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CAPITOLO 1° - DOMANDE
1. Criteri di distinzione del comportamento interpersonale da quello del gruppo per Tajifel.
Tajfel (1978) sottolinea l'importanza di distinguere il comportamento interpersonale da quello del
gruppo seguendo tre criteri principali:
1) La presenza o assenza di almeno due categorie sociali identificabili in modo non ambiguo:
Es.: uomo/donna
2) Il grado di variabilità (basso/alto) negli atteggiamenti o nel comportamento dei membri di
un gruppo: è uniforme nei comportamenti intergruppi, è gestito dalle differenze individuali
nei comportamenti interpersonali: Es. i tifosi
3) Il grado di variabilità del comportamento degli individui nei confronti dei membri di altri
gruppi.
In definitiva Tajfel colloca il comportamento sociale lungo un Continuum delimitato da due polarità:
- Intergruppi: l'interazione è determinata dall'appartenenza ai gruppi e dall'interazione tra loro;
- Interpersonale: l'interazione dipende dagli individui, dalle caratteristiche personali e dalle
relazioni interpersonali.
2. I livelli del comportamento sociale secondo Turner.
I livelli del comportamento sociale sono 3: personale, sociale e gruppale. Il primo è caratterizzato
dal rinnegare l’appartenenza familiare, il secondo dal legamento alla relazione e il terzo il rinnego
della propria famiglia spostando la polarità dal personale al gruppale in base al focus della
relazione. Se nel comportamento sociale è importante la relazione me-altro sto spostando la
polarità interpersonale, cioè sto spostando il comportamento sociale verso l’altro; viceversa se mi
relaziono come membro di un gruppo.
3. Genesi ella psicologia sociale dei gruppi.
Nasce in America intorno agli anni ‘30 sotto la spinta di eventi storici come la grande crisi
economica della crisi degli anni ’20.
4. Come Mayo ha contribuito alla nascita della psicologia sociale dei gruppi.
Accanto agli eventi storici sopracitati, Mayo diede importanza allo studio dei gruppi ristretti,
mettendo in evidenza l’importanza dei fattori umani sulla produzione e al gruppo come
organizzatore del comportamento degli individui, arrivando alla conclusione che la produttività del
gruppo era conseguente alla soddisfazione lavorativa dei suoi membri.
5. Evoluzione della psicologia sociale dei gruppi in Europa (quando e come).
McGuire individua che dalla metà degli anni ‘30 alla metà degli anni ‘50, il fulcro delle ricerche sul
gruppo sono state negli Stati Uniti, dopodiché si è spostata in Europa. Negli anni ‘60, con il
delinearsi di una psicologia sociale europea, le tematiche sulle dinamiche di gruppo di Lewin
subirono un declino. A partire dagli anni ’70 questo declino si fece sempre più intenso perché
venivano previlegiati approcci teorici sempre più individualistici e un ampio utilizzo di metodi di
laboratorio. Questi ultimi non sono adatti allo studio dei gruppi, tuttavia se sono necessari bisogna
prima comprendere sul campo i fenomeni di gruppo nelle loro variabili principali. Moreland, Hogg e
Hais compiono uno studio documentario nel quale si evince che il gruppo non è usato nella stessa
prospettiva da tutti gli autori ma può essere sia oggetto di studio sia un mezzo per studiare altri
fenomeni. Inoltre, questo studio mostra che dopo il declino degli anni ’70 e ’80, l’interesse per i
gruppi riprende negli anni ’90 sotto l’influsso dell’approccio europeo e della social cognition.
6. Le Bon: primissimi esordi della psicologia delle folle.
Le Bon pone l’attenzione verso le masse e le folle, viste come gregge che non può fare a meno del
padrone. Tramite Le Bon abbiamo processi di deindividuazzione degli individui che tendono ad
imitare gli altri passivamente. Secondo Le Bon, l’uomo massa sono individui anonimi suggestionabili
privati di volontà propria.
7. Prospettiva gestaltista di Lewin riguardo il gruppo.*
La prospettiva gestaltista di Lewin vede il gruppo come una totalità dinamica che evidenzia
caratteristiche diverse da quelle risultanti dalla somma delle sue componenti. Il gruppo si deve
evolvere, deve essere dinamico per poter sopravvivere. Il gruppo si può creare o in base a una
interdipendenza del destino, dove persone sconosciute, messe difronte ad un destino comune, si
coalizzano in un gruppo. Questa forma, tuttavia, è considerata più debole. Un’altra maniera in cui si
aggregano i gruppi è tramite l’interdipendenza del compito, dove gli individui si coalizzano grazie
uno scopo comune da seguire.
