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A GLORIA DI DIO
Come il cristianesimo ha prodotto
le eresie, la scienza, la caccia alle streghe
e la fin e della schiavitù
LilDAU
Ringraziamenti
La pratica religiosa
La magia
Il regno della magia è quello in cui gli esseri umani credono di po-
ter condizionare in modo diretto la natura e gli altri, a fin di bene
16 A GLORIA DI DIO
Monoteismo dualistico
Conclusione
Benché una gran parte di questo libro sia dedicata alla storia, i
miei fini non sono quelli dello storico, ma del sociologo - che è poi
quello che sono. Negli anni recenti mi sono dedicato ad assembla-
re e analizzare materiali storici diversi, per espandere le applica-
zioni delle mie teorie sociologiche originarie, le quali, a loro volta,
hanno lo scopo di illuminare la storia. Questo mio approccio im-
plica il dover sintetizzare il lavoro di molti storici, non per creare
una storia, ma per costruire dei «casi» adatti all'analisi. Di conse-
guenza, benché mi sia impegnato molto nel presentare un quadro
generale chiaro di ognuno dei quattro episodi, ho comunque omes-
so alcuni aspetti interessanti perché irrilevanti ai fini dell'analisi■
Com'è necessario per chiunque voglia scrivere uno studio
storico di portata rilevante, mi sono affidato a molte fonti «se-
LE DIMENSIONI DEL SOPRANNATURALE 21
1Dal momento che il libro spazia in un arco di tempo di più di duemila an-
ni di storia, mi è sembrato appropriato alleggerire il compito dei lettori
fornendo dei riferimenti di datazione relativi a ogni persona rilevante
menzionata nel testo, che abbia vissuto, compiuto o scritto le proprie ope-
re principali prima del 1930.1 riferimenti verranno posti alla prima occor-
renza significativa, e non alla prima menzione se si tratta di un qualcosa
di incidentale. Come ho fatto in questo caso, utilizzo la formula conven-
zionale BCE («Before Common Era») piuttosto che a.C., avanti Cristo. Tut-
ti gli anni non indicati con BCE appartengono all'epoca un tempo defini-
ta d.C., dopo Cristo.
2Rodney Stark, Un unico vero Dio: le conseguenze storiche del monoteismo,
Lindau, Torino 2009.
A GLORIA DI DIO
Capitolo 1
Diversità religiosa
gli effettivi testi religiosi greci, come quelli delle Rapsodie orfi-
che, presentino un'im magine attraente degli Dei - si racconta che
Zeus violentò sua madre, la quale diede alla luce sua figlia Per-
sefone, che fu violentata dal padre, Zeus, il che portò alla nasci-
ta di Dioniso, e cose simili. Quello che differisce molto dai rac-
conti di Omero è il fatto che qui gli Dei non si preoccupano di co-
se triviali, ma i temi centrali sono: morte, vita dopo la morte, giù-
stizia, penitenza e sacrificio (Burkert 1985).
Contrariamente alle immagini a noi comuni della pratica reli-
giosa greca e romana, che consistono soprattutto in banchetti e
feste in onore di Dei donnaioli, e in offerte votive alla ricerca dei
favori di divinità volubili, il concetto di «peccato» era estrema-
mente sviluppato fra alcuni gruppi dell'epoca classica, così come
l'idea della penitenza. Dunque c'erano dei gruppi e delle orga-
nizzazioni religiose che offrivano delle fedi molto esigenti, ad al-
to costo e ad alta tensione. Fra le più esigenti e austere c'erano le
fedi associate a Orfeo e Pitagora. Walter Burkert ha osservato
che, diversamente da molte altre religioni greche le cui origini
sono sconosciute, nel caso di Orfeo e Pitagora abbiamo dei «fon-
datori di sette» (Burkert 1985, p. 296).
L'identità di Orfeo è sconosciuta, e il nome probabilmente è
uno pseudonimo. Viene presentato come un cantante e un poe-
ta, e le opere a lui attribuite risalgono alla metà del VI secolo
BCE. Diversamente, Pitagora fu senza dubbio alcuno una figu-
ra storica (580-500 BCE ca.). Nacque a Samos e reclutò seguaci
per le sue idee religiose nell'Italia meridionale. Entrambe le fe-
di sottolineano il dovere dell'individuo di perseguire la perfe-
zione morale, e Burkert collega quest'aspetto al fatto che fosse-
ro fra le prim e religioni nel m ondo greco ad affidarsi principal-
mente alla parola scritta, più che a quella parlata (e memorizza-
ta): «La nuova forma di trasmissione introduce una nuova for-
ma di autorità alla quale l'individuo, a patto che sappia leggere,
ha accesso diretto senza necessità di una mediazione collettiva»
(Burkert 1985, p. 297).
Edwin O. James ha sostenuto che gli orfici rappresentassero il
«primo tentativo serio in Grecia di fare sì che il destino umano
34 A GLORIA DI DIO
scere il ruolo della teologia e delle rivelazioni nel dare origine al-
le dispute dottrinali. Quando molti individui si immergono nel-
lo studio delle scritture alla ricerca di ima comprensione più
profonda o di interpretazioni più chiare, è inevitabile che alcuni
giungano a conclusioni diverse. Le dispute sull'interpretazione
della scrittura spesso hanno spaccato comunità religiose che non
avevano altri motivi sociali o materiali per volere uno scisma, e
le facoltà di teologia ne sono un chiaro esempio. Allo stesso mo-
do, benché la maggioranza delle rivelazioni confermi l'ortodos-
sia prevalente, alcune possono includere delle differenze di en-
fasi o interpretazione, e quindi produrre degli scismi - e questa
è stata l'origine di molti gruppi dei primi tempi del cristianesi-
mo, come i montanisti e i manichei (Stark 1965 e 1999).
La trasformazione delle sette in chiese e la formazione di nuo-
ve sette possono essere osservate in tutti gli esempi storici di mo-
noteismo.
L'«anatema» di Costantino
Debolezza e tolleranza
Le due «Chiese»
molti aspetti sorse come reazione alla Chiesa del potere, essendo
formata da coloro i quali erano ancora dediti alla visione morale
del primo cristianesimo. La Chiesa della pietà avrebbe potuto es-
sere emarginata fino a diventare un'altra setta cristiana senza
successo, ma ciò non accadde a causa delle sue solide basi istitu-
zionali nel monacheSimo, il quale, a sua volta, era sostenuto
principalmente dalla nobiltà e dalle classi più elevate.
Il monacheSimo cristiano aveva le sue radici nell'ascetismo
ebraico e, probabilmente, nei sacerdoti pagani più ascetici. Ap-
parso inizialmente in Egitto, dove le comunità monastiche cri-
stiane esistevano già alla metà del III secolo, il monacheSimo si
espanse rapidamente dall'altra parte del Mediterraneo contem-
poraneamente alla «corsa» alle posizioni clericali da parte della
nobiltà (Fletcher 1997; H annah 1924; Hickey 1987; Johnson 1976;
King 1999; Knowles 1969; Mayr-Harting 1993; Smith 1892).
Giunti alla metà del IV secolo, i monaci e le monache cristiane
erano molte migliaia, e la maggioranza viveva in comunità orga-
nizzate. Naturalmente, coloro che vivevano ima vita ascetica si
sentivano spiritualmente superiori agli altri, così come ricono־
sceva la dottrina cattolica. Tuttavia, il loro antagonismo nei con-
fronti del normale clero e, soprattutto, della gerarchia ecclesiasti-
ca aveva una base diversa - non si trattava solamente del fatto
che quei religiosi non conducevano una vita ascetica, ma anche
che molti di loro avevano una vita assolutamente dissoluta. E
questa era una questione sulla quale non si poteva cedere. La
Chiesa della pietà tentò di continuo, nei successivi mille anni, di
riformare la Chiesa del potere.
Per certi aspetti, papa Gregorio Magno (540-604) fu una sorta
di primo protestante. Proveniente da una famiglia ecclesiastica,
fu comunque il primo monaco a sedere sul trono papale. E no-
nostante i molti problemi che dovette affrontare durante il suo
lungo papato, i suoi tentativi di riformare la Chiesa furono in-
cessanti. Le prime riforme si rivolsero alla vita monastica. All'i-
nizio del suo papato gli venne data una copia della Regola di san
Benedetto (480-547), e Gregorio Magno rimase talmente impres-
sionato dalle virtù e dal buon senso in essa contenuti da scrivere
60 A GLORIA DI DIO
Lassismo e tolleranza
delle chiese, «così che si può dire che il sostegno del popolo nei
suoi confronti doveva essere ampio ed entusiasta». Parte della
capacità di attrazione di Adalberto stava nelle sue idee e nei
comportamenti riformisti. Vestiva e viveva in modo umile, e at-
taccava l'autorità del papa. Dopo averlo ignorato per molto
tempo, la Chiesa condannò le sue attività in un sinodo condotto
da san Bonifacio nel 744. Ma Adalberto continuò il suo ministe-
ro. Quindi, l'anno successivo, si tenne un altro concilio nel qua-
le egli fu ufficialmente dichiarato eretico. Ma nemmeno questo
funzionò. Si riunì allora un altro sinodo, questa volta a Roma,
nel Palazzo Laterano, e san Bonifacio chiese che Adalberto fos-
se anatemizzato e scomunicato, e che i suoi scritti venissero con-
segnati alle fiamme. Il papa, però, assunse una posizione più in-
dulgente, e ordinò addirittura che i suoi scritti fossero posti ne-
gli archivi papali e non bruciati. Ciò nonostante, Adalberto
tornò dai suoi seguaci. Ancora, il papa consigliò moderazione e
suggerì un nuovo concilio. Non ci sono documentazioni in me-
rito a una effettiva riunione di tale concilio, né ulteriori menzio-
ni di Adalberto (Brooke 1971; Costen 1997; Lambert 1992; Moo-
re 1994; Russell 1965).
Date le dimensioni del seguito di Adalberto, le sue rivendica-
zioni estreme, e i suoi attacchi alla Chiesa, la cosa rilevante non
è il fatto che la Chiesa abbia risposto, ma che abbia rimandato la
sua reazione per così tanto tempo, per poi fare così poco. Il che
mi fa essere certo del fatto che molti altri dissidenti meno im-
portanti siano stati completamente ignorati, dalla Chiesa come
poi anche dagli storici.
Un secolo dopo Adalberto, gli storici trovano traccia di una
donna di nome Teuda, la quale attrasse molti seguaci sostenendo
di essere depositaria di rivelazioni speciali ricevute da Dio, fra le
quali la data della Seconda Venuta. La sua capacità di attrazione
non si limitò alla gente comune, al punto che «sembra che anche
alcuni uomini degli ordini sacri abbandonarono i loro posti per
seguirla» (Russell 1965, p. 108). Alla fine, anche lei provocò una
risposta ufficiale: le fu proibito di predicare e forse venne frusta-
ta. Alcuni secoli dopo, però, sarebbe stata destinata al rogo.
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 67
Le Crociate e la riforma
È Cristo stesso che esce dalla tomba e vi presenta questa croce [...].
Indossatela sulle vostre spalle e sui vostri petti. Fate che risplenda
70 A GLORIA DI DIO
sulle vostre armi e sui vostri vessilli. Sarà per voi certezza di vitto-
ria o trionfo del martirio. Vi ricorderà sempre più che Cristo è mor-
to per voi, e che è vostro dovere morire per lui! (In Payne, p. 35)
lidità dei sacramenti basati sulla carica e non sul carattere. Sem-
pre più, la gente iniziò a chiedere, come si può essere assolti dai
peccati da un libertino falso, venale e condannato aH'infemo? Ec-
co che «riforma ed eresia erano gemelle» (Lambert 1992, p. 390).
La trasformazione della riforma in eresia è ben illustrata dalla
carriera del Monaco Enrico, a volte noto come Petrobrusiano, e Ar-
naldo da Brescia (Brooke 1971; Cheetham 1983; Costen 1997; Lam-
bert 1992; Moore 1994; Russell 1965). Enrico, ordinato sacerdote e
monaco, fa la sua comparsa a Le Mans nel 1116, dove inizialmen-
te fu bene accolto dal vescovo locale. Predicava un messaggio
molto simile a quello di Roberto d'Abrissel, con attacchi al clero
dissoluto ed esortazioni a maggiori sforzi nei confronti dei pove-
ri. Però, la predicazione di Enrico fece molto più che incitare l'en-
tusiasmo locale: il suo messaggio spinse la gente a rivoltarsi con-
tro il clero. Le Gesta pontificum cenomannesium riferiscono che «il
suo discorso [...] fece rivoltare la gente contro il clero con una fu-
ria tale che le persone si rifiutavano di vendere loro qualsiasi cosa
volessero comprare, e li trattavano come gentili o pubblicani. Non
contenti di aver demolito le loro case e gettato via tutti i loro ave-
ri, li lapidarono e li misero alla berlina» (in Moore 1994, p. 88).
Essendo stato richiamato urgentemente in sede, il vescovo
espulse Enrico dalla regione, ma dovette ricorrere alla forza per
riguadagnare il controllo sulla sollevazione anticlericale. In se-
guito, Enrico predicò con grande effetto in una regione che an-
dava da Bordeaux a Losanna, e con il passare del tempo divenne
sempre più radicale. Presto iniziò a dire che la Chiesa non era ne-
cessarla, e che ogni individuo doveva forgiare da sé il proprio
rapporto con Dio - anticipando così Lutero di quattro secoli. Al-
la fine, si stabilì a Tolosa, dove pare avesse ricevuto protezione
da parte delle autorità civili locali. Nel 1145, papa Eugenio III
(1145-1153) mandò a Tolosa san Bernardo di Chiaravalle e altri
due vescovi per predicare contro il Monaco Enrico. Come risul-
tato, questi venne imprigionato dal vescovo di Tolosa, e nulla
più si conosce del suo destino.
Diversamente, il destino di Arnaldo di Brescia è ben noto. Na-
to in una famiglia della nobiltà minore, anche lui era un eccle
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 73
Il settarismo prolifera
I catari
I catari furono il primo grande movimento «eretico» di massa
a diffondersi quando i tentativi di riforma della Chiesa vennero
sconfitti, benché non fossero un risultato diretto del loro falli-
mento (Barber 2000; Brook 1971; Costen 1997; Lambert 1992 e
1998; Moore 1994; O'Shea 2000; Russell 1965). Infatti, nacquero
come movimento settario esterno e, fin dall'inizio, «costituirono
una sfida diretta e avventata alla Chiesa cattolica, che rifiutava-
no nettamente in quanto Chiesa di Satana» (Lambert 1998, p. 21).
Resta il fatto, comunque, che la rapida crescita dei catari può es-
sere ascritta allo stesso malcontento nei confronti della Chiesa,
generale e diffuso, che aveva avuto un così grande impatto nelle
missioni di Arnaldo ed Enrico.
I catari abbracciavano un dualismo quasi simmetrico. Esisto-
no due Dei, uno buono e uno cattivo. La prova dell'esperienza
umana dimostra per certo che il Dio del Bene non ha alcun coin-
volgimento con il mondo materiale, poiché esso è tragico, bruta
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 75
disseminati nella regione. Per dar loro la caccia, nel 1233 venne
fondata l'Inquisizione papale.
I valdesi
Nel frattempo, era nato un altro grande gruppo riformista, che
si dimostrò addirittura più popolare e longevo dei catari (Brooke
1971; Cameron 1984; Lambert 1992; Moore 1994; Russell 1965;
Toum 1989). Il movimento prese il nome da Valdo (o Valdesio),
un mercante molto ricco di Lione, città a nord della Linguadoca.
Nel 1176, ispirato dal racconto della vita di sant'Alessio (ricco ere-
de che scelse di vivere in povertà), Valdo regalò tutti i suoi beni -
per la precisione, gettò grandi somme di denaro per strada. Aven-
do commissionato la traduzione delle Scritture in francese in mo-
do da poter scoprire cosa insegnassero davvero i Vangeli, iniziò a
predicare un messaggio di povertà apostolica. Valdo attrasse ra-
pidamente un seguito, che prese il nome di Poveri di Lione, e del
quale si racconta che «davano via tutti i loro beni e li donavano ai
poveri, fatto che dimostra che avevano una certa ricchezza»
(Lambert 1992, p. 69). In effetti, in un imprecisato periodo succes-
sivo, fra i valdesi di Metz si annoverava un numero rilevante di
membri della nobiltà minore, e «i valdesi si guadagnarono il so-
stegno dei ricchi in Germania». Tuttavia, quando la persecuzione
s'intensificò, il gruppo fu sempre più composto da piccoli possi-
denti e artigiani (Lambert 1992, pp. 149,170).
All'inizio, i valdesi sembravano non avere alcuna intenzione
di formare una setta, e si allineavano al movimento di riforma
predicato un po' ovunque da persone che erano ancora dentro la
Chiesa. Nel 1179, dunque, una rappresentanza di valdesi si recò
a Roma, alla ricerca del sostegno papale. Ma la cosa destò note-
vole apprensione. Walter Map, cronista inglese, scrisse: «Vanno
in giro in coppia, a piedi nudi, avvolti in vesti di lana, senza pos-
sedere nulla, e mantenendo tutte le cose in comune come gli apo-
stoli [...]. Se li riconoscessimo, ne saremmo spazzati via» (in
Johnson 1976, p. 251). Il Papa benedisse il loro modo di vivere,
ma proibì loro di predicare. Ovviamente, i valdesi non obbedirò-
no e furono dichiarati eretici da papa Lucio III, nel 1184.
80 A GLORIA DI DIO
servizi religiosi per dar voce alle loro lamentele. Come scrisse
Norman Cohn, «predicavano molto, senza autorizzazione ma
con un considerevole successo popolare» (Cohn 1961, p. 164).
La gran parte delle beghine pare provenisse da famiglie ab-
bienti (Lambert 1992). Non era insolito per le figlie dei ricchi o
dei nobili entrare negli ordini religiosi - la maggioranza degli or-
dini femminili esigevano una tariffa d'entrata rilevante, alla qua-
le spesso ci si riferiva come a una dote. Ma le donne che entra-
vano a far parte delle beghine optavano per mantenere ima mag-
gior indipendenza e libertà di scelta, intraprendendo una vita re-
ligiosa senza prendere davvero i voti, pur osservando molte del-
le regole delle suore, castità compresa. Alcune vivevano come
mendicanti e viandanti, come le loro controparti maschili. La
maggioranza indossava una tonaca e, benché alcune continuas-
sero a vivere con la famiglia, spesso formavano delle comunità
religiose non ufficiali - quasi duemila beghine si riunirono in co-
munità a Colonia e dintorni nel tardo XIII secolo. Probabilmente
non era una coincidenza che Colonia fosse proprio il luogo in cui
erano stati scoperti i catari, un secolo prima. Come vedremo in
seguito, in questo capitolo e di nuovo nel capitolo 3, fu a Colonia
e in altre città e paesi lungo il Reno che un governo debole faci-
litò ogni sorta di non conformità. Nel corso dei secoli, molte ere-
sie si raggrupparono qui, e tutto questo sfociò nel luteranesimo
e nel calvinismo. Fu sempre qui che si verificò la gran parte de-
gli attacchi mortali, vietati, contro gli ebrei, e qui si ebbero anche
alcuni degli episodi più sanguinari di caccia alle «streghe».
In ogni caso, alla fine la Chiesa condannò sia le beghine che i
begardi. In risposta, alcuni dei begardi passarono alla clandesti-
nità, mentre pare che molte beghine siano entrare negli ordini uf-
fidali, soprattutto francescano e domenicano (Cohn 1961). Ma
molti altri resistettero, ottenendo ulteriore seguito, fino al XVI se-
colo, quando si fusero nella «Riforma protestante».
!flagellanti
Nel 1347, in Sicilia e in molte città portuali italiane scoppiò la
peste bubbonica 3. Nel giro di un anno si era diffusa in tutta Eu
LA VE RITA DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 83
Chiesa e dello stato, dal momento che erano proprio queste due
élite a costituire la spina dorsale del movimento. Ed è altrettan-
to assurdo ridurre i valdesi a dei pastori alpini, patriarchi o chis-
sà cos'altro. All'apice della loro fortuna furono un movimento
urbano, nel quale abbondavano in modo evidente le persone di
un certo livello sociale e privilegio. E anche dopo che furono
cacciati dalle città e spinti sulle montagne, i valdesi non furono
«montanari rozzi, ma artigiani, mercanti e locandieri» (Tourn
1989, p. 49).
Attribuire la maggioranza dei movimenti religiosi medievali a
poveri contadini o al proletariato delle città significa sfidare aper-
tamente la chiara evidenza del coinvolgimento massiccio dei ricchi
e dei privilegiati nella gran parte di questi movimenti, se non in
tutti. Inoltre, anche qualora potesse essere dimostrato che la mag-
gioranza dei seguaci dei diversi movimenti erano dei contadini
poveri, la cosa non avrebbe molto valore alla luce del fatto che qua-
si tutti nell'Europa del Medioevo erano contadini poveri. È anche
essenziale capire che l'enfasi posta da molti di questi gruppi sulle
virtù della povertà non era affatto una razionalizzazione dell'esse-
re poveri, ma un appello affinché i cristiani abbracciassero la «sa-
era povertà», come mezzo per superare la mondanità. L'accento
era posto sullo scegliere la povertà - un'opzione di certo non previ-
sta per i poveri - che corrisponde al particolare appello dell'asceti-
smo rivolto a coloro che sono nella posizione di poter scegliere.
Spesso si dice che la ricchezza non soddisfi molti di coloro che so-
no nati nel privilegio, e sembra che ciò sia stato particolarmente
vero in un'epoca in cui erano soprattutto i figli delle classi supe-
riori a ricevere ima grande quantità di educazione religiosa (come
di istruzione in generale), il cui interesse veniva così stimolato. I lo-
ro insegnanti e confessori privati di solito venivano scelti fra le fi-
la della cosiddetta Chiesa della pietà: solo loro erano in grado di
educare e istruire, dal momento che i parroci spesso erano addirit-
tura semianalfabeti, se non peggio4. Dunque, furono pii e colti mo-
naci a destare l'interesse per la salvezza in molti europei delle clas-
si superiori, com'è dimostrato dalle immense ricchezze accumula-
te dagli ordini grazie a ricchi benefattori che cercavano di evi
86 A GLORIA DI DIO
L'erudizione e l'eresia
Wyclif e i lollardi
Seduto nelle sue stanze a Oxford, John Wyclif (1328-1384) die-
de vita ai lollardi, il primo grande movimento eretico inglese
(Aston 1984; Dickens 1991; Lambert 1992; McFarlane 1952; Me-
Sheffrey 1995; Plumb 1986). E lo fece senza possedere un «potè-
re di leadership personale» o qualche interesse nel «costruire un
nuovo gruppo religioso» (Lambert 1992, p. 228). Benché avesse
preso i voti e accettato un incarico parrocchiale, Wyclif non
adempì ai suoi doveri sacerdotali. Utilizzò parte degli introiti
88 A GLORIA DI DIO
della parrocchia per pagare un altro che svolgesse per lui i com-
piti parrocchiali, e usò il restante denaro per mantenersi come
studioso a Oxford (Fines 1995). Dunque, le sue idee teologiche
furono interamente il prodotto dello studio accademico, non
temprato da ima qualsiasi forma di esperienza pratica.
Per vari aspetti Wyclif anticipò sia Lutero sia Calvino. Come
Lutero, credeva in un rapporto non mediato tra Dio e l'indivi-
duo, e quindi la salvezza non richiedeva l'intercessione della
Chiesa. Come Calvino, credeva nella salvezza dei predestinati.
