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La teoria sociologica contemporanea

STORIA DEL PENSIERO SOCIOLOGICO E SOCIOLOGICO (Università degli Studi di


Urbino Carlo Bo)

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LA TEORIA SOCIOLOGICA CONTEMPORANEA


(di Ruth A. Wallace e Alison Wolf)

CAPITOLO I: LA COMPRENSIONE DELLA SOCIETA’


La teoria sociologica non può essere scissa dalla vita reale: ogni modo di guardare la realtà dipende da una qualche prospettiva teorica.
Le teorie sociologiche hanno a che fare con la realtà concreta, con il modo in cui la percepiamo, la comprendiamo e la spieghiamo, con il nostro
agire nel mondo e, quindi, con le sue trasformazioni.

1. La struttura della teoria sociologica


Le teorie sociologiche sono caratterizzate dalla sistematicità con cui vengono elaborate le ipotesi che spiegano la vita sociale e riconducono
eventi, anche apparentemente diversi tra di loro, a principi generali che ne mettono in luce le somiglianze.
I mattoni per la costruzione di una teoria sono i concetti definiti come una parola o un simbolo che rappresenta un fenomeno, una etichetta che
usiamo per classificare le nostre percezioni o esperienze, ricavata per generalizzazioni di casi particolari, che ci consentono di vedere parti della
realtà sociale altrimenti inafferrabili.
Le teorie sociali differiscono per quattro importanti aspetti:
- l’oggetto dell’indagine.
- gli assunti sottesi all’approccio.
- la metodologia utilizzata.
- gli obiettivi finali della ricerca.

1.1 Oggetto
Ci sono due ampie categorie:
- la macrosociologia che si occupa delle caratteristiche generali della struttura e dei ruoli sociali.
- la microsociologia che si occupa delle interazioni a livello individuale.
Il funzionalismo e la teoria del conflitto sono due approcci che si concentrano sulle caratteristiche complessive della società e sui caratteri
generali delle sue istituzioni. Completamente diversa è la prospettiva dell’interazionismo simbolico e della fenomenologia che studiano nei
minimi dettagli le interazioni umani.
Più difficile da inquadrarsi sono le teorie della scelta razionale. Esse, pur concentrandosi sulle scelte individuali, cercano di connetterle a fattori
strutturali come la legittimazione sociale.

1.2 Assunti
Riguardano se considerare il comportamento umano come fondamentalmente determinato, insistendo quindi sulla sua prevedibilità, oppure nel
sottolineare la sua creatività.
Per Homans il comportamento umano ha delle cause e pertanto in lineari principio pienamente esplicabile, determinato da una particolare
combinazione di circostanze preesistenti e di principi o leggi generali.
La stessa posizione è condivisa dal funzionalismo. Durkheim, Parsons e Merton considerano l’agire umano come fondamentalmente prevedibile,
funzione di bisogni sottostanti e di norme evalori interiorizzati caratteristici di ogni società e considerano il comportamento umano come
fondamentalmente determinato e quindi pienamente esplicabile.
La teoria del conflitto è meno deterministica, ma l’orientamento di fondo rimane lo stesso. Questa osservazione può essere estesa anche a
studiosi più “critici” e utopistici.
Per gli studiosi che adottano l’approccio interazionista o fenomenologico l’attività dell’individuo è caratterizzata dalla creatività. Essi ritengono
impossibile predire i comportamenti ed elaborare “leggi” sociali di tipo scientifico. Pur non negando l’esistenza di regolarità rilevantinel
comportamento, gli interazionisti tendono ad enfatizzare la maniera creativa in cui le persone interpretano i significati nel corso di una
interazione.
Secondo la fenomenologia l’intero mondo sociale è fatto di costrutti che creiamo nel corso della nostra esperienza. Ne consegue il rifiuto di
qualsiasi modello che imponga a questo processo un decorso e un esito prefissati.
Le prospettive teoriche differiscono perché assumono gli interessi oppure i valori come base delle motivazioni umane.
I funzionalismi ritengono che le motivazioni e i comportamenti degli individui siano in larga misura riconducibili ai valori sociali da essi
interiorizzati, determinati dall’appartenenza a una particolare società, e sono quindi privi di un fondamento autonomo.
I teorici del conflitto sottolineano piuttosto gli interessi, che considerano fattori costitutivi di tutte le società e forze motrici di ogni
comportamento umano. Quando discutono i valori specifici di una data società, solitamente lo fanno per descrivere la capacità di distogliere le
persone dai loro veri interessi.
L’interazionismo simbolico e la fenomenologia tendono a privilegiare i valori piuttosto che gli interessi.

