
come la capacità di un materiale di accumulare energia termica; essa rappresenta l’energia (joule)
accumulabile in un volume (m3) sotto una differenza di temperatura di un grado (kelvin)

 Possiamo dunque definire la diffusività termica α, in m2/s, nel seguente modo

5
 La diffusività termica esprime l’abilità di un materiale nel condurre energia termica rispetto alla sua
abilità nell’accumularla; per grandi valori di α, il materiale risponde rapidamente a perturbazioni del proprio
sistema d’equilibrio; per piccoli valori di α, tale risposta risulta essere lenta, causando un tempo molto grande
per il raggiungimento della nuova condizione d’equilibrio

 Osservando le unità di misura, possiamo definire la diffusività termica (Eq. 5) come i metri quadrati di
superficie attraversati dal disturbo termico in un secondo

La convezione - Definizioni
 Il meccanismo di scambio termico della convezione può essere visto come la somma di due contributi

1. Diffusivo, dovuto al moto casuale delle molecole (conduzione);

2. Advettivo, dovuto al moto macroscopico dei vari agglomerati di molecole (advezione).

 La convezione è la somma di questi due contributi, ed è ovviamente presente se essi avvengono in presenza
di un gradiente di temperatura

 È intuitivo dedurre che il calore trasmesso per convezione aumenta con la velocità del fluido, e che
in assenza di moto macroscopico lo scambio termico è puramente conduttivo; ne segue che lo studio
del campo di moto del fluido riveste un ruolo fondamentale per analizzare lo scambio termico convettivo

 In particolare, si considera il moto di un fluido ad una temperatura T∞ che lambisce una lastra piana ad una
temperatura Ts (Fig. 7); a causa della differenza di temperatura vi sarà scambio termico. La regione di fluido
interessata dalla presenza della piastra sia in termini fluidodinamici che termodinamici è detta strato limite,
e cresce lungo la direzione del flusso; la regione che influenza il campo di moto è detta strato
limite idrodinamico, mentre quella che influenza il campo di temperatura è lo strato limite termico

 Lo studio della convezione termica consiste


nello studio di problemi relativi allo strato limite idrodinamico e termico

La convezione - Definizioni
 Lo scambio termico convettivo può essere distinto in due tipologie di convezione, in base alla natura del
flusso

1. La convezione forzata si riferisce al caso in cui il moto del flusso è dovuto da


una forzante esterna (ventilatore, venti atmosferici)

2. La convezione naturale si riferisce al caso in cui il moto del flusso è dovuto


al campo di temperatura stesso, il quale causa variazioni di densità e dunque forze di galleggiamento che
permettono al fluido di muoversi (freni dell’auto)

6
 Alcuni esempi tipici di convezione forzata e naturale sono riportati in Fig. 8

1. Per quanto riguarda la convezione forzata, è riportato l’esempio di un ventilatore che raffredda una padella
ad una temperatura più alta (Ts) rispetto alla corrente d’aria indisturbata (T∞);

2. Per quanto riguarda la convezione naturale, vi è l’esempio di un uovo ad una certa temperatura (Ts) posto
in aria stagnante (T∞) a temperatura inferiore; la presenza dell’uovo ad una temperatura più elevata implica
che la densità nell’intorno dell’uovo tenderà ad abbassarsi, permettendo allo strato di fluido adiacente
all’uovo di salire; tale strato di fluido verrà sostituito da uno strato di fluido più freddo, permettendo dunque il
moto del fluido (diversa densità) e dunque scambio termico per convezione naturale.

La convezione – La correlazione di Newton


 Per quanto riguarda la caratterizzazione della potenza termica trasmessa per convezione, essa non è di
facile determinazione a causa della complessità fisica del fenomeno. Tuttavia, secondo la correlazione di
Newton è possibile esprimere una relazione di proporzionalità tra una differenza di temperatura e
la potenza trasmessa per convezione

Q˙=h(Ts−T∞) (6)
In cui h in W/m2K è la conduttanza convettiva unitaria (si indica con ħ quando è mediata nello spazio), mentre Ts –
T∞ è la differenza di temperatura riferita al caso della lastra piana riportato in precedenza in Fig. 7

 La conduttanza convettiva unitaria h, che esprime la potenza termica (watt) trasmessa per convezione
rispetto ad un’unità di superficie (metri quadri) sotto una differenza di temperatura di un grado (kelvin),
dipende da tanti aspetti come la geometria della superficie, la natura del moto,
proprietà termofluidodinamiche e di trasporto.

 I dettagli su come determinare h verranno illustrati nella lezione sulla convezione; si riportano in Fig. 9
alcuni ordini di grandezza tipici di h, osservando come generalmente

1. Per la convezione forzata, i valori di h sono tipicamente più elevati;

2. I liquidi presentano valori di h più alti degli aeriformi;

3. Si possono avere valori di h molto elevati per i metalli liquidi e per i fluidi in passaggio di fase

L’irraggiamento – Definizione
 L’irraggiamento è il trasferimento di energia tra vari corpi sotto forma di onde elettromagnetiche o fotoni,
e può riguardare non solo solidi ma anche liquidi e gas (non trattati nel presente corso); indipendentemente
dalla materia, l’emissione di un corpo per irraggiamento può essere attribuita
a cambiamenti nelle configurazioni elettroniche di atomi o molecole

7
 La fisica relativa all’irraggiamento verrà approfondita nella lezione dedicata; nell’ambito dell’intero
spettro emissivo di un’onda elettromagnetica, vi è una parte in cui
tali cambiamenti nelle configurazioni elettroniche di atomi o molecole portano a variazioni di temperatura;
allo stesso modo, la radiazione che incide una superficie comporta a variazioni in tali configurazioni che
causano variazioni di temperatura

 L’irraggiamento termico (d’ora in poi chiamato irraggiamento, oppure scambio termico radiativo) studia
proprio ciò che riguarda tale porzione di spettro emissivo

 Tale meccanismo di scambio termico (radiativo) non richiede la presenza di un mezzo interposto, e può
dunque avvenire anche nel vuoto, a differenza di conduzione e convezione

L’irraggiamento – Potenze termiche in gioco


 Si consideri una lastra piana indefinita. La potenza termica per unità di superficie (W/m 2) denominata con E
è detta potere emissivo, e il valore massimo che può attingere è dato dalla legge di Stefan-Boltzmann

Dove Ts è la temperatura in kelvin, ed σ la costante di Stefan-Boltzmann pari a 5.67·10-8 W/m2 K4; la legge di
Stefan-Boltzmann vale nell'ipotesi in cui si utilizza il modello di corpo nero, che è un corpo da considerarsi come
un corpo ideale nei confronti dell’irraggiamento (il pedice n indica proprio che ci riferiamo al corpo nero).

 Ci si può riferire al potere emissivo delle superfici reali attraverso quelle ideali (corpo nero) grazie alla
definizione di una proprietà della superficie nota come emissività ε (pari ad 1 per un corpo nero, che è
dunque il corpo con il maggiore potere emissivo a parità di temperatura)

L’irraggiamento – Potenze termiche in gioco


 La radiazione può anche provenire da altre superfici ed incidere la superficie in esame; tale aliquota
è l’irradianza (G) ed è la potenza termica che incide una superficie per unità di area e di tempo (W/m 2),
indicata con G; di questa energia, si definisce il coefficiente d’assorbimento α (pari ad 1 per un corpo nero)
come la percentuale di energia G che è assorbita dalla superficie in esame, e la parte di energia assorbita
dalla superficie è pari a

 Si rappresenta in Fig. 10 una lastra piana con vari contributi dovuti all’irraggiamento, e si evince che
la potenza termica netta scambiata per irraggiamento è proprio la differenza tra la potenza radiante emessa
(E) e la potenza assorbita dalla superficie in esame (Gass), in base al segno della potenza termica netta
(QQ, uscente dalla superficie nell'esempio in Fig. 10), possiamo comprendere se la superficie
guadagna o cede energia per irraggiamento

 Considerando una superficie piccola a temperatura Ts posta in uno spazio circondato da una superficie molto
più grande (o nera) a temperatura Tsurr, è possibile esprimere la potenza termica netta scambiata
QQ attraverso la seguente espressione

8
L’irraggiamento – Esempi
 Esempi pratici di scambio termico per irraggiamento sono riportati in Fig. 11

1. L’energia raggiante G proveniente dal sole (a circa 5760 K) verso la terra, che è approssimabile a circa
1000 W/m2 come ordine di grandezza;

2. Un forno elettrico in cui la parete dove è posta la resistenza elettrica implica che tutte le pareti del
forno scambino energia per irraggiamento; il ragionamento è simile per un forno a legna, in cui l’energia
raggiante impatta le pareti e viene riflessa in tutto il forno.

Scambio termico coniugato


 I tre meccanismi di scambio termico sono studiati in maniera separata, anche se l’esistenza di uno non
implica l’assenza degli altri

 Un problema di scambio termico coniugato è un problema in cui sono presenti simultaneamente più
meccanismi di scambio termico; generalmente può accadere che

1. All’interno di un solido, vi possono essere conduzione e irraggiamento, ma non convezione;

2. Sulle superfici del solido, vi possono essere conduzione, convezione ed irraggiamento;

3. In un fluido in quiete, vi possono essere conduzione e irraggiamento, ma non convezione;

4. In un fluido in movimento, vi possono essere convezione e irraggiamento, ma


non conduzione (piccola ed inclusa nella convezione).

9
 Alcuni esempi di scambio termico coniugato sono riportati in Fig. 12; in particolare, si osservano i seguenti
casi

1. Un pentolino con dell’acqua, in cui vi è energia raggiante proveniente da una serpentina calda non a
contatto (irraggiamento), energia scambiata all’interno dell’acqua in movimento (convezione) e trasferimento
di energia attraverso il manico (conduzione);

2. Un forno a legna per la cottura del pane, in cui vi è energia raggiante proveniente dalle pareti del forno
(irraggiamento), energia proveniente dal fatto che l’aria presenta moti convettivi naturali per via delle alte
temperature (convezione) e trasferimento di energia attraverso l’interno delle pareti (conduzione).

Riepilogo
 Nel seguito si riepilogano i tre metodi per esprimere la potenza termica in base al meccanismo di scambio
termico; per una lastra piana indefinita abbiamo

1. Per la conduzione, la potenza termica trasferita è nota dalla legge di Fourier (Eq. 3);

2. Per la convezione, la potenza termica trasferita è nota dalla correlazione di Newton (Eq. 6);

3. Per l’irraggiamento, la potenza termica trasferita è nota partendo dalla legge di Stefan-Boltzmann (Eqs. 7-
8) e dalla definizione di irradianza (Eq. 9).