Ma poneva l'enfasi principale, che gli causò così tanti problemi e
alla fine altrettanti ne causò alla Chiesa, sul fatto che la Chiesa
dovesse dar via i propri averi e praticare la povertà apostolica.
Inoltre, dal momento che gli individui dovevano riappacificarsi
personalmente con Dio, era impellente che venisse consegnata
loro la verità della Bibbia, soprattutto ai poveri. Quindi, orga-
nizzò diverse traduzioni della Bibbia in inglese - la prim a molto
letterale e difficile da leggere, la seconda abbastanza idiomatica
e facilmente comprensibile. Così, la Bibbia fu messa a disposi-
zione anche di coloro che non conoscevano il latino. In quei tem-
pi, prim a dell'invenzione della stampa, le copie effettive della
traduzione di Wyclif non erano abbondanti, e non c'erano tutte
queste persone capaci di leggere, persino in inglese. Di conse-
guenza, molti lollardi memorizzavano lunghe sezioni della Bib-
bia e le trasmettevano oralmente.
Il termine «lollardi» veniva usato in senso denigratorio dagli
oppositori del gruppo e proveniva dal danese medio «lollaert»,
che significava brontolone, o una persona che borbotta - «bor-
bottatori di preghiere» era la designazione generalizzata per i
gruppi eretici europei come i begardi, ma finì per indicare in ma-
niera specifica i seguaci inglesi di Wyclif (Dickens 1991). Benché
non sia chiaro se Wyclif svolse mai un ruolo diretto nella fonda-
zione dei lollardi, costoro erano comunque il suo seguito, essen-
dosi formati verso il 1380 intorno ad alcuni suoi colleghi di
Oxford. Il gruppo si estese rapidamente, trovando particolare so-
stegno fra i mercanti e gli artigiani delle città, ma anche fra le fa-
miglie nobili di possidenti terrieri - fra cui diversi cavalieri del
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 89
Al nascere del XVI secolo, la gran parte degli europei con una
fede religiosa sincera sentiva come un fardello la dilagante im-
moralità e irreligiosità della Chiesa. Molti altri, soprattutto la no-
biltà, ritenevano che la Chiesa fosse da disapprovare anche per
questione prettamente secolari. Dal momento che questi fattori
svolsero un ruolo davvero importante in quello che sarebbe ac-
caduto, è meglio delinearli brevemente.
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 93
Penitenza inaccessibile
Come discuteremo in dettaglio nella sezione dedicata al Iute-
ranesimo, la Chiesa cattolica romana insegnava che, benché i pec-
cati venissero perdonati se confessati a un sacerdote con spirito di
vera contrizione, le persone dovevano comunque fare penitenza
(solitamente definita con l'espressione «opere buone») per pagare
per i loro peccati. E dal momento che solamente i santi erano in
grado di controbilanciare i peccati con la penitenza in vita, tutti gli
altri dovevano prevedere di passare un lungo periodo di sofferen-
za nel purgatorio, una sorta di inferno meno duro. La durata di
questa permanenza poteva però essere ridotta in questa vita, tra-
mite diverse «opere» benefiche. Fra queste c'erano i pellegrinaggi
ai luoghi riconosciuti come sacri. Nel 1343, il valore di un pelle-
grinaggio alla Chiesa del castello di Wittenberg (con appropriata
donazione) era pari a quaranta giorni di sconto sulla permanenza
in purgatorio. Giunti al 1518, il valore si era inflazionato a «127.709
anni» in meno (Schwiebert 1950, p. 312). Si poteva guadagnare
uno sconto di tempo anche partecipando a Crociate ufficiali, o
svolgendo altri servizi per la Chiesa. Oppure, si poteva pagare per
servizi sacri, come messe celebrate per la propria anima dopo la
morte, o preghiere di monaci o suore - un tot di tempo scontato a
messa o preghiera. Fra i ricchi era pratica comune pagare per que-
sti servizi - Enrico Vili fece in modo di far celebrare diecimila
messe per la sua anima, al costo di sei pence l'una (Dickens 1991).
Era possibile abbreviare la permanenza in purgatorio anche do-
nando dei terreni o del denaro alla Chiesa. Alla fine, la Chiesa ini-
zio anche a vendere delle lettere di perdono note come indulgen-
ze, che cancellavano qualche peccato specifico (spesso in via pre-
ventiva) o condonavano del tempo in purgatorio.
La vendita dei servizi religiosi per i defunti o delle indulgen-
ze portò enormi somme nelle casse della Chiesa, molte delle qua
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 99
inglese della Bibbia, Wyclif si era difeso facendo notare che An-
na di Boemia aveva commissionato delle vulgate sia in ceco che
in tedesco. Come sottolinea Malcolm Lambert, per Anna queste
traduzioni «erano costosi vezzi devozionali» (Lambert 1992, p.
240), ma divennero presto molto di più quando apparve sulla
scena Jan Hus.
Comunque, nemmeno le vulgate fornivano un sostanziale ac-
cesso alle Scritture. Le copie manoscritte erano spesso poche,
motivo per cui i lollardi si specializzarono nella memorizzazione
di sezioni della Bibbia in inglese. Ma tutto questo stava per cam-
biare.
Intorno al 1455, Johannes Gutenberg (1397-1468) stampò la
prima Bibbia, e presto la seguirono una marea di libri, molti dei
quali copie della Scritture e testi religiosi (Eisenstein 1979; Hirsch
1967). L'invenzione della stampa stimolò una crescita molto ra-
pida dell'istruzione in tutta Europa. AH'improwiso, le persone
avevano qualcosa da leggere, e nella loro lingua. Laddove un
tempo i lettori si contavano a migliaia, presto si contarono a de-
cine di migliaia, e poi a centinaia di migliaia. Alla volta del 1500,
almeno un 3% dei tedeschi, circa 400.000 persone, sapeva legge-
re (Ozment 1980). Per servire questo pubblico in rapida crescita,
in ogni città piuttosto grande nacquero negozi di stampatori.
Presto, venditori ambulanti si mossero per le campagne venden-
do libri e pamphlet, con il risultato che numeri enormi di euro-
pei iniziarono a leggere da soli non solo la Bibbia, ma anche com-
mentari e trattati. Le vendite totali erano incredibilmente alte da-
ta la proporzione di persone capaci di leggere - fra il 1517 e il
1520, furono vendute 300.000 copie delle pubblicazioni di Lute-
ro che chiedevano la riforma della Chiesa (Ozment 1980). «Per la
prima volta nella storia dell'uomo, un vasto pubblico di lettori
giudicava la validità di idee rivoluzionarie attraverso un mezzo
di comunicazione di massa che utilizzava le lingue vemacolari
assieme alle arti del giornalista e del disegnatore» (Dickens 1966,
p. 51). Come scrisse correttamente Paul Johnson, «l'odore del-
l'inchiostro dello stampatore [fu] l'incenso della Riforma» (John-
son 1976, p. 271).
102 A GLORIA DI DIO
Erasmo e l'Umanesimo
credevano più. Infatti, pare che per gli umanisti la mitologia gre-
co-romana fosse plausibile e interessante tanto quanto il cristia-
nesimo. E ritenevano che le questioni teologiche al cuore del prò-
testantesimo potessero interessare solamente le masse supersti-
ziose. Il loro scopo pare fosse solamente quello di limitare le
«riforme» della Chiesa alla creazione di ima Chiesa-dentro-la-
Chiesa; erano mosche fastidiose, non gladiatori. Will Durant
esprime bene questo punto: Erasmo era «l'Umanesimo incarna-
to - il loro culto dei classici e dello stile latino raffinato, il loro ac-
cordo signorile di non rompere con la Chiesa, e di non disturba-
re l'inevitabile mitologia delle masse, a patto che la Chiesa striz-
zasse l'occhio alla libertà intellettuale delle classi colte e consen-
tisse una ordinata riforma interna degli abusi e delle assurdità
ecclesiastiche» (Durant 1957, p. 291). Quando Leone X divenne
papa, gli umanisti credettero che fosse giunto il loro momento,
dal momento che lui stesso si considerava umanista. Coerente-
mente con l'ambiente famigliare di provenienza, quello dei Me-
dici, Leone spese di più nel gioco d'azzardo che per i bisogni del-
la Chiesa (Bainton [1952] 1985). Questo «perdigiorno» era colpi-
to e divertito da quelle mosche fastidiose degli umanisti - certo,
fino a quando uno di loro si rivelò un gladiatore.
una lettera a papa Leone X, scritta sei mesi dopo aver affisso le
tesi: «È per me un mistero il modo in cui le mie tesi [...]si sono
diffuse in così tanti luoghi. Erano intese esclusivamente per il no-
stro circolo accademico, qui [...] erano state scritte in un lin-
guaggio tale che le persone comuni difficilmente potevano ca-
pirle. Utilizzavano categorie accademiche» (in Eisenstein 1979,
pp. 306-307). Probabilmente, Lutero non era del tutto sincero,
poiché sapeva che alcuni suoi amici avevano tradotto le tesi in
tedesco (e poco dopo in francese, inglese e italiano), e che gli
stampatori d'Europa avevano fin da subito riconosciuto il docu-
mento come un potenziale «best seller» - Margaret Aston ha esa-
gerato di poco affermando che «entro due settimane [lo conosce-
va] tutta la Germania ed entro un mese l'Europa intera» (Aston
1968, p. 76). Lutero aveva affisso le sue tesi il 31 ottobre 1517 - la
vigilia del giorno di Ognissanti. Giunti a dicembre, erano già tre
i diversi stampatori di tre differenti città ad aver diffuso delle tra-
duzioni in tedesco (Eisenstein 1979). Nei mesi successivi appar-
vero edizioni in numerosi altri luoghi, compresa l'Inghilterra. Da
queste e da ulteriori comunicazioni di massa derivarono la sim-
patia e il sostegno pubblico su scala così ampia.
Probabilmente proprio perché la critica di Lutero era divenuta
così nota al di fuori dell'élite che capiva il latino, la risposta della
Chiesa fu irosa e fulminea: papa Leone X gli ordinò di presentarsi
subito a Roma. Se Lutero avesse obbedito, sarebbe quasi sicura-
mente sparito nelle note a piè di pagina della sezione martiri. For-
tunatamente per lui, l'elettore tedesco Frederick si oppose alla
convocazione (anche lui era profondamente contrario alla vendita
delle indulgenze romane in Germania), e si giunse al compromes-
so per cui Lutero avrebbe dovuto presentarsi al cardinale Caieta-
no, ad Augusta. Arrivandovi il 7 ottobre 1518 con un salvacondot-
to di Frederick, Lutero scoprì che il cardinale non aveva alcun in-
teresse a discutere delle indulgenze. Per lui, l'intera questione si ri-
duceva a una sfida all'autorità del Papa, e quindi ordinò a Lutero
di ritrattare. Quando questi, con rispetto, si rifiutò, il cardinale, in-
furiato, gli ordinò di sparire dalla sua vista fino a quando non fos-
se stato pronto ad abiurare tutto in maniera incondizionata.
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 113
La Riforma inglese
Il protestantesimo svizzero
Zwingli
Fu Ulrich Zwingli (1484-1531) a guidare il diffuso entusiasmo
protestante degli abitanti di Zurigo e di altre città svizzere (Du-
rant 1957; Ozment 1980; Potter 1976; Walton 1967). Zwingli pre-
se i voti nel 1506, e i suoi parenti gli comprarono una parrocchia.
Fin dall'inizio, fu un ammiratore entusiasta di Erasmo e condi-
vise le sue preoccupazioni in merito alla necessità di riforma del-
la Chiesa. Tuttavia, ciò non si estendeva alla questione del celi-
bato: Zwingli ebbe ima serie di relazioni con donne della parroc-
chia, e alla fine convisse con una di loro, che sposò in segreto
mentre era ancora un sacerdote cattolico. Benché alcuni aspetti
della sua predicazione fossero «luterani» prim a ancora che si
sentisse parlare di Lutero, egli rispose immediatamente alle No-
vantacinque Tesi e iniziò ad attaccare la pratica delle indulgenze.
Infatti, convinse i vicini monaci benedettini a rimuovere un'indi-
cazione sull'altare della Vergine che prometteva la completa re-
missione dei peccati. La notizia di questo gesto, come di altri,
raggiunse Zurigo, e Zwingli venne invitato a occuparsi di un
«ufficio di predicatore» (Prddikaturen) in una grande chiesa della
città. Questo tipo di attività erano volte a soddisfare il desiderio
di sermoni, in rapida crescita in parte del m ondo laico colto, al di
là della normale Messa - coloro che detenevano questi incarichi
spesso venivano chiamati «sacerdoti del popolo». Gli uffici di
predicatore erano molto comuni in Germania, soprattutto nelle
Libere Città imperiali, e in quelle parti della Svizzera che alla fi-
ne divennero protestanti. Infatti, è stato dimostrato un chiaro le-
game tra l'esistenza di questo tipo di incarichi e il successo del
protestantesimo - i detentori di uffici di predicazione spesso for-
nirono ai movimenti protestanti locali l'ispirazione iniziale e una
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 125
Calvino
Giovanni Calvino (1509-1564) non fu solamente uno dei più
grandi e prolifici teologi cristiani e un predicatore superbo; fu
anche un grande stratega di attività sovversive, avendo adde-
strato e diretto una rete intemazionale di agenti-missionari «se-
greti» che costruirono con enorme successo un movimento clan-
destino «riformato» di massa (Kingdon 1956 e 1981). Benché sia
questo aspetto della carriera di Calvino a essere importante per
questo capitolo, sarà utile collocare brevemente queste attività in
un contesto biografico (Bouwsma 1992; Cottrer 2000; Kingdon
1956,1972 e 1981; Monter 1967; Ozment 1980; Parker 1975).
Calvino nacque in Piccardia, e fin dall'infanzia fu destinato a
una carriera clericale. Dunque, all'età di quattordici anni, fu man-
dato all'Università di Parigi, dove fra i compagni ebbe due futu-
ri santi, Francis Xavier (1506-1552) e Ignazio di Loyola (1491-
1556). Dopo aver ottenuto il diploma di master, si iscrisse all'Uni-
versità di Orléans, per studiare legge. Nel 1531, tornò all'Univer-
sità di Parigi, dove scrisse il suo primo libro, imo studio del filo-
sofo stoico romano Seneca. Π libro apparve nel 1532, e fu un gran-
de successo per un giovane e brillante umanista. Tuttavia, a dif-
ferenza della gran parte degli umanisti con cui era in contatto, fra
i quali il famoso Jacques Lefèvre d'Étaples, Calvino si convertì al
protestantesimo, motivo per cui dovette lasciare Parigi nel 1534.
Si stabilì in Svizzera, a Basilea, un operoso centro protestante. Lì
produsse la prima edizione del suo Istituzione della religione cri-
stiana - il capolavoro sul quale avrebbe continuato a lavorare tut-
ta la vita. Ancora prima della pubblicazione della prima edizione,
Calvino si recò in Italia, dove entrò in contatto con i rifugiati prò-
testanti che avevano trovato protezione alla corte della duchessa
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 127
I protestanti in Francia
La riforma in Spagna
I protestanti italiani
Il richiamo teologico
Come abbiamo già visto, la vasta letteratura sul motivo del
successo del protestantesimo si dedica quasi esclusivamente al
suo «richiamo teologico» e sottolinea gli aspetti popolari della
dottrina. Ovviamente, la dottrina ha un'im portanza enorme - è
difficile immaginare una qualsiasi altra sfida dottrinale all'auto-
rità cattolica con una simile profondità e popolarità. Tuttavia, so-
no pienamente d'accordo con Steven Ozment sul fatto che la
gran parte del lavoro svolto su questo argomento è poco realisti-
ca poiché enfatizza complessità dottrinali che ben pochi fra colo-
ro che divennero protestanti potevano aver notato. Di ancora
maggior importanza è il fatto che la dottrina protestante, all'e-
poca in esame, era essenzialmente una costante, e dunque non
può spiegare una variabile - non può dirci perché alcuni luoghi
sono divenuti protestanti e altri no. Questo non significa che la
dottrina vada estromessa da una spiegazione. Come ho osserva-
to in precedenza, la dottrina era un fattore assolutamente neces-
sarto; se le dottrine protestanti non avessero avuto un diffuso ri-
chiamo pubblico, non ci sarebbe stato nessun movimento prote-
stante. Dunque, assegno al richiamo teologico un fondamentale
140 A GLORIA DI DIO
le nazioni moderne includono molte aree che nel XVI secolo era-
no regni indipendenti, alcione delle quali differiscono per la con-
versione al protestantesimo o la fedeltà al cattolicesimo, ritengo
che la misura più plausibile della partecipazione alla Riforma sia
l'attuale percentuale di popolazione cattolica presente in ogni
nazione (dati fomiti dal Catholic Almanac del 1996). Questi dati
confermano con forza la mia tesi, con una correlazione dello 0,89.
Dunque, più antica era la cristianizzazione di un paese, più que-
sto paese aveva la probabilità di restare cattolico.
Su base sia qualitativa sia quantitativa, troviamo un notevole
riscontro per la tesi secondo la quale le variazioni nella forza ru-
rale del cattolicesimo svolsero un ruolo cruciale nel successo o
nel fallimento del protestantesimo.
100% 100%
n= (20) (21)
100% 100%
n= (31) (12)
Interesse reale
L'opinione pubblica ebbe pochissima importanza nella deci-
sione di molti regimi autocratici di abbracciare il protestantesi-
mo. In effetti, in diversi casi lo stesso protestantesimo aveva di
per sé poca importanza, servendo semplicemente come legitti-
mazione religiosa alla «nazionalizzazione» della Chiesa. Dal mo-
mento che il punto in questione è il motivo per cui dei regimi au-
tocratici optarono per il protestantesimo, o per il cattolicesimo, la
discussione si limita a questo tipo di governi. Di conseguenza,
non tratterò del successo del protestantesimo in Olanda, ma del
mantenimento della fede romana cattolica dei Paesi Bassi spa-
gnoli. Inizierò dai governi che scelsero di restare cattolici, e poi
esaminerò la situazione di quei governanti che si convertirono al
protestantesimo.
Rimanere cattolici
Nel 1296, re Filippo di Francia, alla disperata ricerca di fondi
per continuare la guerra con l'Inghilterra, impose una tassa sul
reddito della Chiesa. Infuriato, papa Bonifacio Vili emanò una
bolla pontificia nella quale proibiva ogni tipo di tassazione sul
clero o sulle proprietà della Chiesa. In risposta, Filippo mise fuo-
ri legge l'esportazione di denaro o metalli preziosi, e proibì agli
esattori papali di entrare in Francia. Successivamente, il papato
venne trasferito ad Avignone, nel 1305, in parte per farlo rientra-
re sotto la portata legale dei fondi francesi, e vi rimase fino al
1378 - per un arco di tempo che è divenuto noto come la «catti-
vità avignonese», durante il quale tutti i papi furono francesi.
Tuttavia, anche dopo che il papato tornò a Roma, la Chiesa in
Francia rimase subordinata alla Corona. Per tutto il XV secolo,
l'autorità del re sulla Chiesa si ampliò. All'inizio del XVI secolo
ciò sfociò in una notevole riforma della Chiesa di Francia (so-
prattutto dei monasteri), diretta dal cardinale d'Amboise, e fatta
applicare dal re. Poi, nel 1516, il potere della Corona venne for-
malizzato dal Concordato di Bologna, firmato da papa Leone X
e da re Francesco I. Al re fu riconosciuto il diritto di nomina per
tutti gli incarichi più elevati della Chiesa di Francia: dieci arcive
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 151
Diventare protestanti
Diversamente, in altre parti d'Europa, il valore enorme delle
proprietà della Chiesa e le sue continue esazioni finanziarie, ol-
tre che l'interferenza e l'arroganza ecclesiastiche, furono potenti
tentazioni e motivi di aspra lagnanza. Fino a quando vi era stata
una sola Chiesa, era stato rischioso sfidare l'autorità papale, co-
me scoprì Enrico IV quando fu lasciato a piedi nudi nella neve
da papa Gregorio VII. Ma ora, il protestantesimo offriva una fon-
te alternativa di legittimazione religiosa - davanti all'opzione
protestante, persino la scomunica era ormai una vuota minaccia.
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 153
Francia Basso
S pagna Basso
Portogallo Basso
P aesi Bassi spagnoli Basso
Polonia Basso
Italia Basso
C onvertiti al protestantesim o
Inghilterra A lto
S tati della G erm ania nordoccidentale Alto
D anim arca Alto
Svezia Alto
La riforma cattolica
Qui le questioni sono due, e sono molto diverse fra loro. Per-
sonalmente, mi sentirei di sostituire «Riforma cattolica» a «Con-
troriforma», però sarebbe fare della cattiva storia l'affermare che
i cambiamenti iniziati col Concilio di Trento (1562-1563) non sia-
no stati provocati dalla rapida crescita del protestantesimo. Pen-
sarla in questo modo significa ignorare che mentre il Concilio era
riunito, in Francia c'era una dura guerra civile per stabilire se do-
vesserò prevalere i cattolici o gli ugonotti. Dunque, sostenere che
le grandi riforme iniziate a Trento sarebbero avvenute comun-
que, indipendentemente dall'agitazione protestante, significa
ignorare il fatto che la Chiesa della pietà stava cercando di rifor-
mare la religione da molti secoli, e che i papi riformatori non era-
no comunque riusciti a fare dei passi avanti.
Non c'è discredito nell'amm ettere che la Riforma cattolica,
in gestazione da molto tempo, abbia avuto bisogno di una vi-
gorosa spinta protestante per venire alla luce. Ciò che è impor-
tante è che la Chiesa della pietà a Trento asserì il proprio potè-
re. Di conseguenza, con l'aiuto di nuovi ordini religiosi come
quello dei gesuiti, e di ordini rinvigoriti come i carmelitani, la
Chiesa della pietà presto giunse a dominare la Chiesa cattolica
romana e, alla fine, i riformatori raggiunsero i loro obbiettivi.
La simonia ebbe fine. Papi e vescovi divennero modelli di pietà.
Vulgate cattoliche ufficiali e poco costose furono messe a di-
sposizione in tutte le principali lingue. La Chiesa s'impegnò
davvero nell'evangelizzazione e nell'educazione del popolo, e
continua a farlo tuttora.
Tutte queste riforme sono state enormemente influenzate da
quella che è stata ritenuta la più importante decisione presa dal
Concilio: istituire una rete di seminari per preparare gli uomini al
sacerdozio locale. In precedenza, l'unica preparazione che la mag-
gior parte dei parroci riceveva veniva dal prestare servizio come
assistenti di altri sacerdoti, che a loro volta erano stati assistenti di
altri. Di conseguenza, nei secoli precedenti, molti sacerdoti erano
rimasti analfabeti, o quasi. Molti non erano in grado di celebrare
una Messa, e si limitavano a borbottare delle sillabe senza senso.
Pochi erano coloro che conoscevano i fondamenti della dottrina -
e tanti non sapevano nemmeno ripetere i Dieci Comandamenti, o
158 A GLORIA DI DIO
Conclusione /
La storia delle riforme e delle sette non finì nel XVII secolo.
Avrei potuto prolungare di molto questo capitolo esaminando
il modo in cui negli ultimi secoli 1 vari corpi protestanti ed
ebraici sono precipitati nel lassismo, e come questo li abbia co-
stretti a esternalizzare una m oltitudine di m ovim enti settari.
Anzi, molti gruppi religiosi del m ondo occidentale di oggi, fra
i quali i metodisti, gli episcopaliani, gli ebrei riformati e anche
gli unitariani, al momento stanno affrontando delle riforme se-
rie, così come in tutto il mondo molti gruppi islamici e in d ù 17.