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I teorici della scelta razionale considerano coma dati i valori e i gusti sociali, alla base delle preferenze individuali, per concentrarsi sul
perseguimento di scopi condivisi dai membri di tutte le società, come la ricerca dello status e del riconoscimento sociale, accostandosi in questo
modo all’idea degli interessi onnipresenti sostenuta dai teorici del conflitto.

1.3 Metodologia
In un approccio deduttivo si formulano in primo luogo ipotesi esplicative del problema di ricerca, per poi dedurre le loro implicazioni empiriche
tramite il ragionamento logico. Una volta elaborate le ipotesi, il metodo deduttivo richiede la loro verifica sulla base di dati raccolti nel mondo
reale.
Con l’approccio induttivo si inizia la propria ricerca con l’osservazione, immergendosi nei dati. Su questa conoscenza si induce la spiegazione di
ciò che sta accadendo. I concetti chiave emergono nella fase finale della ricerca. Si va dal particolare al generale.
Il funzionalismo, la teoria del conflitto (con l’eccezione della scuola di Francoforte), e la teoria della scelta razionale hanno sposato l’approccio
deduttivo.
Profondamente diversi sono invece l’interazionismo simbolico e la fenomenologia che partono dall’osservazione del reale per indurre da essa i
propri concetti generali. Per i primi è importante l’osservazione partecipante. Per la fenomenologia ogni essere umano ha una propria visione
della realtà, basata su presupposti inespressi; questa posizione li porta a considerare compito della sociologia non l’enunciazione di leggi causali
generali, bensì l’osservazione diretta dell’esperienza individuale e il ricorso all’interpretazione per identificare modelli costanti di significato.
Il modello deduttivo è rifiutato anche da cosiddetti “critici”; ma non hanno fiducia nemmeno nel metodo induttivo e dall’osservazione
partecipante. La “teoria critica” ritiene che fatti e valori siano indivisibile e avanza un proprio approccio antipositivista basato sul confronto tra
fenomeni sociali e “possibilità storiche”, superiori alla realtà contingente , e sulla ragione come metro di valutazione di queste alternative.
Un’altra differenza di metodo è data dall’utilizzo o meno di dati quantitativi. Il loro uso appare maggiormente connesso con l’approccio
deduttivo, perché in questo caso le ipotesi vanno verificate appunto sulla base di dati quantitativi. In linea di principio i sociologi che adottano
l’approccio induttivo non amano le tecniche quantitative. Ma queste connessioni non sono così automatiche.

1.4 Obiettivi
Le teorie sociologiche forniscono resoconti che si collocano lungo uno spettro comprendente:
-descrizioni che spesso introducono termini e punti di vista innovativi, ma raramente identificano relazioni causali;
-spiegazioni che reinterpretano i fatti riconducendoli a concetti più generali; -previsioni formulate sulla base di spiegazioni molto precise e
pienamente sviluppate.