10
Obiettivi
 Introduzione alla legge di Fourier e alla conduzione in lastre piane indefinite (unità 1);

 Estensione dello studio a geometrie cilindriche con applicazioni (unità 2);

 Modellazione della conduzione considerando la variabile temporale (unità 3).

La conduzione – Legge di Fourier


 La conduzione è un meccanismo di scambio termico tra due corpi a contatto a differente temperatura,
oppure all’interno di un corpo in cui vi sono dei gradienti di temperatura

 La legge che descrive il flusso termico dovuto alla conduzione è la legge di Fourier. Si suppone di avere
una superficie non isoterma (Fig. 2), in cui si tracciano le varie isoterme. Nell’ipotesi di
mezzo omogeneo ed isotropo, si può esprimere la legge di Fourier

Che lega il vettore flusso termico q al gradiente di temperatura lungo la direzione normale alla superficie
isoterma

1. La direzione del vettore è data dalla superficie isoterma (normale ad essa),

2. Il verso del vettore è dato dalla seconda legge della termodinamica,

3. Il modulo è dato dal prodotto tra il gradiente e la conducibilità termica.

 Si osserva che il segno meno garantisce che il flusso termico


è diretto dalle isoterme a temperatura maggiore a quella a temperatura inferiore (Fig. 2), posta
la normale come uscente dalla superficie isoterma considerata.

 La legge di Fourier vale per un mezzo non omogeneo, ma non vale per un mezzo anisotropo

1
La conduzione – Legge di Fourier
 La legge di Fourier può anche essere scritta in forma compatta, ricordando sempre che q è un vettore

e riferita rispettivamente ad un sistema di riferimento cartesiano e ad un sistema di riferimento cilindrico

2
La legge di Fourier per una lastra piana indefinita
 Esprimiamo ora l’Eq. (6) in termini di potenza termica QQ ricordando che QQ = qA

 Infine è possibile ottenere l’andamento del campo di temperatura lungo x. In base alle ipotesi formulate,
sappiamo che la potenza termica entrante in x = 0 coincide con quella uscente da x = s, per cui QQ = cost;
possiamo adesso integrare l’Eq. (4) tra T1 e la temperatura T generica, nonchè integrandola tra 0 e la
coordinata generica x, come segue

Dalla risoluzione di tale equazione, è possibile ottenere l’espressione dell’andamento della temperatura T lungo
la coordinata x

Con cui è anche verificato che l’andamento della temperatura lungo la variabile x è lineare.
Approccio delle resistenze termiche

 Ponendo R = s/kA, l’equazione (7) può anche essere scritta come

 Il parametro R è definito resistenza termica, e fornisce l’attitudine che ha il sistema in esame


a lasciarsi attraversare dall’energia in modalità calore. Ad esempio, a parità di A ed s, una conducibilità
termica elevata implica una resistenza termica bassa, dunque il calore passerà facilmente.

 Tutto ciò è riconducibile a quanto si osserva nella teoria dei circuiti, in cui la legge di Ohm correla corrente,
differenza di voltaggio e resistenza elettrica attraverso la seguente relazione

 Si conclude dunque che, analogamente alla teoria dei circuiti, il flusso termico può essere visto come una
corrente che fluisce in un mezzo con una differenza di temperatura (voltaggio) in base alla
resistenza termica (elettrica) del materiale

Resistenze termiche in serie


 Analogamente alla teoria dei circuiti, l’approccio delle resistenze termiche può essere utilizzato per
analizzare sistemi più complessi, in cui delle lastre piane indefinite sono poste in serie o in parallelo

3
 Per quanto riguarda il caso relativo a delle lastre in serie (Fig. 4), possiamo definire
una resistenza equivalente come la somma delle varie resistenze in numero pari a N (nel caso in esame,
pari a 4) che compongono il sistema in esame

Ne segue che è possibile esprimere la potenza termica nel seguente modo

In cui è possibile conoscere la potenza termica trasmessa attraverso tutte le


lastre semplicemente conoscendo le temperature ai due estremi

 In Fig. 4 sono anche riportati


i profili di temperatura all’interno delle
varie lastre. Si osserva che
la pendenza dei segmenti varia in funzione
della resistenza termica offerta da ogni strato, in
particolare dipende dalla conducibilità termica
a parità di spessore ed area di scambio

Resistenze termiche in parallelo


 Nel caso in cui sono presenti delle lastre in parallelo (Fig. 5) oltre che delle lastre in serie, è possibile
calcolare la resistenza equivalente come nella teoria dei circuiti, vale a dire

Nell’esempio in esame (Fig. 5), è possibile esprimere la potenza termica nel seguente modo

In cui è possibile conoscere la potenza termica trasmessa attraverso tutte le lastre semplicemente conoscendo
le temperature ai due estremi

 Per il caso in parallelo, accade dunque che il flusso termico si ripartisce nelle lastre in parallelo (in base alla
resistenza termica offerta dalla singola lastra) a parità di temperatura sulle parti estreme

4
Resistenze termiche con convezione dall’esterno
 Infine, si menziona anche che è possibile estendere la rete termica al caso convettivo (Fig. 6); definendo la
resistenza termica convettiva Rh = 1/hiAi, è possibile scrivere la correlazione di Newton nel seguente modo

Ne segue che è possibile esprimere la potenza termica nel seguente modo, includendo anche le resistenze
termiche in serie ed Rh in Req, per il caso in esame avremo (Fig. 6)

In cui è possibile conoscere la potenza termica trasmessa attraverso tutte le lastre semplicement conoscendo
le temperature dei fluidi ai due estremi

 In tal caso, il reciproco della resistenza equivalente Req è definito come trasmittanza termica globale UA;
tale aspetto verrà approfondito successivamente quando si parlerà di superfici cilindriche

5
Legge di Fourier – Applicazione ad un cilindro cavo
 Dopo aver analizzato cosa accade in superfici rettangolari (una lastra piana indefinita), si estende la stessa
analisi alle superfici curve, in particolare a superfici cilindriche

 In Fig. 7 è riportato un cilindro cavo di lunghezza L, in


cui formuliamo le seguenti ipotesi

1. Regime stazionario,

2. La superficie interna con raggio r1 è isoterma, con


temperatura T1,

3. La superficie esterna con raggio r2 è isoterma, con


temperatura T2.

 In base alle ultime due ipotesi, si può ipotizzare che il


flusso termico è monodimensionale, e che la
temperatura varia solo lungo r, per cui
la legge di Fourier può essere scritta nel seguente
modo

Oppure, in termini di potenza termica QQ e riferendosi all’area di


scambio A

Profilo di temperatura in un cilindro cavo


 Si procede ora alla risoluzione dell’Eq. (20). Come visto per una lastra piana, risolviamo l’equazione
differenziale con il metodo delle variabili separabili. Tale equazione va integrata tra r1 ed r2 per quanto
riguarda la variabile r, e tra T1 e T2 rispetto alla variabile T

Risolvendo l’Eq. (21), si perviene all’espressione finale della potenza termica

 Partendo dall’Eq. (22), come visto per una lastra piana è possibile
ottenere l’andamento del profilo di temperatura integrando l’Eq. (20) tra r1 e la generica variabile r, e tra
T1 e la variabile T.

Ottenendo l’espressione finale

In Fig. 8, si evidenzia come l’andamento del profilo di temperatura lungo il raggio segua una legge logaritmica

6
Trasmittanza termica globale
7
 L’Eq. (27) può essere anche scritta ricorrendo alla definizione di trasmittanza termica globale UA (UA =
1/Req)

 La trasmittanza termica globale presenta il termine U, in W/m2 K, che è un analogo della conduttanza
convettiva unitaria h, e serve a spiegarci come il calore è trasferito tra i due fluidi 1 e 2. L’intero termine UA
tiene anche conto della superficie di scambio termico

Raggio critico d’isolamento


 Si riporta nel seguito un esempio di applicazione della legge di Fourier per sistemi radiali:
il raggio critico d’isolamento, vale a dire lo spessore ottimale di materiale da porre intorno ad un cilindro per
ottimizzare lo smaltimento/isolamento della potenza termica, tenendo conto del fatto che tale spessore deve
essere un compromesso tra resistenza termica conduttiva e convettiva

 Tale esempio può riguardare due applicazioni:

1. Copertura di un cavo elettrico per garantire lo smaltimento della potenza termica dovuta
all’effetto Joule (smaltimento),

2. Copertura di un tubo con del fluido refrigerante a bassa temperatura per evitare
dispersioni termiche (isolamento).

Raggio critico d’isolamento


 Si analizza il caso di un filo elettrico attraversato da corrente (Fig. 10). In tal caso, il filo dovrà essere
ricoperto di materiale con uno spessore tale da minimizzare la resistenza termica conduttiva e permettere
lo smaltimento del calore, senza surriscaldare il filo. Il filo genera una potenza termica per
effetto Joule pari a

Con Rel resistenza elettrica, ed I corrente che attraversa tale filo. Tale filo è immerso in un ambiente in cui vi è
scambio termico per convezione, esprimibile attraverso la correlazione di Newton

Dove Ts è la temperatura calcolata sulla superficie esterna (r = R), mentre A è la superficie esterna del cilindro
composto dal filo elettrico più il materiale esterno. In altre parole, la potenza termica è smaltita grazie
alla convezione all’esterno dell’intero cilindro

8
Raggio critico d’isolamento
 Nelle ipotesi di lunghezza del cilindro unitaria, regime stazionario e flusso
termico monodimensionale (radiale), è possibile analizzare il problema
secondo l’approccio delle resistenze termiche (Fig. 11). Nota la potenza termica uscente dall’Eq. (31),
esprimiamo la potenza termica e la resistenza termica equivalente nel seguente modo

Dove Tfilo è la temperatura del cavo elettrico ortogonale alla sezione del cilindro cavo, che è pari alla temperatura
calcolata in ri.