Ma ho già scritto abbastanza altróve su questi sviluppi più re-
centi. In questo capitolo, il mio scopo era quello di svelare i
meccanismi sottostanti, piuttosto semplici, che generano il de-
siderio di riforma e favoriscono la formazione di movimenti
settari. Benché gli studiosi di scienze sociali siano in errore
quando asseriscono che vi siano delle motivazioni materialisti-
che nascoste alla base di tutte le sette e di tutte le riforme, han-
no comunque ragione nel considerare le sette un fenomeno ge-
nerico. Le sette e le riforme sono anche uri fenomeno inevitabile
poiché, benché vi sia un Unico Vero Dio, non ci potrà mai esse-
re un'Unica Vera Chiesa.
160 A GLORIA DI DIO
IQuesto non significa che sia la situazione usuale all'interno dei monotei-
smi, dove sono invece comuni i tentativi di imporre monopoli religiosi.
2Dal latino «tradere», consegnare, mettere in mano. È da qui che deriva il
termine traditore.
3Venne chiamata «Peste Nera» solamente alcuni secoli dopo (Ziegler
1971).
4Ancora nel 1617, san Vincenzo da Paola scoprì che il suo sacerdote loca-
le non conosceva il latino, neppure per quanto riguardava le parole del-
l'assoluzione (Delumeau 1997).
5Di recente, alcuni storici hanno individuato in Irlanda delle università ri-
salenti al VI secolo. La più famosa era quella di Clonmacnoise, che attira-
va studiosi non solo daU'Irlanda e dall'Inghilterra, ma anche dal conti-
nente. In effetti, gli studiosi irlandesi erano molto ammirati all'epoca ed
erano i benvenuti nelle scuole delle cattedrali d'Europa. Pare che le istitu-
zioni irlandesi siano andate distrutte durante l'occupazione norrena.
6La Colish (1997, p. 268) definisce la teologia di quest'epoca «la disciplina
a maggior rischio».
7Swanson 1995. Qualora la cifra sembri eccessiva, si pensi al fatto che la pre-
senza di un numero così elevato di sacerdoti in un'arcidiocesi spiega esat-
tamente la sensazione dei laici che la Chiesa fosse un fardello intollerabile.
8Questo significato è molto vicino al modo in cui oggi utilizzano il termi-
ne i gruppi antireligiosi come l'American Humanist Association.
9In realtà, san Tommaso d'Aquino scriveva in un latino eccellente, ma non
era quello stile fiorito, poetico, tanto ammirato da Valla e dagli umanisti.
Alfred Crosby (1998, p. 75) ha descritto la prosa di san Tommaso come
«ossuta, scarna, priva di allitterazioni, figure retoriche e perfino metafore,
eccetto quando fosse la tradizione a richiedere diversamente (non poteva
certo rifiutare la poesia dei Salmi, ma criticava Platone per la stravaganza
del linguaggio.) Π suo modo di ragionare e la sua scrittura sono quasi ma-
tematici: i traduttori inglesi si servono talvolta di simboli algebrici come
del mezzo migliore per esprimere, nella lingua del XX secolo, ciò che egli
scrisse nel latino del XIII».
10Π paragone più appropriato è con le battute «interne» che i gruppi etni-
ci, razziali e religiosi spesso fanno fra di loro, battute che sarebbero consi-
derate molto offensive se provenissero da esterni. Erasmo era, tecnica-
mente, un monaco.
IIProtestanti: Basilea, Berna, Ginevra, Sciaffusa e Zurigo; cattolici: Fribur-
go, Lucerna, Svitto, Soletta, Untervaldo, Uri e Zugo; divisi: Appenzello e
Glarona.
LA VERITÀ DI DIO: SETTE E RIFORME INEVITABILI 161
Cos'è la scienza?
scienza perché, fino a tempi recenti «la tecnica, pur nei suoi prò-
gressi, talvolta considerevoli, non era che empirismo», come ha
osservato Marc Bloch (1999, p. 102). Ciò significa che il progres־
so fu il prodotto dell'osservazione, dell'esperimento e dell'erro-
re, a cui mancavano però le spiegazioni, la teorizzazione. Questa
puntualizzazione si applica persino a Niccolò Copernico (1473־
1543), dal momento che la sua concezione eliocentrica del siste-
ma solare era semplicemente ima tesi descrittiva (e quasi del tut-
to sbagliata). Copernico non aveva nulla di utile da dire sul per-
ché i pianeti mantenevano le loro orbite intorno al sole, o le lune
intorno ai rispettivi pianeti. Fino all'arrivo di Newton non vi fu
nessuna teoria scientifica sul sistema solare. Annovero Copernico
fra i fondatori della scienza moderna solamente in virtù della sua
influenza e partecipazione a una rete di astronomi il cui lavoro
presto si sarebbe caratterizzato come vera scienza. Quindi, nem-
meno le prim e innovazioni tecniche avvenute in epoca greco-ro-
mana, nel mondo islamico e in Cina, per non parlare di quelle ot-
tenute nelle ere preistoriche, costituiscono una scienza, ma pos-
sono essere meglio descritte come sapere, saggezza, arti, mestie-
ri, tecniche, tecnologie, ingegneria, apprendimento o semplice
conoscenza. Così, per esempio, gli antichi eccellevano nelle os-
servazioni astronomiche anche senza l'utilizzo di telescopi, ma
queste osservazioni rimasero dei semplici «fatti» fino a quando
non furono collegate a teorie verificabili. Charles Darwin espres-
se in maniera brillante questo punto:
Nel suo best seller The Discoverers (1983; ed. it. L'avventura del-
la ricerca, 1985), Daniel Boorstin, professore illustre delTUniver-
sity of Chicago, vincitore del premio Pulitzer, responsabile della
Library of Congress, inserì un capitolo dal titolo «La prigione del
dogma cristiano», nel quale condannava il cristianesimo per aver
imposto all'Europa un'era di generale ignoranza e fanatismo:
Alla fine apparve, lontano dai centri del pensiero, ai confini della
Polonia, uno studioso semplice e ingenuo, il quale per primo e con
franchezza disse la verità al mondo moderno - verità oggi così ba-
naie, ma allora così stupefacente - che il Sole e i pianeti non ruota-
no intorno alla Terra, ma la Terra e i pianeti intorno al Sole (White
1896, p. 121)
Inoltre, dal momento che la Bibbia non afferma che delle intelli-
genze appropriate muovano i corpi celesti, si potrebbe dire che non
appare necessario presupporre intelligenze di questo tipo, perché
si potrebbe rispondere che Dio, quando creò il mondo, mosse
ognuna di queste sfere celesti a Suo piacimento, e nel muoverle im-
presse su di loro degli impeti, che le muovono senza che Egli deb-
ba farlo nuovamente. [...] E questi impeti che Egli impresse nei
corpi celesti non furono diminuiti né corrotti in seguito, perché non
c'è nessuna inclinazione dei corpi celesti per altri movimenti. Né
esiste una resistenza che possa essere corruttiva o repressiva di
quell'impeto. (In Clagett 1961, p. 536)
Empirismo scolastico
Questi studiosi devoti non erano affatto intimiditi dal sapere
classico. Abbiamo già visto come scolastici quali Giovanni Buri-
dano e Nicola d'Oresme confutarono le importanti tesi di autori
classici. Il caso di Alberto Magno (1205-1280) è esemplare. Pro-
babilmente nessun altro fece tanto quanto lui per «mettere in
contatto la cristianità occidentale con la tradizione aristotelica»
(Lindberg 1992, p. 230). Ma Alberto non si accontentò di inter-
pretare Aristotele. Piuttosto, lo integrò e lo corresse al meglio
delle sue capacità. Di conseguenza, tentò, quando possibile, di
sottoporre le teorie empiriche di Aristotele (ma anche di altri) al-
la verifica dell'osservazione, riscontrando che spesso erano erra-
te. Nel frattempo, divenne «forse il miglior botanico di tutto il
L'OPERA DI DIO: LE ORIGINI RELIGIOSE DELLA SCIENZA 191
La differenza cristiana
ginato da una sola fonte. Non può infatti provenire che dalla con-
cezione medievale, che insisteva sulla razionalità di Dio, al quale
veniva attribuita l'energia personale di Yahweh e la razionalità di
un filosofo greco. Ogni particolare era controllato e ordinato: le ri-
cerche sulla natura non potevano sfociare che nella giustificazione
della fede nella razionalità. Non parlo, si badi, delle convinzioni
dichiarate di pochi individui. Ciò che ho in mente è l'impronta la-
sciata nello spirito europeo da ima fede secolare e incontestata. È
questo che intendo con tono istintivo del pensiero e non un mero
credo espresso con parole. (Whitehead [1925] 2001, pp. 30-31)
Qualsiasi resoconto che voglia essere storico [...] deve prestare do-
vuta attenzione alla profonda compenetrazione di idee scientifiche
e religiose. Sembrerebbe irragionevole negare la motivazione reli-
giosa nei numerosi casi nei quali essa venne esplicitata dagli scien-
ziati stessi, spesso con dolorosa enfasi. Mai fu spesa energia nella
scienza senza la rassicurazione della coscienza cristiana. (Webster
1986, p. 213)
I casi negativi
Cina
Solamente tre anni prim a dell'affermazione del suo co-autore
Alfred N orth Whitehead, secondo cui il cristianesimo aveva co-
stituito la base per lo sviluppo della scienza, Betrand Russell tro-
vava piuttosto sconcertante la mancanza di scienza in Cina. Dal
suo punto di vista di ateo militante, la Cina avrebbe dovuto svi-
luppare un discorso scientifico molto prima dell'Europa. Egli af-
ferma: «Nonostante, sino a oggi, la civiltà cinese sia stata man-
chevole nella scienza, essa non ha mai nutrito sentimenti di osti-
lità verso di essa, quindi il diffondersi del sapere scientifico non
dovrebbe incontrare ostacoli pari a quelli posti dalla Chiesa in
Europa» (Russell 1922, p. 193).
Tuttavia, nonostante fosse certo del fatto che, non essendo af-
flitta dalla Chiesa, la Cina avrebbe presto superato la scienza oc-
cidentale5, non riuscì a capire che erano proprio impedimenti di
tipo religioso ad aver ostacolato l'ascesa della scienza in questo
paese. Benché da secoli la gente comune veneri una ricca schiera
di Dei, ciascuno con un limitato raggio d'azione e spesso privi di
caratteristiche definite, gli intellettuali cinesi si sono sempre van-
tati di seguire credi «senza Dei», nei quali il soprannaturale è
concepito come un'essenza o un principio che governa la vita,
impersonale, distante e certamente non un essere vivente. Il Tao
è un esempio di essenza; ying e yang rappresentano un princi-
pio. Proprio come le divinità di poca importanza non creano un
universo, non lo fanno neanche essenze o principi indistinti; an-
zi, sembra che non siano in grado di fare nulla.
Così come viene concepito dai filosofi cinesi, l'universo sem-
plicemente è, ed è sempre stato. Non vi sono motivi per suppor-
re che funzioni secondo leggi razionali o che potrebbe essere
compreso in termini fisici piuttosto che mistici. Di conseguenza,
200 A GLORIA DI DIO
nel corso dei millenni gli intellettuali cinesi sono andati in cerca
di «illuminazioni» e non di spiegazioni. E questa è proprio la
conclusione alla quale giunse lo storico marxista Joseph
Needham, il quale dedicò la maggior parte della sua carriera e
diverse opere alla storia della tecnologia cinese. Non essendo
riuscito, dopo moltissimi tentativi, a trovare ima spiegazione
materialistica, Needham concluse che i cinesi non erano riusciti
a sviluppare la scienza a causa della loro religione e per Tinca-
pacità degli intellettuali cinesi di credere all'esistenza di leggi
della natura, dal momento che «non si era mai sviluppata la con-
cezione di un legislatore celestiale e divino che impone leggi sul-
la Natura non umana». Needham continuava:
Proprio così.
Diversi anni fa, il mio amico Graeme Lang scartò l'idea che
la scienza non fosse riuscita a svilupparsi in Cina a causa del-
l'influenza del confucianesimo e del taoismo sugli intellettuali
cinesi, sostenendo che tutta la cultura è flessibile e che «se in Ci-
na gli studiosi avessero voluto sviluppare la scienza, la filosofia
da sola non sarebbe stata un serio impedimento» (Lang 1997, p.
18). Forse. Ma Lang non pose la dom anda più importante: per-
ché gli studiosi cinesi non volevano occuparsi di scienza? Perché,
e sono d'accordo con W hitehead, Needham (e molti altri), per i
cinesi la scienza non era possibile. Sono dei fondamentali pre-
supposti teologici e filosofici a stabilire se qualcuno tenterà di
fare della scienza.
L'OPERA DI DIO: LE ORIGINI RELIGIOSE DELLA SCIENZA 2 01
Grecia
Per secoli gli antichi greci sembrarono sul punto di raggimi-
gere ima conoscenza scientifica deiruniverso. Erano interessati a
spiegare il mondo naturale attraverso principi generali astratti.
Alcuni osservavano la natura in modo attento e sistematico -
benché Socrate considerasse l'empirismo, come le osservazioni
astronomiche, una «perdita di tempo» e Platone fosse d'accordo
con lui e consigliasse ai suoi studenti di «lasciar stare i cieli stei-
lati» (Mason 1971, p. 104). Come gli studiosi della Scolastica, i
greci crearono reti accademiche coordinate, le famose «scuole».
Ma, alla fine, produssero solamente filosofie non empiriche, an-
zi antiempiriche e speculative, raccolte di fatti ateoretici, mestie-
ri e tecnologie isolati, che non sfociarono mai nella vera scienza.
Furono tre i fattori che fecero sì che i greci non acquisissero
una conoscenza scientifica del mondo. Innanzitutto, non conce-
pivano le divinità come Creatori coscienti. In secondo luogo, per
i greci l'universo non era solo eterno e increato, ma racchiuso in
infiniti cicli di progresso e decadenza. Infine, spinti dalle prò-
prie concezioni religiose, trasformarono oggetti inanimati in
creature viventi capaci di propositi, emozioni e desideri, man-
dando così in cortocircuito la ricerca di teorie fisiche (Grant 1994
e 1996; Jaki 1986; Lindberg 1992; Mason 1971, oltre che le fonti
originali menzionate).
Per cominciare dalle concezioni religiose - nessuna delle nu-
merose divinità del pantheon greco, neanche Zeus, poteva esse-
re il plausibile creatore di un universo razionale. Infatti, anche gli
Dei, come gli umani, erano soggetti agli inesorabili meccanismi
dei cicli naturali di ogni cosa. Alcuni studiosi greci, compreso
Aristotele (384-322 BCE), presupponevano un «Dio» a guardia
deH'universo, ma questo Dio era concepito fondamentalmente
come un'essenza molto simile al Tao. Una tale divinità conferiva
una certa aura spirituale a un universo ciclico e alle sue proprietà
ideali e astratte ma, in quanto essenza, «Dio» non faceva né mai
aveva fatto nulla. Platone (427-347 BCE ca.) presupponeva una
sorta di essere divino chiamato Demiurgo, il quale era la perso-
nificazione della ragione. Il Demiurgo aveva tentato di costruire
202 A GLORIA DI DIO
funzionamento del cosmo sulla base dei suoi scopi consci, e que-
sto divenne presto il punto di vista generale. Perciò, secondo Ari-
stotele, i corpi celesti si muovevano circolarmente per la loro af-
fezione nei confronti di queU'azione. Stanley Jaki ha sottolineato
come fu solamente grazie al rifiuto della fisica greca, e soprattut-
to di quella aristotelica, che la scienza della Scolastica riuscì a
progredire, «raggiungendo ima prospettiva depersonalizzata
sulla natura, nella quale non si diceva che le pietre cadono per un
loro innato amore per il centro della Terra» (Jaki 1986, p. 105).
È assai significativo il fatto che, alla fine, il sapere greco si sia
arenato dentro la propria logica interna. A parte alcuni ulteriori
sviluppi della geometria, accadde molto poco dopo Platone e
Aristotele. Quando Roma assorbì il mondo greco, abbracciò pie-
namente e celebrò anche il suo sapere - gli studiosi greci prò-
sperarono nel periodo della repubblica e durante il regno dei Ce-
sari. Ma l'apporto della cultura greca non fece progredire intei-
lettualmente il mondo romano in modo significativo (Lindberg
1992; Mason 1971). Il declino di Roma non interruppe lo svilup-
po della conoscenza umana, proprio come il «recupero» del sa-
pere greco non permise che il processo ricominciasse. Al contra-
rio, come vedremo, il sapere greco fu una barriera per l'ascesa
della scienza! Non portò alla scienza nel mondo classico greco-
romano, e soffocò il progresso intellettuale nel mondo islamico.
IsIàm
Potrebbe sembrare che il m ondo islamico abbia un concetto
di Dio adatto a favorire l'ascesa della scienza. Ma non è così (Fa-
rah 1994; Hodgson 1974; Jaki 1986; Nasr 1993; Waines 1998). Al-
lah non viene presentato come un creatore che osserva delle leg-
gi, ma è concepito come un Dio estremamente attivo che si im-
pone al m ondo come ritiene opportuno. Di conseguenza, all'in-
terno del mondo islamico si formò presto un nucleo teologico
che condannava come blasfemia ogni tentativo di formulare leg-
gi naturali, perché esse negavano la libertà di azione di Allah.
Per questo, il m ondo islamico non accolse completamente il
concetto secondo il quale l'universo possiede principi fonda
L'OPERA DI DIO: LE ORIGINI RELIGIOSE DELLA SCIENZA 205
ni, sembra sia stato di capitale importanza il fatto che questo sa-
pere non fosse fruibile prim a che gli studiosi cristiani stabilissero
una propria struttura intellettuale indipendente. Di conseguen-
za, quando gli studiosi medievali si imbatterono per la prima
volta nelle opere di Aristotele, Platone e degli altri filosofi del-
l'antichità, volevano ed erano in grado di contestarli. Come ho
cercato di spiegare, fu in esplicita opposizione ad Aristotele e
agli altri autori classici che Alberto, Ockham, Buridano e Oresme
progredirono verso la scienza. Nella misura in cui rimase ag-
grappato alle concezioni greche, Copernico non riuscì a fondare
un'astronomia scientifica. Dal momento che gli intellettuali che
nel Medioevo non si occupavano di materie scientifiche (soprat-
tutto coloro che svilupparono le arti e la filosofia speculativa) di-
vennero ammiratori dei classici greco-romani, molti dei grandi
scienziati del XVI e XVII secolo spesso affermarono formalmen-
te di essere «debitori» nei confronti di Aristotele e degli altri filo-
sofi deH'antichità, nonostante la loro opera in realtà negasse qua-
si tutto quello che i greci avevano detto a proposito del funzio-
namento del mondo.
Con questo non voglio minimizzare l'impatto che la cultura
greca ha esercitato sulla vita intellettuale dell'Europa. Ebbe un'e-
norme influenza, non solo sul pensiero della Scolastica, ma an-
che sulle generazioni successive. Tuttavia, gli elementi più anti-
scientifici del pensiero greco furono rifiutati o, al peggio, rac-
chiusi all'intem o del settore degli studi classici, mentre le scien-
ze poterono avanzare. Per esempio, il concetto greco secondo il
quale l'universo era eterno si dimostrò molto attraente per nu-
merosi studiosi della Scolastica, ma fin dall'inizio fu calorosa-
mente contrastato - san Bonaventura mise in ridicolo il concetto
su basi logiche, ed esso fu incluso anche nell'elenco delle affer-
mazioni condannate dal famoso editto diramato dal vescovo di
Parigi nel 1277 (Grant 1994). Inoltre, neppure i più ardenti soste-
nitori dell'universo eterno aH'intemo della Scolastica sostennero
mai che esso fosse increato. Anzi, il dibattito coinvolgeva aspetti
teologici molto sottili intorno alla capacità di Dio di creare un
universo eterno. Nessun platonico della Scolastica propose mai
208 A GLORIA DI DIO
Numero Percentuale
Inglesi* 15 28,9
Francesi 9 17,3
Italiani 8 15,4
T edeschi 7 13,5
O lan d esi 5 9,6
D an esi 3 5,8
Fiam m inghi 2 3,8
Polacchi 2 3,8
S vedesi 1 1/9
52 100,0
Com'è ovvio, gli inglesi hanno dato un apporto più elevato ri-
spetto a quanto faccia pensare la percentuale di primi scienziati
significativi. Tuttavia, rappresentarono comunque una percen-
tuale troppo bassa rispetto al totale per giustificare l'asserzione
di Merton, secondo il quale la scienza era nata in Inghilterra, an-
zi, fra i puritani inglesi.
214 A GLORIA DI DIO
Numero
P rotestanti 26
C attolici 26
Settore
26,9%
Biologia /F isiologia 19,3% 11,6%
Ecclesiastici?
Devozione personale
3,8%
Scettico 3,8% 3,8%
L'aspetto più importante della tabella 2.1 è il fatto che fra co-
loro che fecero la «Rivoluzione scientifica» c'era un numero in-
solitamente elevato di devoti cristiani - più del 60% viene classi-
ficato come devoto, e solo due, Edm und Halley e Paracelso, co-
me scettici9. Dato il generale esibizionismo di Paracelso, è diffi-
cile sapere cosa credesse o non credesse in merito a Dio. Sappia-
mo che professava ima fede nell'astrologia e nella forma ermeti-
ca di magia rituale (si veda il capitolo 3). Per quanto riguarda
Halley, è probabile che fosse ateo (Brooke 1991; Jaki 2000). In
ogni caso, la proporzione di devoti è impressionante se pensia-
mo che, contrariamente a quanto si crede, durante il Medioevo
gli europei non erano più devoti di quanto lo siano oggi (Stark
1999). Se vi fossero ancora dei dubbi a riguardo, questi dati chia-
riscono del tu\to il fatto che la religione svolse un ruolo sostan-
ziale nella nascita della scienza. (L'elenco completo dei casi e del-
le categorie di religiosità è fornito nell'Appendice 2.1.)
Galileo
L'«Illuminismo»
Evoluzione e religione
La teoria di Darwin
Per offrire ai miei lettori la migliore rassicurazione possibile,
sono stato molto attento a trarre le mie dichiarazioni in merito ai
difetti della teoria dell'evoluzione solamente da darwinisti ben
noti ed entusiasti.
All'epoca di Darwin era già noto da molto che l'evidenza fos-
sile dimostrava che, in un arco di tempo immenso, c'era stata
236 A GLORIA DI DIO
non intenzionale. Gli elementi in gioco sono tre. Per prima cosa,
gli organismi di una stessa specie variano fra di loro leggermen-
te in diversi aspetti, che sono ereditabili. In secondo luogo, gli or-
ganismi sono soggetti a ima lotta per la sopravvivenza, e quelli
che hanno caratteristiche più favorevoli alla sopravvivenza han-
no più probabilità di riprodursi17. Dunque, gli organismi cam-
bierartno per diventare più adatti (o adattati) alla sopravvivenza.
In terzo luogo, se le condizioni che governano la sopravvivenza
differiscono da un luogo all'altro (è il concetto delle nicchie eco-
logiche), il risultato saranno diverse razze della stessa specie. E
fin qui, è ovvio.
Sembrerebbe impossibile che ima selezione naturale all'in-
tem o di specie esistenti possa creare nuove specie. Come rico-
nobbe Darwin, gli esperimenti di incrocio di razze rivelano dei
chiari limiti alla selezione, oltre i quali non è possibile produrre
ulteriori cambiamenti. Per esempio, i cani possono raggiungere
solo certe dimensioni, non di più, figurarsi diventare gatti. Dim-
que, la vera sfida era capire da dove derivavano le specie, ma,
nonostante il titolo del suo famoso libro e più di un secolo di
proclami e celebrazioni, è una dom anda che Darwin lasciò sen-
za risposta.