Spiegazioni che fanno capo a principi generali spesso non offrono alcuna possibilità di previsione; viceversa esistono previsioni fondate
semplicemente su correlazioni di tipo statistico e non su spiegazioni.
L’interazionismo simbolico e la fenomenologia ripongono il loro interesse principale nell’ analisi descrittiva, come logica conseguenza
dell’opposizione all’idea che vi siano leggi oggettive in grado di spiegare la realtà.
Il funzionalismo, la teoria del conflitto e le teorie della scelta razionale, invece, mirano a una spiegazione generale.
I funzionalismi si avvicinano più al modello descrittivo. I teorici del conflitto mostrano un interesse maggiore per la spiegazione e in molti casi si
spingono a elaborare qualche tipo di previsione. Offrono una spiegazione di come gli interessi e le azioni di gruppi diversi, dotati di risorse
diseguali, plasmano gli eventi e le istituzioni.
Le teorie della scelta razionale è la più incline a formulare spiegazioni e previsioni. Il loro interesse principale è chiarire nel dettaglio cosa avviene
nella mente umana, nel tentativo di comprendere l’origine delle azioni individuali.

2. Teoria e conoscenza, due esempi: istruzione e genere nella società contemporanea


L’istruzione e le differenze di genere sono due aspetti della vita di cui tutti noi abbiamo esperienza diretta e che riguardano la nostra esistenza in
molteplici modi. Ciò rende questi due aspetti un interessante banco di prova per verificare la capacità della teoria sociologica di fare luce sul
nostro mondo quotidiano. A tale scopo nei capitoli seguenti verranno riportati esempi relativi ad entrambi gli aspetti. Nella conclusione
ricapitoleremo e sintetizzeremo gli spunti offerti dalle diverse prospettive.

CAPITOLO II: IL FUNZIONALISMO


La prospettiva che discutiamo in questo capitolo pone l’accento:
- sui requisiti funzionali, o “bisogni”, di un sistema sociale.
- Sulle corrispondenti strutture che soddisfano tali bisogni.

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Secondo questa prospettiva, i sistemi sociali tendono ad assolvere determinati compiti che sono necessari alla loro sopravvivenza; l’analisi
sociologica, pertanto, comporta una ricerca delle strutture sociali che svolgono tali compiti, o rispondono ai “bisogni” del sistema.
Definizione di funzionalismo
Nell’analizzare il sistema sociale secondo queste linee, i funzionalismi sottolineano tre elementi:
- la generale interrelazione tra le parti del sistema;
- l’esistenza di uno stato di equilibrio, paragonabile alla condizione sana di un organismo;
- la capacità di riorganizzazione, grazie alla quale le parti del sistema riportano una situazione squilibrata alla normalità.
Per i funzionalismi esiste sempre una tendenza al ripristino dell’equilibrio e tendono a utilizzare il concetto centrale di valori condivisi.
Condivisione dei valori significa che gli individui sono moralmente integrati nella società cui appartengono. I teorici del conflitto invece della
coesione della società, sottolineano le divisioni interne alla società e gli scontri che sorgono dal perseguimento degli interessi personali.

1. Radici intellettuali: Emile Durkheim e i suoi precursori.


Auguste Comte: è interessato ai problemi della “statica” (l’ordine) e della “dinamica” (il progresso) di una società, nel quadro di una più generale
ricerca sui fondamenti della stabilità sociale. Studia le azioni e reazioni reciproche tra le parti; una perdita di armonia fra il tutto e le parti è
“patologica”: da ciò emerge il concetto funzionalista di equilibrio, concetto preso a prestito dalla nozione biologica di omeostasi.
Herbert Spencer: va annoverato tra i precursori del funzionalismo per il suo concetto di differenziazione, ovvero la reciproca dipendenza tra parti
diverse del sistema sociale che un aumento delle dimensioni di una società porta inevitabilmente con sé. Nozione questa utilizzata da Parsone
nella sua teoria del mutamento sociale.
Vilfredo Pareto: Gli individui, con i loro interessi, pulsioni e sentimenti, sono le “molecole” del sistema sociale. Parsone ha mutato l’idea
paretiana di equilibrio dinamico, capace di produrre armonia nel sistema.
Emile Durkheim: Con il concetto di integrazione, con cui intende qualcosa di simile a ciò che abbiamo chiamato equilibrio. Intendeva l’evoluzione
sociale come passaggio dalla solidarietà meccanica delle società tribali alla solidarietà organica delle società industriali. Le società primitive sono
caratterizzate da una forte coscienza collettiva (totalità delle credenze e dei sentimenti comuni ai cittadini medi di una società). Con la crescita
della divisione del lavoro si verifica anche un aumento dell’individualismo, un corrispondente cedimento dell coscienza collettiva e uno
spostamento verso la solidarietà organica, caratterizzata dall’interdipendenza dei ruoli.
Egli colloca al centro il fatto sociale ovvero “ciò che è caratteristico di una intera società, avendo nello stesso tempo un’esistenza autonoma,
indipendente dalle sue manifestazioni individuali”. Successivamente ha elaborato ulteriormente il significato di fatto sociale usando il termine
istituzione, insieme di “credenze e modelli di comportamento stabiliti dalla collettività”. Vede le funzioni come “bisogni generali dell’organismo
sociale”, capaci di fornire una spiegazione adeguata dei fatti sociali. La punizione è una reazione sociale al crimine, non svolge solo la funzione di
castigo e deterrente, bensì anche quella di presentazione dei sentimenti collettivi o dei valori condivisi (in questo caso l’avversione al
comportamento criminale). Nello studio sui suicidi il concetto centrale è quello di anomia, mancanza di norme, una situazione in cui sono assenti
regole e leggi, “caratterizzata da obiettivi indeterminati e aspirazioni illimitate, disorientamento e vertigine creata dall’eccessivo ampliamento
degli orizzonti del possibile”.

