Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La termodinamica (dal greco «thermos» = «caldo» e «dynamis» = «forza/lavoro» ⇒ «forza del calore») è la branca
della fisica che studia e descrive le trasformazioni indotte dal calore e dal lavoro in un sistema così come la
conversione calore-lavoro e viceversa.
In questo corso, la termodinamica viene affrontata secondo un approccio macroscopico ⇒ la materia è vista come
un continuo, ignorandone la natura particellare.
Ciò determina una perdita di informazione (si effettuano medie su coordinate atomiche) ma garantisce lo snellimento
della trattazione e una buona generalità per svariate applicazioni ingegneristiche.
Si utilizzeranno le seguenti tipologie di leggi fisiche:
leggi generali ⇒ applicabili indipendentemente dal mezzo in esame (esempi sono leggi di conservazione
della massa, dell’energia, della carica elettrica);
leggi particolari (o relazioni costitutive) ⇒ descrivono, secondo un modello, il comportamento di un
particolare mezzo (esempi sono la legge di dell’elasticità di Hooke, la legge della viscosità di Newton, la legge
dei gas perfetti). Esse sono dunque legate alla natura del mezzo e la loro applicabilità è limitata ad un
determinato dominio spaziale.
Sistema e Ambiente
Lo studio della termodinamica con approccio macroscopico parte dalle definizioni di SISTEMA e AMBIENTE:
SISTEMA: è una quantità di materia o regione di spazio su cui si vuole condurre l’analisi;
AMBIENTE: è tutto ciò che è al di fuori del sistema.La superficie reale o immaginaria che separa il sistema
dall’ambiente rappresenta il confine del sistema ed è chiamata SUPERFICIE DI CONTROLLO. Essa NON è un terzo
elemento che si aggiunge al sistema e all’ambiente ⇒ ha spessore nullo.
Si usa la seguente classificazione:
Proprietà di un Sistema
Come descrivere un sistema? A livello macroscopico, la descrizione e caratterizzazione di un sistema viene realizzata
in termini di
Proprietà termodinamiche.
Proprietà (termodinamica):
caratteristica di un sistema
espressa da una grandezza
macroscopica, di solito misurabile,
indipendente dalla storia del
sistema. Esempi sono la pressione
(p), la temperatura (T), la densità
(ρ), la conducibilità termica (k), la
massa (m), il volume (V), l’energia
interna (U), l’entropia (S), etc.
Le proprietà di un sistema si
distinguono in:
Proprietà intensive: indipendenti dall’estensione del sistema, e.g., pressione, temperatura, conducibilità
termica. Non godono della proprietà additiva;
Proprietà estensive: dipendenti dall’estensione del sistema, e.g., massa, volume, energia interna,
entropia. Godono della proprietà additiva.
Proprietà di un Sistema
Il rapporto tra una proprietà estensiva e la massa di un sistema definisce una proprietà specifica (che è chiaramente
una proprietà intensiva). Solitamente si usa la seguente simbologia:
Equilibrio termodinamico
La parola equilibrio indica una condizione
di bilanciamento; e.g., in meccanica indica un
bilanciamento tra forze. In un sistema che si trova in uno stato
di equilibrio, quindi, non possono essere presenti gradienti di
una qualsiasi proprietà perché, se così non fosse, ci
sarebbe una evoluzione spontanea del sistema tendente ad
uniformare tali proprietà.
L’equilibrio termodinamico comprende
l’equilibrio termico, quello meccanico, quello chimico e
quello delle fasi, pertanto richiede che la temperatura e la
pressione assumano lo stesso valore in ciascun punto del
sistema e che la composizione chimica del sistema non vari
così come la quantità in massa di ciascuna fase presente.
1. fase solida;
2. fase liquida;
3. fase aeriforme.
A seconda del numero di fasi presenti, il sistema può essere monofasico o plurifasico (bifasico o trifasico) (fig. sx).
La figura a destra mostra la nomenclatura usata per indicare i cambiamenti di fase (passaggio da una fase ad
un’altra).
Postulato di Stato
Evidenze sperimentali
Se i valori delle proprietà termodinamiche che individuano lo stato del sistema non variano nel tempo il sistema è in
uno stato di equilibrio termodinamico.
Un sistema semplice è un sistema costituito da una sostanza pura il cui stato di equilibrio termodinamico è
individuato da due proprietà intensive indipendenti. L’influenza dei campi elettrici, magnetici e gravitazionali e della
tensione superficiale è trascurabile.
Un sistema semplice e comprimibile o sistema p, v, T è un sistema semplice il cui stato è descrivibile con le
proprietà pressione, volume specifico e temperatura due delle quali saranno considerate indipendenti.
Studieremo i sistemi semplici e comprimibili essendo:
Processi e Trasformazioni
Un sistema è soggetto ad un processo se passa da uno stato di equilibrio ad un altro stato di equilibrio in seguito ad
un’interazione con l’ambiente o ad una modificazione dei vincoli interni.
Dunque un processo è caratterizzato da:
Se l’evoluzione del sistema (processo) avviene tanto lentamente da rendere trascurabili i gradienti spaziali delle
proprietà intensive in modo tale che ciascuno stato intermedio dell’evoluzione è praticamente uno stato di equilibrio
termodinamico, si parla di trasformazione quasistatica. In questo caso, si conoscono non solo gli stati iniziale e
finale ma anche gli stati intermedi ovvero si conosce il cammino della trasformazione.
Processi e Trasformazioni
Esempi di trasformazioni (iso ⇒ costante):
A⇒B
B⇒C
C⇒D
D⇒E
E⇒F
F⇒G
G⇒H
H⇒I
I⇒L
Il sistema è inizialmente in fase solida. Attraverso le trasformazioni, passa prima in fase liquida e infine in fase
aeriforme (vedi trasformazioni sul piano T-v).
Passaggi di fase
Durante le trasformazioni di fusione ed evaporazione le fasi sono definite sature -> stato intensivo (p, T, u, v, etc.)
costante. Un sistema plurifasico in equilibrio è detto saturo.
Gli stati termodinamici corrispondenti ai punti del segmento G-I sono detti di «vapore saturo».
In corrispondenza del punto G la sostanza è in condizioni di «liquido saturo».
In corrispondenza del punto I la sostanza è in condizioni di «vapore saturo secco».
Passaggi di fase
Ripetendo l’esperimento del pistone-cilindro con
diverse pressioni, si possono costruire le curve
caratteristiche della sostanza pura in esame. I
passaggi di fase avvengono a p e T costante.
Al variare della p, cambia la T alla quale si verifica il
passaggio di fase ⇒ in una sostanza in equilibrio
bifasico esiste una corrispondenza
biunivoca tra p e T.
All’aumentare della p, aumenta il volume specifico in
condizioni di liquido saturo (v ls) mentre diminuisce il
volume specifico in condizioni di vapore saturo secco
(vvss); dunque al crescere della p il segmento
corrispondente agli stati relativi ai vapori saturi si
accorcia fino a ridursi ad un punto detto punto
critico C, i cui valori di p e T si dicono pressione
critica (pc) e temperatura critica (Tc).
A p>pc e/o T>Tc, non si verifica passaggio di fase.
Esempio: ACQUA ⇒ pc = 22 Mpa (220 bar) Tc = 373 °C.Riscaldando isobaricamente una sostanza pura in fase liquida
ad una p > pc, non si osserva nessun cambiamento di fase.
I punti A e B, pur essendo caratterizzati dalla stessa coppia di valori p e T, corrispondono a diversi stati
termodinamici; dunque la conoscenza di p e T in condizioni di saturazione non permette l’individuazione dello stato
termodinamico del sistema (essendo proprietà dipendenti per i vapori saturi).
Passaggi di fase
Effettuando riscaldamenti isobari a pressioni
sempre più basse, si osserva che al di sotto
di una determinata p non si verifica più il
passaggio dalla fase solida a quella liquida,
ma direttamente dalla fase solida a quella
aeriforme. Durante tale trasformazione
coesistono tutte e tre le fasi. La pressione
che separa questi due comportamenti è
detta pressione tripla (pt) e la
corrispondente temperatura di saturazione è
detta temperatura tripla (Tt).
Esempio: ACQUA ⇒ pt = 0.6 kpa (0.006 bar)
Tt = 0 °C.
Riscaldamento isobaro con p < pt ⇒ si
osserva il passaggio diretto solido-aeriforme
con la comparsa di entrambe le fasi. Tale
passaggio è detto sublimazione. Il
processo inverso (aeriforme ⇒ solido) è
detto brinamento.
Il v della fase liquida è maggiore di quello
della fase solida per quasi tutte le sostanze,
ma non per l’acqua che solidificando
espande (⇒ una bottiglia di acqua liquida
piena messa nel freezer rischia di
rompersi…)
L’esperimento del riscaldamento isobaro condotto a diversi livelli di pressione consente la costruzione
della superficie caratteristica f(p, v, T) = 0.
Superficie caratteristica f(p, v, T) = 0
La figura non è in scala in quanto i valori di v delle fasi solida e
liquida, per pressioni prossime a pt, sono di alcuni ordini di
grandezza inferiori a quelli dell’aeriforme.
Diagramma T-v
Unità di misura*:
Diagramma p-T
Unità di misura:
- T, temperatura à Kelvin [K] (Sistema Internazionale) o gradi Celsius
[°C]
- p, pressione à Pascal [Pa = N/m 2] (Sistema internazionale) o bar
p [Pa] = 105 p [bar]; 1 atmosfera (atm) = 1.013 bar
Diagramma T-s
Unità di misura:
- T, temperatura: K o °C
- s, entropia specifica: J/(kg K) (Sistema
Internazionale, J [N m] Joule)
Diagramma h-s
Unità di misura;
- h, entalpia specifica: J/kg
- s, entropia specifica: J/(kg K)
Diagramma p-h
Unità di misura:
- p, pressione: Pa o bar
- h, entalpia specifica: J/kg
Tsat(p) è la T di saturazione alla pressione p; psat(T) è la p di saturazione alla temperatura T. Tali valori sono reperibili
in tabelle.
Determinazione delle fasi di una sostanza pura
Proprietà NOTE: α e β con α ∈ {p, T} e β ∈ {h, s, u, v}
Se αT ≤ α ≤ αC, con l’indice T che fa riferimento al punto triplo e C al punto critico:
dove:
Temperatura dinamica [K] ⇒ ⇒ rappresenta la derivata parziale dell’energia interna U [J] rispetto
all’entropia S [J/K] a volume V [m3] costante.
Pressione dinamica [Pa] ⇒ ⇒ rappresenta l'opposto della derivata parziale dell'energia interna U
[J] rispetto al volume V [m3] ad entropia S [J/K] costante.
Per un sistema semplice:
Calori specifici
Per incrementare della stessa entità la temperatura di differenti sostanze è necessario
somministrarre differenti quantità di energia in forma calore (Q).
Per ottenere la stessa variazione di temperatura in sistemi costituiti dalla stessa sostanza ma in differenti
stati termodinamici, è necessario somministrarre differenti quantità di energia in forma calore (Q).
Quindi, a parità di variazione di T, tali sistemi immagazzinano differenti quantità di energia. Ne deriva la necessità di
definire delle proprietà per valutare la capacità di immagazzinare l’energia somministrata, a parità di variazione di T:
I calori specifici sono delle proprietà termodinamiche (o funzioni di stato) essendo definiti da relazioni in cui
compaiono solo proprietà termodinamiche.
Come determinare le proprietà termodinamiche di una sostanza pura?
Tale problematica può essere risolta attraverso i seguenti strumenti:
l’applicazione di modelli;
l’utilizzo di tabelle;
la lettura da diagrammi.
Sceglieremo lo strumento più adatto a seconda della fase in cui si trova la sostanza.
Con riferimento alle fasi di interesse per la termodinamica dei fluidi, utilizzeremo i seguenti strumenti per la
determinazione delle proprietà di una sostanza pura:
gas ⇒ modello di gas ideale;
liquidi ⇒ modello di liquido incomprimibile;
vapori saturi ⇒ tabelle e utilizzo della definizione di titolo;
vapori surriscaldati ⇒ tabelle.
Per tutte le fasi, la determinazione delle proprietà può essere realizzata attraverso la lettura
da diagrammi termodinamici (che sono facilmente reperibili). Tuttavia, l’accuratezza ottenuta è generalmente
inferiore rispetto a quella assicurata dall’uso degli altri strumenti.
Tali ipotesi si considerano verificate – e quindi si può applicare il modello di gas ideale – quando: T>Tc e/o p <<
pc (aeriforme molto rarefatto) con Tc ⇒ temperatura critica, pc ⇒ pressione critica.
In tal caso, vale l’equazione di stato dei gas ideali:
pV = mRT ⇒ pv = RT con R [J/(kg K)] costante caratteristica di
ciascun gas. E risulta: cv = costante e cp = costante e Relazione di Mayer ⇒ cp - cv = R
Modello di gas ideale: Esperienza di Joule
Joule dimostrò che per un gas ideale l’energia interna è funzione della sola temperatura:
u = u(T)
Essendo per definizione h = u + pv e applicando l’equazione di stato, si ha:
h = u(T) +RT = h(T)
Quindi anche l’entalpia è funzione della sola temperatura.
Risulta quindi:
Esperienza di Joule
Si considera un sistema isolato contenente un gas ideale: la massa m di
gas alla temperatura T1 occupa il volume V1. La pressione vale:
Essendo v costante si definisce esclusivamente il calore specifico a v costante (cv), indicato semplicemente con c
nel piano T-s, le isobare collassano sulla curva limite inferiore (CLI) (fig. a) ⇒ sono schiacciate sulla CLI e
quindi si sovrappongono. Infatti, se ciò non accadesse, liquidi allo stessa T (quindi sulla stessa isoterma ⇒
retta orizzontale) avrebbero una diversa s e ciò non può accadere essendo s=s(T). Ciò non succede nei
diagrammi di un liquido reale (fig. b) in quanto le isobare tendono alla CLI ma non si sovrappongono a essa;
nei piani di interesse p-v e T-v, la CLI è verticale (fig. a) poiché tutti gli stati di liquido hanno lo stesso v e
quindi devono trovarsi sulla stessa isocora ( ⇒ retta verticale). Per lo stesso motivo, tutti i punti che
rappresentano uno stato di liquido si trovano sulla CLI e la regione alla sinistra di tale curva non è popolata
da stati. Ciò non succede nei diagrammi di un liquido reale (fig. b) in cui la CLI ha una leggera pendenza
positiva.
Chiaramente:
p = pl = ps = pressione di saturazione del vapore saturo
T = T l = Ts = pressione di saturazione del vapore saturo
Utilizzando la definizione di titolo e delle proprietà da valutare:
Vapori saturi: Calcolo proprietà
Utilizzando la stessa procedura applicata a v, si possono esprimere tutte le proprietà specifiche in funzione di x:
Quindi, noti x e condizioni di saturazione (psat ↔ Tsat), è noto lo stato termodinamico del vapore saturo.
Le espressioni riportate a destra possono essere utilizzate per calcolare x a seconda della proprietà specifica nota.
Le proprietà del liquido saturo (l) e del vapore saturo secco (s) si determinano con l’utilizzo delle tabelle di
saturazione.
Interpolazione lineare
Quando si utilizzano le tabelle – sia per vapori saturi che surriscaldati – non è detto che sia presente l’esatto valore
della proprietà intensiva con cui si entra in tabella. In questo caso, si ricorre all’interpolazione lineare.
Esempio: Calcolare le proprietà dell’acqua note p = 5.00 bar e T = 220 °C. Essendo T>Tsat(5 bar) = 151.86 °C, si è in
condizioni di vapore surriscaldato per cui è possibile calcolare v, u, h, s utilizzando le tabelle riportate in figura, in
cui è presente il valore p = 5.00 bar, ma non T = 220 °C. Si rende dunque necessaria l’interpolazione lineare.
Interpolazione lineare
Essendo presente il valore di p ma non quello di T, il valore di input dell’interpolazione sarà zinput = T = 220°C:
Bilancio di massa
Scriviamo il bilancio visto in precedenza riferendoci alla variazione di massa Dm, con riferimento anche alle
portate massiche indicate con
1
La massa è una grandezza conservativa, non può né
generarsi né distruggersi:
Sistema chiuso
Per un sistema chiuso, possiamo scrivere:
Sistema aperto
Per un sistema aperto, possiamo scrivere:
Se ci sono più varchi di ingresso e/o di uscita, si esegue la sommatoria come indicato in Figura.
Regime stazionario
Quando la variazione col tempo delle proprietà in ciascun punto del sistema è trascurabile, il sistema è in
condizioni di regime stazionario.
Se il sistema è in regime stazionario, la quantità di massa contenuta nel sistema non varia nel tempo:
In condizioni di regime stazionario, la somma delle portate massiche entranti eguaglia quella delle portate
massiche uscenti.
Se il sistema ha un solo ingresso ed una sola uscita, la portata massica entrante è uguale a quella uscente:
Flusso monodimensionale
Il flusso é monodimensionale quando le proprietà hanno un valore uniforme in ciascuna sezione ortogonale alla
direzione del modo e varia solo lungo la coordinata che identifica il moto del fluido
2
Portata massica e volumetrica
Definiamo la portata massica in funzione di altre grandezze
Bilancio di Energia
L’energia E è una grandezza conservativa, non può né generarsi nè distruggersi.
L’energia può fluire attraverso i confini di un sistema come calore o come lavoro.
Flusso convettivo
Se una portata massica attraversa la superficie di controllo di un sistema, con essa entra o esce dal sistema
energia. Tale flusso di energia è detto flusso convettivo.
Calore
La differenza di temperatura esistente tra il sistema e l’ambiente causa un trasferimento di energia dal sistema a
temperatura maggiore verso l’ambiente a temperatura minore. Tale flusso di energia è detto calore.
L’energia è una proprietà del sistema, il calore (Q, misurato in joule) no.
Un sistema i cui confini non consentono trasferimento di calore è detto adiabatico.
3
Lavoro
Lavoro di variazione di volume (solo per sistemi chiusi)
Del fluido è contenuto in un sistema pistone-cilindro; il pistone è messo in movimento da una forza esterna che
determina la compressione del fluido.
Lavoro
Lavoro di pulsione
E’ come se vi fosse un pistone immaginario che esercita una forza F sulla massa Δm per spingerla all’interno o
all’esterno del sistema.
Il lavoro compiuto nell’intervallo di tempo Δθ è pari a:
4
Bilancio di energia per sistemi aperti
Il bilancio istantanteo è:
La quantità di energia contenuta in un sistema può variaresoltanto attraverso l’interazione energetica che ha luogo
attraverso il confine con l’ambiente esterno. Tale interazione può avvenire secondo la modalità calore, secondo la
modalità lavoro e per mezzo dei flussiconvettivi, includendo in essi anche il lavoro di pulsione.
Questa equazione indica che i flussi di energia in ingresso al sistema bilanciano quelli in uscita dal
sistema.
Nell’ipotesi aggiuntiva che ci sia un solo varco di ingresso ed un solo varco di uscita, l’equazione di
bilancio dell’energia si scrive:
Come già visto, si possono trascurare le variazioni di energia cinetica e potenziale del sistema:
Riferendoci ad un intervallo di tempo Δθ, possiamo esprimere l’energia contenuta nel sistema sia in
forma estensiva che specifica:
5
Infine si esprime il bilancio in forma differenziale, riferendosi ad un volume di controllo di
estensione infinitesima nella direzione del moto (la stessa cosa vale anche per i sistemi aperti):
In cui si specifica che il simbolo δ indica che calore e lavoro sono solo quantità elementari in
quanto non sono proprietà del sistema e dunque non rappresentano dei differenziali esatti.
Esempio numerico
Al fine di comprendere come calcolare le quantità di calore/lavoro attraverso la prima legge della termodinamica,
nonchè la variazione di energia interna, di seguito si riportano due modalità alternative riferite al sistema chiuso
rappresentato in figura.
6
7
Limiti prima legge e qualità energia
L’energia è in definitiva una grandezza conservativa.
Ciò significa che non può essere generata né distrutta, ma solamente convertita da una forma ad un’altra.
1
Limiti prima legge e qualità energia
Esempio 2
L’energia potenziale del peso è trasformata in lavoro d’elica e poi
in energia interna del fluido.L’esperienza indica che è impossibile
percorrere al contrario questa trasformazione!
Caso b)
Il trasferimento di energia avviene dall’ambiente verso il sistema: il caffè si riscalda e l’ambiente circostante si
raffredda:
2
Caso b)
Il trasferimento di energia avviene dall’ambiente verso il sistema: l’aria contenuta nel cilindro si comprime spostando
in basso il pistone:
3
Bilancio di entropia: definizione
Per formalizzare tutto quanto esposto si introduce un’altra grandezza, l’entropia, la cui equazione di bilancio
costituisce la seconda legge della termodinamica.
Essa consente di:
L’entropia è omogenea al rapporto tra l’energia e la temperatura termodinamica; nel Sistema Internazionale si misura
in J/K.
