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Psicologia Sociale dei gruppi

CAPITOLO 1° - DOMANDE

1. Criteri di distinzione del comportamento interpersonale da quello del gruppo per Tajifel.
Tajfel (1978) sottolinea l'importanza di distinguere il comportamento interpersonale da quello del
gruppo seguendo tre criteri principali:
1) La presenza o assenza di almeno due categorie sociali identificabili in modo non ambiguo:
Es.: uomo/donna
2) Il grado di variabilità (basso/alto) negli atteggiamenti o nel comportamento dei membri di
un gruppo: è uniforme nei comportamenti intergruppi, è gestito dalle differenze individuali
nei comportamenti interpersonali: Es. i tifosi
3) Il grado di variabilità del comportamento degli individui nei confronti dei membri di altri
gruppi.
In definitiva Tajfel colloca il comportamento sociale lungo un Continuum delimitato da due polarità:
- Intergruppi: l'interazione è determinata dall'appartenenza ai gruppi e dall'interazione tra loro;
- Interpersonale: l'interazione dipende dagli individui, dalle caratteristiche personali e dalle
relazioni interpersonali.
2. I livelli del comportamento sociale secondo Turner.
I livelli del comportamento sociale sono 3: personale, sociale e gruppale. Il primo è caratterizzato
dal rinnegare l’appartenenza familiare, il secondo dal legamento alla relazione e il terzo il rinnego
della propria famiglia spostando la polarità dal personale al gruppale in base al focus della
relazione. Se nel comportamento sociale è importante la relazione me-altro sto spostando la
polarità interpersonale, cioè sto spostando il comportamento sociale verso l’altro; viceversa se mi
relaziono come membro di un gruppo.
3. Genesi ella psicologia sociale dei gruppi.
Nasce in America intorno agli anni ‘30 sotto la spinta di eventi storici come la grande crisi
economica della crisi degli anni ’20.
4. Come Mayo ha contribuito alla nascita della psicologia sociale dei gruppi.
Accanto agli eventi storici sopracitati, Mayo diede importanza allo studio dei gruppi ristretti,
mettendo in evidenza l’importanza dei fattori umani sulla produzione e al gruppo come
organizzatore del comportamento degli individui, arrivando alla conclusione che la produttività del
gruppo era conseguente alla soddisfazione lavorativa dei suoi membri.
5. Evoluzione della psicologia sociale dei gruppi in Europa (quando e come).
McGuire individua che dalla metà degli anni ‘30 alla metà degli anni ‘50, il fulcro delle ricerche sul
gruppo sono state negli Stati Uniti, dopodiché si è spostata in Europa. Negli anni ‘60, con il
delinearsi di una psicologia sociale europea, le tematiche sulle dinamiche di gruppo di Lewin
subirono un declino. A partire dagli anni ’70 questo declino si fece sempre più intenso perché
venivano previlegiati approcci teorici sempre più individualistici e un ampio utilizzo di metodi di
laboratorio. Questi ultimi non sono adatti allo studio dei gruppi, tuttavia se sono necessari bisogna
prima comprendere sul campo i fenomeni di gruppo nelle loro variabili principali. Moreland, Hogg e
Hais compiono uno studio documentario nel quale si evince che il gruppo non è usato nella stessa
prospettiva da tutti gli autori ma può essere sia oggetto di studio sia un mezzo per studiare altri
fenomeni. Inoltre, questo studio mostra che dopo il declino degli anni ’70 e ’80, l’interesse per i
gruppi riprende negli anni ’90 sotto l’influsso dell’approccio europeo e della social cognition.
6. Le Bon: primissimi esordi della psicologia delle folle.
Le Bon pone l’attenzione verso le masse e le folle, viste come gregge che non può fare a meno del
padrone. Tramite Le Bon abbiamo processi di deindividuazzione degli individui che tendono ad
imitare gli altri passivamente. Secondo Le Bon, l’uomo massa sono individui anonimi suggestionabili
privati di volontà propria.
7. Prospettiva gestaltista di Lewin riguardo il gruppo.*
La prospettiva gestaltista di Lewin vede il gruppo come una totalità dinamica che evidenzia
caratteristiche diverse da quelle risultanti dalla somma delle sue componenti. Il gruppo si deve
evolvere, deve essere dinamico per poter sopravvivere. Il gruppo si può creare o in base a una
interdipendenza del destino, dove persone sconosciute, messe difronte ad un destino comune, si
coalizzano in un gruppo. Questa forma, tuttavia, è considerata più debole. Un’altra maniera in cui si
aggregano i gruppi è tramite l’interdipendenza del compito, dove gli individui si coalizzano grazie
uno scopo comune da seguire.
8. Action-research di Lewin.
L’action-research è una ricerca in cui sono attivi sia i soggetti/oggetti della medesima, sia i
ricercatori in essa impegnati, un esempio di action-research è quello riguardante il mutamento
delle abitudini alimentari. Tramite l’action-research, Lewin proponeva una metodologia di ricerca
che consente da un lato di intervenire sulla realtà sociale, dall’altro di trarre dalle esperienze
concrete nuovi elementi di conoscenza in un dinamico rapporto tra teoria e pratica sociale.
9. Definizione di T-Group secondo Lewin.
Il T-Group (training group) è un metodo di formazione attiva di gruppo, in cui i lavori sono svolti a
piccoli gruppi con un programma preciso e un osservatore che registrava i comportamenti. Tali
registrazioni non dovevano essere messe a conoscenza dei partecipanti ma solo del gruppo di
Lewin.
10. Differenza tra le varie minoranze per Moscovici.
Le minoranze eterodosse sono le minoranze contro normative ovvero portatrici di valori e norme
opposte a quelle delle maggioranze, mentre le minoranze ortodosse sono quelle pro normative in
quanto rafforzano le norme maggioritarie. Secondo Moscovici sarebbe bene indagare sui diversi
effetti delle minoranze contro normative che da un lato possono effettivamente esprimere valori
nuovi e contribuire alla trasformazione del clima socio politico, e che dall’altra possono incanalare
uno scontento diffuso nei confronti di una certa maggioranza. Per Moscovici sono i gruppi e non gli
individui capaci di introdurre nella dinamica sociale elementi di innovazione e mutamento.
11. Gli elementi che distinguono un gruppo secondo Merton.
La nozione di gruppo si è formata nel ‘57 con Merton che afferma: “un gruppo è un insieme di
individui che esercitano un rapporto reciproco e interagiscono fra loro esercitando reciproche
azioni che innescano un sentimento di appartenenza al gruppo, questi si percepiscono come
membri ma parallelamente anche le persone esterne li indicano come appartenenti al gruppo. Gli
individui interagiscono e si influenzano tra di loro”.
12. Definizioni di gruppo tra aggregazioni e unità sociali.
Ogni aggregazione di individui non è necessariamente un gruppo, le aggregazioni sociali si
distinguono in: artificiali (gruppi statici in base a qualche caratteristica comune ma non relazione),
non organizzate (insieme di individui nello stesso luogo e nello stesso momento senza legami). Le
unità sociali: con modelli di relazione (condividono un set di valori, abitudini e un linguaggio
comune), strutturate (con forte carattere di interdipendenza e relazioni strutturali quali comunità o
famiglia), intenzionalmente progettate (organizzazione o gruppo di lavoro), meno intenzionalmente
progettate (gruppo di amici, associazione, volontari). Queste due definizioni di gruppo differiscono
tra loro in base alle relazioni presenti tra i membri e la grandezza dell’aggregato in termini di
numero degli individui.
13. Collocazione dei gruppi nella scala micro e macro sociale.
I tre elementi che distinguono il gruppo da altri insiemi di persone sono: la continuità, la
somiglianza e le interrelazioni. Grazie a ciò si crea una grande differenza tra una scala micro sociale
nella quale i gruppi possono interagire tra loro, a una macro sociale dove non possono interagire.
Perciò vi è una necessità interdisciplinare per dividere livelli di analisi dei problemi delle relazioni
