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Sei teorie che spiegano come il nostro concetto di se sia organizzano e mantenuto: la teoria del
controllo e dell’autoregolazione, la teoria della discrepanza del SE, la teoria del confronto sociale,
la teoria del mantenimento dell’autostima, la teoria dell’identità sociale e la teoria della
categorizzazione del se.
Tutte queste teorie sostengono che il modo di definire il se e il modo in cui questo di conseguenza
influenzi il nostro comportamento, dipendono in ampia misura da come il se istituisca un confronto
con altri elementi. Vi sono tre tipi di teoria del confronto, ognuna della quali si concentra su un
diverso oggetto di paragone. Il se può essere confrontato rispetto a come dovrebbe essere, ad altri
individui oppure ad altri gruppi.
Teoria del confronto tra se
Il senso del se scaturisce da un processo di confronto. Si tratta di confronto tra Se e Se. Nella
categoria del confronto tra se e se, si fa riferimento a due teorie: la teoria dell’autoregolazione e la
teoria della discrepanza del se. Entrambe si fondano sul presupposto che l’autoconsapevolezza
consenta all’individuo di comprendere se è il tipo di persone che vuole essere o ci sono elementi
da cambiare.
Teoria del controllo e dell’autoregolazione si basa su un anello di retroazione cognitivo, un
meccanismo costituito da 4 fasi che caratterizzano il processo di autoregolazione: controllo,
esecuzione, controllo, uscita. Nella fase del controllo, il se si confronta con uno dei due modelli.
Coloro che sono consapevoli di se privatamente si confrontano con un modello privato, mentre
coloro che sono consapevoli di se pubblicamente si confrontano con un modello pubblico. Chi
ritiene di essere inferiore al modello considerato importante, mette in esecuzione un cambiamento
nel comportamento per raggiungere il modello. Poi si riesamina, esegue un controllo confrontando
il se con i propri valori o quelli altrui. Se il se non corrisponde al modello, il ciclo dell’anelli di
retroazione si ripete, altrimenti l’individuo passa alla fase di uscita.
La teoria cibernetica dell’autoregolazione è una teoria ottimistica perché illustra come possiamo
migliorare il se attraverso un’unione di consapevolezza di se e autoregolazione. Uno studio
condotto da Baumeister, Bratslavsky, Muraven e Tice ha dimostrato che l’autoregolazione di un
aspetto del se rende più difficile autoregolare altri aspetti del se.
Teoria della discrepanza del se oltre a prendere in esame la consapevolezza delle discrepanze tra
identità reale e ideale, si sofferma anche sulla risposta emotiva delle persone a tali discrepanze.
Secondo Hggins le persone hanno tre tipi i schemi di se: il se reale, come siamo nel presente; il se
ideale, come vorremmo essere; il se imperativo, caratteristica che si ritiene di dover avere
basandosi sul senso del dovere e della responsabilità. Secondo questa teoria, le persone sono
motivate a far si che il loro se reale coincida con quello ideale e imperativo. Maggiore è il divario
tra il se reale e le altre guide del se, maggiore è il disagio psicologico. Una discrepanza tra reale-
ideale causa depressione, delusione e tristezza. La discrepanza tra reale-imperativo causa ansia,
rabbia, paura, irrequietezza.
Secondo la teoria della discrepanza del Se, provocando reazioni negative, le discrepanze
spingeranno le persone a diminuire il disagio che vivono attuando dei cambiamenti che a loro volta
ridurranno le discrepanze. Le emozioni negative spesso ostacolano l’autoregolazione poiché se le
persone sono inquiete è più probabile che per sentirsi meglio cedano ai loro impulsi immediati e
che non riescano a raggiungere un obiettivo a lungo termine.
Teorie d confronti individuale
La teoria del confronto sociale e la teoria del mantenimento dell’autovalutazione sostengono che
conosciamo il se confrontandoci con altri individui.
Teoria del confronto sociale
Secondo la teoria del confronto sociale, impariamo a definire il se confrontandoci con chi ci
circonda. Il confronto con altri fornisce un punto di riferimento esterno, oggettivo, al quale
paragonare i nostri pensieri, sentimenti e comportamenti e ciò da alle persone un senso di
conferma di ciò che sono. Nelle situazioni che riguardano l comportamento è possibile più che in
altre situazioni confrontare il se con qualcuno che ci somiglia molto. Si possono effettuare confronti
verso l’alto o verso il basso (persone ritenute peggiori). Le persone motivate dal desiderio di
un’autovalutazione precisa possono compiere confronti verso l’alto e il basso. In genere le persone
sono più spinte ad avere una considerazione positiva di se. Le strategie per conservare
un’autostima positiva quando ci si confronta con gli altri sono spiegare dal modello di
mantenimento della valutazione di se.
Modello di mantenimento della valutazione di se spiega quello che facciamo quando ci troviamo di
fronte qualcuno la cui riuscita ha delle conseguenze sulla nostra autostima. Se la nostra autostima
dipende dalla realizzazione di coloro che ci sono vicini e non dai nostri risultati in quell’ambito ha
luogo il riflesso sociale. Conoscere qualcuno che riesce a conseguire buoni risultati può anche
generare un confronto sociale verso l’alto, inducendoci a paragonare i nostri risultati con quelli
della persone oggetto del confronto. È probabile che in noi abbia origine il riflesso sociale con un
individuo che ha conseguito risultati positivi se si verificano due condizioni. Primo, il settore nel
quale l’individuo consegue buoni risultati è irrilevante per noi. Quando ciò accade, la buona riuscita
di qualcun altro non minaccia il nostro concetto di se. Per tale ragione possiamo essere soddisfatti
del loro successo, perché è qualcosa che si aggiunge alle nostre capacità e non le minaccia.
Secondo, dobbiamo essere certi delle nostre capacità in quel determinato settore. Se siamo
fiduciosi che anche noi possiamo riuscire, il successo di un atro non rappresenta una minaccia. Il
successo di un altro è un’aggiunta alla nostra idea di successo.
Teoria del confronto con il gruppo
I primi ricercatori che hanno studiato il se consideravano il se un’identità unica e non condivisa con
nessun altro. Si ritiene (oggi) che il concetto del se sia costituito da molti schemi di se, alcuni dei
quali riflettono gli aspetti soggettivi del se, come la personalità e altri che riflettono le nostre
relazioni con famiglia, amici e gruppi sociali.
Brewer e Gardner hanno proposto tre tipi di se che riflettono gli aspetti condivisi e quelli che non lo
sono: l se individuale, costituito da attributi e tratti della personalità che ci distinguono da altri; il se
relazionale, definito dalle nostre relazioni con persone importanti; il se collettivo, che riflette la
nostra appartenenza a un gruppo sociale.
Approccio dell’identità sociale
Gli aspetti del Se, secondo la teoria dell’identità sociale, possono essere distinti in relazione
all’identità personale e all’identità sociale. Le identità personali sono connesse agli aspetti
idiosincratici del Se, ad esempio i tratti di personalità. La nostra identità sociale è connessa ai
gruppi sociali più ampi ai quali apparteniamo.
L’organizzazione dei nostri schemi del Se è strutturata in modo che ciascuna identità che
possediamo sia associata a un insieme di concetti interrelati che guidano i nostri pensieri, i
sentimenti e il comportamento. Il nostro seno del se in ogni particolare momento dipende da quale
delle nostre molteplici identità personali e sociali è psicologicamente saliente.
Quale identità sia saliente in un determinato momento dipende dal contesto.
La teoria della categorizzazione del se è un’estensione della teoria dell’identità sociale incentrata
sulle norme del gruppo che definiscono le identità collettive. Secondo questa teoria, quando
l’identità sociale di un individuo diventa saliente, le sue percezioni di se e degli altri si
spersonalizzano. L’individuo percepirà se steso in funzione degli aspetti condivisi che definiscono
la sua appartenenza al gruppo. I membri del gruppo obbediscono anche da ciò che viene
designato come principio del metacontrasto, ossia accentueranno le somiglianze dei membri del
gruppo e le differenze rispetto agli altri gruppi.
È importante sottolineare che l’adesione alle norme del gruppo non implica che le persone si
definiscano sempre come membri del gruppo; in effetti, far parte di un gruppo può essere un modo
di affermare il senso della propria individualità.
AUTOSTIMA
La quantità di tempo che dedichiamo a pensare al nostro se e a confrontarci co altri, dipende dal
fatto che il se ha una componente valutativa rilevante. Nella disamina della teoria del
mantenimento dell’autovalutazione non pensiamo soltanto a quale sia il nostro concetto di noi
stessi, ma anche se certi aspetti di tale concetto siano positivi o negativi. L’autostima di una
persona è la valutazione soggettiva di se stessa in modo positivo o negativo, e può influenzare il
funzionamento psicologico.
Sviluppo dell’autostima
Un concetto positivo di se nella vita sembra dipendere dallo stile genitoriale. Si differiscono
caratteristiche di genitore esigente e responsivo. Il genitore autorevole condivide entrambe le
caratteristiche e spesso i figli di genitori autorevoli tendono ad avere più autostima.
Le persone con bassi livelli di autostima tendono meno facilmente a sforarsi di sentirsi bene.
Narcisismo
Baumeister, Smart e Boden sostengono che le persone con alti livelli di autostima reagiscono
aggressivamente per difenderla quando vedono il proprio Io minacciato in qualche modo. Sembra
che gi individui che reagiscono in modo aggressivo a una minaccia rivolta al proprio Io siano
narcisisti. Queste persone tendono ad avere un’autostima estremamente elevata, ritenendosi
speciali e superiori agli altri, ma la loro autostima è instabile perché si basa anche sulle conferme
altrui.
Automotivazione
L’autovalutazione è il desiderio di conoscere chi siamo, a prescindere che la realtà sia positiva o
negativa. Siamo motivati ad avere una percezione di noi stessi precisa per ridurre l’incertezza sulle
nostre capacità o sulle caratteristiche personali. Siamo motivati a reperir informazioni che
consentano l’autoverifica, desideriamo confermare ciò che già crediamo verro sul nostro concetto
di noi stessi, anche se ci vediamo in una luce negativa.
Abbiamo una motivazione all’autoaccrescimento: il desiderio di cercare informazioni su noi stessi
che ci consentano di vedere il Se in una luce positiva.
Le tre motivazioni possono essere contraddittorie. L’autoaccrescimento comporta la ricerca di una
conoscenza di se positiva, mentre l’autoverifica implica la ricerca di una conoscenza di se
negativa.
Gli individui con bassa autostima tentano un compromesso tra queste due motivazioni,
rivolgendosi quindi a persone che li facciano sentire meglio riguardo a se stessi, ma senza
smentire del tutto il loro preesistente concetto di se negativo.
Autoaccrescimento
I tipi di strategie impiegate possono essere suddivise in due ampie classi, in base alla capacità di
ricavare un concetto di se positivo da aspetti personali o sociali del Se.
Strategie per accrescere il se personale
In base alla teoria di autoaffermazione quando l’autostima è stata danneggiata o minacciata in
qualche modo, gli individui reagiscono spesso concentrandosi di più su aspetti positivi e
affermandoli pubblicamente (guarda studio a pag 206)
Un altro fenomeno che indica la tendenza delle persone ad automigliorarsi è il bias egocentrico.
Quando gli individui fanno attribuzioni su se stessi sulla base del proprio comportamento,
mostrano un bias egocentrico. Quando abbiamo successo, tendiamo a mostrare un bias di
autoaccrescimento, attribuiamo cioè il nostro successo a caratteristiche interiori.
Quando invece le cose non vanno bene, tendiamo a mostrare un bias autoprotettivo, ossia
attribuiamo il fallimento a ragioni esterne.
Strategie per migliorare il se sociale
Le persone ricavano un’immagine di se positiva, oltre che da queste strategie di
autoaccrescimento individuali, anche dalla loro appartenenza a un gruppo.
I membri di un gruppo sono motivati a mantenere un’identità sciale o collettiva positiva. Per fare
questo, si confrontano in senso favorevole con i membri di altri gruppi.
Il desiderio di mantenere un’identità sociale positiva può spiegare perché i membri di un gruppo
mostrino un bias verso l’ingroup, ossia una preferenza per il proprio gruppo di appartenenza
rispetto agli ourgroup, i gruppi di cui non fanno parte.
Se è l’assenza di un legame tra il Se e l’outgroup a essere in parte responsabile per il pregiudizio
intergruoppo, forse la creazione di tali legami potrebbe ridurre il bias.
Il gruppo di appartenenza può essere un’importante fonte di autostima e noi siamo motivati a
creare di questo un’immagine positiva perché esso ci mette in una luce favorevole.
Per i gruppi con alto status è facile mantenere un’identità sociale positiva, perché possono attuare
un confronto favorevole con i gruppi di basso status. I membri dei gruppi con asso status devono
invece ricorrere ad altre strategie. Possono tentare di mettere in atto una strategia di cambiamento
sociale, in cui essi si pongono in competizione con il gruppo di alto status per migliorare la propria
considerazione all’interno di quel gruppo. In alternativa, possono provare con una strategia di
creatività sociale, trovando nuove dimensioni in cui il confronto sia più favorevole.
Cialdini definisce “crogiolarsi nella gloria riflessa” un atteggiamento in cui si gioisce per la vittoria
del proprio gruppo, senza aver partecipato attivamente (es la vittoria di una gara, senza aver
partecipato), al contrario la sconfitta crea la “presa di distanze dall’insuccesso riflesso”.
DIFFERENE CULTURALI NEL SE E NELL’IDENTITA
Nelle culture individualiste, es europea, i bambini vengono incoraggiati a considerarsi individui
unici, al contrario delle culture collettiviste in cui l’insegnamento si basa sull’adeguarsi alle norme
sociali. Nelle società collettiviste le persone hanno un senso di se più rispettoso della collettività,
mentre in una cultura individualista prevale la concezione della persona come individuo unico.
Biculturalismo
Molte nazioni oggi sono multiculturali, la loro popolazione risulta costituita non solo dagli abitanti
originari, ma da un insieme di persone provenienti da altri paesi.
Alcuni individui hanno difficoltà a gestire due identità diverse allo stesso tempio e spesso
assimilano l’identità della società ospite oppure conservano la propria. Altri mantengono il proprio
senso di identità e condividono un’identità con la società ospite. Le persone biculturali gestiscono
entrambe le identità.
Secondo il modello di alternanza, è possibile per un individuo gestire identità multiple arrivando a
comprendere i presupposti culturali che guidano il comportamento e utilizzando questa
conoscenza per pensare e avere un comportamento adeguato in ognuna di esse.
La capacità di conservare simultaneamente due identità presenta numerosi vantaggi. I soggetti
biculturali si sentivano maggiormente a loro agio nell’interazione con individui non appartenenti alla
propria minoranza etnica e possedevano migliori strategie di problem solving e capacità
interpersonali.
Gli studenti delle minoranze più abili nella comunicazione con la cultura maggioritaria avevano
livelli di autostima superiori e subivano meno tensioni razziali.
IL PREGIUDIZIO
Abdul WG da parte di due commercianti italiani a Milano, nel settembre del 2008 riporta un evento
tragico che illustra le cause del pregiudizio raziale. La commissione europea contro il razzismo e
l’intolleranza del Consiglio d’Europa nel rapporto dedicato all’Italia, dichiara che l’Italia ha fatto
passi avanti, rafforzando la sa legislazione. Viene segnalato un aumento del ricorso a discorsi di
stampo razzista in politica, con gli immigrati regolarmente presentati come fonte di insicurezza.
Questo linguaggio si rispecchia nelle politiche discriminatorie. Sebbene sia stata abbandonata la
maggior parte delle misure più discutibili, è evidente l’impatto sugli atteggiamenti dell’opinione
pubblica. Persistono i pregiudizi contro i musulmani e l’antisemitismo, e si segnalano casi di
discriminazioni nei confronti dei gruppi vulnerabili nell’accesso agli alloggi dati in locazione da
privati. In alcuni casi, si sono verificate aggressione violente contro Rom e immigrati.