Bilancio di entropia
La variazione di entropia in un sistema è somma di due contributi:
Il flusso diffusivo al primo membro è il valore dei flussi entropici diffusivi in ingresso al netto dei flussi entropici diffusivi
in uscita:
4
Bilancio di entropia per sistemi aperti
Nell’ipotesi di regime stazionario, la quantità di entropia contenuta nel sistema non può variare, per cui dSsist/dθ=0.
L’equazione di bilancio dell’entropia per sistemi aperti diventa:
Nell’ipotesi aggiuntiva che ci sia un solo varco di ingresso ed un solo varco di uscita segue:
Ed in termini specifici:
Se ci si riferisce ad un volume di controllo di estensione infinitesima nella direzione del moto, l’equazione di bilancio
diventa:
In termini specifici:
Bilancio di entropia
L’equazione di bilancio dell’entropia, nelle sue varie forme, è spesso indicata come seconda legge della
termodinamica.
Per un sistema isolato, i flussi entropici sono ovviamente nulli, pertanto il bilancio entropico è:
5
Moltiplicando per dθ:
La quantità di entropia contenuta in un sistema isolato varia in misura pari a quella generata; segue quindi che
l’entropia di un sistema isolato è sempre in aumento.
Bilancio di entropia: esempio
1. Il contadino Antonio, proprietario dello stagno A, acquista acqua da Bartolomeo, proprietario dello stagno B.
Se piove, lungo il percorso la quantità di acqua contenuta nel secchio aumenta.
2. L’acqua contenuta nello stagno di Antonio aumenta sia per la pioggia che per quella riversata con il secchio.
Se Antonio misura l’acqua nel secchio appena l’ha prelevata dallo stagno di Bartolomeo non si accorge della
pioggia.
3. Se Antonio misura l’acqua nel secchio quando la sta riversando nel suo stagno, considererà anche la pioggia.
6
Reversibilità
Il sistema isolato SI è costituito dal sistema SIST e dell’ambiente AMB.
Lo stato iniziale è individuato da a per SIST e c per AMB; in seguito ad una
trasformazione, SIST si porta nello stato b ed AMB nello stato d.
È possibile riportare SIST ed AMB negli stessi stati iniziali?
La risposta è NO.
Durante la trasformazione che ha portato SIST da a a b ed AMB da c a d si è
generata entropia per cui è aumentata la quantità di entropia contenuta nel
sistema isolato.
Reversibilità
Se riportassimo SIST in a ed AMB in c, l’entropia riassumerebbe lo stesso valore (è una proprietà e quindi una
frazione puntuale); per ottenere ciò sarebbe necessario far diminuire la quantità di entropia contenuta nel sistema
isolato, il che è in contrasto con la seconda legge della termodinamica.
Le trasformazioni reali sono irreversibili, nel senso che il passaggio del sistema/ambiente da uno stato ad un altro è
caratterizzato da una traccia indelebile – la generazione di entropia – che rende impossibile il ritorno nello stato
iniziale.
1
Reversibilità
Se, per pura astrazione, la quantità di entropia generata durante una trasformazione tende a zero, la trasformazione
tenderebbe a poter essere invertita e si parla di trasformazione reversibile.
Una trasformazione è reversibile se sia il sistema che l’ambiente possono ritornare nello stato iniziale.
Sgen = 0: trasformazione reversibile
Sgen > 0: trasformazione irreversibile
Sgen < 0: trasformazione impossibile
Nella prima figura, l’individuo può essere considerato un SET rispetto al termometro.
Nella seconda figura, il mare può essere considerato un SET rispetto all’individuo che vi si immerge.
SSIgen=ΔSSI=ΔSSEM+ΔSD+ΔSSETSgenSI=ΔSSI=ΔSSEM+ΔSD+ΔSSET
ΔSSEM=0ΔSD=0ΔSSET=QTSETΔSSEM=0ΔSD=0ΔSSET=QTSET
SSIgen=QTSETSgenSI=QTSET
2
Un fenomeno simile avviene anche quando c’è attrito dovuto al moto relativo tra un fluido ed una parete (sia in un
moto libero del fluido che confinato) oppure al moto relativo tra particelle fluide (porzioni di fluido a differenti velocità in
un moto libero o confinato).
A fronte di un fenomeno in cui è presente lavoro d’attrito, c’è generazione di entropia. Tale generazione di
entropia viene detta per cause meccaniche.
È sempre possibile trasformare integralmente lavoro in calore ovvero questo è quanto accade
spontaneamente nell’evoluzione libera di un fluido in moto. Si verificherà in seguito che la trasformazione
inversa non è possibile (non sarà possibile ri-ottenere la stessa quantità di energia in modalità lavoro).
Pertanto la qualità dell’energia scambiata in modalità lavoro è migliore di quella trasferita in modalità
calore.
Inoltre, si potrebbe dimostrare che qualora si riportasse il SEM nello stato iniziale con un secondo processo
reversibile, l’entropia finale del sistema isolato sarebbe maggiore di quella iniziale (è rimasta traccia
nell’ambiente del processo iniziale). Pertanto, il primo processo è irreversibile.
SSIgen=ΔSSI=ΔSA+ΔSBSgenSI=ΔSSI=ΔSA+ΔSB
ΔSA=−QTAΔSB=QTBΔSA=−QTAΔSB=QTB
SSIgen=Q(1TB−1TA)=Q(TA−TBTATB)SgenSI=Q(1TB−1TA)=Q(TA−TBTATB)
Ci sarà quindi una generazione di entropia nel sistema isolato proporzionale al calore scambiato ed alla differenza di
temperatura sotto la quale si ha tale scambio di calore.
Qualora la differenza di temperatura tenda a 0, sarebbe idealmente possibile scambiare calore senza generazione
entropica.
Quando si verifica uno scambio termico con una differenza finita di temperatura la
corrispondente generazione di entropia viene attribuita a cause di tipo termico.
Lo scambio di calore da un corpo a temperatura maggiore verso un corpo a temperatura minore è sempre
possibile (generazione entropica positiva) ovvero questo è quanto accade spontaneamente tra due corpi a
differenti temperatura liberi di scambiare calore. Se si ipotizzasse di invertire lo scambio di calore (da un
corpo a temperatura inferiore verso un corpo a temperatura superiore) senza nessun intervento ulteriore, si
avrebbe una generazione entropica minore di zero. Pertanto questa trasformazione non può avvenire
spontaneamente.
E’ possibile trasformare completamente una data quantità di calore ad alta temperatura (TA) in una pari
quantità di calore a temperatura più bassa (TB<TA), mentre la trasformazione nel verso opposto è
impossibile. Pertanto, la qualità dell’energia trasferita in modalità calore ad alta temperatura è migliore
della qualità del calore a bassa temperatura.
Inoltre, si potrebbe dimostrare che qualora si riportasse il SET A nello stato iniziale con un secondo processo
reversibile, l’entropia finale del sistema isolato sarebbe maggiore di quella iniziale (è rimasta traccia
nell’ambiente del processo iniziale). Pertanto, il primo processo è irreversibile.
3
Più in generale esistono ulteriori cause di generazione entropica, così come elencate di seguito:
espansione libera di un fluido da una regione a pressione maggiore verso una a pressione minore;
mescolamento spontaneo di materia di composizione differente e/o stati diversi;
reazioni chimiche spontanee;
flusso di una corrente elettrica attraverso una resistenza;
fenomeni di isteresi magnetica o di polarizzazione;
deformazione non elastica.
Le irreversibilità possono essere localizzate all’interno o all’esterno della superficie di controllo, pertanto si parla
di irreversibilità interna ed irreversibilità esterna.
Nel caso del disco del freno il lavoro effettuato è un lavoro di attrito, che non ha alcuna possibilità di essere sfruttato,
cui è associata una generazione di entropia e una degradazione della qualità dell’energia (da lavoro in calore).
In alternativa, per esempio, si può decelerare l’automobile producendo energia elettrica (lavoro elettrico) da
accumulare in batterie (trasformazione di energia cinetica in energia potenziale elettrica). Questo processo consentirà
in una fase successiva di ottenere lavoro meccanico per muovere l’automobile tramite un motore elettrico. Pertanto, si
tende a trasformare lavoro meccanico in elettrico e viceversa, conservando la qualità dell’energia.
Questa sequenza, anche se non completamente reversibile (esistono delle cause minime di irreversibilità e
generazione di entropia), consentirà un migliore sfruttamento del potenziale iniziale, in quanto si ottiene maggiore
lavoro utile (nel caso del freno era nullo) e corrispondentemente una minore generazione di entropia.
Nel caso in cui si vuole prelevare calore da un SET ad alta temperatura e lo si cede ad un SET a bassa temperatura,
non si ottiene alcun lavoro utile, avendo una generazione di entropia ed una degradazione della qualità dell’energia
(da calore ad alta temperatura in calore a bassa temperatura).
In alternativa, per esempio, si può introdurre una macchina termica che trasformi parzialmente il calore in lavoro. Si
pensi ad un combustibile utilizzato in un motore invece di bruciarlo liberamente.
Questa sequenza, anche se non completamente reversibile (esistono delle cause minime di irreversibilità e
generazione di entropia), consentirà un migliore sfruttamento del potenziale iniziale, in quanto si ottiene maggiore
lavoro utile (nel caso iniziale era nullo) e corrispondentemente una minore generazione di entropia e minore
degradazione dell’energia.
Postulato entropico
Consideriamo un sistema chiuso le cui pareti sono rigide, fisse ed adiabatiche, composto da due sottosistemi A e B
separati tra loro da una parete rigida, fissa, adiabatica ed impermeabile ai flussi di massa.
Lo stato di equilibrio iniziale del sottosistema A è individuato dalla coppia e che rappresenta volume ed
energia interna.
Lo stato di equilibrio iniziale del sottosistema B, allo stesso modo, è rappresentato dalla coppia e .Di conseguenza, il
sistema isolato composto è rappresentato, nel suo stato iniziale, da:
e
4
Postulato entropico
Rimuovendo il solo vincolo di adiabaticità della parete di separazione, il sistema composto evolve spontaneamente
verso un nuovo stato di equilibrio.Lo stato di equilibrio finale del sottosistema A è individuato dalla coppia e .
Lo stato di equilibrio finale del sottosistema B è allo stesso modo individuato dalla coppia e .
Il sistema composto, nel suo stato di equilibrio finale, è quindi rappresentato da:
e
Alla luce della prima legge della termodinamica e compatibilmente con i vincoli non rimossi, le proprietà V ed U per i
sottosistemi A e B possono assumere i seguenti valori.
Il volume dei sottosistemi non può essere variato:
e
Postulato entropico
In altre parole, in seguito alla rimozione del solo vincolo di adiabaticità della parete di separazione può esserci solo
una ridistribuzione dell’energia interna tra i sottosistemi A e B. Tale ridistribuzione è compatibile sia con un aumento di
UA a spese di UB che con il verso opposto del flusso di energia.
Esistono infinite coppie di valori UA e UB che hanno la stessa somma e quindi sono possibili infiniti stati finali di
equilibrio.La prima legge della termodinamica non consente di prevedere il verso di una trasformazione spontanea
conseguente alla rimozione di un vincolo interno ad un sistema isolato e tanto meno permette di individuare lo stato di
equilibrio finale.
Postulato entropico
Il postulato entropico afferma che per un sistema termodinamico semplice, comprimibile, di massa assegnata in
equilibrio è definibile una proprietà estensiva S detta entropia che gode delle seguenti proprietà:
1. proprietà additiva;
2. in un sistema isolato, in seguito alla rimozione dei vincoli interni, i valori assunti dalle proprietà estensive
all’equilibrio sono tali da rendere l’entropia massima rispetto ai valori che essa potrebbe assumere
compatibilmente con i vincoli non rimossi;
3. l’entropia è una funzione continua, derivabile e monotonicamente crescente dell’energia interna;
4. l’entropia è nulla nello stato un cui la derivata parziale dell’energia interna rispetto all’entropia, a volume V
costante, è nulla.
Alla luce del postulato entropico le proprietà UA e UB assumeranno valori tali da rendere l’entropia del sistema isolato
massima rispetto a tutti i valori che essa assumerebbe in corrispondenza delle infinite coppie di valori di UA e UB.
È quindi possibile individuare lo stato di equilibrio finale e prevedere il verso della trasformazione.
Misurabilità dell’entropia
Derivando la funzione energia interna rispetto alle sue due variabili si ottiene:
5
e la pressione termodinamica come
Essendo funzione di altre proprietà, le grandezze T e p sono esse stesse delle proprietà:
(1° equazione di Gibbs)
Misurabilità dell’entropia
Se si riesce a verificare che:
la temperatura termodinamica coincide con quella empirica, ovvero con quella grandezza in comune tra due
sistemi all’equilibrio termico e quindi direttamente misurabile con un termometro;
la pressione termodinamica coincide con quella empirica, ovvero con quella grandezza in comune tra due
sistemi all’equilibrio meccanico e quindi direttamente misurabile con un manometro.
Sarà quindi possibile misurare l’entropia attraverso misure di energia, temperatura, pressione e volume.
Misurabilità dell’entropia
Consideriamo nuovamente il sistema isolato precedentemente e rimuoviamo il solo vincolo di adiabaticità della parete
di separazione:
SSI = SA (UA, VA) + SB (UB, VB), definendo r come coefficiente di ripartizione dell'energia
Misurabilità dell’entropia
Partendo da
6
Misurabilità dell’entropia
La variabile r assumerà, nello stato di equilibrio finale, un valore
tale da rendere l’entropia del sistema isolato massima rispetto a
tutti i valori possibili
Misurabilità dell’entropia
In prossimità dello stato di equilibrio finale:
In seguito alla rimozione del solo vincolo di adiabaticità della parete di separazione, l’entropia del sistema isolato deve
aumentare:
7
Sistemi chiusi: lavoro di variazione di volume
Richiamiamo la prima legge della termodinamica, la prima equazione di Gibbs e la seconda legge della
termodinamica:
δq−δl=du (1)
du=Tds−pdv (2)
δq−TδSgen=Tds (3)
Combinando le equazioni (1) e (2) si ottiene
δl=δq−Tds+pdv (4)
Infine, combinando la (4) con la (3) otteniamoδl=pdv−TδSgen(5)
Da cui si evince che lreale < lrev. Osserviamo anche che nel caso di l < 0, possiamo concludere che |lreale|> |lrev|.
Tale espressione può essere applicata a casi reali come ad esempio i motori a combustione interna.
Arriviamo infine a scrivere l’equazione dell’energia meccanica integrando tra l’ingresso 1 e l’uscita 2:
Il lavoro trasferito dall’ambiente al sistema nel processo reale è maggiore, a causa della generazione di entropia, di
quello riferito al caso ideale di trasformazione reversibile
Perdita di carico
Di solito si adopera la seguente sostituzione, definendo un termine indicato con r che è chiamato ‘’perdita di carico’’.
Si può dunque scrivere l’equazione dell’energia meccanica in forma differenziale, specifica ed estensiva.
Che può anche essere scritta nella seguente forma (Equazione di Bernoulli):
Disuguaglianza di Clausius
Partendo dalla seconda legge della termodinamica:
Combinando la seconda legge con l’uguaglianza di Clasius, si può ricavare la disuguaglianza di Clausius
Piani termodinamici
Si rappresentano ora le trasformazioni internamente
reversibili sui piani termodinamici (T,s) e (p,v).
Per quanto riguarda l’uguaglianza di Clausius, è stato visto
che:
Piani termodinamici
Per quanto riguarda un sistema chiuso, è stato visto che:
Ricordando che R = cp-cv, k = cp/cv e quindi R/cv = k-1, si perviene alla seguente formulazione
η è una misura assoluta della «qualità» della MT ed è sempre minore di 1 (anche nel caso reversibile);
ηII è una misura relativa della «qualità» della MT rispetto al caso reversibile (⇒ rendimento massimo) ed è
2
Pag.
due isoterme lungo le quali avvengono i trasferimenti di energia termica; affinché risulti Sgen = 0, la differenza
tra T A e la temperatura della isoterma superiore e la differenza tra la temperatura della isoterma inferiore
e T B devono essere infinitesime (dT);
due adiabatiche che, essendo reversibili, sono isoentropiche.
Introduzione
Per mantenere costante la temperatura in una cella frigorifera deve essere:
ΔU = 0 ovvero Qe = Qu
Occorre dunque asportare con continuità una quantità di energia termica (Qu) pari a quella che entra (Qe) attraverso le
pareti del frigorifero a causa della differenza di temperatura esistente tra l’ambiente circostante e la cella frigorifera.
Questa energia termica va riversata nell’ambiente in quanto esso è l’unico «SET» disponibile
Ragionamento simile vale per un locale climatizzato. Per mantenere costante la temperatura nel locale, ad es. nella
stagione invernale, deve essere:
ΔU = 0 ovvero Qe = Qu
Occorre dunque fornire una quantità di energia termica (Qe) pari a quella che esce (Qu) attraverso le pareti del locale
a causa della differenza di temperatura esistente tra il locale e l’ambiente esterno . Questa energia termica
va prelevata dall’ambiente in quanto esso è l’unico «SET» disponibile.
3
Pag.
Macchina frigorifera e Pompa di Calore
In entrambi gli esempi proposti, c’è l’esigenza del seguente PROCESSO: trasferire energia termica da un sistema
a temperatura inferiore ad uno a temperatura superiore. Tali sistemi possono essere schematizzati con due SET.
La macchina che realizza questo trasferimento è detta:
Macchina Frigorifera (MF) se l’esigenza è quella di asportare l’energia termica dal SET a temperatura
inferiore ⇒ caso della cella frigorifera. Obiettivo ⇒ QB
Pompa di Calore (PdC) se l’esigenza è quella di fornire l’energia termica al SET a temperatura
superiore ⇒ caso del locale da riscaldare in inverno. Obiettivo ⇒ QA
Macchina Frigorifera: il COP è il rapporto tra l’energia termica da asportare dal SET a temperatura
inferiore (SET B) e l’energia meccanica da somministrare ⇒ COPMF = QB/L
Pompa di Calore: il COP è il rapporto tra l’energia termica da fornire dal SET a temperatura superiore (SET
A) e l’energia meccanica da somministrare ⇒ COPPdC = QA/L
Macchina frigorifera ⇒
Fissato TA (ad es. TA = Tambiente), COPMF,rev tende a 0 per TB tendente a O K, e tende a +∞ per TB tendente a TA
Pompa di Calore ⇒
Fissato TB (ad es. TB = Tambiente), COPPdC,rev tende a 1 per TA tendente a +∞ , e tende a +∞ per TA tendente a TB.
Questi componenti possono essere schematizzati come sistemi aperti e saranno studiati nelle ipotesi di:
regime stazionario
flusso monodimensionale
Condotti
L’equazione dell’energia meccanica, in assenza di organi meccanici che consentono il trasferimento di lavoro d’elica,
si scrive
Dividendo ambo i membri per il volume specifico v e ricordando che 1/v = "ρ", si ottiene:
Posto ⇒
1
Il bilancio di entropia consente di valutare l’entropia generata:
Perdite di carico
Le perdite di carico (r) possono essere:
concentrate:
con: ξ coefficiente adimensionale dipendente dalla geometria e dalla tipologia del disturbo localizzato e w2/2 energia
cinetica specifica media
distribuite:
con f fattore d’attrito. E’ un parametro adimensionale dipendente dalle proprietà del fluido, dalla sua velocità e dalla
geometria del condotto. E’ calcolabile con l’uso di abachi, tabelle e formule; L/D lunghezza del condotto
adimensionalizzata rispetto al suo diametro e w2/2 energia cinetica specifica media
Dunque:
2
Dall’equazione dell’energia meccanica:
e quindi:
motrice: l’energia meccanica è trasferita dal fluido all’ambiente dove verrà opportunamente utilizzata;
operatrice: l’energia meccanica è trasferita dall’ambiente, dove è resa opportunamente disponibile, al fluido.
Per questi dispositivi l’interazione energetica come lavoro di elica (le) è molto più significativa di quella come calore, a
meno che la macchina non sia intenzionalmente raffreddata come può accadere per un compressore. Per la maggior
parte delle macchine, anche le variazioni di energia cinetica e potenziale della portata massica tra i varchi di uscita e
di ingresso risultano trascurabili rispetto al lavoro di elica.
Ipotesi
MACCHINE OPERATRICI
Turbina
La turbina è una macchina motrice a fluido che realizza la conversione di energia potenziale (entalpia) del fluido in
lavoro di elica.
3
Il fluido di lavoro può essere in fase:
da cui:
con
Nel caso di una trasformazione reversibile:
trasformazione isoentropica
*Non vengono trattate in questo corso
Turbina
Il raffronto tra la trasformazione reale e quella ideale può essere condotto in termini di rendimento isoentropico.
Esso pone a confronto il lavoro trasferito nel processo reale e quello che sarebbe trasferito in un processo reversibile
comunque adiabatico (quindi isoentropico) che parte dallo stesso stato iniziale e porta il fluido alla stessa pressione
finale del processo reale.