umani in macro e micro, per cui il controllo incrociato delle osservazioni ottenute ad un livello con
quelle di un altro livello farà sì che la cooperazione interdisciplinare divenga quel terreno di
incontro che dovrebbe essere.
14. Definizione interactionprocessanalysis di Bales
Secondo Bales l’interactionprocessanalysis è una osservazione delle interazioni di piccoli gruppi che
successivamente possono essere scomposte in atti microscopici, cioè atti che possono essere
decifrati. La più piccola parte di un comportamento significativo per altri membri può essere sia
verbale che non.
15. Categorie usate dall’interactionprocessanalysis di Bales
Le categorie di codifica nell'analisi dei processi di interazione e le loro relazioni principali vengono divise
in tre aree:
 Area socio-emozionale positiva dove l'individuo del gruppo:
 dimostra solidarietà elogiando gli altri, aiutando, mostrando stima;
 allenta le tensioni scherzando e mostrandosi soddisfatto;
 si dimostra d'accordo accettando con facilità, comprendendo, contribuendo ed eseguendo;
 dà suggerimenti pur rispettando l'autonomia altrui.
 Area del compito neutra dove l'individuo:
 esprime opinioni, valutando, giudicando, esprimendo sentimenti e desideri;
 fornisce degli orientamenti, informando, ripetendo, chiarificando, confermando;
 chiede degli orientamenti, informazioni, ripetizioni, conferme; chiede delle opinioni, valutazioni,
giudizi, espressione di sentimenti.
 Area del compito socio-emozionale negativa dove l'individuo:
 disapprova rifiutando, formalizzandosi, astenendosi dall'aiutare;
 dimostra tensione, chiedendo aiuto e ponendosi fuori dal gruppo;
 mostra antagonismo cercando di abbassare il livello degli altri, difendendosi o facendosi valere.
16. Diverse fasi dell’interactionprocessanalysis di Bales.
Attraverso la prima fase, quella dell'orientamento, il gruppo cercherà di avere un elevato livello di
comunicazione e di scambi di opinioni. Nella seconda fase, quella della valutazione, il gruppo
valuterà le idee differenti per essere in grado di prendere delle decisioni. Nella terza e ultima fase,
quella del controllo, i gruppi eserciteranno un controllo reciproco per poter arrivare alle decisioni e
portare a buon compimento il compito.
17. Primarietà e secondarietà dei gruppi.
La primarietà è costituita da un insieme di persone che interagiscono direttamente e sono legate da
vincoli di tipo affettivo, quindi presentano un forte senso di appartenenza e di lealtà nei confronti
del gruppo. La secondarietà, invece, è costituita da insiemi di persone che hanno scopi da
raggiungere, ruoli differenziati, in funzione del raggiungimento degli obiettivi, relazione di tipo
impersonale poiché basate sui fini pratici.
18. Formalità e informalità dei gruppi.
La formalità sono quei gruppi che si formano sotto un’egida istituzionale, che ne detta gli obiettivi
principali nel quadro di attività specifiche. L’informalità è caratterizzata da aggregazioni spontanee
il cui scopo non consiste nel perseguimento di una attività ma nell’intensità delle relazioni tra i
membri.
19. Definizione di gruppi naturali, inventati, quasi gruppi.
I gruppi naturali sono quelli che esistono indipendentemente dalle attività e dai propositi della
ricerca, i gruppi inventati sono creati come mezzi per la ricerca, vengono considerati meno
“naturali” dei precedenti nonostante siano inseriti nel contesto della sperimentazione reale. I quasi
gruppi sono creati come i precedenti a scopi di ricerca, ma non sono completamente dei gruppi,
poiché hanno pattern di attività altamente artificiale e costrittiva sia nel senso dei compiti che
vengono imposti, sia nel tipo di interazioni permesse.
20. Definizione di gruppo di riferimento.
I gruppi di riferimento sono quelli con cui l’individuo si identifica o ai quali aspira di appartenere.
21. Definizione di gruppo di Allport.
Second Allport non esiste una psicologia dei gruppi che non sia fondamentalmente ed interamente
una psicologia degli individui. Questo va nella posizione contraria di chi sostiene che, invece, possa
esistere una “mente di gruppo” che induce a fare azioni che, altrimenti, i singoli individui non
compierebbero mai (come nel caso delle folle). Nella definizione di questo concetto, Allport
riconduce i fenomeni gruppali a processi psicologici individuali (e quindi si ferma a un livello
interpersonale: prospettiva individualistica).
22. Definizione di gruppo secondo Asch.
Asch identifica il gruppo nelle sue azioni: gli individui compiono determinati azioni solo in funzioni
del gruppo, di fatto le singole azioni non contano, ma è la forza che le lega ad essere importante. È
il primo autore che ha colto l’importanza della percezione interpersonale nel guidare le interazioni.
23. Spiegazione del concetto di gruppo per Lewin.
Il gruppo, per Lewin, è innanzitutto una totalità dinamica caratterizzata dalla stretta
interdipendenza delle sue parti, le proprietà strutturali sono caratterizzati dalla relazione tra i
membri di un gruppo, piuttosto che dagli elementi stessi che lo compongono (psicologia della
gestalt).*
24. Sindrome di Stoccolma.
Sarebbe l’attaccamento della vittima al suo carnefice che può esser visto come una
esemplificazione del fatto che gli insiemi casuali degli individui possano divenire un gruppo sotto la
spinta di eventi imprevedibili o stressanti.
25. Concettualizzazione di gruppo secondo Sherif.
Sherif ha una concezione architetturale di gruppo, nel senso che egli è orientato a considerarlo
come una struttura in cui i membri sono legati da rapporti di status e ruoli in cui si delineano norme
e valori comuni.
26. Questione metodologica secondo Sherif.
Per Sherif è importante utilizzare metodologie di ricerca quali quelle osservative e di inchiesta
rispetto a quelle sperimentali. Poiché il metodo di laboratorio deve divenire l’ultimo tocco della
ricerca sui gruppi. Sottolinea l’esigenza di un approccio interdisciplinare, specialmente tra
psicologia e sociologia.
27. Il concetto di gruppo secondo Tajfel.
Per Tajfel il gruppo è costituito dal fatto che l’individuo si sente parte di esso e include tre
componenti: cognitiva (conoscere di appartenere al gruppo), valutativa (se l’appartenenza è
positiva o negativa) ed emozionale (i sentimenti positivi o negativi provati nei confronti del gruppo).
28. Definizione di entitatività di Campbell.
Il concetto di entitatività si riferisce al grado in cui un aggregato sociale è percepito dagli
osservatori come entità. I principi gestaltici di somiglianza, prossimità, destino comune e
organizzazione permettono di far emergere una percezione per cui un aggregato di persone diventa
una entità proprio perché i suoi componenti sono concepiti come simili.
29. Studi sull’entitatività in relazione alla percezione sociale (Hamilton e Sherman).
La percezione sociale è alla base dell’entitatività. Nella percezione dei gruppi sono all’opera dei
meccanismi simili a quelli che regolano la formazione delle impressioni relative agli individui.
Secondo Hamilton e Sherman ci si aspetta che i gruppi abbiano una entitatività più bassa (minore
unità, organizzazione e coerenza) di quello che ci si aspetta per le singole persone.
30. Studi sull’entitatività in relazione ai fenomeni di gruppo (Gaertner e Shopler).
Gaertner e Shopler ritengono che il concetto di entitatività giochi un ruolo centrale nei fenomeni di
bias intergruppi. L’entitatività può essere concettualizzata come una percezione di
interconnessione. Quindi, il favoritismo ingroup non è una conseguenza dei processi di confronto
sociale ma è interpretabile secondo la logica della teoria dell’equilibrio di Heider per cui
favoriscono gli altri nella misura in cui essi sono interconnessi al sé. Secondo gli autori, la
formazione psicologica di un gruppo può avvenire anche in assenza del confronto sociale con altri
gruppi ma può generarsi solamente dall’interdipendenza positiva intragruppo.