8. Action-research di Lewin.
L’action-research è una ricerca in cui sono attivi sia i soggetti/oggetti della medesima, sia i
ricercatori in essa impegnati, un esempio di action-research è quello riguardante il mutamento
delle abitudini alimentari. Tramite l’action-research, Lewin proponeva una metodologia di ricerca
che consente da un lato di intervenire sulla realtà sociale, dall’altro di trarre dalle esperienze
concrete nuovi elementi di conoscenza in un dinamico rapporto tra teoria e pratica sociale.
9. Definizione di T-Group secondo Lewin.
Il T-Group (training group) è un metodo di formazione attiva di gruppo, in cui i lavori sono svolti a
piccoli gruppi con un programma preciso e un osservatore che registrava i comportamenti. Tali
registrazioni non dovevano essere messe a conoscenza dei partecipanti ma solo del gruppo di
Lewin.
10. Differenza tra le varie minoranze per Moscovici.
Le minoranze eterodosse sono le minoranze contro normative ovvero portatrici di valori e norme
opposte a quelle delle maggioranze, mentre le minoranze ortodosse sono quelle pro normative in
quanto rafforzano le norme maggioritarie. Secondo Moscovici sarebbe bene indagare sui diversi
effetti delle minoranze contro normative che da un lato possono effettivamente esprimere valori
nuovi e contribuire alla trasformazione del clima socio politico, e che dall’altra possono incanalare
uno scontento diffuso nei confronti di una certa maggioranza. Per Moscovici sono i gruppi e non gli
individui capaci di introdurre nella dinamica sociale elementi di innovazione e mutamento.
11. Gli elementi che distinguono un gruppo secondo Merton.
La nozione di gruppo si è formata nel ‘57 con Merton che afferma: “un gruppo è un insieme di
individui che esercitano un rapporto reciproco e interagiscono fra loro esercitando reciproche
azioni che innescano un sentimento di appartenenza al gruppo, questi si percepiscono come
membri ma parallelamente anche le persone esterne li indicano come appartenenti al gruppo. Gli
individui interagiscono e si influenzano tra di loro”.
12. Definizioni di gruppo tra aggregazioni e unità sociali.
Ogni aggregazione di individui non è necessariamente un gruppo, le aggregazioni sociali si
distinguono in: artificiali (gruppi statici in base a qualche caratteristica comune ma non relazione),
non organizzate (insieme di individui nello stesso luogo e nello stesso momento senza legami). Le
unità sociali: con modelli di relazione (condividono un set di valori, abitudini e un linguaggio
comune), strutturate (con forte carattere di interdipendenza e relazioni strutturali quali comunità o
famiglia), intenzionalmente progettate (organizzazione o gruppo di lavoro), meno intenzionalmente
progettate (gruppo di amici, associazione, volontari). Queste due definizioni di gruppo differiscono
tra loro in base alle relazioni presenti tra i membri e la grandezza dell’aggregato in termini di
numero degli individui.
13. Collocazione dei gruppi nella scala micro e macro sociale.
I tre elementi che distinguono il gruppo da altri insiemi di persone sono: la continuità, la
somiglianza e le interrelazioni. Grazie a ciò si crea una grande differenza tra una scala micro sociale
nella quale i gruppi possono interagire tra loro, a una macro sociale dove non possono interagire.
Perciò vi è una necessità interdisciplinare per dividere livelli di analisi dei problemi delle relazioni
umani in macro e micro, per cui il controllo incrociato delle osservazioni ottenute ad un livello con
quelle di un altro livello farà sì che la cooperazione interdisciplinare divenga quel terreno di
incontro che dovrebbe essere.
14. Definizione interactionprocessanalysis di Bales
Secondo Bales l’interactionprocessanalysis è una osservazione delle interazioni di piccoli gruppi che
successivamente possono essere scomposte in atti microscopici, cioè atti che possono essere
decifrati. La più piccola parte di un comportamento significativo per altri membri può essere sia
verbale che non.
15. Categorie usate dall’interactionprocessanalysis di Bales
Le categorie di codifica nell'analisi dei processi di interazione e le loro relazioni principali vengono divise
in tre aree:
Area socio-emozionale positiva dove l'individuo del gruppo:
dimostra solidarietà elogiando gli altri, aiutando, mostrando stima;
allenta le tensioni scherzando e mostrandosi soddisfatto;
si dimostra d'accordo accettando con facilità, comprendendo, contribuendo ed eseguendo;
dà suggerimenti pur rispettando l'autonomia altrui.