 Dall’Eq. (34) si evince che la resistenza termica è un compromesso tra il termine conduttivo (primo) e
quello convettivo (secondo), in quanto il primo aumenta con il raggio (spessore) r, mentre
il secondo diminuisce con il raggio r. E’ possibile trovare un valore di resistenza ottimale derivando l’Eq.
(34) e ponendola pari a 0, risolvendo poi l’equazione rispetto ad r

Raggio critico d’isolamento


 Si voglia adesso capire se il valore di r ottenuto (Eq. 36) risulta essere un punto di minimo o di massimo.
Valutando la derivata seconda (Eq. 34), otteniamo

L’Eq. (37) diventa, imponendo r = k/h (Eq. 36),

9
 L’Eq. (38) è sempre positiva, dunque r = k/h rappresenta un punto di minimo. Ne segue
che non esiste uno spessore ottimale di isolamento, ma solo un raggio critico di isolamento rcr = k/h
che massimizza lo scambio termico in quanto minimizza la resistenza termica

Raggio critico d'isolamento - Andamento delle resistenze


 Si riportano in Fig. 12 gli andamenti della resistenza conduttiva, della resistenza convettiva e
della resistenza totale in funzione del raggio di isolamento rispetto al raggio interno ri, riferendosi ad un caso
generico da considerarsi qualitativo. Si può osservare come:

1. la resistenza conduttiva cresce con il raggio a causa dell’aumento dello spessore del materiale,

2. la resistenza convettiva diminuisce con il raggio a causa


dell’aumento della superficie di scambio termico,

3. la resistenza totale presenta un minimo, il cui valore di raggio (spessore) è il raggio critico di isolamento

 Infine si evidenzia che per applicazioni in cui è richiesto isolamento (tubo di refrigerante),
lo spessore da adoperare, r – ri, deve essere tale da superare la resistenza totale a spessore nullo, in
modo da rendere conveniente l’utilizzo dell’isolante per ridurre le perdite termiche

Il caso di resistenza termica interna trascurabile


 All’interno di un oggetto in cui vi sia scambio termico per conduzione, la distribuzione della temperatura può
variare sia nello spazio che nel tempo

 Si ipotizzi di avere due sfere di materiale diverso, vale a dire plastica e rame (Fig. 13); tali sfere sono
alla temperatura iniziale uniforme T0 = 100 °C, e sono immerse in un fluido a temperatura T∞ = 20 °C,
con il quale vi sarà scambio termico per convezione

 A causa del raffreddamento dovuto allo scambio termico con il fluido a temperatura inferiore,
la temperatura di entrambe le sfere si abbasserà, come riportato in Fig. 13 per diversi istanti di tempo;
osservando la figura possiamo ritenere che

1. Per quanto riguarda la sfera di plastica, la temperatura è funzione sia dello spazio (coordinata P) che del
tempo ϴ, T = f(P,ϴ);

10
2. Per quanto riguarda la sfera di rame, la temperatura è con buona approssimazione funzione solo del tempo, T
= f(ϴ).

 Si può dunque constatare che in alcuni casi le variazioni spaziali della temperatura, istante per istante,
possono essere trascurate, ritenendo dunque il corpo isotermo in ogni istante di tempo

 Come vedremo in seguito, tale condizione accade se la resistenza termica interna dovuta
alla conduzione è trascurabile rispetto alla resistenza termica esterna dovuta alla convezione (caso della
sfera di rame in Fig. 13), e si verifica in particolari condizioni di conducibilità termica k, conduttanza convettiva
unitaria h e dimensione geometrica caratteristica L

Espressione dell’evoluzione temporale della temperatura


 Si analizza ora l’andamento della temperatura in funzione del tempo per il caso
con resistenza termica conduttiva trascurabile rispetto a quella convettiva (rame nell’esempio
precedente).

 Si ipotizza di immergere un corpo ad una temperatura uniforme T0 (Fig. 14) all’interno di un liquido tale che
la sua temperatura T∞ sia minore di T0; ne segue che tale corpo tenderà a raffreddarsi per via del contatto
col liquido, raggiungendo ad un tempo infinito una temperatura pari a T∞

 Supponendo di trascurare le variazioni di temperatura all’interno del corpo in esame istante per istante, e
di trascurare gli effetti dovuti all’irraggiamento, si può scrivere un bilancio di prima legge sull’intero solido
tra la potenza termica trasmessa dal liquido per convezione e la variazione di energia interna nel solido

Dove il segno meno è dovuto al fatto che il calore entra nel sistema (anche per il caso di riscaldamento
l’espressione è la stessa). Attraverso la correlazione di Newton e l’equazione di stato, nell’ipotesi di proprietà
termofisiche costanti con la temperatura, l’Eq. (1) diventa

In cui la conduttanza convettiva unitaria ħ è mediata sull’intero solido, A è la superficie di scambio termico, T è
la temperatura variabile nel tempo, ρ è la densità, c il calore specifico e V il volume

11
Espressione dell’evoluzione temporale della temperatura
 L’Eq. (40) è un’equazione differenziale nell’incognita T che per avere soluzione richiede
la condizione iniziale T(θ=0)=T0; separando le variabili dall’Eq. (40) otteniamo

Posto il differenziale dT pari a dT = d(T-T∞) essendo T∞ una costante, possiamo andare ad integrare l’Eq. (41) tra
0 e l’istante θ generico, e tra T0 – T∞ e la differenza di temperatura generica T-T∞

Nell’ipotesi in cui le proprietà termofisiche sono costanti con il tempo e la temperatura, possiamo dunque ottenere
l’espressione finale per quanto riguarda la temperatura in funzione del tempo T(ϴ)

Temperatura adimensionale
 Si può definire la seguente costante di tempo τ, detta tempo caratteristico del transitorio

Tale costante di tempo indica la capacità che ha il corpo in esame ad accumulare energia termica, rispetto
alla capacità che ha di ricevere calore dall’esterno. Inoltre essa è il rapporto tra la capacità termica e
la conduttanza convettiva, dunque un compromesso tra queste due variabili.

 L’Eq. (43) può anche essere espressa in funzione della temperatura adimensionale ϴ

 Il vantaggio della forma adimensionale è che racchiude in essa tutte le soluzioni possibili, riducendo
drasticamente il numero di variabili in esame

 Si riporta in Fig. 15 l’andamento di tale temperatura in funzione del tempo ϴ diviso la costante τ; si osserva
che orientativamente il transitorio si può considerare estinto per ϴ/τ ≈ 3 (il valore di T* diventa circa 0.05)

12
 Nella stessa figura, si riporta un esempio (V/A = 0.1 m e ħ = 100 W/m2 K) in cui la temperatura varia in
funzione del tempo (Eq. 43) per acciaio (τ = 3750 s) e rame (τ = 2700 s), osservando come
all’aumentare della costante τ (Eq. 44) la temperatura si abbatte più lentamente

Il numero di Biot
 Infine, si menziona che l’ipotesi di uniformità spaziale dei profili di tempeatura istante per istante
è accettabile se il numero di Biot (Bi) è minore di 0.1. Il numero di Biot è il rapporto tra la resistenza
conduttiva Rcond e la resistenza convettiva Rconv

Dove L è una lunghezza caratteristica del sistema in esame, spesso pari


al rapporto tra volume ed area di scambio termico. L’Eq. (46) ci indica che per piccoli valori, la
resistenza conduttiva è piccola rispetto a quella convettiva, e di conseguenza istante per istante è facile per
il calore essere trasmesso all’interno del corpo

13
14
Obiettivi
 Comprendere dal punto di vista fisico i meccanismi della convezione forzata (unità 1);

 Analizzare gli approcci con cui risolvere problemi di convezione forzata esterna (unità 1);

 Studio della convezione forzata interna (unità 2);

 Comprendere i meccanismi della convezione naturale (unità 3).

La convezione: generalità
 La convezione è un meccanismo di scambio termico che comprende due meccanismi

1. Il moto casuale delle molecole (diffusione),

2. Il moto macroscopico del fluido (advezione).

 In base alla forzante del moto, possiamo distinguere

1. Convezione forzata (moto macroscopico indotto da una forzante esterna),

2. Convezione naturale (moto macroscopico indotto dalle forze di galleggiamento).

 Infine, possiamo distinguere due tipologie di convezione forzata

1. Convezione forzata esterna (il moto del fluido è libero, dunque non confinato),

2. Convezione forzata interna (il moto del fluido non è libero, dunque confinato).

 Nella convezione forzata, il moto macroscopico del fluido svolge un ruolo fondamentale nella trasmissione
del calore, ed è per questo motivo che quando si studia la convezione forzata in trasmissione del calore è
necessario avere informazioni anche riguardo il moto del fluido in esame.

La convezione forzata esterna

1
 Nella prima parte di questa lezione, si studia la convezione forzata esterna; in particolare, ci si riferirà al
caso di una lastra piana indefinita, in cui a differenza della convezione forzata interna il moto del fluido non
è confinato (Fig. 2). Tale aspetto verrà approfondito dal punto di vista fenomenologico nelle
slides successive, e molti concetti sono riferiti anche alla convezione forzata interna e naturale che
verranno analizzate successivamente.

 In Fig. 2, osserviamo come il fluido approccia la lastra ad una velocità pari ad u∞. Nel momento in cui
il fluido tocca la lastra (x = 0), necessariamente la velocità del fluido sarà nulla nel punto di contatto con la
lastra, ed u∞ in tutti gli altri punti.

 All’avanzare del fluido lungo la lastra, si osserva come l’andamento della velocità u lungo l’asse y cambia.
In particolare, si estende sempre di più la zona (indicata da δ) di fluido che risente della presenza della lastra
piana. Tale zona è definita come strato limite, ed è definibile come il valore della coordinata y tale che u =
0.99u∞.

Concetto di viscosità
 Il continuo aumento dell’estensione dello strato limite è dovuto agli sforzi viscosi all’interno del fluido

 Tali sforzi sono dovuti alla presenza della piastra; il fluido a contatto cerca di trascinare con se la piastra,
e similmente trascinerà con se uno strato superiore a velocità più bassa

 Nel seguito si cercherà di illustrare il concetto di viscosità tramite un esempio pratico; si consideri di
avere due piatti paralleli molto estesi posti ad una distanza H, all’interno dei quali vi sia un fluido (Fig. 3);
ipotizziamo che

1. Il piatto inferiore sia fermo ad una velocità nulla, mentre il piatto superiore si muove con una velocità pari
ad u1,

2. Siamo in regime stazionario,

3. La velocità del fluido vari linearmente tra i due piatti, ipotesi vera solo per spessori di fluido molto piccoli.

 In tali condizioni, osserviamo appunto che il fluido potrà muoversi solo se il piatto superiore è ad
una velocità maggiore di 0

2
Concetto di viscosità
 Al fine di muovere il piatto e dunque il fluido, è necessario applicare una forza che
sarà proporzionale all’area della superficie di contatto del piatto, nonché al rapporto incrementale tra
la velocità e l’altezza

 In altre parole, a parità di velocità del piatto superiore, se aumenta lo spessore di fluido H
servirà meno forza per muovere il fluido in quanto il piatto inferiore con il suo effetto frenante risulta
più lontano; come visto in maniera simile per la legge di Fourier, possiamo ritenere dunque che

1. A parità di Δy e Δu, la forza da applicare F cresce linearmente con la sezione A;

2. A parità di A e Δu, la forza da applicare F è inversamente proporzionale all’altezza Δy;

3. A parità di Δy ed A, la forza da applicare F cresce linearmente con la differenza di velocità Δu.

 Infine, portando l’Eq. (1) al limite, e definendo lo sforzo viscoso τ come il rapporto tra tale forza e l’area su
cui è applicata, possiamo scrivere

Concetto di viscosità
 Siccome lo sforzo da applicare dipende anche dal fluido in esame, come per la conducibilità termica k
nella legge di Fourier possiamo introdurre una costante di proporzionalità μ; riferendoci adesso al caso
generico di una lastra piana indefinita con moto non confinato, scriviamo l’espressione generica
che lega gli sforzi di taglio τ con il gradiente di velocità

3
 Dove μ è la costante di proporzionalità detta viscosità dinamica, che si misura in Pa s. I fluidi che rispettano
l’Eq. (3) sono detti fluidi newtoniani, e lo sono ad esempio l’acqua, l’aria o gli oli. Analogamente, possiamo
definire la viscosità cinematica n attraverso la densità ρ

 Siccome la conoscenza dello sforzo di taglio nell’Eq. (3) è complicata, ci si può arrivare attraverso
il coefficiente d’attrito Cf (adimensionalizzato attraverso l’energia cinetica) spesso noto sperimentalmente

Spiegazione del concetto di strato limite


 Cerchiamo di spiegare il concetto di strato limite definito all’inizio attraverso un esempio; partendo dalla Fig.
2 vista in precedenza, si suppone di modellare le particelle che compongono il fluido in movimento in
maniera discreta attraverso dei quadratini.