CAPITOLO 2° - DOMANDE

1. Definizione dei riti di passaggio.


I riti di passaggio sono meccanismi cerimoniali di regolamentazione del mutamento sociale, ovvero
le dimensioni individuale e collettiva si intrecciano. Così facendo possono crearsi delle alterazioni
sia riguardanti le identità del singolo che del gruppo.
2. Differenti riti di passaggio.
Vi sono: riti di passaggio preliminari, liminari e postliminari. I riti preliminari determinano la fase di
separazione vera e propria in cui l’individuo rinuncia all’ambiente a cui apparteneva. I riti liminari
segnano la seconda fase caratterizzata dal marcare il margine della vecchia appartenenza per
entrare in una nuova. I riti postliminari coincidono con la terza fase: il rito di aggregazione vero e
proprio, l’individuo è entrato nella nuova appartenenza e ne vive tutti i processi di aggregazione
sociale.
3. Il passaggio da un gruppo sociale all’altro secondo Levine e Moreland.
Levine e Moreland credono che, durante le nostre interazioni sociali, noi facciamo una analisi dei
costi e dei benefici analizzando innanzitutto cosa comporta l’abbandono di un gruppo (costi) e ciò
che si ricava nell’entrare in un altro (benefici). Durante questo passaggio da un gruppo sociale
all’altro massimizziamo i benefici, minimizzandone i costi. Passando da un gruppo all’altro,
analizziamo che la vecchia appartenenza non sia remunerativa a punto tale che conviene affrontare
i costi dell’entrata nel nuovo gruppo (teoria dello scambio sociale).
4. Il passaggio da un gruppo sociale all’altro secondo Hogg.
Secondo Hogg noi tendiamo ad autocategorizzarci come ingroup all’interno di gruppi dove
percepiamo che i tratti prototipici sono più simili ai nostri. Il passaggio avviene quando la
percezione di somiglianza diventa molto debole col vecchio gruppo e fortissima nei confronti del
nuovo, ci adattiamo cognitivamente e decidiamo di transitare a prescindere dei costi che comporta.
5. Definizione di locomozione sociale.
La locomozione sociale è il passaggio da un gruppo sociale all’altro.
6. L’iniziazione nell’esperienza d’entrata.
L’esperienza di entrata è una transizione sociale caratterizzata da due variabili: individuale
(riguardante i tratti personali) e collettiva (riguardante i tratti del gruppo). L’incrocio di queste due
variabili rende più o meno facile l’esperienza sociale d’entrata in un gruppo. Uno dei fattori
dell’esperienza d’entrata è l’iniziazione. L’iniziazione, secondo l’antropologia, è un simbolismo
rituale della morte e della rinascita dove attraverso un meccanismo rituale viviamo la morte come
uscita dalla vecchia appartenenza e la nascita nella nuova, attraverso una serie di rituali che hanno
un valore simbolico preciso (per esempio, nelle religioni sono importanti i riti d’iniziazione puberali,
come la circoncisione, il battesimo, etc.).
7. Definizione di transizione sociale.
La transizione sociale è una ridefinizione complessiva di tutte le relazioni, incide infatti sull’assetto
della relazione sia del singolo che del gruppo. L’individuo, appropriandosi dei meccanismi culturali
del gruppo in cui si inserisce, abbandona l’identità di singolo e diventa attraverso competenze
sociali membro del gruppo. Membership e groupship si intersecano nelle transizioni sociali che
sono regolamentate dai meccanismi cerimoniali o riti sociali.
8. Grado di formalizzazione della transizione sociale.
Esistono due tipi di formalizzazione che vanno a sostituire i meccanismi rituali delle società pre
letterate per il passaggio al mondo adulto: grado di formalizzazione molto basso e un grado di
formalizzazione molto alto. Nelle società post moderne abbiamo un grado di formalizzazione basso
ma non escludiamo i gradi di ritualizzazione possano essere altissimi in alcune culture.
9. Funzionalità simbolica delle transizioni sociali.
Le funzionalità simboliche sono tre: La prima funzione riguarda il cambiamento del concetto di sé,
nel quale ritualizzare la transizione aiuta a regolamentare anche il cambiamento della dimensione
di sé, la nuova appartenenza produce un cambio nel concetto di sé poiché le nostre appartenenze
sociali contribuiscono a definire del tratti della nostra identità. La seconda funzione riguarda la
fedeltà di gruppo, dove il processo di identificazione del singolo al gruppo da garanzie al gruppo
stesso, è un meccanismo cerimoniale di regolamentazione perché il gruppo attraverso il processo di
identificazione del singolo si garantisce la fedeltà del singolo al gruppo. La terza funzione è il
configurare i cerimoniali come un apprendistato, è una forma di socializzazione attraverso il
cerimoniale che ha la funzione simbolica di acquisizione della cultura del gruppo.
10. Le funzioni psicologiche delle iniziazioni severe.
Le iniziazioni severe hanno come funzione psicologica quella che viene definita “teoria della
dissonanza cognitiva” di Festinger, la quale afferma che se abbiamo condizioni tra loro dissonanti
cerchiamo un equilibrio tra le condizioni perché la dissonanza in noi crea un fortissimo conflitto,
cerchiamo quindi una consonanza, massimizzando i benefici e minimizzando i costi.
11. Principali caratteristiche dell’entrata nel gruppo scolastico.
I passaggi di scolarità sono assolutamente una rottura nelle relazioni sociali tanto in riferimento al
gruppo dei pari quanto al gruppo degli adulti, si vive un doppio riassetto relazionale e dipendono
molto dalle caratteristiche individuali e dalle esperienze pregresse ma richiede sempre un periodo
di osservazione a distanza.
12. Che cosa è il periodo probatorio.
Il periodo probatorio è un periodo di osservazione a distanza in cui l’individuo è circospetto, si
guarda attorno, per capire come inserirsi nel nuovo ambiente e nelle nuove regole del gruppo
(strategie di circospezione e conformismo). Questo serve ad accedere alla cultura del nuovo gruppo
dei pari a cui segue un vero e proprio processo di socializzazione.
13. Differenza tra groupship e membership.
La membership è l’essere parte di un gruppo sia in termini di rappresentazione mentale che di
capacità di identificare il gruppo come interlocutore e mediatore per la soddisfazione dei propri
bisogni. La groupship indica il bisogno fondamentale del gruppo in quanto entità sopraindividuale e
che può essere riconosciuto nella necessità di esistere e di raggiungere i propri obiettivi.
14. Definizione di processo di socializzazione per Moreland e Levine.
Il processo di socializzazione è un processo di apprendimento sociale, posso apprendere dal gruppo
i suoi contenuti tramite i quali possiamo essere membri competenti nel gruppo. Secondo il modello
di Moreland e Levine il processo di socializzazione ha una doppia agentività: l’individuo da una
parte e il gruppo dall’altra senza che ci sia un agente attivo e uno recettivo, sia l’individuo che il
gruppo sono circolarmente attivi e si influenzano reciprocamente.
15. Quali sono i meccanismi di valutazione nel processo di socializzazione.
La valutazione è un primissimo processo psicologico che sia l’individuo, sia i gruppi mettono in
azione nel momento in cui si trovano ad attivare un processo e un percorso di socializzazione. Si
basa sul meccanismo di remuneratività reciproca, ovvero la capacità di studiarsi reciprocamente in
funzione di quello che serve ai propri obiettivi. È una forma di osservazione e studio reciproco che
crea delle aspettative, il processo è valutare se queste aspettative sono corrisposte e realizzate
(aspettative normative reciproche). Nel momento in cui queste aspettative sono attese, cioè
ognuno va incontro all’altro, il processo di valutazione ha sicuramente una buona riuscita.
16. Quali sono le dinamiche di impegno nel processo di socializzazione.
L’impegno discende come esito dal processo di valutazione, ma attiva un confronto diacronico
distinguibile in due dinamiche dipendenti dai contesti: una valutazione diacronica intragruppo e
una valutazione diacronica in contesto intergruppi. Il processo di impegno innescato dalla
valutazione impone un confronto diacronico sia nel contesto infragruppo, sia in quello intergruppi e
questo se è positivo incrementa l’impegno, se è negativo –in quanto nel contesto intergruppi potrei
trovare altre appartenenze più funzionali di quelli che sono i miei bisogni– decrescerà il livello di
impegno.
17. Quali sono i meccanismi di transizione di ruolo nel processo di socializzazione.
Il meccanismo che consente il passaggio da una fase all’altra della transizione di ruolo è detto
cerimoniale rituale che stabilisce i livelli di impegno di ciascun agente in funzione di criteri
prefissati. Per ciascun passaggio di fase, abbiamo una transizione di ruolo (entrata, accettazione,
divergenza, uscita).
18. Fasi della socializzazione di gruppo secondo Moreland e Levine.
La vera realizzazione delle fasi del modello di Moreland e Levine è nella transizione di ruolo e
prevede 5 fasi: esplorazione, socializzazione, mantenimento, risocializzazione, ricordo.
19. Processi interni alla fase esplorativa.
Vi è l’attivazione di 2 processi di esplorazione in parallelo che poi si incrociano:
 Ricognizione individuale: l’individuo fa una ricognizione preventiva e in questa viene
influenzata fortemente dalle conoscenze preliminari e dalle esperienze pregresse di
appartenenza sociale.
 Reclutamento di gruppo: agiscono i parametri dello staffing level (processo di confronto
tra il numero ideale dei componenti di un gruppo e quello reale) e del
dimensionamento (si divide in sottodimensionamento caratterizzato da confini aperti, e
sovradimensionamento che invece ha confini chiusi).
20. Studi sull’eccessivo ottimismo della fonte
Ci sono una serie di ricerche riguardo l’eccessivo ottimismo, uno dei motivi sarebbe che l’individuo
tende ad attribuire una esagerata valutazione ai benefici che può ricavare dall’appartenenza di un
determinato gruppo, quindi mette in mostra l’immagine di sé. Un’altra teoria è la strategia della
riduzione della dissonanza cognitiva massimizzando i benefici e non tenendo conto i costi da
pagare. Infine, la teoria dell’attivazione dell’illusione autoservente induce all’errore di valutare
positivamente quello che rispecchia i nostri bisogni interni (self serving bias).
21. Il ruolo del nuovo arrivato nel gruppo sovradimensionato e sottodimensionato.
Appare evidente che la figura centrale della fase esplorativa sia il new comer. Di fronte ad un
gruppo sottodimensionato con confini aperti le pratiche di socializzazione per il neofita sono più
agevoli poiché ce n’è necessità e va a coprire una mancanza, mentre nel gruppo sovradimensionato
il neofita vive pratiche di socializzazione più severe perché il gruppo non ha bisogno di reclutare e
insorgono problemi di organizzazione del lavoro che provocano la necessità di una riorganizzazione
strutturale del gruppo.
22. Tipologie di New Comer.
Il New Comer può essere:
 Istituente (il nuovo arrivato costruisce un nuovo gruppo con gli altri neofiti e ne diventa il
membro istituente);
 Visitatore (neofita a tempo limitato);
 Trasferito (copre una mancanza);
 Regolare (si unisce ad un gruppo in corso);
 Sostituto (sostituisce se qualcuno va via prima).
23. Tipologie di Old Timers coinvolti nella socializzazione di gruppo.
Gli Old Timers coinvolti si fanno carico della parte esplorativa e possono essere:
 Modello (= guida che può essere anche non coinvolta);
 Trainer (= addestratore);
 Sponsor (= promovono, sostengono il New Comer);
 Mentore (ha una relazione esclusiva con il New Comer).
24. Caratteristiche del New Comer.
 È molto importante lo status (rango) del New Comer poiché serve per decidere se essere
accettato e con quale grado di accettazione farlo entrare. Più è elevato lo status del New
Comer, più facili diventano le pratiche di socializzazione.
 Le strategie di entrata messe in atto dal New Comer in fase esplorativa nel nuovo gruppo:
la ricognizione, l’acquisizione del proprio ruolo di neofita (sfociando spesso nel
conformismo), la strategia dei pari (il New Comer si rivolge ai propri pari per rendere la fase
di esplorazione più semplice) e la strategia della ricerca di referenti di fiducia (Old Timers).
 La capacità di portare innovazione derivante da una forte relazione tra pari che innesca
l’accomodamento participatorio (consapevole o inconsapevole, porta il gruppo a ragionare
sulla possibilità di cambiamento, di modifica del proprio assetto in funzione di quel
cambiamento).
25. Dinamiche della fase di socializzazione.
La fase di socializzazione funziona con un doppio processo incrociato, attivando la seconda
transizione di ruolo che è quella dell’accettazione. Prima di ciò, il gruppo cerca nella socializzazione
di cambiare il neofita e questo cerca di innovare il gruppo, queste due dinamiche si chiamano
rispettivamente: assimilazione (il gruppo deve essere aperto ad accogliere nuovi individui, e questi
ultimi devono porre maggior impegno, inoltre il gruppo percepisce il New Comer come somigliante
e questo facilita l’assimilazione) e accomodamento (il gruppo deve essere chiuso e per tal ragione
un numero cospicuo di New Comer è necessario affinché porti innovazione, infine tale innovazione
porta alla percezione di differenza che attiva un processo di accomodamento).
26. Fase di mantenimento.
È una fase essenzialmente di negoziazione di ruoli e di azione nel gruppo. L’impegno deve essere
alto e reciproco da ambe le parti in quanto entrambi concorrono allo stesso obiettivo. In questa
fase si consolida la specializzazione di ruolo all’interno dell’assetto gruppale.
27. Fase di risocializzazione: divergenza e convergenza
La divergenza una transizione di ruolo essenziale per far avvenire la risocializzazione. L’individuo e il
gruppo si cimentano nuovamente nel meccanismo dell’assimilazione e l’accomodamento. Se
funziona abbiamo la convergenza, altrimenti abbiamo l’uscita.
28. Fase del ricordo.
Fase prodotta dall’uscita del New Comer, agisce sia a livello collettivo che individuale. Il gruppo
deve riassettare mansioni e compiti che erano occupati dall’individuo, mentre questo valuta come
l’esperienza ha inciso sulla propria identità.
29. I 4 stadi dello sviluppo di gruppo secondo il modello di McMurrain e Gazda.
Nell’interazione si sviluppano 4 fasi: l’esplorazione necessaria per valutare il funzionamento del
gruppo in quanto i membri non si conoscono; la transizione in cui i soggetti –una volta osservati e
conosciuti– concordano gli aspetti operativi, l’azione (viene fissato l’obiettivo di gruppo, la modalità
e tutti si impegnano per realizzare il compito), e infine la conclusione dove prende parte la
dimensione affettiva con sentimenti positivi o negativi.
30. I 5 stadi dello sviluppo di gruppo in cui sono compresi sia l’aspetto socioemozionale sia quello
centrato sul compito secondo Tuckman.
 Il primo stadio è la formazione, un momento di grande incertezza ma essenziale per la
formazione del gruppo (ORIENTAMENTO + DIPENDENZA);
 Il secondo stadio è il conflitto dove i soggetti cercano di affermare sé stessi all’interno del
gruppo e ha una funzione costruttiva (NON EMOZIONALE + CONFLITTO);
 Il terzo stadio è la fase normativa, qui si cerca in maniera consensuale di costruire le norme
di comportamento (SCAMBIO + COESIONE);
 Il quarto stadio è la prestazione, una collaborazione tra i membri per risolvere il problema
di gruppo e raggiungere l’obiettivo (PROBLEM SOLVING + ROLE TAKING);
 Il quinto stadio è la sospensione per aggiornamenti, è formata da una sospensione
dell’attività e una preparazione alla fine del gruppo. Questa fase ha una doppia
categorizzazione: una pessimistica dove il gruppo si rende conto di aver esaurito la sua
funzione, e una ottimistica in cui si cerca di reinvestire in termini di dimensione collettiva.
31. Il modello di sviluppo gruppale di Worchel.
Presenta le 5 fasi di Tuckman ed una aggiuntiva: il periodo di malcontento, qui c’è un conflitto
distruttivo del gruppo che ha esaurito la sua funzione che porta a creare la condizione per cui si
possa successivamente creare un altro gruppo.
32. Intreccio tra socializzazione e sviluppo di gruppo nel modello di Tuckman.
Il gruppo subisce la sua evoluzione in termini collettivi, però tale dimensione di sviluppo è basata
sui singoli percorsi di socializzazione dei membri. Quello che fa la differenza è che all’interno del
processo di sviluppo del gruppo, entrano fasi differenti della socializzazione individuale.
33. Esperienza di uscita dal gruppo.
L’esperienza di uscita ha una doppia prospettiva: quella che ha riflessi sul singolo e quella che ha
riflessi sul gruppo. Analizzando la posizione dell’individuo possiamo dividere le uscite in collettive,
riferite ai gruppi che esauriscono la loro funzione e si chiudono e individuali che possono essere
volontarie o non volontarie, dettate da fattori interni o esterni. Anche nell’uscita sono presenti
meccanismi cerimoniali e rituali.
34. L’uscita secondo la teoria dell’identità sociale di Tajfel.
La nostra identità è fatta di appartenenze a categorie sociali, noi categorizziamo il mondo e
sentiamo di appartenere a categorie che sono più simili a noi e sentiamo di discriminarci da quelle
dissimili. Quando usciamo da un gruppo e transitiamo in un altro utilizziamo un comportamento di
exit – mobilità sociale - o un comportamento di voice – cambiamento sociale. Quando utilizziamo la
mobilità sociale ragioniamo come identità personale e ne beneficiamo solo come singoli, quando
invece pensiamo come identità sociale attiviamo un comportamento di cambiamento sociale e i
benefici coinvolgono tutto il gruppo.
35. Emigrazione ed esilio come esperienze d’uscita.
L’emigrazione e l’esilio sono due condizioni estreme di uscita. Questo ha implicazioni sull’identità
del se e dell’altro. L’emigrazione ha un forte riflesso identitario ed implica una ristrutturazione
dell’identità ma non solo di chi accoglie ma anche di chi arriva; è una forma di uscita che riguarda la
collettività. L’esilio si incentra sull’appartenenza, attraverso la lingua e rivede i tratti della sua
identità. Il soggetto proiettato in un altro contesto vive le condizioni interne del sé.