Durkheim ne descrive due tipi


-una acuta, risultato di un brusco cambiamento, come una crisi finanziaria o un divorzio;
-una cronica, determinata da uno stato di costante cambiamento, caratteristico della società industriale moderna.
Egli fonda la propria teoria dei suicidi sulla coesione sociale, ovvero su due specifici “bisogni” sociali; integrazione e regolazione che possono
essere eccessive o carenti. I tipi di suicidio corrispondenti sono:
-suicidio altruistico (eccesso di integrazione); -suicidio egoistico (carenza di integrazione); -suicidio fatalistico (eccesso di regolazione); -suicidio
anomico (carenza di regolazione)
Mentre Durkheim enfatizza il bisogno di norme sociali condivise e stabili, Marx vede l’alienazione come il pernicioso risultato di un ordine sociale
che controlla strettamente gli individui, ritenendo che l’umanità abbia bisogno di una maggiore libertà dalle regole.
A suo giudizio una situazione può essere considerata chiaramente anomica quando una crisi o un cambiamento sociale improvviso determinano
una discontinuità fra l’esperienza delle persone e le loro aspettative. Egli ha cercato di verificare empiricamente la propria teoria.
Durkheim dedica grande attenzione alla religione in quanto fattore particolarmente efficace di sviluppo dei valori condivisi, e perciò buona fonte
di integrazione. La ricerca di una forza integrativa altrettanto potente nella società moderna lo conduce a individuare nel sistema scolastico
l’alternativa funzionale alla religione per quanto riguarda la trasmissione dei valori.

2. Talcott Parsone: la “Grand Theory”

2.1 Profilo biografico.


Laureato in biologia, i suoi studi sull’interdipendenza tra le parti di un organismo biologico hanno chiaramente influenzato la direzione da egli
presa in sociologia.

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2.2I livelli del sistema nella teoria parsoniana.


Centrale è il concetto si sistema. La teoria prevede quattro sistemi:
-Il Sistema culturale
Ha come unità di base il significato o sistema simbolico. Parsons focalizza la propria attenzione sui valori condivisi. A tale proposito un concetto
centrale è quello di socializzazione, intesa come processo mediante il quale i valori della società sono interiorizzati dai suoi membri. Costituisce
una potente forza di integrazione, in quanto riproduce il controllo sociale e tiene insieme la società.
-Il Sistema sociale
L’unità di base è l’interazione tra i ruoli: un sistema sociale consiste pertanto in una pluralità di attori individuali interagenti tra loro in una
situazione che presenta almeno una dimensione fisica o ambientale, attori che sono spinti da una tendenza all’”ottimizzazione della
gratificazione”, e il cui rapporto con la situazione, ivi compresi gli altri attori, è definito e mediato da(riferimento al sistema culturale) un sistema
di simboli culturalmente e condivisi.
-Il Sistema della personalità.
L’unità di base è la persona umana; l’attenzione è puntata sui bisogni, le motivazioni e gli atteggiamenti individuali, quali l’ “ottimizzazione della
gratificazione”.
-Il Sistema dell’organismo comportamentale.
L’unità di base è costituita dall’individuo come essere biologico (sistema nervoso e attività motoria).
L’ individuo interiorizza i valori trasmessi dal sistema culturale, apprendendo da altri attori ciò che ci si aspetta da lui, ovvero le aspettative
inerenti ai ruoli che egli ricopre. In questo modo gli individui diventano membri della società a pieno titolo. Pertanto:

• i valori provengono dal sistema culturale;


• le aspettative di ruolo corrispondenti a quei valori provengono dal sistema sociale;
• l’identità individuale proviene dal sistema della personalità;
• la dotazione biologica proviene dal sistema della personalità.

2.3 La teoria parsonsiana dell’azione


Prende le mosse da un attore motivato che può essere sia un individuo sia una collettività. Parsons vede l’attore come motivato a raggiungere
uno scopo definito come desiderabile dal sistema culturale. L’azione si colloca in una situazione che comprende mezzi (strumenti o risorse) e
vincoli (difficoltà che possono sorgere nel perseguimento dello scopo). Tutti gli elementi di cui sopra sono regolati dagli standard normativi del
sistema sociale. Gli attori non possono ignorare le regole del gioco e le norme sono state interiorizzate dall’attore che è motivato ad agire nella
maniera appropriata per raggiungere uno scopo.

2.4 Le variabili strutturali


Parsons si rendeva conto che il compito successivo era quello di specificare più chiaramente le contingenze e le aspettative che gli attori si
trovano ad affrontare. Voleva dimostrare che la loro situazione non è completamente incerta e non strutturata. Per questo motivo elaborò le
varaiabili strutturali, concepite come strumenti per classificare le aspettative e la struttura delle relazioni.
Si basa sul lavoro di Tönnies che era interessato al contrasto tra comunità primitiva e società industriale moderna.
- la comunità è caratterizzata dalla predominanza di strette relazioni personali prime fra tutti quelle di parentela.
- La società è caratterizzata dalla prevalenza di relazioni impersonali di tipo economico.

Durkheim designa “solidarietà meccanica” quella tipica delle società primitive ( in cui la coscienza collettiva è forte ) e come “solidarietà
organica” quella tipica delle società moderne (in cui la coscienza collettiva è più debole a causa dell’accresciuto individualismo).
Parsons parla di relazioni espressive nelle società tradizionali, dove le relazioni sono prevalentemente personali e stabili, e di relazioni
strumentali nelle società moderne, dove i rapporti sono prevalentemente impersonali e formali.
All’interno delle società moderne esistono, e sono necessari, entrambi i tipi di relazioni, mostrata analizzando la differenziazione dei ruoli di
genere nella famiglia. Ritiene che il ruolo di leadership strumentale debba essere accordato al marito-padre, da cui dipendono la reputazione e il
reddito della famiglia. Analogamente ritiene che spetti alla moglie-madre il ruolo di leadership espressiva nella socializzazione dei figli.
Ogni variabile strutturale rappresenta un dilemma che l’attore deve risolvere prima di intraprendere l’azione. La scelta dipende dal tipo di
società: variabili espressive per le società tradizionali, variabili strumentali per le società moderne.
-La prima variabile strumentale è costituita dalla dicotomia ascrizione/acquisizione o in altri termini qualità/prestazione. Il dilemma sta tra
comportarsi con gli altri in base alla loro identità (cioè a qualità ascritte come il sesso, l’età, la razza , l’etnia), oppure in base a ciò che hanno
fatto e possono fare (cioè alle loro prestazioni). Parsone considera centrali le aspettative normative al momento della decisione: la scelta non è
arbitraria.
La seconda variabile strumentale è rappresentata dalla dicotomia diffusione/specificità. Qui il punto sta nella gamma delle richieste all’interno di
una relazione: se la gamma è ampia per numero e tipo, la relazione sarà diffusa; se la gamma è ristretta la relazione sarà specifica (es. relazione
con un amico o con il dentista). La tesi di Parsons è che nella società moderna una scelta appropriata prevede generalmente comportamenti di