Area del compito neutra dove l'individuo:
esprime opinioni, valutando, giudicando, esprimendo sentimenti e desideri;
fornisce degli orientamenti, informando, ripetendo, chiarificando, confermando;
chiede degli orientamenti, informazioni, ripetizioni, conferme; chiede delle opinioni, valutazioni,
giudizi, espressione di sentimenti.
Area del compito socio-emozionale negativa dove l'individuo:
disapprova rifiutando, formalizzandosi, astenendosi dall'aiutare;
dimostra tensione, chiedendo aiuto e ponendosi fuori dal gruppo;
mostra antagonismo cercando di abbassare il livello degli altri, difendendosi o facendosi valere.
16. Diverse fasi dell’interactionprocessanalysis di Bales.
Attraverso la prima fase, quella dell'orientamento, il gruppo cercherà di avere un elevato livello di
comunicazione e di scambi di opinioni. Nella seconda fase, quella della valutazione, il gruppo
valuterà le idee differenti per essere in grado di prendere delle decisioni. Nella terza e ultima fase,
quella del controllo, i gruppi eserciteranno un controllo reciproco per poter arrivare alle decisioni e
portare a buon compimento il compito.
17. Primarietà e secondarietà dei gruppi.
La primarietà è costituita da un insieme di persone che interagiscono direttamente e sono legate da
vincoli di tipo affettivo, quindi presentano un forte senso di appartenenza e di lealtà nei confronti
del gruppo. La secondarietà, invece, è costituita da insiemi di persone che hanno scopi da
raggiungere, ruoli differenziati, in funzione del raggiungimento degli obiettivi, relazione di tipo
impersonale poiché basate sui fini pratici.
18. Formalità e informalità dei gruppi.
La formalità sono quei gruppi che si formano sotto un’egida istituzionale, che ne detta gli obiettivi
principali nel quadro di attività specifiche. L’informalità è caratterizzata da aggregazioni spontanee
il cui scopo non consiste nel perseguimento di una attività ma nell’intensità delle relazioni tra i
membri.
19. Definizione di gruppi naturali, inventati, quasi gruppi.
I gruppi naturali sono quelli che esistono indipendentemente dalle attività e dai propositi della
ricerca, i gruppi inventati sono creati come mezzi per la ricerca, vengono considerati meno
“naturali” dei precedenti nonostante siano inseriti nel contesto della sperimentazione reale. I quasi
gruppi sono creati come i precedenti a scopi di ricerca, ma non sono completamente dei gruppi,
poiché hanno pattern di attività altamente artificiale e costrittiva sia nel senso dei compiti che
vengono imposti, sia nel tipo di interazioni permesse.
20. Definizione di gruppo di riferimento.
I gruppi di riferimento sono quelli con cui l’individuo si identifica o ai quali aspira di appartenere.
21. Definizione di gruppo di Allport.
Second Allport non esiste una psicologia dei gruppi che non sia fondamentalmente ed interamente
una psicologia degli individui. Questo va nella posizione contraria di chi sostiene che, invece, possa
esistere una “mente di gruppo” che induce a fare azioni che, altrimenti, i singoli individui non
compierebbero mai (come nel caso delle folle). Nella definizione di questo concetto, Allport
riconduce i fenomeni gruppali a processi psicologici individuali (e quindi si ferma a un livello
interpersonale: prospettiva individualistica).
22. Definizione di gruppo secondo Asch.
Asch identifica il gruppo nelle sue azioni: gli individui compiono determinati azioni solo in funzioni
del gruppo, di fatto le singole azioni non contano, ma è la forza che le lega ad essere importante. È
il primo autore che ha colto l’importanza della percezione interpersonale nel guidare le interazioni.
23. Spiegazione del concetto di gruppo per Lewin.
Il gruppo, per Lewin, è innanzitutto una totalità dinamica caratterizzata dalla stretta
interdipendenza delle sue parti, le proprietà strutturali sono caratterizzati dalla relazione tra i
membri di un gruppo, piuttosto che dagli elementi stessi che lo compongono (psicologia della
gestalt).*
24. Sindrome di Stoccolma.
Sarebbe l’attaccamento della vittima al suo carnefice che può esser visto come una
esemplificazione del fatto che gli insiemi casuali degli individui possano divenire un gruppo sotto la
spinta di eventi imprevedibili o stressanti.