CAPITOLO 3° - DOMANDE

1. Definizione di status secondo Scilligo.


Lo status è una posizione che un individuo occupa in un gruppo e la valutazione di tale posizione in
una scala di prestigio. All’interno di un gruppo esiste una sorta di logica delle posizioni, all’interno di
questa logica ogni individuo ha la propria, base a questa si crea una gerarchia di gruppo essendo
posizioni superiori e inferiori.
2. Evidenze percettive di dominanza nel sistema di status.
I principali indicatori percettivi di dominanza sono la statura, il tono della voce e l’assertiva. Parlare
con un certo tono di voce guardando dritto negli occhi l’altro, interrompendolo o impartendogli
ordini, ci fa capire il ruolo ricoperto dal soggetto e la sua posizione di rilievo.
3. Indicatori del sistema di status.
Esistono due principali indicatori nel sistema di status: uno è il modello sociale, scala di prestigio e il
consenso del prestigio.
4. Funzioni del sistema di status.
Le principali funzioni del sistema di status sono:
 Ordine e prevedibilità: è più facile assolvere i propri doveri se ognuno ricopre la sua
funzione.
 Raggiungimento degli obbiettivi: produce un coordinamento delle prospettive individuali in
maniera tale da l’obbiettivo di gruppo sia raggiunto.
 Come lo status che noi possediamo in un gruppo diventa una misura per definire quello che
noi siamo, che conosciamo e che pensiamo di essere: permette di innalzare i livelli di
autostima e incide sui livelli di percezione di noi stessi.
5. Teoria del confronto sociale di Festinger.
La teoria del confronto sociale è scoprire la capacità di altri individui consentendoci di fare inferenza
sulle nostre capacità, di dire che confrontarci è utile e quando lo facciamo cerchiamo persone che
sono simili a noi sia negli attribuiti, sia nelle caratteristiche che ci interessano ma leggermente
superiori. Per poterne valutare le capacità che sono oggetto dell’autodefinizione.
6. Limiti della teoria del confronto sociale di Festinger.
Per autodefinirci effettuiamo anche autoconfronti con quello che eravamo, che siamo e che
vorremmo essere. Questi sono confronti temporali e sono fondamentali in alcune fasi della nostra
vita, quindi non esistono solo i confronti sociali. Un altro elemento critico è il confronto sociale che
è essenziale nel confronto intragruppo. Secondo Festinger non possiamo che confrontarci con
individui nel nostro gruppo, ma ciò non è vero. L’ultimo elemento critico è caratterizzato dal
definire i processi di confronto più o meno identici, generali e meno intenzionali e consapevoli, ma
non tutti fanno lo stesso tipo di processi, quindi i confronti sociali non sono generali e identici, né
meno intenzionali e consapevoli.
7. Definizione del ruolo secondo Levine e Moreland.
La definizione di ruolo secondo Levin e Moreland è: “l’insieme di aspettative condivise circa il modo
in cui dovrebbe comportarsi una persona che occupa una certa posizione nel gruppo”.
8. Definizione del ruolo secondo Bronfenbenner.
La definizione di ruolo secondo Bronfenbenner è: “l’insieme di attività e relazioni che ci si aspetta
da parte di una persona che occupa una particolare posizione all’interno della società, è parte di
altri nei confronti della persona in questione”.
9. Aspetti culturali e individuali del ruolo.
Nella rappresentazione di ruolo ci sono elementi che provengono dal contesto di appartenenza -
cioè da una dimensione di tipo sociale e culturale- che verifica una serie di caratteristiche attese da
chi ricopre quel ruolo. Le caratteristiche di personalità nell’interpretazione di ruolo sono
fondamentali per impersonare quello che proviene dalla cornice culturale.
10. Aspetti strumentali ed espressivi del ruolo.
La specializzazione dei ruoli sull’asse strumentale-espressivo, nella teoria di Bales è collegata
all’area socioemozionale positiva e negativa che rientra nella dimensione espressiva. L’area neutra
del compito rientra nella dimensione strumentale esecutiva, questo vuol dire che in tutti i gruppi vi
è sia la presenza di ruoli più votati all’esecutività del compito, sia di ruoli che gestiscono la
relazione.
11. Aspetti formali e informali del ruolo.
I ruoli formali provengono da caratteristiche ascritte culturalmente ai quali però si lascia sempre un
margine legato all’interpretazione dei nostri tratti di personalità. I ruoli informali non possiedono
caratteristiche che provengono dalla cornice socioculturale ma si consolidano autonomamente
all’interno del gruppo che andiamo a costruire.
12. Funzioni della specializzazione dei ruoli.
Le funzioni della specializzazione dei ruoli sono:
 Facilitare il raggiungimento dello scopo di gruppo: la mole di lavoro è suddivisa tra i vari
membri facilitandone l’esecuzione;
 Portare ordine e prevedibilità nel gruppo: i ruoli si basano su aspettative condivise e in
questo modo tutti sanno cosa aspettarsi e da chi;
 Sostegno alla nostra autodefinizione: la specializzazione di ruolo è l’unità di misura sociale
per autovalutarsi.
13. Conflittualità nell’assunzione di ruolo.
I ruoli che impersoniamo generano conflitti che possono essere esterni (competizione tra i membri
del gruppo per ricoprire un determinato ruolo) o interni (discrepanza dei ruoli che noi ricopriamo
nelle molteplici appartenenze che abbiamo nella vita sociale, si crea una dissonanza che si
ripercuote sulla sfera intrapsichica).
14. Definizione di norme secondo Sherif.
Una norma definisce la gamma o latitudine delle differenze individuali che i membri del gruppo
ritengono accettabile, nonché il limite aldilà del quale un certo comportamento può essere
biasimato tramite la disapprovazione o altre sanzioni a seconda della gravità della violazione.
15. Definizione di norme secondo Levine e Moreland.
Le norme sono: l’insieme di aspettative condivise circa il modo in cui dovrebbero comportarsi i
membri di un gruppo.
16. Differenze tra sistema normativo implicito ed esplicito.
Nel sistema normativo possiamo parlare di norme esplicite e norme implicite, quelle esplicite sono
un insieme di norme sulle quali si consolida il sistema normativo-formale in cui la struttura
normativa viene codificata dopo un lungo processo di formazione. Quelle implicite, invece sono
norme non formalizzate e non istituzionalizzate che però esercitano un forte grado di influenza sui
membri del gruppo in cui le norme sono informali e la struttura normativa nasce dalla dimensione
affettiva del gruppo.
17. Caratteristiche delle norme centrali e periferiche.
Le norme possono essere divise in centrali e periferiche (sono chiamate anche zone grigie): le prime
non sono derogabili e forniscono un assetto al gruppo consentendone la sopravvivenza, le seconde
sono derogabili e vengono considerate dal gruppo come più marginali al proprio schema di
comportamento e seguono una logica posizionale (ovvero sono derogabili solo da chi possiede una
posizione elevata ne sistema si status all’interno del gruppo).
18. Processi di produzione della norma: prospettiva di Opp.
Opp dice che esistono vari tipi di norme all’interno del gruppo e a seconda della tipologia c’è uno
specifico processo che le costruisce. Il processo di formazione della norma è ad hoc per tipologia
peculiare di norma, ne esistono 3: le norme istituzionali (sono imposte, formali e ufficiali), le norme
volontarie (sono frutto di negoziazione intergruppale) e le norme evolutive (apprese dagli altri).
19. Processi di produzione della norma: prospettiva di Feldman.
Feldman dice che le norme si formano per patterns iniziali di comportamento: gli stili di
comportamento diventano modalità che identificano il gruppo, ovvero il sistema normativo.
20. Processi di produzione della norma: prospettiva di Bettenhausen e Murnighan.
Bettenhausen e Murnighan danno una spiegazione cognitiva della spiegazione delle norme. Noi
agiamo attraverso schemi cognitivi (script, copioni, etc.), ognuno di noi arriva all’interno del gruppo
con i propri script e non possono coesistere con quelli del gruppo, quindi si arriva ad una
negoziazione cognitiva così da creare copioni condivisi di interpretazione delle situazioni.
21. Esperimento di Sherif sull’effetto autocinetico.
Sherif fornisce la teoria di formazione delle norme più complessa: quella della genesi sociale. Tale
spiegazione è esemplificata con l’esperimento dell’effetto autocinetico. Guardando un puntino
luminoso in una stanza buia si ha l’impressione che dopo un po’ si muova e l’entità degli
spostamenti varia di persona in persona. Tale esperimento si basa su un compito di giudizio:
l’individuo deve giudicare in funziona di qualcosa che deve crearsi al momento nella sessione di
giudizio. C’erano tre condizioni sperimentali:
1) situazione individuale (19 soggetti che creano la propria norma soggettiva);
2) situazione di gruppo (40 soggetti: 20 prima da soli e poi con il resto del gruppo, 20 nella
sottocondizione contraria);
In queste due sottocondizioni di gruppo il soggetto che ha prima valutato in maniera individuale e
poi in gruppo finisce per uniformarsi gradualmente, quell’individuo invece che si trova a valutare
prima nella condizione di gruppo interiorizza il punto di riferimento costruito dal gruppo. Il tipo di
conformismo che emerge dalla situazione descritta è l’influenza sociale informativa. Quando
l’individuo si trova in situazioni ambigue, assume il comportamento degli altri e si adegua in
maniera inconsapevole. Le persone sono influenzate a vicenda e si usano a vicenda come fonte di
informazione per produrre insieme una risposta. Si sviluppa così una norma percettiva di gruppo.
22. Funzioni sociali delle norme secondo Catwright e Zander.
Catwright e Zander individuano 4 funzioni sociali delle norme:
1) Avanzamento del gruppo (le norme consentono di raggiungere gli scopi);
2) Mantenimento del gruppo (le aspettative di comportamento secondo l’identità del
gruppo, ne permettono la conservazione di gruppo in quanto tale);
3) Costruzione della realtà sociale (le norme consentono di costruire una concezione
quanto più simile a quella condivisa dalla realtà);
4) Definizione delle relazioni con l’ambiente sociale (si valuta sia l’intersoggettività, sia
le relazione con altri gruppi, sia dei sottogruppi).
23. Stabilità del sistema normativo.
Le norme sono assolutamente stabili, ma i cambiamenti sono possibili. Il sistema, secondo un
esperimento di Jacobs e Campbell, il sistema normativo comincia a scricchiolare al sesto cambio
generazionale, questo ci dice che il sistema normativo deve essere stabile perché altrimenti il
gruppo non sopravvive.
24. Possibilità di cambiamento del sistema normativo.
Coch e French propongono un esperimento in una azienda di pigiami, dove si introduce una
innovazione all’interno del ciclo produttivo. Si nota che alcuni hanno una scala di orientamento al
nuovo più altra rispetto ad altri. Allora per dimostrare che l’innovazione non dipende da tratti
individuali si induce ad utilizzare la tecnica della partecipazione totale. La partecipazione produce
cambiamento, anche del sistema normativo.
25. Definizione di processo comunicativo.
Il processo comunicativo è la trama, la causa e il riflesso della struttura interna del gruppo,
collegando e determinando le relazioni interpersonali, le amicizie o inimicizie, gli accordi o
disaccordi, la collaborazione o la competizione. Le comunicazioni (verbale, non verbale,
paraverbale, codici verbali) sono causa ed effetto, sono quella struttura che informa il gruppo e
senza la quale il gruppo non esisterebbe. La letteratura psicosociale distingue i processi
comunicativi in: rete di comunicazione e strutture di comunicazione.
26. Definizione di rete comunicativa
La rete comunicativa è la comunicazione in potenza, ovvero in qualcosa che potrebbe esistere.
Secondo Flament, la rete comunicativa è “l’insieme dei canali di comunicazione presenti in un
gruppo”.
27. Definizione di struttura di comunicazione.
La struttura comunicativa è la comunicazione in atto, ovvero in qualcosa che viene attualizzato nella
realtà. È l’insieme di comunicazioni che si sono effettivamente scambiate all’interno di un gruppo.
28. Influenza delle caratteristiche dello spazio sulla comunicazione.
Moscovici e Doise dimostrano che la scelta di alcuni ambienti influisce sulla dinamica di
partecipazione. Annese ha condotto alcune focus group discussion utilizzando ambienti diversi ma
con la stessa traccia di intervista e si evince che quando l’intervista veniva condotta in casa degli
intervistati tutto funzionava benissimo, ma se condotta in un luogo diverso produceva effetti
devastanti perché alcune disposizioni dei mobili potrebbero far pensare ad un’organizzazione
gerarchica della partecipazione ad una conversazione di tipo asimmetrico portando difficoltà ad
esprimere spontaneamente i propri punti di vista. Moscovici e Lècuyer deducono che esiste una
dinamica di polarizzazione nella quale i soggetti si sentono più coinvolti e una di comunicazione
normalizzata, ovvero vi è meno implicazione dovuto ad un ambiente più o meno aggregante.
29. Strategie di conduzione nelle dinamiche comunicative.
Quando noi conduciamo ad esempio una situazione comunicativa, possiamo decidere di essere più
strutturati o meno strutturati. La strategia di conduzione nelle dinamiche comunicative è quella di
scegliere uno stile (protocollo con intervista semi-strutturata, protocollo libero da vincoli temporali,
interviste biografiche in cui si chiede di raccontare la propria vita, etc.), un grado di strutturazione
piuttosto che un altro così da centrarsi sui contenuti o sulle procedure. La scelta produce un esito
diverso della dinamica comunicativa, con un grado di strutturazione alto le interviste sono brevi e
mirate, altrimenti sono più lunghe.
30. Modalità di partecipazione nella comunicazione di gruppo.
Le modalità di partecipazione dipendono dal grado di strutturazione e possono essere:
partecipazione normalizzata (polarizzazione o partecipazione consensuale che ha un maggiore
coinvolgimento degli intervistati ma caos e disordine) oppure partecipazione normalizzata (ordinata
ma con scarso coinvolgimento).
31. Studi sulle strutture di comunicazione.
Tali studi focalizzano attraversi l’applicazione dell’IPA (Interaction Process Analysis) di Bales. Si fa un
profilo interazionale di gruppo che fornisce l’organizzazione gerarchica, la logica di status,
l’assegnazione dei turni comunicativi ad un’area più esecutiva o ad un’area più relazionale.
32. Studi sui processi comunicativi.
Gli studi sui processi comunicativi analizzano i processi comunicativi come strumento metodologico
per raggiungere altri obiettivi di ricerca (indagare gli aspetti della vita del gruppo). Il più importante
è lo studio di Festinger e Scharcther sulla coesione e sulla devianza. Si ipotizza che quando c’è una
deviante nel gruppo, se questo è ben coeso mette in pratica strategie di espulsione, reale o
simbolica.
33. Studi sulle reti comunicative.
Questi studi utilizzano metodi matematici e sperimentali e si utilizzano compiti fortemente
restrittivi. I più rilevanti sono quelli di Bavelas e Leavitt su soggetti riuniti in una stanza senza poter
parlare (compito altamente restrittivo): vengono dati una serie di simboli attraverso dei cartoncini e
devono capire quali sono i simboli comuni attraverso la comunicazione restrittiva. La misurazione
avviene attraverso una serie di fattori: tempo di risoluzione, correttezza della risoluzione e numero
degli scambi (indice di distanza), centralità di uno più membri (indice di centralità). Gli autori fanno
misure sulla rapidità, precisione, numero di comunicazioni, clima e morale del gruppo e livelli di
gratificazione e soddisfazione.