IL PREGIUDIZIO: VECCHIO E NUOVO
Pregiudizio, discriminazione e bias intergruppi
Gli intergroup sono le categorie sociali a cui si appartiene. Le persone che condividono
l’appartenenza alla stessa categoria sono i membri dell’ingroup. Gli outgroup sono le categorie
sociali a cui non si appartiene. Gli individui che sono membri di categorie di cui non si è parte,
sono membri dell’outgroup.
Vedremo come le persone considerano il proprio ingroup migliore dell’outgroup, una tendenza
chiamata ingroup bias. L’ingroup bias è un concetto ombrello che comprende diverse
manifestazioni del pregiudizio nei confronti della prima categoria sociale di appartenenza. Il
pregiudizio può essere definito come un atteggiamento o sentimento negativo nei confronti dei
membri di un outgroup. La discriminazione intergruppi è la manifestazione comportamentale del
pregiudizio. Le persone che hanno atteggiamenti dettati dal pregiudizio potrebbero essere coloro
che tendono maggiormente ad adottare un comportamento discriminatorio.
Il razzismo è il pregiudizio contro una persona sulla base della sua razza. Il sessismo è il
pregiudizio contro qualcuno in relazione al suo sesso.
La tendenza a definire gli altri in base al colore della pelle e al sesso non è priva di conseguenze,
perché l’appartenenza a queste categorie può essere accompagnata allo stigma. Si parla di
stigmatizzazione quando la categoria sociale di appartenenza pone un individuo in uno status
inferiore rispetto al gruppo dominante e gli attribuisce caratteristiche negative.
Razzismo
Distinguiamo due tipi di razzismo: vecchio stile e avversivo. Il razzismo vecchio stile è
l’espressione manifesta di stereotipi negativi e scorretti basati sull’appartenenza a una categoria
diversa.
Le norme sociali per lo più impediscono l’espressione manifesta di opinioni dettate dal pregiudizio.
Il termine razzismo avversivo designa un genere di razzismo definito dalla presenza
contemporanea di atteggiamenti egualitari ed emozioni negative nei confronti dei diversi gruppi.
Secondo Gaertner e Dovidio attualmente il razzismo è meglio definito da questo conflitto fra valori
egualitari e forme più esplicite di pregiudizio perpetuate da immagini di gruppi di minoranza che
riflettono stereotipi negativi. Il risultai di tale conflitto è l’esperienza di emozioni negative. Queste
emozioni negative suscitano senso di colpa e vergogna in coloro che le provano, i quali evitano
dunque di riconoscerle pubblicamente ed evitano gli incontri tra i gruppi che potrebbero portare
all’emergere di tale contrasto.
È possibile concettualizzare il progresso di una società verso l’egualitarismo come un passaggio
attraverso delle fasi definite da tipi diversi di razzismo, da quello manifesto e vecchio stile al
razzismo avversivo, in cui coesistono atteggiamenti egualitari e preconcetti, per finire con
l’egualitarismo vero e proprio, in cui non vi sono più conflitti
Sessismo
Il sessismo è una forma di discriminazione basata sul genere. Con questo termine s’intende il
dominio maschile sulle donne, esemplificabile in un continuum che va dalla molestia sessuale fino
alla discriminazione istituzionale. Anche il sessismo può essere suddiviso in due componenti: il
sessismo ostile e il sessismo benevolo. Il sessismo ostile designa i tipici atteggiamenti sessisti nei
confronti delle donne, l’idea che le donne siano esseri inferiori. Gli atteggiamenti sessisti benevoli
hanno una valenza positiva e generalmente, idealizzano le donne nei ruoli femminili tradizionali,
come madri o casalinghe.
Le forme di sessismo moderne, come quelle del razzismo attuale, sono caratterizzate dal conflitto
tra atteggiamenti positivi (egualitari) e negativi (preconcetti).
Gli uomini sessisti hanno atteggiamenti sia ostili che benevoli nei confronti delle donne. Gli uomini
sessisti ambivalenti possono avere allo stesso tempo atteggiamenti positivi e negativi nei confronti
di diversi ruoli di donne, cosa che può contribuire a piegare perché il sessismo è così difficile da
contrastare.
Pregiudizio implicito
Gli atteggiamenti espliciti sono consapevoli, deliberati e controllabili, e sono di soli individuati
mediante la compilazione da parte dei partecipanti di un questionario in cui valutano quanto i propri
atteggiamenti, sentimenti o stereotipi nei confronti di membri di un altro gruppo siano
positivi/negativi. Queste misure sono influenzate dalla desiderabilità sociale. Tutti vogliamo essere
considerati positivamente dagli altri. Può pertanto accadere che le persone non riferiscano con
sincerità i propri atteggiamenti intergruppi, temendo che essi non risultino socialmente desiderabili.
Il problema è stato affrontato ricorrendo ai questionari in forma anonima.
Gli atteggiamenti impliciti sono attivati in modo non intenzionale dalla semplice presenza di un
oggetto dell’atteggiamento, sia reale che simbolico. Gli atteggiamenti intergruppi impliciti possono
essere innescati dalla sola vista di qualcuno che fa parte di un altro gruppo, o qualcosa che è
associato a quel gruppo, come un’icona o un simbolo religioso.
Uno dei metodi più usati per la misurazione di un atteggiamento implicito è il test di associazione
implicita. Si tratta di un compito che misura la velocità con cui i partecipanti riescono a
categorizzare degli stimoli positivi e negativi assieme a stimoli legati all’ingroup o all’outgroup. In
genere le persone manifestano un bias intergruppi implicito. È più semplice associare degli stimoli
positivi al proprio gruppo di appartenenza e degli stimoli negativi all’outgroup, indicando un bias
implicito a favore del proprio gruppo. Il test IAT è stato utilizzato per misurare una vasta gamma di
pregiudizi a favore di un gruppo, contrapponendo i gruppi in relazione al genere, maschi-femmine,
all’etnia, religiosità… Inizialmente gli psicologi ritenevano che mentre gli atteggiamenti espliciti
cambiano con facilità, quelli impliciti fossero più difficili da modificare. Da alcune prove recenti è
emerso che gli eventi attuali possono avere un effetto potente sugli atteggiamenti impliciti.
Il pregiudizio implicito così come misurato dallo IAT è stato anche ricondotto a specifici correlati
biologici. L’amigdala, una struttura sottocorticale coinvolta nell’apprendimento affettivo e nella
valutazione, potrebbe entrare in gioco nei processi in cui le persone formano associazioni negative
dell’outgroup.
Le misure di tipo implicito come il test IAT non richiedono ai partecipanti di riferire direttamente i
propri atteggiamenti, e quindi sono meno facilmente influenzabili dalla desiderabilità sociale
rispetto alle misure esplicite. È provato che sebbene il comportamento risulti influenzato sia dai
pregiudizi espliciti sia da quelli impliciti, ciò avviene con modalità diverse. Mentre il pregiudizio
esplicito può indurre comportamenti consapevoli e deliberati. Il pregiudizio implicito può facilmente
incoraggiare comportamenti dettati dal pregiudizio non verbali, poco evidenti, indiretti e spontanei.
Infraumanizzazione
Il processo di attribuzione, ossia il modo in cui le persone formano impressioni sugli altri,
analizzando come tale processo possa risentire di bias sistematici a vantaggio del Se o persino del
gruppo. Questo meccanismo d’attribuzione conduce a un’altra forma implicita di pregiudizio
implicito che riguarda il tipo di emozione che gli individui riferiscono a certi outgroup:
l’infraumanizzazione. Le emozioni possono essere suddivise in due categorie distinte, ossia
emozioni primarie e secondarie. Quelle primarie si riferiscono a quelle che esseri umani e animali
hanno in comune, come ad esempio gioia, sorpresa, paura e tristezza. Le emozioni secondarie
sono più complesse, unicamente umane e utilizzate per distinguere gli esseri umani dagli animali,
come ammirazione, speranza, indignazione e malinconia. L’infraumanizzazione riflette la tendenza
ad attribuire all’outgroup emozioni secondarie unicamente umane in misura minore rispetto ai
membri dell’ingroup. Le conseguenze di questa diversa valutazione delle emozioni secondari sono
importanti e possono essere adottate per giustificare la discriminazione.
Una mole crescente di ricerche mostra i diversi modi in cui gli individui arrivano a non considerare
più gli altri come esseri umani, sottolineando come questo processo possa servire a giustificare le
più efferate forme di discriminazione.
L’infraumanizzazione può portare alla deumanizzazione dell’outgroup. Si ha deumanizzazione
quando gli individui non vedono gli altri come esseri umani.
Questo gli consente di legittimare le proprie azioni e di ridurre il senso di vergogna o di colpa,
aumentando così ancora la probabilità di un comportamento violento. La deumanizzazione ha
spesso conseguenze catastrofiche, tanto d venire spesso citta tra le cause principali del genocidio.
La deumanizzazione delle vittime, specialmente a livello di gruppo, può essere spiegata con la
delegettimazione. Quando un gruppo viene visto con una luce estremamente negativa, etichettato
come una minaccia nei confronti delle norme, valori e del modo di vivere dell’ingroup.
Delegettimando l’outgroup in questo modo, possono essere giustificate la deumanizzazione del
gruppo e l’aggressione nei suoi confronti.
Esclusione sociale
il pregiudizio è una delle cause principali dell’esclusione sociale, un termine ombrello che si
riferisce all’essere esclusi, rifiutati o emarginati dal gruppo desiderato.
-Gli esseri umani hanno maggiore probabilità di sopravvivere quando possono contare su legami.
L’esclusione sociale porta delle conseguenze negative, come ad esempio problemi
cardiovascolari, morte, salute cagionevole.
Le cattive condizioni di salute dei membri di gruppi minoritari possono anche essere in parte
dovute alla discriminazione diffusa a cui sono soggetti
DIFFERENZE INDIVIDUALI NEL PREGIUDIZIO
La personalità autoritaria
Alcune persone avrebbero più pregiudizi di altre in relazione allo stile educativo ricevuto. In base a
questa teoria, fortemente influenzata dall’opera di Freud, una personalità autoritaria di manifesta
come risposta di difesa allo stile genitoriale troppo severo. Un figlio di genitori troppo severi, non
riesce a esprimere la sua naturale ostilità e trasferisce su altri l’aggressività. Questa spiegazione
ha dei punti critici:
1. Non ha ricevuto un supporto empirico inequivocabile
2. Le teorie della personalità spiegano le differenze individuali negli atteggiamenti e nei
comportamenti. Pertanto è difficile spigare un pregiudizio uniforme e diffuso
Orientamento alla dominanza sociale
Sidanius ha sostenuto che le persone si differenziano i base all’orientamento alla dominanza
sociale. Tale principio sostiene che la società attuale è definita in parte da ideologie implicite che
sostengono o attenuano le gerarchie di stato integruppi, e che le persone si differenziano per la
forza con cui accettano o respingono queste idee, profondamente radicate nella società. Secondo
Sidanius, le persone con uno piccato orientamento alla dominanza sociale favoriscono le gerarchie
intergruppi: ciò significa che gli individui che fanno parte di gruppi di condizione elevata oppure
bassa dovrebbero favorire il gruppo di condizione elevata. Vi sono delle prove empiriche a
sostegno dell’orientamento alla dominanza sociale, più consistenti di quelle a sostegno della
personalità autoritaria. L’orientamento alla dominanza sociale è predittivo del sessismo, del
nazionalismo e del pregiudizio etnico. Le persone con un marcato orientamento alla dominanza
sociale sostengono la sospensione delle libertà civili e si oppongono all’immigrazione e ai diritti dei
gay. L’effetto dell’orientamento alla dominanza sociale sul pregiudizio permane anche dopo il
controllo di una vasta gamma di altri fattori relativi alle differenze individuali, come l’autostima, il
bisogno di struttura…
Pregiudizio e autoregolazione
Quando ci si rende conto di essere condizionati dal pregiudizio, ci si può sentire in colpa per aver
violato altre convinzioni basate su valori egualitari condivisi. Questo genere di discrepanza tra
atteggiamenti e comportamenti può motivare le persone a mutare gli atteggiamenti.
Le persone che individuano tali discrepanze intraprendono un processo deliberato di auto-
regolazione per controllare e inibire sistematicamente i pensieri correlati al pregiudizio.
Sostituendoli con una reazione a basso contenuto di pregiudizi fino a quando i loro pensieri e i loro
comportamenti non sono più influenzati da preconcetti. A livello individuale questa idea che le
persone possano scegliere di autoregolarsi per evitare tali pensieri indica che si ossa essere meno
soggetti al pregiudizio. La teoria descrive quindi come gli individui, quando hanno deciso di non
farsi più condizionare dai pregiudizi, possano raggiungere questo obiettivo.
Regolazione del pregiudizio attraverso il dialogo sociale interattivo
Condor ha ipotizzato che la regolazione sociale del pregiudizio non avvenga solo a livello
individuale, ma sia un processo dialogico che coinvolge il gruppo.
1. Oltre a negare di avere pregiudizi, le persone spesso difendono gli assenti, quando sono
accusati di averne.
2. I ricercatori hanno riscontrato una tendenza ad agire per conto di altri individui presenti, allo
scopo di far si che non sembrino avere pregiudizi.
Questi risultati indicano che la soppressione del pregiudizio può avvenire in maniera collaborativa
e interattiva
RIDURRE IL PREGIUDIZIO
Ipotesi del contatto
Secondo l’ipotesi del contatto, la conoscenza tra membri di gruppi sociali diversi, in condizioni
adeguate, può determinare la riduzione dei pregiudizi intergruppi
1. Sono indispensabili delle norme sociali che favoriscano l’eguaglianza: tutte le istituzioni
sociali devono promuovere l’integrazione. Quando gli atteggiamenti non sono coerenti con
il comportamento, si verifica uno spiacevole stato interiore. Le persone sono motivate ad
evitare tale disagio: così cambiano atteggiamento, per uniformarlo al comportamento. Ne
consegue che le leggi le quali impediscono il comportamento discriminatorio, possono
indurre un cambiamento di atteggiamento.
2. Il contatto deve avvenire in condizioni di status sociale paritario. Se il gruppo minoritario ha
contatti con il gruppo di maggioranza in condizioni di subordinazione, gli stereotipi negativi
sull’inferiorità tendono a persistere
3. Il contatto deve implicare la collaborazione allo scopo di raggiungere un obiettivo comune
Attualmente il contatto intergruppi è tra gli interventi psicologici più utilizzati per ridurre il
pregiudizio e migliorare le relazioni intergruppi. Ma l’ipotesi del contatto è stata spesso oggetto di
due critiche principali:
1. L’ipotesi di contatto non specificava come gli effetti del contatto si sarebbero estesi al di la
della situazione immediata ad altre situazioni, e dagli individui coinvolti nel contatto
all’intero outgroup
2. Il contatto può indurre a una sottotipizzazione degli individui coinvolti nel contatto, diversa
dalla rappresentazione del gruppo
Il risultato sarebbe una permanenza del pregiudizio basato sulla categoria.
Hewstone e Brown hanno sostenuto che il contatto può essere generalizzato all’outgroup nel suo
insieme quando i membri dell’ingroup e dell’outgroup che partecipano al contatto sono considerati
sufficientemeti tipici o rappresentativi del proprio gruppo e non possono essere facilmente
sottotipizzati in modo diverso dal gruppo.
I membri dei vari gruppi devono essere consapevoli della rispettiva appartenenza al gruppo nel
corso dell’interazione.
Affinchè il contatto riesca a ridurre il pregiudizio, è bene che gli atteggiamenti intergruppi iniziali
siano favorevoli, che vi sia un linguaggio comune, un’economia prospera e il contatto sia volontario
anziché forzato. La teoria è divenuta essenzialmente non falsificabile, in quanto poche situazioni di
contatto potrebbero soddisfare tutte le condizioni specificate. In realtà, alcune teorici hanno messo
in guardia sul fatto che nessuna delle condizioni proposte è essenziale, dato che si limitano a
facilitare l’effetto del contatto intergruppi nel ridurre il pregiudizio.