25. Concettualizzazione di gruppo secondo Sherif.
Sherif ha una concezione architetturale di gruppo, nel senso che egli è orientato a considerarlo
come una struttura in cui i membri sono legati da rapporti di status e ruoli in cui si delineano norme
e valori comuni.
26. Questione metodologica secondo Sherif.
Per Sherif è importante utilizzare metodologie di ricerca quali quelle osservative e di inchiesta
rispetto a quelle sperimentali. Poiché il metodo di laboratorio deve divenire l’ultimo tocco della
ricerca sui gruppi. Sottolinea l’esigenza di un approccio interdisciplinare, specialmente tra
psicologia e sociologia.
27. Il concetto di gruppo secondo Tajfel.
Per Tajfel il gruppo è costituito dal fatto che l’individuo si sente parte di esso e include tre
componenti: cognitiva (conoscere di appartenere al gruppo), valutativa (se l’appartenenza è
positiva o negativa) ed emozionale (i sentimenti positivi o negativi provati nei confronti del gruppo).
28. Definizione di entitatività di Campbell.
Il concetto di entitatività si riferisce al grado in cui un aggregato sociale è percepito dagli
osservatori come entità. I principi gestaltici di somiglianza, prossimità, destino comune e
organizzazione permettono di far emergere una percezione per cui un aggregato di persone diventa
una entità proprio perché i suoi componenti sono concepiti come simili.
29. Studi sull’entitatività in relazione alla percezione sociale (Hamilton e Sherman).
La percezione sociale è alla base dell’entitatività. Nella percezione dei gruppi sono all’opera dei
meccanismi simili a quelli che regolano la formazione delle impressioni relative agli individui.
Secondo Hamilton e Sherman ci si aspetta che i gruppi abbiano una entitatività più bassa (minore
unità, organizzazione e coerenza) di quello che ci si aspetta per le singole persone.
30. Studi sull’entitatività in relazione ai fenomeni di gruppo (Gaertner e Shopler).
Gaertner e Shopler ritengono che il concetto di entitatività giochi un ruolo centrale nei fenomeni di
bias intergruppi. L’entitatività può essere concettualizzata come una percezione di
interconnessione. Quindi, il favoritismo ingroup non è una conseguenza dei processi di confronto
sociale ma è interpretabile secondo la logica della teoria dell’equilibrio di Heider per cui
favoriscono gli altri nella misura in cui essi sono interconnessi al sé. Secondo gli autori, la
formazione psicologica di un gruppo può avvenire anche in assenza del confronto sociale con altri
gruppi ma può generarsi solamente dall’interdipendenza positiva intragruppo.
CAPITOLO 2° - DOMANDE
CAPITOLO 3° - DOMANDE
CAPITOLO 4° - DOMANDE
1. Definizioni di leadership
Secondo Brown l'autorità leader riguarda quella persona che può influenzare gli altri membri di un
gruppo più di quanto sia essa stessa influenzata, secondo Hollander la leadership è un processo e
non una persona in quanto implica un'interazione fra leader, seguaci e situazioni, per Novara e
Sarchielli è una forma di influenza caratterizzata dalla capacità di determinare un consenso
volontario, un'accezione soggettiva e motivata nelle persone rispetto a certi obbiettivi del gruppo e
dell'organizzazione, infine per Turner rappresenta o un ruolo sociale informale o un esercizio di
influenza agito da uno o più membri del gruppo.
2. Che cosa è l'approccio dei tratti.
Il leader che comanda ha dei tratti predittori di leadership: intelligenza, vigilanza...ma questo
presenta anche un limite perché gli stessi tratti possono rappresentare sia fattori di successo che di
fallimento. Nella leadership va valutato anche il processo interpersonale, in quanto il leader deve
possedere le caratteristiche necessarie a commisurarsi alle situazioni.
3. Concezione di leadership secondo Bodiou.
La leadership, secondo Bodiou, è una strategia identitaria, che permette all'individuo di soddisfare
certi suoi bisogni, quali il rinforzo dell'immagine di se', la valorizzazione di se', il desiderio di contare
agli occhi degli altri e di sedurli.
4. Approccio dei comportamenti del leader.
Il leader deve possedere 4 principali fattori comportamentali: la considerazione (include aiutare i
sottoposti, spiegare le cose, porre attenzione alla loro sicurezza sociale), il dare origine ad una
struttura (include il far seguire le regole e le procedure), l'enfasi sulla produzione e la sensibilità.