CAPITOLO 4° - DOMANDE

1. Definizioni di leadership
Secondo Brown l'autorità leader riguarda quella persona che può influenzare gli altri membri di un
gruppo più di quanto sia essa stessa influenzata, secondo Hollander la leadership è un processo e
non una persona in quanto implica un'interazione fra leader, seguaci e situazioni, per Novara e
Sarchielli è una forma di influenza caratterizzata dalla capacità di determinare un consenso
volontario, un'accezione soggettiva e motivata nelle persone rispetto a certi obbiettivi del gruppo e
dell'organizzazione, infine per Turner rappresenta o un ruolo sociale informale o un esercizio di
influenza agito da uno o più membri del gruppo.
2. Che cosa è l'approccio dei tratti.
Il leader che comanda ha dei tratti predittori di leadership: intelligenza, vigilanza...ma questo
presenta anche un limite perché gli stessi tratti possono rappresentare sia fattori di successo che di
fallimento. Nella leadership va valutato anche il processo interpersonale, in quanto il leader deve
possedere le caratteristiche necessarie a commisurarsi alle situazioni.
3. Concezione di leadership secondo Bodiou.
La leadership, secondo Bodiou, è una strategia identitaria, che permette all'individuo di soddisfare
certi suoi bisogni, quali il rinforzo dell'immagine di se', la valorizzazione di se', il desiderio di contare
agli occhi degli altri e di sedurli.
4. Approccio dei comportamenti del leader.
Il leader deve possedere 4 principali fattori comportamentali: la considerazione (include aiutare i
sottoposti, spiegare le cose, porre attenzione alla loro sicurezza sociale), il dare origine ad una
struttura (include il far seguire le regole e le procedure), l'enfasi sulla produzione e la sensibilità.
5. Gli stili di leadership nella ricerca di Lewin, White e Lippit.
Esistono 3 tipi di leadership: - autoritaria che presenta un clima non soddisfacente, forte
aggressività e bassa produttività;
- democratica con un buon livello di produttività e gratificazione;
- permissiva caratterizzata da un clima caotico e da uno scarso rendimento.
6. Stili di leadership nella ricerca di Blake e Mouton.
Per Blake e Mouton esistono 5 stili di leadership:
- povero, in cui è basso sia l'interesse per le persone che quello per la produzione;
- circolo ricreativo dove è alto l'orientamento alle persone e basso quello alla produzione;
- orientato al compito nel quale è alto l'interesse per la produzione e basso quello per le
persone;
- metà strada che mostra un interesse medio per il compito e per la relazione;
- team o squadra in cui è alto sia l'orientamento alla produzione, sia l'orientamento alle
persone.
7. Quali sono i fattori situazionali importanti per la leadership?
I fattori situazionali più importanti sono: il compito, il tipo di interazioni interne al gruppo,
l'ampiezza del gruppo (se molto ampio può esserci una relazione leader - membro
depersonalizzata) e lo stadio di sviluppo in cui si trova il gruppo.
8. Limiti dell'approccio situazionista.
I limiti dell'approccio situazionista sono:
- l'enfasi sulla nozione di situazione ha portato a trascurare il peso che hanno le qualità del
leader;
- il termine situazione ha avuto troppo rilievo soprattutto alle richieste relative al compito,
limitando la portata nozionale di situazione;
- il leader è un elemento situazionale di una certa rilevanza, poiché contribuisce a definire e
a dare forma alla situazione stessa;
- il puro approccio situazionista non riesce a render conto dell'evolvere delle relazioni leader
- membri nel corso del tempo.
9. Che cosa è l'approccio interazionista alla leadership?
L'approccio interazionista mette in relazione due variabili: lo stile della leadership con la situazione.
10. Il modello della contingenza di Fiedler.
Il modello della contingenza è costruito su tre fattori messi in relazione tra loro: leader, membri e
situazione che mette in evidenza due tipi di leader, quello più strumentale orientato al compito
considerato il meno preferito e quello che si incentra di più sull'area socio-emozionale,ovvero il
leader di tipo relazionale.
11. Il modello della presa di decisione di Vroom e Yetton.
Nel modello della presa di decisione abbiamo 5 steps: stile autocratico, autocratico con richiesta di
informazioni, consultivo individuale, consultivo di gruppo e partecipativo. I membri vengono
considerati integralmente e le decisioni del leader vengono prese dopo aver sentito l'opinione dei
membri.
12. Il modello della Path goal theory.
Il leader deve fare una sorta di mappa dei bisogni di ciascun membro e soddisfarli e deve risultate
motivante per i suoi subordinati essendo in grado di far comprendere loro che la soddisfazione dei
loro bisogni va di pari passo con il raggiungimento dell' efficacia produttiva.
13. Stili di leadership nella situational leadership theory.
Questa teoria è caratterizzata da 4 stili legati al fatto che il leader valuta la maturità dell'intero
gruppo e in funzione di questa decide se essere più o meno direttivo o supportivo. I 4 stili sono:
telling (molta guida e poco sostegno), selling (molta guida e molto sostegno), participating (poca
guida e molto sostegno) e delegating (poca guida e poco sostegno).
14. Leadership come processo.
La leadership è un processo di influenza sugli altri per far loro comprendere e accettare decisioni
che facilitano gli sforzi individuali e collettivi per il raggiungimento di obbiettivi comuni.
15. Approccio transazionale allo studio della leadership.
È una sorta di negoziazione tra i leader, i membri, la situazione e tutti i fattori coinvolti all'interno
del processo di leadership. Viene chiamata anche teoria dello scambio.
16. Il modello del credito idiosincratico.
Nel modello idiosincratico di Hollander il leader fa attenzione al gruppo nella sua interezza e cerca
di proporsi come leader. Per essere accettato deve acquisire credibilità e questo avviene secondo 4
fasi: conformismo iniziale, competenza, legittimità e identificazione con il gruppo, che deve
legittimare il leader e può essere sia esterna che interna.
17. Che cosa è il Vertical Dyad Linkage?
Il modello dei legami verticali di leadership e il modello della costruzione della leadership,
conosciuto anche con il nome di VDL afferma che i rapporti tra il leader e i followers non sono
considerati tutti allo stesso livello; in altre parole il gruppo non viene preso in considerazione come
un tutto omogeneo e si parte dall'ipotesi che ogni seguace costruisca un rapporto specifico con il
capo.
18. Quali sono le fasi di costruzione della leadership (Graen e Uhl -Bien)?
Graen e Uhl-Bien sono giunti a presentare un modello di costruzione della leadership costituito da
3 fasi attraverso cui il legame da esterno (outgroup) si fa interno (ingroup). Il leader deve essere in
grado di contrattare singolarmente con ciascun membro fino a creare un legame ingroup tale da
essere riconosciuto da ciascun membro del gruppo. Le tre fasi sono: fase sconosciuta (interazioni
limitate), fase di conoscenza (iniziano gli scambi), fase matura di associazione (scambi di alta
qualità).
19. Approccio trasformazionale allo studio della leadership.
Questo approccio considera i leader come individui che stimolano le motivazioni dei seguaci allo
scopo di raggiungere in modo adeguato sia i propri scopi che quelli dei seguaci.
20. Definizione di leadership trasformazionale.
Il leader trasformazionale si impegna attivamente con i suoi seguaci, creando con essi una
interrelazione che eleva sia la propria motivazione e il proprio morale sia quelli dei sottoposti. Si
tratta di un leader attento ai bisogni, alle motivazioni e alle potenzialità delle persone a lui
subordinate.
21. Leadership carismatica.
La leadership carismatica è caratterizzata da un vincolo di tipo affiliativo che consente
l'sterilizzazione del sistema valoriale al punto tale che questo modifica tutti coloro che partecipano
al gruppo.
22. Quali sono i fattori di leadership trasformazionale nella teoria di Bass.
I fattori di leadership trasformazionale comprendono quattro fattori conosciuti come le quattro I :
influenza idealizzata, motivazione ispirazionale, stimolazione intellettuale e considerazione
individualizzata.
23. Quali sono i fattori di leadership transazionale nella teoria di Bass.
Questo tipo di leadership si realizza quando il leader premia e punisce i collaboratori a seconda
dell'adeguatezza della loro prestazione. Essa comprende due fattori: la ricompensa contingente e la
direzione per eccezione che a sua volta può essere attiva quando vi è un'osservazione da vicino di
quanto fanno i sottoposti e passiva quando l'intervento del leader non è immediato.
24. Quale è il fattore non leadership.
La non leadership è l'estremo negativo, in quanto parliamo di qualcuno che non vuole fare il leader
e il gruppo viene lasciato a se stesso, causando problemi al clima affettivo e alla produttività.
25. Quali sono le caratteristiche del modello femminista di leadership secondi Griggs.
Il modello di leadership femminista presenta le seguenti caratteristiche: strutture partecipative
piuttosto che autoritarie, una concezione del potere come forza condivisa, diversa gestione del
conflitto, ambiente lavorativo di tipo supportivo e valorizzazione della differenza.
26. Caratteristiche femminili di leadership.
Le donne presentano una concezione del potere come energia e forza che possono essere
condivise, vedendolo quindi in termini relazionali e cooperativi, inoltre la struttura della leadership
femminile ha una forma a rete, in cui le persone sono interrelate fra loro, il leader fa parte del
cerchio avendo una visione maggiore dei subordinati e maggiori informazioni. I conflitti
costituiscono un momento di interazione forte, che permette di dissolvere i problemi con fiducia
reciproca coinvolgendo i partecipanti alla ricerca di una soluzione condivisa, grazie a questo la
socializzazione è più sviluppata e vi è maggiore incoraggiamento e comprensione.
27. Caratteristiche della leadership maschile.
Gli uomini concepiscono il potere come dominazione e controllo degli altri, la struttura è verticale e
ti tipo gerarchico, i conflitti vengono visti come una minaccia e un qualcosa di essenzialmente
negativo e la socializzazione è ridotta rispetto a quella delle donne.