Dopo aver passato molti anni alla ricerca di una spiegazione
adeguata dell'origine delle specie, alla fine Darwin tornò alla se-
lezione naturale, sostenendo che in periodi di tempo lunghissimi
potesse anche generare nuove creature. In altre parole, gli orga-
nismi rispondono alle condizioni del loro ambiente cambiando
lentamente (evolvendosi verso) caratteristiche favorevoli alla so-
pravvivenza fino a quando, alla fine, sono mutati in maniera suf-
Sciente a creare delle nuove specie. Dunque, le nuove specie si
originano molto lentamente, un minuscolo cambiamento dopo
l'altro, e alla fine ciò dà come risultato un'intera catena di nuove
specie, come dai lemuri agli esseri umani attraverso molte specie
intermedie.
Darwin riconobbe che una grande debolezza della sua teoria
sull'origine delle specie era quello che lui e altri chiamavano il
principio della «gradualità nella natura». Egli rifiutava in ma
238 A GLORIA DI DIO
La storia della maggior parte delle specie fossili include due carat-
teristiche particolarmente incompatibili con il gradualismo:
1. La stasi. La gran parte delle specie non mostra alcun cambia-
mento direzionale durante l'esistenza sulla terra. Appaiono nelle
prove fossili con le stesse strutture di quando scompaiono; il cam-
biamento morfologico solitamente è limitato e non direzionale.
2. L'apparizione improvvisa. In un'area locale, ima specie non nasce
gradualmente tramite la costante trasformazione dei suoi progeni-
tori; appare aU'improwiso «completamente formata». (Gould
1980, p. 182)
IO40000(si consideri che tutti gli atomi nell'universo a noi noto so-
no stimati intorno a una cifra che non supera il 10 80). In questo
senso, dunque, la teoria darwiniana è basata su presupposti
davvero miracolosi.
Forse, l'aspetto più incredibile della situazione attuale è il
fatto che mentre Darwin viene trattato come un santo secolare
dai media popolari, e la «teoria» dell'evoluzione viene conside-
rata come una sfida invincibile alle affermazioni religiose, fra i
più importanti studiosi di scienze biologiche ormai si dà per
scontato che l'origine delle specie debba ancora essere spiegata.
Scrivendo per «Nature» nel 1999, Eòrs Szathmaiy iniziò così la
sua recensione al tentativo di Jeffrey Schwartz di costruire ima
teoria di questo tipo: «L'origine delle specie affascina da tempo
i biologi. Benché la citi nel suo titolo, l'opera principale di
D arw in non fornisce una soluzione al problem a. Jeffrey
Schwartz ce ne offre una? Mi dispiace ma, nel complesso, non lo
fa». (Szathmafy 1999)
Q uando Julian Huxley sostenne che «la teoria di Darwin è
[...] non più una teoria, ma un fatto» sicuramente sapeva ciò che
diceva (Huxley 1960, p. 1). Ma, proprio come suo nonno Thomas
Henry Huxley, sapeva che la sua bugia serviva al bene superio-
re dell'«illuminismo».
La crociata darwiniana
Q uando venne pubblicata, L'origine della specie destò un inte-
resse immenso, ma inizialmente non provocò un antagonismo su
base religiosa. La reputazione scientifica di Darwin gli garantì il
fatto che i commentatori prendessero seriamente il suo libro e
trattassero l'autore con rispetto. Benché molti avessero criticato
la mancanza di prove, nessuno sollevò obiezioni di natura reli-
giosa, come ha riconosciuto persino Stephen Jay Gould (Gould
1977, p. 7). Anzi, la risposta iniziale di coloro che si interessava-
no di teologia naturale fu estremamente favorevole. Asa Gray
(1810-1888), l'illustre botanico di Harvard, acclamò Darwin co-
me colui che aveva risolto il problema più difficile in merito al-
l'Argomento del Disegno divino - le molte imperfezioni e falli
246 A GLORIA DI DIO
[Huxley] non amava gli ecclesiastici ed era certo che la scienza do-
vesse essere opposta alla religione. Più tardi, nel corso della sua vi-
ta, continuò a opporsi strenuamente all'idea che vi fossero dei reli-
giosi che accettavano l'evoluzione, anche quando se li trovò dav-
vero davanti. (Lucas 1979, p. 329)
suoi sfidanti. Il più famoso fra coloro che furono costretti a ri-
spondergli fu William Gladstone (1809-1898), per quattro volte
primo ministro della Gran Bretagna. Gladstone era uno scrittore
dotato di talento e un cristiano sincero, ma non era uno scienzia-
to, e quindi rappresentava per Huxley l'oppositore ideale. Ciò
nonostante, Huxley rispose a Gladstone soprattutto con insulti, e
non con argomenti di scienza - e lo ammise pure, dicendo: «Non
posso davvero utilizzare un linguaggio rispettoso davanti a que-
sta intrusione di un perfetto ignorante in questioni scientifiche»
(in Desmond 1997, p. 544).
In ima prim a bozza di questo capitolo scrissi che un'altra del-
le «vittime» di Huxley era stata il vescovo di Oxford, Samuel
Wilberforce (1805-1873), che si dice avesse fatto la figura dello
sciocco in un dibattito con Huxley durante l'incontro del 1860
della British Association, a Oxford. Il racconto del confronto
giunto fino a noi riferisce questo:
1959, p. 6). H. James Brix si spinse oltre, nel suo premiato studio,
descrivendo Wilberforce come «naif e pomposo», un uomo le cui
«errate opinioni» erano quelle di un «creazionista fondamentali-
sta», e che fornì a Huxley l'opportunità di dare all'evoluzione «la
sua prim a grande vittoria sul dogmatismo e la malafede» (Brix
1984, pp. 15,135). Ogni autore racconta di come il pubblico pre-
sente fece un'ovazione in onore di Huxley, e quasi tutti chiama-
no il vescovo con l'appellativo di «mellifluo Sam».
Il problema è che tutto questo non è mai accaduto. La citazio-
ne che ho riportato è l'unico racconto di «prima mano» della sto-
ria, apparso in un articolo intitolato A Grandmother's Tale, scritto
da una persona non appartenente al mondo accademico su una
rivista popolare («Macmillan's Magazine», ottobre 1898)
trent'anni dopo il presunto incontro! Nessun altro racconto su
questi incontri, e ve n'erano molti all'epoca, fa menzione di qual-
che osservazione rivolta agli antenati di Huxley, né del fatto che
questi avesse messo in ridicolo il vescovo. Al contrario, molti al-
l'epoca pensarono che dall'incontro fosse uscito meglio il vesco-
vo, e diversi darwiniani convinti lo ritennero una sorta di pareg-
gio (Brooke, Cantor 1998; Cohen 1985b, p. 597). Per di più, come
sapevano tutti gli studiosi presenti a Oxford, prim a di quell'in-
contro il vescovo Wilberforce aveva pubblicato una recensione
de L'origine, nella quale riconosceva appieno il principio della se-
lezione naturale come fonte della variazione all'interno delle
specie. Tuttavia, respingeva le affermazioni di Darwin in merito
aU'origine delle specie, e alcune delle sue critiche erano così acu-
te che Darwin scrisse immediatamente al suo amico botanico J.
D. Hooker (1817-1911) che la recensione «è insolitamente intelli-
gente; evidenzia abilmente tutte le parti più congetturali, e ri-
porta bene tutte le difficoltà. Mi esamina piuttosto brillantemen-
te» (Darwin 1896, voi. 2, pp. 117-118). In una lettera successiva al
geologo Charles Lyell (1797-1875), Darwin si lamentò del fatto
che la recensione di Wilberforce fosse «piena di errori», ma poi
ammise anche: «Incidentalmente, il vescovo muove contro di me
una critica efficace e ben argomentata» (Darwin 1896, voi. 2, pp.
124-125). Per di più, molti dei commenti di Wilberforce spinsero
L'OPERA DI DIO: LE ORIGINI RELIGIOSE DELLA SCIENZA 251
M a te m a tic a /
60 47 35 40 27
S tatistic a
Scienze fisiche 55 43 38 34 27
Scienze
55 42 36 36 29
n a tu ra li
Scienze sociali 45 31 48 19 36
Econom ia 50 38 42 26 30
Scienze
51 32 43 18 30
politiche
Sociologia 49 38 43 16 36
Psicologia 33 20 62 12 48
A n tro p o lo g ìa 29 15 67 11 57
Conclusione
1Come osservò Theodor K. Rabb (1975, p. 274), «il caso Serveto appare ir-
rilevante nella discussione dell'opposizione protestante alla scienza, poi-
ché di sicuro nessuno ha messo in dubbio che sia Calvino sia coloro che
guidarono la protesta [...] fossero interessati solo alla punizione delTere-
sia dottrinale. Ipotizzare un'altra questione significa travisare la realtà».
2Nel numero del suo cinquantennale, pubblicato nel settembre 1998, «Ar-
chaeology» riportava un lungo articolo intitolato I secoli non proprio bui, nel
quale si sintetizzavano le scoperte basate su un numero rilevante di scavi,
che dimostravano come quest'epoca fosse molto più civilizzata di quanto
avessero ammesso le generazioni precedenti, e si confermava la rivaluta-
zione storica che conferisce a quest'epoca il merito di aver gettato «le fon-
damenta della cultura europea moderna» (Hodges 1998, p. 61).
3Mi è stato insegnato che quando Giulio Cesare conquistò la Britannia, i
nativi erano semiselvaggi che si dipingevano di blu. Eppure, gli stessi rac-
conti di Cesare rivelano che dovette combattere e vincere una lunga e dif-
ficile battaglia navale per attraversare la Manica. Un popolo con una ma-
rina capace di sfidare i romani difficilmente poteva essere selvaggio.
4Film e racconti sui «ladri di cadaveri» spesso suggeriscono che questa ne-
fanda attività fosse necessaria a causa del divieto di dissezione. In realtà,
i furti di cadaveri si sono verificati in diversi tempi e luoghi, ma non per-
ché fosse proibita la dissezione dei corpi umani, quanto per la scarsità dei
corpi. Le famiglie erano restie a concedere i loro cari a un trattamento ir-
rispettoso, o a rinunciare al conforto delle visite a un luogo di sepoltura.
5Π passo citato dall'opera di Russell continua così: «Senza dubbio, se i ci-
nesi riuscissero a instaurare un governo stabile e a stanziare fondi suffi-
denti, nell'arco dei prossimi trent'anni comincerebbero a fare un lavoro no-
tevole in ambito scientifico. Anzi, è molto probabile che ci supererebbero».
6Data l'ossessione di Merton per le questioni di priorità, trovo molto biz-
zarro il fatto che non abbia mai riconosciuto la portata del proprio debi-
to nei confronti di Dorothy Stimson e della sua precedente pubblicazione
sul rapporto fra puritanesimo e nascita della scienza. Potrebbe anche dar-
si che egli abbia scritto la sua tesi senza conoscere il precedente lavoro
della Stimson. Ma, per tutte le ragioni che avanza nei suoi scritti sulla
priorità, avrebbe dovuto parlarne con chiarezza al momento della pub-
blicazione del 1938, oppure nelle successive ristampe degli estratti chia-
ve della sua tesi. Una discussione molto tardiva di tale questione da par-
te di Bernard Cohen, uno dei più grandi ammiratori di Merton, non si di-
mostra particolarmente illuminante a proposito (in Clark, Modgil, Mod-
gii 1990). Alcuni storici oggi attribuiscono congiuntamente la tesi sia a
2 64 A GLORIA DI DIO
Merton sia alla Stimson, senza nessuna menzione di precedenza (si veda
Himter 1982; Shapiro 1968). Tuttavia, dal momento che questi stessi sto-
rici rifiutano questa tesi, la cosa è divenuta quasi una disputa insignifi-
cante tanto quanto quella su chi sia stato a formulare per primo la teoria
del flogisto.
7Le tesi di Merton si richiamavano con forza alle accuse anticattoliche del-
l'epoca. Si trattava di un'era di feroce anticattolicesimo. Anzi, è stato detto
che l'anticattolicesimo di allora fu l'antisemitismo degli intellettuali libera-
li. Un forte anticattolicesimo era comune anche in riviste e giornali rispet-
tabili degli anni '30 - e la cosa si protrasse fino agli anni '60.
8Diversamente, il Random House Webster's Dictionary o f Sdentisi, oltre a
ostentare tutti i peccati del politicamente corretto, banalizza la parola
«scienziato» includendo moltissime voci come «Fixx, James 1932-1984. Di-
vulgatore statunitense dello jogging».
9Alcuni storici hanno tentato di classificare Pierre Gassendi come uno
scettico, nonostante il fatto che fosse un sacerdote cattolico. Ciò sembra
del tutto infondato, come ha dimostrato in modo convincente Sylvia Murr
(1993).
10Ironicamente, parte dei problemi di Galileo derivò dai rinnovati sforzi di
contrastare gli astrologi, le cui pretese di previsione del futuro erano state
denunciate da molto tempo come pericolose superstizioni (capitolo 3). Al-
cuni uomini della Chiesa erroneamente equipararono l'affermazione che
la Terra si muovesse alle dottrine secondo cui il fato era governato dal mo-
to dei corpi celesti.
11Burckhardt fu anche il primo a sostenere che la conversione di Costanti-
no fosse falsa e dovuta solamente alla sua sete di potere. Per fortuna, gli
storici successivi hanno rifiutato questa tesi, ma devono ancora scoprire i
pregiudizi presenti nel suo studio sul Rinascimento.
12Prima di morire, Newton distrusse una vasta raccolta di documenti. Copiò
poi molti dei manoscritti che aveva salvato con cura, come facevano gli au-
tori dell'epoca quando volevano dare allo stampatore un manoscritto chiaro.
13A esse si aggiunge l'importantissima collezione dei manoscritti sdentili-
ci di Newton custodita a Oxford e la collezione dei Babson College Archi-
ves, a WeUesley, nel Massachusetts.
MNegli ultimi quattro decenni, i manoscritti e le annotazioni di natura teo-
logica, alchemica, astrologica ed esoterica di Newton sono stati studiati
con grande attenzione, e numerosi sono stati pubblicati - anche se ne man-
cano ancora molti (cfr. Castillejo 1981; Dobbs 1975 e 1991; Hall e Hall 1962;
McLachlan 1950).
L'OPERA DI DIO: LE ORIGINI RELIGIOSE DELLA SCIENZA 265
23U fatto che venga ricordata è dovuto alla sua inclusione in una nota mar-
ginale di alcune edizioni della Bibbia di Re Giacomo.
24Un campione trasversale di ministri protestanti di Chicago, alla fine de-
gli anni '20, rivelò che, benché tutti dichiarassero la propria convinzione
che «Dio esiste», solo il 64% diceva che «la preghiera ha il potere di cam-
biare le situazioni in natura». Nello stesso studio si interrogavano anche
degli studenti di cinque scuole teologiche, dei quali solo il 21% concor-
dava con l'affermazione sulla preghiera (Betts 1929). In un sondaggio a
campione sul clero protestante nella California del 1968, solo il 45% dei
pastori della Chiesa Unita di Cristo era d'accordo con l'affermazione: «So
che Dio esiste e non ho alcun dubbio a proposito» (Stark et al 1971); del
clero metodista, era d'accordo un 52%. Si noti che questa affermazione è
molto meno rigorosa di quella proposta da Leuba, dal momento che il
clero era libero di definire Dio come preferiva. Dato che la maggioranza
di questo stesso clero dubitava della divinità di Gesù, si deve supporre
che molti di questi religiosi dichiarassero una fede in una concezione di
Dio piuttosto remota e vaga, non di certo un Dio che possa ascoltare e ri-
spondere alla preghiera.
25La cosa non sorprende poiché Sarton rimase un fedele sostenitore di A.
D. White e della convinzione che la religione sia la nemica naturale della
scienza (si veda Sarton 1955).
Appendice 2.1
Devozione personale
Per secoli, quasi tutti gli europei istruiti hanno creduto che le
loro società fossero vittime di un terribile movimento clandesti-
no di «streghe», che avevano giurato fedeltà a Satana e che gioi-
vano nelTinfliggere sofferenza, morte e distruzione al prossimo.
La reale esistenza di queste malfattrici era certa al di là di ogni
dubbio, essendo stata confessata con dettagli elaborati e coeren-
ti da migliaia di «streghe» portate davanti alla giustizia in molti
luoghi diversi.
Questi racconti fatti sotto giuram ento dipingevano u n qua-
dro terribile di u n diavolo, male assoluto, alla ricerca di prede.
A tutte le «streghe» veniva chiesto di partecipare regolarmen-
te a degli incontri in cui avvenivano i crimini più stravaganti e
immorali immaginabili. Gli incontri più frequenti erano i sab-
ba (o sabbath), nei quali le «streghe» degli im mediati dintorni
si riunivano, solitamente il venerdì notte, in luoghi come cimi-
teri nei pressi di chiese e nelle vicinanze di prigioni. La riunio-
ne iniziava con le partecipanti che recitavano delle preghiere al
Diavolo, il quale era presente - a volte in forma um ana, a voi-
te come orribile creatura dotata di corna. Dopo aver riafferma-
to la rinuncia a Cristo, ognuna delle «streghe» baciava il Dia-
volo, di solito nell'ano. A questa cerimonia seguiva un ban
270 A GLORIA DI DIO
Pregiudizi dannosi
Magia
Come vedremo meglio, in questo periodo la magia normale
era largamente praticata ed era molto simile alla magia diffusa
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 275
Stregoneria
La stregoneria è ima forma più elaborata di magia, e richiede
ima notevole conoscenza e pratica per utilizzare riti, incantesimi,
calcoli e strumenti speciali. Alchimia, astrologia, divinazione e
negromanzia (queste ultime tre hanno a che vedere con la previ-
sione del futuro) erano fra le arti degli stregoni medievali. Molte
pratiche della stregoneria hanno gli stessi obiettivi della norma-
le magia, ma la stregoneria è considerata molto più potente, e
quindi molto più pericolosa se impiegata per far del male agli al-
tri. La Chiesa condannava l'alchimia, l'astrologia, la divinazione
e la negromanzia come superstizioni, ma erano i malefici a prò-
vocare una vera contrarietà, fra i laici come fra il clero. Come ha
spiegato Robert Briggs, «maledizioni e incantesimi impiegati con
malevolenza sono pericoli reali quando tutti credono in essi, co-
sì che le questioni di colpevolezza e innocenza non sono così
276 A GLORIA DI DIO
Satanismo
Come abbiamo osservato nell'introduzione, a volte la strego-
neria implicava dei tentativi di costrizione di entità soprannatu-
rali primitive affinché obbedissero agli ordini dello stregone. An-
che in tal caso, però, la stregoneria rimane entro i confini del ma-
gico. E il satanismo, infatti, che travalica il confine fra magia e re-
ligione, implicando casi di vera e propria adorazione di esseri so-
prannaturali malvagi, o di collaborazione con essi. La magia e la
stregoneria, comprese le forme che hanno a che fare con i male-
fici, si ritrovano in tutto il mondo e costituiscono quelle attività
identificate come «stregonerie» neirimm ensa, e a volte davvero
illustre, letteratura antropologica sull'argomento. Ma non fu
questo ciò che finì per caratterizzare le «streghe» in Europa. Era
il satanismo l'essenza della stregoneria europea, e il fondamento
logico per l'imposizione della pena capitale. E il satanismo era
anche un'idea esclusivamente europea, che separava in maniera
netta «il concetto di stregoneria europeo» dalla «fede magica di
altri popoli primitivi» (Thomas 1971, p. 438). Dunque, benché
l'antropologia della stregoneria possa essere utile anche in Euro-
pa, per capire le tensioni locali in merito a magia e stregoneria,
data la cultura unica implicata, la letteratura antropologica risul-
ta irrilevante per cogliere il motivo per cui gli europei finirono
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 277
Vere streghe
Non solo i cacciatori di «streghe» dell'epoca, ma anche alcuni
studiosi moderni, credono che l'Europa medievale abbondasse
di veri satanisti. Montague Summers (1880-1948), che curò e tra-
dusse in inglese molte fonti primarie concernenti la stregoneria,
sostenne che le persone vendessero veramente le loro anime a
Satana, si dessero alle orge e frequentassero i sabba, urinassero
nelle fonti battesimali, cuocessero neonati, e così via (Summers
1926 e 1927). Margaret M urray (1863-1963) rese popolare una vi-
sione meno estrema della reale esistenza del satanismo soste-
nendo che vi fosse un movimento religioso medievale diffuso e
nascosto, basato sui culti di fertilità precristiani, le cui pratiche
assomigliavano a quelle imputate alle «streghe» - anche se i suoi
membri si recavano agli incontri con mezzi di trasporto conven-
zionali e non a cavallo di una scopa (Murray 1972 e 1978; si ve-
da anche Hughes 1952; Rose 1962). Quindi, si afferma che i cac-
ciatori di «streghe» perseguitassero i ribelli religiosi organizzati,
i quali compivano davvero la maggior parte delle azioni satani-
che che venivano loro imputate. L'opera della M urray un tempo
era molto in voga - e lei scrisse addirittura la sezione sulla stre-
goneria di molte edizioni dell 'Encyclopaedia Britannica. Tuttavia,
gli studiosi più rispettabili oggi concordano con Norman Cohn
sul fatto che la conoscenza della M urray era, nella migliore delle
ipotesi, «superficiale e la sua padronanza del metodo storico ine-
sistente» (Cohn 1975, p. 109). Anzi, la disonestà dell'autrice nel-
l'estrarre citazioni dalle confessioni, con modalità evidentemen-
te tese a fuorviare i lettori omettendo le parti che non avvalora-
no la sua tesi, è stata pienamente denunciata, e la sua opera or-
mai è considerata priva di valore (Briggs 1998; Cohn 1975 e 2000;
Kieckhefer 1976; Parrinder 1958; Robbins 1959; Rose 1962; Rus
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 279
M alattia m entale
Una variante della teoria secondo la quale le «streghe» esi-
stevano davvero sostiene che esse soffrissero di malattie menta-
li, non individuate in quanto tali in quelle epoche pre-psichia-
triche (Alexander, Selesnick 1975; Bromberg 1959; Cartwright e
182 A GLORIA DI DIO
Sessismo
Un'altra spiegazione, ugualmente infondata, attribuisce la
caccia alle «streghe» al sessismo, cioè al tentativo di controllare le
donne punendo quelle che violavano le norme che governavano
i ruoli sessuali convenzionali (Barstow 1995; Hughes 1952; Lar-
ner 1984). Anne Llewellyn Barstow sostenne che le cacce alle
«streghe» in Europa «diedero agli uomini di potere l'opportunità
di punire [le donne] in un modo sessualmente sadico», il che ri
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 283
Solidarietà
In Wayward Puritane (ed. it. Streghe, eretici e criminali, 2005),
Kai T. Erikson difende in modo eloquente la nozione funzionali-
sta per cui la devianza serve a rafforzare l'ordine morale - cioè,
che individuando e punendo le «streghe», la gente di Salem ri-
trovò un senso di solidarietà di gruppo più forte, e quindi ima
maggiore adesione comune alle norme del gruppo:
Cupidigia
Molti studi assegnano la responsabilità sostanziale delle cac-
ce alle «streghe» alla cupidigia, affermando che le accuse di stre-
goneria venivano avanzate da coloro che cercavano di spartirsi il
bottino costituto dalle ricchezze espropriate (Currie 1968; Lea
[1887] 1955; Robbins 1959). In effetti, Elliot Currie dedicò gran
parte di un articolo aH'«industria della stregoneria», sostenendo
che «nell'Europa continentale [la caccia alle «streghe»] fu un'at-
tività economica vasta e complessa, che creò e mantenne la mo-
dalità di sostentamento di un numero considerevole di persone»
(Currie 1968, p. 21). Di certo, i funzionari dei tribunali erano pa-
gati per i processi di stregoneria come lo erano per tutti gli altri
procedimenti criminali, e i boia erano pagati per il loro lavoro.