Il rendimento isoentropico della turbina è una grandezza adimensionale il cui valore può variare tra 0 ed 1 ed è
definito nel modo che segue:
con:
Turbina a vapore
Le turbine a vapore (TV) sono usate nelle centrali termoelettriche accoppiate a generatori elettrici realizzando potenze
tra 15 e 1500 MW. Sono impiegate per trascinare macchine operatrici come pompe, compressori e ventilatori (0.5 –
10 MW) o per la propulsione navale (20 – 40 MW).
Possono essere:
Energia:
4
Turbina a vapore
Facciamo delle considerazioni per il caso reale irreversibile rispetto al caso ideale reversibile:
cresce ⇒ aumenta ⇒ il punto u di uscita si sposta più a destra ⇒ aumenta il valore di ⇒ decresce il
valore di
Turbina a vapore
ESEMPIO
10 kg/s di acqua a 10 MPa e 500 °C entrano in una turbina. Il 10 % della portata viene estratto alla pressione di 2
MPa ed alla temperatura di 300 °C, mentre la rimanente portata espande fino alla pressione di 20 kPa e titolo 92 %.
Valutare la potenza meccanica erogata.
Il bilancio di energia, relativamente al volume di controllo tratteggiato in Figura, si scrive:
con:
Turbina a gas
Le turbine a gas (TG) sono usate anch’esse per la produzione di energia
elettrica, per trascinare macchine operatrici e per la propulsione navale
ed aerea. Negli impianti termoelettrici la turbina a gas è impiegata per far
fronte alle punte di potenza richiesta mentre la turbina a vapore è usata
per la base costante nel tempo.
Di seguito si riportano il bilancio di massa e il bilancio di energia (sono gli
stessi di quelli per la turbina a vapore):
5
Massa:
Energia:
Turbina a gas
ESEMPIO
2 kg/s di aria alla temperatura di 500 °C ed alla pressione di 0.7 MPa entrano in una turbina. L’aria, all’uscita, è alla
temperatura di 200 °C ed alla pressione di 0.1 MPa. Valutare la potenza meccanica resa all’ambiente.
Il bilancio di energia, relativamente al volume di controllo tratteggiato in Figura, si scrive:
Da cui si ottiene:
Turbina a gas
Facciamo una considerazione sul diagramma T-s riportato in Figura:
Caso reale (i - u) =
Turbina a gas
Ricaviamo l’equazione di una trasformazione isoentropica per un gas ideale.
Trasformazione isoentropica ⇒ ds = 0
Gas ideale ⇒
Pertanto risulta possibile scrivere:
Ponendo e
N.B. Le T vanno in Kelvin
Pompa e compressore
La pompa e il compressore sono macchine operatrici a fluido che trasferiscono energia dall’ambiente esterno (il
motore che muove la girante) al fluido realizzando il voluto aumento di pressione.
6
La pompa elabora un liquido. Il compressore elabora un aeriforme.
Di seguito si riportano il bilancio di massa e il bilancio di energia:
Massa
Energia
Macchine operatrici
Il rendimento isoentropico è una grandezza adimensionale il cui valore può variare tra 0 ed 1 ed è definita nel modo
che segue:
con:
Pompa
Nel caso della pompa, applicando il modello di liquido incompribile, il rendimento isoentropico assume la
seguente espressione:
Difatti, si ha che:
Caso reale irreversibile -> e
Caso reale reversibile -> e
7
Compressore
Il fluido di lavoro è in fase aeriforme. Di seguito si riportano nuovamente il bilancio di massa, il bilancio di energia e
l’espressione del rendimento
Massa
Energia
Facciamo una considerazione sul diagramma T-s riportato in Figura (si usa la stessa costruzione grafica proposta per
la TG).
Caso reale (i-u) ⇒
Caso ideale (i-us) ⇒
La differenza , pari all’area (2 a b 3), rappresenta il lavoro aggiunto a causa delle irreversibilità presenti nel
sistema.
Ponendo e
8
Piano T-s
con:
La condizione minimizza la potenza meccanica richiesta per comprimere il gas dalla
pressione alla pressione , come si ricava annullando la derivata del lavoro rispetto a .
Come è possibile notare graficamente in fig, la compressione inter-refrigerata richiede un lavoro minore rispetto ad
un’unica compressione adiabatica. SPIEGAZIONE FISICA ⇒ l’inter-refrigerazione determina una riduzione del
volume specifico del gas ⇒ il lavoro d’elica di compressione richiesto diminuisce come chiaro dall’equazione
dell’energia meccanica.
9
10
Scambiatori di calore
Uno scambiatore di calore è un’apparecchiatura per modificare lo stato termodinamico di una corrente fluida
attraverso il trasferimento di energia termica.
Alcuni esempi di scambiatori di calore sono riportati nel seguito:
generatore di vapore/caldaia: utile ad incrementare l’entalpia di una corrente d’acqua, prima che sia inviata
ad una turbina a vapore. Il prodotti della combustione costituiscono il fluido caldo, mentre l’acqua che scorre
all’interno corrisponde al fluido freddo;
combustore: utilizzato per ottenere una corrente di gas ad alta temperatura per alimentare una turbina a gas.
Il fluido caldo corrisponde ai prodotti della combustione, mentre l’aria da riscaldare è il fluido freddo;
evaporatore: nelle macchine frigorifere, è uno scambiatore di calore utile per far evaporare il
fluido refrigerante (fluido freddo) attraverso l’utilizzo di un fluido caldo.
Flusso monodimensionale,
Regime stazionario,
Adiabaticità verso l’esterno.
Mescolatore adiabatico,
Generatore di vapore,
Scambiatore a superficie.
Mescolatore adiabatico
Il mescolatore adiabatico ha due correnti di fluido con
diverso contenuto energetico (a pari pressione), le quali
si mescolano affinchè all’uscita si ottenga una portata
nello stato termodinamico desiderato.
Bilancio di massa
Bilancio di energia
Bilancio di entropia
1
Generatore di vapore
Il generatore di vapore ha il fluido freddo che entra (i) ed esce (u) ad una
temperatura maggiore a causa dell’interazione con
un SET a temperaturamaggiore della temperatura d’ingresso.
Bilancio di massa
Bilancio di energia
Bilancio di entropia
Bilancio di entropia
2
Scambiatore di calore a superficie
Bilancio di energia
Bilancio di entropia
Ipotizziando che entrambi i fluidi siano gas (nel volume elementare in figura,
Bilancio di entropia
Ipotizziando che entrambi i fluidi siano gas (nel volume elementare in figura),
E l’espressione finale
In tale espressione, si osserva che abbiamo sia il contributo termico che meccanico all’entropia generata.
3
In questo caso, ipotizziamo che il fluido freddo sia un gas, mentre il fluido caldo sia un fluido qualsiasi in cui
la pressione di ingresso sia uguale a quella d’uscita (trasformazione endoreversibile).
Bilancio di entropia
Valvola di laminazione
La valvola di laminazione è un semplice componente atto a ridurre la pressione di una corrente fluida in un
condotto.
La valvola realizza una parziale ostruzione al flusso; l’area della sezione libera al passaggio è
spesso regolabile dall’esterno manualmente o automaticamente. La maggiore o minore apertura della valvola
significa una maggiore o minore resistenza al flusso e quindi una minore o maggiore caduta di pressione.
4
Valvola di laminazione
Sotto le ipotesi di
E di energia
Il processo che ha luogo in una valvola di laminazione è ovviamente per sua natura irreversibile in quanto è basato
su un fenomeno di attrito viscoso, volutamente indotto.
Esso rappresenta uno dei pochi casi in cui si introduce volontariamente una sorgente di generazione entropica;
questa spesa è compensata dalla semplicità del componente.
Valvola di laminazione
Introduciamo il bilancio di entropia
Da cui evinciamo che l’entropia aumenta, al contrario dell’entalpia che rimane uguale. Si analizzano adesso gli
andamenti di pressione e temperatura.
Per un gas ideale, in cui
5
Impianti motori
Si analizzano i sistemi termodinamici per convertire l’energia.
1. Un sistema è l’insieme di più componenti collegati in modo tale da perseguire uno specifico obiettivo;
2. gli impianti che convertono l’energia termica in meccanica sono detti impianti motori;
3. in base alla sostanza di lavoro, si parla di impianti a vapore o a gas;
4. i cicli di riferimento in funzione della sostanza di lavoro sono i cicli Rankine (vapore) e Joule (gas).
Ciclo di Carnot
La conversione dell’energia avviene tramite una macchina
generalmente detta macchina termica.
La macchina termica utilizzata come riferimento ideale è
il ciclo di Carnot, un ciclo endoreversibile composto da
due trasformazioni isoentropiche e due isoterme, il cui
rendimento è pari a
impossibilità nell’eseguire dei trasferimenti di calore tra i SET e il ciclo con differenze di temperature
infinitesimi, in quanto servirebbe uno scambiatore di calore di area infinita;
difficoltà pratica nella scelta di componenti idonei per poter effettuare le quattro trasformazioni.
1
Dal ciclo di Carnot al ciclo Rankine
Oltre allo spostamento del ciclo, si elencano di seguito i componenti necessari alle varie trasformazioni:
1⇒ 2 pompa (Lp),
2⇒ 3 scambiatore di calore (generatore di vapore, Qgv),
3⇒ 4 turbina a vapore (Ltv),
4⇒ 1 scambiatore di calore (condensatore, Qco).
In figura si riportano le trasformazioni del fluido, ipotizzando componenti ideali (ηp ed ηtv = 1)
1 ⇒ 2 il punto 1 è scelto in modo tale che aspiri liquido saturo, siccome la pompa lavora con i liquidi,
2 ⇒ 3 il punto 3 è posto a temperatura più alta possibile, in modo da poter sfruttare il calore reso disponibile
dal SET A: il limite massimo è di natura tecnologica ed è di circa 600 °C,
3 ⇒ 4 il punto 4 è scelto in modo tale che la turbina a vapore lavori con vaporisaturi ad altotitolo:
convenzionalmente, x4 ≥ 0,85,
4 ⇒ 1 il condensatore garantirà il ritorno al punto 1, liquido saturo.
2
Ciclo Rankine
Infine, possiamo rappresentare il ciclo Rankine reale considerando per le macchine operatrici/motrici (pompa e
turbina a vapore) un rendimento minore di 1.
3
Bilanci di prima e di seconda legge
Infine, riportiamo l’espressione del rendimento in funzione delle entalpie:
Siccome Lp << Lt in quanto la pompa lavora con un liquido, che ha un basso volume specifico, il rendimento è
anche approssimabile con la seguente espressione:
4
Dalla temperatura termodinamica, definiamo la temperatura media tra due stati di un’isobara:
5
Modifiche al ciclo Rankine: rigenerazione a superficie
Infine, possiamo anche dimostrare che il rendimento aumenta in quanto si riduce la
generazione entropica attraverso la seguente relazione
Schematizzando il generatore di vapore come un SET a temperatura pari alla Tms, attraverso
un bilancio riferito al volume di controllo:
Da dove si evince che si riducono sia il calore scambiato che il ΔT, dunque la generazione
entropica Sgen.
6
7
Impianti operatori
Una delle conseguenze della seconda legge mostra che il trasferimento di energia termica da una sorgente a
temperatura inferiore ad una a temperatura superiore non può avvenire spontaneamente. È necessaria infatti una
sorgente, posta in ambiente, che fornisca energia.
I sistemi che, operando ciclicamente, realizzano questa conversione energetica, sono detti impianti operatori ed in
particolare impianti frigoriferi o pompe di calore a seconda che la finalità sia il refrigerare o il riscaldare.
Si parla inoltre di ciclo inverso in quanto è antiorario il verso di percorrenza secondo cui evolve il fluido di lavoro nella
rappresentazione del ciclo su un piano termodinamico.
La seguente trattazione si riferisce al tipo di impianto più diffuso, ovvero a quello correntemente indicato
come impianto a compressione di vapore.
1
Limiti del ciclo di Carnot inverso
In concreto, le trasformazioni 2-3 e 4-1 devono avvenire
in degli scambiatori di calore che, se ideali, realizzano
isobare. Poiché nel ciclo di Carnot tali trasformazioni
sono isoterme, si deduce che il fluido di lavoro deve
necessariamente essere un vapore che bolle lungo la 4-1
e che condensa lungo la 2-3.
è necessario che ci sia una differenza finita tra il fluido di lavoro e l’ambiente interagente;
il compressore dovrebbe operare su un vapore umido, e ciò non è possibile per problemi di usura meccanica
e di lubrificazione. Si preferisce quindi iniziare la fase di compressione almeno con un fluido in condizione
di vapore saturo secco (x=1). Ciò comporta un’isobara superiore che non è più isoterma, in quanto a fine
compressione il vapore sarà surriscaldato;
il lavoro ottenibile nell’espansione 3-4 è trascurabile rispetto a quello necessario per la compressione;
l’impiego di una turbina non risulta essere economicamente vantaggioso. Si preferisce utilizzare quindi
una valvola di laminazione, che realizza la fase di espansione dalla pressione di condensazione a quella di
evaporazione tramite una perdita di carico concentrata.
In figura si riportano le trasformazioni del fluido sui piani (T-s) e (p-h) e lo schema dei componenti, ipotizzando vapore
saturo secco all’ingresso del compressore (x1=1), liquido saturo all’uscita del condensatore (x 3=0) e compressione
ideale (ηc = 1).
2
Compressore
1° legge:
2° legge:
Condensatore
1° legge:
2° legge:
Valvola di laminazione
1° legge:
2° legge:
Evaporatore
1° legge:
2° legge:
3
Fluidi di lavoro
Nei cicli a compressione di vapore l’effetto frigorifero è ottenuto grazie all’evaporazione di un fluido,
detto refrigerante o fluido frigorigeno, rappresentato tipicamente da sostanze bassobollenti, di origine naturale o
sintetici. Questi ultimi sono derivabili da idrocarburi quali metano, etano o propano per sostituzione parziale o totale
degli atomi di idrogeno con quelli di alogeni. I primi fluidi sintetici utilizzati su larga scala sono stati
i CFC (clorofluorocarburi), banditi dal protocollo di Montreal (1989) e soppiantati inizialmente
dagli HCFC (idroclorofluorocarburi) ed infine dagli HFC (idrofluorocarburi), a causa dei danni provocati all’ozono una
volta rilasciati in atmosfera. La famiglia di refrigeranti HFC, seppur innocui per l’ozono stratosferico, contribuisce
significativamente all’effetto serra, la cui riduzione è prevista dai successivi accordi internazionali di Kyoto
(1996) e Parigi (2016). Allo stato attuale, è attesa una graduale riduzione dell’utilizzo di fluidi HFC, che possono
essere sostituiti da fluidi sintetici differenti come gli HFO (idrofluoroolefine) oppure da fluidi naturali, come ammoniaca
ed anidride carbonica.
4
Scelta del fluido di lavoro
A differenza di un tradizionale ciclo Rankine, in cui il fluido di lavoro è sempre l’acqua, per i cicli a compressione di
vapore sono quindi disponibili diverse sostanze, che vanno scelte in funzione della loro idoneità all’applicazione
tecnologica di riferimento. La selezione avviene effettuando le seguenti considerazioni.
Fissate le temperature dei SET A e B ed il ΔT minimo negli scambiatori di calore, si deve avere:
5
Modifiche al ciclo: FGR (flash-gas removal)
Lo schema del ciclo frigorifero con rimozione del flash gas con le corrispondenti trasformazioni sul piano p-h sono
riportate in figura. La fase di espansione è frazionata utilizzando un livello di pressione intermedia P i tra quella di
evaporazione Pev e quella di condensazione Pco. Il vapore prodotto dalla prima espansione in valvola (punto 8) non
prosegue per la successiva laminazione ma viene direttamente compresso tramite un secondo compressore C2 fino
alla pressione di condensazione Pco. Il liquido prodotto dalla prima laminazione in condizione 6 viene invece
ulteriormente laminato fino alla pressione di evaporazione ed inviato all’evaporatore per ottenere l’effetto utile,
proseguendo infine nel compressore principale C1 che porta il vapore alla pressione di condensazione Pco. I vapori
surriscaldati in uscita dai due compressori si mescolano adiabaticamente ottenendo il punto 11 di ingresso al
condensatore.
Con questa modifica di impianto si evita l’effetto dannoso della portata di vapore sull’effetto utile all’evaporatore,
contribuendo all’aumento del COP dell’impianto.
6
Modifiche al ciclo: compressione bi-stadio e FGR
Il frazionamento della compressione, nell’ipotesi di rendimento isoentropico dei compressori costante, comporta
sicuramente un aumento del COP rispetto alla sola rimozione del flash gas, in quanto:
poiché il compressore C3’ nel tratto di compressione da Pi a Pco elabora la stessa portata sotto lo stesso ΔP del
precedente compressore C1, ma utilizza un fluido più freddo con un volume specifico in aspirazione più basso.Nella
realtà, il rendimento isoentropico di compressione è funzione del rapporto di compressione, per cui la modifica è
conveniente solo se ogni stadio ha un rapporto tra le pressioni finali ed iniziali almeno pari a 2.5.
7
Modifiche al ciclo: scambiatore interno
Fissate le temperature dei due SET A e B, il
COP dell’impianto aumenta al ridursi del ΔT
minimo con il fluido durante le fasi di
condensazione e di evaporazione, in quanto
innanzitutto diminuiscono le generazioni
entropiche agli scambiatori per cause termiche,
ed inoltre la variazione di pressione nella valvola
di laminazione sarà più ridotta con conseguente
decremento della generazione entropica per
cause meccaniche.
Come evidenziato dalla figura, però, la
diminuzione del ΔT minimo negli scambiatori
riduce i margini per ottenere un surriscaldamento
del vapore all’aspirazione del compressore ed un
sottoraffreddamento del liquido in ingresso alla
valvola di laminazione, condizioni desiderate per
il corretto funzionamento di questi componenti.
Per contro, anche la potenza richiesta dal compressore, rispetto al ciclo base, è aumentata, in quanto si va a
comprimere un vapore surriscaldato a temperatura iniziale maggiore e quindi con un volume specifico più alto.
Per questo motivo, con l’inserimento dello scambiatore interno non è possibile determinare a priori la variazione del
COP.
8
Esempio di analisi termoeconomica
In questo esempio si vuole dimensionare l’area del condensatore di un ciclo a compressione di vapore che lavora tra
le temperature dei SET TA e TB. La scelta della superficie di scambio termico segue il criterio della minimizzazione dei
costi totali, intesi come somma dei costi di impianto e dei costi di esercizio.
Si parte innanzitutto dalla relazione dello scambio termico, che indica come la potenza termica scambiata al
condensatore possa essere espressa come prodotto di una UA equivalente e del ΔT minimo tra il fluido in
condensazione e l’ambiente.
All’aumentare della superficie di scambio termico Atot, è quindi possibile ridurre il ΔT minimo, come mostrato nei profili
di temperatura nel condensatore in figura.
I costi di esercizio invece sono esprimibili come una costante c (costo specifico dell’energia elettrica) per l’energia
elettrica consumata nel tempo di funzionamento Δθ. La potenza elettrica richiesta al compressore può essere inoltre
indicata come rapporto tra la potenza frigorifera richiesta all’impianto ed il COP dello stesso che, come dimostrato
precedentemente, è funzione della superficie di scambio termico.
Diagrammando (figura) le tre funzioni con la superficie di scambio termico al condensatore, si nota come i costi di
impianto crescono all’aumentare dell’ingombro dello scambiatore, mentre quelli di esercizio sono progressivamente
ridotti grazie ad una maggiore efficienza dell’impianto. La curva relativa ai costi totali è quindi caratterizzata dalla
presenza di un minimo, in corrispondenza del quale si ottiene il valore della superficie di scambio termico A* di ottimo
progettuale.
9
10
Obiettivi
La legge di Dalton
L’aria umida può essere studiata come una miscela di gas ideali
Al fine di poter considerare l’intera miscela come un gas ideale, trascurando eventuali interazioni mutue tra
diverse molecole, bisogna poter ipotizzare che entrambe le componenti siano a loro volta dei gas ideali
1. L’aria secca è considerata un gas ideale in quanto t/tc >> 1, con t temperatura dell’aria umida (compresa tra
circa -10 °C e 50 °C) e tc temperatura critica dell’aria secca (tc = -141 °C);
1
2. Il vapore d’acqua è considerato un gas ideale in quanto p/pc << 1, con p pressione di saturazione del
vapore acqueo alle temperature dell’aria umida (circa 0.12 bar se t = 50 °C) e pc pressione critica dell’acqua
(pc = 221 bar).
La legge di Dalton ci dice che la pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è pari alla
somme delle pressioni parziali esercitati dai gas se questi fossero presenti da soli in un pari volume
La pressione parziale è la pressione esercitata da un componente in una miscela di gas nell’ipotesi in cui questo si
trovasse ad occupare l’intero volume della miscela a parità di T
pt = p a + p v
Con pt pressione totale, pari alla pressione atmosferica, pa pressione riferita all’aria secca e pv pressione parziale
riferita al vapore acqueo
1. Note la pressione totale pt e la temperatura t, vi sono infinite combinazioni di miscele gassose in tali
condizioni;
2. Le condizioni dipendono dal rapporto tra le masse dell’aria secca e del vapore d’acqua.
Lo stato termodinamico di una miscela gassosa di due componenti è determinabile attraverso tre proprietà
intensive indipendenti
1. Una di queste tre proprietà è la pressione totale, la quale è pari alla pressione atmosferica;
2. Le altre due proprietà intensive sono indipendenti e una di queste è spesso riferita alla composizione
della miscela in termini di massa.