Le persone con amici membri di un outgroup tendono ad avere atteggiamenti più positivi nei
confronti di quell’outgroup.
Ma queste relazioni operavano tramite un sottostante meccanismo di mediazione, detto ansia
intergruppi, ossia l’attivazione negativa che si prova in vista del contatto quando di ha poca
dimestichezza con l’outgroup. Più numerosi erano gli amici che i partecipanti avevano nell’altra
comunità, meno erano ansiosi all’idea di interagire con i membri di quel gruppo
Un’altra ricerca ha dimostrato che la rivelazione di se, ossia la condivisione di informazioni
personali tra due persone, può spiegare perché le persone che hanno amici in gruppi diversi dal
proprio, sono meno esposti a pregiudizi.
La rivelazione di se sembra essere associata a un migliore atteggiamento verso l’outgroup per due
ragioni: induce empatia nei confronti dei membri dell’outgroup e contribuisce a generare fiducia
reciproca
Il contatto indiretto
Nonostante l’amicizia extragruppo abbia un effetto positivo nell’abbattere il pregiudizio, essa
presenta comunque un limite inevitabile: può essere utilizzata come intervento per ridurre il
pregiudizio solo quando i membri del gruppo hanno in primo luogo l’opportunità del contatto. Ne
deriva che l’amicizia extragruppo può non essere utile nei contesti chiusi e circoscritti. Alcuni studi
recenti sul contatto indiretto possono fornire una soluzione a questo dilemma. Ad oggi sono stati
indagati due tipi di contatto indiretto: il contatto esteso e il contatto immaginato. La mera
consapevolezza che altre persone del proprio gruppo hanno amicizie all’esterno, è in grado di
ridurre il bias intergruppi, tale fenomeno è chiamato contatto esteso. Nella prima fase di un
esperimento, i partecipanti furono divisi i due gruppi. Veniva indotta una solidarietà ingroup
facendo lavorare assieme i membri dei due gruppi in una serie di compiti collaborativi, allo scopo di
creare familiarità e simpatia ingroup. Nella seconda fase fu generata una rivalità intergruppi
contrapponendo i due gruppi in una serie di compiti. Alla fine di ciascun compito a ciascun gruppo
viene attribuito un esito negativo. Nella terza fase fu scelto un partecipante facendogli creder che
avrebbe fatto parte a un altro esperimento. I soggetti scelti dovevano svolgere dei compiti
(obiettivo era avvicinare coppie di estranei).
I risultati indicavano che i partecipanti manifestavano pregiudizi dopo la fase 1, in seguito alla
categorizzazione, ma prima dell’introduzione dell’antagonismo intergruppi. Il bias intergruppi era
ancora maggiore in seguito all’introduzione dell’antagonismo nella fase 2. Dopo aver ascoltato il
racconto dell’esperienza del contatto intergruppi positivo di un membro del gruppo nella fase finale
dell’esperimento, anche i partecipanti non coinvolti direttamente mostravano una riduzione del bias
intergruppi.
I partecipanti vennero assegnati a una di tre condizioni: una condizione integruppi di contatto
esteso, in cui i racconti enfatizzavano l’appartenenza al gruppo dei personaggi, accentuandone la
tipicità in quanto membri del gruppo, una condizione spersonalizzata in cui i racconti ponevano
l’accento sulle caratteristiche individuali dei protagonisti, e una condizione neutra in cui non veniva
sottolineata ne l’appartenenza al gruppo ne le caratteristiche personali. Gli atteggiamenti nei
confronti dei disabili divennero più positivi dopo l’intervento, ma solo nella condizione integruppi di
contatto esteso.
Il contatto esteso migliora gli atteggiamenti verso l’outgroup riducendo l’ansia intergruppo. Più i
partecipanti sanno di avere amici nell’outgroup, meno sono ansiosi nell’interazione. L’amicizia
extragruppo estesa può essere utile in situazioni in cui vi sono meno occasioni di contatto, in
quanto un individuo non deve per forza conoscere personalmente un membro dell’ourgroup allo
scopo di trarre beneficio dal contatto.
Il contatto immaginato è la simulazione mentale di un’interazione sociale con uno o più membri di
un outgroup. Il punto di partenza è che la simulazione mentale di un’esperienza di contatto positiva
attivi dei concetti associati di norma alle interazioni positive con membri di altri gruppi.
L’immaginario funziona perché favorisce l’accesso a pensieri e a sentimenti generalmente
associati alla situazione sociale conosciuta.
LE RELAZIONI INTERGRUPPI
Quando le relazioni intergruppi non funzionano, ciò avviene a causa di una visione negativa di loro
rispetto a noi, derivante dal riconoscimento che alcune persone si trovano nella nostra stessa
categoria sociale e altre no. Questa auto-inclusione e la distinzione tra ingroup e outgroup è
importante per comprendere le relazioni intergruppi.
TEORIE DELLE RELAZIONI INTERGRUPPI
Gli studi di Sherif sul campo estivo
Sherif intende studiare un campo estivo per ragazzi, dove 20 ragazzi bianchi di 11 anni svolgono
delle attività. Si hanno 3 fasi: nella prima vengono formati due gruppi, nella seconda si osservano
gli effetti derivati dall’antagonismo fra i gruppi (aumentato dai giochi a squadre) e la terza punta a
diminuire il conflitto sorto nelle prime due fasi, ponendo a entrambi i gruppi un obiettivo comune
per obbligare la collaborazione. (andò tutto come previsto)
Questi risultati confermano una spiegazione del pregiudizio, della discriminazione e del conflitto
intergruppi detta teoria del conflitto realistico tra gruppi. In base a questa teoria, il conflitto tra
gruppi deriva dalla percezione di una scarsità di risorse.
Il paradigma del gruppo minimo
Tajfel intendeva scoprire quali potrebbero essere le condizioni minime necessarie per osservare il
pregiudizio. Creò un paradigma che eliminava tutti i possibili fattori in grado di accentuare il bbias
intergruppi, in modo da lasciare solo la semplice categorizzazione di ingroup e outgroup. Voleva
verificare se la categorizzazione fosse sufficiente per essere categorizzati in un gruppo o in un
altro.
In realtà non si aspettava che bastasse la mera categorizzazione per far sorgere bis intergruppi:
stava semplicemente cercando di individuare le condizioni di base. Scoprì invece che le condizioni
che potevano indurre il bias intergruppi erano veramente minime. Il paradigma del gruppo minimo
di Tajfel descrive un contesto sperimentale in grado di creare una base ideale per la
categorizzazione e comprende misure di valutazione e di discriminazione tra i gruppi implicati.
Nell’esperimento originale di Tajfel i partecipanti, alunni di scuola elementare, venivano suddivisi in
due gruppi. In base alla preferenza di immagini mostrate, vengono divisi in due gruppi. I
partecipanti dovevano completare un compito di assegnazione di punti a soggetti dei due gruppi.
La caratteristica particolare del paradigma del gruppo minimo è che gruppi in realtà non
rappresentano la forma elementare di categorizzazione sociale, ma rappresentano soltanto la
forma minima dell’apparenza a un contesto.
Gli studiosi scoprirono che la mera categorizzazione era sufficiente a indurre un bias intergruppi.
Billig e Tajfel effettuarono una replica del’esperimento originale, ma con alcuni cambiamenti.
Ovvero la divisione dei due gruppi era visibilmente casuale. Appare che vi era un maggiore bias
intergruppi nella condizione della somiglianza di opinione che non nella condizione
dell’assegnazione casuale. Sebbene vi fosse minore pregiudizio nella condizione
dell’assegnazione casuale, non vi era un’eliminazione totale del pregiudizio.
La semplice categorizzazione è sufficiente perché gli individui favoriscano il proprio gruppo rispetto
agli altri.
Il modello della differenziazione categoriale
Doise propose un modello sugli effetti della categorizzazione per spiegare l’assegnazione
differenziale di punti in relazione all’appartenenza al gruppo nel paradigma del gruppo minimo.
Secondo il modello della differenziazione categoriale, imporre un sistema di classificazione su una
serie di stimoli precedentemente disordinati può portare a un’accentuazione delle differenze tra
categorie e a un’attenuazione di somiglianze entro le categorie. Quando le etichette categoriali
diventano salienti, secondo Doise si crea una tendenza automatica a pensare che tutte le persone
appartenenti alla stessa categoria siano simili tra loro. Gli individui si comportano talora da
economizzatori cognitivi, hanno cioè una motivazione generale a semplificare la propria visione del
mondo attraverso ampie generalizzazioni: le categorie sociali. Il modello della differenziazione
categoriale descrive la modalità d funzionamento di questo processo quado c’è un ingroup e una
categoria outgroup corrispondente.
Il modello della differenziazione categoriale offre la motivazione psicologica implicita che può
spiegare l’effetto della semplice categorizzazione. Se le persone sono implicitamente motivate a
semplificare la propria percezione dei contesti sociali dovrebbero servirsi di qualche meccanismo
funzionale, come quello specificato dal modello della differenziazione categoriale, per raggiungere
tale obiettivo. L’unico modo in cui possono esprimere questo desiderio è utilizzare l’unico
strumento nel contesto minimo che si presta allo scopo: l’assegnazione di punti. Assegnare più
punti a un gruppo è un’espressione di una differenziazione categoriale: accentua le differenze tra
le persone appartenenti a due categorie.
Tajfel e Turner mettono a punto la teoria dell’identità sociale che spiega il rapporto tra identità
personale e sociale. Riguardo al giudizio sulle persone che fanno parte di altri gruppi, la logica è
questa: per prima cosa, Tajfel e Turner presumono che gli individui preferiscano avere un concetto
di se positivo. Questa teoria, assume che i gruppi sociali di cui siamo parte costituiscono una fonte
di autostima.
Nel paradigma del gruppo minimo, la teoria dell’identità sociale può spiegare perché le persone
hanno la tendenza ad assegnare più punti al proprio gruppo rispetto a un altro gruppo. Così
facendo si potenzia lo status dell’ingroup rispetto all’outgroup e si aumenta l’autostima dei membri
del gruppo.
La differenziazione categoriale può soddisfare la motivazione a chiarire e semplificare, mentre la
teoria dell’identità sociale può fornire la spiegazione motivazionale della tendenza al favoritismo
verso l’ingroup nell’assegnazione differenziale dei punti. Possiamo definire questo desiderio
congiunto di differenziarsi dagli outgroup come il desiderio di una distinzione positiva.
Un supporto ulteriore a favore della teoria dell’identità sociale si può ritrovare nel modello delle
dinamiche del gruppo soggettivo proposto da Marques, Abrams e Serodio. Affonda le radici nel
paradigma dell’identità sociale e nell’idea secondo cui le persone traggono la propria autostima dai
gruppi sociali a cui appartengono. Secondo il modello, gli individui non discriminano gli altri gruppi
semplicemente per far risaltare le qualità positive dell’ingroup, ma monitorano i possibili devianti
che possono minacciare l’ingroup in quanto fonte di autostima positiva.
Hutchison, Abrams, Gutierrez e Viki hanno condotto uno studio per dimostrare direttamente questa
ipotesi. È stato prima rilevato il grado in cui i partecipanti si identificavano come studenti di
psicologia. Dopo hanno risposto a un questionario di percezione dell’ingroup, per poi leggere un
testo su un membro dell’ingroup preferibile o no preferibile. Veniva poi chiesto di rispondere al
questionario di percezione dell’ingroup. Gli autori hanno riscontrato che i partecipanti che si
identificavano in misura maggiore con il gruppo e che venivano esposti a membri non preferibili del
gruppo, riportavano percezioni più positive dell’ingroup rispetto a prima dell’esposizione. La
relazione tra l’identificazione e una percezione più positiva dell’ingroup era mediata dalla
svalutazione dell’outgroup.
La teoria dell’autocategorizzazione è basata sulla teoria dell’identità sociale, ma attribuisce
un’importanza rilevante ai processi cognitivi associati all’affiliazione contestuale ai gruppi sociali.
La teoria della categorizzazione di se descrive come la salienza dell’identità porti alla
spersonalizzazione e come questi processi cognitivi influiscano su alcuni comportamenti
intergruppo. Analogamente al modello della differenziazione categoriale, la teoria
dell’autocategorizzazione individua un principio del metacontrasto che descrive la percezione di
una maggiore somiglianza entro le categorie ingroup e outgroup e una maggiore differenziazione
tra di esse. La teoria dell’autocategorizzazione afferma che la categorizzazione sociale e la
discriminazione intergruppo sono: dipendenti dal contesto, implicano una ricerca di significato.
Un’elaborazione della componente motivazionale della teoria della categorizzazione di se è
proposta da Hogg con l’ipotesi della riduzione dell’incertezza soggettiva. La categorizzazione
sociale spiega e definisce le situazioni sociali, fornisce un mezzo per prevedere come si
comporteranno i membri dell’outgrou e una serie di norme prescrittive dell’ingroup per guidare chi
percepisce.
La motivazione a ridurre l’incertezza attraverso la categorizzazione di se e il metacontrasto porterà
i membri di gruppi stimati e prestigiosi a confrontare l’ingroup con l’outgroup, specie quando
positività e distintività sono minacciate.
Le persone sono motivate a soddisfare due bisogni in conflitto l’uno con l’altro: il bisogno di
assimilazione il bisogno di differenziazione.
Il pregiudizio si verificherebbe quando il bisogno di differenziazione non è soddisfatto, e il
pregiudizio stesso potrebbe essere visto come una specificazione delle motivazioni alla distintività
viste più sopra.
Il fondamento dell’idea che il se possa essere utilizzato come base informativa nel giudizio sociale
è spiegato in senso lato dal concetto della proiezione sociale, ossia la tendenza a predire
sentimenti, pensieri e comportamenti sulla base dei propri. La proiezione sociale è più forte
quando la persona bersaglio è simile al se. Gli individui tendono a proiettare gli attributi del se
sull’ingroup. Questa asimmetria della proiezione ingroup-outgroup può contribuire a spiegare il
pregiudizio intergruppi nel paradigma del gruppo minimo. Poiché le persone hanno un concetto di
se favorevole.
La teoria della gestione del terrore
Secondo questa teoria gli esseri umani possiedono un fortissimo istinto di sopravvivenza.
La teoria della gestione del terrore afferma che, per affrontare questa paura, gli esseri umani
adottano una visione culturale del mondo che fornisce significato al mondo e rafforza la
convinzione che la nostra vita sia importante e significativa.
Questa teoria afferma che le persone convinte di vivere rispettando i valori della propria visione
culturale del mondo hanno un’autostima molto alta, in quanto confidano di raggiungere in qualche
modo l’immortalità.
(esempio pag 268)
La teoria della gestione del terrore come spiegazione del pregiudizio evidenzia due punti critici. Vi
sono delle possibili interpretazioni alternative per gli effetti legati alla salienza della mortalità.
Secondo alcuni gli effetti osservati sarebbero dovuti a una minaccia generica.
È importante che la ricerca futura chiarisca se l’autostima abbia origine da un bisogno generico di
ridurre l’ansia riguardo alla morte o se il bisogno di ridurre tale ansi derivi da un bisogno generico
di autostima positiva.
Le valutazioni negative sull’outgroup vengono accentuate quando la mortalità è resa saliente.
Tuttavia non è affatto chiaro quanto spesso si pensi effettivamente alla propria morte.
La teoria evoluzionista
Gli psicologi evoluzionisti sostengono che una delle minacce più grandi alla sopravvivenza degli
individui nella storia dell’evoluzione è stata rappresentata da membri di outgroup ostili. Essi
ritengono che molti processi psicologici si siano originati a partire da strategie cognitivo-affettive
evolute per proteggerci dalle potenziali minacce dei membri dell’outgroup.
Gli autori fanno riferimento al fatto che gli uomini contribuiscono maggiormente al benessere del
proprio gruppo quando questo si trova in competizione con altri gruppi.