Senza dubbio, poi, in alcuni casi si cercò di sfruttare cinicamente
le accuse di stregoneria per ottenere un guadagno - fu per rica-
varne un profitto che il re Filippo IV di Francia falsificò le prove
di satanismo e mandò al rogo i più importanti cavalieri templari
(Cohn 1975; Read 2001).
Nonostante questo, però, la tesi trascura molti fatti. Per prima
cosa, la stragrande maggioranza delle vittime possedeva d aw e-
ro poco. In secondo luogo, le proprietà confiscate andavano pre-
valentemente allo «stato», e non agli accusatori. Terzo, nella mi-
sura in cui un accusato non aveva nulla che valesse la pena con-
fiscare, i tribunali si prendevano solo una piccola percentuale del
valore netto delle proprietà - nella Germania sudoccidentale la
media delle confische si aggirava intorno a un 14% (Midelfort
1972). Infine, come ha sottolineato Christina Lamer, il costo dei
procedimenti per stregoneria «era quasi sempre una spesa a ca-
rico delle autorità locali più che un mezzo per ottenere dei rica-
vi» (Larner 1981, p. 116). Molti altri storici hanno sottolineato più
o meno la stessa cosa (Henningsen 1990; Midelfort 1972; Thomas
1971). Un esempio tipico sono i procedimenti contro le «streghe»
nella regione basca della Spagna, all'inizio del XVII secolo. Il co
292 A GLORIA DI DIO
Clero fanatico
Le risposte a queste domande vengono offerte dalle interpre-
fazioni che sottolineano l'irrazionalità del fenomeno. Molto di
queste in realtà sono puro e semplice anti-cattolicesimo - le cac-
ce alle «streghe» sono state attribuite a «superstizioni pagane e
papiste» da Francis Hutchinson (1660-1739) nella prim a storia
seria della stregoneria (Hutchinson 1720). Una «spiegazione» più
specifica vuole che, oltre alla normale dose di fanatismo che ac-
compagna la fede, il fanatismo del clero cattolico fosse spronato
al massimo da ima sessualità repressa. Così Trethowan5 sosten-
ne che la causa di tutto fossero i desideri sessuali inibiti: «La per-
secuzione delle streghe, che può essere attribuita in maniera di-
retta 'all'ascetismo cristiano, fu di conseguenza il risultato della
l NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 293
Psicostoria
L'ottava falsa spiegazione attribuisce la caccia alle «streghe» a
episodi di follia collettiva che avrebbero afflitto gli europei di
tutte le confessioni religiose. Anzi, !'«ossessione delle streghe» è
considerata come il primo episodio di «psicosi di massa», o ciò
che Freud definì «epidemie psichiche, o convulsioni storiche di
massa» (in Jones 1953, p. 184). Il principale sostenitore del con-
cetto per cui i gruppi umani sono spesso animati da un «incon-
scio collettivo», simile all'ipnotismo, che fa sì che ogni singolo
membro del gruppo «diventi un automa», fu Gustave Le Bon
(1841-1931), autore di Psychologie des foules ([1895] 1960; ed. it.
Psicologia delle folle, 1980). Infatti, Freud dedicò quasi un quarto
della sua monografia sulla psicologia di gruppo a brani tratti da
Le Bon intervallati da commenti favorevoli (Freud [1921] 1959).
Citando Le Bon, «i gruppi non hanno mai sete di verità. Essi
chiedono illusioni, e non possono fame a meno. E sempre danno
la precedenza a ciò che è irreale su ciò che è reale», Freud com-
mento: «Questa predominanza della vita della fantasia e dell'il-
lusione nata da un desiderio insoddisfatto è il fattore dominante
nella psicologia della neurosi [...] un sintomo isterico si basa sul-
la fantasia [in merito a] un'intenzione malvagia che non è stata
mai realizzata» (Freud [1921] 1959, p. 17).
Così, seguendo la dottrina freudiana, George Rosen trovò
che la caccia alle «streghe» fosse un classico esempio di «psico-
si collettiva, deliri di massa, [ed] epidemie di isteria» (Rosen
1968, p. 5). Anzi, al termine della prim a edizione del suo eccel-
lente libro sulla campagna europea contro l'eresia e la stregone-
ria, anche N orm an Cohn si avventurò nella psicostoria freudia
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 299
Sono giunto alla conclusione che i templi degli idoli di quel popo-
lo non devono essere assolutamente distrutti. Devono essere di-
strutti soltanto gli idoli che vi si trovano, ma i templi di per sé de-
vono essere aspersi di acqua benedetta, devono essere costruiti al-
tari al loro interno e riposte reliquie. [...] In tal modo, speriamo che
la popolazione, vedendo che i suoi templi non sono distrutti, pos-
sa abbandonare l'errore e, accorrendo più prontamente nei luoghi
che le sono familiari, possa giungere a conoscere e adorare il vero
Dio. E poiché sono soliti sacrificare ai demoni molti buoi, si cambi
ciò con la sostituzione di qualche altra celebrazione, come nella ri-
correnza della consacrazione della chiesa o nelle festività dei santi
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 305
per ricordare ai lettori che ciò che la Chiesa offriva al posto della
magia, non era magia ma religione. Si credeva che le sacre reli-
quie e le formule utilizzate dai sacerdoti funzionassero perché
Dio le faceva funzionare (o delegava tale potere ai vari santi). Co-
me vedremo, questo contrasto fra religione e magia non legata
alla Chiesa divenne cruciale quando i teologi iniziarono a chie-
dersi perché quest'ultim a «funzionasse». Inoltre, la gamma limi-
tata dell'offerta della Chiesa offrì un vantaggio rilevante alla
concorrenza della magia. Ma ritornerò più avanti su tali questio-
ni. Per il momento, è importante concentrare l'attenzione sulle
guarigioni.
Conflitto religioso
Dal momento che gli archivi locali con i documenti dei tri-
bunali sono la fonte prim aria di materiale, molti studiosi hanno
pubblicato degli eccellenti elenchi di procedimenti legali contro
la stregoneria, ognuno dedicato a una o due comunità specifiche
(Hennigsen 1980; Larner, Lee, McLachlan 1977; Macfarlane
1970; Midelfort 1972; Monter 1976). Questi dati hanno permesso
di calcolare la percentuale di condanne, la distribuzione delle
sentenze e il sesso di coloro che venivano portati in tribunale.
Tuttavia, questi studi locali hanno molti limiti. Per prim a cosa,
per il fatto di essere locali, non includono epoche e luoghi in cui
non accadde nulla - vale a dire, la maggioranza delle epoche e
dei luoghi. Anzi, queste comunità sono state scelte dagli autori
proprio perché avevano vissuto un periodo di caccia alle «stre-
ghe» insolitamente intenso, e lo studio di solito si limita a que-
sto arco di tempo. In secondo luogo, alcuni di questi lavori (e
spesso gli archivi stessi sui quali si basano) omettono tutti i casi
che non hanno avuto come esito una condanna, o persino quel-
li che non hanno visto una sentenza di morte, il che fa sì che le
condanne vengano sovrastimate e con esse le percentuali delle
esecuzioni.
Fortunatamente, questi difetti non oscurano lo schema com-
plessivo in termini di tempi e luoghi. Assieme a dei confronti di
nazioni e regioni specifiche, i dati generali sono sufficienti per
una verifica della teoria che presenterò nelle sezioni successive.
Qui delineerò una cronologia generale della caccia alle «stre-
ghe», distinguendo due ere: prim a e dopo il 1500.
320 A GLORIA DI DIO
1300-1499
È possibile avere dati statistici molto precisi riferiti ai primi
due secoli dei processi per «stregoneria» perché Richard Kieckhe-
fer (1976) si è preso la briga di creare un «calendario» dei proces-
si dal 1300 al 1499, e aveva la raffinatezza intellettuale necessaria
per farlo. Qui egli tenta di datare e localizzare ogni processo a noi
noto, e di riportare il numero e il sesso degli accusati, le specifi-
che accuse, il verdetto o sentenza, e altre informazioni utili. Posto
che il lavoro di Kieckhefer risale ormai a una trentina d'anni fa e
che dopo di lui sono state compiute molte nuove ricerche sull'ar-
gomento, il constatare che non sia stato fatto nulla per estendere
il suo calendario fino al 1750 mi lascia perplesso. Non essendo
qualificato per intraprendere un'im presa di questo tipo, mi sono
accontentato di trasformare il suo calendario in un database
quantificato, in parte anche per dimostrare l'importanza di un da-
tabase esaustivo per l'intera epoca in questione.
I dati di Kieckhefer partono dal 1300 perché fu allora che co-
minciarono i primi procedimenti legali contro la «stregoneria» - al
di là di quelli che vedevano imputati valdesi e catari. Nei casi da
lui selezionati, l'autore incluse tutti i processi noti che implicasse-
ro le accuse di praticare magia o stregoneria, o di avere qualche le-
game con il Diavolo. Io ho ristretto leggermente il campo di ricer-
ca. Per prima cosa, ho escluso 12 casi perché l'accusa era di diffa-
mazione contro alcune persone che avevano falsamente accusato
qualcuno di stregoneria. In realtà, questi erano processi contro
l'antistregoneria. In secondo luogo, la prima sezione del calenda-
rio è dominata da processi (alcuni celebrati in absentia) nei quali le
accuse di stregoneria venivano mosse piuttosto falsamente, come
arma nella lotta per il potere politico. Nessuno di quelli che erano
coinvolti nei processi ai templari, per esempio, credeva all'accusa
di re Filippo IV che li voleva in combutta con Satana. Né qualcu-
no credette davvero a questo stesso re quando avanzò accuse si-
mili contro papa Bonifacio Vili (1294-1303). Questa falsità appare
altrettanto evidente in molti processi avviati dal famigerato papa
Giovanni ΧΧΠ (1316-1334) ad Avignone. Questi processi politici si
conclusero a volte con la condanna al rogo delle persone accusate
di stregoneria e svolsero un ruolo significativo nella diffusione
dell'idea del satanismo, ma a mio giudizio non si possono qualifi
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 321
Numero di im putati
Numero di processi
(appro6$imato)
1300-1324 10 17
1325-1349 11 63
1350-1374 9 17
1375-1399 33 90
X IV secolo 63 187
1400-1424 30 59
1425-1449 78 170
1450-1474 107 236
1475-1499 132 283
X V secolo 347 748
Uomini Dotine
Sentenza severa* 6% 1%
Sentenza m ite־״״ 3% 24%
Sentenza sconosciuta 35% 32%
100% 100%
1500-1750
C'è consenso unanime sul fatto che la proliferazione dei prò-
cessi per stregoneria cominciò all'inizio del 1500, raggiungendo
il suo culmine «fra gli anni '90 del 1500 e i '40 del 1600» (Briggs
1998, p. 402). H. C. Erik Midelfort analizzò il periodo di tempo
compreso fra il 1562 e il 1684 nel suo celebre libro sulla caccia al-
le «streghe» nella Germania sudoccidentale. Midelfort scoprì che
in quest'area relativamente piccola, fra il 1562 e il 1600 furono
giustiziate 1114 persone, molte di più di quante fossero state prò-
cessate in tutta Europa nei due secoli precedenti. Poi, in quella
stessa regione, nei sette decermi successivi, furono giustiziate al-
tre 1839 persone (Midelfort 1972). In un altro ottimo studio, E.
William Monter (1976) scoprì che a Ginevra, nella prim a metà
del XVI secolo, furono processate per stregoneria 18 persone e
nella seconda metà dello stesso secolo, 133. Durante la prima
metà del 1600, altri 153 ginevrini furono processati. Si trattava di
numeri davvero rilevanti, visto che la popolazione della città al-
l'epoca si aggirava intorno a un totale di 19.000 abitanti. Poi, tut-
to finì. Dopo il 1649 furono solamente 14 i ginevrini che dovette-
ro affrontare un processo per stregoneria, e solo uno di questi fu
giustiziato. A nord, a Neuchàtel, Monter scoprì che dal 1568 al
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 325
gran parte delle comunità non soccombette alla caccia alle «stre-
ghe» perché non fu permesso loro di farlo.
Come verrà documentato nel caso studiato più avanti, in mol-
ti luoghi la caccia alle «streghe» fu evitata perché un forte gover-
no centrale o un'élite ecclesiastica soffocarono gli entusiasmi lo-
cali. In altre parole, la caccia alle «streghe» si è verificata in luo-
ghi che Richard S. Dunn ha definito come «vuoti politici» (Dunn
1979, p. 295). La maggior parte delle «streghe» fu giudicata da
funzionari locali che non dovevano rispondere ad autorità di li-
vello superiore. Laddove esisteva un potere centrale forte, go-
vemativo o ecclesiastico, come in Francia, Spagna e Inghilterra,
la caccia alle «streghe» fu severamente controllata. Ad esempio,
fatta eccezione per la Linguadoca e le aree non assimilate cultu-
ralmente e indipendenti di Alsazia, Lorena e Franca Contea, tut-
ti i casi francesi che implicavano delle accuse di stregoneria era-
no oggetto di valutazione da parte di Parigi, che ribaltava la
maggior parte dei verdetti di condanna. In Spagna, i vari tribù-
nali dell'Inquisizione divennero così contrari ai processi per stre-
goneria che non solo intervennero ripetutamente per salvare
l'im putato quando le comunità locali istituivano i loro processi,
ma punirono spesso, e a volte duramente, i tribunali locali per
aver celebrato quei processi (Kamen 1993 e 1997).
Analogamente, la risposta governativa non era sempre effica-
ce allo stesso modo. Dipendeva da come nei vari luoghi gli ebrei
venivano perseguitati e dalla capacità dei movimenti ereticali di
prendere piede. Fu praticamente solo nelle città lungo il Reno,
nel sud-ovest della Germania, in Svizzera, Alsazia e Lorena che
tra il 1096 e il 1614 ebbero luogo gli attacchi mortali contro gli
ebrei - senza che le autorità politiche e religiose, nonostante tut-
ti i loro sforzi, potessero impedirli, ma che altrove invece furono
evitati (Stark 2009). E furono queste stesse aree a dimostrarsi mol-
to ospitali nei confronti delle eresie, perché Chiesa e stato erano
troppo deboli per impedirlo. Nella Germania del XII secolo, fu
solamente in Renania, a Colonia e Magonza in particolare, che i
catari ebbero successo, e fu principalmente in Renania che i vai-
desi trovarono sostegno nel XIII secolo, soprattutto a Magonza,
334 A GLORIA DI DIO
S p ag n a 2 2 7,200 0,3
questo motivo, dedicherò più spazio alla Spagna che alle altre
regioni. Successivamente, dimostrerò brevemente come il caso
delTItalia sia simile a quello spagnolo. Poi, dopo aver esamina-
to in generale la Francia, mi sposterò nel focolaio della caccia al-
le «streghe», costituito dall'area lungo il fiume Reno, o nelle sue
vicinanze, cioè la Francia settentrionale, la Germania meridio-
naie e la Svizzera - quella regione spesso chiamata «Terre di
confine» (Monter 1976). Continuando verso nord, tratterò in
breve i bassi livelli della caccia alle «streghe» del resto della Ger-
mania e poi analizzerò gli eventi in Scandinavia dove, in alcune
zone, il fenomeno fu piuttosto intenso. Concluderò con un'ana-
lisi di Inghilterra e Scozia.
Spagna
In Spagna vi furono relativamente pochi processi per stregone-
ria. Ancora più impressionante è il fatto che difficilmente quelli ce-
lebrati ebbero come risultato la pena capitale. Tranne per molti ca-
si insoliti in cui dei tribunali locali, secolari, avviarono la caccia al-
le «streghe» senza essere autorizzati dall'Inquisizione, pochi degli
accusati furono processati, e quasi tutti i condannati ottennero del-
le pene miti (Contreras, Hennigsen 1986; Given 1997; Haliczer
1990; Hennigsen 1980; Kamen 1993 e 1997; Levack 1995; Monter
1976). Perfino Henry C. Lea, fortemente anticattolico, concorda sul
fatto che la caccia alle «streghe» fu «resa relativamente inoffensi-
va» in Spagna, grazie «alla saggezza e alla fermezza dell'Inquisi-
zione» (Lea 1906-1907, voi. 4, p. 206).
In Europa non esisteva un'unica Inquisizione, ma delle In-
quisizioni piuttosto indipendenti con competenza su imo speci-
fico territorio. In Spagna ne operavano principalmente due, una
con giurisdizione per l'Aragona, l'altra per la Castiglia. Anche il
Portogallo aveva la sua Inquisizione, della quale parleremo in
breve al termine di questa sezione.
In Spagna, come in molte altre aree, l'Inquisizione aveva
giurisdizione su tutti i reati che implicavano eresia, blasfemia,
superstizione e stregoneria, reati sessuali (a volte classificati
come «adescamenti», altre volte come «sodomia», anche se
questa categoria era definita in term ini molto ampi), e «oppo
340 A GLORIA DI DIO
Marranos 4397
942 3455 9,8
(cripto-ebrei)
Moriscos
(cripto■ 7472 3345 10.817 24,2
m ussulm ani)
Luteranos
2284 1219 3503 7,8
(protestanti)
Alumbrados
61 32 143 0,3
(Illuminati) '
Varie altre eresìe 2247 771 3018 6,8
Totale eretici 13.006 8872 21.878 49,0
Proposte indecenti
5Θ8Θ 6229 12.117 27,1
e blasfemia
O pposizione
(atti contro 2139 1232 3371 7,6
l'Inquisizione)
Superstizione
2571 961 3532 7,9
e stregoneria
Totale 25.890 18.811 44.701 100,00
Totale giustiziati 826 1,8
Marranos 16
Moriscos 1S1
P ro te s ta n ti 122
S u p e rstiz io n e o s tregoneria 12
O stilità 31
T o tale 535
Uno dei primi esempi ebbe luogo a Barcellona, nel 1549, prò-
prio quando in altre parti d'Europa stavano dilagando le più fe-
roci cacce alle «streghe». Un funzionario della sede locale dell'In-
quisizione di Aragona approvò la condanna al rogo di sette «stre-
ghe». L'organo sovrano della Santa Inquisizione (la Suprema) ri-
mase sgomento davanti al fatto che potesse essere accaduta una
cosa simile, e mandò subito l'inquisitore Francisco Vaca a inda-
gare. Al suo arrivo, egli ordinò l'immediato rilascio di due donne
ancora detenute in attesa della pena di morte. Dopo ulteriori in-
dagini, ordinò il rilascio di tutti gli altri arrestati e la restituzione
di tutti i beni confiscati. La sua relazione sui fatti denunciava che
i processi erano stati «illegali e contrari alle norme del Sant'Uffi-
zio», e che le accuse erano «ridicole», il che indusse la Suprema a
licenziare il suo rappresentante locale. Dopo questo caso, le In-
quisizioni sia d'Aragona che di Castiglia «intervennero ovunque
fosse possibile per fermare le esecuzioni» (Kamen 1997, pp. 237־
238). E, tranne poche eccezioni, ci riuscirono.
Una famosa eccezione si verificò quando !'«ossessione delle
streghe» francese oltrepassò il confine. Nel 1609 accadde un epi-
sodio molto grave di caccia alle «streghe» nella regione della Lin-
guadoca, nella Francia meridionale, che si concluse con il rogo di
ottanta «streghe». Queste «esecuzioni provocarono un brivido di
terrore» al di là del confine, nella regione basca della Spagna. Do-
menica 7 Novembre 1610, sei persone furono bruciate come
«streghe» dai funzionari locali di Logrono. A causa di ciò la Su-
prema ordinò un'indagine immediata. Dopo aver interrogato
centinaia di persone e aver esaminato tutti i documenti del tri-
bunale, Alonso de Salazar y Frias riferì alla Suprema di non es-
sere stato in grado di trovare la «minima prova» di ima strego-
neria. La Suprema lo considerò come una conferma della propria
politica, e si convinse ancor di più di essere nel giusto nel tenta-
re di sopprimere la caccia alle «streghe». Eppure, di tanto in tan-
to, la gente continuava a perdere il controllo. Come risposta, gli
inquisitori iniziarono a imporre condanne gravi a coloro che ri-
sultavano coinvolti in simili vicende. Nel 1617, un cacciatore di
«streghe» che operava in Aragona fu arrestato dopo l'impicca
1 NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 345
Italia
Le varie Inquisizioni regionali in Italia erano ancora meno prò-
pense di quelle in Spagna e Portogallo a infliggere pene severe per
i condannati per stregoneria, osservando attentamente le norme
del diritto canonico, che prescriveva che la pena di morte non do-
vesse essere imposta per nessun reato, a meno che il condannato
non avesse condanne precedenti, si fosse ostinatamente rifiutato
di pentirsi, o avesse commesso un crimine particolarmente effera-
to, come ad esempio un omicidio a scopo sessuale. Così, tra il 1553
e il 1588, gli inquisitori di Venezia fecero giustiziare solamente
quattro persone (su oltre 1000 imputati), e nessuna di loro per stre-
goneria. Nella giurisdizione di Milano, tra il 1560 e il 1630, vi fu-
rono solo sette esecuzioni, tutte per eresia. Per un periodo di più
di duecento anni a partire dal 1542, gli inquisitori di Roma decise-
ro 97 esecuzioni; fra queste persone, poche, se non nessuna, erano
state condannate come «streghe» (Monter, Tedeschi 1986). Nell'a-
rea del Friuli, dal 1557 al 1786 furono processate dall'Inquisizione
locale 814 persone per aver praticato magia e stregoneria. Per
quanto si sa, nessuno fu giustiziato (Ginzburg 1983).
Praticamente tutti quei fattori che resero meno sanguinosa la
caccia alle «streghe» in Spagna e Portogallo si riscontrano anche
in Italia. Come i loro colleghi spagnoli, gli inquisitori in Italia fe-
cero pieno uso della distinzione fra invocazioni implicite ed
esplicite, deliberando quasi sempre a favore della prim a opzio-
ne. Di conseguenza, le condanne inflitte erano molto leggere, co-
me, per esempio, «la Confessione e la Comunione quattro volte
l'anno [...] e la recita del Rosario ogni venerdì per un anno» (θ '-
Neil 1987, p. 94). Una condanna più severa consisteva nella pub-
blica umiliazione di dover stare in piedi nella parte anteriore del-
la propria chiesa parrocchiale, durante una messa domenicale,
indossando un cartello con l'indicazione del proprio reato.