Umidità specifica
Dove ω è l’umidità specifica, mv è la massa di vapore acqueo, mentre ma è la massa di aria secca
Tale rapporto è riferito all’aria secca in quanto costante al variare della massa di vapore acqueo
Si voglia ora dimostrare il legame tra l’umidità specifica ω e le varie pressioni pt, pv e pa. Essendo entrambe le
componenti della miscela dei gas ideali, applichiamo per entrambe l’equazione di stato dei gas ideali e
scriviamo il rapporto, ricordando che il volume V e la temperatura T (la maiuscola è utilizzata per indicare che
in questo caso la temperatura è espressa in kelvin invece che in celsius) sono le stesse
Attraverso le opportune semplificazioni, ricordando l’equazione (1), ed osservando che Rv/Ra = 0.622, possiamo
scrivere
Umidità specifica
2
Dall'equazione (4), osserviamo che all’aumentare di ω la pressione del vapore acqueo pv aumenta
Tale pressione pv aumenterà fino ad arrivare alla pressione di saturazione del vapore acqueo a quella
temperatura, psat(t)
Se pv = psat (t), l’aria umida è satura e non potrà più accogliere del vapore acqueo al suo interno
Tale trasformazione è riepilogata in Fig. 3, in cui l’aria umida, partendo dallo stato A, si porta allo stato B a
causa dell’aumento della massa di vapore d’acqua, dunque dell’umidità specifica ω.
Umidità relativa
L’umidità specifica fornisce informazioni riguardo il rapporto tra masse, ma non riguardo la quantità di
vapore acqueo che può accogliere la miscela: non sappiamo quanto siamo lontani dalla condizione
di saturazione
Un’altra proprietà che si definisce è l’umidità relativa Φ
Con mvs quantità di vapore acqueo relativa alla condizione di saturazione, fissate la temperatura t e la pressione
totale pt.
Come in precedenza, possiamo correlare l’umidità relativa Φ con la pressione del vapore acqueo pv e con la
pressione del vapore acqueo in condizioni di saturazione pvs. Applicando la legge dei gas ideali sia per il
vapore d’acqueo che per questo in condizioni di saturazione, scrivendo il rapporto
Il diagramma psicrometrico
3
Attraverso tali espressioni, e ricordando che la pressione del vapore d’acqueo in condizioni di saturazione dipende
dalla temperatura ossia pvs = psat(t), possiamo quindi definire l’umidità specifica ω al variare della temperatura t,
per diversi valori di Φ
Si costruisce un diagramma (ω,t) (Fig. 4), con diverse curve ad umidità relativa Φ costante. Tale diagramma
è noto come diagramma psicrometrico. La variabile t è spesso espressa come tba (temperatura di bulbo
asciutto), che verrà illustrata in seguito.
Temperatura di rugiada
In Fig. 5 sono riportate le trasformazioni subite dall’aria umida sul piano (t,s) e sul diagramma psicrometrico.
Dal piano (t,s) si evince per ogni isobara relativa alla pressione pv esiste una sola temperatura di rugiada tr;
dal diagramma psicrometrico invece si evince che, partendo da uno stato generico A, l’intersezione tra la
retta parallela all’asse t e la curva di saturazione per Φ = 100% è la temperatura di rugiada.
4
Se la massa di aria umida fosse raffreddata ulteriormente dopo aver raggiunto la curva per Φ = 100%, si
avrebbe condensazione e dunque un abbassamento dell’umidità specifica (e quindi della quantità di
vapore acqueo presente)
Partendo dall’equazione (11), si voglia trovare un’espressione dell’entalpia specifica dell’aria umida h in
funzione della temperatura, oltre che dell’umidità specifica
Analizziamo le singole componenti; per quanto riguarda l’aria secca, nell’ipotesi di gas ideale e dunque
richiamando l’equazione di stato dh = cp dT, possiamo scrivere che
Per quanto riguarda l’aria umida, si ipotizza che tRIF = 0 °C, e che hRIF (tRIF) = 0 J/kg K; se cpa = 1.005 kJ/kg K, ne
segue che l’entalpia dell’aria secca ha in kJ/kg K relativa all’equazione (11) si può esprimere come
Per quanto riguarda l’entalpia relativa al vapore acqueo hv, nota la pressione parziale pv e la temperatura t,
questa può essere letta sulle tabelle del vapore surriscaldato; tuttavia, si voglia adesso ricavare
un’espressione per hv che sia funzione della sola temperatura
Al fine di definire hv, occorre innanzitutto definire uno stato di riferimento hv,RIF; per comodità in quanto è un
valore noto dalle tabelle, si decide di utilizzare come stato di riferimento l’entalpia calcolata a pressione
atmosferica in condizioni di liquido saturo hv,RIF = hvs (0 °C)
In Figura 6, è riportato il punto A relativo al vapore acqueo (a cui corrisponde l’entalpia hv nella presente
trattazione) che è parte della miscela di aria umida, e il punto RIF relativo allo stato di riferimento adottato.
Essendo l’entalpia una funzione di stato, la differenza hv – hv,RIF non dipende dal percorso della
trasformazione ma solo dagli stati iniziale e finale
Per comodità, come indicato in Figura 6 si sceglie il percorso più comodo, che prevede che la
trasformazione tra il punto di riferimento ed il punto A avvenga lungo la stessa isobara (pt = 1 atm)
5
Tale trasformazione è dividibile in più tratti. Posto B lo stato per cui il vapore acqueo è in condizioni di vapore
saturo secco alla pressione pt, è possibile riferire l’entalpia come integrale tra i singoli tratti tali che la
somma corrisponda alla variazione di entalpia tra hv ed hv,rif. Noto che in tali condizioni hv,RIF = 0 J/kg K
Osservando la figura, si evince che l’entalpia tra gli stati RIF e B corrisponde al calore latente di
vaporizzazione Δhvs = 2500.5 kJ/kg, mentre per quanto riguarda l’entalpia calcolata tra gli stati B ed A
possiamo riferirci all’equazione di stato (con trif = 0°C in quanto il punto B è a 0 °C) ed utilizzare un valore di
calore specifico a pressione costante cpv = 1.805 kJ/kg K; fatte tali premesse, possiamo quindi
definire l’entalpia relativa al vapore acqueo hv
Raggruppando le equazioni (13) e (15), si perviene all’espressione finale per l’entalpia dell’aria umida
Da tale espressione, fissato il valore di entalpia specifica h, è possibile tracciare sul diagramma psicrometrico
le varie curve per h = cost; in particolare, dall’equazione (16) si evince che tali curve sono tutte delle rette
parallele, che crescono all’aumentare del valore di h = cost
6
Volume specifico - Rappresentazione
Un’altra proprietà dell’aria umida è il volume specifico v, anche esso riferito alla sola massa di aria secca
Posto il volume specifico pari a v = V/ma, possiamo definirlo utilizzando la legge dei gas ideali
Si voglia adesso tracciare le curve a v = cost sul diagramma psicrometrico. Partendo dall’Eq. (17),
possiamo esprimere la pressione dell’aria secca in funzione dell’umidità specifica ω attraverso l’Eq. (3)
e ricordando che pt = pa + p v
7
Temperatura di saturazione adiabatica – Il saturatore adiabatico
Un’altra proprietà dell’aria umida è la temperatura di saturazione adiabatica t*, che verrà descritta nel
seguito attraverso l’introduzione di un dispositivo chiamato saturatore adiabatico
In Fig. 9, si rappresenta un saturatore adiabatico. Il saturatore adiabatico è un dispositivo di lunghezza L in
cui l’aria umida entra nello stato 1 ed esce nello stato 2. All’interno di tale dispositivo vi è dell’acqua liquida
immessa nello stato L, utile a reintegrare l’acqua evaporata. Il saturatore, adiabatico verso l’esterno,
presenta una lunghezza L tale da poter garantire che l’aria umida sia in condizioni di saturazione all’uscita,
ossia ϕ2 = 100%.
La temperatura t2 alla quale esce la miscela d’aria umida è detta temperatura di saturazione adiabatica,
altresì contrassegnata con t*, ed è una proprietà dell’aria umida, come verrà dimostrato nel seguito
L’utilità di tale dispositivo consiste nel poter misurare in maniera indiretta l’umidità relativa ϕ e l’umidità
specifica ω in quanto
Con il saturatore adiabatico, si può risalire all’umidità relativa ϕ ed all’umidità specifica ω attraverso misure di
temperatura e bilanci di massa ed energia
Nel seguito, si adopera un saturatore adiabatico per conoscere l’umidità specifica dell’aria umida in ingresso
nelle condizioni 1, vale a dire ω1. Si ipotizza che l’aria umida in uscita sia in condizioni di saturazione
all’uscita (ϕ2 = 100%), e che l’acqua di reintegro sia ad una temperatura pari alla
temperatura d’uscita dell’aria umida, tL = t2. Con riferimento ad un volume di controllo che racchiude tutto il
saturatore adiabatico, possiamo scrivere i seguenti bilanci di massa, rispettivamente per l’aria secca e il
vapore d’acqua
Da cui segue che, attraverso la combinazione delle equazioni e la definizione di umidità specifica (Eq. 1)
8
Temperatura di saturazione adiabatica – Misura dell’umidità specifica
Scriviamo ora un bilancio di prima legge per lo stesso volume di controllo, ricordando che l’entalpia
specifica è riferita alla portata d’aria secca in quanto costante
Richiamando l’Eq. (19c), possiamo esprimere la seguente relazione per calcolare ω1.
Si voglia ora definire l’intero sistema di equazioni necessario per ottenere i valori di umidità specifica in
ingresso ω1 attraverso l’Eq. (21). I termini incogniti nell’Eq. (21) sono esplicitabili attraverso le Eq. (10) e (16)
Al fine di risolvere il sistema appena introdotto per conoscere il valore dell’umidità specifica in ingresso ω1,
bisogna
1. Avere noti i valori di cpa (1.005 kJ/kg K), cpv (1.805 kJ/kg K) e di c (pari a 4.186 kJ/kg K) per l’acqua in fase
liquida),
2. Richiamare l’ipotesi in cui l’aria umida in uscita sia satura (ϕ2 = 100% quindi ϕ2 = 1),
3. Conoscere attraverso misure le temperature dell’aria umida in ingresso t1 e in uscita t2.
La temperatura di uscita dal saturatore adiabatico, t2, è nota anche con il simbolo t* ed è detta temperatura di
saturazione adiabatica: essa è una proprietà dell’aria umida in quanto, noto lo stato 1, l’equazione (21) può essere
vista come un’equazione nell’incognita t2 = t*
Noto lo stato di una corrente di aria umida, esiste una ed una sola temperatura di uscita T* alla quale tale corrente
uscirà in condizioni di saturazione attraverso un saturatore adiabatico. Tale temperatura è detta temperatura di
saturazione adiabatica.
Si osserva che generalmente l’evaporazione implica che t* < t1 in quanto l’energia necessaria
all’evaporazione è ottenuta a spese dell’abbassamento di temperatura della corrente d’aria umida, ossia
Q∼Δt1→2∼Δω1→2
Dalla relazione si evince che l’energia richiesta all’evaporazione è proporzionale alla differenza di temperatura tra
ingresso e uscita, nonché alla variazione in termini di umidità specifica (i. e. massa di vapore acqueo)
D’altro canto, possiamo anche dire che t* > tr1 in quanto l’umidità specifica aumenta (e quindi anche
la pressione parziale del vapore). Ne segue che
tr1≤t∗≤t1
Dove il simbolo di uguaglianza vale nel caso in cui la corrente d’aria umida entra già in condizioni di saturazione.
In Fig. 10 è riportata la rappresentazione sul piano (t,s)
9
Temperatura di saturazione adiabatica - Rappresentazione
Si vogliano ora rappresentare le curve a t* costante sul diagramma psicrometrico. Partendo dall’Eq. (21), è
possibile esplicitare l’equazione rispetto alla differenza di entalpia
h2−h1=hL(ω2−ω1) (22)
Analizzando gli ordini di grandezza, osserviamo che (ω2-ω1)∼o(10-3) mentre hL∼o(102); sulla base di ciò
possiamo concludere che h2≈h1h2≈h1
E quindi che le curve a t* = cost sono approssimabili a curve con h = cost (Fig. 11). Volendo
trovare un’espressione per tale famiglia di curve, utilizzando la definizione di entalpia (Eq. 16) attraverso l’Eq. (22), si
arriva alla seguente formulazione
10
Psicrometro - Funzionamento
Psicrometro - Funzionamento
La temperatura di bulbo bagnato tbb NON è una proprietà dell’aria umida in quanto dipende anche
dal campo di velocità nell’intorno dell’interfaccia tra aria umida e garza, e dalla geometria di questa
Il valore di tbb approssima quello della temperatura di saturazione adiabatica t* (quindi , tbb ≈ t*) qualora la
misura è condotta nelle seguenti condizioni
Di seguito si riporta il diagramma psicrometrico finale (Fig. 13), il quale è riferito ad una pressione pari a
quella atmosferica.
Nel diagramma è anche riportata la
pendenza pari al rapporto tra differenza di
entalpia ed umidità specifica
Si riepilogano nel seguito
le proprietà dell’aria umida; note tre di
queste (una di solito è
la pressione atmosferica) è possibile
determinare univocamente lo stato
11
12
Obiettivi
Semplice riscaldamento
Un tipico campo di applicazione dell’aria umida è la climatizzazione, che prevede di studiare attraverso
quali processi è possibile condizionare in ambienti confinati i parametri attraverso cui il corpo umano è
sensibile per il proprio benessere
Si vogliano analizzare le varie trasformazioni che può subire una corrente d’aria umida; la prima è
il semplice riscaldamento, in cui l’aria umida lambisce una superficie ad una temperatura t tale che t > tba
In Fig. 2 è rappresentato uno schema dell’impianto necessario a far avvenire tale trasformazione. Si ipotizza
che l’aria umida entra nelle condizioni 1, ed esce ad una temperatura maggiore t2 > t1 in quanto lambisce
una superficie a temperatura superiore. Si osserva che l’umidità specifica ω, e dunque il contenuto di vapore
acqueo, non varia in quanto non vi è nessun processo di addizione/sottrazione (dunque,
umidificazione/deumidificazione).
Si vogliano ora scrivere le varie equazioni di bilancio. Nelle usuali ipotesi (regime stazionario, flusso
monodimensionale, trascurabilità dei contributi di energia cinetica e potenziale), utilizzando un volume di
1
controllo che racchiude la sola aria umida in ingresso (1) ed in uscita (2), abbiamo rispettivamente i bilanci di
massa per l’aria secca e per il vapore acqueo, nonché il bilancio di energia riferito all’aria umida
Dove Q̇ è la potenza termica trasferita dalla batteria alla corrente di aria umida. Richiamando la definizione di umidità
specifica ω = mv/ma vista in precedenza, e risolvendo l’equazione (1c) rispetto alla potenza termica, è possibile
riscrivere rispettivamente le equazioni (1b) e (1c)
Da cui si può concludere che l’umidità specifica non varia, e che è possibile calcolare la potenza termica
necessaria al riscaldamento della massa di aria umida attraverso l’equazione (2b), ricordando che le espressioni
per l’entalpia dell’aria umida sono state già viste nelle lezioni precedenti
Semplice raffreddamento
Una trasformazione analoga a quella vista in precedenza è quella di semplice raffreddamento, in cui la
batteria è utilizzata per asportare potenza termica e quindi permettere che t2 < t1.
Tale trasformazione è rappresentata in Fig. 3 ed è del tutto analoga a quella già vista di semplice
riscaldamento. Si riportano di seguito i bilanci di massa ed energia, nelle usuali ipotesi (d’ora in poi omesse
per tutti i bilanci che verranno presentati nella presente lezione), analoghi a quelli già visti in precedenza ed
espressi già nella forma finale riportata nelle equazioni (2a) e (2b)
Mescolamento adiabatico
Un’altra trasformazione tipica dell’aria umida è il mescolamento adiabatico, in cui due correnti d’aria umida
a differente temperatura t1 e t2 si mescolano per ottenere una corrente d’aria umida ad una temperatura
intermedia t3
Tale trasformazione è riportata sul diagramma psicrometrico in Fig. 4. Si osserva come, congiungendo i
punti 1 e 2 è possibile trovare il punto 3, la cui distanza relativa da 1 e 2 dipende dal rapporto tra le masse,
come verrà dimostrato nelle slides successive.
2
Mescolamento adiabatico – Bilanci e stato finale
Si vogliano ora scrivere le varie equazioni di bilancio rispettivamente per l’aria secca (massa), per il vapore
acqueo (massa) e per l’aria umida (energia)
Le quali, sostituite nelle equazioni (4b) e (4c), permettono di esplicitare le proprietà dello stato finale 3
Dalle equazioni (5a) e (5b) si evince che l’umidità specifica e l’entalpia specifica dello stato finale 3
sono combinazioni lineari degli stati di ingresso 1 e 2, i cui coefficienti lineari dipendono dal rapporto tra
le portate massiche in ingresso rispetto al totale. Siccome il diagramma psicrometrico è in coordinate (h, ω) se
consideriamo la coordinata obliqua h, è possibile trovare il punto 3 in un punto posto sulla retta che congiunge i
punti 1 e 2
E’ possibile risalire allo stato d’uscita 3 anche attraverso identificazione grafica. Risolvendo l’equazione (5a)
rispetto ad ṁa2, e sostituendo rispettivamente le equazioni ottenute rispetto ad ṁa2 nelle equazioni (5b) e
(5c), possiamo avere la seguente uguaglianza
Lo stesso ragionamento può essere fatto per quanto riguarda la costante k2, risolvendo allo stesso modo
l’equazione (5a) rispetto ad ṁa1 ed applicando passaggi analoghi. Si evince quindi che il punto 3 si trova sulla
retta che congiunge i punti 1 e 2 ad una distanza tale che
3
Ne segue che quando si mescolano adiabaticamente due correnti d’aria umida in due differenti stati 1 e 2, lo stato
finale 3 è posto sul segmento che collega i punti 1 e 2 ad una distanza dagli estremi del segmento che è funzione
delle portate massiche secondo le equazioni (7) come evidente in Fig. 4.
Raffreddamento e deumidificazione
Si illustreranno ora delle trasformazioni dell’aria umida più complesse da poter essere ritenute in sequenza
Si ipotizza di avere un raffreddamento di una corrente d’aria umida il cui stato in ingresso è contrassegnato
da 1, dovuto alla presenza di una batteria a temperatura minore rispetto alla temperatura della corrente d’aria
umida. Qualora dovesse accadere che, posti tl temperatura della batteria fredda e tr1 temperatura di rugiada
della corrente d’aria umida, tl < tr1, vi è la possibilità che la temperatura della corrente d’aria diventi pari a
quella di rugiada, determinando la formazione di condensa
Tale trasformazione è detta di raffreddamento e deumidificazione, in quanto si hanno sia un abbassamento
di temperatura che la formazione di condensa, opportunamente drenata. Tale trasformazione è
rappresentata in Fig. 5 sul diagramma psicrometrico (nell’ipotesi di flusso perfettamente monodimensionale,
dunque trascurando eventuali variazioni di temperatura e pressione parziale lungo la direzione normale al
moto), e si osserva come l’umidità specifica diminuisca mentre quella relativa vada ad aumentare.
Il trasferimento di energia è causato dalle seguenti differenze di temperatura e pressione, e all’interno del
processo si osserva come, a valle del raffreddamento, ulteriore sottrazione d’energia implica
la diminuzione della temperatura dell’aria, nonché la deumidificazione di questa.