Navarrete propone l’idea secondo cui l’esposizione ad aggressioni tra i gruppi nel corso
dell’evoluzione ha fatto emergere una risposta condizionata di paura verso i membri dell’outgroup.
MIGLIORARE LE RELAZIONI INTERGRUPPI
3 approcci per migliorare le relazioni intergruppi: il modello dell’identità dell’intergroup comune, la
categorizzazione incrociata e la categorizzazione multipla
Il modello dell’identità dell’intergroup comune
Secondo questo modello, le relazioni intergruppi possono essere migliorate attraverso la
ricategorizzazione da una rappresentazione duale a una rappresentazione unica, di un solo
gruppo.
Attraverso la collaborazione si forma un nuovo ingroup e dunque gli stessi processi che portano al
favoritismo nei confronti dell’ingroup si applicano al nuovo ingroup comune.
(esempio pag 275)
La categorizzazione incrociata
Implica rendere salienti allo stesso tempo per l’appartenenza al gruppo due dimensioni.
Secondo il modello della differenziazione categoriale, categorizzare gli stimoli in gruppi conduce a
un’accentuazione delle differenze tra categorie e a un’attenuazione delle somiglianze entro le
categorie: ciò costituisce una base per il bias intergruppi.
Non si possono avere pregiudizi nei confronti di loro se questi non sono visti psicologicamente
distinti da noi. Al di là dei vantaggi della categorizzazione incrociata nel ridurre il pregiudizio, si
tratta di un intervento/strategia da utilizzare con grande accuratezza.
La categorizzazione multipla
Si basa all’incoraggiare le persone a servirsi di modi diversi per categorizzare gli altri, anziché
pensare esclusivamente in termini di razza, genere o età.
Quando le categorie diventano troppo complesse da utilizzare come indizio per il giudizio
valutativo, l’individuo potrebbe sentirsi obbligato a cercare modi alternativi per formarsi
un’impressione su una persona. Le teorie della formazione di impressioni suggeriscono che, per
quanto le persone tendano a servirsi di categorie per elaborare le informazioni, in presenza di una
scarsa coincidenza tra categoria e persona in oggetto si h uno spostamento in direzione di una
modalità di elaborazione individuata: ciò determina una decategorizzazione e una percezione
dell’individuo più completa e differenziata, riducendo la stereotipizzazione e il pregiudizio
intergruppi.
Connesso a questo approccio è il modello della complessità dell’identità sociale di Roccas e
Brewer. Secondo tale modello poter cambiare il modo in cui percepiamo noi stessi può essere
vantaggioso per le relazioni intergruppi.
L’AGGRESIVITA’
TEORIE SULL’AGGRESSIVITA’
Le teorie dell’aggressività possono essere suddivise in 3 categorie. In base a un prospettiva
evoluzionistica, tutti nasciamo con la tendenza a comportarci in modo aggressivo. Secondo
l’ipotesi catartica, l’aggressività e lo sfogo di un accumulo di frustrazione. Nella prospettiva sociale,
l’aggressività è un comportamento sociale appreso dal contesto sociale circostante.
Teorie evoluzionistiche
Secondo gli psicologi sociali di orientamento evoluzionistico il comportamento sociale si è evoluto
nel tempo ed è stato trasmesso da una generazione all’altra. Il comportamento sociale esiste per
assicurare la sopravvivenza e la trasmissione del corredo genetico di un individuo. L’uso
dell’aggressività per assicurare la sopravvivenza genetica è evidente negli animali. Tra gli esseri
umani, il comportamento aggressivo è adottato per garantirsi vantaggi sociali e economici.
Vi sono delle critiche:
1. È intrinsecamente difficile fornire delle prove che la supportino, perché le tendenze
evoluzionistiche si sono sviluppate nell’arco di migliaia di anni non sono facilmente
verificabili in laboratorio
2. Gli individui non sono aggressivi solo per proteggere se stessi e i propri discendenti
Ipotesi catartica
La prospettiva psicodinamica, che all’inizio del 900 era dominante, sosteneva che l’individuo ha 2
istinti innati e opposti: istinto di vita (eros) e istinto di morte (thanatos). Secondo Freud, sebbene
l’istinto di morte sia diretto all’autodistruzione, il bambino crescendo lo indirizza dal Se agli altri,
sotto forma di comportamento aggressivo.
Il comportamento aggressivo era considerato il risultato di un naturale accumulo di tensione fisica,
che alla fine doveva essere liberata per ristabilire l’equilibrio.
Non vi sono prove empiriche a sostegno di questa teoria.
Negli anni 30, gli psicologi sociali della Yale University notarono che le persone tendevano ad
assumere un comportamento aggressivo più spesso in certe situazioni, più che in altre. Ipotizzano
che l’aggressività derivi dalla frustrazione in relazione a una persona o evento. Se l’aggressività
non può essere rivolta direttamente alla causa della frustrazione, perché soverchiante dal punto di
vista fisico o sociale, o perché la causa è una situazione e non una persona, può essere indirizzata
verso un obiettivo più realistico. Si tratta di un’idea nota come ipotesi frustrazione-aggressione
Secondo Hovland e Sears, la frustrazione causata da una causa situazionale (es declino
economico) produrrebbe impulsi aggressivi che sarebbero diretti verso obiettivi vulnerabili che non
hanno responsabilità (ad es minoranze etniche).
Critiche: si hanno poche prove empiriche. Inoltre la teoria di Sears è stata riesaminata, sostenendo
che non esistono grandi prove della correlazione tra economia e crimini dettati dall’odio.
Uno studio sperimentale di Bushman, Baumeister e Stacl, ha rilevato che i partecipanti già
arrabbiati che avevano letto un articolo di giornale favorevole alla catarsi, continuavano a mostrarsi
aggressivi verso la persona che li aveva fatti infuriare, anche dopo aver scaricato la tensione
prendendo a pugni un sacco da boxe.
Teorie sociali
Secondo la psicologia sociale anche il contesto sociale può contribuire a spiegare un
comportamento aggressivo. Queste teorie però non negano l’esistenza di una tendenza biologica,
ma enfatizzano il ruolo dell’ambiente sociale nel modellare queste tendenze.
Il modello cognitivo neoassociazionista di Berkowitz fornisce una spiegazione dell’aggressività
che prende in considerazione anche le condizioni ambientali, o i segnali, generati da una
situazione frustrante che determinano di conseguenza un comportamento aggressivo. La
frustrazione genera rabbia, e questa a sua volta aumenta la probabilità di un comportamento
aggressivo. Notava che c’era aggressività solo se dall’ambiente provenivano adeguati segnali.
Qualsiasi oggetto o persona può rappresentare un segnale per scatenare l’aggressività, se in
passato è stato più volte collegato alla sensazione di rabbia e aggressività.
Berkowitz e LaPage conducono uno studio per capire se i segnali situazionali scatenano
aggressività quando una persona è arrabbiata, come previsto dal modello neoassciazionista. Degli
universitari subiscono delle scosse elettriche, in seguito devono fare lo stesso a un loro compagno.
Si vede come, con la presenza di armi sul tavolo, somministravano più scosse, ma solo coloro che
erano già in collera.
Berkowitz chiama questo fenomeno “effetto d’arma”, sostenendo che le armi non soltanto
forniscono il mezzo per causare un atto di violenza, ma aumentano altresì la probabilità che tale
atto accada.
Modello del trasferimento dell’eccitazione alcuni studiosi, a differenza di Berkowitz che si
concentra sugli effetti di un’eccitazione specifica (rabbia), hanno ipotizzato che l’eccitazione non
specifica possa involontariamente produrre aggressività. Si prova attivazione fisiologica (arousal)
in numerosi contesti.
In base al modello del trasferimento dell’eccitazione, l’eccitazione in una situazione può evolvere in
una situazione completamente diversa. Questo stato viene definito attivazione residua. Per
esempio, l’attivazione residua causata da una situazione può aumentare la probabilità di un
comportamento aggressivo in un’altra situazione (es pag 298).
Teorie dell’apprendimento dell’aggressività il nostro comportamento è influenzato dal mondo
sociale in cui viviamo, infatti ci adeguiamo ai comportamenti altrui e ne siamo influenzati.
Rinforzo operante
Secondo Skinner, le modifiche nel comportamento sarebbero il risultato di una reazione agli stimoli
presenti nell’ambiente, un processo che definisce rinforzo operante. Quando un particolare
modello stimolo-risposta riceve un rinforzo positivo, ossia viene premiato e non punito, il nesso tra
stimolo e risposta è rafforzato
Teoria dell’apprendimento sociale
Bandura sosteneva che il comportamento potesse essere appreso anche in modo indiretto,
osservando il comportamento altrui. La teoria dell’apprendimento sociale afferma che, sebbene i
comportamenti possano essere appresi attraverso l’esperienza diretta, se le persone dovessero
basarsi unicamente sul proprio passato per sapere come agire, l’apprendimento sarebbe lungo,
soggetto a errori e limitato alle situazioni delle quali si è avuta esperienza.
Questo processo venne definito apprendimento osservazionale
Bandura applica la sua teoria anche alla comprensione dell’aggressività. Egli sosteneva che se
una persona è aggressiva in una particolare situazione, questo dipende dalle sue esperienze
dirette e indirette di comportamento aggressivo.
La teoria dell’apprendimento sociale è molto autorevole, specie quando si parla di influenza dei
mass media sul crimine violento.
La visione di un tipo di violenza può indurre ad aggressività dello stesso tipo, ma anche di altri.
Fortunatamente la teoria dell’apprendimento sociale ha delle applicazioni positive. Se tendo ad
imitare un comportamento aggressivo, succederà lo stesso con uno non aggressivo.
Critiche:
1. Non tiene conto delle differenze individuali legate all’aggressività
2. Molti studi non confermano l’effetto dell’aggressività indotta dall’osservazione. Infatti si
hanno studi che dimostrano come giovani delinquenti manifestavano comportamenti meno
aggressivi alla vista di programmi violenti, rispetto a coloro che guardavano programmi non
violenti. Guardare atti violenti concede allo spettatore di scaricare le tendenze aggressive.
FATTORI CENTRATI SULLA PERSONA
2 fattori utili a spiegare le differenze individuali nell’aggressività: genere e personalità.
Differenze di genere
Eagly e Steffen hanno trovato che gli uomini tendono più delle donne a manifestare aggressività
fisica, e secondo Bettencourt e Miller gli uomini avrebbero una tendenza più spiccata a
manifestare aggressività senza alcuna provocazione. Gli uomini hanno in genere livelli più elevati
di testosterone, recenti studi hanno esaminato la correlazione tra aggressività e livelli di
testosterone.
Inoltre si parla anche di atteggiamento sociale: le ragazze sono incoraggiate ad essere gentili,
sensibili, mentre i ragazzi più aggressivi. Si hanno maggiori casi di aggressioni dirette maschili e
indirette femminili (pettegolezzi, esclusione…)
Personalità
Caprara ha trovato che l’irritibiilità, la ruminazione e la suscettibilità emotiva sono tratti che sovente
si trovano associati all’aggressività. Vi sono anche elementi a riprova di un nesso tra aggressività e
il tratto di personalità amabilità. Gleason ha rilevato che le persone con scarsa presenza di questo
tratto tendono ad essere più scontrosi.
Friedman distingue due tipi di personalità:
TIPO A ambiziosi, cercano il successo, perfezionisti e competitivi, sempre fretta di raggiungere gli
obiettivi, competono con gli altri
TIPO B rilassati, non competitivi, creativi
Alcol
L’alcol può essere considerato un fattore centrato sulla persone, perché i vari livelli di assunzione
possono causare differenze individuali nel comportamento aggressivo. L’assunzione di alcol
aumenta l’aggressività
Quando il tasso alcolemico è in aumento, i bevitori si sentono più eccitati, estroversi e stimolati, ma
hanno anche un aumento del deficit della funzione nuropsicologica, ossia hanno problemi di
memoria, di attenzione e di tempo di reazione. Quando il tasso alcolemico diminuisce i bevitori si
sentono rilassati e privi di energia. Il fatto che i bevitori fossero più aggressivi solo quando il tasso
etilico nel loro organismo era in aumento può aiutare a capire le due ragioni per le quali l’alcol
induca aggressività.
1. La maggiore attivazione fisiologica quando il tasso alcolemico aumenta può avere
determinato una maggiore aggressività, in linea con il modello cognitivo neoassociazionista
e di trasferimento dell’eccitazione
2. Il deficit della funzione neuropsicologica può aver determinato un aumento del
comportamento aggressivo. L’alcol incide sulla capacità dell’individuo di elaborare con
precisione le informazioni su una situazione, e aumenta il ricorso a risposte agli stimoli
meno faticose e automatiche.
Una spiegazione alternativa all’effetto del consumo di alcol sull’aggressività è contenuta nella
teoria delle aspettative sull’alcol: le persone hanno determinate aspettative riguardo gli effetti
dell’alcol sul comportamento, infatti si crede generalmente che l’alcol induca le persone a essere
più estroverse, meno inibite e più aggressive. Per questa ragione sappiamo che un
comportamento fuori dal comune mentre si è sotto l’influsso dell’alcol potrà spesso essere
giustificato. Si da colpa all’alcol anziché all’individuo.
FATTORI CENTRATI SULLA SITUAZIONE
Ambiente fisico
3 aspetti dell’ambiente fisico influenzano i livelli di aggressività: temperatura, affollamento e rumore
Temperatura
Più la temperatura è alta, più le persone risultano aggressive. Il caldo induce attivazione
fisiologica, irritabilità e disagio, che possono scatenare aggressività.
Il rapporto tra caldo e aggressività era più stretto nelle ore serali, probabilmente perché durante il
giorno la maggioranza delle persone lavora in edifici con l’aria condizionata e non è quindi
influenzata particolarmente dalla temperatura esterna. Il rapporto tra temperatura e criminalità non
vale tuttavia per tutti i tipi di cimini. Il rapporto tra le due cose è verosimilmente più forte per
l’aggressività effettiva, nella quale lo scopo è spaventare, che per l’aggressività strumentale, intesa
a scopi diversi, ad esempio per fare una rapina.
Questo studio presenta tuttavia un limite, ossia non considera l’effetto priming in termini attinenti al
caldo sull’effettivo comportamento aggressivo.
Affollamento
Un’elevata densità di persone può indurre aggressività.
Le persone tendono a sentirsi anonime e quindi meno responsabili delle proprie azioni quando si
trovano tra la folla.
In base al principio di reciprocità, gli individui tendono maggiormente a comportarsi in modo
aggressivo se ritengono di essere stati provocati.
Rumore
La presenza di rumori indesiderati, soprattutto se a volume troppo alto o imprevedibile, può
determinare un aumento dell’aggressività.
Il rumore induce probabilmente aggressività perché aumenta l’agitazione fisiologica e la
sensazione di stress.
Svantaggio sociale
I gruppi socialmente svantaggiati possono reagire alla loro situazione nella società con un
comportamento aggressivo, ma questo dipende dal loro senso di deprivazione relativa. Se un
individuo o un gruppo si sente ingiustamente svantaggiato rispetto ad altri individui o gruppi, e non
crede di poter riuscire a migliorare la propria posizione di svantaggio tramite mezzi legittimi, può
adottare un comportamento aggressivo.
Influenze culturali
Risulta più semplice studiare l’effetto della cultura sull’aggressività entro una particolare società
anziché tra le diverse società (perché dipende dai punti di vista).
La cultura dell’onore è un insieme generale di norme e di valori associati a un maggiore livello di
aggressività in alcune regioni, ma vi sono anche specifici gruppi minoritari all’interno di una cultura
dominante che manifestano livelli elevati di aggressività e violenza, per esempio le gang violente
che esistono in certe aree urbane.
Questi gruppi vivono in base a valori e norme diversi da quelli della maggior parte delle società, i
quali premiano l’aggressività e la violenza e stigmatizzano la non adesione a questa norma del
gruppo ispirata alla violenza. L’aggressività è diretta sia contro i membri outgroup che i membri
ingroup.