 Per ogni quadratino, possiamo scrivere il seguente bilancio di energia, trascurando i gradienti di pressione
e riferendoci all’avanzamento lungo la direzione x del singolo quadratino

In cui la variazione di energia cinetica rispetto al quadratino precedente (di dimensioni ΔxΔy) di una quantità Δu è
pari al lavoro delle forze d’attrito, riportato a destra nell’Eq. (6)

piegazione del concetto di strato limite


 Si riporta graficamente la spiegazione in Fig. 4. Ipotizziamo che i quadratini a contatto con la parete siano
ad una velocità media (a rigore, le particelle a contatto con la parete hanno velocità nulla). Partendo
dal bordo d’attacco (Fig. 4a), osserviamo che il primo quadratino perderà la sua energia cinetica rispetto
alla velocità del fluido indisturbata u∞ di una quantità pari a Δu secondo le Eqs. (6-9).

 Questo fenomeno riguarda anche l’asse y; ad esempio, il quadratino nella posizione (1,2) (colonna 1, riga 2)
alla velocità u(1,2) tende ad influenzare (i. e., riducendo energia cinetica) la particella sopra di essa nella
posizione (2,2) ad una velocità uoo (Fig. 4a); passando dunque alla colonna 3, si osserva come
la particella nella posizione (1,3) abbia ulteriormente variato la propria energia cinetica secondo le Eqs.
(6-9), e la particella nella posizione (2,3) abbia subito una riduzione pari a Δu rispetto però alla velocità del
fluido indisturbata u∞ (Fig. 4b)

4
 Ripetendo questo ragionamento lungo i vari quadratini sull’asse x, è possibile costruire
una linea spezzata che separa in direzione y i quadratini ad u∞ dagli altri, a parità di posizione sull’asse x
(Fig. 4c)

 Questo ragionamento può essere ripetuto nel continuo, passando da una spezzata ad una curva che è
proprio lo strato limite (Fig. 4d)

Regimi di moto laminare e turbolento


 In Fig. 5, è riportata una lastra piana indefinita leggermente più estesa di quella già vista,

 Possiamo osservare che, dopo una certa coordinata xc, il


moto ordinato delle particelle/filetti fluidi (moto laminare) diventa più caotico, arrivando a formare
dei vortici (moto turbolento) dopo una zona intermedia detta zona di transizione

 Il moto turbolento è a sua volta caratterizzato da tre sotto-regioni

1. Sottostrato viscoso, in cui vi sono ancora dei filetti fluidi paralleli come nel moto laminare,

2. Zona di buffer, che è una zona intermedia,

3. Regione turbolenta, in cui sono visibili i vortici caratteristici della turbolenza.

 Il moto turbolento è caratterizzato da un forte rimescolamento del fluido, con


conseguente aumento degli sforzi di tutti i tipi

5
Il numero di Reynolds
 Il fenomeno della turbolenza fu analizzato in dettaglio da Osborne Reynolds nel 1883

 Per verificare l’esistenza di questi regimi di moto, egli iniettò dell’inchiostro in una corrente fluida (Fig. 6),
osservando che per il caso laminare (basse velocità) la scia d’inchiostro è regolare, mentre quando
le velocità sono più alte (caso turbolento) dapprima si osservano fluttuazioni lievi, per poi ottenere
delle fluttuazioni rapide e casuali nel caso di piena turbolenza

 Il passaggio da un regime di moto laminare a turbolento è influenzato da un rapporto di forze in gioco, in


particolare dal rapporto tra forze d’inerzia e forze viscose. Riferendosi alla coordinata generica x:

1. Le forze d’inerzia, FI, sono associate all’aumento della quantità di moto del fluido in movimento
(e dell’ordine di ρu∞2/x),

2. Le forze viscose, Fv, sono associate allo scambio di quantità di moto tra strati di fluido adiacenti dovuti
alla presenza della piastra (e dell’ordine di μu∞/x2)

 Si definisce il numero di Reynolds locale Rex (x è la coordinata generica) come rapporto tra le forze citate

Tale numero può anche essere espresso riferendosi alla lunghezza dell’intera piastra L

6
Il numero di Reynolds critico ed il fattore d’attrito
 Il numero di Reynolds è utilizzato per stabilire quando avviene la transizione da regime di
moto laminare a turbolento; generalmente, posta xcr la coordinata alla quale avviene tale transizione, per
una lastra piana indefinita abbiamo che il regime di moto è turbolento se Rex > Rex,cr = 3∙105

 Se il numero di Reynolds supera tale valore, le forze di inerzia prevalgono sulle forze viscose, e ne segue
che vari strati di fluido tenderanno a distaccarsi più facilmente dalle vene
fluide contigue, fluttuando nello spazio in modo più caotico (turbolenza)

 Riprendendo il ragionamento visto in Fig. 4 in precedenza, accade che ad una certa distanza dalla parete il
singolo quadratino possiede una componente rotazionale che dunque induce turbolenza; si
può qualitativamente affermare che questo è dovuto alle forze d’inerzia del fluido che prevalgono su
quelle viscose, le quali tendono a far rimanere il fluido parallelo alla piastra, senza rotazioni

Il numero di Reynolds critico ed il fattore d’attrito

 Per quanto riguarda il fattore d’attrito Cf definito in precedenza, si osserva come esso (Fig. 7)

7
1. Decade lungo la direzione del flusso nella regione della
piastra in cui è laminare, a causa della riduzione di τ e
del gradiente di velocità (Eq. 3); dal punto di vista fisico,
questo è dovuto al fatto che lo strato limite cresce e più
strati di fluido dovranno scambiare quantità di moto, con
conseguente riduzione degli sforzi viscosi;

2. Aumenta all’improvviso nella zona di transizione a


causa dell’arrivo della turbolenza,
che rimescola il fluido favorendo
il trasporto di quantità di moto e dunque di sforzi viscosi;

3. Decade nuovamente lungo


la direzione del flusso nella regione della piastra in cui
è turbolento

Lo strato limite termico


 Si ipotizza ora che la lastra in esame si trovi ad
una temperatura Ts maggiore di quella del fluido indisturbato T∞.

 Dalle leggi della termodinamica, sappiamo che vi è scambio termico tra la parete e il fluido indisturbato;
siccome ipotizziamo che il fluido sia in movimento, tale scambio termico avverrà
per convezione (diffusione più advezione). Lo strato limite termico (δT) è definito come
il valore della coordinata y tale che T = 0.99T∞, ed è la porzione di spazio in cui
il fluido è influenzato dalla presenza della piastra per quanto riguarda lo scambio termico e dunque
la temperatura (Fig. 8), in maniera analoga a quanto già osservato per il campo di moto.

 Analogamente alla quantità di moto, in questo caso i vari strati di fluido adiacenti scambieranno energia
tra di loro, andando a variare la temperatura; tale variazione di temperatura lungo la direzione y
sarà graduale fino ad essere nulla in corrispondenza di T∞

Spiegazione del concetto di strato limite termico

8
 Possiamo spiegare il tutto con un ragionamento analogo a quello visto in Fig. 4 per lo strato limite
idrodinamico, modellando le varie particelle di fluido come dei quadratini (Fig. 9)

 Partendo dal bordo d’attacco (Fig. 9a), osserviamo che il primo quadratino subisce
una variazione di temperatura (il segno dipende da se Ts è maggiore o minore di T∞, oppure da se vi è
un flusso termico entrante, Ts > T∞, o uscente, Ts < T∞) rispetto alla temperatura del fluido indisturbato
(T∞) pari ad un ΔT generico;

 A causa della variazione di temperatura, tale quadratino nella posizione 1,2 alla temperatura T(1,2) trasferirà
energia in direzione y alla particella sopra di essa nella posizione 2,2 ad una temperatura T∞ (Fig. 9a);
passando dunque alla colonna 3, si osserva come la particella nella posizione 1,3
abbia ulteriormente variato la propria temperatura a causa dello scambio termico, e la particella nella
posizione 2,3 abbia subito un aumento/diminuzione di temperatura di un ΔT generico rispetto alla
temperatura del fluido indisturbato T∞ (Fig. 9b)

 Come per la velocità, ripetendo questo ragionamento lungo i vari quadratini sull’asse x, è
possibile costruire una linea spezzata che separa in direzione y i quadratini a T∞ dagli altri,
a parità di posizione sull’asse x (Fig. 9c)

 Questo ragionamento può essere ripetuto nel continuo, passando da una spezzata ad una curva che è
proprio lo strato limite termico (Fig. 9d)

La correlazione di Newton
 Il flusso termico trasferito per convezione può essere ottenuto attraverso la correlazione di Newton

 La conduttanza convettiva unitaria h (W/m2 K) può essere sia definita localmente (h) che in
forma mediata (ħ, in questo caso la media è riferita alla lunghezza L della piastra); possiamo anche

9
esprimere il flusso termico (Eq. 6) attraverso la legge di Fourier in y = 0 dove lo scambio termico è
puramente conduttivo essendo la velocità del fluido nulla