Si vogliano ora scrivere delle equazioni di bilancio, riferiti al solito volume di controllo che racchiude la sola
aria umida e nelle usuali ipotesi. Ricordando che la massa di aria secca ṁa non varia, si hanno
rispettivamente per la massa di vapore acqueo e per l’energia relativa all’aria umida
4
Raffreddamento e deumidificazione – Il fattore di by-pass
Siccome l’ipotesi di trascurabilità dei gradienti trasversali per quanto riguarda Tba e ω è abbastanza forte, e
considerando che la batteria ha dimensioni finite con superficie di contatto con l’aria che garantisce un
contatto solo parziale col flusso d’aria, si introduce un fattore di by-pass che tiene conto del fatto che
non tutto il flusso d’aria lambisce la batteria
Il fenomeno risulta complesso da descrivere; nel seguito è modellato approssimandolo con
un mescolamento adiabatico in cui la corrente 1 si mescola con la corrente che lambisce la batteria
(nell’ipotesi in cui sia alla temperatura Ts), ottenendo quindi lo stato finale 2. Tale trasformazione è raffigurata
in Fig. 6. Si definisce quindi il fattore di by-pass, riferendosi alla portata m˙′a come la portata che non
entra in contatto con la superficie, esprimibile anche in funzione delle entalpie richiamando le correlazioni
viste per il mescolamento adiabatico
Come già visto per il mescolamento adiabatico, la posizione dello stato 2 dipende da numerosi fattori come
ad esempio il flusso di massa e di energia, nonché l’estensione della batteria nella direzione del flusso: Fbp è
inoltre pari ad 1 se il contatto è nullo, e 0 se completo
Con riferimento all’Eq. (9b), è possibile osservare che il termine relativo al flusso convettivo
d’energia (quindi, variazione di umidità specifica) è spesso trascurabile, ottenendo quindi che la potenza da
sottrarre è approssimabile come
A valle di ciò, è possibile dividere la potenza da sottrarre in due aliquote, rispettivamente potenza sensibile Q̇S e
potenza latente Q̇L
In Fig. 6, vista in precedenza, è possibile osservare la presenza del punto 3. In particolare, si osserva che tale
punto ha la stessa temperatura del punto 1 e la stessa umidità specifica del punto 2. Ne segue che la
5
potenza sensibile Q̇S è l’aliquota necessaria per raffreddare la corrente d’aria umida da tba1 a tba2, mentre la
potenza latente Q̇L è quella necessaria alla deumidificazione per poter passare da ω1 ad ω2
Riscaldamento ed umidificazione
La presente trasformazione consiste in due distinte trasformazioni, in cui prima l’aria umida dalle
condizioni 1 è riscaldata da una batteria fino alle condizioni 2’, per poi
essere umidificata attraverso l’iniezione di acqua in fase liquida (nebulizzata) o vapore, arrivando allo stato
2.
Tale trasformazione è rappresentata in Fig. 7. Noto che t2’ > t1 essendo un riscaldamento semplice, per
quanto riguarda l’umidificazione accadrà che ω2 > ω2’ a causa dell’aggiunta di acqua. Tuttavia, possiamo
distinguere due casi a seconda della fase in cui è inserita l’acqua
1. Nel caso in cui l’acqua è liquida (nebulizzata), l’energia per il passaggio di fase da liquido a vapore è
prelevata dalla corrente d’aria umida, ragione per la quale t2 < t2’ (Fig. 7);
2. Nel caso in cui l’acqua è in fase vapore, essendo questa già vapore tale fenomeno non accadrà per cui t2 ≈
t2’ (Fig. 7)
Nelle usuali ipotesi, si vogliano scrivere i bilanci di massa e di energia. Omettendo i passaggi analoghi a
quanto visto già prima, si riportano di seguito la potenza termica necessaria per portare la corrente di aria
umida dal punto 1 al punto 2’, e la portata di liquido necessaria per poter umidificare l’aria dal punto 2’ al
punto 2
Si voglia ora esprimere l’Eq. (12a) in funzione dello stato d’ingresso 1 e dello stato d’uscita 2. Scriviamo un
bilancio di energia in un volume di controllo compreso tra gli stati 2’ e 2, che dunque riguarda
la sola umidificazione
Sostituendo l’Eq. (12b) nell’Eq. (13a) risolta rispetto ad h2’, e a sua volta nell’Eq. (12a), si ottiene
la seguente espressione
6
Le Eq. (12b) e (13b) forniscono le informazioni necessarie per la scelta della batteria calda e della quantità
d’acqua da immettere
Si voglia adesso ricercare più dettagliatamente l’andamento della trasformazione di umidificazione adiabatica
in funzione della fase in cui è immessa l’acqua.
Per quanto riguarda il caso in cui l’acqua è liquida (nebulizzata), possiamo scrivere l’Eq. (16) tra due stati
di ingresso ed uscita 1 e 2, risolvendola rispetto ad h2 – h1 e ricordando che hL = ctL
Analizzando gli ordini di grandezza, ricordando che generalmente l’entalpia h è espressa in kJ/kg, il calore specifico
c in kJ/kg K, la temperatura t in °C e l’umidità specifica ω in gv/kg a, possiamo ritenere che ctL = o(102), nonchè
ω2 –ω1 = o(10-3). Ne segue che h2 – h1 = o(10-1), allora con buona approssimazione possiamo ritenere che,
relativamente al caso con liquido
h2≈h1(18)
E che dunque la trasformazione è un’isoentalpica. Tale trasformazione è rappresentata in Fig. 8.
Si voglia adesso analizzare il caso in cui si inserisce del vapore surriscaldato. In Fig. (9) è rappresentato il
diagramma psicrometrico, insieme ad una mezzaluna in alto a sinistra che si riferisce alla pendenza della
trasformazione Δh/Δω, che per l’Eq. (14) già vista in precedenza corrisponde ad hL.
L’entalpia hL, che qui si riferisce ad acqua immessa in fase vapore surriscaldato, si può calcolare con la
seguente relazione
7
Ipotizzando che il vapore surriscaldato sia immesso ad una temperatura di circa 120°C, ne segue che hL è uguale a
La trasformazione è rappresentata in Fig. 9. Partendo dal punto 1, si traccia una retta parallela al valore di 2.7 J/g
(circa 2717.10, come riportato nell’Eq. 20) all’interno della mezzaluna posta in alto a sinistra. Noto che il punto 2 si
troverà nel verso dell’umidità specifica crescente, si può concludere che
t2 ≈ t 1
Quanto detto vale con buona approssimazione anche nel caso in cui il vapore sia immesso ad una temperatura
superiore
8
Obiettivi
Benessere termoigrometrico
● Si definisce nel seguito ilbenessere termoigrometricocome
● Il
secondofattore è quello su cui si può agirenell’ambito della climatizzazione;
le variabili che influenzano questo provengono da esperimenti effettuati su persone vestite mediamente, di
diverso tipo e verificandone il comfort termoigrometrico. Tali variabili sono:
1. La temperatura ambiente,
2. L’umidità relativa,
3. La velocità dell’aria relativa all’impianto di climatizzazione.
1. tba = 20 °C
1
2. ϕ = 20-30 / 70-80 %
● Per quanto riguarda la configurazione estiva, osserviamo come la curvalimite prevede diversecoppie di
e tba; tuttavia, si può concludere che lacondizione di benessere termoigrometrico per la
valori di ω
progettazionedi un impianto di condizionamento estivo corrispondea
1. tba = 26 °C
2. ϕ = 50%
1. Q̇amb = potenzatermica entrante/uscentedall’esterno, variabile nel tempo, e che è data dal contributo
radiativo (sole) nonché dal contributo convettivo(vento oppure convezione naturale dell’aria esterna). Il
calcolo di tale potenza termica è un tipico problema di trasmissione del calore. Essa è entrante o uscente a
seconda di se il rapporto tE/tA è maggiore o minore di 1. Ad esempio, in configurazione estiva tE/tA < 1;
2. Q̇vi = potenza termica relativa all’ambiente interno. Tale potenza termica, intesa come un contributoper
l’innalzamento della temperaturaall’interno dello spazio, è dovuta alla presenza di persone e oggetti nello
spazio confinato quali computer, lampade etc.;
3. ṁvi = contributo in termini di massa relativaad
esempio all’acquache evaporaall’interno dello spazio
confinato. Tale termine può essere ad esempio l’acqua che
evapora in una cucina.
2
Bilanci di energia
● Il
condizionamentodell’aria in ambienti confinati si ottieneattraverso una serie di trasformazioni
dell’aria
umidaviste nella lezione precedente
● Nella presente lezione, si comprenderanno le trasformazioninecessarie all’aria umida per
poter climatizzareuno spazio confinato in configurazione estiva
● Si riepiloga la nomenclaturautilizzata nella lezione precedente, introducendo anche la lettera I che indica la
condizione alla quale l’aria umida è immessa nell’ambiente al fine di garantire la condizione di esercizio A
1. A = condizione di esercizio;
2. E = condizione ambiente;
3. I = condizione di immissione aria.
Infine, con riferimento alle potenze termiche e alle potate massiche precedentemente introdotte, esse avranno
i
seguenti segni (in questo caso, tE/tA > 1)
Q˙amb>0
m˙vi>0
Q˙i>0
3
Bilanci di energia – La retta ambiente
● A valle di quanto osservato nelle Eq. (2), possiamo capire in qualeporzione del diagramma
psicrometrico dovrà necessariamente trovarsi la coppia di punti (hI,ωI).
● In Fig. 6, è riportato il diagrammapsicrometricocon tale regione evidenziata. Nello stesso diagramma, è
riportato anche il punto A, noto dalla normativa ASHRAE. Il punto I si troverà necessariamente nella regione
evidenziata.
● Ipotizzandoun valore di portata d’aria ṁa, è possibile attraverso i bilanci (1a) ed (1b) determinare la
posizione del punto I. Tuttavia, questa posizione dipende dalla portata d’aria immessa; tracciando tutte le
possibili soluzioni, troveremo un luogo d i punti che si trova su una retta passante per A, e la parte di tale
retta che ricade all’interno della porzione evidenziata è detta retta ambiente p oiché caratterizza
la
relazione tra lo stato di immissione I e lo stato d
esiderato A.
4
● In generale possiamo osservare che, postoΔω = ωA – ωI e Δh = hA – hI, e che ṁa ∝ ω∞ con
ω∞ velocità d’immissione dell’aria:
1. ΔtI-A piccolo, ω∞ troppo grandee potrebbe causare problemiad esempio per chi passa vicino alla
bocchetta dell’aria a causa della velocità troppo elevata;
2. ΔtI-A grande, ω∞ troppo piccoloe potrebbe causare problemiad esempio per chi passa vicino alla
bocchetta dell’aria a causa della temperatura troppo bassa.
● A valle di ciò, si stabilisce che la velocità dell’aria deve essere minore di 0.15 – 0.20 m/s, e con un
ΔtI-A compresotra 3-4 °C ed 8-9 °C: questo spiegaa cosa serve il post-riscaldamento, come verrà spiegato
in seguito. In Fig. 7, si rappresenta il diagramma psicrometrico in cui si tiene conto delle differenze di
temperatura appena menzionate
5
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie
tE=32°C,ϕE=70°C;tA=26°C,ϕA=50%
Si
ipotizziche l’impianto di trattamentosia tutto con ricircolointerno. In altre parole, l’aria umida è prelevatanelle
condizioni desiderateA, trattata nell’UTA e re-immessa nello spazio confinato, senza essere mai mescolata con l’aria
esterna E.
● Si vogliano scegliere le trasformazionitali da poter immettere nel sistema l’aria umida nelle condizioni di
immissione I e garantire le condizioni desiderate A. Per prima cosa, notoil punto A, si determina la posizione
I, ωI ed ṁa ricordando
del punto I attraverso la risoluzione delle Eq. (1a) ed (1b) rispetto alle incognite h
i
seguenti vincoli
● Nota la
posizionedel punto di immissione I, è possibile determinareil modocon cui l’aria umida passadal
punto E (immissione nell’UTA) al punto I (immissione nell’ambiente da climatizzare); le trasformazioni che
essa subirà sono le seguenti (Fig. 9)
1. Raffreddamento ed umidificazione;
2. Semplice riscaldamento.
6
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie
● In Fig. 10, si raffigurano le varie trasformazionisubite dall’aria umida, insieme alle trasformazioni sul
diagramma psicrometrico che fanno capire i singoli punti relativi alle trasformazioni
● Tale criterio non si applicanei locali pubblici in quanto per la legge vanno effettuati un certo numero di
ricambi d’aria con l’esterno in funzione dell’utenza (l’aria, contaminata, va trattata)
● A tale scopo, vi sono gliimpianti a parziale ricircolo
● Gli impianti a parziale ricircoloprevedono chel’aria umida, prima di essere immessa nell’UTA nelle
condizioni A, sia sottoposta ad un mescolamento adiabatico con l’aria esternanelle condizioni E
● In Fig. 11, si rappresenta lo schema dell’UTA (la parte interna, non riportata, è grossolanamente sempre la
stessa) in cui è inserito un mescolatore adiabatico a monte; ne segue chel’aria, mescolatatra le
condizioni interne A e le condizioni esterne E, entrerànell’UTA nelle condizioni M
● Il punto M risulterà leggermente più in altodi A, in funzione del rapporto tra le portate di rinnovo e di
ricircolo; ne segue che la trasformazione di raffreddamento, che precede quella di deumidificazione, si
troverà traslataverso l’alto
7
Bilanci di energia
1. A = condizione di esercizio;
2. E = condizione ambiente;
3. I = condizione di immissione aria.
8
Bilanci di energia – Caso con poca generazione interna
● Nella presente analisi, si voglia analizzare il caso in cui hA < hI, ossia |Q̇i|<|Q̇amb|
● In Fig. 14 è rappresentata laporzione di pianoin cui è garantito il benesseretermoigrometrico, e dunque
dove avremo la retta ambiente; si richiama che la normativa ASHRAE non prevede criteri riguardo l’umidità
relativa da garantire ϕA
● Nella stessa figura, come per il caso estivoipotizziamo di poter calcolare I risolvendo leequazioni di
bilancio(3a) ed (3b); anche in questo caso, sarà necessario avere un criterio riguardo il valore della velocità
di immissione ω ∞.
● ΔtI-A
Generalmente, tale criterio è dato dalla differenzadi temperaturatra il punto I ed il punto A, vale a dire
1. ΔtI-A piccolo, ω∞ troppo grande e potrebbe causare problemiad esempio per chi passa vicino alla
bocchetta dell’aria a causa della velocitàtroppo elevata;
grande, ω∞ troppo piccoloe potrebbe causare problemiad esempio per chi passa vicino alla
2. ΔtI-A
bocchetta dell’aria a causa della temperatura troppo elevata.
● criterioè più largorispetto al caso estivo in quanto un ΔtI-A è più tollerabilerispetto al caso
Tuttavia, il
estivo; possiamo dunque poter decidere di avere un ΔtI-A pari a 20-25 °C (non eccessivamente alto )
9
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie
● Si voglia ora capire come è fattauna UTA per configurazione invernale. Si suppongono i seguenti valori per
le condizioni dell’aria esterna E, nonché le condizioni desiderate A,
● A differenza del caso estivo, accade che il punto E si troverà molto in bassoe sulla parte sinistra del
diagramma; ne segue che questo risulterà più vicino ad I rispetto al caso estivo.
● In tali condizioni, è dunque preferibile utilizzare l’aria esterna per il nostro impianto. Le trasformazioni che
essa subirà sono le seguenti (Fig. 15)
1. Riscaldamento ed umidificazione (in Fig. 15, è riportato il caso con liquido nebulizzato);
2. Semplice riscaldamento
10
Unità di Trattamento Aria (UTA) – Trasformazioni necessarie
● In Fig. 16, si raffigurano levarie trasformazioni subite dall’aria umida, insieme alle trasformazioni sul
diagramma psicrometrico che fanno capire i singoli punti relativi alle trasformazioni
● Si osserva che tale esempio riguarda il casoin cui l’umidificazione adiabatica si effettua
con liquidonebulizzato; nel caso in cui questa venga fatta con vapore surriscaldato, la trasformazione 1-2
risulterà verticale (t2≈t1) con conseguente riduzionedella potenza termica richiestaper permettere la
trasformazione 2-I (a pattoovviamente di avere vaporesurriscaldatodisponibile)
11
12
Obiettivi
Introduzione dei tre meccanismi di trasmissione del calore (unità 1);
La trasmissione del calore è la disciplina che studia i vari meccanismi di scambio termico, nonché la
rapidità con cui è trasferito il calore tra diversi corpi
Si possono definire diverse modalità con cui avviene la trasmissione del calore
1. La conduzione, in cui lo scambio termico è riferito ad un mezzo (o più mezzi diversi a contatto) che può
essere solido o fluido il quale presenta delle differenze di temperatura;
2. La convezione, in cui lo scambio termico avviene tra una superficie ed un fluido in movimento quando
sono a differenti temperature;
3. L’irraggiamento, in cui lo scambio termico è dovuto al fatto che tutte le superfici ad una certa temperatura
emettono energia sotto forma di onde elettromagnetiche, implicando un trasferimento di energia
(scambio termico) tra superfici a diverse temperature.
Si illustrano brevemente tali tipologie in Fig. 2; nella presente lezione, verranno introdotti i tre meccanismi, i
quali verranno poi approfonditi in lezioni successive
1
La conduzione - Fenomenologia
Definiamo la conduzione come il trasferimento di energia per effetto dell’interazione delle particelle di una
sostanza dotate di maggiore energia con quelle adiacenti dotate di minore energia
La conduzione può avvenire nei gas e nei liquidi a causa delle collisioni delle molecole durante il loro moto
casuale, mentre nei solidi a causa delle vibrazioni delle molecole all’interno del reticolo e al trasporto di
energia da parte degli elettroni liberi (metalli)
Nel seguito, si proverà a spiegare dal punto di vista fisico cosa accade per il meccanismo di scambio termico
conduttivo prima nei fluidi (gas/liquidi) e poi nei solidi (metallici e non)
Per quanto riguarda i fluidi, si ipotizza di avere una porzione di spazio occupata da un gas (Fig. 3) in cui è
presente un gradiente di temperatura, e non sono presenti moti macroscopici significativi di tale gas
In ogni punto, la temperatura del gas può essere associata all’energia delle molecole, in particolare alle
loro energie
1. Cinetica (traslazionale);
2. Vibrazionale;
3. Rotazionale.
La conduzione - Fenomenologia
Le molecole a maggior temperatura presentano un’energia (e quindi una mobilità) maggiore di quelle a
temperatura minore; quando le molecole a temperatura maggiore colpiscono quelle a temperatura minore,
2
trasferiscono una parte della loro energia cinetica, in maniera simile a quando due sfere elastiche a
pari massa e diversa velocità collidono
Con riferimento alla Fig. 3 riferita alla slide precedente, possiamo considerare una linea ipotetica (coordinata
x0) che è anche soggetta all’attraversamento delle varie molecole; essendo le molecole
poste sopra x0 a temperatura (energia) maggiore, queste risulteranno più mobili di quelle sottostanti, e di
conseguenza vi sarà un trasferimento di energia verso il basso (vettore flusso termico qx)
Si può dunque definire il trasferimento di energia dovuto al moto delle molecole (oltre al trasferimento dovuto
agli urti) come una diffusione d’energia; la stessa analisi può essere fatta per quanto riguarda i liquidi, in
cui però le molecole sono poste più vicine e le interazioni tra molecole sono più forti e frequenti, implicando
una migliore capacità nel trasferire calore per conduzione rispetto ai gas.
La conduzione - Fenomenologia
Per quanto riguarda i solidi, consideratone un reticolo cristallino possiamo individuare due cause per
quanto riguarda la conduzione termica
1. Sia per non-metalli e metalli, vi è un trasporto di energia sotto forma di onde dovuto al moto vibrazionale
degli atomi/reticolo;
2. Per i soli metalli, vi è un ulteriore trasporto di energia dovuto al moto traslazionale degli elettroni liberi.
1. Un cucchiaino freddo immerso in una tazza di caffè caldo vedrà aumentare la propria temperatura a causa
del contatto con il caffè caldo, a causa del trasferimento di energia (scambio termico) per conduzione;
2. Una bacchetta metallica fredda posta sopra la fiamma di una candela vedrà aumentare la propria
temperatura a causa della presenza della fiamma , a causa del trasferimento di energia (scambio termico)
per conduzione.
Sappiamo dall’esperienza che la potenza termica che si propaga per conduzione tra due regioni di un
corpo (Fig. 5) dipende dalle seguenti variabili
3
1. Geometria (A, Δx);
Si consideri nell’ipotesi di regime stazionario di avere un cilindro coibentato sulla superficie laterale, di
lunghezza Δx, sezione A, soggetta alla differenza di temperatura ΔT = T2 – T1 tra le facce che la delimitano
(Fig. 5). In base alle osservazioni di Fourier notiamo che
Possiamo introdurre una costante di proporzionalità k detta conducibilità termica (W/m K), osservando
anche che a parità di tutte le variabili la potenza termica varia in base al materiale adoperato
Infine, possiamo ripetere lo stesso ragionamento per un filo infinitamente piccolo (Δx →0) e ricordando che
il calore è sempre diretto nella direzione delle temperature decrescenti in base alla seconda legge della
termodinamica
L’Eq. (3) è la legge di Fourier che verrà approfondita nella lezione successiva. Tale Eq. (3) può anche essere
espressa in termini di flusso termico come segue
4
La conducibilità termica
Nell’Eq. (2) è stata introdotta la conducibilità termica k, vale a dire una variabile che dipende dal materiale
preso in esame e che quindi ha un ruolo fondamentale nello scambio termico per conduzione; essa esprime
la potenza scambiata per conduzione (watt) per spessore unitario di materiale (metri) relativi ad
una differenza di temperatura di un grado (kelvin)
Gli ordini di grandezza tipici della conducibilità termica sono riportati in Fig. 6, evidenziando come
gli aeriformi presentano conducibilità bassissime, mentre i metalli puri risultano essere i materiali con la
conducibilità termica più elevata (come ad esempio il rame)
Possiamo inoltre menzionare che la conducibilità termica dipende dalla temperatura (Fig. 6), e che
1. I metalli risultano essere sia buoni conduttori di elettricità che di calore (rame, alluminio, etc.);
2. I solidi cristallini altamente ordinati presentano conducibilità termiche molto elevate (diamante, silicio) ma
conducibilità elettriche basse;
3. Le leghe metalliche presentano conducibilità termiche più basse di quelle dei singoli metalli puri a causa
della presenza di molecole diverse nella lega;
4. I superconduttori sono dei solidi che a temperature prossime allo 0 K hanno conducibilità termiche
elevatissime (circa 20000 W/m K).
