ü Calore
171
Termodinamica.
I principi fisici vengono in generale applicati a parti finite di materia isolate da tutto quello che le
circonda.
Questa parte “isolata” viene detta “sistema” e tutto ciò che la circonda e che la può influenzare viene
detta “ambiente circostante”.
Una volta definito il sistema occorre descriverlo in termini di quantità legate al sistema stesso e/o alle
sue interazioni con l’ambiente circostante.
- macroscopico
- microscopico
Potremmo allora descrivere il contenuto di un cilindro del motore di un’automobile (sistema) mediante
quattro grandezze:
composizione, volume, pressione e temperatura.
Queste quantità definiscono “proprietà” del sistema su larga scala e quindi ne forniscono una
“descrizione macroscopica”.
Per questo motivo vengono chiamate:
“coordinate macroscopiche”.
Se scegliessimo un altro sistema troveremmo che esso può essere descritto da “altre” variabili
macroscopiche, diverse da queste ma aventi in comune le seguenti caratteristiche:
173
1. Non implicano alcuna ipotesi sulla struttura della materia
2. Sono in numero relativamente piccolo
3. Sono più o meno “suggerite” dai nostri sensi
4. Possono essere misurate direttamente
Potremmo allora descrivere il sistema mediante queste grandezze le quali definiscono “proprietà” del
sistema su piccola scala e quindi ne forniscono una “descrizione microscopica”.
Per questo motivo vengono chiamate:
“coordinate microscopiche”.
174
Una descrizione microscopica ha quindi le seguenti caratteristiche:
a) Si fanno ipotesi sulla struttura della materia: esistono le molecole
b) Bisogna precisare il valore di molte grandezze
c) L’esistenza di queste grandezze non è “suggerita” direttamente dalle nostre percezioni
sensoriali
d) Queste grandezze non possono essere misurate direttamente.
I due punti di vista, sebbene molto diversi, quando applicati allo stesso sistema devono condurre allo
stesso risultato.
La relazione tra i due punti di vista consiste nel fatto che le poche grandezze macroscopiche,
direttamente misurabili, non sono altro che “medie” di grandezze microscopiche calcolate su un
grandissimo numero di molecole.
Vedremo più avanti, per esempio, come la pressione, che è una grandezza macroscopica, possa essere
interpretata come il risultato “medio” del grande numero di urti delle molecole con le pareti del
recipiente.
Mentre il “modello microscopico” dipende dallo stato delle nostre conoscenze e può cambiare con
queste (conoscenze sulla struttura della materia), il concetto di pressione (grandezza macroscopica,
definita operativamente mediante le operazioni di misura) è noto e immutato da tempo e le misure
di pressione sono state possibili ben prima della scoperta dell’esistenza delle molecole.
Le grandezze macroscopiche, proprio perché misurabili e percepibili dai nostri sensi, resteranno
immutate per sempre.
L’applicazione delle leggi “microscopiche” della dinamica e quelle della statistica a sistemi composti
da un gran numero di particelle permette di riprodurre gli stessi risultati della termodinamica
classica!
Questo è, a mio parere, uno degli aspetti più interessanti ed esteticamente eleganti di tutta la
storia del pensiero scientifico.
Per il momento ci limiteremo a trattare i sistemi solo dal punto di vista macroscopico
176
La descrizione macroscopica di un sistema si ottiene specificandone le caratteristiche “globali”
mediante poche grandezze misurabili.
In meccanica:
nella descrizione del moto di un corpo rigido, le variabili macroscopiche (coordinate meccaniche) sono
per esempio le coordinate del cm, la velocità del cm, la velocità angolare del corpo rigido attorno a un
asse passante per il cm, l’energia cinetica, potenziale, etc.
• Tutte le grandezze sono relative ad un sistema di riferimento esterno rispetto al quale viene
descritto il moto del sistema.
In termodinamica:
si considerano quelle grandezze macroscopiche (coordinate termodinamiche) che sono in relazione con
lo stato interno del sistema e sono sufficienti a descrivere tale stato.
• Le grandezze che descrivono il sistema sono interne ad esso.
177
Obiettivo della termodinamica:
• determinare delle relazioni generali che legano le proprietà interne del sistema alle coordinate
termodinamiche
• stabilire un legame tra le variazioni di uno stato termodinamico di un sistema e le sue “interazioni”
con l’ambiente circostante.
Un vapore puro
Un liquido in equilibrio con il suo vapore
Una miscela di solido, liquido e vapore
Un gas che si espande o che si comprime
Un corpo che si scalda
Una pila chimica
Una sostanza che reagisce chimicamente
….
….
….
178
Equilibrio termico.
Un sistema termodinamico può essere descritto macroscopicamente da alcune variabili termodinamiche
come per esempio massa, composizione, volume e pressione.
Sperimentalmente si osserva che, fissata la massa e la composizione, sono possibili diversi valori della
pressione e del volume.
Se si mantiene costante la pressione il volume può variare entro un ampio intervallo di valori e
viceversa.
Questo vuol dire che pressione e volume sono coordinate termodinamiche indipendenti.
Questo è vero in generale, anche per sistemi termodinamici descritti da altri tipi di variabili.
Per i vari sistemi sono gli esperimenti che ci permettono di determinare il numero e la natura delle
coordinate indipendenti.
Per ora, per semplicità, ci limitiamo a discutere sistemi di massa e composizione costanti descritti da
solo due variabili indipendenti.
Indicheremo con X e Y la coppia di coordinate indipendenti che descrivono il nostro sistema generico.
Chiameremo “stato di equilibrio” lo stato di un sistema in cui X e Y hanno valori determinati che non
cambiano fino a che non cambiano le condizioni esterne al sistema.
Sperimentalmente si osserva che l’esistenza o meno dello stato di equilibrio di un sistema
dipende dalla vicinanza di altri sistemi e dalla natura delle pareti di separazione.
179
Distingueremo allora le pareti di separazione tra i sistemi in:
1) Pareti adiabatiche
2) Pareti diatermiche
A
Diremo che una parete è adiabatica se mettendo a contatto due sistemi
Sono possibili tutti i
A e B descritti dalle coordinate X, Y e X’, Y’ possono coesistere stati di valori di X e Y
equilibrio di A e di B qualunque siano i valori di X, Y e X’, Y’. Parete adiabatica
B
Sperimentalmente buone pareti adiabatiche sono strati di amianto, Sono possibili tutti i
polistirolo espanso, sughero, lana di vetro, etc. valori di X’ e Y’
Diremo che una parete è diatermica se, messi a contatto i due sistemi A
e B, le variabili X, Y e X’, Y’ cambiano spontaneamente fino a che A
entrambi i sistemi non raggiungono uno stato “finale” di equilibrio. Sono possibili solo
alcuni valori di X e Y
Una volta che A e B (parete diatermica) hanno raggiunto l’equilibrio e
Parete diatermica
X,Y e X’,Y’ non variano più diciamo che A e B sono in “equilibrio B
termico” fra loro. Sono possibili solo
alcuni valori di X’ e Y’
Sperimentalmente si trova che buone pareti diatermiche sono sottili
fogli metallici.
180
Definiamo allora
Equilibrio termico: lo stato, caratterizzato da certi valori delle coordinate, che due (o più) sistemi
raggiungono quando vengono messi a contatto mediante una parete diatermica.
Consideriamo un sistema A nello stato X1, Y1, in equilibrio termico con un sistema B nello stato X’1, Y’1.
Sperimentalmente si osserva che, se separiamo A da B, possiamo trovare un insieme di stati X2,Y2,
X3,Y3, …, Xn,Yn di A ciascuno dei quali è in equilibrio con lo stato X’1,Y’1 del sistema B.
Per il principio 0 della termodinamica questi stati sono in equilibrio termico fra loro.
Supponiamo che tutti questi stati rappresentati nel piano X,Y, siano
sulla curva I che chiameremo “isoterma”.
Y Un’isoterma è il luogo dei punti che rappresentano stati di un
sistema A
sistema in equilibrio termico con un prefissato stato di un altro
sistema.
III
X1 ,Y1
II
X2 ,Y2 I Esperimenti eseguiti su sistemi semplici ci dicono che questa curva
X 3 ,Y3 X è, di norma, continua.
182
Analogamente a quanto detto per il sistema A, si può trovare, per il sistema B, un insieme di stati
definiti dalle coordinate termodinamiche X’1,Y’1, X’2,Y’2, X’3,Y’3, …, X’n,Y’n , ciascuno dei quali è in
equilibrio termico con lo stato X1,Y1 del sistema A e con gli altri stati di A in equilibrio con questo stato.
X '2 ,Y '2 A giacenti sulla curva I sono in equilibrio termico con tutti gli stati
Naturalmente il modo di procedere in fisica nel momento in cui si introducono nuove grandezze è quello
di darne una “definizione operativa”.