DISINIBIZIONE
La disinibizione è un indebolimento degli obblighi normativi che solitamente portano a evitare un
comportamento aggressivo
Deindividuazione
Quando un individuo si trova in mezzo alla folla o agisce in quanto membro di un gruppo sociale,
tede a non considerarsi tanto un soggetto idiosincratico, quanto un membro del gruppo
relativamente anonimo. Questo processo di deindividuazione porta a considerarsi meno
identificabili e meno responsabili del normale per il proprio comportamento.
In base alla teoria della norma emergente, le persone si comportano in modo aggressivo quando si
trovano in gruppo non perché ignorano la norma sociale della non violenza, ma perché aderiscono
a una diversa norma di gruppo dell’aggressività, che può manifestarsi in circostanze particolari.
Secondo la teoria dell’identità sociale, le norme del gruppo forniscono una guida inoppugnabile per
gli atteggiamenti e il comportamento degli individui quando la loro identità in quanto membri del
gruppo è saliente. Quando alcuni membri di un gruppo iniziano a manifestare aggressività, altri
membri tendono ad aderire a tale comportamento, se lo percepiscono come normativo.
FORME DI AGGRESSIVITA’ NELLA SOCIETA’
Violenza domestica
Il termine violenza domestica indica un atto di violenza verbale o fisica nei confronti di qualsiasi
membro della famiglia. Nelle relazioni eterosessuali le donne tendono leggermente più degli
uomini a esercitare violenza fisica nei confronti del partner. Gli atti di violenza domestica connessi
dagli uomini tendono a essere più macroscopici, perché possono più facilmente causare ferite
gravi o anche la morte.
La vicinanza fisica dei membri di una famiglia accresce le probabilità per qualcuno di diventare il
bersaglio sul quale vengono scaricati stress e frustrazione.
Le persone che sono già state a loro volta vittime di violenza domestica tendono a diventare più
aggressive verso i membri della famiglia.
Molestie sessuali
Le molestie sessuali sono una forma di discriminazione sessuale. Nelle disposizioni comunitarie si
intende per molestie sessuali “ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o
qualsiasi altro comportamento basato sul sesso che offenda la dignità delle donne e degli uomini
nel mondo del lavoro, ivi inclusi atteggiamenti male accetti di tipo fisico, verbale o non verbale.”
(esempio pag 324)
Violenza sessuale
Uno dei fattori che può incentivare la violenza sessuale è la disponibilità di materiale pornografico:
riviste, film e sti Web che mostrano scene e immagini di natura sessuale. L’esposizione alla
pornografi può aumentare la tolleranza nei confronti della violenza sessuale. (esempio pag 325)
Terrorismo
Moghaddam propose in un famoso articolo la sua scala per il terrorismo, un modello psicologico
che può contribuire a far capre come e perché certi individui arrivino a commettere simili atrocità.
Utilizzò la metafora di una scala sempre più stretta, che conduce all’atto terroristico sul tetto di un
edificio. I potenziali terroristi attraversano numerose fasi, procedono di piano in piano verso il tetto
che rappresenta lo stadio finale e che precede un atto di terrorismo. A ogni piano il numero di
opzioni che si presentano all’individuo si riduce, fino a che non resta alcuna opzione, se non la
distruzione degli altri.
0. Piano terra-percezioni di deprivazione relativa: credono nell’importanza dell’onestà e del
trattamento equo, ma hanno la sensazione di non ricevere ciò che spetterebbe loro di
diritto. Sebbene la povertà e la mancanza di istruzione possano essere fattori rilevanti, qui il
livello di deprivazione relativa è più importante di quello assoluto. I terroristi spesso non
sono soggetti poverissimi, che però percepiscono l’esistenza di ingiustizie riguardo alla
posizione nella società del proprio gruppo di appartenenza rispetto ad altri gruppi.
1. Primo piano-percezioni di giustizia procedurale: una piccola parte degli individui al piano
terra salirà al primo piano, in cerca di soluzioni per le ingiustizie percepite. Se essi
istituiscono che lì ci sono delle opportunità che consentono loro di uscire dal proprio gruppo
sociale deprivato per accedere a una posizione migliore, difficilmente proseguiranno di
giustizia procedurale, ossia quanto giusto viene ritenuto il governo, e quale opportunità
hanno gli individui di prendere arte al processo decisionale o di esprimere la propria
insoddisfazione
2. Secondo piano-spostamento dell’aggressività: quando gli individui non possono esprimere
pubblicamente la propria insoddisfazione, salgono al secondo piano, e mostrano la propria
aggressività, incolpando biasimando altri gruppi dei propri problemi
3. Terzo piano-adozione di un codice morale alternativo: al terzo piano, gli individui vengono
reclutati dalle organizzazioni di terroristi. Mentre la società dominante li considera immorali,
all’interno di queste organizzazioni viene adottata una versione alternativa di moralità. Qui
è il nemico a essere considerato immorale. Questo è in accordo con la teoria della norma
emergente vista più sopra: l’idea che le persone si comportino in modo aggressivo perché
aderiscono a uno nuova serie di norme sociali aggressive che emergono dalla formazione
di un nuovo gruppo, non perché ignorano le norme sociali egualitarie
4. Quarto piano-pensiero categorico e legittimità percepita: le nuove reclute delle
organizzazioni terroristiche entrano a fare parte di piccole cellule. Viene insegnato loro a
pensare in maniera categorica e a evidenziare la differenza tra noi e loro, cosa che aiuta a
legittimare gli obbiettivi del terrorista. A questo punto ci sono poche opportunità di sottrarsi
all’azione. Il leader della cellula è spesso una figura forte e autoritaria, la quale non
ammette disubbedienza o slealtà.
5. Quinto piano-l ’atto terroristico: sono attivi due processi, i quali portano infine l’individuo a
fare del male o a uccidere civili innocenti. Primo, i civili sono categorizzati come facenti
parte dell’outgroup; Secondo, la distanza psicologica tra ingroup e outgroup viene
esagerata. Considerando i civili come facenti parte di un gruppo nemico, il futuro terrorista
elude i normali meccanismi inibitori che impediscono alle persone di fare del male agli altri.
Poiché le vittime di norma non sono consapevoli del pericolo imminente, non hanno la
possibilità di comportarsi in modi che potrebbero far scattare i meccanismi inibitori, come
implorare, piangere e cercare il contatto visivo con il perpetratore
COMPORTAMENTO PROSOCIALE
COS’E’
La maggior parte delle ricerche sul comportamento prosociale si riferisce a due tipi specifici di tale
comportamento: il comportamento di aiuto e l’altruismo. La definizione comportamento di aiuto si
riferisce ad atti in cui le persone si comportano volontariamente e intenzionalmente in modi che
ritengono a beneficio altrui, anche se tale comportamento porta allo stesso tempo vantaggio anche
a loro.
L’altruismo è una forma più specifica di comportamento di aiuto, riferito a un atto di comportamento
prosociale che avvantaggia gli altri, senza comportare vantaggi personali per chi lo attua.
ORIGINI DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE
3 teorie principali che tentano di spiegare perché si aiutano gli altri. Secondo alcuni psicologi gli
esseri umani hanno una predisposizione innata ad aiutare gli altri, una tendenza che fa parte delle
caratteristiche evolutive. Le altre due spiegazioni si basano su teorie psicosociali. Alcuni autori
sostengono che essendo esseri sociali siam predisposti ad aiutare gli altri e che il nostro
comportamento di aiuto è collegato a convinzioni interiorizzate riguardo alle norme sociali della
società in cui viviamo. La terza spiegazione afferma che, assistendo al comportamento di aiuto
delle persone che ci circondano, siamo portati a imitare o a modellarci su tali comportamenti
Prospettiva evoluzionistica
Secondo la prospettiva evoluzionistica siamo biologicamente predisposti ad aiutare gli altri.
Secondo la sociobiologia, mettiamo in atto un comportamento di aiuto per assicurare la
sopravvivenza dei nostri geni. Quando aiutiamo i nostri consanguinei aumentiamo le loro
probabilità di sopravvivenza. Di conseguenza, qualcuno ha sostenuto che i geni responsabili del
comportamento prosociale potrebbero essere autoselezionati in quanto, nel lungo periodo, essi
aumentano la probabilità di sopravvivenza della specie.
Critiche: non aiutiamo solo i nostri familiari e aiutare altre persone non spiega il mantenimento dei
nostri geni. Gli psicologi sociali sostengono che, nonostante l’esistenza di prove aneddotiche, in
effetti non vi sono studi empirici. Poi questo approccio non riesce a spiegare perché le persone
sono solidali in alcune circostanze e non lo sono in altre. La teoria evoluzionistica si limiterebbe a
prevedere che aiuteremmo i nostri consanguinei in qualsiasi situazioni (non del tutto vero, vedi
violenza sui figli)
Norme sociali
Le norme sociali sono un riflesso di ciò che viene considerati normale e accettabile in una
determinata società. Sono atteggiamenti condivisi che hanno un influsso potente sul nostro modo
di comportarci. Sebbene esistano delle differenze nelle norme sociali dei vari gruppi, la norma che
impone di aiutare gli altri è universale. 3 credenze normative contribuiscono a spiegare tale
tendenza alla solidarietà: la reciprocità, la responsabilità sociale e la giustizia sociale.
Secondo il principio di reciprocità, dovremmo restituire il favore quando riceviamo un aiuto da
qualcuno. Non si tratta di un aiuto automatico: si tende più facilmente ad aiutare qualcuno se
questi aveva già fatto in precedenza un grande e inaspettato sacrificio per noi.
Per la norma della responsabilità sociale, dovremmo aiutare chi è in difficoltà indipendentemente
dal fatto che abbiamo ricevuto un aiuto da questa persona o che potrebbe aiutarci in futuro.
La decisione se sia il caso di prestare aiuto viene influenzata dall’idea che la persona sia stata
artefice della propria sfortuna.
L’ipotesi del mondo giusto è la convinzione che il mondo sia un luogo giusto ed equo, dove le
persone hanno ciò che si meritano. Quando ci troviamo di fronte a una persona che ci sembra
soffrire ingiustamente, la nostra credenza nel mondo giusto risulta indebolita. Per ristabilire la
nostra fiducia nel mondo giusto, tendiamo a prestare aiuto a chi ne ha bisogno, ma solo se
pensiamo che il problema non sia dovuto a una sua responsabilità.
Modellamento
La seconda ragione della tendenza a mettere in atto un comportamento altruistico è che abbiamo
imparato a farlo osservando il comportamento degli altri, un processo detto modellamento o
apprendimento per osservazione.
Sulla base della teoria dell’apprendimento sociale di Bandura, l’osservazione del comportamento
altruistico in altre persone dovrebbe favorire anche la nostra tendenza al comportamento solidale,
perché ci fa vedere che tale comportamento è efficace e aumenta in noi la percezione
dell’autoefficacia, ossia la convinzione di essere in grado di fare del bene ad altre persone.
Bandura notava che il modellamento produce un comportamento altruistico solo se consegue
risultati positivi.
DETERMINANTI DEL COMPORTAMENTO DI AIUTO CENTRATE SULLA SITUAZIONE
Intervento dello spettatore= aiuto prestato dalle persone in caso di emergenza
Il modello cognitivo di Latanè e Darley
Si passano delle fasi prima di decidere se intervenire in caso di emergenza
1. Essere presente all’incidente: l’astante deve fisicamente notare che sta avvenendo un
incidente
2. Definire l’incidente: l’astante deve comprendere che si tratta di un emergenza. Se la
situazione non è chiara, molto probabilmente tenderemo a interpretarla come un normale
evento quotidiano e non come un caso di emergenza. Se attorno a noi vediamo altre
persone coinvolte, anche noi tenderemo più facilmente a definire quella situazione come
un’emergenza
3. Assumersi la responsabilità: l’astante potrebbe decidere che gli spetta intervenire in caso di
emergenza, ma questo dipende dall’eventuale presenza di altre persone che potrebbero
affrontare il problema al suo posto. Se nei paraggi vi è un rappresentante dell’autorità,
l’astante potrebbe decidere che questi saprà affrontare meglio di lui la situazione nel modo
adeguato e autoassolversi
4. Decidere cosa fare: In questa fase, il comportamento degli altri può avere un influsso
notevole sul comportamento dello spettatore. Se l’astante ha attraversato queste quattro
fasi, prenderà a questo punto la decisione definitiva, ossia se intervenire oppure no.
L’apatia dello spettatore
In caso di emergenza le persone tendono ad aiutare di meno in presenza di altre persone e di più
quando sono da sole, un fenomeno detto effetto di apatia dello spettatore.
Processi alla base dell’effetto dello spettatore
Latanè e Darley avanzano due spiegazioni fondamentali per la mancanza del comportamento di
aiuto: la diffusione di responsabilità e l’inibizione da pubblico.
Diffusione di responsabilità la presenza di altre persone nel corso di un’emergenza porterà gli
astanti a trasferire sugli altri la propria responsabilità di aiuto
Inibizione da pubblico spesso le persone si sentono a disagio all’idea di agire di fronte agli altri,
soprattutto in una situazione di emergenza, in cui non ci sono indicazioni chiare sul
comportamento da tenere.
(esempio pag 349)
Il modello della stima dei costi-benefici da parte dello spettatore di Piliavin
Secondo il modello del calcolo dello spettatore della stima dei costi-benefici da parte dello
spettatore, gli spettatori attraversano tre fasi distinte quando osservano una situazione di
emergenza. Prima di tutto provano un’attivazione fisiologica. Quindi cercano di capire la causa di
tale attivazione ed etichettano questa reazione emotiva. Infine calcolano i costi dell’intervento e i
costi dell’inazione, e prendono una decisione riguardo al comportamento da tenere.
Attivazione fisiologica
Secondo Pillavin quando osserviamo una situazione di emergenza abbiamo dapprima una
reazione di orientamento, in cui la risposta fisiologica non è tanto di attivazione quanto di
rallentamento. Questo permette di valutare la situazione e decidere come procedere senza farsi
prendere dal panico. Segue immediatamente una reazione di difesa, una rapido aumento della
risposta fisiologica, che prepara all’azione.
Etichettare l’attivazione
In caso di emergenza, il modello di calcolo dello spettatore afferma che tale attivazione viene
attribuita al malessere personale nel vedere qualcuno che soffre, e dunque uno dei motivi principali
per cui si interviene in aiuto degli altri è la necessità di attenuare questo spiacevole stato di
attivazione. Quando aiutiamo qualcuno, lo facciamo perché è utile prima di tutto a noi, dato che ci
libera da una reazione emotiva negativa. Baston ha ipotizzato che, nella misura in cui ci riteniamo
simili alla persona in difficoltà e riusciamo a identificarci con essa, proviamo un senso di empatica.
La stima dei costi
Secondo Piliavin, gli astanti cercando di elaborare l’azione che meglio sarà in grado di attenuare il
proprio stato di malessere soppesando i costi delle varie operazioni possibili. Per fare questo,
devono considerare due tipi di costo: i costi dell’aiuto e i costi del non aiuto. Aiutare significa
impegnare tempo e fatica nell’affrontare la situazione. Più sono alti questi costi, meno è probabile
l’intervento dello spettatore. Non aiutare può comportare dei costi personali, ad esempio può
subentrare il senso di colpa.
Il costo del non aiuto è maggiore quando il costo dell’aiuto è basso e la probabilità di un risultato
negativo in caso di non intervento è alta. Secondo Piliavin l’effetto di apatia dello spettatore si
verifica perché la presenza di altre persone riduce il costo del non aiuto.
Quando il costo dell’aiuto è basso e quello del non aiuto lo è altrettanto, la reazione dello
spettatore sarà probabilmente guidata dalle norme personali.
L’astante potrebbe decidere che la vittima si merita ciò che gli sta accadendo.
L’obiettivo principale del modello cognitivo e del modello di calcolo dello spettatore era quello di
spiegare i fattori situazionali che influenzano il comportamento di aiuto.