La diffusività termica
Nell’ambito della trasmissione del calore possiamo definire delle proprietà come
1. Proprietà di trasporto (ad esempio la conducibilità termica k), legate quindi a fenomeni
di trasporto/diffusione;
2. Proprietà termodinamiche (ad esempio la densità ρ e il calore specifico cp), legate allo stato d’equilibrio di
un sistema
Spesso ci si riferisce al prodotto ρcp, misurabile in J/m3 K, in quanto capacità termica volumetrica, definita
come la capacità di un materiale di accumulare energia termica; essa rappresenta l’energia (joule)
accumulabile in un volume (m3) sotto una differenza di temperatura di un grado (kelvin)
5
La diffusività termica esprime l’abilità di un materiale nel condurre energia termica rispetto alla sua
abilità nell’accumularla; per grandi valori di α, il materiale risponde rapidamente a perturbazioni del proprio
sistema d’equilibrio; per piccoli valori di α, tale risposta risulta essere lenta, causando un tempo molto grande
per il raggiungimento della nuova condizione d’equilibrio
Osservando le unità di misura, possiamo definire la diffusività termica (Eq. 5) come i metri quadrati di
superficie attraversati dal disturbo termico in un secondo
La convezione - Definizioni
Il meccanismo di scambio termico della convezione può essere visto come la somma di due contributi
La convezione è la somma di questi due contributi, ed è ovviamente presente se essi avvengono in presenza
di un gradiente di temperatura
È intuitivo dedurre che il calore trasmesso per convezione aumenta con la velocità del fluido, e che
in assenza di moto macroscopico lo scambio termico è puramente conduttivo; ne segue che lo studio
del campo di moto del fluido riveste un ruolo fondamentale per analizzare lo scambio termico convettivo
In particolare, si considera il moto di un fluido ad una temperatura T∞ che lambisce una lastra piana ad una
temperatura Ts (Fig. 7); a causa della differenza di temperatura vi sarà scambio termico. La regione di fluido
interessata dalla presenza della piastra sia in termini fluidodinamici che termodinamici è detta strato limite,
e cresce lungo la direzione del flusso; la regione che influenza il campo di moto è detta strato
limite idrodinamico, mentre quella che influenza il campo di temperatura è lo strato limite termico
La convezione - Definizioni
Lo scambio termico convettivo può essere distinto in due tipologie di convezione, in base alla natura del
flusso
6
Alcuni esempi tipici di convezione forzata e naturale sono riportati in Fig. 8
1. Per quanto riguarda la convezione forzata, è riportato l’esempio di un ventilatore che raffredda una padella
ad una temperatura più alta (Ts) rispetto alla corrente d’aria indisturbata (T∞);
2. Per quanto riguarda la convezione naturale, vi è l’esempio di un uovo ad una certa temperatura (Ts) posto
in aria stagnante (T∞) a temperatura inferiore; la presenza dell’uovo ad una temperatura più elevata implica
che la densità nell’intorno dell’uovo tenderà ad abbassarsi, permettendo allo strato di fluido adiacente
all’uovo di salire; tale strato di fluido verrà sostituito da uno strato di fluido più freddo, permettendo dunque il
moto del fluido (diversa densità) e dunque scambio termico per convezione naturale.
Q˙=h(Ts−T∞) (6)
In cui h in W/m2K è la conduttanza convettiva unitaria (si indica con ħ quando è mediata nello spazio), mentre Ts –
T∞ è la differenza di temperatura riferita al caso della lastra piana riportato in precedenza in Fig. 7
La conduttanza convettiva unitaria h, che esprime la potenza termica (watt) trasmessa per convezione
rispetto ad un’unità di superficie (metri quadri) sotto una differenza di temperatura di un grado (kelvin),
dipende da tanti aspetti come la geometria della superficie, la natura del moto,
proprietà termofluidodinamiche e di trasporto.
I dettagli su come determinare h verranno illustrati nella lezione sulla convezione; si riportano in Fig. 9
alcuni ordini di grandezza tipici di h, osservando come generalmente
3. Si possono avere valori di h molto elevati per i metalli liquidi e per i fluidi in passaggio di fase
L’irraggiamento – Definizione
L’irraggiamento è il trasferimento di energia tra vari corpi sotto forma di onde elettromagnetiche o fotoni,
e può riguardare non solo solidi ma anche liquidi e gas (non trattati nel presente corso); indipendentemente
dalla materia, l’emissione di un corpo per irraggiamento può essere attribuita
a cambiamenti nelle configurazioni elettroniche di atomi o molecole
7
La fisica relativa all’irraggiamento verrà approfondita nella lezione dedicata; nell’ambito dell’intero
spettro emissivo di un’onda elettromagnetica, vi è una parte in cui
tali cambiamenti nelle configurazioni elettroniche di atomi o molecole portano a variazioni di temperatura;
allo stesso modo, la radiazione che incide una superficie comporta a variazioni in tali configurazioni che
causano variazioni di temperatura
L’irraggiamento termico (d’ora in poi chiamato irraggiamento, oppure scambio termico radiativo) studia
proprio ciò che riguarda tale porzione di spettro emissivo
Tale meccanismo di scambio termico (radiativo) non richiede la presenza di un mezzo interposto, e può
dunque avvenire anche nel vuoto, a differenza di conduzione e convezione
Dove Ts è la temperatura in kelvin, ed σ la costante di Stefan-Boltzmann pari a 5.67·10-8 W/m2 K4; la legge di
Stefan-Boltzmann vale nell'ipotesi in cui si utilizza il modello di corpo nero, che è un corpo da considerarsi come
un corpo ideale nei confronti dell’irraggiamento (il pedice n indica proprio che ci riferiamo al corpo nero).
Ci si può riferire al potere emissivo delle superfici reali attraverso quelle ideali (corpo nero) grazie alla
definizione di una proprietà della superficie nota come emissività ε (pari ad 1 per un corpo nero, che è
dunque il corpo con il maggiore potere emissivo a parità di temperatura)
Si rappresenta in Fig. 10 una lastra piana con vari contributi dovuti all’irraggiamento, e si evince che
la potenza termica netta scambiata per irraggiamento è proprio la differenza tra la potenza radiante emessa
(E) e la potenza assorbita dalla superficie in esame (Gass), in base al segno della potenza termica netta
(QQ, uscente dalla superficie nell'esempio in Fig. 10), possiamo comprendere se la superficie
guadagna o cede energia per irraggiamento
Considerando una superficie piccola a temperatura Ts posta in uno spazio circondato da una superficie molto
più grande (o nera) a temperatura Tsurr, è possibile esprimere la potenza termica netta scambiata
QQ attraverso la seguente espressione
8
L’irraggiamento – Esempi
Esempi pratici di scambio termico per irraggiamento sono riportati in Fig. 11
1. L’energia raggiante G proveniente dal sole (a circa 5760 K) verso la terra, che è approssimabile a circa
1000 W/m2 come ordine di grandezza;
2. Un forno elettrico in cui la parete dove è posta la resistenza elettrica implica che tutte le pareti del
forno scambino energia per irraggiamento; il ragionamento è simile per un forno a legna, in cui l’energia
raggiante impatta le pareti e viene riflessa in tutto il forno.
Un problema di scambio termico coniugato è un problema in cui sono presenti simultaneamente più
meccanismi di scambio termico; generalmente può accadere che
9
Alcuni esempi di scambio termico coniugato sono riportati in Fig. 12; in particolare, si osservano i seguenti
casi
1. Un pentolino con dell’acqua, in cui vi è energia raggiante proveniente da una serpentina calda non a
contatto (irraggiamento), energia scambiata all’interno dell’acqua in movimento (convezione) e trasferimento
di energia attraverso il manico (conduzione);
2. Un forno a legna per la cottura del pane, in cui vi è energia raggiante proveniente dalle pareti del forno
(irraggiamento), energia proveniente dal fatto che l’aria presenta moti convettivi naturali per via delle alte
temperature (convezione) e trasferimento di energia attraverso l’interno delle pareti (conduzione).
Riepilogo
Nel seguito si riepilogano i tre metodi per esprimere la potenza termica in base al meccanismo di scambio
termico; per una lastra piana indefinita abbiamo
1. Per la conduzione, la potenza termica trasferita è nota dalla legge di Fourier (Eq. 3);
2. Per la convezione, la potenza termica trasferita è nota dalla correlazione di Newton (Eq. 6);
3. Per l’irraggiamento, la potenza termica trasferita è nota partendo dalla legge di Stefan-Boltzmann (Eqs. 7-
8) e dalla definizione di irradianza (Eq. 9).
10
Obiettivi
Introduzione alla legge di Fourier e alla conduzione in lastre piane indefinite (unità 1);
La legge che descrive il flusso termico dovuto alla conduzione è la legge di Fourier. Si suppone di avere
una superficie non isoterma (Fig. 2), in cui si tracciano le varie isoterme. Nell’ipotesi di
mezzo omogeneo ed isotropo, si può esprimere la legge di Fourier
Che lega il vettore flusso termico q al gradiente di temperatura lungo la direzione normale alla superficie
isoterma
La legge di Fourier vale per un mezzo non omogeneo, ma non vale per un mezzo anisotropo
1
La conduzione – Legge di Fourier
La legge di Fourier può anche essere scritta in forma compatta, ricordando sempre che q è un vettore
2
La legge di Fourier per una lastra piana indefinita
Esprimiamo ora l’Eq. (6) in termini di potenza termica QQ ricordando che QQ = qA
Infine è possibile ottenere l’andamento del campo di temperatura lungo x. In base alle ipotesi formulate,
sappiamo che la potenza termica entrante in x = 0 coincide con quella uscente da x = s, per cui QQ = cost;
possiamo adesso integrare l’Eq. (4) tra T1 e la temperatura T generica, nonchè integrandola tra 0 e la
coordinata generica x, come segue
Dalla risoluzione di tale equazione, è possibile ottenere l’espressione dell’andamento della temperatura T lungo
la coordinata x
Con cui è anche verificato che l’andamento della temperatura lungo la variabile x è lineare.
Approccio delle resistenze termiche
Tutto ciò è riconducibile a quanto si osserva nella teoria dei circuiti, in cui la legge di Ohm correla corrente,
differenza di voltaggio e resistenza elettrica attraverso la seguente relazione
Si conclude dunque che, analogamente alla teoria dei circuiti, il flusso termico può essere visto come una
corrente che fluisce in un mezzo con una differenza di temperatura (voltaggio) in base alla
resistenza termica (elettrica) del materiale
3
Per quanto riguarda il caso relativo a delle lastre in serie (Fig. 4), possiamo definire
una resistenza equivalente come la somma delle varie resistenze in numero pari a N (nel caso in esame,
pari a 4) che compongono il sistema in esame
Nell’esempio in esame (Fig. 5), è possibile esprimere la potenza termica nel seguente modo
In cui è possibile conoscere la potenza termica trasmessa attraverso tutte le lastre semplicemente conoscendo
le temperature ai due estremi
Per il caso in parallelo, accade dunque che il flusso termico si ripartisce nelle lastre in parallelo (in base alla
resistenza termica offerta dalla singola lastra) a parità di temperatura sulle parti estreme
4
Resistenze termiche con convezione dall’esterno
Infine, si menziona anche che è possibile estendere la rete termica al caso convettivo (Fig. 6); definendo la
resistenza termica convettiva Rh = 1/hiAi, è possibile scrivere la correlazione di Newton nel seguente modo
Ne segue che è possibile esprimere la potenza termica nel seguente modo, includendo anche le resistenze
termiche in serie ed Rh in Req, per il caso in esame avremo (Fig. 6)
In cui è possibile conoscere la potenza termica trasmessa attraverso tutte le lastre semplicement conoscendo
le temperature dei fluidi ai due estremi
In tal caso, il reciproco della resistenza equivalente Req è definito come trasmittanza termica globale UA;
tale aspetto verrà approfondito successivamente quando si parlerà di superfici cilindriche
5
Legge di Fourier – Applicazione ad un cilindro cavo
Dopo aver analizzato cosa accade in superfici rettangolari (una lastra piana indefinita), si estende la stessa
analisi alle superfici curve, in particolare a superfici cilindriche
1. Regime stazionario,
Partendo dall’Eq. (22), come visto per una lastra piana è possibile
ottenere l’andamento del profilo di temperatura integrando l’Eq. (20) tra r1 e la generica variabile r, e tra
T1 e la variabile T.
In Fig. 8, si evidenzia come l’andamento del profilo di temperatura lungo il raggio segua una legge logaritmica
6
Trasmittanza termica globale
7
L’Eq. (27) può essere anche scritta ricorrendo alla definizione di trasmittanza termica globale UA (UA =
1/Req)
La trasmittanza termica globale presenta il termine U, in W/m2 K, che è un analogo della conduttanza
convettiva unitaria h, e serve a spiegarci come il calore è trasferito tra i due fluidi 1 e 2. L’intero termine UA
tiene anche conto della superficie di scambio termico
1. Copertura di un cavo elettrico per garantire lo smaltimento della potenza termica dovuta
all’effetto Joule (smaltimento),
2. Copertura di un tubo con del fluido refrigerante a bassa temperatura per evitare
dispersioni termiche (isolamento).
Con Rel resistenza elettrica, ed I corrente che attraversa tale filo. Tale filo è immerso in un ambiente in cui vi è
scambio termico per convezione, esprimibile attraverso la correlazione di Newton
Dove Ts è la temperatura calcolata sulla superficie esterna (r = R), mentre A è la superficie esterna del cilindro
composto dal filo elettrico più il materiale esterno. In altre parole, la potenza termica è smaltita grazie
alla convezione all’esterno dell’intero cilindro
8
Raggio critico d’isolamento
Nelle ipotesi di lunghezza del cilindro unitaria, regime stazionario e flusso
termico monodimensionale (radiale), è possibile analizzare il problema
secondo l’approccio delle resistenze termiche (Fig. 11). Nota la potenza termica uscente dall’Eq. (31),
esprimiamo la potenza termica e la resistenza termica equivalente nel seguente modo
Dove Tfilo è la temperatura del cavo elettrico ortogonale alla sezione del cilindro cavo, che è pari alla temperatura
calcolata in ri.
Dall’Eq. (34) si evince che la resistenza termica è un compromesso tra il termine conduttivo (primo) e
quello convettivo (secondo), in quanto il primo aumenta con il raggio (spessore) r, mentre
il secondo diminuisce con il raggio r. E’ possibile trovare un valore di resistenza ottimale derivando l’Eq.
(34) e ponendola pari a 0, risolvendo poi l’equazione rispetto ad r
9
L’Eq. (38) è sempre positiva, dunque r = k/h rappresenta un punto di minimo. Ne segue
che non esiste uno spessore ottimale di isolamento, ma solo un raggio critico di isolamento rcr = k/h
che massimizza lo scambio termico in quanto minimizza la resistenza termica
1. la resistenza conduttiva cresce con il raggio a causa dell’aumento dello spessore del materiale,
3. la resistenza totale presenta un minimo, il cui valore di raggio (spessore) è il raggio critico di isolamento
Infine si evidenzia che per applicazioni in cui è richiesto isolamento (tubo di refrigerante),
lo spessore da adoperare, r – ri, deve essere tale da superare la resistenza totale a spessore nullo, in
modo da rendere conveniente l’utilizzo dell’isolante per ridurre le perdite termiche
Si ipotizzi di avere due sfere di materiale diverso, vale a dire plastica e rame (Fig. 13); tali sfere sono
alla temperatura iniziale uniforme T0 = 100 °C, e sono immerse in un fluido a temperatura T∞ = 20 °C,
con il quale vi sarà scambio termico per convezione
A causa del raffreddamento dovuto allo scambio termico con il fluido a temperatura inferiore,
la temperatura di entrambe le sfere si abbasserà, come riportato in Fig. 13 per diversi istanti di tempo;
osservando la figura possiamo ritenere che
1. Per quanto riguarda la sfera di plastica, la temperatura è funzione sia dello spazio (coordinata P) che del
tempo ϴ, T = f(P,ϴ);
10
2. Per quanto riguarda la sfera di rame, la temperatura è con buona approssimazione funzione solo del tempo, T
= f(ϴ).
Si può dunque constatare che in alcuni casi le variazioni spaziali della temperatura, istante per istante,
possono essere trascurate, ritenendo dunque il corpo isotermo in ogni istante di tempo
Come vedremo in seguito, tale condizione accade se la resistenza termica interna dovuta
alla conduzione è trascurabile rispetto alla resistenza termica esterna dovuta alla convezione (caso della
sfera di rame in Fig. 13), e si verifica in particolari condizioni di conducibilità termica k, conduttanza convettiva
unitaria h e dimensione geometrica caratteristica L
Si ipotizza di immergere un corpo ad una temperatura uniforme T0 (Fig. 14) all’interno di un liquido tale che
la sua temperatura T∞ sia minore di T0; ne segue che tale corpo tenderà a raffreddarsi per via del contatto
col liquido, raggiungendo ad un tempo infinito una temperatura pari a T∞
Supponendo di trascurare le variazioni di temperatura all’interno del corpo in esame istante per istante, e
di trascurare gli effetti dovuti all’irraggiamento, si può scrivere un bilancio di prima legge sull’intero solido
tra la potenza termica trasmessa dal liquido per convezione e la variazione di energia interna nel solido
Dove il segno meno è dovuto al fatto che il calore entra nel sistema (anche per il caso di riscaldamento
l’espressione è la stessa). Attraverso la correlazione di Newton e l’equazione di stato, nell’ipotesi di proprietà
termofisiche costanti con la temperatura, l’Eq. (1) diventa
In cui la conduttanza convettiva unitaria ħ è mediata sull’intero solido, A è la superficie di scambio termico, T è
la temperatura variabile nel tempo, ρ è la densità, c il calore specifico e V il volume
11
Espressione dell’evoluzione temporale della temperatura
L’Eq. (40) è un’equazione differenziale nell’incognita T che per avere soluzione richiede
la condizione iniziale T(θ=0)=T0; separando le variabili dall’Eq. (40) otteniamo
Posto il differenziale dT pari a dT = d(T-T∞) essendo T∞ una costante, possiamo andare ad integrare l’Eq. (41) tra
0 e l’istante θ generico, e tra T0 – T∞ e la differenza di temperatura generica T-T∞
Nell’ipotesi in cui le proprietà termofisiche sono costanti con il tempo e la temperatura, possiamo dunque ottenere
l’espressione finale per quanto riguarda la temperatura in funzione del tempo T(ϴ)
Temperatura adimensionale
Si può definire la seguente costante di tempo τ, detta tempo caratteristico del transitorio
Tale costante di tempo indica la capacità che ha il corpo in esame ad accumulare energia termica, rispetto
alla capacità che ha di ricevere calore dall’esterno. Inoltre essa è il rapporto tra la capacità termica e
la conduttanza convettiva, dunque un compromesso tra queste due variabili.
L’Eq. (43) può anche essere espressa in funzione della temperatura adimensionale ϴ
Il vantaggio della forma adimensionale è che racchiude in essa tutte le soluzioni possibili, riducendo
drasticamente il numero di variabili in esame
Si riporta in Fig. 15 l’andamento di tale temperatura in funzione del tempo ϴ diviso la costante τ; si osserva
che orientativamente il transitorio si può considerare estinto per ϴ/τ ≈ 3 (il valore di T* diventa circa 0.05)
12
Nella stessa figura, si riporta un esempio (V/A = 0.1 m e ħ = 100 W/m2 K) in cui la temperatura varia in
funzione del tempo (Eq. 43) per acciaio (τ = 3750 s) e rame (τ = 2700 s), osservando come
all’aumentare della costante τ (Eq. 44) la temperatura si abbatte più lentamente
Il numero di Biot
Infine, si menziona che l’ipotesi di uniformità spaziale dei profili di tempeatura istante per istante
è accettabile se il numero di Biot (Bi) è minore di 0.1. Il numero di Biot è il rapporto tra la resistenza
conduttiva Rcond e la resistenza convettiva Rconv
13
14
Obiettivi
Comprendere dal punto di vista fisico i meccanismi della convezione forzata (unità 1);
Analizzare gli approcci con cui risolvere problemi di convezione forzata esterna (unità 1);
La convezione: generalità
La convezione è un meccanismo di scambio termico che comprende due meccanismi
1. Convezione forzata esterna (il moto del fluido è libero, dunque non confinato),
2. Convezione forzata interna (il moto del fluido non è libero, dunque confinato).
Nella convezione forzata, il moto macroscopico del fluido svolge un ruolo fondamentale nella trasmissione
del calore, ed è per questo motivo che quando si studia la convezione forzata in trasmissione del calore è
necessario avere informazioni anche riguardo il moto del fluido in esame.