Una volta che avremo definito le operazioni di misura potremo assegnare ad ogni curva, che abbiamo
chiamato “isoterma”, un numero (temperatura) il quale ci dirà quando due o più stati sono in equilibrio
termico fra di loro.
184
Misura della temperatura.
Per stabilire una scala empirica della temperatura, prendiamo un qualunque sistema descritto dalle
coordinate X,Y, che chiameremo termometro, e stabiliamo delle regole che ci permettano di associare
un numero alla temperatura di ogni isoterma.
Una volta fatto questo attribuiremo ad ogni altro sistema, in equilibrio termico con il termometro,
la stessa temperatura.
185
Esistono tante caratteristiche termometriche e quindi tanti termometri.
Per esempio:
Occorre allora scegliere un tipo di termometro “campione” e un particolare sistema da usare come
sistema di riferimento.
186
Una volta fissato termometro campione e sistema di riferimento occorre determinare la costante a.
Fatto questo, è determinata univocamente la funzione termometrica che lega T a X.
Il sistema di riferimento scelto, con il quale mettiamo in contatto il termometro, deve essere un sistema
standard che si trovi in uno stato facilmente riproducibile.
Questo stato del sistema standard prende il nome di “punto fisso”.
Dal 1954 è stato scelto come punto fisso il “punto triplo dell’acqua”.
Questo è lo stato dell’acqua pura nel quale coesistono, in equilibrio, ghiaccio, liquido e vapore.
Alla temperatura di questo stato è stato arbitrariamente attribuito il valore di 273,16 gradi Kelvin (K).
Dalla T(X) = aX si ottiene allora 273,16 = a Xtr
dove con Xtr si intende il valore che la caratteristica termometrica assume al punto triplo dell’acqua.
Allora
X
T (X) = 273,16 (Y = cost)
Xtr
La temperatura del punto triplo dell’acqua è il “punto fisso standard” della termometria
187
Applicando il procedimento ai termometri citati in precedenza si ottengono altrettanti modi diversi di
misurare la temperatura.
p
Per un gas mantenuto a volume costante T ( p) = 273,16 (V = cost)
ptr
R
Per un resistore elettrico T (R) = 273,16
Rtr
ε
Per una termocoppia T (ε ) = 273,16
ε tr
L
Per un liquido in un capillare di vetro T (L) = 273,16
Ltr
Effettuando simultaneamente una serie di misure della temperatura di un dato sistema con i quattro
termometri si osserva che questi forniscono risultati differenti.
Anche con esemplari diversi dello stesso tipo di termometro si ottengono, sullo stesso sistema, diversi
valori di temperatura.
Le differenze minori si osservano utilizzando i termometri a gas a volume costante e, in particolare,
quelli che usano idrogeno ed elio.
Per questo motivo si usa un gas come sostanza termometrica standard.
188
Termometro a gas a volume costante.
In fig. è mostrato lo schema tipico.
Il gas è contenuto in un bulbo che comunica con un tubo ad U,
capillare
contenente mercurio, mediante un tubo capillare.
Ripetiamo le operazioni dopo aver tolto metà del gas dal bulbo in modo che sia ptr = 500 mm Hg.
Avremo
p's
T ( p's ) = 273,16
500
Reiteriamo le operazioni a ptr = 250 mm Hg, 125 mm Hg ……e così via, ottenedo p’’s, p’’’s, …. e quindi
T(p’’s), T(p’’’s), ….fino a far tendere ptr a 0, continuando a dimezzare il gas contenuto nell’ampolla.
190
Quello che si osserva che i valori di temperatura misurati alle varie pressioni sono differenti.
T(ps) ≠ T(p’s) ≠ T(p’’s) e così via.
Non solo! Se cambiamo gas troviamo valori diversi da gas a gas, per gli stessi valori di pressione nel
bulbo.
Notiamo però che, per i vari gas utilizzati, gli scarti di temperatura diventano sempre più piccoli al
diminuire della pressione nel bulbo (fig.) (quindi al diminuire della quantità di gas all’interno).
T(K)
191
Risultati analoghi si ottengono riferendosi ad altri punti fissi come: K °C
Punto triplo dell’idrogeno 13,81 -259,34
Punto di ebollizione dell’idrogeno a p = 1 atm 20,28 -252,87
Punto di ebollizione del neon a p = 1 atm 27,102 -246,048
Punto triplo dell’ossigeno 54,361 -218,789
Punto di ebollizione dell’ossigeno a p = 1 atm 90,188 -182,962
Punto triplo dell’acqua 273,16 0,01
Punto di ebollizione dell’acqua a p = 1 atm 373,15 100,00
Punto di fusione dello zinco a p = 1 atm 692,73 419,58
Punto di fusione dell’argento a p = 1 atm 1235,08 961,93
Punto di fusione dell’oro a p = 1 atm 1337,58 1064,43
Poiché, quando la pressione tende a zero, il comportamento dei vari gas sembra essere lo stesso,
indipendentemente dalla natura del gas, si considera questo comportamento come “ideale”, e si
definisce:
temperatura del termometro a gas ideale o, temperatura del gas ideale T, la quantità
p
T = 273,16 lim (V = cost)
ptr →0 ptr
192
Problemi sperimentali nel Termometro a Gas Ideale
Ci sono dei problemi sperimentali insiti nella misura effettuata con il termometro a gas ideale a volume
costante:
• per ottenere una misura indipendente dalla sostanza termometrica occorre operare a pressioni nel
bulbo estremamente basse (in queste condizioni tutti i gas si comportano allo stesso modo:
comportamento ideale del gas).
Con quantità di gas così piccole, però, il concetto di pressione come forza media sull’unità di
superficie dovuta ad un grandissimo numero di urti con le pareti perde di significato.
• la parte di capillare contenente gas e non direttamente a contatto con la sostanza della quale si vuol
misurare la temperatura introduce un errore nella misura.
• Nonostante la scala delle temperature del gas ideale sia indipendente dalle proprietà specifiche dei
singoli gas, essa dipende ancora dalle proprietà generali dei gas.
Si possono infatti misurare temperature basse ma solo fino a quando il gas non liquefa.
In pratica con questo termometro si può arrivare fino a ~ 1 K e non è quindi ancora definita la
temperatura 0 K.
Vedremo più avanti che è possibile definire una scala termodinamica assoluta Kelvin della temperatura
e che nel “range” di operatività del termometro a gas le due temperature coincidono.
In questo modo sarà possibile definire lo zero assoluto. 193
Scala Celsius della temperatura.
La scala Celsius utilizza un grado della stessa ampiezza di quello della scala del gas ideale, ma con lo
zero spostato in modo che il punto triplo dell’acqua sia a
t = 0,01 °C
Allora
t (°C) = T (K) - 273,15
La temperatura ts del vapore in equilibrio con l’acqua in ebollizione a 1 atm è allora
ts = Ts - 273,15
In alcuni paesi, la Gran Bretagna fino agli anni ‘60 e gli USA e la Giamaica ancora adesso, si usa per
scopi non scientifici la scala Fahrenheit:
194
Termometro a liquido in capillare di vetro.
E’ lo strumento più comune per misurare la temperatura ed è costituito da un capillare di vetro a
sezione costante connesso ad un bulbo pieno di liquido.
La maggior parte dei fluidi si espande all’aumentare della temperatura con conseguente salita nel
capillare. La lunghezza L del liquido nel capillare, all’equilibrio, dipende da T e quindi L può essere
usata come caratteristica termometrica.
Per calibrare lo strumento si usano due punti fissi e si definisce una scala empirica della temperatura
in modo che
t=aL+b (a e b costanti per un dato termometro)
Fissate t1 e t2, temperature dei punti fissi, ed L1 ed L2 le lunghezze corrispondenti, risulta
t 2 ( L − L1 ) + t1 ( L2 − L )
t=
L2 − L1
L’accuratezza dipende dal liquido impiegato e dall’intervallo di temperatura nel quale si utilizza.
195
Altri termometri sono quelli a resistenza.
I termometri a termocoppia si basano invece sulla proprietà di alcune giunzioni di metalli diversi di
generare una forza elettromotrice la cui differenza di potenziale dipende da t.
Con termocoppie al platino e platino - rodio si possono misurare temperature tra 0 e 1600 °C.
Il vantaggio di questi termometri consiste nel fatto che sono molto rapidi e che consentono di
effettuare misure a distanza (per esempio in un altoforno).
196
Sistema termodinamico.
Supponiamo di avere un sistema termodinamico e che, mediante una serie di esperimenti, siamo riusciti
ad individuare le coordinate termodinamiche necessarie e sufficienti a descriverlo macroscopicamente.
Definito il sistema, chiameremo ambiente circostante tutto ciò che può interagire con il sistema con
scambi di energia, sotto varie forme, e che per questo motivo può cambiare lo stato termodinamico del
sistema e quindi le sue coordinate termodinamiche.
Diremo inoltre:
Sistema aperto: un sistema che scambia con l’ambiente sia energia che materia.