DETERMINANTI DEL COMPORTAMENTO DI AIUTO CENTRATE SU CHI PERCEPISCE
Personalità
Eisenberg ha scoperto che il comportamento prosociale spontaneo nei bambini di scuola materna
è predittivo della loro disponibilità all’aiuto negli anni successivi, fino alla prima età adulta. Rushton
ha ipotizzato che possa esistere una base genetica per queste differenze, e scoprì che in genere i
gemelli identici sono più simili anche nella tendenza all’altruismo rispetto ai gemelli fraterni.
Abbiamo visto come il comportamento di aiuto sia in parte dettato dalla norma di responsabilità
sociale. Sebbene tutti ne siamo influenzati in qualche modo, diversa la misura in cui le persone si
sentono socialmente responsabili. Berkowitz e Daniels scoprirono che le persone altruiste erano
più socialmente responsabili rispetto ai non altruisti: questo perché chi si sente socialmente
responsabile tende maggiormente a sentirsi in obbligo di intervenire in situazioni di emergenza,
anche se preferirebbe non farlo.
Il locus di controllo di un individuo riflette la modalità in cui egli ritiene che si svolgano gli eventi
della sua vita. Gli individui con un locus di controllo interno hanno la sensazione di poter esercitare
un controllo personale sugli eventi, diversamente dalle persone con un locus di controllo esterno,
le quali tendono a ritenersi vittime delle circostanze. I primi tendono più facilmente a prestare aiuto.
Chi ha una maggiore empatia disposizionale, ossia ha una maggiore tendenza a provare empatia
e ad assumere la prospettiva della persona in caso di bisogno, tende più di altri a prestare aiuto.
Competenza
Chi è stato addestrato ad affrontare le emergenze tende più facilmente ad aiutare chi è in difficoltà.
In base ad alcune prove, anche solo la percezione della competenza è sufficiente a indurre un
comportamento di aiuto. Schwartz e David scoprirono che dicendo a un partecipante che era bravo
a manipolare i ratti da laboratorio, aumentava la probabilità che i seguito collaborasse nella cattura
di un ratto.
Umore
La condizione psicologica temporanea di un astante può avere una profonda influenza sul suo
comportamento di aiuto. In generale, il buonumore favorisce il comportamento altruista e
viceversa.
In base al modello dell’attivazione dell’emozione, quando siamo di buon umore, nella memoria le
informazioni congruenti con l’umore diventano più accessibili. Come conseguenza, vengono più
facilmente attivati pensieri e sensazioni positivi, compresa un tendenza positiva al comportamento
prosociale. In alternativa, secondo il modello dell’emozione come informazione, l’umore del
momento viene utilizzato come informazione per farci capire cosa proviamo nel nostro ambiente.
In base all’ipotesi della salvaguardia dell’immagine, chi si sente in colpa desidera riparare al danno
fatto.
Secondo il modello del sollievo dallo stato d’animo negativo, poiché il senso di colpa induce uno
stato affettivo negativo, le persone aiutano gli altri allo scopo di sentirsi nuovamente a posto con se
stesse (difatti, il comportamento altruistico migliora l’umore)
Empatia-altruismo
L’ipotesi empatia-altruismo spiega perché a volte si presta aiuto a scopi egoistici e altre a scopi
altruistici. Quando vediamo qualcuno che soffre, possiamo provare due tipi diversi di reazione
emotiva: disagio personale ed empatia. Il disagio personale è lo stato di attivazione negativo
incentrato su noi stessi che proviamo nel vedere la sofferenza di qualcuno.
In base a questo modello, quando le persone si sentono turbate osservando qualcuno che ha
bisogno di aiuto, definiscono ciò che provano (disagio personale). Batson sostiene invece, che si
possa provare preoccupazione empatica di fronte alla sofferenza dell’altro. Questo stato di
attivazione è orientato sula vittima e implica simpatia e compassione per la persona in difficoltà.
Maggiore è la preoccupazione empatica, più sarà altruistica la nostra relazione.
Differenze di genere nel comportamento di aiuto
Gli uomini hanno un comportamento prosociale più accentuato nelle situazioni inusuali e
pericolose, le donne tendono più facilmente a essere solidali in relazione alla loro quotidianità.
DETERMINANTI DEL COMPORTMENTO DI AIUTO CENTRATE SUL DESTINATARIO
4 fattori che possono determinare l’offerta di aiuto: la somiglianza del destinatario con chi aiuta, la
sua appartenenza o meno al suo stesso gruppo sociale, il suo grado di attrattiva, e e egli sia
ritenuto responsabile della propria sorte
Somiglianza
La somiglianza con noi in termini di attributi personali, o dovuta semplicemente al fatto di fare parte
dello stesso nostro gruppo può favorire la probabilità di intervenire in aiuto di una persona in
difficoltà
Appartenenza al gruppo
Sembriamo quindi essere più disposti ad aiutare i membri dell’ingroup e meno quelli dell’outgroup.
È stato dimostrato che, da soli, partecipanti banchi aiutavano allo stesso modo un soggetto bianco
o nero in difficoltà, in presenza di altri invece tendevano ad aiutare la donna bianca. I partecipanti
trattavano i membri dell’outgroup come i membri dell’ingrou quando non potevano attuare la
diffusione di responsabilità
Attraenza
È stato dimostrato che un soggetto attraente può aumentare l’offerta di aiuto altrui
Responsabilità della situazione negativa
Si tende più facilmente ad aiutare le persone che sono in difficoltà per cause esterne e meno
coloro che riteniamo responsabili della loro situazione negativa
RICEVERE AIUTO
In realtà non è per niente sicuro che il destinatario dell’aiuto risponderà sempre con sollievo e
gratitudine. Così come l’astante riflette su una varietà i pensieri ed emozioni mentre decide se
prestare aiuto o meno, il destinatario dell’aiuto ha a sua volta numerose razioni emotive mentre
riceve aiuto. Essere aiutato può determinare nel destinatario una sensazione di imbarazzo e
inferiorità, e provocare una reazione negativa. Questo accade soprattutto nelle società
individualiste. Le reazioni negative delle persone aiutate potrebbero trovare spiegazione nel
concetto di reciprocità e di equità. Preferiamo che le nostre relazioni con gli altri siano equilibrate,
ossia è necessario un pari contributo alla relazione da parte dei soggetti coinvolti. Se chi riceve
aiuto non può ricambiare può sentirsi molto a disagio.
Si deve a Nadler e Fisher il modello della minaccia all’autostima proposto per spiegare come mai
le persone reagiscono in modo diverso quando vengono aiutate.
Le caratteristiche del donatore, le caratteristiche del destinatario, le caratteristiche dell’aiuto, le
caratteristiche del contesto interagiscono l’una con l’altra per determinare se il destinatario
percepirà l’aiuto come una minaccia o un sostegno al proprio se. Se l’aiuto prestato comunica
interesse per il destinatario e produce benefici reali sarà visto come un sostegno per il se e
dovrebbe far si che il destinatario si senta a proprio agio ed esprima gratitudine al suo benefattore.
Se invece l’aiuto prestato implica un’inferiorità del destinatario e lede i valori di autonomia e
indipendenza, sarà considerato una minaccia all’autostima
AFFILIAZIONE E ATTRAZIONE
Affiliazione
Larson, Csikszentmihalyi e Graef hanno constatato come gli adolescenti passino circa il 75% del
loro tempo con altre persone e tale socievolezza sembra proficua: appaiono più felici. La
mancanza di affiliazione può invece avere un impatto negativo durevole. La mancanza di contatti
sociali e fisici condiziona negativamente la capacità del cervello e del sistema ormonale di
affrontare lo stress.
Secondo gli psicologi dell’evoluzione, la tendenza a cercare la compagnia di altre persone e a
stringere relazioni intime è una caratteristica ereditaria; si rivela essenziale per la sopravvivenza e
la riproduzione poiché assicura una rete di aiuti indispensabile nei momenti del bisogno.
Il nostro livello ideale di privacy (opposta alla socievolezza), secondo la teoria di regolazione della
privacy, oscilla nel corso del tempo ed è influenzato da due principi. In base al principio dialettico, il
nostro desiderio di privacy (opposto ad affiliazione) può subire dei cambiamenti: una condizione di
apertura nei confronti degli altri può trasformarsi e diventare, anche a poche ore di distanza, di
completa chiusura. Il nostro comportamento muta in base al principio di ottimizzazione, che ci
induce ad adeguare il nostro livello desiderato di contatto con gli altri al nostro reale livello di
contatto. Di conseguenza, se abbiamo pochi contatti, i sentiamo isolati, ma se ne abbiamo troppi,
ci sentiamo oppressi dagli altri. La sensazione di isolamento o di oppressione è del tutto soggettiva
e non costante e oscilla a seconda del livello desiderato di contatto.
Le differenze nel desiderio di affiliazione che si manifestano nel corso del tempo vengono spiegate
anche dal modello di affiliazione sociale. Secondo questo modello, il bisogno di affiliazione non
cambia in maniera rilevante, poiché il nostro comportamento obbedisce al principio dell’omeostasi,
ossia facciamo sì che il nostro livello di contatto con gli altri si mantenga stabile e il più possibile
vicino al livello desiderato.
Per illustrare le differenze individuali sono state formulate delle spiegazioni biologiche e culturali.
Le diversità nel desiderio d’affiliazione sembrano riflettersi nel sistema nervoso centrale. Gli studi
di imaging cerebrale attuati da Johnson mostrano come le persone introverse abbiano un livello di
eccitabilità più alta, ossia la stimolazione produce di solito in loro un’attivazione maggiore del
sistema nervoso centrale rispetto alle persone estroverse. È probabile che gli introversi evitino
l’interazione sociale per far si che l’eccitazione non raggiunga un livello troppo alto. Gli estroversi
devono cercare le situazioni di socialità per raggiungere il livello desiderato di attivazione. Nelle
culture individualiste le persone sviluppano relazioni sociali in numerosi e svariati contesti, ma
questi rapporti tendono a essere piuttosto superficiali. Nelle culture collettiviste, le persone
sviluppano relativamente poche relazioni, che risultano profonde e durature. Nelle culture
individualiste le persone possono stringere amicizie per fini egoistici, mentre in quelle collettiviste
l’amicizia tende a essere maggiormente caratterizzata da altruismo e impegno.
Problemi nell’affiliazione
Due problemi che possono emergere nelle interazioni interpersonali:
1. L’ansia sociale, un’emozione negativa in grado di indurre a sua volta comportamenti
negativi e reazioni di rifiuto da parte di altre persone e il conseguente evitamento delle
situazioni sociali
2. La solitudine come esito dell’incapacità di stabilire delle relazioni che siano soddisfacenti
Ansia sociale
L’ansia sociale è un’emozione negativa che si prova quando siamo preoccupati per una
valutazione interpersonale (il soggetto parla meno, balbetta, non riesce a dire molto di se). In certi
casi può arrivare ad evitare del tutto le interazioni sociali. La maggior parte delle persone prova
ansia sociale solo in certi momenti, alcuni soffrono di ansia sociale cronica, che assume le
caratteristiche della fobia sociale.
L’ansia sociale può essere compresa richiamandosi alla teoria bi-fattoriale dell’emozione di
Schachter secondo la quale l’esperienza emotiva è fondata su due fattori, l’attivazione fisiologica e
la ricerca di indizi ambientali in grado di motivare l’attivazione. Se siamo ansiosi, potremmo
attribuire l’ansia al comportamento di persone che, secondo noi, non ci stimano molto
(esempio pag 378)
Solitudine
Maxwell e Coebergh rilevarono che i 4 più forti predittivi della solitudine erano il livello di intimità
con la persona più cara della propria vita, il numero di amici intimi, il livello di soddisfazione nelle
relazioni e la presenza di contatti quotidiani con altre persone.
Berscheid e Reis identificarono tre fattori principali connessi alla solitudine.
1. Alcune caratteristiche di personalità presenti nelle persone sole, ad esempio la timidezza,
la depressione, l’introversione, la consapevolezza di se e una bassa autostima
2. Il ruolo delle circostanze sociali: le persone sole (indipendentemente dal genere) passano
meno tempo con le donne e hanno minore intimità e apertura agli altri
3. Le tendenze socio-cognitive delle persone sole, ad esempio giudicare gli altri con severità
Ostracismo
L’esperienza di essere esclusi o ignorati da un altro individuo o gruppo prende il nome di
ostracismo. Williams ha messo in luce come l’ostracismo minacci quattro bisogni umani
fondamentali: apparenza, controllo, autostima ed esistenza significativa. Rappresenta una
minaccia per l’apparenza in quanto recide le connessioni con gli altri all’interno delle situazioni
sociali, distanziandoli dal resto del gruppo. Minaccia il senso di controllo perché gli individui
ostracizzati saranno tagliati fuori dalla situazione sociale. L’autostima ne risente in quanto essere
ignorati porta alla convinzione di non piacere e non contare niente per gli altri, che a sua volta
causa un senso di vergogna personale.
Secondo Eisenberg, Lieberman e Williams alcuni fattori biologici innati potrebbero contribuire a
spiegare gli effetti profondi dell’ostracismo. Scoprirono, uno Cyberball, che l’ostracismo
determinava l’attivazione del stesse aree del cervello coinvolte quando un individuo viene ferito
fisicamente. L’evoluzione ci ha portati a considerare l’ostracismo sociale una minaccia fisica al
nostro corpo analoga al dolore fisico. Ciò può essere dovuto al fatto che, nel corso del tempo,
abbiamo ripetutamente constatato che il gruppo è più forte rispetto all’individuo. Il nostro bisogno di
affiliazione sociale può essere diventato tanto importante per noi da diventare innato.
ATTRAZIONE INTERPERSONALE
Di interessa particolare per gli psicologi sociali sono i perché e i quando ci avviciniamo ad altri
individuo e perché li evitiamo. Le determinanti possono essere divise in quelle centrate sulla
persona bersaglio e quelle centrate su chi percepisce
Determinanti dell’attrazione centrate sulla persona bersaglio
Sono stati identificati 4 fattori critici: l’aspetto fisico, la somiglianza percepita, la complementarità e
la reciprocità.
Aspetto fisico
L’attrazione verso i soggetti varia da cultura a cultura. Tendenzialmente si ha una preferenza verso
donne con vita stretta (non incinta=sessualmente disponibili), simmetria del viso.
Conseguenze dell’attrattività fisica
L’attrattività è associata ad altre caratteristiche positive e coloro che sono considerati fisicamente
attraenti sono in genere i favoriti.
La convinzione che gli individui considerati fisicamente attraenti abbiano delle personalità migliori e
vivano una vita più felice si è trasmessa nel corso del tempo e sembra essere radicata sia nelle
culture individualiste che in quelle collettiviste.
Somiglianza con se stessi
La ricerca psicosociale mostra che siamo in genere attratti da persone simili a noi.
Caratteristiche complementari
La preferenza per le persone che ci somigliano può dirsi accertata, ma vi sono prove che siamo
attratti anche da quelle con caratteristiche complementari alle nostre. Troviamo attraenti le persone
che possiedono una caratteristica che per noi è importante, ma non possediamo.
Secondo la prospettiva evoluzionistica, l’attrazione è associata alla massimizzazione delle
probabilità di generare prole e perciò di trasmettere i propri geni alla generazione successiva. Gli
uomini sono predisposti a preferire le donne giovani perché è più probabile che possano avere
figli, mentre le donne sono più inclini a preferire gli uomini adulti e con uno status elevato perché
sono in grado di proteggerle e di assicurare loro le risorse per aiutare loro stesse e la prole.
Questa opinione è stata criticata poiché potrebbe essere considerata una giustificazione della
diversa condizione degli uomini e delle donne nella società. La prospettiva socio-culturale
alternative propone che, poiché gli uomini storicamente hanno avuto più potere delle donne nella
società, gli uomini considerano le donne come oggetto di scambio e la qualità o la bellezza
dell’oggetto è di primaria importanza, mentre le donne, a causa della propria mancanza storica di
potere e dell’impossibilità di migliorare la loro condizione basandosi sulle competenze possedute,
nel corso della storia sono state costrette a trovare un uomo che fosse socialmente dominante.