1
Nella prima parte di questa lezione, si studia la convezione forzata esterna; in particolare, ci si riferirà al
caso di una lastra piana indefinita, in cui a differenza della convezione forzata interna il moto del fluido non
è confinato (Fig. 2). Tale aspetto verrà approfondito dal punto di vista fenomenologico nelle
slides successive, e molti concetti sono riferiti anche alla convezione forzata interna e naturale che
verranno analizzate successivamente.
In Fig. 2, osserviamo come il fluido approccia la lastra ad una velocità pari ad u∞. Nel momento in cui
il fluido tocca la lastra (x = 0), necessariamente la velocità del fluido sarà nulla nel punto di contatto con la
lastra, ed u∞ in tutti gli altri punti.
All’avanzare del fluido lungo la lastra, si osserva come l’andamento della velocità u lungo l’asse y cambia.
In particolare, si estende sempre di più la zona (indicata da δ) di fluido che risente della presenza della lastra
piana. Tale zona è definita come strato limite, ed è definibile come il valore della coordinata y tale che u =
0.99u∞.
Concetto di viscosità
Il continuo aumento dell’estensione dello strato limite è dovuto agli sforzi viscosi all’interno del fluido
Tali sforzi sono dovuti alla presenza della piastra; il fluido a contatto cerca di trascinare con se la piastra,
e similmente trascinerà con se uno strato superiore a velocità più bassa
Nel seguito si cercherà di illustrare il concetto di viscosità tramite un esempio pratico; si consideri di
avere due piatti paralleli molto estesi posti ad una distanza H, all’interno dei quali vi sia un fluido (Fig. 3);
ipotizziamo che
1. Il piatto inferiore sia fermo ad una velocità nulla, mentre il piatto superiore si muove con una velocità pari
ad u1,
3. La velocità del fluido vari linearmente tra i due piatti, ipotesi vera solo per spessori di fluido molto piccoli.
In tali condizioni, osserviamo appunto che il fluido potrà muoversi solo se il piatto superiore è ad
una velocità maggiore di 0
2
Concetto di viscosità
Al fine di muovere il piatto e dunque il fluido, è necessario applicare una forza che
sarà proporzionale all’area della superficie di contatto del piatto, nonché al rapporto incrementale tra
la velocità e l’altezza
In altre parole, a parità di velocità del piatto superiore, se aumenta lo spessore di fluido H
servirà meno forza per muovere il fluido in quanto il piatto inferiore con il suo effetto frenante risulta
più lontano; come visto in maniera simile per la legge di Fourier, possiamo ritenere dunque che
Infine, portando l’Eq. (1) al limite, e definendo lo sforzo viscoso τ come il rapporto tra tale forza e l’area su
cui è applicata, possiamo scrivere
Concetto di viscosità
Siccome lo sforzo da applicare dipende anche dal fluido in esame, come per la conducibilità termica k
nella legge di Fourier possiamo introdurre una costante di proporzionalità μ; riferendoci adesso al caso
generico di una lastra piana indefinita con moto non confinato, scriviamo l’espressione generica
che lega gli sforzi di taglio τ con il gradiente di velocità
3
Dove μ è la costante di proporzionalità detta viscosità dinamica, che si misura in Pa s. I fluidi che rispettano
l’Eq. (3) sono detti fluidi newtoniani, e lo sono ad esempio l’acqua, l’aria o gli oli. Analogamente, possiamo
definire la viscosità cinematica n attraverso la densità ρ
Siccome la conoscenza dello sforzo di taglio nell’Eq. (3) è complicata, ci si può arrivare attraverso
il coefficiente d’attrito Cf (adimensionalizzato attraverso l’energia cinetica) spesso noto sperimentalmente
Per ogni quadratino, possiamo scrivere il seguente bilancio di energia, trascurando i gradienti di pressione
e riferendoci all’avanzamento lungo la direzione x del singolo quadratino
In cui la variazione di energia cinetica rispetto al quadratino precedente (di dimensioni ΔxΔy) di una quantità Δu è
pari al lavoro delle forze d’attrito, riportato a destra nell’Eq. (6)
Questo fenomeno riguarda anche l’asse y; ad esempio, il quadratino nella posizione (1,2) (colonna 1, riga 2)
alla velocità u(1,2) tende ad influenzare (i. e., riducendo energia cinetica) la particella sopra di essa nella
posizione (2,2) ad una velocità uoo (Fig. 4a); passando dunque alla colonna 3, si osserva come
la particella nella posizione (1,3) abbia ulteriormente variato la propria energia cinetica secondo le Eqs.
(6-9), e la particella nella posizione (2,3) abbia subito una riduzione pari a Δu rispetto però alla velocità del
fluido indisturbata u∞ (Fig. 4b)
4
Ripetendo questo ragionamento lungo i vari quadratini sull’asse x, è possibile costruire
una linea spezzata che separa in direzione y i quadratini ad u∞ dagli altri, a parità di posizione sull’asse x
(Fig. 4c)
Questo ragionamento può essere ripetuto nel continuo, passando da una spezzata ad una curva che è
proprio lo strato limite (Fig. 4d)
1. Sottostrato viscoso, in cui vi sono ancora dei filetti fluidi paralleli come nel moto laminare,
5
Il numero di Reynolds
Il fenomeno della turbolenza fu analizzato in dettaglio da Osborne Reynolds nel 1883
Per verificare l’esistenza di questi regimi di moto, egli iniettò dell’inchiostro in una corrente fluida (Fig. 6),
osservando che per il caso laminare (basse velocità) la scia d’inchiostro è regolare, mentre quando
le velocità sono più alte (caso turbolento) dapprima si osservano fluttuazioni lievi, per poi ottenere
delle fluttuazioni rapide e casuali nel caso di piena turbolenza
1. Le forze d’inerzia, FI, sono associate all’aumento della quantità di moto del fluido in movimento
(e dell’ordine di ρu∞2/x),
2. Le forze viscose, Fv, sono associate allo scambio di quantità di moto tra strati di fluido adiacenti dovuti
alla presenza della piastra (e dell’ordine di μu∞/x2)
Si definisce il numero di Reynolds locale Rex (x è la coordinata generica) come rapporto tra le forze citate
Tale numero può anche essere espresso riferendosi alla lunghezza dell’intera piastra L
6
Il numero di Reynolds critico ed il fattore d’attrito
Il numero di Reynolds è utilizzato per stabilire quando avviene la transizione da regime di
moto laminare a turbolento; generalmente, posta xcr la coordinata alla quale avviene tale transizione, per
una lastra piana indefinita abbiamo che il regime di moto è turbolento se Rex > Rex,cr = 3∙105
Se il numero di Reynolds supera tale valore, le forze di inerzia prevalgono sulle forze viscose, e ne segue
che vari strati di fluido tenderanno a distaccarsi più facilmente dalle vene
fluide contigue, fluttuando nello spazio in modo più caotico (turbolenza)
Riprendendo il ragionamento visto in Fig. 4 in precedenza, accade che ad una certa distanza dalla parete il
singolo quadratino possiede una componente rotazionale che dunque induce turbolenza; si
può qualitativamente affermare che questo è dovuto alle forze d’inerzia del fluido che prevalgono su
quelle viscose, le quali tendono a far rimanere il fluido parallelo alla piastra, senza rotazioni
Per quanto riguarda il fattore d’attrito Cf definito in precedenza, si osserva come esso (Fig. 7)
7
1. Decade lungo la direzione del flusso nella regione della
piastra in cui è laminare, a causa della riduzione di τ e
del gradiente di velocità (Eq. 3); dal punto di vista fisico,
questo è dovuto al fatto che lo strato limite cresce e più
strati di fluido dovranno scambiare quantità di moto, con
conseguente riduzione degli sforzi viscosi;
Dalle leggi della termodinamica, sappiamo che vi è scambio termico tra la parete e il fluido indisturbato;
siccome ipotizziamo che il fluido sia in movimento, tale scambio termico avverrà
per convezione (diffusione più advezione). Lo strato limite termico (δT) è definito come
il valore della coordinata y tale che T = 0.99T∞, ed è la porzione di spazio in cui
il fluido è influenzato dalla presenza della piastra per quanto riguarda lo scambio termico e dunque
la temperatura (Fig. 8), in maniera analoga a quanto già osservato per il campo di moto.
Analogamente alla quantità di moto, in questo caso i vari strati di fluido adiacenti scambieranno energia
tra di loro, andando a variare la temperatura; tale variazione di temperatura lungo la direzione y
sarà graduale fino ad essere nulla in corrispondenza di T∞
8
Possiamo spiegare il tutto con un ragionamento analogo a quello visto in Fig. 4 per lo strato limite
idrodinamico, modellando le varie particelle di fluido come dei quadratini (Fig. 9)
Partendo dal bordo d’attacco (Fig. 9a), osserviamo che il primo quadratino subisce
una variazione di temperatura (il segno dipende da se Ts è maggiore o minore di T∞, oppure da se vi è
un flusso termico entrante, Ts > T∞, o uscente, Ts < T∞) rispetto alla temperatura del fluido indisturbato
(T∞) pari ad un ΔT generico;
A causa della variazione di temperatura, tale quadratino nella posizione 1,2 alla temperatura T(1,2) trasferirà
energia in direzione y alla particella sopra di essa nella posizione 2,2 ad una temperatura T∞ (Fig. 9a);
passando dunque alla colonna 3, si osserva come la particella nella posizione 1,3
abbia ulteriormente variato la propria temperatura a causa dello scambio termico, e la particella nella
posizione 2,3 abbia subito un aumento/diminuzione di temperatura di un ΔT generico rispetto alla
temperatura del fluido indisturbato T∞ (Fig. 9b)
Come per la velocità, ripetendo questo ragionamento lungo i vari quadratini sull’asse x, è
possibile costruire una linea spezzata che separa in direzione y i quadratini a T∞ dagli altri,
a parità di posizione sull’asse x (Fig. 9c)
Questo ragionamento può essere ripetuto nel continuo, passando da una spezzata ad una curva che è
proprio lo strato limite termico (Fig. 9d)
La correlazione di Newton
Il flusso termico trasferito per convezione può essere ottenuto attraverso la correlazione di Newton
La conduttanza convettiva unitaria h (W/m2 K) può essere sia definita localmente (h) che in
forma mediata (ħ, in questo caso la media è riferita alla lunghezza L della piastra); possiamo anche
9
esprimere il flusso termico (Eq. 6) attraverso la legge di Fourier in y = 0 dove lo scambio termico è
puramente conduttivo essendo la velocità del fluido nulla
Il numero di Nusselt
L’equazione (14) esprime il rapporto tra la conduzione relativa al punto di contatto fluido/lastra e
lo scambio termico convettivo relativo alla differenza di temperatura tra la lastra piana e
il fluido indisturbato. Possiamo adimensionalizzare l’Eq. (14); ponendo T* = (T – T∞)/(Ts – T∞) e y*
= y/L si perviene alla seguente espressione
Si osserva che in realtà L, nota anche come lunghezza caratteristica, andrebbe scelta
come spessore dello strato limite, e ciò non viene effettuato nel caso
della lastra piana essendo lo spessore dello strato limite variabile; ne segue che a rigore il numero di Nusselt (Eq.
15) non esprime un rapporto tra flussi termici per il caso della lastra piana
10
Così come per il coefficiente d’attrito Cf visto in precedenza,
osservando la Fig. (10) possiamo dire che h
Volendo approfondire tale analogia, la quale già è stata accennata nella spiegazione del concetto di
viscosità (Eqs. 1-2), possiamo richiamare le espressioni di τ in funzione del gradiente di velocità in parete
(Eq. 3), τ = -μ(∂u/∂y)|y=0 e del flusso termico q in funzione del gradiente di temperatura in parete (Eq.
13), q = -kf(∂T/∂y)|y=0 ed osservare una forte analogia in termini di variabili di trasporto (τ, q) legate ad
un gradiente (u, T) attraverso una costante (μ, kf)
Si osserva come anche in termini adimensionali (dunque, facendo variare u* e T* tra 0 ed 1), i problemi
relativi al campo di moto ed al campo di temperatura possono risultare fortemente analoghi
11
Risoluzione di problemi di scambio termico in convezione forzata esterna
Una volta definite le variabili adimensionali Re, Nu e Pr, si voglia cercare il legame di queste con
i campi di temperatura
È già stato visto il modo in cui Nu è pari al gradiente di temperatura adimensionale in parete; si può
dimostrare,
attraverso adimensionalizzazione delle equazioni di conservazione di massa, quantità di moto ed energi
a, che
In cui vi sono la coordinata adimensionale x* = x/L (Eq. 22a), il numero di Nusselt mediato sull’intera piastra (Eq.
22b), il numero di Reynolds relativo all’intera lunghezza L (Eq. 22b), e la temperatura adimensionale mediata sulla
lunghezza dell’intera piastra (Eq. 22b)
12
alla conduttanza convettiva unitaria h (se mediata, espressa con ħ), che può
essere utilizzata nella correlazione di Newton
13
La convezione naturale
Nella convezione naturale, la forzante del moto del fluido è lo scambio termico stesso; si consideri ad
esempio una lastra piana orientata verticalmente, ad una temperatura uniforme Ts ed immersa in
un fluido ad una temperatura ad infinita distanza pari a T∞
La presenza della piastra e la sua diversa temperatura rispetto al fluido circostante comporterà
uno scambio termico dalla piastra al fluido. Ipotizzando di avere un gas ideale a pressione costante, dalla
legge dei gas ideali sappiamo che ρ ∝ 1/T; in virtù di questo,
le particelle di fluido vicine alla piastra si riscalderanno, vedendo variare la loro densità (Eq. 14); tra
due particelle adiacenti i e j, possiamo scrivere il principio di Archimede relativo
alla forza per unità di volume
La convezione naturale
Linearizzando, possiamo scrivere l’Eq. (15) come
La quale per un gas ideale diventa proprio pari a β = 1/T. Possiamo correlare la variazione di densità a quella di
temperatura nel modo seguente; a pressione costante, la variazione di densità tra le particelle i e j è pari a
In cui il parametro βΔT riportato nell’Eq. (17) è proprio la variazione di densità dovuta
alla variazione di temperatura ΔT a pressione costante; abbiamo
dunque correlato la forza di galleggiamento (Eq. 14) ad una variazione di temperatura (Eq. 17).
Una volta appurata la presenza di tale forza di galleggiamento, vi è una forza viscosa dovuta alla presenza
della piastra che si oppone alla forza di galleggiamento, e il moto del fluido è proprio dovuto alle forze
di galleggiamento che riescono a prevalere sulle forze viscose, permettendo alle
particelle calde di risalire e di essere sostituite nella stessa posizione da particelle più fredde
Strati limite
In Fig. 6, sono riportati sia gli strati limite per la velocità che quello per la temperatura; si osserva che
la forma dello strato limite è diversa rispetto alla convezione forzata esterna in quanto cambia la fisica del
problema in esame; la velocità ad infinita distanza dalla piastra è in questo caso pari a zero, mentre il
valore massimo della velocità si troverà nel mezzo dello strato limite.
Tutte le considerazioni viste in precedenza sulla convezione forzata riguardo l’analogia relativa al numero
di Prandtl e l’esistenza di un regime di moto turbolento valgono anche per la convezione naturale; si
osserva che l’andamento del profilo di velocità all’interno dello strato limite è leggermente diverso da quello
della temperatura a causa della velocità pari a zero per quanto riguarda il fluido indistrubato
È importante anche osservare che non si può avere convezione naturale se Ts < T∞ in quanto si
assisterebbe solo alla stratificazione del fluido (la densità aumenta dunque non vi è moto del fluido)
1
Il numero di Grashof - Definizione
Siccome il fluido non presenta una velocità indisturbata u∞ (ad infinita distanza la velocità del fluido è nulla),
è necessario definire una nuova velocità di riferimento per poter definire le varie variabili adimensionali e
tutto ciò che è correlato, come visto per la convezione forzata esterna
Per la convezione naturale, invece del numero di Reynolds si adopera il numero di Grashof, definibile
sia localmente (per una certa coordinata x) che globalmente; nel secondo caso, per una lastra piana
indefinita di lunghezza L il numero di Grashof globale verrà indicato col pedice L
Il numero di Grashof è proporzionale al rapporto tra forze di galleggiamento e forze viscose. Ricordiamo
che per una coordinata x (quanto verrà detto vale anche nell’ipotesi in cui ci si riferisce all’intera piastra di
lunghezza L), posto che è possibile approssimare la variazione di densità Δρ = ρβΔT (Eq. 17),
1. Le forze di galleggiamento, Fg, sono associate allo scambio di quantità di moto dovute
alle variazioni di densità (e dell’ordine di gΔρ, ossia ρgβΔT);
2. Le forze viscose, Fv, sono associate allo scambio di quantità di moto tra strati di fluido adiacenti dovuti
alla presenza della piastra (e dell’ordine di μu/x2).
Ipotizziamo che le forze d’inerzia siano uguali a quelle viscose, per cui Re = 1. Scriviamo il rapporto tra le
forze di galleggiamento e viscose
Moltiplichiamo adesso i vari membri dell’Eq. (20) per il numero di Reynolds (unitario), ricordando che il
numero di Reynolds è il rapporto tra forze d’inerzia FI e viscose Fv
2
L’Eq. (21) esprime che il numero di Grashof è pari al prodotto tra forze di galleggiamento e d’inerzia,
divise per il quadrato delle forze viscose; tuttavia nell’ipotesi che Re = 1 (ed FI = Fv), possiamo dunque
scrivere l’Eq. (21) nel seguente modo
Il numero di Rayleigh può anche essere espresso nel seguente modo. Dall’Eq. (20), supponiamo di scrivere
un bilancio locale di forze in ipotesi di regime quasi-stazionario eguagliando le due forze in gioco (Fg = Fv),
in modo da ottenere un valore dell’ordine di grandezza relativo alla velocità del fluido
Nella convezione naturale, possiamo associare il moto convettivo (advezione) del fluido con le forze
di galleggiamento, in quanto sono queste a causarlo; analogamente, il moto diffusivo (conduzione) del fluido
può essere associato alle forze viscose; si può dunque pervenire alla seguente espressione
Tale espressione indica che il numero di Rayleigh esprime anche il rapporto tra il moto convettivo del fluido
e la sua diffusione; quando esso è molto piccolo, il fluido stratifica (puramente conduttivo),
quando cresce abbiamo i moti dovuti alla convezione naturale (regime laminare), mentre quando il suo
valore è molto grande allora le forze di galleggiamento sono tali da causare moti turbolenti
Così come il numero di Grashof può essere visto come un analogo del numero di Reynolds, il numero
di Rayleigh può essere visto come un analogo del numero di Peclet.
3
Risoluzione di problemi di scambio termico in convezione naturale
Così come per la convezione forzata, si cerca ora di correlare le variabili adimensionali in gioco Gr, Nu e Pr
con i campi di temperatura attraverso Nu
Per la convezione naturale, è possibile scrivere attraverso adimensionalizzazione delle equazioni di
conservazione di massa, quantità di moto ed energia, che
Il problema risulta quindi analogo a quanto visto per la convezione forzata. Spesso le correlazioni sono
della forma
Per una lastra piana verticale con temperatura Ts uniforme, si può scrivere
Si menziona anche che il problema della convezione naturale può essere studiato per casi come lastre
orientate orizzontalmente (in base all’orientamento), ed obliquamente
4
Obiettivi
Definizione delle variabili relative ai meccanismi di scambio termico radiativo (unità 1);
Utilizzo dei modelli di corpo nero e corpo grigio (unità 1);
Analisi dello scambio termico in una cavità (unità 2).
L’irraggiamento
Secondo la teoria elettromagnetica, è noto che ogni corpo emette onde elettromagnetiche secondo una
certa lunghezza d’onda λ
λ=c/f (1)
Con c velocità della luce nel vuoto (circa 300,000 km/s) ed f la frequenza.