Sistema chiuso: un sistema che scambia solo energia con l’ambiente circostante.
Sistema isolato: un sistema che non scambia né energia né materia con l’ambiente circostante.
Per come l’universo termodinamico è stato definito (sistema + ambiente) esso è un sistema isolato.
197
Abbiamo detto che lo stato di un sistema termodinamico è definito dalle sue variabili termodinamiche.
Se un sistema interagisce con l’esterno con scambio di energia, subisce un cambiamento di stato con
conseguente variazione delle coordinate termodinamiche.
Diremo che un sistema è in
• equilibrio meccanico: se all’interno del sistema e fra sistema e ambiente non esistono
forze non bilanciate. In caso contrario il solo sistema o l’insieme
sistema + ambiente cambieranno il loro stato fino a quando non sarà
raggiunto l’equilibrio meccanico.
• equilibrio chimico: se non ci sono processi che modificano la struttura interna come
reazioni chimiche o passaggi di materia da una parte all’altra del
sistema (diffusioni o soluzioni).
• equilibrio termico: se le coordinate del sistema non cambiano, una volta che esso sia
stato separato dall’ambiente circostante mediante una parete
adiabatica. All’equilibrio termico tutte le parti del sistema si trovano
alla stessa temperatura che è anche quella dell’ambiente circostante
se il sistema e l’ambiente sono separati da una parete diatermica.
Se queste condizioni non sono verificate, lo stato del sistema (le sue
variabili termodinamiche) cambia fino a quando non è raggiunto
l’equilibrio termico.
198
Se tutti e tre gli equilibri sono soddisfatti si dice che il sistema è in “equilibrio termodinamico”.
!
- Solo un sistema in equilibrio termodinamico può essere descritto da variabili
termodinamiche macroscopiche indipendenti dal tempo.
Se anche solo una delle condizioni di equilibrio non è soddisfatta allora il sistema si dice essere
in uno “stato di non equilibrio”.
Quando si prova a dare una descrizione macroscopica di un tale stato di “non equilibrio” ci si
accorge che le variabili termodinamiche macroscopiche non sono definite.
Per esempio la pressione e la temperatura possono essere diverse da punto a punto e possono
cambiare nel tempo.
Non è allora possibile descrivere come un’unica entità un sistema, non in equilibrio, le cui parti
evolvono nel tempo.
199
Esempio di stato di equilibrio e di non equilibrio termodinamico
Per esempio se mediante uno stantuffo comprimiamo molto rapidamente un gas che si trova in
equilibrio all’interno di un recipiente adiabatico, la pressione e la densità nelle immediate
vicinanze dello stantuffo saranno inizialmente differenti da quelle del resto del sistema.
Il sistema non sarà più in equilibrio termodinamico fino a quando non ci sarà una ridistribuzione
delle molecole all’interno del recipiente.
Dopo un po’ di tempo, infatti, il sistema si riporta all’equilibrio meccanico e termico e non
evolverà più (fino a quando, dall’esterno non cambiamo le condizioni).
Consideriamo un sistema in equilibrio termodinamico del quale siamo in grado di misurare pressione,
volume e temperatura, costituito per esempio da una massa costante di gas contenuta in un recipiente.
Se fissiamo due valori arbitrari del volume e della temperatura, ci accorgiamo di non essere
assolutamente in grado di variare la pressione, la quale resta così anche essa fissata (supponiamo
sempre che il sistema sia in equilibrio termodinamico).
La medesima cosa succede per il volume se fissiamo p e T e per T se fissiamo p e V.
Se ne deduce che delle tre variabili termodinamiche p, V e T solo due possono essere variate
indipendentemente mentre la terza resta fissata.
Le tre variabili non sono “indipendenti”!
Questo risultato sperimentale implica l’esistenza di una equazione di equilibrio che lega tra loro le tre
variabili. Tale equazione si chiama “equazione di stato”.
Infatti:
Ogni sistema termodinamico ha una sua equazione di stato che lega tra loro le coordinate
termodinamiche che descrivono il sistema e che può essere più o meno complicata.
Essa esprime le proprietà caratteristiche di un sistema termodinamico e deve essere determinata
mediante misure sperimentali o derivata da modelli teorici molecolari.
La termodinamica classica è una teoria fondata su leggi generali di tipo macroscopico ma non è in
grado di spiegare il comportamento di una sostanza.
L’equazione di stato, allora, non può essere dedotta teoricamente dalla termodinamica ma deve
essere considerata un’ “aggiunta” sperimentale ad essa.
La stessa equazione di stato può avere una validità limitata all’intervallo dei valori di misura e, al di
fuori di questo intervallo, può essere diversa.
202
Possiamo affermare che:
l’equazione di stato, che lega fra loro le coordinate termodinamiche di un sistema, non può
rappresentare gli stati attraverso i quali evolve un sistema non in equilibrio poiché questi stessi
stati non sono descrivibili da coordinate termodinamiche.
Per esempio un blocco di ferro messo sulla fiamma di un fornello si scalda prima nella parte a contatto
con la fiamma e la temperatura, differente da punto a punto, non ha un unico valore per tutto il blocco.
Il sistema non è quindi in equilibrio termico.
In conclusione:
203
Trasformazioni quasistatiche.
- le forze interne possono non essere più uniformi in tutti i punti del sistema col risultato di
generare turbolenze, onde, ….;
- le turbolenze, onde, ….possono creare una distribuzione di temperatura non uniforme nel
sistema;
- i cambiamenti improvvisi delle forze interne e della temperatura possono generare situazioni di
non equilibrio chimico e quindi reazioni chimiche;
E’ evidente che una forza finita non bilanciata fa evolvere il sistema attraverso stati di non
equilibrio e non è possibile, quindi, descrivere gli stati intermedi mediante coordinate
termodinamiche poiché queste non sono definite.
204
Si può, allora, affermare che:
non è possibile rappresentare, nello spazio delle coordinate termodinamiche, una trasformazione
da uno stato A di equilibrio ad uno stato B di equilibrio se gli stati intermedi tra A e B non sono
di equilibrio.
Y
A e B stati di equilibrio B
X
Immaginiamo una situazione ideale nella quale, in una trasformazione, la forza esterna cambi di
una quantità piccolissima in modo che la forza non equilibrata sia infinitesima.
In questo caso il sistema, in ogni istante, si trova in uno stato infinitamente prossimo ad uno
stato di equilibrio.
Potremmo allora andare da uno stato A ad uno stato B (entrambi di equilibrio) mediante una
successione di infinite trasformazioni infinitesime, in ognuna delle quali la forza non bilanciata sia
piccolissima.
205
Ogni stato di questa trasformazione sarà allora uno stato
di equilibrio e potrà essere rappresentato con un punto
stati intermedi di equilibrio
nello spazio delle coordinate termodinamiche. Y
B
X
Una trasformazione, che avviene mediante una successione di trasformazioni infinitesime, nella quale in
ogni istante il sistema si trova in uno stato infinitamente prossimo ad uno stato di equilibrio si chiama
“trasformazione quasi-statica”.
Un modo pratico per realizzare una trasformazione quasi-statica consiste nel farla avvenire molto
lentamente cioè con lentezza infinita (quasi-statica).
In termodinamica il lavoro interno fatto da una parte del sistema su un’altra parte del sistema sesso
non interessa.
L’unico lavoro che interessa è quello che implica un’interazione fra il sistema e l’ambiente
circostante.
Per valutare il segno del lavoro, in termodinamica, lo si osserva dal punto di vista del sistema:
se il sistema esercita una forza sull’ambiente e lo spostamento è concorde con la forza il lavoro è
positivo e si dice “compiuto dal sistema”.
Se, al contrario, il lavoro è fatto sul sistema (contro le forze del sistema) allora è negativo.
F' F' ambiente
F'
s s
L >0 L <0
F
F
F
sistema
F concorde con lo spostamento s F discorde con lo spostamento s
lavoro fatto dal sistema lavoro fatto sul sistema 207
Sistemi idrostatici o sistemi pVT.
Possono essere
1) Sostanze pure:
costituite da un solo componente chimico in fase solida o liquida o gassosa oppure da una
miscela composta da due o tre delle fasi.
f ( p,V ,T ) = 0
208
Lavoro in un sistema idrostatico (PVT).
A
Consideriamo un sistema idrostatico racchiuso in un cilindro munito di un
dx
pistone mobile di superficie di base A.
p Sia p la pressione esercitata dal sistema sull’ambiente esterno.
Il sistema sia in equilibrio e quindi si supponga che l’ambiente eserciti sul
sistema una pressione molto prossima a p.
Se il pistone si sposta di un tratto dx (espansione o contrazione), il lavoro fatto dal sistema sarà
d L = pA dx = pdV
nella quale il significato di d L sarà spiegato più avanti.
Per definire il lavoro non è necessario considerare l’espansione o contrazione di un sistema contenuto
in un cilindro.