5. Gli stili di leadership nella ricerca di Lewin, White e Lippit.
Esistono 3 tipi di leadership: - autoritaria che presenta un clima non soddisfacente, forte
aggressività e bassa produttività;
- democratica con un buon livello di produttività e gratificazione;
- permissiva caratterizzata da un clima caotico e da uno scarso rendimento.
6. Stili di leadership nella ricerca di Blake e Mouton.
Per Blake e Mouton esistono 5 stili di leadership:
- povero, in cui è basso sia l'interesse per le persone che quello per la produzione;
- circolo ricreativo dove è alto l'orientamento alle persone e basso quello alla produzione;
- orientato al compito nel quale è alto l'interesse per la produzione e basso quello per le
persone;
- metà strada che mostra un interesse medio per il compito e per la relazione;
- team o squadra in cui è alto sia l'orientamento alla produzione, sia l'orientamento alle
persone.
7. Quali sono i fattori situazionali importanti per la leadership?
I fattori situazionali più importanti sono: il compito, il tipo di interazioni interne al gruppo,
l'ampiezza del gruppo (se molto ampio può esserci una relazione leader - membro
depersonalizzata) e lo stadio di sviluppo in cui si trova il gruppo.
8. Limiti dell'approccio situazionista.
I limiti dell'approccio situazionista sono:
- l'enfasi sulla nozione di situazione ha portato a trascurare il peso che hanno le qualità del
leader;
- il termine situazione ha avuto troppo rilievo soprattutto alle richieste relative al compito,
limitando la portata nozionale di situazione;
- il leader è un elemento situazionale di una certa rilevanza, poiché contribuisce a definire e
a dare forma alla situazione stessa;
- il puro approccio situazionista non riesce a render conto dell'evolvere delle relazioni leader
- membri nel corso del tempo.
9. Che cosa è l'approccio interazionista alla leadership?
L'approccio interazionista mette in relazione due variabili: lo stile della leadership con la situazione.
10. Il modello della contingenza di Fiedler.
Il modello della contingenza è costruito su tre fattori messi in relazione tra loro: leader, membri e
situazione che mette in evidenza due tipi di leader, quello più strumentale orientato al compito
considerato il meno preferito e quello che si incentra di più sull'area socio-emozionale,ovvero il
leader di tipo relazionale.
11. Il modello della presa di decisione di Vroom e Yetton.
Nel modello della presa di decisione abbiamo 5 steps: stile autocratico, autocratico con richiesta di
informazioni, consultivo individuale, consultivo di gruppo e partecipativo. I membri vengono
considerati integralmente e le decisioni del leader vengono prese dopo aver sentito l'opinione dei
membri.
12. Il modello della Path goal theory.
Il leader deve fare una sorta di mappa dei bisogni di ciascun membro e soddisfarli e deve risultate
motivante per i suoi subordinati essendo in grado di far comprendere loro che la soddisfazione dei
loro bisogni va di pari passo con il raggiungimento dell' efficacia produttiva.
13. Stili di leadership nella situational leadership theory.
Questa teoria è caratterizzata da 4 stili legati al fatto che il leader valuta la maturità dell'intero
gruppo e in funzione di questa decide se essere più o meno direttivo o supportivo. I 4 stili sono:
telling (molta guida e poco sostegno), selling (molta guida e molto sostegno), participating (poca
guida e molto sostegno) e delegating (poca guida e poco sostegno).
14. Leadership come processo.
La leadership è un processo di influenza sugli altri per far loro comprendere e accettare decisioni
che facilitano gli sforzi individuali e collettivi per il raggiungimento di obbiettivi comuni.
15. Approccio transazionale allo studio della leadership.
È una sorta di negoziazione tra i leader, i membri, la situazione e tutti i fattori coinvolti all'interno
del processo di leadership. Viene chiamata anche teoria dello scambio.
16. Il modello del credito idiosincratico.
Nel modello idiosincratico di Hollander il leader fa attenzione al gruppo nella sua interezza e cerca
di proporsi come leader. Per essere accettato deve acquisire credibilità e questo avviene secondo 4
fasi: conformismo iniziale, competenza, legittimità e identificazione con il gruppo, che deve
legittimare il leader e può essere sia esterna che interna.
17. Che cosa è il Vertical Dyad Linkage?
Il modello dei legami verticali di leadership e il modello della costruzione della leadership,
conosciuto anche con il nome di VDL afferma che i rapporti tra il leader e i followers non sono
considerati tutti allo stesso livello; in altre parole il gruppo non viene preso in considerazione come
un tutto omogeneo e si parte dall'ipotesi che ogni seguace costruisca un rapporto specifico con il
capo.