E’ stato verificato che vi è una parte dello spettro di tali onde elettromagnetiche che è associato ad
una variazione di temperatura; tale regione è quella di interesse nell’ambito dell’irraggiamento, ossia
della radiazione termica. Si riporta lo spettro elettromagnetico in Fig. 2, evidenziando una parte dello
spettro compresa tra 0.1 μm e 100 μm, che è la parte relativa alla radiazione termica qui analizzata: essa
comprende parte dell’ultravioletto, il visibile e l’infrarosso
1
Definizioni e proprietà
Si riportano le definizioni utili per poter studiare l’irraggiamento. Le grandezze radiative, che verranno
definite in seguito, possono essere
1. Monocromatiche o spettrali, se riferite ad una sola lunghezza d’onda o a più lunghezze d’onda;
2. Direzionali o diffuse, se riferite ad una sola direzione o se sono indipendenti dalle direzioni.
Definizioni e proprietà
1. Il potere emissivo monocromatico Eλ (W/m2 μm) descrive l’energia emessa per unità
di tempo, superficie e lunghezza d’onda da una superficie;
2. L’irradianza monocromatica Gλ (W/m2 μm) descrive l’energia incidente per unità
di tempo, superficie e lunghezza d’onda su di una superficie;
o La quantità Aλ, pari ad αλGλ (W/m2 μm), è l’aliquota di energia incidente che
viene assorbita dalla superficie per lunghezza d’onda, con α coefficiente di assorbimento (0≤αλ≤
1);
o La quantità Tλ, pari ad τλGλ (W/m2 μm), è l’aliquota di energia incidente che
viene trasmessa dalla superficie per lunghezza d’onda, con τ coefficiente di trasmissione (0≤tλ≤ 1);
o La quantità Rλ, pari ad ρλGλ (W/m2 μm), è l’aliquota di energia incidente che viene riflessa dalla
superficie per lunghezza d’onda, con ρ coefficiente di riflessione (0≤ρλ≤ 1);
3. La radiosità monocromatica Jλ (W/m2 μm) descrive l’energia che lascia la superficie per unità
di tempo, superficie e lunghezza d’onda, e possiamo scrivere che Jλ = Eλ + ρλGλ
Definizioni e proprietà
Tali grandezze possono anche essere riferite a più lunghezze d’onda (spettrali), vale a dire come somma di
più valori ottenuti per lunghezza d’onda
1. Il potere emissivo totale E (W/m2) descrive l’energia emessa per unità di tempo e superficie da
una superficie;
2. L’irradianza totale G (W/m2) descrive l’energia incidente per unità di tempo e superficie su di
una superficie
o La quantità A, pari ad αG (W/m2), è l’aliquota di energia incidente che viene assorbita dalla
superficie, con α coefficiente di assorbimento (0≤α≤ 1);
o La quantità T, pari ad τG (W/m2), è l’aliquota di energia incidente che viene trasmessa dalla
superficie, con τ coefficiente di trasmissione (0≤τ≤ 1);
o La quantità R, pari ad ρG (W/m2), è l’aliquota di energia incidente che viene riflessa dalla
superficie, con ρ coefficiente di riflessione (0≤ρ≤ 1);
3. La radiosità totale J (W/m2) descrive l’energia che lascia la superficie per unità di tempo e superficie, e
possiamo scrivere che J = E + ρG
Definizioni e proprietà
1. α + ρ + τ = 1, ossia A + T + R = G;
2. Un corpo è detto opaco se τ = 0, dunque ρ + α = 1 (ipotesi utilizzata spesso per i solidi);
3. Un corpo è detto trasparente se τ = 1 (ipotesi utilizzata spesso per aeriformi e liquidi);
4. Un corpo è detto semitrasparente se coesistono assorbimento, trasmissione e riflessione;
5. Posto che la radiosità J è la potenza che lascia la superficie, mentre l’irradianza G
la potenza che incide la superficie, il flusso termico netto q relativo ad una superficie può
essere espresso come q = J – G.
2
Modello di corpo nero
Il modello di corpo nero è utilizzato come modello di riferimento ideale per lo studio dell’irraggiamento
1. Ipotesi 1: Un corpo nero assorbe tutta la radiazione incidente su di esso, a qualsiasi lunghezza d’onda
(αλ = α = 1);
2. Ipotesi 2: Fissata temperatura e lunghezza d’onda, nessun corpo emette più energia di un corpo
nero (ε = 1, come si vedrà in seguito);
3. Ipotesi 3: La radiazione emessa da un corpo nero non dipende dalla direzione, dunque è diffusa.
Esso è utilizzato come riferimento, e nessuna superficie esistente ha tali proprietà; le grandezze quando
riferite al corpo nero sono caratterizzate dal pedice n. Nel seguito, verrà dimostrato che una cavità (insieme
di superfici) con superfici a temperatura uniforme (Fig. 4) in cui la radiazione entra attraverso una
piccola apertura è approssimabile ad un corpo nero:
1. Tale radiazione, prima di uscire, è ripetutamente riflessa all’interno della cavità, e siccome in
tali riflessioni una parte di radiazione è assorbita, si può con buona approssimazione concludere
che tutta la radiazione è assorbita dalla cavità, come accade per un corpo nero (ipotesi 1, Fig. 4a);
2. Dalla prima legge della termodinamica, sappiamo che la radiazione che uscirà dall’apertura dipende solo
dalla temperatura della superficie, dunque dall’emissione del corpo nero (ipotesi 2, Fig. 4b);
3. Se viene posta una superficie piccola all’interno della cavità (Fig. 4c), tale superficie avrà
una radiazione emessa per lunghezza d’onda Gλ pari ad Eλ relativa alla superficie isoterma, e tale
superficie è diffusa rispetto all’irraggiamento, indipendentemente dall’orientamento (ipotesi 3, Fig. 4c).
3
Le leggi del corpo nero
Sono tre le leggi che descrivono il comportamento di un corpo nero; la prima illustrata è la legge di Planck,
che correla il potere emissivo monocromativo di un corpo nero Enλ con la lunghezza d’onda e la temperatura
alla quale si trova
L’andamento del potere emissivo monocromatico è riportato in Fig. 5 per diverse lunghezze d’onda e
temperature. Si osserva che a parità di lunghezza d’onda il potere emissivo cresce con la temperatura
Osservando la Fig. 5, è possibile notare che fissato un valore di temperatura ogni curva presenta
un massimo (per lunghezza d’onda pari a λmax) che aumenta con la lunghezza d’onda se ci si sposta a
temperature inferiori; la legge di Wien correla tale lunghezza d’onda massima con la temperatura attraverso
una costante C3
Partendo dall’Eq. (2) è possibile ottenere il potere emissivo spettrale di un corpo nero En integrando su tutta
la lunghezza d’onda, ottenendo la legge di Stefan-Boltzmann
Il risultato saliente ottenuto da Stefan e Boltzmann (separatamente) è la variazione della temperatura con
un esponente pari a 4, che pone l’irraggiamento in primo piano nel caso in cui si ha a che fare
con superfici a temperature molto elevate
È possibile ottenere la quantità di energia emessa per una sola porzione dello spettro emissivo andando
ad integrare l’Eq. (4) fino ad una coordinata λ generica invece di integrare fino a ∞; tali quantitativi sono di
solito tabellati
4
Superfici reali
Dopo aver descritto il comportamento di un corpo nero ritenuto ideale (miglior emettitore a parità
di temperatura), si analizza ora il comportamento di una superficie reale rispetto all’irraggiamento
Si possono definire le emissività monocromatica ελ e totale ε come il rapporto tra il potere emissivo di
una superficie qualsiasi ed il potere emissivo di una corpo nero a pari temperatura; tale rapporto è
compreso tra 0 ed 1
Attraverso l’emissività è possibile definire quindi il potere emissivo di una superficie generica, sia per il
caso monocromatico che per quello spettrale, combinando l’Eq. (5) e l’Eq. (6) con l'Eq. (2) e l'Eq. (4),
rispettivamente
In Fig. 6 si riporta l’andamento dello spettro emissivo per
diverse lunghezze d’onda, fissata la temperatura, per una superficie reale (azzurro) e per il
corrispondente corpo nero (nero), osservando come Eλ < Enλ per ogni lunghezza d’onda. E’ possibile
verificare che l’emissività è esprimibile come
Superfici reali
Si menziona anche che a rigore la radiazione per un corpo reale non è diffusa come per il corpo nero, e
dunque andrebbe considerata anche la direzionalità dell’irraggiamento; per semplicità, si ipotizzerà
comportamento diffuso nella presente analisi
L’emissività dipende sia dalla lunghezza d’onda che dalla temperatura, nonchè
dalla caratteristiche della superficie (finitura, etc.); tuttavia, è possibile analizzare dei
tipici ordini di grandezza per quanto riguarda l’emissività spettrale, che è dunque
l’emissività calcolata come il rapporto tra potere emissivo totale e potere emissivo totale di
un corpo nero alla stessa temperatura
Si riportano tali ordini di grandezza in Fig. 7; in particolare, si osserva che
5
La legge di Kirchhoff
Si considera una cavità (insieme di più superfici) a temperatura uniforme Ts, in cui vi sono j-corpi molto
più piccoli di area Aj (Fig. 8); le dimensioni di tali corpi sono tali da non influenzare il
campo radiativo dovuto agli effetti di emissione e riflessione (i. e., radiosità) relativi alla cavità a
temperatura uniforme
Come visto in precedenza, questa superficie è una cavità fatta da superfici nere in quanto tutta la
radiazione emessa è assorbita dalla cavità in tutto l’insieme, e di conseguenza si può scrivere il seguente
bilancio (riferito a tutte le lunghezze d’onda, dunque in forma spettrale) per il corpo j-esimo
all’interno della cavità
In condizioni di regime stazionario, si raggiunge l’equilibrio termico tra i vari corpi n-esimi e la cavità, e
dunque tutti i corpi all’interno della cavità si troveranno alla temperatura Tj = Ts; si scrive ora
un bilancio di energia su di una superficie di controllo riferita allo j-esimo corpo di superficie Aj
Che, combinata con l’Eq. (8), permette di arrivare alla seguente espressione valida per ognuna dei j-corpi
L’Eq. (10) è nota come legge di Kirchhoff, secondo la quale, essendo αj ≤ 1, nessuna superficie reale può avere un
potere emissivo superiore ad un corpo nero alla stessa temperatura
La legge di Kirchhoff
Dalla quale segue che εj = αj, oppure in forma più generale (Eq. 11) ε = α per ogni superficie nella cavità. L’ Eq.
(11) è dunque valida per una superficie generica se esistono condizioni isoterme (la superficie in esame
è isoterma) e se non vi è scambio termico radiativo netto tra le varie superfici. L’Eq. (11) si può
anche riferire alla singola lunghezza d’onda; per ogni superficie e lunghezza d’onda possiamo scrivere
L’Eq. (11), oltre a valere per il caso in cui l’energia incidente è pari all’energia emessa da
un corpo nero alla stessa temperatura, vale anche se la superficie è grigia
Secondo il modello di corpo grigio, una superficie è grigia se l’emissività (e, in base all’Eq. 12, il
coefficiente di assorbimento) è costante al variare della lunghezza d’onda; ossia se valgono
le seguenti condizioni
Si rappresenta in Fig. 9 l’andamento del potere emissivo per un corpo nero, per un corpo reale (azzurro)
e per un corpo grigio (grigio); si osserva come l’utilizzo di un modello di corpo grigio permette di
modificare l’Eq. (7) nel seguente modo
6
Da cui si evince che il rapporto tra i segmenti AB ed AC rimane costante con tutta la lunghezza d’onda;
analogamente si può osservare in base all’Eq. (15) che le aree sottese ad E ed En, rispettivamente l’integrale di
Eλ ed Enλ su tutte le lunghezze d’onda λ, sono simili
Siccome l’ipotesi di emissività costante lungo tutto il campo delle lunghezze d’onda può essere
talvolta troppo forte, è possibile adottare un modello di corpo grigio a bande
Secondo tale modello, l’intero campo delle lunghezze d’onda è diviso in varie regioni, ed in ognuna di
queste regioni è possibile utilizzare il modello di corpo grigio; si riporta in Fig. (10) un esempio in cui si
individuano tre bande ([0,λ1]; [λ1, λ2]; [λ2,∞]) in cui è possibile ipotizzare che l’emissività
sia costante (valori ε1, ε2 ed ε3), dunque l’utilizzo di un modello di corpo grigio per ogni banda
Per poter ricavare l’energia emessa E in tutto lo spettro, servirà ricavare l’emissività e rispetto
a tutto lo spettro; ipotizzando che tutta la superficie relativa allo spettro d’emissione in Fig. (10) sia ad
una temperatura T, si dovrà risolvere il seguente integrale partendo dalla definizione di emissività (Eqs. 5
e 6)
7
8
Definizione di cavità
Fino ad ora si è considerato lo scambio termico radiativo riferito ad una sola superficie; d’ora in poi si
considera lo scambio termico radiativo tra due o più superfici
Assumendo che il mezzo interposto tra le superfici è non-partecipante (trasparente, τ = 1), si menziona
che lo scambio termico radiativo è fortemente influenzato dalla geometria delle superfici e dal
loro orientamento, nonché dalle proprietà radiative e
dalla temperatura, come già osservato per una sola
superficie
L’insieme di tali superfici è detto cavità; un esempio
pratico di cavità può essere un forno elettrico (Fig. 1), in
cui tutte
le superfici scambiano calore per irraggiamento (oltre
ad altri meccanismi come ad esempio la convezione
forzata e/o naturale), e l’ottenimento della potenza
termica netta relativa ad ogni superficie è un
tipico problema di trasmissione del calore per
irraggiamento
I fattori di vista
L’effetto dell’orientamento tra le superfici è considerato attraverso la definizione dei fattori di vista, i quali
rappresentano dei parametri geometrici indipendenti dalle proprietà superficiali e dalla temperatura
Definite due superfici i e j (Fig. 2), è possibile definire il fattore di vista tra la superficie i e la superficie j nel
seguente modo
Dove Qi è l’energia raggiante emessa dalla superficie i, mentre Qi→j è la frazione di energia raggiante Qi che
impatta sulla superficie j
In base all’Eq. (1) possiamo individuare dei casi particolari, riportati in Fig. 2
1
Cavità a due superfici nere
Essendo le superfici nere (ρ = 0), sappiamo che Ji = Eni; in base a questo, possiamo dunque scrivere l’Eq.
(5) nel seguente modo, riportando anche analogamente l’espressione per Q̇j→i
2
3
Cavità a due superfici opache, grigie e diffuse
Come già accennato, è sempre conveniente esprimere le grandezze radiative rispetto a quelle riferite
al corpo nero, in quanto grazie alle leggi del corpo nero è possibile correlare il tutto alla temperatura; per la
superficie i-esima in esame, si richiamano la definizione di emissività Ei = εiEni e la legge di Kirchoff per
un corpo grigio αi = εi, esprimendo quindi la radiosità (Eq. 12) nel seguente modo
Risolvendo l’Eq. (14) rispetto a Gi, e sostituendo questa nell’Eq. (11), si perviene alla seguente espressione per
la potenza termica radiativa netta relativa alla generica superficie i
Nell’Eq. (15), nota la temperatura della superficie, le sue caratteristiche radiative e geometriche, nonché
la radiosità J, è possibile conoscere la potenza termica radiativa netta; più avanti si illustrerà un esempio
relativo a due superfici opache, grigie e diffuse attraverso l’utilizzo dell’approccio della rete radiativa
4
Approccio della rete radiativa
In Fig. 6, osserviamo come vi è una resistenza spaziale R1→2 (resistenza tra i nodi J1 e J2 relativi alle
superfici 1 e 2), e come vi sono due resistenze superficiali (resistenze R1 ed R2 relative rispettivamente ai
nodi J1 ed En1, e J2 ed En2, che descrivono il legame tra corpi grigi e corpi neri di riferimento); è
possibile scrivere la potenza termica netta come differenza di potenziale tra i nodi En1 ed En2 (noti in
quanto corpi neri) divisa per la resistenza termica equivalente, ottenendo
Risolvendo l’Eq. (23) è possibile ottenere la potenza termica scambiata tra le due superfici riportate in Fig.
6, note le temperature dei due corpi T1, T2, nonché le varie caratteristiche delle superfici
5
Risoluzione di problemi di scambio termico radiativo
Ipotizzando di avere una superficie generica, i problemi di scambio termico radiativo possono essere
divisi in due tipologie
La prima tipologia è quella più semplice ed anche la più frequente; essa può riguardare ad esempio
lo studio della trasmissione del calore nella parete di un edificio, in cui l’irradianza G proveniente
dal sole è nota
Nel seguito si analizza un problema del primo tipo, il quale può anche essere inteso come un problema
del secondo tipo ad una sola superficie incognita; supponiamo di avere un collettore solare (Fig. 7) in cui
la radiazione G proveniente dal sole è nota; poniamo le seguenti ipotesi
Ipotizziamo che siano note le proprietà radiative della superficie (coefficienti di riflessione ρ, assorbimento α e
trasmissione τ), la conduttanza convettiva unitaria media ħ e la temperatura del fluido T∞; si voglia dunque calcolare
la temperatura della piastra Ts
6
7
Obiettivi
Classificare i vari scambiatori di calore in base al modello costruttivo (unità 1);
Scambiatori di calore
Uno scambiatore di calore è un dispositivo in grado di realizzare uno scambio di energia termica tra
due fluidi con temperature diverse
Nell’ambito della fisica tecnica, essi sono classificati in base a se i flussi sono mescolati tra loro oppure no;
in altre parole, se vi è scambio di massa oltre che di energia
In quest’ambito, possiamo classificare gli scambiatori di calore in base alle seguenti modalità (Fig. 2)
1. Modello costruttivo;
Scambiatori di calore
In base al modello costruttivo, possiamo distinguere
1. Scambiatori di calore coassiali, in cui i fluidi scorrono in due tubi coassiali, uno interno e l’altro esterno;
2. Scambiatori di calore a piastre, in cui i fluidi lambiscono i lati opposti di una lamiera;
3. Scambiatori di calore alettati, in cui un fluido scorre all’interno dei tubi, e l’altro attraverso
le alette all’esterno dei tubi;
4. Scambiatori di calore a tubi e mantello, in cui un fluido passa all’interno dei tubi, e l’altro all’esterno (in
un mantello).
1
1. Scambiatori di calore equi- e contro- corrente, in cui i flussi viaggiano in
direzione parallela, concorde oppure opposta;
In ipotesi di:
2
4. Trasmittanza termica U uniforme.
Si applica un bilancio di prima legge su due volumi di controllo che racchiudono ognuno i due tubi, è possibile
pervenire alle seguenti espressioni per la potenza termica QQ scambiata tra i due fluidi
3
4
5
Andamento dei profili di temperatura
A valle di quanto specificato, è possibile analizzare i vari profili di temperatura in funzione del segno e del
valore di M, in particolare in base a Ċc e Ċf
In Fig. 6 si riportano gli andamenti della temperatura in funzione dell’area di scambio per il
caso equicorrente, e per i casi controcorrente in cui i valori delle capacità termiche orarie cambiano.
Osserviamo che
1. Per il caso equicorrente (Fig. 6a), le pendenze delle curve decrescono all’aumentare dell’area di scambio
(Eq. 19); per un’area di scambio infinita, i fluidi teoricamente raggiungeranno la stessa temperatura;
3. Per il caso controcorrente in cui Ċf<Ċc quindi M < 0 (Fig. 6c), le pendenze crescono all’aumentare
dell’area di scambio (Eq. 19); per un’area di scambio infinita, la differenza di temperatura aumenta in quanto
si ipotizza che i fluidi raggiungono l’equilibrio termico per A = 0.
6
Il metodo dell’efficienza
Il metodo dell’efficienza (o metodo dell’efficienza-NTU) consiste nel definire l’efficienza di uno
scambiatore di calore, e di progettare lo scambiatore di calore attraverso tale definizione
7
Tale metodo si rivela utile rispetto al metodo della differenza di temperatura media logaritmica nel caso in
cui non sono note le temperature d’uscita dei fluidi; in tal caso con il metodo della differenza di
temperatura media logaritmica potrebbe essere necessaria una procedura iterativa
Per poter definire l’efficienza di uno scambiatore, riferiamoci alla massima potenza termica possibile per
un certo tipo di scambiatore, di solito relativa ad
uno scambiatore in controcorrente di lunghezza infinita in quanto uno dei due fluidi
avrebbe la massima differenza di temperatura che si può osservare in tale scambiatore, pari a ΔTmax =
Tic – Tif (Fig. 6b)
Il valore di ΔTmax è ovviamente lo stesso anche per uno scambiatore in equicorrente qualora
fosse cambiata la direzione dei flussi (Fig. 6a); noto il valore di ΔTmax, si cerca di capire quale è
la capacità termica relativa a questa differenza di temperatura tale da ottenere la massima potenza
termica ottenibile dallo scambiatore
Il metodo dell'efficienza
Nota la potenza termica massima ottenibile da uno scambiatore di calore, possiamo definire l’efficienza di
uno scambiatore di calore come
8
Il metodo dell’efficienza
In alternativa, procedendo a ritroso, è possibile dimensionare uno scambiatore, dunque conoscere ad
esempio la trasmittanza globale UA oppure solamente la superficie di scambio termico A (oppure, per uno
scambiatore coassiale, la lunghezza L fissate le grandezze radiali), nel seguente modo
1. Conoscere le temperature d’ingresso dei fluidi freddo e caldo (Tif e Tic) e le capacità termiche orarie dei
due fluidi (Ċc e Ċf);
3. Nota l’efficienza oppure la potenza termica scambiata tra i due fluidi QQ, risalire alla variabile NTU (Fig. 8) e
dunque al valore della variabile UA (riferita all’area totale Atot), oppure della superficie di scambio termico
A qualora fosse nota la trasmittanza termica U.