Consideriamo il sistema, delimitato da una superficie chiusa
ds tridimensionale, che si espande.
ΔA p Il lavoro complessivo si ottiene sommando su tutti gli elementi di
superficie ΔA.
d L = ∑ pΔA ⋅ ds = p∑ ( ΔA ⋅ ds ) = pdV
209
In una trasformazione quasi-statica finita passando dal volume Vi al volume Vf
Vf
L = ∫ p dV
Vi
Vf
L = ∫ p(V,T )dV
Viγ
210
Diagramma p-V
Un sistema idrostatico è descritto da p,V e T.
Le tre variabili non sono indipendenti essendo legate dall’equazione di stato.
Possiamo rappresentare un qualunque stato di un sistema all’equilibrio con un punto nel piano pV.
p i p i p i
I I
II II
f f f
Vi (a) Vf V Vi (b ) Vf V Vi (c) Vf V
In fig. (a) è rappresentata una espansione quasi-statica da Vi a Vf di un sistema pVT (Vi < Vf ).
Il lavoro lungo la curva I è positivo ed è rappresentato geometricamente dall’area sottesa dalla curva I
tra i ed f. Il lavoro è compiuto dal sistema.
In fig. (b) è rappresentata una compressione quasi-statica da Vf a Vi. Il lavoro è compiuto dall’ambiente
esterno sul sistema ed è negativo (curva II).
In fig. (c) infine il percorso è ciclico e il lavoro è in parte compiuto dal sistema e in parte dall’ambiente
circostante. Esso è rappresentato geometricamente dall’area all’interno del ciclo ed è positivo se il verso
di percorrenza è orario.
Se, invece, il ciclo viene percorso in senso antiorario il lavoro è negativo.
211
Il lavoro dipende dal percorso !!!
Come si può osservare dai grafici precedenti il lavoro termodinamico dipende dal percorso e non solo
dallo stato iniziale e finale.
Pareti adiabatiche
Per ciascun sistema adiabatico è possibile andare da uno stato iniziale i ad uno stato finale f in modi
differenti.
Fissati due stati i ed f, se si fa passare un sistema da uno stato iniziale i ad uno stato finale f solo
mediante trasformazioni adiabatiche, il lavoro compiuto è il medesimo per tutti i percorsi
adiabatici che collegano questi due stati.
Ci troviamo dunque in una situazione simile a quella che si incontra in meccanica quando le forze in gioco
sono conservative. 213
Per analogia possiamo trarre la conclusione che “esiste una funzione delle coordinate termodinamiche
la cui variazione è pari al lavoro adiabatico”.
Essa è una funzione di stato che dipende quindi soltanto dalle coordinate termodinamiche del sistema.
Ladiab. = -ΔU
ΔU = Uf - Ui
L’equazione
Ladiab. = -ΔU
Per un qualsivoglia sistema termodinamico esiste una speciale funzione energia U, legata alle
proprietà del sistema, che è funzione delle coordinate termodinamiche che ne specificano lo stato.
Tale funzione esiste e la sua variazione non dipende dalla trasformazione eseguita (è una funzione
di stato!).
Il sistema deve ovviamente essere in equilibrio termodinamico (altrimenti le coordinate non sono
definite).
215
Per un sistema pVT all’equilibrio le variabili indipendenti sono solo due (a scelta) essendo queste legate
dalla funzione di stato.
L’equazione di stato può essere semplice, come vedremo in seguito per i gas ideali, o complicata.
In molti casi se ne ignora la forma esatta ma il fatto più importante è che sappiamo che U esiste!
Possiamo allora scrivere:
U = U(V,T) oppure U = U(p,T) e quindi
⎛ ∂U ⎞ ⎛ ∂U ⎞
dU = ⎜ ⎟ dV + ⎜
⎝ ∂T ⎟⎠ V
dT oppure
⎝ ∂V ⎠ T
⎛ ∂U ⎞ ⎛ ∂U ⎞
dU = ⎜ dp + ⎜⎝ ⎟ dT
⎝ ∂p ⎟⎠ T ∂T ⎠ p
⎛ ∂U ⎞ ⎛ ∂U ⎞
si noti che ⎜
⎝ ∂T ⎟⎠ V ⎜⎝ ⎟
e
∂T ⎠ p
sono differenti dal punto di vista matematico e, come vedremo hanno anche un significato fisico
differente.
I due termini rappresentano infatti le variazioni dell’energia interna con la temperatura in una
trasformazione a volume costante e in una a pressione costante, rispettivamente.
216
Nota:
è possibile effettuare una espansione o una compressione adiabatica di un fluido utilizzando delle
pareti adiabatiche mediante una trasformazione quasi-statica oppure rapida.
Questa prima fase della trasformazione, prima che inizi lo scambio di calore attraverso le pareti, può
allora essere considerata adiabatica (ma non quasi-statica).
217
Il calore e il 1° principio della termodinamica.
Abbiamo visto come si possa passare da uno stato A di equilibrio ad uno stato B di equilibrio
mediante una trasformazione quasi-statica e come si possa calcolare il lavoro lungo questa
trasformazione (per un sistema pVT).
c)
218
In a) un gas si espande
a)
adiabaticamente, in modo quasi-
statico oppure no, compiendo un
lavoro (spostamento del peso sul
pistone).
b)
In b) un liquido in equilibrio con il
suo vapore viene scaldato con una
fiamma, quasi-staticamente oppure
no, attraverso una parete
diatermica. Il liquido evapora con un
c) aumento di p e T ma non viene
compiuto lavoro.
In c) un gas è messo in contatto mediante una parete diatermica con una fiamma e, in modo quasi-
statico o no, compie lavoro.
219
Una delle trasformazioni più familiari è quella che si verifica quando si mettono a contatto due corpi
a temperature differenti.
Sappiamo sperimentalmente che dopo un po’ di tempo entrambi i corpi raggiungono l’equilibrio
termico ad una temperatura intermedia.
Fino all’inizio del secolo XIX questi fenomeni, che costituivano argomento di studio della
termometria, venivano spiegati postulando l’esistenza di un fluido, detto “calorico”, che era
posseduto da ogni corpo.
Più era alta la temperatura del corpo, maggiore era la quantità di calorico da esso posseduta.
Mettendo a contatto due corpi, quello che possedeva più calorico ne cedeva una parte a quello che ne
possedeva di meno e la quantità totale restava costante.
il calore è quella entità che viene scambiata fra un sistema e l’ambiente circostante
esclusivamente in virtù di una differenza di temperatura.
1. far espandere un gas mediante un lavoro adiabatico e quindi a spese della sua energia interna
(Ladiab. = -ΔU)
In questo secondo caso, nel quale il lavoro non è adiabatico, sperimentalmente si verifica che
In entrambi i casi ΔU è la stessa. (U infatti è una funzione di stato e dipende solo da p,V e T).
In questo caso (Ln.a. ≠ - ΔU), perché resti valido il principio di conservazione dell’energia, dobbiamo
supporre che una qualche forma di energia, diversa dal lavoro, sia scambiata fra ambiente e
sistema.
Questa nuova forma di energia “scambiata”, necessaria per salvare la validità del principio di
conservazione dell’energia, la chiamiamo “calore”.
222
Assumiamo come definizione termodinamica (operativa) del calore la seguente:
Quando un sistema esegue una trasformazione durante la quale può essere compiuto del lavoro,
l’energia trasmessa con mezzi non meccanici, pari alla differenza tra la variazione di energia interna e
il lavoro compiuto, prende il nome di calore.
ΔU = Q - L 1° principio della termodinamica
Per convenzione, nell’equazione precedente, abbiamo considerato positivo il calore assorbito dal
sistema e negativo quello ceduto.
Il calore è una forma di energia, come ΔU ed L, e quindi la sua unità di misura è il Joule.
223
Il 1° principio della TD introduce tre concetti:
Il concetto di calore.
Il calore è un’energia che viene trasferita.
Esso fluisce da un punto ad un altro in virtù della differenza di temperatura.
Quando il flusso è cessato non ha più senso parlare di calore ! ! !
La frase “il calore di un corpo” è priva di significato così come quella di “lavoro di un corpo”.
Abbiamo visto che il lavoro compiuto dal (o sul) sistema dipende dal percorso seguito per andare
da uno stato A ad uno stato B.
Dal 1° principio della TD, essendo U una funzione di stato, segue immediatamente che anche Q
dipende dal percorso.
Ne discende che dQ non è un differenziale esatto e quindi d’ora in poi scriveremo dQ per
indicare una quantità infinitesima di calore trasferito.
224
Scambio di calore fra due corpi.