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 347
Francia
La Francia ci permette di esplorare a fondo l'importanza del
governo centrale quando gli altri due fattori restano costanti. Co-
me nel resto d'Europa, anche qui la magia era ovunque, e le guer-
re di religione erano croniche in tutto il paese. Tuttavia, il con-
frollo del governo centrale sulle questioni locali variava immen-
samente. In gran parte della nazione, i tribunali locali erano stret-
tamente controllati dal Parlement (Corte Suprema) di Parigi. In te-
ma di stregoneria, il Parlement impose il punto di vista modera-
to delle élite, sia ecclesiastiche sia secolari - il che non significava
che la stregoneria non esistesse, ma che si riteneva che i processi
dovessero rispettare degli standard ragionevoli in merito a prove
e procedure, e che la maggioranza delle «streghe» doveva ricon-
ciliarsi con la Chiesa, non essere uccisa. Ma l'influenza di Parigi
348 A GLORIA DI DIO
Le «terre di confine»
L'area in questione consisteva in un mosaico di piccole unità
politiche relativamente autonome. La maggior parte era di cui-
tura tedesca, ma aveva legami politici mutevoli. Midelfort ha co-
sì descritto la zona:
Wiesensteig
Man mano che la «Riforma protestante» si diffondeva, i citta-
dini della piccola città di Wiesensteig, nelle Alpi sveve, comin-
ciarono a invitare i sostenitori della Riforma a tenere dei discor-
si nella loro città, e il pubblico iniziò a dividersi in fazioni, alcu-
ne a favore di Lutero, altre di Zwingli, e altre ancora di Osiander.
Tuttavia, il protestantesimo non prese piede in forma stabile a
Wiesensteig fino a quando non fu imposto dai conti di Helfen-
stein. Il conte Sebastian von Helfenstein morì poco dopo, e suo
fratello Ulrich alla fine tornò al cattolicesimo, nel 1567, ma non
prim a di aver lanciato una grande «caccia alle streghe». Questa
sintesi si basa sul lavoro di Midelfort (1972, pp. 88-90).
l NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 351
Rottenburg
Rottenburg era notevolmente più grande di Wiesensteig, con
una popolazione di 2700 abitanti. Situata nella valle del fiume
Neckar, a circa 80 chilometri a ovest di Wiesensteig e 40 a sud di
Stoccarda, anche Rottenburg dimostrò un considerevole interes-
se locale per il protestantesimo, ma esso finì quando gli Asburgo
re-imposero il cattolicesimo (anche questa sintesi si basa sul la-
voro di Midelfort del 1972, pp. 90-94).
Quando la caccia alle «streghe» si diffuse nella regione, Rot-
tenburg non vi partecipò (per lo meno non mandò nessuno al ro-
go). Anche in questa città nel 1578 vi fu una grave tempesta con
fulmini che appiccarono degli incendi e mandarono in rovina i
raccolti, e anche qui si diffuse !'«ossessione per le streghe», che
condusse all'identificazione e alla condanna al rogo di sette
«streghe». Iniziò così un ciclo continuo di accuse, arresti e tortu-
re, che portavano a nuove accuse, arresti e torture, e via di que-
sto passo. Infatti, spesso era necessario torturare gli accusati per
ottenere i nomi di altri sospetti, dal momento che sotto tortura la
gente si dimostrava più che disponibile a condividere il destino
con qualcun altro. In alcuni casi, temendo di essere accusate, le
persone facevano sapere che se lo fossero state avrebbero porta-
to con sé molti altri, e quando arrivava il momento, manteneva-
no fede alla promessa (Briggs 1989, p. 92). Molti autori hanno da-
to la colpa di questa incapacità di comprendere che erano gli
stessi im putati a fabbricare le accuse al cieco fanatismo dei re-
sponsabili della giustizia. Eppure, a questi critici sfugge la somi-
glianza con i pubblici ministeri moderni, che «ricostruiscono»
trame criminali sulla base delle confessioni dei colpevoli già ar
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 353
Germania
Per quanto riguarda il resto della Germania (il Nord e l'Est ri-
spetto alle terre di confine del Reno), i processi per stregoneria
furono poco comuni, come in Francia, e il controllo politico fu al-
trettanto efficace. Certo, anche in quest'area mancava un regime
centrale e i tribunali locali non rispondevano a un Parlement, ma
le unità politiche erano molto più estese, e al loro interno esiste-
va un controllo paragonabile a quello di un governo centrale. Si
ricordi, dal capitolo 1, che molte di queste entità divennero prò-
testanti o rimasero cattoliche senza curarsi del sostegno popola-
re, ma basandosi sugli interessi politici e finanziari dei loro go-
vernanti. Fu solamente il controllo efficiente a far distinguere
quest'area dalle terre di confine, dal momento che entrambi gli
altri due fattori erano presenti anche qui. Proprio come nella vai-
le del Reno, imperversava il conflitto religioso con continui scon-
tri fra gli eserciti protestanti e cattolici. E anche qui, era senza
dubbio diffusa la credenza nell'esistenza del satanismo.
Scandinavia
I processi per stregoneria incominciarono molto tardi in Scan-
dinavia. Ma una volta accesi, i roghi bruciarono molto vivida-
mente. Si stima che, a partire dalla fine del 1600, siano stati giù-
stiziati per stregoneria 1700 scandinavi. Dato che nella regione
vivevano circa due milioni di persone, si ha un tasso di esecu-
zioni di circa 850 per milione, molto più alto che in Francia e nel-
l'Europa meridionale. Ovviamente, anche in quest'epoca la
«Scandinavia» comprendeva diverse nazioni indipendenti e aree
relativamente autonome. Sarà utile prenderne in considerazione
alcune separatamente, partendo dalle due principali potenze, la
Svezia e la Danimarca.
Svezia
La credenza nella magia e nei malefici in Svezia era universa-
le, così come in tutta Europa. Qui i malefici implicavano la pena
capitale qualora fosse possibile dimostrare che qualcuno avesse
subito dei veri danni. Ma fu solo a fine 1500 che iniziarono a
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 355
Danimarca
I danesi erano l'altra grande potenza della Scandinavia, con
colonie occidentali fino all'Islanda e alla Groenlandia. La caccia
alle «streghe» della Danimarca si verificò molto prima di quella
in Svezia, e fu molto più mite. Cosa ancora più importante, ci of-
fre un'illustrazione drammatica del potere del governo. Per tut-
to il periodo in questione, la Danimarca ebbe un governo forte,
centralizzato, e la caccia alle «streghe» si verificò e finì in rispo-
sta a delle variazioni nelle politiche ufficiali. Prima del 1617, in
Danimarca le norme giuridiche in tema di stregoneria non pre-
vedeva l'ipotesi satanica. Altrettanto importante il fatto che il co-
dice delle leggi proibiva la tortura e le denunce non venivano
358 A GLORIA DI DIO
Islanda
Prima della «Riforma protestante» non vi fu nessun processo
per stregoneria nella colonia danese deH'Islanda. Poi, «la Rifor-
ma fu imposta con la forza agli islandesi dal re danese, certa-
mente non senza la loro resistenza» (Hastrup 1990, p. 386; Vé-
steinsson 2001). Per ordine di Cristiano III, i vescovi cattolici fu-
rono deposti e i loro beni sequestrati dalla Corona. Tuttavia, un
vescovo sollevò le truppe e si oppose, ottenendo l'appoggio di
molti altri che avevano ideali nazionalistici. Alla fine, comunque,
prevalsero le forze danesi, e il vescovo e alcuni dei suoi sosteni-
tori furono decapitati (Latourette 1975).
Quando il clero luterano cercò di imporre la nuova fede nella
pratica pubblica trovò come cruciale punto di conflitto la magia
e la stregoneria, che erano molto popolari e avevano incontrato
poca opposizione da parte del cattolicesimo. Quasi subito, il eie-
ro luterano appena arrivato chiese di proibire tali pratiche e co-
minciò a formulare accuse contro chi vi si dedicava. Peggio an-
cora, i luterani importarono dal continente europeo le concezio-
ni che collegavano la magia al satanismo. Così, nel 1625, poco
dopo che le esecuzioni per stregoneria si erano diffuse in Dani-
marca, fu m andata al rogo la prim a «strega» islandese. I fattori
scatenanti furono la morte di un gran numero di capi di bestia
360 A GLORIA DI DIO
Norvegia
Come llslanda, la Norvegia era sotto il controllo danese du-
rante i giorni della caccia alle «streghe». Inoltre, come all'Islanda,
alla Norvegia fu imposta la «Riforma protestante», e con essa
giunse il clero luterano educato in Germania e votato alla dottai-
na del satanismo. E, come in Islanda, questo portò alla ridefini-
zione della magia e della stregoneria, stabilendo che per prati-
carie occorresse un patto con il Diavolo, il che rese inevitabile la
caccia alle «streghe» (Naess 1990).
La caccia alle «streghe» norvegese si diffuse nello stesso mo-
mento in cui iniziò in Danimarca, e fu condotta «da pastori, giù-
dici e ufficiali giudiziari nati o educati in Danimarca e Germania»
(Naess 1990, p. 381). Il fenomeno, poi, raggiunse il suo culmine
più o meno negli stessi anni del picco danese, negli anni '20 del
1600, con l'esecuzione di 69 persone. Tuttavia, in Norvegia fu più
letale e durò più a lungo che in Danimarca, diminuendo graduai-
mente solo negli anni '60 di quel secolo e costando la vita a circa
280 persone (un tasso di 638 per milione). Proprio come in Dani-
marca la caccia alle «streghe» finì nel momento in cui i tribunali
furono in grado di affermare il proprio controllo sulle procedure
e sulla validità delle prove, quando questi stessi principi furono
esportati in Norvegia, la Corte d'Appello cominciò non solo ad
1 NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 361
Finlandia
Durante l'epoca della stregoneria, la Finlandia era una prò-
vincia della Svezia. Le dirette influenze tedesche fecero sì che la
caccia alle «streghe» finlandese iniziasse una ventina di anni pri-
ma, ma sia in Finlandia sia in Svezia il culmine fu negli anni '70
del 1600, quando 41 finlandesi furono giustiziati come «streghe».
Il fenomeno si esaurì nello stesso momento nel resto della Svezia
e per gli stessi motivi. I morti furono 115, per un tasso di 329 per
milione (Heikkinen, Kervinen 1990). Metà delle vittime erano
uomini. E, come capitava in tutta la Scandinavia, la maggior par-
te erano «stregoni professionisti» ai quali venivano imputate
competenze e poteri diabolici - un punto di vista importato con
il protestantesimo. Anzi, la dottrina del satanismo fu promulga-
ta dai docenti della Turku Academy, la prim a università della
Finlandia, fondata nel 1640. Qui dominava il pensiero tedesco,
comprese le nozioni riguardanti la stregoneria. Dopo pochi anni
dalla sua fondazione, «alla Turku Academy furono pubblicate
due tesi di laurea che trattavano l'argomento della magia natu-
rale e discutevano anche dei patti con il Diavolo» (Heikkinen,
Kervinen 1990, pp. 323-326).
Per riassumere: la caccia alle «streghe» giunse in Scandinavia
con il protestantesimo, quando la credenza luterana nel satani
362 A GLORIA DI DIO
Inghilterra
Solo gli spagnoli e gli italiani giustiziarono in proporzione
meno «streghe» degli inglesi. C. L'Estrange Ewen (Ewen 1929)
stimò che sul patibolo salirono circa 1000 «streghe» inglesi, e
Brian P. Levack (1995) portò la cifra a circa 500. E questo ci dà al
massimo 200 morti per milione, oppure solo 100, a seconda del-
la stima scelta.
L'era della caccia alle «streghe» in Inghilterra coincise con
quella della «caccia ai preti», che causò circa 260 «martiri» catto-
lici (Thomas 1971). Entrambe seguirono la caccia all'eresia che
mandò al rogo circa 300 protestanti durante il breve regno di
«Maria la sanguinaria», dal 1553 al 1558 (Lambert 1992; Latou-
rette 1975). Il numero totale delle vittime della caccia ai preti e
quello della caccia alle «streghe» è piuttosto simile, se si esclu-
dono le 200 morti causate da M atthew Hopkins, il quale attra-
versò le contee orientali nel 1645 e nel 1646, per «scovare» le
«streghe». Dal momento che Hopkins testimoniò di aver visto i
diavoli invocati da alcune delle sue vittime, e dal momento che,
per aggirare le regole giudiziarie, ricorse a metodi di tortura che
non lasciavano segni fisici, si può sostenere in maniera convin-
cente che la sua fosse una frode volta a ottenere le piccole ricom-
pense da «cacciatore» che riusciva a farsi dare dai funzionari lo-
cali (Robbins 1959; Thomas 1971). In ogni caso, Hopkins provocò
l'unica vera «paura» delle streghe della storia inglese, e gran par-
te degli altri casi segue imo schema «di procedimenti penali an-
nuali costanti e poco spettacolari» (Thomas 1971, p. 451). Al di là
dei casi fomiti da Hopkins, il picco delle azioni penali inglesi si
ebbe negli anni '80 e '90 del 1500, durante il regno di Elisabetta I
(1533-1603). Dopo Hopkins (che si ritirò dalla caccia alle «stre
l NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 363
l'im putato era innocente fino a prova contraria. Diversi passi fai-
si sono da imputare a giudici così agitati sull'argomento da igno-
rare le loro funzioni, e alcuni a giudici che cedettero alle richie-
ste popolari. Il presidente di corte North confessò di aver accon-
sentito alla condanna di tre donne innocenti per paura che il re-
spingimento delle accuse infiammasse le folle, spingendole a ul-
teriori cacce alle «streghe». Ma nella maggior parte dei casi, i giù-
dici mantennero le cose sotto controllo. In un caso memorabile,
un giudice inglese rispose all'accusa rivolta a un imputato di vo-
lare nel corso dei sabba delle «streghe» asserendo che non vi era
alcuna legge contro il volo (Thomas 1971).
Così, nonostante i conflitti religiosi locali, intensi e sanguino-
si, e anche dopo che la credenza nel satanismo aveva preso pie-
de, un controllo politico forte impedì il peggio. Il che non fu di
nessun aiuto per i 500 sfortunati, che morirono per crimini im-
maginari, ma salvò centinaia di imputati dalla condanna al rogo,
e migliaia di persone da sospetti e imputazioni.
Scozia
Le cose andarono in modo molto diverso in Scozia. Sebbene
nessuna «strega» scozzese fosse stata m andata al rogo prim a
della «Riforma protestante» (Levack 1995), alcuni fra i prim i so-
stenitori del protestantesim o furono giustiziati per eresia, a co-
minciare da Patrick Hamilton, nel 1528. Q uando il cardinale
cattolico di Saint A ndrews m andò al rogo il protestante George
Wishart, nel 1546, un gruppo di «terroristi» protestanti assassi-
narono il vescovo e si barricarono in un castello, in attesa di
aiuti dall'Inghilterra. Invece, furono fatti prigionieri dalle forze
inviate dalla Francia (Latourette 1975). Tra i prigionieri c'era
John Knox (1514-1572), che non aveva preso parte all'assassi-
nio, ma che si era unito al gruppo nel castello. Portato in Fran-
eia, scontò una condanna di diciannove mesi di galera e poi
andò in Inghilterra, nel 1549. Lì prestò servizio come cappella-
no di re Edoardo VI ma, insieme alla maggior parte del clero
protestante più influente, dovette fuggire di nuovo nel conti-
nente quando la fervente cattolica «Maria la sanguinaria» salì
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 365
Reti e limiti
Avendo esaminato tutti i casi noti di «grandi» cacce alle
«streghe» nella Germania sudoccidentale, H. C. Erik Midelfort
fece un'osservazione acuta. Le comunità potevano alimentare
delle piccole cacce alle «streghe» più o meno all'infinito - anno
dopo anno, poteva essere processato e giustiziato un certo nu-
mero di persone. Diversamente, le cacce alle streghe di vaste di-
mensioni (definite tali per numero annuale di condannati a
morte superiore ai venti) non potevano essere alimentate di con-
tinuo, e portarono rapidam ente alla fine del fenomeno (Mi-
delfort 1972, p. 191). In altre parole, dopo una rilevante prolife-
razione di esecuzioni, le comunità coinvolte non si attestarono
su un livello inferiore ma, al contrario, posero del tutto fine alle
esecuzioni.
La spiegazione di questo fenomeno che ci viene data da Mi-
delfort è che le grandi cacce alle «streghe» «distrussero ogni sen-
so di comunità», e fecero sì che tutti si sentissero a rischio. Si trat-
tava di una «sensazione sconvolgente», che confutava Timmagi-
ne prevalente di chi poteva essere considerato colpevole, poiché
tutti erano dei potenziali sospetti. Personalmente, sono certo che
Midelfort abbia ragione. Infatti, la sua osservazione è del tutto
coerente con i fondamentali principi sociologici sulla natura del-
la solidarietà di gruppo.
Riducendo la spiegazione all'essenziale, possiamo dire che
tutte le comunità sono costituite da reti sociali, da strutture di re-
lazioni tra le persone. Queste relazioni sono basate su legami fa-
miliari, di vicinato, di amicizia, lavoro, e simili. Le reti sociali so-
no la base di tutta la vita sociale. Esse danno ai membri sicurez-
za, appagamento emotivo, e identità. Forniscono informazioni,
attitudini e risorse sociali. Inoltre, le reti impongono conformità:
certi tipi di comportamento non solo possono costare agli indivi-
dui i loro legami di rete, ma possono far sì che la rete imponga
loro delle punizioni. In una comunità, però, non tutti fanno par-
te di una rete. Ci sono sempre degli individui isolati, o piccoli
gruppi, che non vi appartengono o non si adattano. Tutta la so-
ciologia si basa su qùesti concetti.
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 369
La pace
Nel 1648, dopo più di un secolo di spargim enti di sangue,
venne siglata la Pace di Vestfalia. In essa, si proclamava il di-
ritto dei protestanti di vivere la propria fede e si fissavano dei
confini fra territori protestanti e cattolici. Si decise anche che i
prìncipi cattolici avrebbero permesso ai protestanti di dedicar-
si al proprio culto (in privato) all'interno dei loro territori, e
che i prìncipi protestanti avrebbero fatto lo stesso con i cattoli-
ci. Tuttavia, l'accordo copriva un'area molto limitata, in parti-
colare la Germania. I protestanti non ottennero una vera li-
bertà religiosa in Spagna, Portogallo e Italia fino al XX secolo
inoltrato, e alcune restrizioni restano ancora oggi. Per quanto
riguarda la Francia, fino alla fine del 1600 continuarono delle
gravi persecuzioni anti-protestanti, le quali cessarono sola-
m ente quando non rimasero più ugonotti in tutto il paese. An-
che in Inghilterra l'anticattolicesimo persistette, anche se la
caccia ai preti finì.
Nonostante queste limitazioni, il livello generale di conflitto
e, cosa più importante, le ansie associate a questi scontri dimi-
nuirono rapidamente dopo la Pace. E la cosa si verificò soprat-
tutto nei territori protestanti. Come abbiamo già detto parlando
della Norvegia, all'improvviso i protestanti poterono sentirsi al
sicuro. Non ci sarebbero più state Armadas spagnole, le truppe
francesi non sarebbero più intervenute come avevano fatto in
Scozia, e né forze cattoliche né protestanti avrebbero depredato
la regione del Reno. In Svizzera ormai erano al sicuro sia i can-
toni protestanti sia quelli cattolici.
Esattamente come lo scoppio di diversi conflitti religiosi
gravi aveva portato con sé la caccia alle «streghe», così la fine
delle guerre di religione e la stipulazione di trattati di tolleran-
za vi posero termine. Nazione dopo nazione, dopo la Pace di
Vestfalia !'«ossessione per le streghe» svanì. E questo trattato
segnò anche la fine della caccia alle eresie: i valdesi sopravvis-
suti non dovevano più nascondersi. Allo stesso modo, l'ultim o
massacro di ebrei (fino al XX secolo) si verificò a Francoforte,
nel 1614.
374 A GLORIA DI DIO
Scetticismo
Quando i timori legati al conflitto religioso svanirono, e quan-
do la proibizione della tortura mise fine al sistema delle confes-
sioni estorte, la consapevolezza delle terribili ingiustizie della
caccia alle «streghe» iniziò a diffondersi piuttosto rapidamente
fra le élite europee. E ciò fu particolarmente stimolato dall'espe-
rienza diretta di grandi persecuzioni, placatesi dopo che le accu-
se erano state estese a cittadini chiaramente eccellenti, rove-
sciando così le idee sulle caratteristiche esteriori delle «streghe».
Come ha osservato Keith Thomas, «bastava essere testimoni ocu-
lari di accuse palesemente ingiuste per credere alla necessità di
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 375
durante la Guerra dei Trent'Anni (il libro, infatti, era stato letto
dalla regina Cristina) e dell'aver fatto sì che l'elettore di Magon-
za ponesse fine ai processi nelle zone sotto il suo controllo. Le ar-
gomentazioni di Spee furono anche adottate e promulgate dal-
l'Inquisizione romana (Midelfort 1972). Tuttavia, né padre Spee
né i suoi colleghi a Roma dubitavano del fatto che Satana fosse
ima costante fonte di miseria umana, o pensavano che la strego-
neria non esistesse. Piuttosto, come ha osservato Keith Thomas,
«Ciò che li influenzò non era la negazione della possibilità della
stregoneria in quanto tale, ma una superiore consapevolezza del-
la difficoltà logica del dimostrarla nei casi specifici» (Thomas
1971, p. 573).
Diversamente, quando iniziarono a essere espressi dei dubbi
sull'effettiva esistenza della stregoneria, era ormai troppo tardi
perché avessero importanza. Per esempio, Balthasar Bekker
spesso viene citato per aver negato l'esistenza stessa del Diavo-
lo. Nel suo The World Bewitched [«Il mondo stregato», N.d.T.]
scrisse che in quanto «monoteista, credente in un solo Dio» non
poteva «pensare che vi fossero due dei, uno buono e uno malva-
gio». E disse anche che la stregoneria era stata inventata dai cat-
tolici «per riempire le tasche del clero» (in Robbins 1959, p. 45).
Ma scrisse solamente nel 1691. Allo stesso modo, Christian Tho-
masius, rettore dell'Università di Halle - e anche lui spesso cita-
to per aver contestato i dogmi che stavano alla base della ere-
denza nella stregoneria - pubblicò i suoi scritti solo nel 1701: ben
un secolo e mezzo dopo Francisco Vaca.
Infine, è buona cosa osservare che la nascita della scienza of-
fri delle spiegazioni naturali a quei fenomeni che in precedenza
venivano attribuiti a spiriti. Tuttavia, come ho chiarito nel capi-
tolo precedente, è una spiacevole sciocchezza «liberale» il soste-
nere che la fine della caccia alle «streghe» si dovette al «trionfo
della cosmologia meccanicista dell'Europa di fine XVII secolo»
(Monter 1976, p. 39), oppure che tale «filosofia meccanicista rap-
presentò una seria minaccia per la fede religiosa» e dunque sere-
dito i «miracoli, l'efficacia delle preghiere, l'opera della Divina
Provvidenza e persino l'esistenza di Dio» (Levack 1995, p. 241).
380 A GLORIA DI DIO
Conclusione
noscritti, o come mai Lamothe-Langdon era noto per aver prodotto un cer-
to numero di altre falsificazioni, come le finte memorie di celebrità del
XVIII. Solamente a metà degli anni '70, gli studiosi che si occupavano di
stregoneria lo capirono. Norman Cohn (1975 e 2000) e Richard Kieckhefer
(1976) si meritano delle congratulazioni per aver messo in luce queste fai-
sità, che hanno fatto sì che moltissimo lavoro accademico andasse spreca-
to nel tentativo di verificare cose mai accadute.
2Il totale di nove milioni di morti può essere fatto risalire a Matilda Joslyn
Gage, in ]Nomati, Church and State, un'opera dei primi tempi del femmini-
smo pubblicata nel 1893. Sembra che la cifra sia più un'intuizione, poiché
l'autrice non offre alcuna prova a suo sostegno, ma da quel momento in
poi è sopravvissuta, spesso senza citazione specifica - Andrea Dworkin
(1974, p. 130) si limita per esempio a definirla «la stima più affidabile».
Beh, proprio così!