Queste due spiegazioni non si escludono reciprocamente
Reciprocità
Il fatto che le nostre attenzioni siano contraccambiate oppure no sembra avere un impatto sul
nostro livello di attrazione. Secondo il principio di reciprocità, tendono a piacerci quelli a cui
piacciamo e a non piacerci quelli a cui non piacciamo.
Il ruolo della reciprocità nell’attrazione può essere spiegato dalla teoria dell’equilibrio. Secondo
questa teoria a noi piacciono le persone che ritengono importanti le stesse cose che sono
importanti per noi.
Determinanti centrate su chi percepisce
Familiarità
Secondo l’ipotesi della mera esposizione di Zajonc, l’attrazione aumenta se siamo esposti
ripetutamente a qualcuno o a qualcosa, anche se non abbiamo alcuna informazione su quella
persona o quell’oggetto.
Ansia
L’ansia e lo stress, come è stato dimostrato, accrescono l’affiliazione con gli altri individui. Parliamo
di ansia generale e non dell’ansia sociale, alla quale abbiamo già fatto riferimento, che induce
invece a evitare l’affiliazione
Attrazione in internet
Due aspetti del se sono importanti nell’incontro online. Il se vero si riferisce alle caratteristiche che
gli individui possiedono, ma trovano difficile esprimere apertamente quando interagiscono con gli
altri. Il se reale designa le caratteristiche che le persone possiedono e che riescono a esprimere
agli altri in ambiti sociali. Il se vero è più accessibile alla memoria dopo aver interagito con un
estraneo online rispetto a quando si ha una conversazione faccia a faccia, a dimostrazione del
fatto che le persone riescono a rivelare il se vero più online che di fronte a una persona reale.
Le persone socialmente ansiose e sole erano più convinte di riuscire a esprimere meglio il loro se
vero online e non offline.
3 temi della presentazione di se online: la costruzione di un profilo attraente on line, la
presentazione artificiosa di se e la valutazione dei profili dei partner potenziali.
Nella creazione di un profilo attraente, l’attrazione fisica emerge come il fattore più importante.
AMICIZIA E AMORE
AMICIZIA
Teoria della penetrazione sociale
La teoria della penetrazione sociale spiega come e perché si sviluppa un’amicizia, concentrandosi
sul ruolo cruciale dell’apertura di se, ossia il confidare i propri sentimenti intimi a un’altra persona.
Nelle fasi iniziali di una relazione, le persone in genere si scambiano informazioni superficiali e, se
questo tipo di interazione è soddisfacente, possono poi cominciare a rivelarsi una quantità
crescente di informazioni più riservate. Laurenceau scopre che nelle fasi iniziali di un’amicizia,
all’aumentare progressivo del livello di rivelazione di se corrisponde una crescita parallela del
livello di intimità della relazione. Lo sviluppo di un’amicizia segue la norma della rivelazione di se
reciproca: gli individui raggiungono uno stesso livello di rivelazione solo se si confidano
reciprocamente informazioni sempre più intime. Una volta che la relazione ha raggiunto un grado
elevato di intimità, il livello di rivelazione di se si stabilizza e alla rivelazione si sostituisce uno
scambio di aiuto e comprensione.
Berg scopre che tra alcuni amici o partner che si frequentano può “scattare la scintilla”, saltando il
processo di apertura progressiva di se. Nelle culture individualistiche si tende a rivelare molto di se
in più contesti rispetto alle culture collettiviste.
Differenze di genere nell’amicizia
Le determinanti rilevanti nello sviluppo delle relazione interpersonali sono i tempi, la quantità e il
livello di rivelazione di se. Sebbene gli uomini e le donne abbiano entrambi relazioni intime,
l’amicizia tra persone dello stesso sesso è notevolmente diversa in rapporto a due importanti
caratteristiche: l’intimità emotiva della relazione e il livello di contatto fisico
Intimità
L’amicizia tra donne tende a essere più intima ed emotivamente coinvolgente di quella tra uomini.
Wright ha affermato che mentre gli uomini hanno amicizia cameratesche con colleghi di lavoro, le
donne privilegiano il confronto e tendono a condividere gli stessi interessi. Duck e Wright
scoprirono che, sebbene le donne siano emotivamente più comunicative, anche gli uomini si
incontrano con gli amici dello stesso sesso per chiacchiere. E le donne tendono a incontrarsi per
fare attività assieme. Le donne parlano di più di se rispetto agli uomini.
Contatto fisico
Gli uomini hanno meno contatti fisici con gli amici dello stesso sesso rispetto alle donne.
Differenze di genere
Gli scienziati sociali hanno sostenuto che il comportamento maschile obbedisce alle norme della
società sulla mascolinità eterosessuale, secondo la quale sono tenute in notevole considerazione
caratteristiche prettamente maschili come il potere e il controllo, mentre quelle femminili come
l’affettuosità e la vulnerabilità sono considerate prive di valore.
RELAZIONI SENTIMENTALI
Gli psicologi in genere sostengono che l’amore sia qualitativamente diverso dal piacersi, Lamm e
Wiesmann, hanno descritto il piacersi come desiderio di interagire con un’altra persona, mentre
l’amore implica anche fiducia nell’altra persona ed eccitazione da parte dell’altra persona.
Tipi di amore
Lee ha creato una tipologia dell’amore destinata a comprendere i diversi modi in cui l’amore si
manifesta. Vi sono 3 tipi primari di amore: eros (amore appassionato), ludus (amore giocoso) e
storge (amore basato sull’amicizia). Questi tipi di amore si possono combinare per costituire tre tipi
secondari di amore: pragma (amore pragmatico), risultato della combinazione di amicizia e gioco,
mania (amore possessivo), risultato della combinazione di amore possessivo e gioco, e agape
(amore disinteressato), risultato della combinazione di passione e amicizia. Lee sosteneva che il
tipo di amore provato da un individuo non fosse influenzato da differenze individuali e che
qualunque persona potesse provare qualunque tipo di amore. Anche secondo la teoria triangolare
dell’amore di Sternberg l’amore può essere classificato in molte maniere diverse a seconda
dell’intensità di passione, intimità e impegno. È provata l’esistenza di almeno due tipi distinti di
amore: amore passionale e amore affettuoso.
Amore passionale
L’amore passionale è una condizione di desiderio intenso di un’altra persona vissuto nelle fasi
iniziali di una relazione sentimentale. È caratterizzato da emozioni molto forti, pensiero costante
rivolto alla persona amata e desiderio di passare più tempo possibile con tale persona.
I neuropsicologi hanno scoperto che l’esperienza soggettiva dell’amore appassionato è associato a
mutamenti nella chimica del cervello, soprattutto all’aumento della dopamina. Gli innamorati
mostrano un’attività più intensa nella zona del nucleo caudato, area posta vicino al centro del
cervello, quando vengono mostrate loro delle foto dei partner, ma non quando vengono mostrate
loro delle foto degli amici. Questa parte primitiva del cervello presiede ai movimenti fisici ed è
associata anche a gratificazione e piacere.
Hatfield e Walsyer hanno sostenuto che l’amore passionale si sviluppa in presenza di 3 fattori.
1. È necessario che un individuo conosca il concetto d’amore e si aspetti di innamorarsi prima
o poi. Tale concetto è presente nelle culture occidentali, ma è considerato meno importante
in alcune culture orientali
2. È necessario incontrare qualcuno che possieda le caratteristiche che consideriamo tipiche
del partner ideale
3. Quando pensiamo a questo partner o siamo con lui, dobbiamo provare una condizione di
eccitazione fisiologica che possiamo attribuire alla persona amata.
Per spiegare la ragione a causa della quale l’eccitazione fisiologica possa indurci a pensare di
essere innamorati, Hatfield e Walster elaborano una teoria trifattoriale dell’amore ispirandosi alla
teoria bifattoriale delle emozioni di Schachter e Signer. Secondo queste teoria sono necessarie tre
condizioni per innamorarsi:
1. Incontrare un potenziale partner adatto
2. Attribuire l’eccitazione fisiologica alla presenza del potenziale partner
3. Comprendere e accettare il concetto di amore
Tale teoria amplia la teoria di Schachter e Singer ponendo l’accento sul ruolo dell’eccitazione
nell’amore romantico e sottolineando il bisogno di possedere il concetto di amore.
Secondo Schachter e Singer, quando a causa di certi eventi avvertiamo un’eccitazione fisiologica
interna, cerchiamo degli indizi ambientali per determinare la ragione. Se l’eccitazione si manifesta
nel corso di un’interazione con un membro attraente del sesso giusto, può essere interpretata
come attrazione romantica e sessuale. Anche l’eccitazione per un’altra causa potrebbe essere
erroneamente considerata attrazione romantica se si è in presenza di una persona attraente.
Zillman ha definito trasferimento dell’eccitazione il processo psicologico in base al quale
l’eccitazione causata da uno stimolo viene trasferita e viene attribuita a uno stimolo diverso.
Amore affettuoso
Le fasi iniziali di una relazione sentimentale sono definite dall’amore passionale, caratterizzato da
incertezza, sussulti, eccitazione e da una tendenza a considerare il partner come perfetto, che
però è una fase breve. Se una relazione supera tale fase, ad essa si sostituisce un amore meno
passionale, ma più duraturo, definito da Hatfield amore affettuoso, che consiste nell’affetto che
sentiamo per qualcuno al quale siamo profondamente legati e che può esistere tra amici come tra
partner.
Nelle fasi iniziali di una relazione predomina il sistema dell’accoppiamento sessuale, il cui fine è la
riproduzione sessuale e la trasmissione dei geni alla generazione successiva. Nelle fasi
successive di una relazione diventa invece più importante il sistema di attaccamento, il cui fine è
consolidare e mantenere un legame emotivo forte tra due persone.
Sviluppo delle conoscenze culturali sull’amore
Simon, Eder e Evans condussero delle interviste ad adolescenti americane da 11 a 14 anni, per
studiare le norme sociali prevalenti relative all’amore romantico. Emerse che l’amore romantico
diventava un tema di conversazione frequente dopo i 13 anni. 4 norme chiave:
1. Amore e non solo. Moderazione in amore: tra le ragazze era diffusa l’idea che, sebbene i
ragazzi fossero importanti, anche altre cose lo erano
2. Farsi da parte su un ragazzo è già impegnato. Soppressione di sentimenti verso gli altri
3. Monogamia. Non era considerato ammissibile provare un sentimento d’amore per più di
una persona alla volta
4. Amori successivi. Dopo la prima relazione ce ne sarebbero state altre. Sembrava quasi che
non fosse importante il soggetto d’amore, ma l’innamorarsi
SODDISFAZIONE E IMPEGNO NELLA RELAZIONE
Soddisfazione nella relazione
Tra i fattori principali che influenzano la soddisfazione in una relazione vi è il contributo paritario
assicurato da entrambi i partner, il livello di intimità della relazione, rivelare tutto o avere dei
segreti, il modo in cui viene interpretato il comportamento reciproco, i risultati del confronto sociale,
quanto le reti sociali dei due partner coincidano e lo stile di attaccamento.
Scambio sociale ed equità
Secondo la teoria dello scambio sociale, in una certa misura le persone tendono a monitorare i
beni che si scambiano e valutano se ciò che ricevono è bilanciato da quanto danno. Le persone
intrattengono una relazione se risulta per loro gratificante e se la gratificazione supera i costi della
relazione.
Se non sono presenti alternative con maggiori gratificazioni, la relazione sarà portata avanti:
questa è la ragione per cui talvolta si continua a tenere in vita una relazione distruttiva.
La teoria dell’equità è fondata sulla teoria dello scambio sociale, ma riguarda in particolare le
aspettative individuali riguardo allo scambio nelle relazioni intime e le reazioni individuali in
rapporto all’equità e non equità in quegli scambi. Secondo questa teoria, le persone con una
relazione intima si aspettano un contributo paritario non solo in termini di amore, ma sostegno
emotivo, economico e nelle mansioni domestiche.
Buunk e VanYperen hanno scoperto che coloro che percepivano una condizione di equità erano i
più soddisfatti della relazione, ed erano seguiti d chi si considerava avvantaggiato.
Prins, Buunk e VanYperen hanno mostrato che le donne in una relazione non equa avevano un
maggiore desiderio di intrattenere una relazione extraconiugale.
Cate, Lloyd e Long hanno scoperto che la combinazione di amore, informazioni e soddisfazione
sessuale consentirebbero di prevedere la soddisfazione molto più dell’equità.
Intimità
Secondo Reis e Patrick le relazioni intime sono quelle caratterizzate da interessamento e
comprensione e che implicano conferme. L’interessamento ci dimostra che il nostro partner ci ama
e si interessa a noi. Comprensione in una relazione significa avvertire che il partner ha una
percezione precisa di come vediamo noi stessi. Swann, De la Ronde e Hixon hanno scoperto che
le persone sposate erano più soddisfatte della loro relazione quando la loro percezione di se
corrispondeva a quella che aveva il partner. La conferma riflette il fatto che il partner sia capace di
esprimere apprezzamento e sostegno al nostro punto di vista.
Avere dei segreti
Finkenauer, Kerkhof, Righetti e Branje sostengono che la tendenza dei partner più o meno
accentuata ad avere dei segreti consenta di prevedere l’appagamento e il benessere in un
rapporto.
La rivelazione di informazioni personali accresce la confidenza e l’intimità. Tacere le informazioni è
un segno di distanza sociale e di separazione, e spinge a credere che al partner non piacciamo o
non ha fiducia in noi.
Interpretazione
In una relazione armoniosa, i problemi che si creano tendono a essere attribuiti a se stessi e si
pensa che il partner possa risolverlo. Nel caso contrario i partner considerano i problemi come la
manifestazione di problematiche insite nella relazione.
Confronto sociale
gli individui che ritenevano la propria relazione migliore delle maggior parte delle altre, mostravano
livelli più alti di soddisfazione nella relazione.
Reti sociali
Cotton, Cunningham e Antill scoprirono che i membri della coppia dimostravano di essere più
soddisfatti della loro relazione quando gli appartenenti alla propria rete sociale e del partner erano
connessi, con amicizie comuni.
Attaccamento
Secondo Bowlby, i bambini e i loro caregiver hanno una vera disposizione genetica a sviluppare un
attaccamento intimo. Ainsworth evidenzia tre tipi diversi di attaccamento del bambini. I bambini
sviluppano un attaccamento sicuro se il caregiver è premuroso. Un attaccamento evitante se non è
sensibile ai bisogni del bambino. Un attaccamento ansioso/ambivalente se il caregiver mostra una
mancanza di interesse.
Sebbene vi siano poche prove dirette che l’attaccamento esperito da bambino consenta di
prevedere lo stile di attaccamento da adulto, la ricerca ha dimostrato che lo stile di attaccamento
nell’adulto è simile a quello del bambino. Bartholomew ha proposto 2 dimensioni di attaccamento:
1. Pensiamo che gli altri siano degni di fiducia o meno
2. Abbiamo alta autostima e ci riputiamo degni di amore o meno
Le due dimensioni sono attaccamento-evitamento (disagio con intimità e dipendenza) e
attaccamento-ansia (timore della separazione e abbandono).
Le persone con attaccamento-evitamento alto cercano di mantenere la distanza dagli altri per
conservare la propria indipendenza e autostima. Questi individui si mostrano a disagio nell’intimità
e cercano la dipendenza del se. Le persone co un attaccamento-ansioso alto cercano aiuto,
accettazione e intimità con gli altri per reagire alla propria paura del rifiuto. Coloro che hanno un
livello basso in entrambe le dimensioni hanno uno stile di attaccamento sicuro: hanno un’autostima
elevata e in generale fiducia negli altri; di conseguenza affrontano le relazioni con maggiore
facilità.