 Combinando le Eq. (12) e (13), si perviene alla seguente definizione di h

Il numero di Nusselt
 L’equazione (14) esprime il rapporto tra la conduzione relativa al punto di contatto fluido/lastra e
lo scambio termico convettivo relativo alla differenza di temperatura tra la lastra piana e
il fluido indisturbato. Possiamo adimensionalizzare l’Eq. (14); ponendo T* = (T – T∞)/(Ts – T∞) e y*
= y/L si perviene alla seguente espressione

Dove Nu è il numero di Nusselt, che è quindi correlato al gradiente di temperatura adimensionale


nel punto di contatto tra il fluido e la piastra. Tale numero di Nusselt può essere anche espresso come rapporto tra
i flussi termici convettivo e conduttivo. Partendo dall’Eq. (15), possiamo moltiplicare e dividere il numeratore ed il
denominatore per ΔT = Ts – T∞, ottenendo

Si osserva che in realtà L, nota anche come lunghezza caratteristica, andrebbe scelta
come spessore dello strato limite, e ciò non viene effettuato nel caso
della lastra piana essendo lo spessore dello strato limite variabile; ne segue che a rigore il numero di Nusselt (Eq.
15) non esprime un rapporto tra flussi termici per il caso della lastra piana

L’andamento della conduttanza convettiva unitaria


 Con riferimento alla conduttanza convettiva unitaria h presentata nell’Eq. (14), è possibile comprendere il suo
andamento lungo la lunghezza della piastra (Fig. 10)

10
 Così come per il coefficiente d’attrito Cf visto in precedenza,
osservando la Fig. (10) possiamo dire che h

1. Decade lungo la direzione del flusso nella regione della


piastra in cui è laminare, a causa della riduzione di q e
del gradiente di temperatura (Eqs. 12-14); dal punto di
vista fisico, questo è dovuto al fatto che lo strato limite
termico cresce e più strati di fluido
dovranno scambiare calore, con conseguente riduzione
dello scambio termico tra strati di fluido adiacenti;

2. Aumenta all’improvviso nella zona di transizione a


causa dell’arrivo della turbolenza, che rimescola
il fluido favorendo il trasporto di energia in modalità calore;

3. Decade nuovamente lungo


la direzione del flusso nella regione della piastra in cui
è turbolento.

Legame tra campo di moto e temperatura


 Le considerazioni fatte fino ad ora sui campi di moto e di temperatura, quindi sui loro strati limite,
risultano essere abbastanza simili; si osserva una forte analogia tra Cf ed h (Figs. 7 e 10)

 Volendo approfondire tale analogia, la quale già è stata accennata nella spiegazione del concetto di
viscosità (Eqs. 1-2), possiamo richiamare le espressioni di τ in funzione del gradiente di velocità in parete
(Eq. 3), τ = -μ(∂u/∂y)|y=0 e del flusso termico q in funzione del gradiente di temperatura in parete (Eq.
13), q = -kf(∂T/∂y)|y=0 ed osservare una forte analogia in termini di variabili di trasporto (τ, q) legate ad
un gradiente (u, T) attraverso una costante (μ, kf)

Legame tra campo di moto e temperatura


 Adimensionalizzando l’ Eq. (3) attraverso l’ Eq. (5) e l’Eq. (10) omettendo il pedice x, ed analogamente
richiamando l’Eq. (15), possiamo esprimere CfRe e Nu come

 Si osserva come anche in termini adimensionali (dunque, facendo variare u* e T* tra 0 ed 1), i problemi
relativi al campo di moto ed al campo di temperatura possono risultare fortemente analoghi

 Si può quindi definire il numero di Prandtl nel seguente modo

SI osserva che il numero di Prandtl esprime proprio il rapporto tra la capacità


del fluido di diffondere la quantità di moto ed il calore all’interno dello strato limite.

11
Risoluzione di problemi di scambio termico in convezione forzata esterna
 Una volta definite le variabili adimensionali Re, Nu e Pr, si voglia cercare il legame di queste con
i campi di temperatura

 È già stato visto il modo in cui Nu è pari al gradiente di temperatura adimensionale in parete; si può
dimostrare,
attraverso adimensionalizzazione delle equazioni di conservazione di massa, quantità di moto ed energi
a, che

In cui vi sono la coordinata adimensionale x* = x/L (Eq. 22a), il numero di Nusselt mediato sull’intera piastra (Eq.
22b), il numero di Reynolds relativo all’intera lunghezza L (Eq. 22b), e la temperatura adimensionale mediata sulla
lunghezza dell’intera piastra (Eq. 22b)

 Ne segue dunque che il numero di Nusselt ed


il gradiente di temperatura in parete sono funzioni della coordinata spaziale lungo cui evolve il fluido, del
numero di Reynolds e del numero di Prandtl; noti questi ultimi due, è possibile risalire al numero
di Nusselt e dunque al gradiente di temperatura adimensionale in parete, nonchè

12
alla conduttanza convettiva unitaria h (se mediata, espressa con ħ), che può
essere utilizzata nella correlazione di Newton

Risoluzione di problemi di scambio termico convettivo


 Ad esempio, per quanto riguarda una lastra piana indefinita (come quella analizzata), è
possibile adoperare una delle due correlazioni riportate di seguito (la prima analitica, la seconda empirica)
per conoscere il numero di Nusselt, rispettivamente valide per flusso laminare (previa verifica che ReL sia
minore di 3∙105) e per turbolento (viceversa)

13
La convezione naturale

 Nella convezione naturale, la forzante del moto del fluido è lo scambio termico stesso; si consideri ad
esempio una lastra piana orientata verticalmente, ad una temperatura uniforme Ts ed immersa in
un fluido ad una temperatura ad infinita distanza pari a T∞
 La presenza della piastra e la sua diversa temperatura rispetto al fluido circostante comporterà
uno scambio termico dalla piastra al fluido. Ipotizzando di avere un gas ideale a pressione costante, dalla
legge dei gas ideali sappiamo che ρ ∝ 1/T; in virtù di questo,
le particelle di fluido vicine alla piastra si riscalderanno, vedendo variare la loro densità (Eq. 14); tra
due particelle adiacenti i e j, possiamo scrivere il principio di Archimede relativo
alla forza per unità di volume

 L’Eq. (14) implica che tale particella i riscaldata tenderà a subire


una spinta verso l’alto proporzionale alla differenza di densità e dunque alla differenza di temperatura; in
particolare, possiamo dimostrarlo partendo dalla definizione di coefficiente di espansione volumetrica β

La convezione naturale
Linearizzando, possiamo scrivere l’Eq. (15) come

La quale per un gas ideale diventa proprio pari a β = 1/T. Possiamo correlare la variazione di densità a quella di
temperatura nel modo seguente; a pressione costante, la variazione di densità tra le particelle i e j è pari a

In cui il parametro βΔT riportato nell’Eq. (17) è proprio la variazione di densità dovuta
alla variazione di temperatura ΔT a pressione costante; abbiamo
dunque correlato la forza di galleggiamento (Eq. 14) ad una variazione di temperatura (Eq. 17).

 Una volta appurata la presenza di tale forza di galleggiamento, vi è una forza viscosa dovuta alla presenza
della piastra che si oppone alla forza di galleggiamento, e il moto del fluido è proprio dovuto alle forze
di galleggiamento che riescono a prevalere sulle forze viscose, permettendo alle
particelle calde di risalire e di essere sostituite nella stessa posizione da particelle più fredde

Strati limite

 In Fig. 6, sono riportati sia gli strati limite per la velocità che quello per la temperatura; si osserva che
la forma dello strato limite è diversa rispetto alla convezione forzata esterna in quanto cambia la fisica del
problema in esame; la velocità ad infinita distanza dalla piastra è in questo caso pari a zero, mentre il
valore massimo della velocità si troverà nel mezzo dello strato limite.
 Tutte le considerazioni viste in precedenza sulla convezione forzata riguardo l’analogia relativa al numero
di Prandtl e l’esistenza di un regime di moto turbolento valgono anche per la convezione naturale; si
osserva che l’andamento del profilo di velocità all’interno dello strato limite è leggermente diverso da quello
della temperatura a causa della velocità pari a zero per quanto riguarda il fluido indistrubato
 È importante anche osservare che non si può avere convezione naturale se Ts < T∞ in quanto si
assisterebbe solo alla stratificazione del fluido (la densità aumenta dunque non vi è moto del fluido)

1
Il numero di Grashof - Definizione

 Siccome il fluido non presenta una velocità indisturbata u∞ (ad infinita distanza la velocità del fluido è nulla),
è necessario definire una nuova velocità di riferimento per poter definire le varie variabili adimensionali e
tutto ciò che è correlato, come visto per la convezione forzata esterna
 Per la convezione naturale, invece del numero di Reynolds si adopera il numero di Grashof, definibile
sia localmente (per una certa coordinata x) che globalmente; nel secondo caso, per una lastra piana
indefinita di lunghezza L il numero di Grashof globale verrà indicato col pedice L

Dove g è l’accelerazione di gravità, e β la comprimibilità isobarica del fluido.


Il numero di Grashof - Interpretazione fisica

 Il numero di Grashof è proporzionale al rapporto tra forze di galleggiamento e forze viscose. Ricordiamo
che per una coordinata x (quanto verrà detto vale anche nell’ipotesi in cui ci si riferisce all’intera piastra di
lunghezza L), posto che è possibile approssimare la variazione di densità Δρ = ρβΔT (Eq. 17),

1. Le forze di galleggiamento, Fg, sono associate allo scambio di quantità di moto dovute
alle variazioni di densità (e dell’ordine di gΔρ, ossia ρgβΔT);
2. Le forze viscose, Fv, sono associate allo scambio di quantità di moto tra strati di fluido adiacenti dovuti
alla presenza della piastra (e dell’ordine di μu/x2).