Consideriamo due sistemi A e B contenuti in un recipiente adiabatico e supponiamo che sia A che B
siano a contatto tra loro mediante pareti diatermiche e siano soggetti a trasformazioni
termodinamiche. Si ha:
Sommando si ottiene
⎡ ⎤
(U af + U bf ) - (U ai + U bi ) + ⎢ LA + LB ⎥ =0
⎢ (lavoro del sistema A+B) ⎥
(ΔU del sistema A+B) ⎣ ⎦ adiabatico
e quindi
Q A + QB = 0 ! QA = -QB
In condizioni adiabatiche il calore assorbito (o ceduto) dal sistema A è uguale, in modulo, al calore
ceduto (o assorbito) dal sistema B.
225
Forma differenziale del primo principio.
Per una trasformazione infinitesima si ha:
d Q = dU + d L
Per una trasformazione quasi-statica dU e d L si possono esprimere in termini delle sole coordinate
termodinamiche e, nel caso di un sistema idrostatico (pVT) il 1° principio diviene:
d Q = dU + pdV
Nota: il termine d Q (e quindi dU + pdV) non è una forma differenziale esatta (integrabile).
Si può dimostrare che, nel caso di due variabili indipendenti, esiste sempre una funzione che
moltiplicata per la forma differenziale la rende esatta (e quindi integrabile).
Vedremo più avanti questa proprietà di d Q .
226
Capacità termica.
Se un sistema assorbe calore, a secondo della trasformazione a cui è sottoposto, la sua temperatura
può cambiare oppure no.
Se la temperatura cambia da Ti a Tf, con ΔT = (Tf - Ti), a causa di uno scambio di calore pari a Q, si
definisce
Q ⎛J⎞
Capacità termica media del sistema C= ⎜ ⎟
ΔT ⎝K⎠
C 1 Q ⎛ J ⎞ ⎛ quantità di calore per innalzare di 1 K ⎞
c = = d ⎜ ⎜⎝ la temperatura dell 'unità di massa ⎟⎠
m m dT ⎝ kg K ⎟⎠
C 1 dQ ⎛ J ⎞ ⎛ quantità di calore per innalzare di 1 K ⎞
c= = ⎜
n n dT ⎝ mole K ⎟⎠ ⎜⎝ la temperatura di una mole di materia ⎟⎠
227
La capacità termica di un sistema (sostanza) dipende dal tipo di trasformazione che esso subisce
durante lo scambio di calore.
Essa ha un valore preciso solo se si definisce il tipo di trasformazione.
⎛ dQ ⎞
Cp = ⎜ ( in generale è una funzione di p e di T )
⎝ dT ⎟⎠ p
⎛ dQ ⎞
CV = ⎜ ( in generale è una funzione di V e di T )
⎝ dT ⎟⎠ V
In generale Cp ≠ CV.
Sebbene Cp e Cv varino con le coordinate termodinamiche, per piccoli intervalli di valori possono essere
considerate costanti.
228
In una trasformazione quasi-statica a pressione costante (isobara) detta Cp la capacità termica del
sistema a pressione costante, si ha:
⎛ dQ ⎞ Tf Tf
Cp = ⎜
⎝ dT ⎟⎠ p
e quindi Qp = ∫ Ti
C p dT = m ∫ c p dT
Ti
(
Q p = mc p T f − Ti )
D’altra parte se ci riferiamo a una trasformazione quasi-statica a volume costante (isocora) avremo
⎛ dQ ⎞
CV = ⎜ QV = ∫
Tf Tf
CV dT = m ∫ cV dT e se cV ~ cost con T (
QV = mcV T f − Ti )
⎝ dT ⎟⎠ V Ti Ti
1 cal = 4,1860 J
230
Nel 1920 si decise di usare questo risultato per definire il calore specifico dell’acqua:
cal J J
c H 2O = 1 = 4,186 = 4186, 0
g °C g °C kg °C
Quindi sia la caloria, sia l’equivalente meccanico del calore, e di conseguenza il calore specifico
dell’acqua, sono definiti con riferimento all’intervallo tra 14,5 e 15,5 °C.
4, 22
Calore specifico J
4, 21 dell’acqua g °C
4, 20 In figura è mostrato come varia il calore
4,19 specifico dell’acqua espresso in J/g °C
4,18 al variare della temperatura.
4,17 t °C
20 40 60 80 100
231
Esempio.
Due corpi A e B, rispettivamente di massa mA ed mB e calore specifico cA e cB, si trovano alle
temperature TA e TB e vengono messi a contatto fra loro. Tutto il sistema è isolato adiabaticamente.
Determinare la temperatura finale di equilibrio del sistema.
Inoltre c=
1 dQ
m dT
(
⇒ Q = m c T f − Ti ) (supponiamo c ≈ cost con T)
( ) (
QA = mA cA T f − TA e QB = mB cB T f − TB )
( ) (
mA cA T f − TA = − mB cB T f − TB )
m A c A TA + m B c B TB
mA cAT f + mB cBT f = mA cATA + mB cBTB ⇒ T f =
m A cA + m B cB 232
Serbatoio (o sorgente) di calore.
Supponiamo che un sistema si trovi a contatto e in equilibrio termico con un corpo di massa
estremamente grande (capacità termica infinita) e che abbia luogo una qualunque trasformazione.
Se la massa del corpo è davvero molto grande, una quantità di calore anche finita, scambiata con il
sistema durante la trasformazione, non ne cambierà la temperatura in modo apprezzabile.
Un corpo siffatto, cioè con la capacità di assorbire o cedere una quantità di calore illimitata senza
che la sua temperatura e le altre coordinate termodinamiche subiscano cambiamenti apprezzabili, si
chiama serbatoio (o sorgente) di calore.
Questo significa che le variazioni ci sono ma sono estremamente piccole. Così piccole da non essere
misurabili. Ovviamente un serbatoio di calore è una pura astrazione.
Abbiamo visto che una trasformazione non quasi-statica, causata da una forza finita non bilanciata,
produce fenomeni di turbolenza che impediscono di descrivere il sistema mediante delle coordinate
termodinamiche (sistema non in equilibrio meccanico).
Una situazione analoga si verifica ogni volta che c’è una differenza finita di temperatura tra il
sistema e l’ambiente circostante.
Nel sistema si crea una distribuzione non uniforme di temperatura che ne impedisce la descrizione
mediante coordinate termodinamiche (sistema non in equilibrio termico).
233
Durante una trasformazione quasi-statica di un sistema a contatto con una sorgente di calore, tuttavia,
la differenza tra la temperatura del sistema e quella dell’ambiente circostante è infinitesima.
Di conseguenza la temperatura del sistema è, istante per istante, uniforme e uguale a quella della
sorgente, e le sue variazioni sono infinitamente lente.
Anche il flusso di calore sarà infinitamente lento e può essere calcolato in termini di coordinate
termodinamiche riferite al sistema nel suo insieme.
NE CONSEGUE CHE:
Qualunque trasformazione quasi-statica di un sistema a contatto con un serbatoio di calore è
necessariamente isoterma!
Infatti, se la trasformazione è quasi-statica, il sistema è in ogni istante in equilibrio termico con
la sorgente di calore.
(La trasformazione di un sistema in contatto con una sorgente di calore non è necessariamente quasi-
statica: per esempio un cubetto di ghiaccio (sistema) gettato in un oceano (corpo di capacità termica
enorme ≡ ambiente circostante)).
234
Per realizzare, allora, una trasformazione quasi-statica che comporti una variazione di temperatura del
sistema si deve immaginare che il sistema venga posto a contatto, in sequenza, con una successione
infinita di serbatoi di calore, la temperatura di ciascuno dei quali differisce da quella del precedente di
una quantità infinitesima dT.
Il sistema sarà, istante per istante, in equilibrio termico con la sorgente con la quale viene messo in
contatto, ciascuna di esse sarà ad una temperatura che differisce da quella della precedente di una
quantità infinitesima dT.
235
Cambiamenti di stato. Calori di trasformazione o calori latenti.
Non sempre quando un corpo scambia calore con l’esterno cambia la sua temperatura.
Quando una sostanza cambia fase passando dallo stato liquido a quello di vapore o di solido o viceversa
il processo avviene a temperatura costante.
brinamento
liquido
La quantità di calore scambiato per unità di massa durante un cambiamento di stato si chiama “calore
latente” e lo indicheremo con λ: Q
=λ
m
236
Avremo così un
Calore latente di evaporazione λV
Calore latente di liquefazione λL
Calore latente di sublimazione λS
Evidentemente i calori latenti dei processi opposti sono numericamente gli stessi.
Per esempio il calore latente di evaporazione è uguale ed opposto al calore latente di condensazione.
In ogni caso è importante sapere che tutti questi processi avvengono a T = cost.
Alla pressione atmosferica, per esempio, non è possibile far superare all’acqua in ebollizione la
temperatura di 100 °C fino a quando tutta l’acqua nel contenitore non sia evaporata.
237
Esercizio.
a) 10 g di Cu a tCu = 100 °C sono posti in contatto con 10 g di ghiaccio a -10 °C. determinare quanto
ghiaccio si scioglie e la temperatura finale del sistema.
b) Che succede se tCu =1000 °C?
ccu = 0,093 cal /g °C; cgh = 0,53 cal /g °C; cH2 O = 1 cal/g °C; λgh = 80 cal/g.