3Supponendo che nell'Europa dell'epoca vi fosse una popolazione media
di 35 milioni di persone (Russell 1958) e che, in base all'aspettativa di vita
prevalente, la popolazione triplicasse in un secolo, questa proporzione si-
gnifica che 315 milioni di persone correvano il rischio di essere giustiziate
per stregoneria.
1In quella che è la caccia alle «streghe» più attentamente studiata e docu-
mentata, 162 persone furono accusate di stregoneria a Salem, nel Massa-
chusetts. Di queste, 76 furono processate, 30 condannate, e 20 giustiziate
(Levack 1995).
5Trethowan (1963, p. 341) esprime la propria sorpresa per la «notevole so-
miglianza» fra le discussioni della «psicopatologia» dell'impotenza nel
Malleus maleficarum e quelle proposte da lui e dai suoi colleghi freudiani.
Per chiunque non fosse un vero credente basterebbe questo per iniziare
una seria riflessione sul valore scientifico della psicanalisi.
6Questa è una falsità tanto quanto quelle in merito alla Terra piatta o al-
l'opposizione della Chiesa alla dissezione umana. Per esempio, nel 1619,
Pere Gii, rettore del Collegio gesuita di Barcellona, diede voce alla posizio-
ne cattolica ufficiale sostenendo che l'idea che le «streghe» potessero cau-
sare il maltempo era una superstizione eretica, dal momento che solamen-
te Dio poteva intervenire sulle cause naturali delle tempeste (Kamen 1993,
p. 241). White aveva ragione nel sostenere che molte «streghe» furono con-
dannate per aver causato grandinate e altri fenomeni di maltempo, ma ciò
avvenne in tribunali locali secolari, oppure a causa di un clero ignorante e
isolato, essendo una posizione contraria alla dottrina della Chiesa.
7William Shakespeare (1564-1616) credeva nelle «streghe», e come lui il
I NEMICI DI DIO: UNA SPIEGAZIONE DELLA CACCIA ALLE STREGHE 383
suo pubblico (Harris 1980; Willis 1995). Albrecht Durer (1471-1528) fece
del suo meglio per creare dei ritratti accurati di «streghe» che svelassero le
loro anime mostruose.
“Hobbes non credeva che le «streghe» possedessero davvero dei poteri so-
prannaturali, ma dava per scontato che credessero di averne e che cercas-
sero di usarli, motivo per cui erano da considerarsi colpevoli. Questo pun-
to di vista lascia intatto il suo ateismo, certo, ma non lo qualifica come «il-
luminato».
, Incredibilmente, dopo essersi dilungate a lungo sul suo libro di teoria po-
litica, oggi ampiamente dimenticato e ignorato, nelle loro voci su Bodin
sia YEncyclopaedia Britannica sia la New Columbia Encyclopaedia non fanno
menzione di quest'opera, che fu di gran lunga la più influente.
10La condanna delle pozioni amorose come interferenze nella libertà di
scelta, e dunque come forma di violazione, è in sostanza identica alle de-
nunce che oggi vengono mosse contro la «droga dello stupro».
11Norman Davies (1996) ha trattato in maniera estesa il declino deU'Impe-
ro ottomano nel XIX e nel XX secolo, ma non queste importanti campagne.
12Robin Briggs (1989, p. 20) suggerisce di «considerare l'intero fenomeno
come risultato naturale di tendenze potenti all'intemo sia del mondo cri-
stiano, sia dello sviluppo di una cultura superiore, e di concentrarci sulla
spiegazione del motivo per cui le cose non andarono molto peggio, piut-
tosto che sul motivo per cui avvennero».
13Sono certo che anche altri abbiano obbiettato alla caccia alle «streghe» in
precedenza, ma non se ne trova menzione nella letteratura sull'argomen-
to. Ho omesso Michel de Montaigne perché il suo «attacco» nei saggi è as-
sai ellittico, e ammonta a poco più di una riga. Benché sia stato celebrato
da chi sostiene la tesi che furono gli umanisti a salvare l'Europa da ulte-
riori cacce alle «streghe», va sottolineato che non va oltre a un «dopo tut-
to è mettere le proprie congetture a ben alto prezzo il volere, per esse, far
arrostire vivo un uomo».
Capitolo 4
lish della costa», ma negò che «le immagini strazianti che quella
parola ci riporta in mente abbiano [una qualche] connessione con
l'istituzione esistente tra le tribù indiane di questa regione». E
continuava sostenendo che gli schiavi «non lavoravano più stre-
nuamente dei membri liberi delle classi più basse», e che «in ge-
nerale si può dire che gli schiavi erano trattati molto bene» (Cur-
tis 1913, p. 74). Più di recente, Morton Fried (1967, pp. 220-223)
ha espresso la sua contrarietà all'uso del termine «schiavo» in ta-
le contesto, ritenendo più esatto fare riferimento a queste perso-
ne come a «prigionieri», dal momento che «lo status definito
"schiavitù" nelle culture della costa nordoccidentale mostra
scarsa somiglianza con quello associato alle società stratificate»
(beh, quale sociologo competente potrebbe accettare l'idea che
esista una società non stratificata?). Inoltre, questi «prigionieri»
erano «pochi», principalmente «donne e bambini». Infine, Ro-
nald ed Evelyn Rohner, nella loro lunga monografia sui Kwakiu-
tl, affermarono: «Un tempo anche i Kwakiutl avevano degli
schiavi che erano di solito prigionieri di guerra di altre tribù. Gli
schiavi contribuivano poco al sistema sociale tradizionale, confe-
rivano soltanto prestigio ai loro possessori; non presteremo loro
ulteriore attenzione» (Rohner, Rohner 1970, p. 79).
Queste considerazioni superficiali dominarono il sapere con-
venzionale in materia così a lungo e in misura tale che nei ma-
nuali universitari per la laurea di primo livello sui nativi norda-
mericani1non si parla nemmeno di schiavitù, né ne fa cenno l'o-
pera The Smithsonian Book of North American Indians, pubblicata
nel 1986. Fortunatamente, fin da subito alcuni studiosi racconta-
rono la verità sulla schiavitù praticata dalle varie tribù delle co-
ste nordoccidentali: si trattava di vera schiavitù in tutti i suoi
aspetti, che imponeva condizioni brutali a un numero considere-
vole di persone (si veda MacLeod 1925 e 1928; Nieboer 1910;
Ruby, Brown 1993; Ruyle 1973; Siegei 1945). Nel 1990 persino lo
Smithsonian era pronto a riconoscere che presso i nativi nordoc-
cidentali veniva praticata una vera schiavitù e a scartare «la vi-
sione convenzionale [...] secondo la quale gli schiavi erano solo
dei beni di prestigio» che «vivevano bene come i loro padroni»
390 A GLORIA DI DIO
(Suttles, Jonaitis 1990, p. 87). Poi, nel 1997, fu pubblicato uno stu-
dio generale definitivo, Aboriginal Slavery on thè Northwest Coast
of North America [«Schiavitù aborigena sulla costa nordocciden-
tale del Nord America», N A T .], di Leland Donald. Quest'opera
imponente documentò i seguenti fatti.
Per quanto riguarda il loro numero - considerato esiguo da-
gli studi precedenti - in realtà gli schiavi costituivano un terzo
della popolazione in alcuni villaggi, e dal 15 al 25% in molti al-
tri. Non erano certo di scarsa, o nulla, rilevanza economica, ma
«la loro forza lavoro era molto importante in numerose attività
di sussistenza», e il commercio degli schiavi aveva un ruolo rile-
vante nell'economia di alcune tribù. In tutte queste culture in-
diane, la schiavitù era «considerata vergognosa e degradante».
Invece che essere limitata a pochi prigionieri, la condizione di
schiavo era ereditaria - «I figli degli schiavi erano schiavi» - e so-
lo molto raramente i proprietari liberavano uno schiavo. Quan-
do Boas aveva eliminato in maniera così drastica gli schiavi dal
suo studio perché non appartenevano ad alcun clan, si era di-
menticato di dire che proprio per questo motivo non avevano di-
ritti o privilegi di alcun tipo. Spesso venivano venduti o ceduti.
«I padroni esercitavano un controllo fisico assoluto sui loro
schiavi, e potevano anche ucciderli qualora lo desiderassero.» E
spesso i padroni sceglievano di uccidere gli schiavi anziani e am-
malati, così come i ribelli. Infine, gli schiavi spesso venivano uc-
cisi nei sacrifici rituali, soprattutto durante il funerale del loro
padrone, di modo che questi potesse usufruirne nel mondo a ve-
nire, e mostrare intanto la sua ricchezza a chi rimaneva (Donald
1997, pp. 33-34).
Questo per quanto riguarda i tentativi di escludere dal nove-
ro delle società schiaviste i «buoni selvaggi» del nordovest. Co-
me illustrato in precedenza, erano presenti in quest'area geogra-
fica tutte le caratteristiche fondamentali della schiavitù. Per
quanto concerne la base economica della schiavitù in queste so-
cietà, nello suo studio classico H. J. Nieboer sostenne in modo
convincente che essa si fondava sull'abbondanza naturale (Nie-
boer 1910). Lungo la costa nordoccidentale bastava un piccolo
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 392
Schiavitù musulmana
Per quasi tutto il secolo corso, la schiavitù esistente nel mon-
do islamico, come quella fra i nativi della costa nordoccidentale,
ricevette poca attenzione. Nel suo Slavery: A World History (1993)
[«Schiavitù: una storia del mondo», N.d.T.], Meltzer non nomina
nemmeno la schiavitù m usulm ana se non in una breve discus-
sione sull'attuale schiavitù, proprio alla fine del libro. E come se,
paragonata al commercio di schiavi dell'Atlantico, la schiavitù
islamica fosse troppo insignificante per essere considerata im-
portante storicamente. In verità, il commercio di schiavi musul-
mano iniziò molti secoli prim a che gli europei scoprissero il
Nuovo Mondo e ne furono vittime tanti africani quanti ne furo-
no imbarcati per attraversare l'Atlantico, se non di più (Austen
1979; Curtin 1969; Gordon 1989; Lewis 1990; Lovejoy [1983] 2000;
Mauny 1970; Segai 2001; Thomas 1997). Inoltre, molto tempo do-
po la fine del commercio occidentale di schiavi, «i sambuchi ara-
bi si muovevano ancora furtivamente da Zanzibar, Mombasa e
altri porti dell'Africa orientale, seguendo le familiari rotte del-
l'Oceano Indiano, per consegnare r ״ebano'' [...] destinato a es-
sere venduto nelle fiere di schiavi dell'Arabia, del Golfo Persico,
dell'Impero ottomano e dell'India» (Gordon 1989, p. 4).
Per la stragrande maggioranza dei casi la schiavitù musul-
mana era del tipo «di consumo». I primi esperimenti con l'im-
piego di schiavi nelle piantagioni provocarono sanguinose ribel
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 399
no, godevano dei diritti umani essendo per il loro padrone degli
individui. E fu così solamente nella terra dell'islam» (Salahi 1995,
p. 375). Uno dei motivi che stanno alla base di simili affermazio-
ni è il fatto che, a volte, gli schiavi, soprattutto gli eunuchi, otte-
nevano una posizione di notevole potere e influenza. Ma è fon-
damentale capire che è fuorviante paragonare uno schiavo tipi-
co del mondo musulmano e imo tipico del Nuovo Mondo, poi-
ché non è possibile confrontare schiavi domestici con schiavi che
lavoravano nei campi. E ciò nonostante è facile confutare l'idea
che gli schiavi fossero trattati meglio neH'islam. Anzi, è suffi-
ciente osservare quanto poche siano le persone di discendenza
africana nelle nazioni islamiche rispetto a quelle del Nuovo
Mondo. Dal momento che, approssimativamente, lo stesso nu-
mero di africani giunse nelle due diverse aree, se la vita degli
schiavi nella «terra deU'islam» fosse stata anche solo paragona-
bile a quella degli schiavi americani, beh, allora queste nazioni
dovrebbero avere una rilevante popolazione nera. Ma non è co-
sì, perché la fertilità degli schiavi nel mondo islamico era estre-
mamente bassa, non solo a causa della frequente castrazione de-
gli uomini, ma anche perché l'infanticidio era pratica comune nel
caso di neonati che mostrassero una discendenza africana (Gor-
don 1989; Lewis 1990).
La fine della schiavitù islamica (ma il fenomeno esiste ancora
su scala minore), fu il risultato diretto della sua abolizione in Oc-
cidente (Lewis 1990). Fu soprattutto la Marina britannica a prati-
care l'embargo sulle navi schiaviste musulmane, e le truppe co-
loniali britanniche e francesi intercettarono innumerevoli caro-
vane di schiavi in Africa, liberando le persone e a volte giusti-
ziando sul posto i mercanti di schiavi. Anche la recentissima abo-
lizione della schiavitù in alcune nazioni islamiche è stata una ri-
sposta alla forte pressione occidentale.
Schiavitù africana
Proprio come hanno ignorato per molto tempo la schiavitù
islamica, gli storici occidentali hanno mostrato «una tendenza
simile a "glissare" sulla pratica della schiavitù e sull'esteso traf
402 A GLORIA DI DIO
gli schiavi bruti non meritano, per la bassezza della loro condi-
zione, di essere giudicati da [...] dodici uomini» (Goveia 1969, p.
126). Tuttavia, nel caso di un «qualsiasi reato degno di morte» il
padrone doveva portare il colpevole davanti a un giudice di pa-
ce e a due testimoni per ima condanna formale (Dunn 1972, p.
243). Il codice, inoltre, precisava che i sorveglianti dovevano te-
nere gli schiavi sotto un controllo molto stretto, e perquisire le lo-
ro capanne almeno due volte al mese alla ricerca di beni rubati e
merci di contrabbando. Agli schiavi non era permesso sposarsi,
e ai padroni era proibito dare la libertà a uno schiavo, tranne nel
caso in cui vi fosse un atto legislativo speciale. Questa restrizio-
ne legale all'affrancamento fu presto sostituita da ima tassa così
pesante da renderlo un divieto. Nelle isole Leeward settentrio-
nali un proprietario era tenuto a pagare 500 sterline al tesoro
pubblico per liberare uno schiavo, cifra molte volte superiore al
prezzo d'acquisto di imo schiavo (Johnston 1910, p. 231). Una
tassa simile fu imposta da parte del legislatore di San Cristoforo
nel 1802, con il dichiarato intento di evitare l'aum ento del nu-
mero di «negri liberi», che era considerato un «grande inconve-
niente» (Mathieson 1926, pp. 38-40). I coloni delle Barbados era-
no così preoccupati di ridurre al minimo il numero di neri liberi
che imposero ima tassa ancora più pesante sulla liberazione del-
le schiave.
Q uando il codice fu prom ulgato e inviato in patria per la re-
visione governativa, il governatore delle Barbados temette che
potesse essere uno «shock» per i funzionari in Inghilterra. Con
sua grande sorpresa, invece, il codice fu rapidam ente approva-
to nella sua integrità dai funzionari del Commercio, i quali os-
servarono che gli schiavi neri erano «gente brutale considerata
[correttamente] alla stregua di merce e beni mobili» (Mathieson
1926, p. 245).
Si tenga presente che il Code of Barbados fu adottato in parte
per moderare il trattamento degli schiavi nelle colonie britanni-
che! E questa moderazione era assolutamente necessaria. Ad
esempio, un rapporto proveniente dalla colonia di Nevis, nel
1675, parlava di «numerose persone crudeli» che avevano ucciso
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 413
Brasile
La colonia portoghese del Brasile è stata la società schiavisti-
ca più grande e longeva del Nuovo Mondo (Conrad 1974,1983 e
1993; Drescher 1988; Karasch 1987; Schwartz 1985, 1992 e 1998;
Toplin 1972 e 1981). Inizialmente, gli schiavi erano nativi. Tutta-
via, gli schiavi nativi potevano essere catturati solo con spedi-
zioni costose e rischiose; inoltre, una volta prigionieri, erano
molto difficili da controllare (e spesso fuggivano di nuovo nella
giungla) e nelle loro comunità il tasso di mortalità era molto eie-
vato a causa delle malattie europee. I missionari gesuiti e dome-
nicani, poi, si opponevano con forza ed efficacia alla schiavitù
dei nativi, citando le bolle papali in materia (di questo, parlere-
mo più avanti). Così, nel 1570, la corona portoghese vietò la ri-
duzione in schiavitù dei nativi, a meno che non fossero catturati
e fatti prigionieri in ima «guerra giusta». La Chiesa cattolica ro-
mana si affrettò a osservare, però, che quelle contro i nativi non
erano affatto guerre giuste, e inoltre condannò la riduzione in
schiavitù dei nativi «per guerra sia giusta sia ingiusta», come
scrisse papa Gregorio XIV (1590-1591) nella sua bolla Cum sicuti,
nel 1591 (Panzer 1996, p. 30). Tutti questi fattori spinsero i porto-
ghesi a cercare in Africa lavoratori schiavi, con il vantaggio ulte-
riore che la costa africana era più vicina a quella del Brasile ri-
spetto a qualsiasi altro punto dell'emisfero occidentale.
Dalla metà del XVI secolo fino all'abolizione della schiavitù
nel 1888, i brasiliani importarono dall'Africa almeno 3,6 milioni
di schiavi (Curtin 1969). Oltre alla mortalità molto elevata, anche
un tasso di fertilità molto basso rese necessaria questa importa-
zione massiccia. La bassa fecondità era il risultato di una serie di
418 A GLORIA DI DIO
Nord America
Furono relativamente pochi gli schiavi portati nell'America
del Nord se pensiamo all'estensione del sistema delle piantagio-
ni meridionali e ai milioni di americani di origine africana. I pri-
mi schiavi neri arrivarono in Nord America nel 1626, quando una
piccola spedizione di olandesi sbarcò sull'isola di Manhattan. Da
allora fino al 1808, quando l'importazione di schiavi divenne ille-
gale, nel paese entrò un totale di circa 400.000 schiavi. Per fare un
confronto, si stima che 340.000 schiavi furono importati da pian-
tatori inglesi a Barbados, una piccola isola con una superficie di
soli 430 chilometri quadrati, appena un quarto delle dimensioni
di una contea media americana. Barbados potè ricevere un nu-
mero così elevato di schiavi solo grazie al suo spaventoso tasso di
420 A GLORIA DI DIO
Tabella 4.2. Neri liberi nelle città degli stati del Sud, 1830
Dei e morale
Politeismo e schiavitù
Quando le religioni non sottoscrivono l'ordine morale, la cri-
tica sociale è un'iniziativa laica lasciata a filosofi, artisti e altri in-
tellettuali. Non avendo alcun concetto di peccato per rafforzare i
propri giudizi, e non avendo rivelazioni da cui partire, i filosofi
antichi, per la maggior parte, furono dei sostenitori dello status
quo. Non vi è alcuna traccia di filosofi nel mondo sumero, babi-
lonese o assiro che abbiano mai protestato contro la schiavitù,
«né vi è alcuna espressione della benché minima simpatia per le
vittime di questo sistema. La schiavitù veniva semplicemente
data per scontata» (Mendelsohn 1949, p. 123). Anzi, il Codice di
Hammurabi (1750 ca. BCE) prescriveva la morte per chi aiutava
uno schiavo a fuggire.
Nemmeno i grandi filosofi greci condannarono la schiavitù.
Platone era contrario alla schiavitù dei suoi compagni «elleni»
(greci) ma assegnò agli schiavi «barbari» (stranieri) un ruolo cru-
ciale nella sua Repubblica ideale - dove avrebbero svolto tutto il
lavoro produttivo (Schlaifer 1936). Anzi, le regole stilate da Pia-
tone in merito al giusto trattamento degli schiavi erano insolita-
mente brutali - «Nessun codice americano fu così severo» (Davis
1966, p. 66). Inoltre, Platone non credeva che il divenire schiavo
fosse una questione di pura malasorte; piuttosto, era la natura a
creare «un popolo schiavo», privo della capacità mentale neces-
saria alla virtù o alla cultura, e adatto solamente a servire. Dal
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 429
momento che gli schiavi non avevano anima, non avevano nem-
meno «diritti umani», e i padroni potevano trattarli a loro arbi-
trio. Ovviamente, se qualcuno uccideva uno schiavo apparte-
nente ad altri, doveva ricompensare il padrone con il doppio del
valore di mercato dello schiavo morto - un principio che riap-
parve anche nel Code of Barbados7. Benché suggerisse di sottopor-
re a una rigida disciplina gli schiavi, Platone credeva che, per
prevenire le agitazioni, fosse necessario non sottoporli a eccessi-
ve crudeltà (Schlaifer 1936). Come si legge nel suo testamento, le
proprietà di Platone comprendevano cinque schiavi.
Aristotele rifiutava la tesi avanzata dai sofisti per cui tutta
l'autorità si fonda sulla forza e dunque si autogiustifica, poiché
dal canto suo condannava la tirannia politica. Ma allora, come
giustificare la schiavitù? Qui, Aristotele anticipò gli umanisti so-
stenendo che senza schiavi che si occupassero del lavoro, gli uo-
mini illuminati non avrebbero avuto il tempo e l'energia per per-
seguire virtù e conoscenza. E giustificava la schiavitù anche affi-
dandosi alle affermazioni «biologiche» di Platone - la schiavitù è
giustificata perché gli schiavi sono molto più simili a bruti ottu-
si che a uomini liberi (Schlaifer 1936). Lasciati a se stessi, gli
schiavi sarebbero stati guidati solamente dai loro appetiti, cau-
sando un gravissimo danno alle città. Il fondamento della schia-
vitù, scrisse, è innato: «Certi esseri, subito dalla nascita, sono de-
stinati, parte a essere comandati, parte a comandare» (Politica I,
1254). Alla sua morte, le proprietà personali di Aristotele com-
prendevano quattordici schiavi.
Fra gli ateniesi c'erano anche delle «voci» che dissentivano da
questi principi. Il dramm aturgo Euripide (480-406 BCE) sostene-
va che alcuni schiavi erano più virtuosi e intelligenti dei loro pa-
droni, rifiutando così l'idea che la schiavitù fosse ima qualità na-
turale ereditaria. Tuttavia, egli accettava anche il concetto che «vi
sono alcuni la cui natura è più adatta alla schiavitù» (Schlaifer
1936). Il poeta Filemone (361-262 BCE) scrisse che schiavo e pa-
drone sono fatti della stessa carne, e che non è la natura, ma il fa-
to, a ridurre in schiavitù il corpo. E il filosofo sofista del IV seco-
lo Alcidamante insegnava che «Dio ci ha creati tutti liberi; la na
430 A GLORIA DI DIO
tura non crea schiavi» (in Meltzer 1993, p. 96). Ma quale Dio? I
sofisti non potevano invocare un Unico Vero Dio. E invocare un
Dio minore non faceva tremare proprio nessuno.
Monoteismo e schiavitù
Durante il XX secolo, la maggioranza degli studiosi che ha
trattato l'argomento ha sottolineato con una certa soddisfazione
che ebraismo, cattolicesimo romano e islam accettarono tutti la
schiavitù (si veda Blackbum 1998; Davis 1966; Meltzer 1993). Di-
mentichiamo per un momento che la Chiesa cattolica medievale
abbia condannato la schiavitù. Di certo, non potremmo sorpren-
derci se i teologi soffrirono della stessa «cecità» della loro epoca
e dei loro paesi. Come abbiamo visto nel capitolo 2, molti teoio-
gi cristiani, fra i quali sant'Agostino e Giovanni Calvino, hanno
insegnato che le limitazioni culturali spesso hanno reso impossi-
bile a persone appartenute a epoche precedenti la comprensione
di una verità rivelata loro. Il punto rilevante è che i teologi pos-
sono sempre innalzarsi al di sopra di questi limiti. Ed è questa la
storia che ora vi racconterò.