Il numero di Grashof - Interpretazione fisica

 Ipotizziamo che le forze d’inerzia siano uguali a quelle viscose, per cui Re = 1. Scriviamo il rapporto tra le
forze di galleggiamento e viscose

 Moltiplichiamo adesso i vari membri dell’Eq. (20) per il numero di Reynolds (unitario), ricordando che il
numero di Reynolds è il rapporto tra forze d’inerzia FI e viscose Fv

2
 L’Eq. (21) esprime che il numero di Grashof è pari al prodotto tra forze di galleggiamento e d’inerzia,
divise per il quadrato delle forze viscose; tuttavia nell’ipotesi che Re = 1 (ed FI = Fv), possiamo dunque
scrivere l’Eq. (21) nel seguente modo

Il numero di Rayleigh - Definizione


 Anche nella convezione naturale possono essere presenti fenomeni turbolenti, come riportato in Fig. 7, in
cui si confrontano le linee di flusso relative ad un regime di moto laminare (sinistra) e turbolento (destra),
osservando che il primo risulta essere abbastanza regolare, a
differenza del secondo.
 Così come nella convezione forzata abbiamo il numero di Reynolds,
per caratterizzare la transizione nella convezione naturale si utilizza
il numero di Rayleigh (qui, riferito all’intera lastra di lunghezza L)

 Si dimostra che anche il numero di Rayleigh è proporzionale al


rapporto tra forze
di galleggiamento e viscose, indipendentemente dalle ipotesi fatte
sul rapporto tra forze d’inerzia e viscose; esso ci fornisce un’idea su
quanto le forze di galleggiamento tendono a
far distaccare le vene fluide adiacenti, permettendo
di fluttuare liberamente nello spazio (turbolenza). Possiamo dunque
definire il regime di moto turbolento se

Il numero di Rayleigh - Interpretazione fisica

 Il numero di Rayleigh può anche essere espresso nel seguente modo. Dall’Eq. (20), supponiamo di scrivere
un bilancio locale di forze in ipotesi di regime quasi-stazionario eguagliando le due forze in gioco (Fg = Fv),
in modo da ottenere un valore dell’ordine di grandezza relativo alla velocità del fluido

 Nella convezione naturale, possiamo associare il moto convettivo (advezione) del fluido con le forze
di galleggiamento, in quanto sono queste a causarlo; analogamente, il moto diffusivo (conduzione) del fluido
può essere associato alle forze viscose; si può dunque pervenire alla seguente espressione

 Tale espressione indica che il numero di Rayleigh esprime anche il rapporto tra il moto convettivo del fluido
e la sua diffusione; quando esso è molto piccolo, il fluido stratifica (puramente conduttivo),
quando cresce abbiamo i moti dovuti alla convezione naturale (regime laminare), mentre quando il suo
valore è molto grande allora le forze di galleggiamento sono tali da causare moti turbolenti
 Così come il numero di Grashof può essere visto come un analogo del numero di Reynolds, il numero
di Rayleigh può essere visto come un analogo del numero di Peclet.

3
Risoluzione di problemi di scambio termico in convezione naturale

 Così come per la convezione forzata, si cerca ora di correlare le variabili adimensionali in gioco Gr, Nu e Pr
con i campi di temperatura attraverso Nu
 Per la convezione naturale, è possibile scrivere attraverso adimensionalizzazione delle equazioni di
conservazione di massa, quantità di moto ed energia, che

 Il problema risulta quindi analogo a quanto visto per la convezione forzata. Spesso le correlazioni sono
della forma

 Per una lastra piana verticale con temperatura Ts uniforme, si può scrivere

 Si menziona anche che il problema della convezione naturale può essere studiato per casi come lastre
orientate orizzontalmente (in base all’orientamento), ed obliquamente

4
Obiettivi

 Definizione delle variabili relative ai meccanismi di scambio termico radiativo (unità 1);
 Utilizzo dei modelli di corpo nero e corpo grigio (unità 1);
 Analisi dello scambio termico in una cavità (unità 2).

L’irraggiamento

 Secondo la teoria elettromagnetica, è noto che ogni corpo emette onde elettromagnetiche secondo una
certa lunghezza d’onda λ

λ=c/f (1)
Con c velocità della luce nel vuoto (circa 300,000 km/s) ed f la frequenza.

 E’ stato verificato che vi è una parte dello spettro di tali onde elettromagnetiche che è associato ad
una variazione di temperatura; tale regione è quella di interesse nell’ambito dell’irraggiamento, ossia
della radiazione termica. Si riporta lo spettro elettromagnetico in Fig. 2, evidenziando una parte dello
spettro compresa tra 0.1 μm e 100 μm, che è la parte relativa alla radiazione termica qui analizzata: essa
comprende parte dell’ultravioletto, il visibile e l’infrarosso

1
Definizioni e proprietà

 Si riportano le definizioni utili per poter studiare l’irraggiamento. Le grandezze radiative, che verranno
definite in seguito, possono essere

1. Monocromatiche o spettrali, se riferite ad una sola lunghezza d’onda o a più lunghezze d’onda;
2. Direzionali o diffuse, se riferite ad una sola direzione o se sono indipendenti dalle direzioni.

Definizioni e proprietà

 Nel seguito, si analizzeranno le grandezze in esame; tali definizioni si riferiscono a


grandezze monocromatiche quando indicate col pedice λ

1. Il potere emissivo monocromatico Eλ (W/m2 μm) descrive l’energia emessa per unità
di tempo, superficie e lunghezza d’onda da una superficie;
2. L’irradianza monocromatica Gλ (W/m2 μm) descrive l’energia incidente per unità
di tempo, superficie e lunghezza d’onda su di una superficie;
o La quantità Aλ, pari ad αλGλ (W/m2 μm), è l’aliquota di energia incidente che
viene assorbita dalla superficie per lunghezza d’onda, con α coefficiente di assorbimento (0≤αλ≤
1);
o La quantità Tλ, pari ad τλGλ (W/m2 μm), è l’aliquota di energia incidente che
viene trasmessa dalla superficie per lunghezza d’onda, con τ coefficiente di trasmissione (0≤tλ≤ 1);
o La quantità Rλ, pari ad ρλGλ (W/m2 μm), è l’aliquota di energia incidente che viene riflessa dalla
superficie per lunghezza d’onda, con ρ coefficiente di riflessione (0≤ρλ≤ 1);
3. La radiosità monocromatica Jλ (W/m2 μm) descrive l’energia che lascia la superficie per unità
di tempo, superficie e lunghezza d’onda, e possiamo scrivere che Jλ = Eλ + ρλGλ

Definizioni e proprietà
 Tali grandezze possono anche essere riferite a più lunghezze d’onda (spettrali), vale a dire come somma di
più valori ottenuti per lunghezza d’onda

1. Il potere emissivo totale E (W/m2) descrive l’energia emessa per unità di tempo e superficie da
una superficie;
2. L’irradianza totale G (W/m2) descrive l’energia incidente per unità di tempo e superficie su di
una superficie
o La quantità A, pari ad αG (W/m2), è l’aliquota di energia incidente che viene assorbita dalla
superficie, con α coefficiente di assorbimento (0≤α≤ 1);
o La quantità T, pari ad τG (W/m2), è l’aliquota di energia incidente che viene trasmessa dalla
superficie, con τ coefficiente di trasmissione (0≤τ≤ 1);
o La quantità R, pari ad ρG (W/m2), è l’aliquota di energia incidente che viene riflessa dalla
superficie, con ρ coefficiente di riflessione (0≤ρ≤ 1);
3. La radiosità totale J (W/m2) descrive l’energia che lascia la superficie per unità di tempo e superficie, e
possiamo scrivere che J = E + ρG

Definizioni e proprietà

 Inoltre, è possibile scrivere che (il riepilogo è riportato in Fig. 3)

1. α + ρ + τ = 1, ossia A + T + R = G;
2. Un corpo è detto opaco se τ = 0, dunque ρ + α = 1 (ipotesi utilizzata spesso per i solidi);
3. Un corpo è detto trasparente se τ = 1 (ipotesi utilizzata spesso per aeriformi e liquidi);
4. Un corpo è detto semitrasparente se coesistono assorbimento, trasmissione e riflessione;
5. Posto che la radiosità J è la potenza che lascia la superficie, mentre l’irradianza G
la potenza che incide la superficie, il flusso termico netto q relativo ad una superficie può
essere espresso come q = J – G.

2
Modello di corpo nero

 Il modello di corpo nero è utilizzato come modello di riferimento ideale per lo studio dell’irraggiamento

1. Ipotesi 1: Un corpo nero assorbe tutta la radiazione incidente su di esso, a qualsiasi lunghezza d’onda
(αλ = α = 1);
2. Ipotesi 2: Fissata temperatura e lunghezza d’onda, nessun corpo emette più energia di un corpo
nero (ε = 1, come si vedrà in seguito);
3. Ipotesi 3: La radiazione emessa da un corpo nero non dipende dalla direzione, dunque è diffusa.

Modello di corpo nero

 Esso è utilizzato come riferimento, e nessuna superficie esistente ha tali proprietà; le grandezze quando
riferite al corpo nero sono caratterizzate dal pedice n. Nel seguito, verrà dimostrato che una cavità (insieme
di superfici) con superfici a temperatura uniforme (Fig. 4) in cui la radiazione entra attraverso una
piccola apertura è approssimabile ad un corpo nero:

1. Tale radiazione, prima di uscire, è ripetutamente riflessa all’interno della cavità, e siccome in
tali riflessioni una parte di radiazione è assorbita, si può con buona approssimazione concludere
che tutta la radiazione è assorbita dalla cavità, come accade per un corpo nero (ipotesi 1, Fig. 4a);
2. Dalla prima legge della termodinamica, sappiamo che la radiazione che uscirà dall’apertura dipende solo
dalla temperatura della superficie, dunque dall’emissione del corpo nero (ipotesi 2, Fig. 4b);
3. Se viene posta una superficie piccola all’interno della cavità (Fig. 4c), tale superficie avrà
una radiazione emessa per lunghezza d’onda Gλ pari ad Eλ relativa alla superficie isoterma, e tale
superficie è diffusa rispetto all’irraggiamento, indipendentemente dall’orientamento (ipotesi 3, Fig. 4c).