Soluzione:
a) Il ghiaccio per scaldarsi da -10 °C a 0 °C ha bisogno di
Qgh =mgh cgh Δ tgh = 10 × 0,53 × (0-(-10)) = 53 cal
Può il Cu cedere abbastanza calore da portare il ghiaccio a 0 °C? Se togliamo al Cu 53 cal si ha:
Q’Cu =-Qgh = -53 cal = mCu cCu Δt’Cu = 10 × 0,093 (t’Cu - 100)
La risposta è si!
Abbiamo ora 10 g di ghiaccio a 0 °C e 10 g di Cu a 43 °C.
Il rame è più caldo e cede calore al ghiaccio che fonde. Quanto ghiaccio fonde? λgh = 80 cal/g.
Se il rame raggiunge gli 0 °C allora cede
Q’’Cu =mCu cCu Δt’’Cu = 10 × 0,093 × 43 = 40 cal.
Con 40 cal, se λgh = 80 cal/g, fondono solo 0,5 g di ghiaccio.
238
In conclusione nello stato finale avremo:
0,5 g di H2O, 9,5 g di ghiaccio e 10 g di Cu tutti a 0 °C.
Si noti che nella calorimetria, poiché ci interessano le variazioni di temperatura, possiamo
equivalentemente utilizzare i °C al posto dei K.
b) Rispondiamo alla seconda domanda: cosa succede se i 10 g di Cu sono a 1000 °C?
Il ghiaccio si scalda da -10 °C a 0 °C acquistando 53 cal come prima.
Questa volta la temperatura del rame dopo questo primo passo sarà:
Q’Cu =-Qgh = -53 cal = mCu cCu (t’Cu -1000) --> t’Cu = 943 °C
Abbiamo ora 10 g di ghiaccio a 0 °C e 10 g di Cu a 943 °C.
Il rame cede calore al ghiaccio e lo fonde. Quanto ghiaccio fonde?
Per fondere 10 g di ghiaccio occorrono (λgh = 80 cal/g) Q’ = 80 × 10 cal = 800 cal (il processo di
fusione avviene a t = 0 °C = cost).
Può il rame fondere completamente il ghiaccio?
Se nel processo il rame raggiungesse gli 0 °C cederebbe Q = mCu cCu (0 - 943) = -877 cal.
Poiché solo 800 delle 877 cal sono sufficienti a fondere il ghiaccio (a 0 °C) il rame non raggiungerà gli
0 °C e la sua temperatura sarà:
Q’’Cu =-800 = mCu cCu (t’’Cu - 943) --> t’’Cu = 83 °C
Abbiamo ora 10 g di H2O (il ghiaccio completamente fuso) a 0 °C e 10 g di Cu a 83 °C.
239
Si raggiunge l’equilibrio (non ci sono altri cambiamenti di fase) a
In conclusione avremo
10 g di H2O e 10 g di Cu a 7 °C
Allo stesso risultato saremmo giunti scrivendo l’equazione Q1 = - Q2 fra lo stato iniziale e finale dei
due sistemi:
mgh cgh (0 -(-10)) +mgh λgh + mH2O cH2O (tf -0) = - mCu cCu (tf - 1000).
ATTENZIONE però. Questa equazione si può scrivere solo se siamo sicuri che il cambiamento di fase
(in questo caso solido --> liquido del ghiaccio) è totale!!!!
Altrimenti bisogna risolvere il problema per parti.
240
Diagramma pV per una sostanza pura: l’acqua.
Se mettiamo 1 g di H2O a 94 °C in un recipiente di 2 l nel quale sia stato fatto il
vuoto, osserveremo che l’acqua evaporerà completamente e il sistema si troverà
nello stato di vapore, che diremo non saturo, con la pressione del vapore
p (bar) inferiore ad 1 atm (punto A). Se comprimiamo il vapore lentamente e
isotermicamente, si raggiungerà il punto B in cui il vapore comincia a condensare
formando la prima goccia di liquido. In queste condizioni parliamo di vapore
LIQUIDO
1 V (dm3) 241
Se ripetiamo il procedimento realizzando isoterme a temperature
sempre crescenti, (T1 < T2,<T3,<….) ci accorgiamo che le linee BC di
p (bar) equilibrio liquido - vapore diventano sempre più corte.
LIQUIDO
C2 B2
C1 B1
1 V (dm3) 242
Aumentando ancora la temperatura si raggiunge un valore (temperatura critica)
corrispondente a una isoterma (isoterma critica) per la quale il tratto BC si riduce
ad un solo punto: il punto critico.
Il punto critico corrisponde al punto di flesso dell’isoterma critica ed è definito
p (bar)
dalla pressione critica, dal volume critico e dalla temperatura critica ( pc , Vc , Tc ).
LIQUIDO
( pc ,Vc ,Tc )
punto critico
Isot
erm
a crit
C4 B4 ica
C3 B3 Tc
C2 B2
VAPORE
C1 B1
Miscela isoterma di
1 C liquido e vapore
B A
1 V (dm3) 243
Al di sopra della temperatura critica, all’aumentare di p, V diminuisce,
ma il vapore non condensa più.
Si parla allora non più di vapore ma di gas.
Questo non può più essere liquefatto, qualunque sia la pressione, ed
p (bar)
LIQUIDO esiste quindi solo la fase gassosa.
Isot
erm
a crit
C4 B4 ica
C3 B3 Tc
C2 B2
VAPORE
C1 B1
Miscela isoterma di
1 C liquido e vapore
B A
1 V (dm3) 244
L’insieme dei punti B, B’, B’’, …. e del punto critico, corrispondenti
alla transizione da vapore a vapore saturo, si trovano sulla curva
detta “curva del vapore saturo” (tratteggiata il giallo).
p (bar) Per una fissata temperatura rappresentano i punti in cui inizia la
LIQUIDO condensazione del vapore.
( pc ,Vc ,Tc )
Isot
erm
a crit
C4 B4 ica
C3 B3 Tc
C2 B2
VAPORE
C1 B1
Miscela isoterma di
1 C liquido e vapore
B A
Curva del
vapore saturo
1 V (dm3) 245
L’insieme dei punti C, C’, C’’, …. e del punto critico, corrispondenti
alla transizione da liquido-vapore a liquido saturo, si trovano sulla
curva detta “ curva del liquido saturo” (tratteggiata il blu).
p (bar) Per una fissata temperatura rappresentano i punti in cui inizia
LIQUIDO l’ebollizione del liquido.
( pc ,Vc ,Tc )
Isot
erm
a crit
C4 B4 ica
C3 B3 Tc
C2 B2
VAPORE
C1 B1
Miscela isoterma di
1 C liquido e vapore
B A
Curva del liquido saturo
1 V (dm3) 246
Le due curve si incontrano nel punto critico.
Al di sopra di questo punto le isoterme si possono approssimare a delle iperboli equilatere.
1 V (dm3) 247
Diagramma P-V per una sostanza pura (fasi liquida-gassosa-solida).
1 V (dm3) 248
Diagramma pT per una sostanza pura
Se si misura la tensione di vapore di un solido a varie
temperature fino a raggiungere il punto triplo si
Punto critico
ottiene la curva A. (Curva di sublimazione).
Punto triplo
Se si ripete la stessa operazione con un liquido si
Isoterma
P Curva di fusione
ottiene la curva B. (Curva di vaporizzazione).
critica
Raggiunto il punto triplo se si comprime la sostanza
A
fino a quando non c’è più vapore e si continua ad
Zona del Zona aumentare p si osserva che occorre cambiare la
liquido del
gas temperatura affinché liquido e solido coesistano.
C
Si ottiene così la curva C. (Curva di fusione).
B punto
triplo B
Zona del Al punto triplo coesistono le tre fasi sol.-liq.-vap.
solido
Curva di vaporizzazione
A Per tutte le sostanze la pendenza delle curve A e B è
Zona del vapore
positiva. La curva di fusione C ha, in genere,
T pendenza positiva.
Curva di sublimazione
Questo significa che la sostanza congelando si contrae. Infatti:. Se a T = cost si aumenta la pressione
da pA a pB , allora si passa da B ad A e quindi dalla fase liquida a quella solida.
Una importante eccezione è quella costituita dall’acqua.
249
Diagramma pT dell’acqua.
Ricordando l’equazione di Clapeyron in chimica
dp λ
Punto critico =
dT T (v B − v A )
Punto triplo
Isoterma
P Curva di fusione dove λ è il calore latente (per unità di massa) di
critica
transizione da una fase all’altra e
A
v è il volume specifico delle due fasi A e B,
Zona del Zona
liquido del si comprende perché, se la pendenza della curva C è
C gas
negativa l’acqua congelando aumenta di volume.