18. Quali sono le fasi di costruzione della leadership (Graen e Uhl -Bien)?
Graen e Uhl-Bien sono giunti a presentare un modello di costruzione della leadership costituito da
3 fasi attraverso cui il legame da esterno (outgroup) si fa interno (ingroup). Il leader deve essere in
grado di contrattare singolarmente con ciascun membro fino a creare un legame ingroup tale da
essere riconosciuto da ciascun membro del gruppo. Le tre fasi sono: fase sconosciuta (interazioni
limitate), fase di conoscenza (iniziano gli scambi), fase matura di associazione (scambi di alta
qualità).
19. Approccio trasformazionale allo studio della leadership.
Questo approccio considera i leader come individui che stimolano le motivazioni dei seguaci allo
scopo di raggiungere in modo adeguato sia i propri scopi che quelli dei seguaci.
20. Definizione di leadership trasformazionale.
Il leader trasformazionale si impegna attivamente con i suoi seguaci, creando con essi una
interrelazione che eleva sia la propria motivazione e il proprio morale sia quelli dei sottoposti. Si
tratta di un leader attento ai bisogni, alle motivazioni e alle potenzialità delle persone a lui
subordinate.
21. Leadership carismatica.
La leadership carismatica è caratterizzata da un vincolo di tipo affiliativo che consente
l'sterilizzazione del sistema valoriale al punto tale che questo modifica tutti coloro che partecipano
al gruppo.
22. Quali sono i fattori di leadership trasformazionale nella teoria di Bass.
I fattori di leadership trasformazionale comprendono quattro fattori conosciuti come le quattro I :
influenza idealizzata, motivazione ispirazionale, stimolazione intellettuale e considerazione
individualizzata.
23. Quali sono i fattori di leadership transazionale nella teoria di Bass.
Questo tipo di leadership si realizza quando il leader premia e punisce i collaboratori a seconda
dell'adeguatezza della loro prestazione. Essa comprende due fattori: la ricompensa contingente e la
direzione per eccezione che a sua volta può essere attiva quando vi è un'osservazione da vicino di
quanto fanno i sottoposti e passiva quando l'intervento del leader non è immediato.
24. Quale è il fattore non leadership.
La non leadership è l'estremo negativo, in quanto parliamo di qualcuno che non vuole fare il leader
e il gruppo viene lasciato a se stesso, causando problemi al clima affettivo e alla produttività.
25. Quali sono le caratteristiche del modello femminista di leadership secondi Griggs.
Il modello di leadership femminista presenta le seguenti caratteristiche: strutture partecipative
piuttosto che autoritarie, una concezione del potere come forza condivisa, diversa gestione del
conflitto, ambiente lavorativo di tipo supportivo e valorizzazione della differenza.
26. Caratteristiche femminili di leadership.
Le donne presentano una concezione del potere come energia e forza che possono essere
condivise, vedendolo quindi in termini relazionali e cooperativi, inoltre la struttura della leadership
femminile ha una forma a rete, in cui le persone sono interrelate fra loro, il leader fa parte del
cerchio avendo una visione maggiore dei subordinati e maggiori informazioni. I conflitti
costituiscono un momento di interazione forte, che permette di dissolvere i problemi con fiducia
reciproca coinvolgendo i partecipanti alla ricerca di una soluzione condivisa, grazie a questo la
socializzazione è più sviluppata e vi è maggiore incoraggiamento e comprensione.
27. Caratteristiche della leadership maschile.
Gli uomini concepiscono il potere come dominazione e controllo degli altri, la struttura è verticale e
ti tipo gerarchico, i conflitti vengono visti come una minaccia e un qualcosa di essenzialmente
negativo e la socializzazione è ridotta rispetto a quella delle donne.
CAPITOLO 5° - DOMANDE
Influenza minoritaria:
Minoranza coerente dove ci sono due complici che rispondono sempre nella stessa maniera
anche se la risposta è cambiata;
Condizione coerente più debole con un solo complice che risponde sempre allo stesso
modo anche se si potrebbe dare un’altra risposta;
Minoranza incoerente dove ci sono due collaboratori che non sempre rispondono in modo
coerente tra loro
Il processo di influenza era molto preponderante nella maggioranza unanime, ma anche la
maggioranza non unanime generava conformismo allo stesso livello di quello generato dalla
minoranza unanime. Da questo si evince che gli unici soggetti che mantengono l’impatto del
processo di influenza sono quelli esposti alla minoranza coerente, quindi mentre l’effetto forte della
maggioranza si è mantenuto sui livelli di compliance, nel test individuale l’influenza della minoranza
si mantiene.