Le persone con un livello basso di attaccamento-evitamento e alto di attaccamento-ansioso hanno
uno stile di attaccamento preoccupato. Sebbene abbiano una rappresentazione positiva degli altri,
hanno un’autostima bassa e temono di non essere amati perché non meritano l’amore. Tendono a
preoccuparsi dei partner con cui hanno una lazione interpersonale intimi e hanno paura che le
persone che a loro piacciono o amano non contraccambino i loro sentimenti.
Le persone con un livello alto nell’attaccamento-evitamento, ma basso nell’attaccamento-ansioso,
hanno uno stile di attaccamento respingente-evitante. Sebbene queste persone abbiano grande
autostima, trovano difficile fidarsi degli altri e sono a disagio nell’intimità.
Le persone che hanno un livello alto di ansia e di evitamento hanno uno stile di attaccamento
pauroso-evitante. Hanno scarsa autostima e non si fidano degli altri, tendono anche a rivelare
maggiormente la negatività negli altri.
Teoria dell’interdipendenza
Rusbult e Van Lange sostengono che per comprendere la natura di una relazione è necessario
riflettere sull’effetto degli aspetti situazionali sia sui fattori individuali sia sui processi interpersonali
Fattori che contribuiscono alla durata di una relazione
L’impegno esprime il desiderio o l’intenzione di far continuare una relazione interpersonale.
(le relazioni felici non sono sempre stabili e durature)
Modello dell’investimento
secondo il modello dell’investimento di Rusbult l’impegno dipende da tre fattori.
1. Il grado di soddisfazione in una relazione
2. Quantità dell’investimento. Due persone in una relazione diventano sempre più
interdipendenti, dedicano tempo e sforzo l’uno all’altro. Maggiore è l’investimento, più le
persone che si impegnano tendono a rimanere nella relazione
3. La qualità percepita delle alternative consente, quando è bassa, di prevedere l’impegno
nella relazione
Lydon, Fitzsimonse Naidoo hanno scoperto che le persone profondamente impegnate in una
relazione tendevano a sminuire gli individui attraenti del sesso opposto per alzare una bandiera
contro le alternative.
Altri modelli di impegno
Adams e Jones hanno proposto 3 fattori per spiegare la durata di una relazione:
1. La dedizione personale, una disposizione positiva nei confronti della relazione
2. L’impegno morale, un senso di obbligo, di dovere religioso o responsabilità sociale basati
su valori e principi individuali
3. L’impegno obbligato, ossia quei fattori che rendono oneroso rompere la relazione
Conseguenze dell’impegno
Gli individui che si impegnano molto sono più disposti a fare sacrifici per la propria relazione.
Wieselquist, Rusbult, Foser e Agnew hanno scoperto che l’impegno era alla base dell’adattamento
e della disponibilità a sacrificarsi, due validi fattori predittivi delle motivazioni che inducono un
individuo a salvaguardare la relazione.
Rusbul e Martz hanno scoperto che le donne vittime di violenza da parte del loro compagno
tendevano a tornare dal partner dopo aver lasciato la casa di accoglienza, se si erano impgnate
molto nella relazione prima di entrare in quella struttura.
La fine di una relazione
Rusbult e Sembrodt hanno constatato che, in caso di crisi, la risposta del partner può essere
positiva o negativa, attiva o passiva. Se uno dei due vuole salvare una relazione, può reagire con
lealtà, aspettando passivamente che la relazione migliori, oppure con il confronto verbale,
impegnandosi attivamente per salvare il rapporto. Se un partner pensa che la relazione sia
davvero giunta alla fine, può reagire con noncuranza, lasciare passivamente che la relazione si
deteriori, o attuare un comportamento di defezione, scegliendo di porre fine alla relazione.
Per spiegare le fasi finali di una relazione, Duck propose il modello di fine di una relazione.
Secondo questo modello, i partner attraversano alcune fasi ben definite prima di giungere alla
rottura.
1. Fase intrapsichica. Il partner riflette in modo approfondite sulle cause dei problemi della
relazione, effettuando un’analisi costi-benefici
2. Fase diadica. Viene presa la difficile decisione di agire in qualche modo e la coppia discute
attivamente la situazione
3. Fase sociale. Quando ci si rassegna circa il fatto che la relazione stia finendo, entrambi i
partner si rivolgono ad amici per trovare supporto sociale
4. Fase di preparazione della tomba. Può consistere nella divisione delle proprietà. È anche la
fase di accettazione e superamento di una relazione
Sbarra e Emery hanno scoperto che, dopo la rottura, i sentimenti di rabbia scompaiono molto
rapidamente, in genere la durata di questa fase può oscillare (da circa una settimana a 18 giorni
dalla rottura). La tristezza si attenua piuttosto lentamente, ed è necessario almeno un mese perché
scompaia.
Ci sono 3 fattori che consentono di prevedere quale sarà l’impatto della rottura:
1. Lo stile di attaccamento. I partecipanti con uno stile di attaccamento sicuro o premuroso-
evitante passavano più velocemente lo stadio della tristezza. Mentre gli individui con un
attaccamento respingente-evitante si sentivano tristi e arrabbiati più a lungo
2. Una rottura voluta dal partner causa maggiore sofferenza (no controllo)
3. La sensibilità al rifiuto. Quando le persone attendono con ansi il rifiuto e reagiscono in
modo esagerato
Dopo una rottura dolorosa è possibile riprendersi, ma dopo un divorzio forse non si è mi felici come
lo si era prima.
APPLICAZIONI
La psicologia sociale applicata consiste nella traducibilità pratica di teorie, metodi e ricerche
psicologiche a problemi e questioni sociali.
LA STORIA
Kurt Lewin è stato uno dei pionieri della psicologia sociale applicata. Mostrò che uno stile di
leadership democratico, che valorizzasse i contributi di tutti e consentisse ai ragazzi di prendere
decisioni autonome, era più efficace nel promuovere la produttività rispetto a quello autocratico o
laissez-faire.
(pag 438 per riferimenti agli altri capitoli)
Nel 1970 è stata introdotta una rivista specificamente dedicata all’argomento, ossia il Journal of
Applied Social Psychology (1979), poi seguito dal Basic and Apllied Social Psychology (1980) e
dal primo manuale sulla psicologia sociale applicata di Fisher (1982).
ORGANIZZAZIONI
Soddisfazione lavorativa
La soddisfazione lavorativa è una misura di quanto posittivamente un impiegato valuti il proprio
lavoro, che predice due elementi chiave: la qualità della prestazione lavorativa e la probabilità di
permanenza in quella posizione. (è difficile affermare con sicurezza che siano l persone più
soddisfatte a avere un rendimento maggiore).
La soddisfazione lavorativa è associata all’impegno affettivo, ossia il grado di attaccamento
emotivo, o identificazione, con il proprio lavoro; per cui chi si sente emotivamente legato al proprio
lavoro tende contemporaneamente a migliorare la prestazione.
Secondo il modello delle caratteristiche del lavoro, cinque fattori determinano la soddisfazione al
lavoro:
1. L’identità di compito, si riferisce alla misura in cui le mansioni di un dato lavoro sono
differenziate e coerenti
2. Il significato del compito, il grado in cui un lavoro è importante per se stessi e per gli altri
3. La variabilità delle competenze, riflette il fatto che un lavoratore sia coinvolto in una serie di
compiti diversi o che svolga sempre la stessa mansione.
4. L’autonomia che si ha nella scelta di cosa fare ogni giorno
5. La possibilità di ricevere feedback sulla propria prestazione lavorativa
Il modello presenta il limite di non prendere in considerazione le caratteristiche dei lavoratori stessi.
Judge, Locke e Durham hanno proposto che la nostra auto-valutazione di base sia in grado di
predire la soddisfazione lavorativa. Questa fa riferimento alla valutazione essenziale che gli
individui fanno su di se e sul proprio valore e include 4 tratti disposizionali. L’autostima riflette
quanto ci percepiamo negativamente o positivamente. L’autoefficacia rispecchia le nostre
credenze rispetto alla nostra capacità di avere successo in un particolare compito. Il nevroticismo è
un tratto di personalità che presenta una bassa stabilità emotiva, un’elevata reattività allo stress e
una tendenza ad essere ansiosi, volubili e preoccupati. Il locus of control fa riferimento a quanto
controllo sentiamo di esercitare sulle nostre vite.
I dipendenti con un’auto-valutazione di base positiva tendono a percepire il loro lavoro in modo più
positivo.
Cognizione incarnata
Il fenomeno in cui le nostre azioni corporee possono influenzare i nostri pensieri e sensazioni è
detto cognizione incarnata. Basandosi sulla ricerca sulla cognizione incarnata, Carney, Cuddy e
Yap hanno avanzato l’ipotesi secondo cui basterebbe adattare una postura aperta ed espansiva
rispetto a una contratta, per far sentire l’individuo più potente. Infatti fanno sedere alcuni
partecipanti con le gambe sul tavolo e la mani sulla nuca, prendendo spazio, per 1 minuto per poi
metterli di fronte e una scelta: prendere 2 euro o rischiare di perderne due o 4 tirando un dado. Si
nota come i partecipanti che avevano tenuto una posizione espansiva fossero più sicuri e
rischiassero di più.
Il lato oscuro delle posture di potere
Numerosi studi mostrano che il potere è associato alla disonestà.
(esempio pag 444)
La postura che assumiamo può influenzare i nostri pensieri, sentimenti, comportamenti e persino il
nostro assetto fisiologico. Agire con potere può aiutarci ad acquisirne, così come sorridere aiuta ad
essere felici.
SALUTE
Teorie del comportamento sanitario
Secondo la teoria del comportamento pianificato, il predittore più importante del comportamento è
la nostra intenzione di metterlo in atto. Tre fattori possono influenzare l’intenzione di comportarsi in
un particolar modo: la valutazione positiva o negativa di tale comportamento (atteggiamento),
l’approvazione percepita da parte di chi ci circonda (norme soggettive), la valutazione di quanto sia
facile o difficile da mettere in atto (controllo comportamentale percepito). Nonostante la TPB non
sia stata introdotta nello specifico per l’ambito sanitario, è stata applicata ad un’ampia gamma di
comportamenti connessi alla salute.
Un limite di questo approccio si riconduce al fatto che non si renda in considerazione il
comportamento pregresso, ciò è particolarmente problematico in quanto l’esperienza passata è il
migliore predittore delle intenzioni comportamentali e dell’azione stessa.
La teoria della motivazione alla protezione è stata direttamente formulata per comprendere i
comportamenti legati alla sfera della salute. Quando incorriamo in una potenziale minaccia alla
nostra salute, mettiamo in atto due processi cognitivi: la valutazione di minaccia e la valutazione di
coping. La valutazione di minaccia comporta una stima di quanto la minaccia sia grave e della
propria vulnerabilità personale a quella minaccia. La valutazione di coping implica una stima
dell’efficacia di eventuali azioni correttive e dell’autoefficacia percepita rispetto alla messa in atto di
questo tipo di azioni. La combinazione delle risposte alle valutazioni di minaccia e di coping da
luogo al nostro livello di motivazione alla protezione.
Approcci al cambiamento del comportamento sanitario
Nonostante entrambe le teorie affermino che le intenzioni sono le determinanti chiave del
comportamento, di fatto le intenzioni non sempre si traducono in comportamento.
Il modello transteoretico prevede che si attraversino 5 fasi affinche il comportamento possa essere
modificato con successo.
1. Precontemplazione. Non percepisco il problema come un vero e proprio problema
2. Contemplazione. Col tempo analizza il suo comportamento e individua in esso un problema
3. Preparazione. Studia il modo in cui poter risolvere il problema
4. Azione. Inizia un percorso di risoluzione del problema
5. Mantenimento. Cerca di mantenere stabili le modifiche apportate
Il modello suggerisce che una transizione efficace tra le fasi è influenzata da due fattori:
autoefficacia (sentirsi in grado di cambiare il comportamento) e la bilancia decisionale (ponderare i
pro e i contro del comportamento negativo per la salute).
Un altro modo per cambiare le abitudini di salute è servirsi delle intenzioni di implementazione.
Secondo Gollwitzer, sebbene le persone abbiano spesso buone intenzioni, possono di fatto non
riuscire a mettere in atto il comportamento desiderato. Per colmare il divario tra intenzioni e
comportamento, Gallwtzer ha proposto che le persone debbano elaborare un piano che preveda
quando e dove immaginano di mettere in atto tale comportamento, sotto forma di periodo se-allora.
Il consumo di alcol
Il termine binge drinking fa riferimento all’atto di bere compulsivamente.
Negli Stati Uniti il termine è utilizzato rispetto al consumo di 5 o più bevande alcolica nella stessa
sessione. Nel Regno Unito le quantità aumentano (8 per gli uomini e 6 per le donne).
Sulla base della ricerca psicologica, per ridurre l’incidenza del binge drinking sono state sviluppate
due tipi di campagne. La prima mira ad aumentare le aspettative negative legate all’alcol e ridurne
le positive. Altre tecniche agiscono sul cambiamento delle credenze normative riferite al consumo
di alcol, tali strategie sono spesso identificate come interventi sulla norma sociale.
AIDS
Nel 2009 si avevano molti casi di AIDS, che poi sono andati diminuendo. Sono state attivate
campagne di sensibilizzazione su questo tema, incoraggiando anche i ragazzi all’uso delle
protezioni. La ricerca psicosociale del modellamento si occupa anche della mancanza di modelli
comportamentali chiari. Ad esempio nei film non viene mai reso esplicito l’uso di protezioni durante
i rapporti sessuali.
TOLLERANZA
L’esperienza della diversità comporta numerosi vantaggi per le relazioni intergruppi
Percorsi formativi multiculturali
I percorsi formativi multiculturali prevedono di trasmettere ai bambini informazioni sulla cultura e lo
stile di vita di gruppi minoritari. Questa prospettiva si bassa su due assunti fondamentali, ossia che
il pregiudizio nasca dall’ignoranza, per cui far conoscere l’outgroup ai bambini sarebbe in grado di
ridurlo, e che i bambini tendano a conformare il loro comportamento pubblico, se non i loro pensieri
privati, per adattarsi a norme condivise.
Programmi antirazzisti
Un approccio alternativo agli interventi multiculurali scolastici comprende la discussione diretta sui
temi del pregiudizio e della discriminazione, a cui spesso si fa riferimento come programmi
antirazzisti. In questa prospettiva i bambini dovrebbero essere incoraggiati a parlare i razzismo,
insegnando loro modi per fronteggiare la discriminazione.
Formare alla diversità
Con il termine formazione alla diversità ci si riferisce a programmi che hanno lo scopo di
aumentare consapevolezza, conoscenza e abilità culturali, al fine di proteggere l’organizzazione da
violazioni dei diritti umani e aumentare l’inclusione di identità differenzi a lavoro per migliorare il
lavoro di squadra e il rendimento.
Interventi basati sul contatto
Gli interventi sviluppati dalla teoria del contatto sono basati su metodi che sono stati sperimentati e
testati in situazioni controllate di laboratorio. A differenza degli interventi tradizionali, le strategie
basate sul contatto danno origine a risposte positive, affettive ed emotive all’outgroup, che
sembrano essere indispensabili a creare un cambiamento di atteggiamento robusto e durevole.
Apprendimento cooperativo
Gli interventi di apprendimento cooperativo sono basati sulla teoria del contatto intergruppi.
Implicano che bambini di gruppi diversi studino insieme, con l’obiettivo di sviluppare atteggiamenti
positivi verso l’outgroup. Un esempio è la classe mosaico in cui i bambini sono bilanciati per etnia,
ognuno apprende un’informazione e la condivide col gruppo. MA i bambini potrebbero frequentare
scuole omogeneo che impediscono le possibilità di queste attività.
Il contatto immaginato
Il contatto immaginato fa riferimento ad un intervento che consiste nell’immaginazione di un
incontro positivo con un membro dell’outgroup.
Un limite è nel fatto che, dal momento che si basa sull’immaginazione e non sull’esperienza diretta
con l’outgroup, potrebbe non essere tanto efficace quanto il contatto faccia a faccia.
(pag 458)