B punto Infatti per l’acqua, passando dallo stato liquido A allo
triplo B stato solido B, risulta:
Zona del
solido dp/dT < 0 λ< 0 quindi vB > vA.
Curva di vaporizzazione
A
Zona del vapore Evidenze sperimentali:
• la rottura delle condutture in inverno quando
Curva di sublimazione T
l’acqua ghiaccia, fenomeno che può essere
evitato lasciando scorrere l’acqua nelle tubazioni
• la fusione di un pezzo di ghiaccio quando viene
compresso.
250
Tutte queste informazioni su un sistema all’equilibrio p
termodinamico costituito da una sostanza pura, rappresentate
separatamente nei piani pV e pT, possono essere riassunte, in un
unico grafico, nello spazio pVT , tracciando le superfici definite
dall’equazione di stato f(p,V,T) = 0 che lega fra loro p, V e T.
V
p
p T
liquido
T
gas
solido
vapore
linea del
punto triplo
V
Sostanza pura che congelando si contrae.
251
p
Emerge con grande evidenza la difficoltà di scrivere un’equazione
di stato di una sostanza pura f(p,V,T) = 0 che riesca a descrivere
le superfici rappresentate nei diagrammi pVT.
V
p
p T
T liquido
gas
vapore
solido
linea del
punto triplo
V
Acqua: congelando si espande.
252
Umidità assoluta. Tensione di vapore. Umidità relativa.
Se si mette una goccia d’acqua in una stanza nella quale sia stato praticato il vuoto e facciamo in modo
che il sistema sia mantenuto alla temperatura ambiente costante, si osserva che, dopo un po’ di tempo,
l’acqua evapora completamente e che il vapore riempie l’intera stanza generando una piccola pressione p.
Ripetendo l’operazione con un piccolo bicchiere d’acqua, al posto della goccia, si potrà osservare che
dopo un tempo un po’ più lungo l’acqua contenuta nel recipiente evaporerà completamente.
La pressione p generata dal vapore sarà, questa volta, un po’ più elevata.
Chiameremo “umidità assoluta” (uA) la quantità di acqua per unità di volume (g/cm3 o kg/m3).
E’ evidente che nel secondo caso l’umidità assoluta sarà maggiore.
Come vedremo l’umidità assoluta non gioca un ruolo di grande importanza.
Rifacciamo la prova utilizzando questa volta una vasca d’acqua al posto del bicchiere.
Le molecole più veloci del liquido, quelle che avranno energia cinetica maggiore, sfuggiranno dal liquido
evaporando.
Noteremo che dopo una fase di evaporazione iniziale di una certa quantità d’acqua il processo di
passaggio di stato da liquido a vapore si fermerà.
La quantità d’acqua evaporata sarà tanto maggiore quanto più elevata sarà la temperatura.
253
Quando nell’ambiente la densità di molecole di vapore sarà diventata abbastanza grande il numero di
molecole che evaporerà nell’unità di tempo sarà uguale al numero di molecole che nello stesso intervallo
di tempo urterà la superficie del liquido restandovi intrappolata.
Si raggiunge così uno stato di “equilibrio dinamico”.
La pressione del vapore in questa condizione di equilibrio, a una fissata la temperatura prende il nome di
“tensione di vapore” e diciamo che siamo nella condizione di “vapore saturo”.
In altre parole quando p = pV (tensione di vapore) (ad una temperatura T fissata) siamo all’equilibrio e,
nell’unità di tempo, tante molecole evaporano quante tornano invece nella fase liquida.
Nel caso in cui il liquido evapora completamente, come quello della goccia o del bicchiere d’acqua in una
stanza, non si è nelle condizioni di vapore saturo e la pressione esercitata dal vapore è, ovviamente,
minore della tensione di vapore pV a quella stessa temperatura.
254
Chiamiamo “umidità relativa” (uR), alla temperatura T, il rapporto:
p(T )
uR (T ) =
pV (T )
Quindi, dire che, ad una certa temperatura T, l’umidità relativa uR è il 50% significa dire che la
pressione del vapore dell’acqua presente nell’ambiente è la metà della tensione di vapore a quella stessa
temperatura.
Se l’umidità relativa è il 100% significa che siamo all’equilibrio (vapore saturo) e non può più evaporare
altra acqua (p = pV).
Possiamo passare da uno stato di vapore non saturo A
(uR < 100%) a uno stato di vapore saturo (uR = 100%) B
abbassando la temperatura a pressione costante.
P
E’ il fenomeno della condensazione sulla superficie di un
liquido corpo freddo in un ambiente umido, o anche il fenomeno di
uR = 100%
C formazione della pioggia. Potremmo passare da A a C (uR =
100%) anche aumentando p a T = cost.
uR < 100%
Il passaggio da A a D, passando per B, porta alla formazione
solido D B
A della grandine.
F E vapore Il passaggio E ! F, dalla fase di vapore non saturo alla fase
di solido, mediante un abbassamento della temperatura, è,
T
infine, il fenomeno che conduce alla formazione della neve.255
Ovviamente è possibile effettuare la trasformazione contraria passando da B ad A aumentando la
temperatura oppure aggiungendo aria secca o non satura.
E’ così che funziona il phon per asciugare i capelli ed è questa la ragione per la quale il vento (non
saturo d’acqua, quindi con umidità relativa < 100%) asciuga i panni.
Il concetto di umidità relativa spiega perché d’estate si soffre il caldo soprattutto nei giorni più
umidi.
Il caldo secco infatti è molto meno fastidioso.
T
256
Gas ideali (punto di vista macroscopico).
Consideriamo un recipiente contenente un gas costituito da un numero N, molto grande, di molecole.
All’equilibrio si osserva sperimentalmente che operando su p, V e T
Queste tre leggi valgono per i gas reali per densità non molto elevate.
Sono tanto più precise quanto più il gas è rarefatto (non tanto rarefatto che si perda il significato
fisico macroscopico di pressione).
Siamo in condizioni simili al caso del termometro a gas ideale.
Chiameremo gas ideale un gas che “macroscopicamente” soddisfi le 3 eqq. precedenti.
e quindi
pV
= kN A e ponendo
nT
R prende il nome di “costante universale dei gas” e le sue unità di misura sono
J l ⋅ atm cal
R = 8,31 = 0,082 =2
mole ⋅ K mole ⋅ K mole ⋅ K
L’eq. 5) descrive molto bene la relazione matematica fra p, V e T per un gas rarefatto (simile a un gas
ideale) da un punto di vista macroscopico.
Si ricordi che nella 5) la temperatura T è espressa in gradi Kelvin (K). 258
Se rappresentiamo l’equazione di stato di un gas ideale nel piano pV, detto piano di Clapeyron, per
diversi fissati valori di temperatura, otteniamo delle curve che sono delle iperboli equilatere.
259
Trasformazioni termodinamiche di un gas ideale.
p Consideriamo due stati di equilibrio A e B di n moli di gas ideale.
pB B
Si ha: P’ext
pext
pAVA = nRTA
pA pBVB = nRTB pB VB
A pA VA
VA VB V
Si può andare da A a B mediante una qualsiasi trasformazione quasi-statica (per es. la linea
continua) o mediante una qualsiasi trasformazione non quasi-statica e quindi non rappresentabile nel
piano pV (per es. la linea tratteggiata).
Il lavoro per andare da A a B è dato da:
1) Se la trasformazione è quasi-statica allora in ogni punto p = pgas = pext , ed è quindi possibile
calcolare L che dipenderà dal tipo di trasformazione.
VB
L = ∫ p(V ) dV p = pressione interna all’equilibrio
VA
Il problema è:
determinare la dipendenza di U da p, V e T per un gas ideale.
Nella parte A è contenuto un gas mentre nella parte B è stato praticato il vuoto.
Questa espansione viene detta “espansione libera” in quanto non viene compiuto lavoro.
Infatti non ci sono parti meccaniche in movimento contro una forza esterna. 261
Il risultato sperimentale, dopo l’espansione libera, non
mostrava alcun cambiamento della temperatura del liquido
A B
calorimetrico C.
C Questo risultato sembrava essere tanto più corretto quanto
più bassa era la pressione del gas contenuto in A.
Diviene sempre più delicata quanto più piccola è la capacità termica del gas rispetto a quella del liquido
calorimetrico. E questo è tanto più vero quanto più il gas è rarefatto, e quindi a bassa pressione.
Sono le due capacità termiche, infatti, che determinano il ΔT.
L’operare, quindi, a pressioni sempre più basse per simulare un gas ideale fa peggiorare la
sensibilità dell’apparato sperimentale.
Rimane, quindi, senza risposta la domanda:
ΔT è effettivamente 0, oppure l’esperimento non è in grado di apprezzarlo?
Siamo nelle stesse condizioni (termometro a gas, equazione di stato dei gas ideali) in cui il gas reale,
quando è rarefatto, ha un comportamento che abbiamo definito “gas ideale”.
Supporremo, allora, che per un gas ideale risulti ΔT = 0.