CAPITOLO 5° - DOMANDE

1. Definizione di coesione di Schachter 1951.


La coesione è il cemento che tiene insieme i membri di un gruppo e mantiene le loro reciproche
relazioni.
2. Definizione di coesione interpersonale di Lott e Lott 1965.
Un gruppo è coeso quando in realtà si stabiliscono delle relazioni tra i membri all’interno del
gruppo. Queste relazioni interpersonali possono essere di simpatia o antipatia, giustificando una
forma di attrazione interpersonale che costituisce la natura di questo cemento.
3. Definizione di coesione sociale di Hogg 1992.
La natura della coesione, secondo Hogg, è una natura sociale ma ciò non esclude la possibilità che
vi sia una attrazione interpersonale. Secondo Hogg ci sono due tipi di coesione: quella
interpersonale (tra persone) e quella sociale (attrazione verso l’immagine prototopica del gruppo).
4. Fattori causali della coesione interpersonale.
 Prossimità fisica: vicinanza spaziale, si vengono a creare così;
 Uniformità di opinioni: condivisione comune della visione della realtà, degli altri e di sé;
 Somiglianza ed Esistenza di un obiettivo comune: il gradimento interpersonale è dovuto alla
condivisione delle stesse opinioni che porta al gradimento dei comportamenti comuni,
quindi ad essere simili.
5. Fattori causali della coesione sociale.
(Conflitto, Successo e fallimento della competizione intergruppi, Spiegazione evolutiva e Senso di
appartenenza)
Il primo fattore sociale che spiega la coesione è la dinamica del conflitto che può portare a un
successo o a un fallimento. Mayers disse che se nel conflitto intergruppi uno dei due ha successo, si
innalza il livello di coesione sociale. Diversi esperimenti hanno mostrato che, se posti in una
situazione competitiva con grado di successo elevato, i soggetti tendono ad incrementare la
percezione di sé come facente parte di un gruppo, questo prende il nome di Spiegazione evolutiva.
È stato dimostrato però che anche il fallimento rende un gruppo coeso perché subentra il concetto
di senso di appartenenza, ovvero se apparteniamo ad un gruppo, questo va incontro al fallimento e
noi abbiamo consapevolezza di come questo influenza la nostra immagine, si crea una dissonanza
cognitiva che l’individuo tenta di risolvere incrementando la propria identificazione con il gruppo.
6. Effetti della coesione sul gruppo.
(Interpersonale e sociale sulla produttività)
Sono stati fatti degli studi sul rapporto tra produttività e i due tipi di coesione, arrivando alla
conclusione che ha un maggior incidenza di produttività la coesione sociale rispetto a quella
interpersonale perché vi è una maggiore identificazione con l’immagine prototopica del gruppo che
porta ad impegno maggiore da parte dei membri. La prestazione causa la coesione ed sono
entrambi mediati dal sistema normativo del gruppo.
7. Definizione di conformismo.
Il conformismo è l’influenza che il gruppo maggioritario esercita sul resto del gruppo ed
eventualmente su posizioni minoritarie.
8. Paradigma maggioritario di Asch.
(Studi sul potere della maggioranza: Esperimento di Asch 1955)
Secondo questo paradigma i soggetti si adeguavano alla maggioranza, nonostante fossero
consapevoli che la risposta era errata, perché non volevano essere diversi dal resto del gruppo o
perché temevano di non possedere tutte le informazioni necessarie. Quindi nel primo caso
l’influenza che genera la maggioranza è l’influenza del pubblico che produce una forma di
acquiescenza (compliance), cioè non produce una convinzione interiore e intima del cambiamento
indotto dalla maggioranza, ma superficiale, nel secondo era determinata dalla mancanza di
informazioni. Quindi la causa della compiacenza è di tipo informativo come l’effetto della
maggioranza, mentre l’effetto di compliance è pubblica.
9. Varianti della ricerca di Asch.
Varianti del paradigma di Asch : Ampiezza della maggioranza
Varianti del paradigma di Asch : Divergenze nell’opinione maggioritaria
Varianti del paradigma di Asch : Studi interculturali
Sono state apportate alcune variazioni al paradigma di Ash:
 Il numero dei collaboratori viene via via amplificato per comprendere quanto numerosa è
la maggioranza. È venuto fuori che aumentare il numero della maggioranza produce un
effetto direttamente proporzionale all’aumento della maggioranza, fino a che questa
maggioranza non raggiunge i confini della folla, in quanto questa ha meno impatto sul
singolo del gruppo maggioritario;
 Vengono create divergenze nell’opinione maggioritaria introducendo in un caso due
soggetti ingenui, nell’altro un complice che come il soggetto ingenuo risponde
correttamente e nell’ultimo un complice che propone una terza risposta. Da questa
variante si evince che basta spezzare la maggioranza affinché si creino opinioni diverse,
quindi la maggioranza non è infallibile, ma può essere influenzata se vengono integrate
delle differenze;
 I meccanismi di compliance e informativi sono collegati alla cultura storica e cultura del
contesto di appartenenza. Una struttura economica che chiede un alto grado di
interdipendenza crea un alto grado di conformismo come nelle culture collettivistiche,
mentre una cultura individualistica fondata sull’indipendenza porta a un livello minore di
compliance alla pressione maggioritaria.
10. Esperimento dell’effetto autocinetico di Sherif in relazione all’influenza maggioritaria.
(Studi sul potere della maggioranza: Esperimento di Sherif 1936)
Secondo Sherif il gruppo esercita un’influenza maggioritaria, però questo conformismo nel
momento in cui entra nel compito di stima individuale, viene interiorizzato, non è più
semplicemente un’adesione superficiale ma interna, perché viene memorizzata, la si fa propria e
viene utilizzata in una sessione individuale. Sherif quindi parla di un’influenza di tipo normativo,
norma interiorizzata che viene dalla maggioranza, che si fa propria per essere utilizzata al fine di
compiacere la posizione maggioritaria.
11. Pressione del gruppo e comportamento antisociale vs. pro sociale.
(Studi sul potere della maggioranza: Esperimento di Milgram 1963)
Secondo Milgram vi è un effetto di compiacenza, quindi ci si adegua alla pressione maggioritaria.
Quando c’è una pressione normativa da parte della maggioranza, anche se in direzione antisociale
(i soggetti ingenui seguono l’esempio del complice e somministrano scosse violentissime), noi con i
nostri comportamenti ci uniformiamo a questa pressione antisociale, nonostante tutto il
conformismo può avvenire anche in direzione pro sociale (i complici mettono in atto azioni pro
sociali fermandosi nel somministrare le scosse, vedendo ciò i soggetti ingenui si adattano di
conseguenza). La pressione normativa del gruppo in termini di conformismo è fortissima perché, o
che agisca in direzione antisociale o pro sociale, noi le riconosciamo la capacità di influenzare la
maggioranza.
12. Influenza informativa e scopo di gruppo (Festinger) quale fattore causale del conformismo.
Festinger afferma che noi ci affacciamo al mondo con le nostre credenze, le nostre mini-teorie, ma
poi abbiamo bisogno di verificare che queste siano compatibili con quelle degli altri. La verifica delle
nostre credenze sul mondo genera consenso che produce conformismo e l’influenza di tipo
informativo, cioè andiamo a verificare se le conoscenze che possediamo sono corrette o meno.
Secondo Festinger più i compiti affidati a un gruppo sono complessi più si creano uniformità nelle
opinioni del gruppo, perché ha bisogno di consenso sugli strumenti da utilizzare per raggiungere lo
scopo di gruppo. Questo è sicuramente un meccanismo di compliance, cioè produce uniformità di
opinioni su quelli che sono i passaggi per raggiungere l’obbiettivo e questa uniformità diventa via
via più influente.
13. Influenza normativa (Deutsch e Gerard) quale fattore causale del conformismo.
Secondo questo modello se noi ci comportiamo diversamente degli altri, questi ci respingono, per
evitare ciò e per evitare la disconferma sociale diventiamo compiacenti e generiamo conformismo.
Questo conformismo non ha origine informativo ma normativo perché la paura di essere diverso e
quindi essere respinto è un’esigenza normativa.
14. Influenza informativa del referente (Turner) quale fattore causale del conformismo.
Noi ci auto-categorizziamo, quindi quello che sviluppiamo è una capacità di costruire la nostra
identità attraverso l’appartenenza ad una categoria sociale che ci auto-assegniamo. Si crea così una
forma di auto-stereotipo (immagine prototopica di gruppo che noi facciamo nostra, la integriamo,
la assimiliamo e ci adattiamo cognitivamente ad essa); questo vuol dire assegnarsi cognitivamente
quelli che sono i comportamenti dello stereotipo di gruppo e adeguarsi ai comportamenti dei
membri del gruppo.
15. Influenza evolutiva (Costanzo e Shaw) quale fattore causale del conformismo.
La prospettiva di tipo evolutivo causa il più alto livello di conformismo. In una determinata fascia di
età che va dagli 11 ai 13 anni, i ragazzi sono maggiormente soggetti alle influenze del gruppo dei
pari, come nei bambini tra i 3 e 5 anni di età che scelgono compagni di gioco dello stesso sesso
perché quello è l’ingroup di genere: attivano lo stesso gioco, mettono in atto lo stesso
comportamento e consolidano così la loro identità di genere.
16. Conseguenze del processo di influenza.
Il processo di influenza può presentare diverse conseguenze negative come l’innesco di coesione,
comunicazione, conformismo e il groupthink, ovvero la nascita di un pensiero di gruppo che nasce
per due principali motivazioni: la posizione maggioritaria viene razionalizzata univocamente come
l’unica possibile oppure i componenti de gruppo si autocensurano.
17. Studi su coesione e devianza (Festinger e Schachter).
Più un gruppo è coeso più reagisce in maniera drastica alla presenza di posizioni devianti. Una delle
possibilità è l’espulsione simbolica (il soggetto viene marginalizzato) o reale (viene cacciato dal
gruppo). Festinger e Schachter hanno portato avanti diversi studi sulla devianza, dai quali si è
evince che più il gruppo è coeso più destina attenzione comunicativa al deviante. All’interno dei
gruppi sono presenti membri moderatamente rifiutanti e membri fortemente rifiutante, analizzati e
divisi in questi due gruppi in termini di picco comunicativo; questo picco viene raggiunto più in là da
parte dei membri moderatamente rifiutanti perché hanno più pazienza, aspettano e comunicano
con il deviante per convincerlo su quelle che sono le posizioni conformi.
18. Desiderabilità sociale del deviante.
In termini di desiderabilità sociale i devianti hanno sempre un punteggio sotto la media, ma
esistono anche quelli che vengono chiamati “ulteriori gruppi”, ovvero sono quei gruppi che
riescono a trovare una soluzione su un argomento di dibattito perché il deviante non era l’unico a
presentare un’opinione divergente dalla maggioranza. Questo ci fa capire che l’influenza non è
unidirezionale, non va solo dalla maggioranza verso la minoranza ma può anche accadere l’inverso.
19. Teoria delle minoranze attive (Moscovici).
Moscovici dice che se la posizione minoritaria entra nel tessuto di tipo maggioritario e non viene
accolta, quello che la posizione minoritaria deve fare è mantenere la sua coerenza, mantenere
stabile la sua posizione valoriale e intellettuale sia in termini di contenuti e sia in termini di tempo.
In pratica deve mantenere una consistenza temporale tale da rendere evidente questa posizione,
quindi le minoranze esistono e sono in grado di influenzare attraverso la coerenza e la consistenza.
20. Influenza maggioritaria vs. influenza minoritaria.
Influenza maggioritaria:
 La maggioranza è unanime
 La maggioranza non è unanime, ci sono aspetti di divergenza al suo interno