21. Tipo di cambiamento prodotto dalle minoranze.
Le novità creano dissenso nella maggioranza, questo porta i soggetti che in qualche modo
aderiscono all’influenza minoritaria ad una sorta di dissonanza cognitiva interna perché hanno un
conflitto al loro interno tra la posizione della maggioranza e la posizione nuova portata dalla
minoranza. Per risolvere questa dissonanza i soggetti rielaborano cognitivamente, si attiva un
laborìo cognitivo che produce l’interiorizzazione della fonte di influenza minoritaria.
22. Variabili di insuccesso delle minoranze.
Le variabili di insuccesso delle minoranze possono essere:
Il grado di investimento che sull’oggetto di influenza fa la maggioranza;
Lo spirito del tempo, cioè il clima di opinione prevalente nel tessuto sociale all’interno del
quale operano la maggioranza e la minoranza.
23. Minoranza ingroup e minoranza outgroup.
La minoranza ha successo quando la fonte è ingroup, mentre quando la minorante è outgroup e noi
non ci riconosciamo in essa, si ottiene l’effetto contrario, cioè ci polarizziamo su opinioni
contrapposte a quella della minoranza. Abbiamo un doppio meccanismo di contrasto e
discriminazione verso l’outgroup che non ci consente di ricevere l’impatto di influenza ma è il
meccanismo di assimilazione verso l’ingroup e quindi adattamento alla minoranza ingroup che ci
consente di ricevere l’impatto dell’influenza, del processo di influenza.
24. Teoria del pensiero duale (Moscovici).
Bisogna riconoscere la differenza tra processo di influenza maggioritaria e processo di influenza
minoritaria. La maggioranza produce un’influenza che è l’adesione pubblica, di superfice ovvero
un’influenza di tipo normativo o informativo o referente che viene chiamata “processo di
confronto” (confronto la posizione maggioritaria e poi aderisco superficialmente ad essa).
L’influenza minoritaria necessita di tempo che sottolinea quanto il cambiamento sia provato e
interno, quindi avviene una conversione attualizzata tramite il “processo di convalida” (interiorizzo
la posizione della minoranza in termini di condivisione interna).
25. Teoria del pensiero duale (Nemeth).
Se noi entriamo in conflitto con la maggioranza abbiamo un’elaborazione sistematica, se entriamo
in conflitto con la minoranza attiviamo un’elaborazione periferica. Quando ci centriamo per l’ansia
di essere in conflitto con una maggioranza sui contenuti centrali, il nostro sforzo cognitivo è
convergente, cioè facciamo attenzione solo al contenuto proposto dalla maggioranza. Se riceviamo
un’attivazione dal conflitto con la minoranza non siamo in ansia perché c’è scarsa numerosità di
persone contro cui ci opponiamo, la nostra modalità di elaborazione è una modalità euristica, cioè
ci porta a una certa libertà di valutare l’oggetto di influenza. Quindi adottiamo un pensiero
divergente.
26. Risposte al deviante in funzione del tipo di gruppo.
La dinamica di polarizzazione si apre a posizioni estreme, è una dinamica che accoglie la
devianza come innovazione, mentre la dinamica di normalizzazione è fortemente coesa e
non accetta la devianza;
Grado di coesione: più coesi sono i gruppi, più rispondono fortemente alla devianza ma ci
sono gruppi che usano la coesione come apertura di credito. Un gruppo coeso che è solido
nella sua identità apre credito alle posizioni differenti;
La fase di sviluppo: la fase in cui il gruppo si trova designa il tipo di risposta che il gruppo dà
alle minoranze;
Il grado di apertura: esistono gruppi con identità difensiva e gruppi ad identità offensiva. I
primi presentano confini chiusi e cercano di difendersi, i secondi hanno confini aperti e
sono più propensi a relazionarsi.
27. Tipologie di risposte alla devianza.
Le minoranze possono generare due differenti tipi di risposte:
Negative come:
- Rifiuto totale: il gruppo non vuole il deviante e utilizza una strategia di naturalizzazione
(biologizzazione, psicologizzazione, sociologizzazione)
- Rifiuto parziale: espulsione simbolica
- Disconferma: indifferenza verso la minoranza tramite un’espulsione simbolica in assoluto
- Ridicolizzazione: fa cadere il deviante in ridicolo
Positive come:
- Conversione: può essere privata (adesione interna), differita (a distanza di tempo),
trasposta (oggetti correlati rispetto a quello centrale)
- Il modellamento: conversione all’interno del tessuto sociale
28. Definizione del conflitto.
Il conflitto è una relazione interna di divisione del gruppo ed è un contrasto tra la posizione della
maggioranza e quella della minoranza all’interno del gruppo.