262
Se il risultato sperimentale dell’esperienza di Joule indica che ΔT = 0 (misurata dal termometro), ne
segue che possiamo affermare che il gas non scambia calore con il liquido calorimetrico, e quindi
Q=0
D’altra parte nell’espansione libera non ci sono parti meccaniche in movimento contro una pressione
esterna (è un’espansione nel vuoto) e quindi risulta anche:
L=0
Dal 1° principio della TD allora risulta:
ΔU = Q - L = 0 ⇒ U = cost.
U(p,V,T) = U(T)
Il risultato è vero anche per un gas reale rarefatto, il cui comportamento è molto simile a quello di un
gas ideale.
263
Calore specifico molare di un gas ideale
1 ⎛ dQ ⎞ 1 ⎛ dQ ⎞
Abbiamo definito i calori specifici molari per una sostanza come CV = ⎜ e Cp = ⎜
n ⎝ dT ⎟⎠ V n ⎝ dT ⎟⎠ p
Nel caso di un gas ideale, dal 1° principio e per una trasformazione isocora, si ha dU =dQ, essendo
dL = pdV = 0. Allora
1 dU
CV =
n dT
⎛ ⎞ Tf
Si può omettere ⎜⎝ ⎟⎠ poiché U dipende solo da T, e quindi dU = nCV dT ⇒ ΔU = n ∫ CV dT
Ti
V
ΔU = nCV ΔT
Per un gas ideale, U è una funzione di stato che dipende solo da T, e questa relazione è sempre
vera indipendentemente dal percorso per andare da i a f (indipendentemente dal tipo di
trasformazione, anche se non quasi-statica) !!!!
(
ΔU = U f − U i = nCV T f − Ti ) (gas ideale)
E’ piuttosto Q che coincide con ΔU in una trasformazione isocora e quindi dQ è un differenziale esatto.
dQ = nC p dT
pdV = nRdT e il 1° principio si scrive nC p dT = nCV dT + nR dT
C p − CV = R Relazione di Mayer
Per un gas ideale: dU = nCV dT e poiché U dipende solo da T anche CV dipenderà solo da T.
D’altra parte, per un gas ideale, dalla relazione di Mayer, ed essendo R = cost, si deduce che anche Cp
dipende solo dalla temperatura.
Dalla definizione di Cp e CV si deduce che, a pressione costante, occorre più calore per innalzare di un
grado una mole di un gas ideale piuttosto che a volume costante.
Infatti:
Il rapporto
Cp
γ = >1
CV
266
CV e CP per i gas reali
a) Per i gas monoatomici (come i gas nobili), entro ampi valori di T
3 5
CV = R Cp = R γ = 1,667
2 2
5 7
CV = R Cp = R γ = 1, 4
2 2
c) Per alcuni gas biatomici e quelli poliatomici, entro ampi valori di T
Cp
≈ a + bT + cT 2 (a, b, c costanti dipendenti dal gas)
R
Per trasf. quasistatiche l’equazione pV = nRT vale in ogni punto della trasformazione, e si ha:
Vf Vf nRT V p
dQ = d L = pdV Q=L =∫ p dV = ∫ dV = nRT lg f = nRT lg i
Vi
trasf . quasi−statiche
Vi V Vi pf
Vf > Vi (espansione) ! Q e L > 0
Il calore assorbito dalla sorgente viene completamente trasformato in lavoro.
Vf < Vi (compressione) ! Q e L < 0
Il lavoro compiuto sul sistema viene completamente trasformato in calore e ceduto alla sorgente.
Una particolare trasformazione isoterma è l’”espansione libera” (espansione nel vuoto).
In questo caso non viene compiuto lavoro e si ha: ΔU = Q = L = 0.
Come vedremo questa trasformazione è di grande rilevanza nello studio del 2° principio della
termodinamica. 268
Trasformazioni adiabatiche di un gas ideale.
Sono le trasformazioni di un gas ideale che avvengono senza scambio di
calore con l’esterno, come per esempio quelle a cui è soggetto un gas
racchiuso in un recipiente costituito da pareti adiabatiche.
Trasformazione adiabatica ! Q= 0 e quindi non c’è scambio di calore.
Per un gas ideale fra due stati i ed f di equilibrio termodinamico, in una
trasformazione adiabatica, si ha:
⎛ p f V f piVi ⎞
L = −ΔU = −nCV (T f − Ti ) = −nCV ⎜
⎝ nR
−
nR ⎟⎠
= −
CV
(p V
C P − CV f f
− p V
i i )
= −
1
(
p V − piVi
γ −1 f f
)
Come accennato in una NOTA in precedenza, nella pratica, le trasformazioni rapide (non quasi-statiche)
nelle quali si raggiunge molto presto l’equilibrio meccanico e termico interno, prima che venga scambiato
calore con l’ambiente esterno attraverso la parete ( processo in generale più lento), possono essere
considerate adiabatiche.
269
Trasformazioni adiabatiche quasi-statiche di un gas ideale.
Per una trasformazione infinitesima, si ha:
dQ = 0 dL = - dU = pdV = -n CV dT
nRT dV
Ma p= e quindi nRT = − nCV dT con R = C p − CV
V V
dT R dV C p − CV dV dV
T
=−
CV V
=−
CV V
= − γ −1
V
( )
Integrando
( )
lg T = − γ − 1 lgV + C → lg T = − lgV γ −1 + C → lg T + lgV γ −1 = C → ( )
lg TV γ −1 = C
Poiché, all’equilibrio, in ogni punto deve essere pV = nRT, sostituendo V = nRT/p , oppure T = pV/nR
nella (1) si ha:
(1− γ )
T p γ
= cost (2) oppure pV γ = cost (3)
Cp
Poiché γ = >1 ,
CV
p f pi p T
V = cost ⇒ = ⇒ f = f
T f Ti pi Ti
Per la validità di questa equazione è sufficiente che solo gli stati i ed f siano di equilibrio termodinamico !
La trasformazione, dunque, non deve essere necessariamente quasi-statica.
273
Trasformazioni isobare di un gas ideale.
Sono trasformazioni di un gas ideale nelle quali la pressione nello stato finale in
quello iniziale, di equilibrio, sono le stesse.
Per esempio quelle di un gas ideale contenuto in un recipiente con pareti
diatermiche, dotato di un pistone mobile sul quale, dall’esterno, viene esercitata
una pressione costante p.
parete diatermica Se gli stati i ed f sono di equilibrio termodinamico, e inoltre si ha pi = pf, possiamo
scrivere:
Vf Vi Vf T f
Trasformazione isobara ! p = cost. p = cost ⇒ = ⇒ =
Tf Ti Vi Ti
Per la validità di questa equazione è sufficiente che solo gli stati i ed f siano di equilibrio termodinamico !
La trasformazione, dunque, non deve essere necessariamente quasi-statica.
Il gas può compiere lavoro e scambiare calore.
Q = nC p (T f - Ti )
Se p = cost. ⎛ nRT f nRTi ⎞
L = p (V f -Vi ) = p ⎜
⎝ p
−
p ⎟⎠
(
= nR T f - Ti )
Inoltre deve sempre essere ΔU = nCV (Tf – Ti) e dal 1° principio ΔU = Q – L risulta:
nCV (Tf - Ti) = nCp (Tf – Ti) - nR (Tf – Ti) che verifica la relazione di Mayer.
274
Se si cede calore al gas, la temperatura e il volume aumentano e il gas si riscalda e compie lavoro.
Se si sottrae calore si verifica il contrario.
Anche le trasformazioni isobare, perché siano quasi-statiche, richiedono che il sistema scambi calore
con infinite sorgenti, con temperature che variano con continuità da Ti a Tf .
Se la trasformazione avviene rapidamente contro una pressione pext = cost allora non è più quasi-statica
e non avviene quindi attraverso una successione di stati di equilibrio.
Non è più possibile allora calcolare il lavoro compiuto o subito dal sistema dall’equazione
Vf
L = ∫ p dV
Vi
In questo caso, se la pressione esterna è nota, è possibile calcolare il lavoro fatto o subito dal gas
contro la pressione esterna :
Vf
L = ∫ pext dV
Vi
Se pext = cost
Definiamo la funzione: H = U + pV
H = H(T)
Allora
( )
Tf
ΔH = n ∫ C p dT e se C p = cost ΔH = nC p T f − Ti
Ti
1 ⎛ dQ ⎞
Se la trasformazione è isobara: Cp = ⇒ dQ = nC p dT = dH
n ⎜⎝ dT ⎟⎠ p
1 dU 1 dH
CV = Cp =
n dT n dT
Per trasformazioni generiche e per quelle trattate, vale in ogni caso il 1° principio
dQ = nCV dT + pdV
e per i gas ideali, se le trasformazioni sono quasi-statiche, possiamo applicare l’equazione di stato
pV = nRT
in ogni punto delle trasformazioni.
277