Santi e papi
Anche alcuni autori cattolici ripetono che la schiavitù non fu
ripudiata dalla Chiesa cattolica romana prim a del 1890 (si veda-
no Hurbon 1992; Noonan 1993), e un sacerdote britannico ha per-
sino affermato che ciò non è avvenuto prima del 1965 (Maxwell
1975). Sciocchezze! A ddirittura nel VII secolo, santa Batilde (mo-
glie di re Clodoveo II) divenne famosa per la sua campagna con-
tro il commercio di schiavi e a favore della loro liberazione;
nell'851, san Oscar tentò di fermare la tratta vichinga degli schia-
vi. Il fatto che venisse loro impartito il battesimo a opera della
Chiesa fu portato come prova del fatto che anche gli schiavi
avessero un'anim a, e ben presto re e vescovi - compresi Gugliel-
mo il Conquistatore (1027-1087), san Wulfstan (1009-1095) e
sant'Anseimo (1033-1109) - proibirono la riduzione in schiavitù
dei cristiani (Attwater, John 1993; Thomas 1997). E dal momento
che, a eccezione di piccoli insediamenti di ebrei e dei vichinghi a
nord, tutti nel vecchio continente erano per lo meno nominai-
mente cristiani, nella pratica questo significò abolire la schiavitù
nell'Europa medievale, tranne che ai confini meridionali e orien-
tali con l'islam, dove cristiani e musulmani riducevano in schia
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 433
tor 1993, p. 38). Ma Cantor non accenna nem m eno al fatto che
Roma avesse p iù volte proclamato che la schiavitù del N u ovo
M ondo era m otivo di scomunica.
Eppure, questo è precisam ente ciò che disse sulla questione
papa Paolo III (1534-1549). Benché appartenesse a una fam iglia
ecclesiastica romana, e benché fosse stato una sorta d i libertino
in gioventù (fu ordinato cardinale a 25 anni, ma non accettò l'or-
dinazione fino all'età d i cinquantanni), Paolo si rivelò un Papa
m olto autorevole e devoto, riconobbe pienam ente il significato
morale del protestantesim o e avviò la Controriforma. La sua boi-
la contro la schiavitù del N u o v o M ondo (così com e le bolle sim i-
li di altri Papi) è andata in qualche m odo «perduta» (Auping
1994; Panzer 1996) fra i docum enti storici, fino a poco tem po fa 9.
Credo che ciò sia d ovuto ai pregiudizi degli storici protestanti,
magari indignati dal fatto che il Papa fondasse il suo attacco sul
presupposto che Satana era la causa della schiavitù:
[Satana,] nemico del genere umano, che si oppone sempre alle buo-
ne opere per portare gli uomini alla distruzione, inventò un meto-
do fino ad allora inaudito per impedire che la parola divina di sai-
vezza fosse predicata alle genti. Egli ha aizzato alcuni dei suoi ac-
coliti, i quali, desiderando soddisfare la propria avarizia, si trova-
rono ad affermare che gli indiani occidentali e meridionali di cui
abbiamo recente conoscenza, con il pretesto che ignorano la fede
cattolica, debbono essere sottoposti alla nostra obbedienza come se
fossero animali. E li riducono in servitù, facendoli soffrire come
non farebbero nemmeno con le bestie.
Noi [...] consideriamo [...] che gli stessi indiani [siano] uomini ve-
ri [... e] facendo ricorso all'autorità apostolica determiniamo e di-
chiariamo con la presente lettera che detti indiani e tutte le genti che
in futuro giungeranno alla conoscenza dei cristiani, anche se vivo-
no al di fuori della fede cristiana, possono usare in modo incondi-
zionato e lecito della propria libertà e delle proprie proprietà; che
non devono essere ridotti in servitù e che tutto quello che si è fat-
to e detto in senso contrario è senza valore. (In Panzer 1996, pp. 16-
21. Corsivo mio)
436 A GLORIA DI DIO
Si chiede:
è permesso catturare con la forza e l'inganno neri e altri nativi che
non hanno fatto male a nessuno?
La risposta è: no.
È permesso comprare, vendere o stipulare contratti di compraven-
dita di neri e altri nativi che non hanno fatto male a nessuno e so-
no stati fatti prigionieri con la forza e l'inganno?
La risposta è: no.
I possessori di neri e altri nativi che non hanno fatto male a nessu-
no e sono stati catturati con la forza o l'inganno sono tenuti a la-
sciarli liberi?
La risposta è: sì.
I catturatori, i compratori e i possessori di neri e altri nativi che non
hanno fatto male a nessuno e che sono stati catturati con la forza e
l'inganno sono tenuti a ricompensarli?
La risposta è: sì. (Panzer 1996, appendice C)
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 437
L'eccezione islamica
Se il monoteismo contiene in sè il germe originario delle dot-
trine antischiaviste, perché l'islam non si ribellò contro la schia-
vitù? Anzi, perché la schiavitù persiste ancora in alcune aree isla-
miche? Perché la pratica è stata solo recentemente interrotta in
alcune nazioni musulmane, e solo in risposta alle intense pres-
sioni da parte dell'Occidente?
Per rispondere a questa domanda, dobbiamo capire che i teo-
logi lavorano entro precisi limiti intellettuali - vale a dire, su ma-
teriali culturali specifici, dai quali non è possibile trarre una con-
clusione qualsiasi. Per esempio, sarebbe del tutto impossibile per
teologi ebrei, cristiani o islamici dedurre dalle Sacre scritture che
Dio non abbia alcun interesse per il comportamento sessuale
umano. I testi rivelati non permetterebbero mai ima simile con-
clusione. Né i teologi cristiani potevano dedurre che Gesù prefe-
risse la poligamia, almeno non senza una rivelazione supple-
mentare. Il problema fondamentale che i teologi musulmani si
trovarono davanti in merito alla moralità della schiavitù è il fat-
to che Maometto acquistò, vendette, catturò e possedette schiavi
(Lewis 1990; Watt 1961 e 1965).
Come Mosè, il profeta ordinò che gli schiavi fossero trattati
bene: «Date loro da mangiare ciò che voi stessi mangiate e vesti-
teli con ciò che voi stessi indossate [...] Sono il popolo di Dio co-
me voi e siate gentili con loro» (in Gordon 1989, p. 19). Maomet-
to, per di più, liberò diversi suoi schiavi, ne adottò uno come fi-
glio, e sposò una schiava. Inoltre, il Corano insegna che è sba-
gliato costringere a «le vostre schiave prostituirsi» (24,33), e che
si può ottenere il perdono per aver ucciso un fratello credente, li-
ber andò uno schiavo (4,92). Come fecero le regole ebraiche sulla
schiavitù, l'ammonizione e l'esempio di Maometto probabil-
mente mitigarono spesso le condizioni degli schiavi nel mondo
islamico, diversamente da quanto accadeva in Grecia e a Roma.
Tuttavia, non era in dubbio la moralità della pratica della schia-
vitù. Benché i teologi cristiani fossero in grado di aggirare l'ac-
cettazione biblica della schiavitù, probabilmente non avrebbero
potuto farlo se Gesù avesse posseduto degli schiavi11. Che Mao
444 A GLORIA DI DIO
America
Il 19 giugno 1700, Samuel Sewall (1652-1730), pubblicò The
Selling of Joseph («La vendita di Giuseppe», N.d.T.) il prim o trat-
tato abolizionista scritto in America. Sewall era un bostoniano
di classe sociale elevata, puritano devoto, laureato a Harvard,
mercante di successo. Era stato un famoso giudice impegnato
nei processi per stregoneria a Salem, una cosa per la quale sue-
cessivamente espresse pubblicamente il suo pentimento. Nono-
stante la sua statura sociale, l'attacco di Sewall alla schiavitù
«fu semplicemente ignorato dai suoi contemporanei» (Yazawa
1998, p. 3).
Questo esempio illustra un principio sociologico fondamen-
tale: le pubblicazioni non danno Otta ai movimenti sociali; lo fa la gen-
te, coinvolgendo amici, parenti, vicini e colleghi, motivandoli ad
agire in maniera coordinata - a diventare un'organizzazione. E la
cosa di solito è più semplice se si parte da un gruppo che è già
organizzato.
Di conseguenza, il movimento abolizionista americano non
nacque a Boston, ma cinquantaquattro anni dopo, all'Assemblea
annuale quacchera di Philadelphia, stimolato da un altro tratta-
to abolizionista. In questo caso, si trattò dell'opera di John Wool-
man (1720-1772), un giovane molto devoto, le cui preoccupazio-
ni morali riguardo alla schiavitù emersero quando il suo datore
di lavoro gli chiese di redigere ima fattura per una schiava.
Woolman l'aveva fatto, ma ne aveva tratto un senso di colpa che
non trovava sollievo. Le sue inquietudini crebbero, fino a diven-
tare critiche aperte, quando, viaggiando per la Virginia, constatò
446 A GLORIA DI DIO
Gran Bretagna
Fu dai cugini americani che i quaccheri britannici trassero il
loro entusiasmo per l'abolizione della schiavitù, e anch'essi for-
nirono l'iniziale ossatura religiosa al movimento antischiavista.
Tuttavia, i britannici raggiunsero il loro scopo molto prima delle
forze abolizioniste americane. I motivi principali furono due. Per
prim a cosa, dal momento che quasi tutti gli inglesi proprietari di
schiavi vivevano in colonie lontane, la loro influenza politica era
limitata. In secondo luogo, il governo britannico era di gran lun-
ga più centralizzato e molto meno rappresentativo delle istanze
locali del governo in America. Così, le élite di partito potevano
emanare leggi più liberamente rispetto a quelle statunitensi, poi-
ché negli Stati Uniti molte azioni richiedevano una legislazione
locale, non nazionale, e persino il Congresso era indisciplinato e
spesso incapace di raggiungere un accordo. Queste sono dunque
le tematiche che mi accingo ad affrontare (Anstey 1975; Black-
b u m 1988; Clarkson 1808; Drescher 1987; Eltis 1987; Temperley
1998; Walvin 1981).
Nel 1783, su richiesta dei quaccheri di Philadelphia, i quac-
cheri britannici crearono il Meeting for Sufferings di Londra.
Così, come in America, furono loro a fornire una solida base or-
ganizzativa all'opposizione britannica alla schiavitù: volontari,
luoghi per incontrarsi e denaro. Questi sforzi furono moltiplica-
ti in modo significativo nel 1787, con la costituzione della So-
ciety for thè Abolition of thè Slave Trade, Associazione per l'a-
bolizione della tratta degli schiavi, nella quale si unirono ai
quaccheri altri protestanti non conformisti. L'anziano John We-
sley (1703-1791), fondatore del metodismo, intraprese una cam-
pagna di predicazione contro la schiavitù, facendo riecheggiare
molte delle idee che aveva espresso con tanta forza nel suo trat-
tato abolizionista del 1774, Thoughts on Slavery (Green 1964;
Smith 1986). Wesley mise a disposizione della coalizione reli-
giosa antischiavista in rapida crescita l'im portante risorsa costi-
tuita dalle sue cappelle metodiste. Fu sempre in questo periodo
che il movimento abolizionista britannico arruolò le sue reclute
più importanti.
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 459
Francia
A prima vista potrebbe sembrare che il movimento abolizioni-
sta in Francia si sia davvero basato su «principi liberali». Tuttavia,
una volta detto che mai gli abolizionisti francesi hanno fatto ap-
pello al popolo, bisogna riconoscere che esso fu un risultato delle
inquietudini religiose come lo erano i movimenti americani e bri-
tannici. Infatti, i tre movimenti erano direttamente collegati
(Blackbum 1988; Daget 1980; Drescher 1987; Jennings 2000).
Nel 1793 il commissario di Santo Domingo, Léger Félicité
Sonthonax, nominato dal governo rivoluzionario di Francia, di-
chiaro l'abolizione della schiavitù in quella colonia. Lo fece in ri-
sposta al successo della ribellione degli schiavi scoppiata fin dal
1791, e alle minacce di invasione da parte di britannici e spagno-
li. La sua speranza era che l'emancipazione gli consentisse di
guadagnare il sostegno sia degli ex-schiavi sia dei ribelli nella di-
fesa della colonia. Quando la notizia raggiunse la Francia, la
Convenzione nazionale controllata dai giacobini non solo so-
stenne questa azione m a abolì anche la schiavitù in tutte le colo-
nie francesi. Nel farlo, i membri della Convenzione condannaro-
no la schiavitù come una reliquia della monarchia e una pratica
non coerente con i loro valori rivoluzionari. Il fatto che non ab
LA GIUSTIZIA DI DIO: IL PECCATO DELLA SCHIAVITÙ 465
Negli anni '40 del 1800, con il sostegno finanziario degli abo-
lizionisti inglesi, la Société iniziò ad ampliare le proprie prospet-
tive (Jennings 2000). Nel 1844 presentò al governo una nuova pe-
tizione antischiavista, sottoscritta da 7000 parigini. Il re Luigi Fi-
lippo l'accolse e liberò tutti gli schiavi appartenenti alla Corona.
A questo punto, la Chiesa cattolica entrò in gioco, chiedendo l'e-
mancipazione immediata di tutti gli schiavi francesi e facendo
circolare una nuova petizione. Molti degli 11.000 cittadini che la
firmarono erano sacerdoti cattolici. Sostenuto dall'arcivescovo di
Parigi, il quotidiano cattolico «L'Univers» si unì alla battaglia
contro la schiavitù. Tutti questi sforzi ebbero successo nel 1848,
quando la Monarchia di luglio fu sostituita da un governo prov-
visorio, prim a della formazione della Seconda Repubblica. Il de-
creto di emancipazione passò, e il regime provvisorio liberò tut-
ti gli schiavi entro due mesi dalla sua proclamazione, compen-
sando i loro proprietari con ima somma di denaro pari alla metà
del valore di ogni schiavo, per un costo di 6 milioni di franchi in
denaro e 120 milioni in obbligazioni del 5%. Dunque, come in In-
ghilterra, anche in Francia l'emancipazione fu ottenuta a un
prezzo davvero rilevante che ricadde su tutti i contribuenti.
Si è spesso sottolineato che i movimenti abolizionisti organiz-
zati in Francia furono molto piccoli ed elitari, ma ciò si spiega
con il fatto che in quell'epoca la Francia non era una democrazia:
eventuali appelli per ottenere il sostegno popolare non solo non
avrebbero avuto successo, ma anzi, avrebbero potuto danneg-
giare pesantemente la causa. Da Napoleone in poi, i governi
francesi hanno cercato di evitare la mobilitazione dei cittadini,
temendo, probabilmente a ragione, che fosse solo un invito al di-
sordine e alla rivoluzione. Quindi, gli appelli di massa sarebbero
stati soffocati; per avere successo bisognava convincere ad agire
l'élite politica. Sarebbe del tutto sbagliato interpretare ciò come
una prova del fatto che gli ideali e le convinzioni religiose fosse-
ro irrilevanti. Perché l'élite francese intraprese davvero questa
azione? Non per un interesse economico, poiché, come per gli in-
glesi, l'emancipazione degli schiavi nelle colonie francesi fu rag-
giunta a un prezzo rilevante, che ricadde pesantemente su colo
468 A GLORIA DI DIO
zione degli schiavi dei Caraibi spagnoli; e fu a Rio che gli schia-
vi brasiliani furono emancipati. Al contrario, i movimenti abolì-
zionisti non si fecero strada, o non ne fecero molta, nelle regioni
meridionali degli Stati Uniti e del Brasile, o nelle colonie europee
con un'economia di piantagione.
L'«Illuminismo» e la schiavitù
La contro-spiegazione marxista
Conclusione
1Durante gli anni '90, il più importante testo di storia americana per la
scuola superiore, Rise ofthe American Nation (Harcourt, Brace, Jovanovich)
asseriva che la schiavitù fosse stata un fenomeno sconosciuto per il Nord
America fino alla sua introduzione da parte degli europei (Carroll, Shiflett
2002).
2Durante un soggiorno alla Debob Bay, un'insenatura di Puget Sound, io
e mia moglie abbiamo raccolto più di ima dozzina di grandi granchi in
meno di quindici minuti di bassa marea, usando solamente le mani e un
sacco. Le ostriche erano così abbondanti che ne abbiamo prese quante sia-
mo riusciti. Un semplice bastoncino ci è bastato per le vongole. Abbonda-
vano oche e anatre facilmente catturabili, e il mare era ricco di pesce, com-
presi dei salmoni magnifici. Ovunque crescevano bacche selvatiche. E se
480 A GLORIA DI DIO
vera. Eppure, persino Elkins dice molto di più della maggioranza degli
storici sulle bolle papali contro la schiavitù. L'unica voce per Pope nell'in-
dice della tanto celebrata storia intellettuale della cultura occidentale di
David Brion Davis (1966) è quella corrispondente al poeta britannico
Alexander Pope. Esattamente lo stesso si può dire del vasto studio di Ro-
bin Blackbum (1998). E per quanto riguarda Milton Meltzer (1993), nel suo
indice non troviamo nemmeno Alexander Pope. Non citano i papi nean-
che Drescher ed Engerman nella loro enciclopedica Historical Guide to
World Slavery (1998), nonostante le lunghe sezioni dedicate alle «questioni
morali» e alla «religione».
10Π significato del termine in questo caso è molto simile all'uso che se ne
fa in cucina, quando si riduce una salsa, e si basa sul fatto che i gesuiti ave-
vano concentrato i guarani in insediamenti molto più densi di quelli in cui
vivevano in precedenza.
11Dovrei bilanciare questa affermazione sottolineando la capacità di molti
teologi protestanti di «aggirare» il fatto che Gesù bevesse vino.
12Dal momento che le donne non avevano diritto di voto si riteneva che le
loro opinioni avrebbero avuto poca importanza agli occhi dei funzionari
eletti.
Post scriptum: divinità, rituali e scienze sociali
«rafforzare i vincoli che uniscono il fedele al suo Dio», ciò che fa-
cevano in realtà era rafforzare i «vincoli fra individuo e società
[...] essendo il Dio solo una rappresentazione figurativa della so-
cietà» (Durkheim [1912] 2005, p. 284). E nacque così una nuova
ortodossia delle scienze sociali: la religione consiste solamente
nella partecipazione a riti e rituali.
A lungo ho sospettato che la «ragione» occulta che ha distolto
la nostra attenzione da Dio e l'ha spostata sul rituale avesse a che
fare con il fatto che Durkheim e la sua cerchia erano degli ebrei
laici militanti i quali, nonostante ciò, a volte frequentavano le si-
nagoghe (Strenski 1997). Nella loro personalissima esperienza, la
fenomenologia della religione non includeva la credenza in esse-
ri soprannaturali, ma solo la solidarietà dei rituali di gruppo.
Queste convinzioni personali poi erano state rafforzate dalla let-
tura assidua di racconti antropologici sulla vita rituale dei «pri-
mitivi», redatti da osservatori che non avevano alcuna simpatia
per le divinità venerate. Anzi, alcuni fra i più famosi antropologi
ammonivano di non prestare attenzione alle ragioni addotte dai
«nativi» per spiegare il perché celebravano determinati riti. Al-
fred R. Radcliffe-Brown definì un «deplorevole errore» supporre
che qualcuno diverso da un colto osservatore esterno potesse da-
re un significato all'attività rituale (Radcliffe-Brown 1939, p. 25).
Così, fu dal suo privilegiato punto di vista esterno che lo studio-
so concluse che, benché «a volte si dica che i riti funebri o di cele-
brazione del lutto siano il risultato di una fede in un'anim a che
sopravvive alla morte [...]. Io direi piuttosto che la fede in un'a-
nima che sopravvive alla morte non è la causa, ma l'effetto, di ta-
li riti» (Radcliffe-Brown 1952, p. 155). Con la stessa logica, si dice
che le culture «scoprano» l'esistenza di divinità della pioggia co-
me risultato delle danze della pioggia - senza porsi il problema
del perché a un certo momento abbiano iniziato a farle. Bisogna
davvero essere dei grandissimi esperti di scienze sociali per poter
credere a una cosa simile!
Questo, insieme a molti altri consigli degli «esperti», ha spo-
stato l'attenzione degli studiosi su questioni marginali, dando la
precedenza a ciò che le persone facevano in nome della religio־
486 A GLORIA DI DIO
Precisione rituale
bene al male. Infine, gli Dei sono tanto più efficaci nel promuove-
re i precetti morali quanto maggiore è la loro potenza - maggiore
è la varietà delle loro competenze e il raggio d'azione della loro
influenza. Degli Dei onnipotenti e onniscienti che governano l'in-
tero universo sono il deterrente ultimo contro il male.
Da questa analisi si traggono due conclusioni. In primo luo-
go, gli effetti della religiosità sulla morale individuale dipendono
da immagini di Dei come esseri dotati essi stessi di consapevolez-
za e moralmente interessati; la religiosità basata su divinità im-
personali o amorali non influenza le scelte morali. In secondo luo-
go, la partecipazione a riti e rituali religiosi ha poco o nessun ef-
fetto indipendente sulla moralità dei praticanti.
Di recente, per validare queste mie conclusioni, ho condotto
un elaborato studio di ricerca basato su dati riferiti agli Stati Uni-
ti e ad altre 33 nazioni (Stark 2001). I risultati si sono rivelati eoe-
renti con la mia teoria e l'hanno convalidata in modo decisivo.
In ciascuna delle 27 nazioni della cristianità, maggiore è l'im-
portanza attribuita dalla gente a Dio, minore è la probabilità che:
si approvi l'acquisto di beni che si sanno rubati; non si dica di
aver accidentalmente danneggiato un'auto in un parcheggio; si
fumi marijuana. Il rapporto fra religione e moralità è altrettanto
stretto sia nei paesi protestanti sia in quelli cattolici, ed è indi-
pendente dai livelli medi, più o meno alti, di frequentazione del-
le chiese. Anzi, la partecipazione ai servizi domenicali (ima mi-
sura dell'attività rituale) era correlata solo debolmente alle atti-
tudini morali. In altre parole, Dio è importante, il rituale no.
Risultati simili si ottengono anche analizzando le nazioni mu-
sulmane, dove l'importanza attribuita ad Allah è fortemente cor-
relata alla moralità, mentre la frequentazione della moschea non
ha alcun effetto su di essa. Anche in India gli Dei sono impor-
tanti, ma la frequentazione dei templi non ha alcun effetto rile-
vabile sulla moralità. In Giappone, invece, dove gli Dei sono nu-
merosi, di potenza limitata e non particolarmente interessati al
comportamento morale degli uomini, la religione è irrilevante
per la moralità - la venerazione, la frequentazione dei templi, la
preghiera e la meditazione non hanno alcun effetto morale. Né le
494 A GLORIA DI DIO
Conclusione
1Ciò non significa, comunque, che gli effetti delle concezioni di Dio superi-
no sempre quelli della partecipazione religiosa, se non altro perché il voto o
la fertilità possono essere più un risultato dell'esposizione «sociale» a un de-
terminato gruppo che il prodotto di un'influenza puramente «religiosa».
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Indice dei nomi
5 Ringraziamenti
7 Introduzione. Le dimensioni del soprannaturale
A GLORIA DI DIO
25 1. La Verità di Dio: sette e riforme inevitabili
163 2. L'Opera di Dio: le origini religiose della scienza
269 3 .1 Nemici di Dio: una spiegazione della caccia
alle streghe in Europa
385 4. La Giustizia di Dio: il peccato della schiavitù
497 Bibliografia
547 Indice dei nomi