3
Le leggi del corpo nero

 Sono tre le leggi che descrivono il comportamento di un corpo nero; la prima illustrata è la legge di Planck,
che correla il potere emissivo monocromativo di un corpo nero Enλ con la lunghezza d’onda e la temperatura
alla quale si trova

Dove le costanti sono pari a C1 = 3.742∙108 W ∙ μm4/m2 e C2 = 1.439 ∙104 μm∙K

 L’andamento del potere emissivo monocromatico è riportato in Fig. 5 per diverse lunghezze d’onda e
temperature. Si osserva che a parità di lunghezza d’onda il potere emissivo cresce con la temperatura
 Osservando la Fig. 5, è possibile notare che fissato un valore di temperatura ogni curva presenta
un massimo (per lunghezza d’onda pari a λmax) che aumenta con la lunghezza d’onda se ci si sposta a
temperature inferiori; la legge di Wien correla tale lunghezza d’onda massima con la temperatura attraverso
una costante C3

Dove la costante C3 è pari a 2898 μm∙K

Le leggi del corpo nero

 Partendo dall’Eq. (2) è possibile ottenere il potere emissivo spettrale di un corpo nero En integrando su tutta
la lunghezza d’onda, ottenendo la legge di Stefan-Boltzmann

Dove la costante di Stefan-Boltzmann σ è pari a σ = 5.67∙10-8 W/m2K4

 Il risultato saliente ottenuto da Stefan e Boltzmann (separatamente) è la variazione della temperatura con
un esponente pari a 4, che pone l’irraggiamento in primo piano nel caso in cui si ha a che fare
con superfici a temperature molto elevate
 È possibile ottenere la quantità di energia emessa per una sola porzione dello spettro emissivo andando
ad integrare l’Eq. (4) fino ad una coordinata λ generica invece di integrare fino a ∞; tali quantitativi sono di
solito tabellati

4
Superfici reali

 Dopo aver descritto il comportamento di un corpo nero ritenuto ideale (miglior emettitore a parità
di temperatura), si analizza ora il comportamento di una superficie reale rispetto all’irraggiamento
 Si possono definire le emissività monocromatica ελ e totale ε come il rapporto tra il potere emissivo di
una superficie qualsiasi ed il potere emissivo di una corpo nero a pari temperatura; tale rapporto è
compreso tra 0 ed 1

 Attraverso l’emissività è possibile definire quindi il potere emissivo di una superficie generica, sia per il
caso monocromatico che per quello spettrale, combinando l’Eq. (5) e l’Eq. (6) con l'Eq. (2) e l'Eq. (4),
rispettivamente
 In Fig. 6 si riporta l’andamento dello spettro emissivo per
diverse lunghezze d’onda, fissata la temperatura, per una superficie reale (azzurro) e per il
corrispondente corpo nero (nero), osservando come Eλ < Enλ per ogni lunghezza d’onda. E’ possibile
verificare che l’emissività è esprimibile come

Superfici reali

 Si menziona anche che a rigore la radiazione per un corpo reale non è diffusa come per il corpo nero, e
dunque andrebbe considerata anche la direzionalità dell’irraggiamento; per semplicità, si ipotizzerà
comportamento diffuso nella presente analisi
 L’emissività dipende sia dalla lunghezza d’onda che dalla temperatura, nonchè
dalla caratteristiche della superficie (finitura, etc.); tuttavia, è possibile analizzare dei
tipici ordini di grandezza per quanto riguarda l’emissività spettrale, che è dunque
l’emissività calcolata come il rapporto tra potere emissivo totale e potere emissivo totale di
un corpo nero alla stessa temperatura
 Si riportano tali ordini di grandezza in Fig. 7; in particolare, si osserva che

1. Le superfici metalliche presentano


valori piccoli di emissività;
2. L’emissività è
significativamente aumentata se si
considerano strati d’ossido;
3. I non-
conduttori presentano emissività grandi;
4. L’emissività per
i conduttori aumenta con la temperatura,
mentre per i non-
conduttori può aumentare o diminuire.

5
La legge di Kirchhoff

 Si considera una cavità (insieme di più superfici) a temperatura uniforme Ts, in cui vi sono j-corpi molto
più piccoli di area Aj (Fig. 8); le dimensioni di tali corpi sono tali da non influenzare il
campo radiativo dovuto agli effetti di emissione e riflessione (i. e., radiosità) relativi alla cavità a
temperatura uniforme
 Come visto in precedenza, questa superficie è una cavità fatta da superfici nere in quanto tutta la
radiazione emessa è assorbita dalla cavità in tutto l’insieme, e di conseguenza si può scrivere il seguente
bilancio (riferito a tutte le lunghezze d’onda, dunque in forma spettrale) per il corpo j-esimo
all’interno della cavità

 In condizioni di regime stazionario, si raggiunge l’equilibrio termico tra i vari corpi n-esimi e la cavità, e
dunque tutti i corpi all’interno della cavità si troveranno alla temperatura Tj = Ts; si scrive ora
un bilancio di energia su di una superficie di controllo riferita allo j-esimo corpo di superficie Aj

Che, combinata con l’Eq. (8), permette di arrivare alla seguente espressione valida per ognuna dei j-corpi

L’Eq. (10) è nota come legge di Kirchhoff, secondo la quale, essendo αj ≤ 1, nessuna superficie reale può avere un
potere emissivo superiore ad un corpo nero alla stessa temperatura
La legge di Kirchhoff

 Attraverso la definizione di emissività (Eq. 6), è possibile pervenire alla


seguente espressione alternativa per la legge di Kirchhoff riportata in Eq. (10)

Dalla quale segue che εj = αj, oppure in forma più generale (Eq. 11) ε = α per ogni superficie nella cavità. L’ Eq.
(11) è dunque valida per una superficie generica se esistono condizioni isoterme (la superficie in esame
è isoterma) e se non vi è scambio termico radiativo netto tra le varie superfici. L’Eq. (11) si può
anche riferire alla singola lunghezza d’onda; per ogni superficie e lunghezza d’onda possiamo scrivere

Modello di corpo grigio

 L’Eq. (11), oltre a valere per il caso in cui l’energia incidente è pari all’energia emessa da
un corpo nero alla stessa temperatura, vale anche se la superficie è grigia
 Secondo il modello di corpo grigio, una superficie è grigia se l’emissività (e, in base all’Eq. 12, il
coefficiente di assorbimento) è costante al variare della lunghezza d’onda; ossia se valgono
le seguenti condizioni

 Si rappresenta in Fig. 9 l’andamento del potere emissivo per un corpo nero, per un corpo reale (azzurro)
e per un corpo grigio (grigio); si osserva come l’utilizzo di un modello di corpo grigio permette di
modificare l’Eq. (7) nel seguente modo

6
Da cui si evince che il rapporto tra i segmenti AB ed AC rimane costante con tutta la lunghezza d’onda;
analogamente si può osservare in base all’Eq. (15) che le aree sottese ad E ed En, rispettivamente l’integrale di
Eλ ed Enλ su tutte le lunghezze d’onda λ, sono simili

Modello di corpo grigio a bande

 Siccome l’ipotesi di emissività costante lungo tutto il campo delle lunghezze d’onda può essere
talvolta troppo forte, è possibile adottare un modello di corpo grigio a bande
 Secondo tale modello, l’intero campo delle lunghezze d’onda è diviso in varie regioni, ed in ognuna di
queste regioni è possibile utilizzare il modello di corpo grigio; si riporta in Fig. (10) un esempio in cui si
individuano tre bande ([0,λ1]; [λ1, λ2]; [λ2,∞]) in cui è possibile ipotizzare che l’emissività
sia costante (valori ε1, ε2 ed ε3), dunque l’utilizzo di un modello di corpo grigio per ogni banda
 Per poter ricavare l’energia emessa E in tutto lo spettro, servirà ricavare l’emissività e rispetto
a tutto lo spettro; ipotizzando che tutta la superficie relativa allo spettro d’emissione in Fig. (10) sia ad
una temperatura T, si dovrà risolvere il seguente integrale partendo dalla definizione di emissività (Eqs. 5
e 6)

 I vari integrali che compaiono


nella parte destra dell’Eq. (16) sono
delle funzioni che esprimono il rapporto tra
l’energia emessa da un corpo nero riferita ad
una parte dello spettro e l’energia
emessa nell’intero spettro dallo stesso corpo;
tali funzioni hanno un valore compreso tra 0 ed
1 e sono tabellate
 Nota l’emissività riferita all’intero spettro, è
possibile
ottenere l’energia emessa E nell’intero spettro
grazie all’Eq. (6) riferita all’intero spettro
emissivo.

7
8
Definizione di cavità

 Fino ad ora si è considerato lo scambio termico radiativo riferito ad una sola superficie; d’ora in poi si
considera lo scambio termico radiativo tra due o più superfici
 Assumendo che il mezzo interposto tra le superfici è non-partecipante (trasparente, τ = 1), si menziona
che lo scambio termico radiativo è fortemente influenzato dalla geometria delle superfici e dal
loro orientamento, nonché dalle proprietà radiative e
dalla temperatura, come già osservato per una sola
superficie
 L’insieme di tali superfici è detto cavità; un esempio
pratico di cavità può essere un forno elettrico (Fig. 1), in
cui tutte
le superfici scambiano calore per irraggiamento (oltre
ad altri meccanismi come ad esempio la convezione
forzata e/o naturale), e l’ottenimento della potenza
termica netta relativa ad ogni superficie è un
tipico problema di trasmissione del calore per
irraggiamento

I fattori di vista

 L’effetto dell’orientamento tra le superfici è considerato attraverso la definizione dei fattori di vista, i quali
rappresentano dei parametri geometrici indipendenti dalle proprietà superficiali e dalla temperatura
 Definite due superfici i e j (Fig. 2), è possibile definire il fattore di vista tra la superficie i e la superficie j nel
seguente modo

Dove Qi è l’energia raggiante emessa dalla superficie i, mentre Qi→j è la frazione di energia raggiante Qi che
impatta sulla superficie j

 In base all’Eq. (1) possiamo individuare dei casi particolari, riportati in Fig. 2

1. Per una superficie piana o convessa, è facile osservare che F1→1 = 0;


2. Per una superficie concava, è facile osservare che F2→2 ≠ 0;
3. Se consideriamo due sfere concentriche, è facile osservare che F1→2 = 1 in quanto tutta la radiazione che è
emessa dalla superficie 1 impatterà la superficie 2; analogamente, si osserva che F1→2 ≠ 1 poiché solo una
parte della radiazione impatta sulla superficie 2.