29. Costi e benefici del conflitto.
I costi e i benefici del conflitto vanno valutati secondo un livello individuale e collettivo:
Costi a livello individuale: antipatie e simpatie
Costi a livello collettivo: disgregazione del gruppo
Benefici a livello individuale: confronto con la diversità producendo originalità e creatività
Benefici a livello collettivo: creatività e originalità portano più soluzioni per il
raggiungimento del compito e lo scopo del gruppo.
30. Meccanismi utilizzati per affrontare il conflitto.
I meccanismi sono principalmente 3:
Evitamento del conflitto: è un intervento preventivo per bloccare o evitare la presenza di un
conflitto, può portare alla morte del gruppo a causa di una mancata ristrutturazione del
gruppo stesso;
Riduzione del conflitto: si riduce tramite un processo di negoziazione;
Creazione del conflitto: aiuta il gruppo a progredire, a crescere e migliorare la produttività.
31. Conflitto come doppio processo.
Il conflitto è un doppio processo perché può essere sia positivo (costruttivo) che negativo
(distruttivo):
Conflitto distruttivo: non genera risultati ma porta alla disgregazione e all’appiattimento e
porta ad un’escalation simmetrica (ci si aggredisce reciprocamente e alla fine il conflitto
non è più dialogo ma scontro);
Conflitto costruttivo: genera una ristrutturazione socio cognitiva. Mette a confronto
posizioni divergenti secondo un livello motivazionale cooperativo, aumenta la coesione e la
produttività.
32. Definizione di scisma (Sani e Reicher).
Lo scisma è un processo di divisione di un gruppo in sottogruppi e la scissione finale di almeno uno
dei sottogruppi dal gruppo originario.
33. Condizioni che permettono lo scisma.
Esistono delle condizioni di realizzazione necessarie che spiegano quando il gruppo si scinder,
creando già le basi per la scissione di sottogruppi e sono:
C’è una minaccia all’identità di gruppo;
C’è una percezione di scarsa “entitatività” del gruppo: il gruppo non si percepisce come
tutt’uno;
C’è una dinamica intergruppi in una situazione/contesto intragruppo: il gruppo originario è
ancora solo però i partecipanti favoriscono e si assimilano con l’ingroup e si discriminano e
contrastano da quelli che ritengono diversi da sé;
C’è la resistenza all’influenza da parte dei vari sottogruppi: ogni sottogruppo ritiene l’altro
illegittimo e quindi resiste;
C’è una simmetria di percezione: ogni sottogruppo ritiene che l’altro sia sovversivo e quindi
non accettabile;
C’è una relazione di status tra i sottogruppi: il gruppo maggioritario decide di accettare la
minoranza oppure la minoranza si riconosce non identificata, ma poiché non ha altra
possibilità di uscita rimane all’interno del gruppo;
Contesto socioculturale del gruppo: deve essere presente un contesto socio culturale che
consente lo scisma.
34. Lo scisma religioso.
Comprende tutte le organizzazioni religiose che si basano su due bisogni: il bisogno del singolo di
trovare nuove forme di organizzazione della sua dimensione trascendentale e il bisogno di
collettività, che canalizza e orienta tutti i bisogni individuali verso questi nuovi contesti religiosi. Il
processo di scisma deve prevedere:
Alterazione dell’identità centrale religiosa;
Identificazione di un nuovo principio di autorità;
Identificazione di una nuova struttura normativa;
Fuoriuscita del sistema istituzionale di tipo religioso.
35. Modelli monofattoriali (Latanè e Wolf)
La differenza tra l’influenza della maggioranza e quella della minoranza dipende dal fatto che nel
primo caso ci sono più fonti di influenza. Quindi, l’impatto dell’influenza dipende dal numero di
stimoli presenti: nel caso della maggioranza ci sono più stimoli, quindi l’influenza sarà maggiore.
L’aumento dell’influenza non è lineare e l’ampiezza quantitativa dell’influenza può essere prevista
da un unico fattore (numero di individui). La natura qualitativa dell’influenza non può essere
determinata da un unico fattore.