Influenza minoritaria:
 Minoranza coerente dove ci sono due complici che rispondono sempre nella stessa maniera
anche se la risposta è cambiata;
 Condizione coerente più debole con un solo complice che risponde sempre allo stesso
modo anche se si potrebbe dare un’altra risposta;
 Minoranza incoerente dove ci sono due collaboratori che non sempre rispondono in modo
coerente tra loro
Il processo di influenza era molto preponderante nella maggioranza unanime, ma anche la
maggioranza non unanime generava conformismo allo stesso livello di quello generato dalla
minoranza unanime. Da questo si evince che gli unici soggetti che mantengono l’impatto del
processo di influenza sono quelli esposti alla minoranza coerente, quindi mentre l’effetto forte della
maggioranza si è mantenuto sui livelli di compliance, nel test individuale l’influenza della minoranza
si mantiene.
21. Tipo di cambiamento prodotto dalle minoranze.
Le novità creano dissenso nella maggioranza, questo porta i soggetti che in qualche modo
aderiscono all’influenza minoritaria ad una sorta di dissonanza cognitiva interna perché hanno un
conflitto al loro interno tra la posizione della maggioranza e la posizione nuova portata dalla
minoranza. Per risolvere questa dissonanza i soggetti rielaborano cognitivamente, si attiva un
laborìo cognitivo che produce l’interiorizzazione della fonte di influenza minoritaria.
22. Variabili di insuccesso delle minoranze.
Le variabili di insuccesso delle minoranze possono essere:
 Il grado di investimento che sull’oggetto di influenza fa la maggioranza;
 Lo spirito del tempo, cioè il clima di opinione prevalente nel tessuto sociale all’interno del
quale operano la maggioranza e la minoranza.
23. Minoranza ingroup e minoranza outgroup.
La minoranza ha successo quando la fonte è ingroup, mentre quando la minorante è outgroup e noi
non ci riconosciamo in essa, si ottiene l’effetto contrario, cioè ci polarizziamo su opinioni
contrapposte a quella della minoranza. Abbiamo un doppio meccanismo di contrasto e
discriminazione verso l’outgroup che non ci consente di ricevere l’impatto di influenza ma è il
meccanismo di assimilazione verso l’ingroup e quindi adattamento alla minoranza ingroup che ci
consente di ricevere l’impatto dell’influenza, del processo di influenza.
24. Teoria del pensiero duale (Moscovici).
Bisogna riconoscere la differenza tra processo di influenza maggioritaria e processo di influenza
minoritaria. La maggioranza produce un’influenza che è l’adesione pubblica, di superfice ovvero
un’influenza di tipo normativo o informativo o referente che viene chiamata “processo di
confronto” (confronto la posizione maggioritaria e poi aderisco superficialmente ad essa).
L’influenza minoritaria necessita di tempo che sottolinea quanto il cambiamento sia provato e
interno, quindi avviene una conversione attualizzata tramite il “processo di convalida” (interiorizzo
la posizione della minoranza in termini di condivisione interna).
25. Teoria del pensiero duale (Nemeth).
Se noi entriamo in conflitto con la maggioranza abbiamo un’elaborazione sistematica, se entriamo
in conflitto con la minoranza attiviamo un’elaborazione periferica. Quando ci centriamo per l’ansia
di essere in conflitto con una maggioranza sui contenuti centrali, il nostro sforzo cognitivo è
convergente, cioè facciamo attenzione solo al contenuto proposto dalla maggioranza. Se riceviamo
un’attivazione dal conflitto con la minoranza non siamo in ansia perché c’è scarsa numerosità di
persone contro cui ci opponiamo, la nostra modalità di elaborazione è una modalità euristica, cioè
ci porta a una certa libertà di valutare l’oggetto di influenza. Quindi adottiamo un pensiero
divergente.
26. Risposte al deviante in funzione del tipo di gruppo.
 La dinamica di polarizzazione si apre a posizioni estreme, è una dinamica che accoglie la
devianza come innovazione, mentre la dinamica di normalizzazione è fortemente coesa e
non accetta la devianza;
 Grado di coesione: più coesi sono i gruppi, più rispondono fortemente alla devianza ma ci
sono gruppi che usano la coesione come apertura di credito. Un gruppo coeso che è solido
nella sua identità apre credito alle posizioni differenti;
 La fase di sviluppo: la fase in cui il gruppo si trova designa il tipo di risposta che il gruppo dà
alle minoranze;
 Il grado di apertura: esistono gruppi con identità difensiva e gruppi ad identità offensiva. I
primi presentano confini chiusi e cercano di difendersi, i secondi hanno confini aperti e
sono più propensi a relazionarsi.
27. Tipologie di risposte alla devianza.
Le minoranze possono generare due differenti tipi di risposte:
 Negative come:
- Rifiuto totale: il gruppo non vuole il deviante e utilizza una strategia di naturalizzazione
(biologizzazione, psicologizzazione, sociologizzazione)
- Rifiuto parziale: espulsione simbolica
- Disconferma: indifferenza verso la minoranza tramite un’espulsione simbolica in assoluto
- Ridicolizzazione: fa cadere il deviante in ridicolo
 Positive come:
- Conversione: può essere privata (adesione interna), differita (a distanza di tempo),
trasposta (oggetti correlati rispetto a quello centrale)
- Il modellamento: conversione all’interno del tessuto sociale
28. Definizione del conflitto.
Il conflitto è una relazione interna di divisione del gruppo ed è un contrasto tra la posizione della
maggioranza e quella della minoranza all’interno del gruppo.
29. Costi e benefici del conflitto.
I costi e i benefici del conflitto vanno valutati secondo un livello individuale e collettivo:
 Costi a livello individuale: antipatie e simpatie
 Costi a livello collettivo: disgregazione del gruppo
 Benefici a livello individuale: confronto con la diversità producendo originalità e creatività
 Benefici a livello collettivo: creatività e originalità portano più soluzioni per il
raggiungimento del compito e lo scopo del gruppo.
30. Meccanismi utilizzati per affrontare il conflitto.
I meccanismi sono principalmente 3:
 Evitamento del conflitto: è un intervento preventivo per bloccare o evitare la presenza di un
conflitto, può portare alla morte del gruppo a causa di una mancata ristrutturazione del
gruppo stesso;
 Riduzione del conflitto: si riduce tramite un processo di negoziazione;
 Creazione del conflitto: aiuta il gruppo a progredire, a crescere e migliorare la produttività.
31. Conflitto come doppio processo.
Il conflitto è un doppio processo perché può essere sia positivo (costruttivo) che negativo
(distruttivo):
 Conflitto distruttivo: non genera risultati ma porta alla disgregazione e all’appiattimento e
porta ad un’escalation simmetrica (ci si aggredisce reciprocamente e alla fine il conflitto
non è più dialogo ma scontro);
 Conflitto costruttivo: genera una ristrutturazione socio cognitiva. Mette a confronto
posizioni divergenti secondo un livello motivazionale cooperativo, aumenta la coesione e la
produttività.
32. Definizione di scisma (Sani e Reicher).
Lo scisma è un processo di divisione di un gruppo in sottogruppi e la scissione finale di almeno uno
dei sottogruppi dal gruppo originario.
33. Condizioni che permettono lo scisma.
Esistono delle condizioni di realizzazione necessarie che spiegano quando il gruppo si scinder,
creando già le basi per la scissione di sottogruppi e sono:
 C’è una minaccia all’identità di gruppo;
 C’è una percezione di scarsa “entitatività” del gruppo: il gruppo non si percepisce come
tutt’uno;
 C’è una dinamica intergruppi in una situazione/contesto intragruppo: il gruppo originario è
ancora solo però i partecipanti favoriscono e si assimilano con l’ingroup e si discriminano e
contrastano da quelli che ritengono diversi da sé;
 C’è la resistenza all’influenza da parte dei vari sottogruppi: ogni sottogruppo ritiene l’altro
illegittimo e quindi resiste;
 C’è una simmetria di percezione: ogni sottogruppo ritiene che l’altro sia sovversivo e quindi
non accettabile;
 C’è una relazione di status tra i sottogruppi: il gruppo maggioritario decide di accettare la
minoranza oppure la minoranza si riconosce non identificata, ma poiché non ha altra
possibilità di uscita rimane all’interno del gruppo;
 Contesto socioculturale del gruppo: deve essere presente un contesto socio culturale che
consente lo scisma.
34. Lo scisma religioso.
Comprende tutte le organizzazioni religiose che si basano su due bisogni: il bisogno del singolo di
trovare nuove forme di organizzazione della sua dimensione trascendentale e il bisogno di
collettività, che canalizza e orienta tutti i bisogni individuali verso questi nuovi contesti religiosi. Il
processo di scisma deve prevedere:
 Alterazione dell’identità centrale religiosa;
 Identificazione di un nuovo principio di autorità;
 Identificazione di una nuova struttura normativa;
 Fuoriuscita del sistema istituzionale di tipo religioso.
35. Modelli monofattoriali (Latanè e Wolf)
La differenza tra l’influenza della maggioranza e quella della minoranza dipende dal fatto che nel
primo caso ci sono più fonti di influenza. Quindi, l’impatto dell’influenza dipende dal numero di
stimoli presenti: nel caso della maggioranza ci sono più stimoli, quindi l’influenza sarà maggiore.
L’aumento dell’influenza non è lineare e l’ampiezza quantitativa dell’influenza può essere prevista
da un unico fattore (numero di individui). La natura qualitativa dell’influenza non può essere
determinata da un unico fattore.

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