1
Cavità a due superfici nere

 Nella presente trattazione si approfondisce l’analisi relativa a cavità con 2 superfici


 Come primo caso, si riporta una cavità formata da 2 superfici nere; essendo nere, non vi sono riflessioni di
energia raggiante, semplificando di molto la trattazione
 Si considerano due superfici nere di forma arbitraria (Fig. 4); nota la radiosità Ji, possiamo esprimere
la potenza termica raggiante (ipotizziamo regime stazionario nella trattazione dell’irraggiamento) che
parte dalla superficie i ed impatta sulla superficie j in base all’Eq. (1)

 Essendo le superfici nere (ρ = 0), sappiamo che Ji = Eni; in base a questo, possiamo dunque scrivere l’Eq.
(5) nel seguente modo, riportando anche analogamente l’espressione per Q̇j→i

2
3
Cavità a due superfici opache, grigie e diffuse
 Come già accennato, è sempre conveniente esprimere le grandezze radiative rispetto a quelle riferite
al corpo nero, in quanto grazie alle leggi del corpo nero è possibile correlare il tutto alla temperatura; per la
superficie i-esima in esame, si richiamano la definizione di emissività Ei = εiEni e la legge di Kirchoff per
un corpo grigio αi = εi, esprimendo quindi la radiosità (Eq. 12) nel seguente modo

Risolvendo l’Eq. (14) rispetto a Gi, e sostituendo questa nell’Eq. (11), si perviene alla seguente espressione per
la potenza termica radiativa netta relativa alla generica superficie i

 Nell’Eq. (15), nota la temperatura della superficie, le sue caratteristiche radiative e geometriche, nonché
la radiosità J, è possibile conoscere la potenza termica radiativa netta; più avanti si illustrerà un esempio
relativo a due superfici opache, grigie e diffuse attraverso l’utilizzo dell’approccio della rete radiativa

4
Approccio della rete radiativa

 Tramite le Eqs. (20) e (21), è possibile ricondursi ad un problema elettrico in cui


le differenze di potenziale sono le differenze (Eni – Ji) per il caso di superficie grigia i, e (Ji – Jj) per il caso
di due superfici generiche i e j
 Supponendo di avere due superfici opache 1 e 2 a temperature fissate T1 e T2, emissività ε1 ed ε2 ed
area superficiale A1 ed A2, vogliamo ottenere la potenza termica netta Q̇ scambiata attraverso l’approccio
della rete radiativa (Fig. 6). Essendo la cavità formata da due sole superfici, possiamo scrivere

 In Fig. 6, osserviamo come vi è una resistenza spaziale R1→2 (resistenza tra i nodi J1 e J2 relativi alle
superfici 1 e 2), e come vi sono due resistenze superficiali (resistenze R1 ed R2 relative rispettivamente ai
nodi J1 ed En1, e J2 ed En2, che descrivono il legame tra corpi grigi e corpi neri di riferimento); è
possibile scrivere la potenza termica netta come differenza di potenziale tra i nodi En1 ed En2 (noti in
quanto corpi neri) divisa per la resistenza termica equivalente, ottenendo

 Risolvendo l’Eq. (23) è possibile ottenere la potenza termica scambiata tra le due superfici riportate in Fig.
6, note le temperature dei due corpi T1, T2, nonché le varie caratteristiche delle superfici

5
Risoluzione di problemi di scambio termico radiativo

 Ipotizzando di avere una superficie generica, i problemi di scambio termico radiativo possono essere
divisi in due tipologie

1. Problemi in cui l’irradianza G è nota;


2. Problemi in cui l’irradianza G non è nota e dunque si ricorre a più bilanci di energia,
dunque all’approccio della cavità.

 La prima tipologia è quella più semplice ed anche la più frequente; essa può riguardare ad esempio
lo studio della trasmissione del calore nella parete di un edificio, in cui l’irradianza G proveniente
dal sole è nota

Risoluzione di problemi di scambio termico radiativo

 Nel seguito si analizza un problema del primo tipo, il quale può anche essere inteso come un problema
del secondo tipo ad una sola superficie incognita; supponiamo di avere un collettore solare (Fig. 7) in cui
la radiazione G proveniente dal sole è nota; poniamo le seguenti ipotesi

1. Pareti laterali ed inferiore siano adiabatiche;


2. Superficie opaca e grigia;
3. La superficie è ad una temperatura uniforme Ts, ipotizzata maggiore della temperatura ambiente;
4. Scambio termico per convezione sulla parete superiore, oltre che radiativo.

Ipotizziamo che siano note le proprietà radiative della superficie (coefficienti di riflessione ρ, assorbimento α e
trasmissione τ), la conduttanza convettiva unitaria media ħ e la temperatura del fluido T∞; si voglia dunque calcolare
la temperatura della piastra Ts

6
7
Obiettivi
 Classificare i vari scambiatori di calore in base al modello costruttivo (unità 1);

 Illustrazione di metodi per la progettazione di uno scambiatore di calore (unità 1).

Scambiatori di calore
 Uno scambiatore di calore è un dispositivo in grado di realizzare uno scambio di energia termica tra
due fluidi con temperature diverse

 Nell’ambito della fisica tecnica, essi sono classificati in base a se i flussi sono mescolati tra loro oppure no;
in altre parole, se vi è scambio di massa oltre che di energia

 In quest’ambito, possiamo classificare gli scambiatori di calore in base alle seguenti modalità (Fig. 2)

1. Modello costruttivo;

2. Disposizione dei flussi.

Scambiatori di calore
 In base al modello costruttivo, possiamo distinguere

1. Scambiatori di calore coassiali, in cui i fluidi scorrono in due tubi coassiali, uno interno e l’altro esterno;

2. Scambiatori di calore a piastre, in cui i fluidi lambiscono i lati opposti di una lamiera;

3. Scambiatori di calore alettati, in cui un fluido scorre all’interno dei tubi, e l’altro attraverso
le alette all’esterno dei tubi;

4. Scambiatori di calore a tubi e mantello, in cui un fluido passa all’interno dei tubi, e l’altro all’esterno (in
un mantello).

 In base alla disposizione dei flussi, possiamo distinguere

1
1. Scambiatori di calore equi- e contro- corrente, in cui i flussi viaggiano in
direzione parallela, concorde oppure opposta;

2. Scambiatori di calore a flussi paralleli o perpendicolari, in cui i flussi viaggiano in


direzioni parallele oppure perpendicolari.

Progettazione di uno scambiatore di calore


 Per progettare uno scambiatore di calore, bisogna correlare la potenza termica scambiata con quantità
come le temperature di ingresso/uscita dei fluidi, la trasmittanza termica unitaria (U) e
la superficie totale di scambio termico A; in particolare ci si può riferire al prodotto di
queste ultime due variabili come trasmittanza termica globale UA (spesso con UA ci si riferisce a tutta
l’area di scambio termico, equivalentemente definibile come UAtot)

 Verranno illustrati due metodi di progettazione

1. Il metodo della differenza di temperatura media logaritmica, in cui la potenza termica


è proporzionale alla differenza di temperatura media logaritmica tra le temperature di ingresso/uscita dei
fluidi, in cui la costante di proporzionalità è data dalla trasmittanza termica globale UAtot (intesa anche come
UA in alcune trattazioni) e da un fattore correttivo qualora necessario;

2. Il metodo dell’efficienza (o metodo dell’efficienza-NTU), in cui lo scambiatore di calore


è progettato attraverso una definizione di efficienza dello scambiatore di calore.

l metodo della differenza di temperatura media logaritmica


 Il metodo della differenza di temperatura media logaritmica viene illustrato nel seguito con riferimento ad un
caso semplice come uno scambiatore a tubi coassiali (Fig. 3)

 In ipotesi di:

1. Regime stazionario, flusso monodimensionale, trascurabilità dei


termini cinetico/potenziale ed adiabaticità verso l’esterno;

2. Trasformazioni internamente reversibili (pressione costante);

3. Validità dell’equazione di stato Δh = cΔT;

2
4. Trasmittanza termica U uniforme.

Si applica un bilancio di prima legge su due volumi di controllo che racchiudono ognuno i due tubi, è possibile
pervenire alle seguenti espressioni per la potenza termica QQ scambiata tra i due fluidi

Dove Ċ è la capacità termica oraria ed i pedici f e c si riferiscono rispettivamente al fluido freddo ed


al fluido caldo; in particolare, essendo QQ uguale, necessariamente se Ċf > Ċc allora ΔTf < ΔTc

3
4
5
Andamento dei profili di temperatura
 A valle di quanto specificato, è possibile analizzare i vari profili di temperatura in funzione del segno e del
valore di M, in particolare in base a Ċc e Ċf

 In Fig. 6 si riportano gli andamenti della temperatura in funzione dell’area di scambio per il
caso equicorrente, e per i casi controcorrente in cui i valori delle capacità termiche orarie cambiano.
Osserviamo che

1. Per il caso equicorrente (Fig. 6a), le pendenze delle curve decrescono all’aumentare dell’area di scambio
(Eq. 19); per un’area di scambio infinita, i fluidi teoricamente raggiungeranno la stessa temperatura;

2. Per il caso controcorrente in cui Ċf>Ċc, quindi M > 0 (Fig. 6b),


le pendenze decrescono all’aumentare dell’area di scambio (Eq. 19); per un’area di scambio infinita,
essi raggiungeranno la stessa temperatura senza ovviamente violare la seconda legge della
termodinamica;

3. Per il caso controcorrente in cui Ċf<Ċc quindi M < 0 (Fig. 6c), le pendenze crescono all’aumentare
dell’area di scambio (Eq. 19); per un’area di scambio infinita, la differenza di temperatura aumenta in quanto
si ipotizza che i fluidi raggiungono l’equilibrio termico per A = 0.

6
Il metodo dell’efficienza
 Il metodo dell’efficienza (o metodo dell’efficienza-NTU) consiste nel definire l’efficienza di uno
scambiatore di calore, e di progettare lo scambiatore di calore attraverso tale definizione

7
 Tale metodo si rivela utile rispetto al metodo della differenza di temperatura media logaritmica nel caso in
cui non sono note le temperature d’uscita dei fluidi; in tal caso con il metodo della differenza di
temperatura media logaritmica potrebbe essere necessaria una procedura iterativa

 Per poter definire l’efficienza di uno scambiatore, riferiamoci alla massima potenza termica possibile per
un certo tipo di scambiatore, di solito relativa ad
uno scambiatore in controcorrente di lunghezza infinita in quanto uno dei due fluidi
avrebbe la massima differenza di temperatura che si può osservare in tale scambiatore, pari a ΔTmax =
Tic – Tif (Fig. 6b)

 Il valore di ΔTmax è ovviamente lo stesso anche per uno scambiatore in equicorrente qualora
fosse cambiata la direzione dei flussi (Fig. 6a); noto il valore di ΔTmax, si cerca di capire quale è
la capacità termica relativa a questa differenza di temperatura tale da ottenere la massima potenza
termica ottenibile dallo scambiatore

Il metodo dell'efficienza
 Nota la potenza termica massima ottenibile da uno scambiatore di calore, possiamo definire l’efficienza di
uno scambiatore di calore come

8
Il metodo dell’efficienza
 In alternativa, procedendo a ritroso, è possibile dimensionare uno scambiatore, dunque conoscere ad
esempio la trasmittanza globale UA oppure solamente la superficie di scambio termico A (oppure, per uno
scambiatore coassiale, la lunghezza L fissate le grandezze radiali), nel seguente modo

1. Conoscere le temperature d’ingresso dei fluidi freddo e caldo (Tif e Tic) e le capacità termiche orarie dei
due fluidi (Ċc e Ċf);

2. Calcolare la potenza termica massima QQmax attraverso l’Eq. (24);

3. Nota l’efficienza oppure la potenza termica scambiata tra i due fluidi QQ, risalire alla variabile NTU (Fig. 8) e
dunque al valore della variabile UA (riferita all’area totale Atot), oppure della superficie di scambio termico
A qualora fosse nota la trasmittanza termica U.

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