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tipo specifico, mentre nella società tradizionale la maggior parte dei rapporti era di tipo diffuso.
La terza variabile strutturale è data dalla dicotomia affettività/neutralità affettiva. Qui il punto sta nell’aspettativa o meno di una gratificazione
emotiva (coppia o impiegato banca/cliente). Parsone dimostra come con il passare dalle elementari alle superiori, l’istruzione diventa sempre più
“fredda” preparando il lavoratore alla vita lavorativa in cui prevalgono aspettative strumentali.
La quarta variabile strutturale è data dalla dicotomia particolarismo/universalismo. In questo caso la scelta è tra relazioni basate su norme
generali o invece su relazioni personali come l’appartenenza a un determinato gruppo.
La quinta variabile strutturale è data dalla dicotomia collettività/individuo. Essa riguarda la scelta tra la soddisfazione di interessi privati oppure
l’assolvimento di obblighi e doveri collettivi.
Le variabili non dicono da sole come si comporterà una persona di fronte a un conflitto di ruolo. Inoltre occorre chiedersi se la socializzazione sia
così efficace o se il comportamento umano sia semplicemente una funzione delle aspettative normative, come prevede il modello parsoniano. In
altre parole, la scelta che sarebbe “appropriata” può frequentemente non corrispondere a quella effettivamente fatta, dando vita a
comportamenti non prescritti, o “devianti”.

2.5 I problemi funzionali del sistema: il modello AGIL


Parsons vuole esplicitare meglio la questione degli scopi nella sua teoria dell’azione. Questo tentativo prende le mosse dalla collaborazione fra
Parsone e Robert F. Bales in una serie di esperimenti sulla leadership nei piccoli gruppi. Bales aveva studiato il comportamento dei piccoli gruppi
quando viene loro affidato un compito da svolgere:
• Partono da uno scambio di informazioni utili a elaborare un orientamento comune rispetto al compito;
• Affrontare poi il problema della valutazione, prendendo decisioni sul compito in questione;
• Assicurare un certo grado di consenso attraverso il controllo sociale;
• Infine il ciclo si chiude con attività di riduzione della tensione, come scherzi e risate, aventi lo scopo di riparare i danni arrecati
all’integrazione sociale e riportare il gruppo a una condizione di equilibrio. La omogeneità dei gruppi solleva diversi gruppi sulla generalizzazione
dei risultati degli esperimenti (magari ci potrebbero essere più conflitti).
Parsons ritiene che tali categorie possano essere estese, se rielaborate, a tutti i sistemi di azione. Ciò ha condotto al paradigma delle quattro
funzioni, con cui Parsons identifica i principali problemi che i sistemi di azione devono risolvere per sopravvivere e svilupparsi. Parsons analizza
nei dettagli le determinanti dell’equilibrio (ogni mutamento in una parte del sistema sociale porta con se aggiustamenti in altre sue parti,
ricostituendo un sistema integrato, armonico e relativamente stabile).
Egli sostiene che alcune istituzioni, o strutture, mantengono o ristabiliscono l’equilibrio attraverso la soddisfazione di “bisogni” o
assolvimento di funzioni ricorrenti, più o meno come fa un organismo biologico nel rapporto con l’ambiente circostante.
Tutti i sistemi di azione devono assolvere quattro funzioni fondamentali (ovvero hanno quattro “bisogni” fondamentali):
• Adattamento
• Raggiungimento dello scopo
• Integrazione
• Mantenimento della struttura (o mantenimento delle struttura latente - gestione delle tensioni).

Parsons descrive la società o il sistema sociale come un riquadro suddiviso in quattro settori uguali, che rappresentano le quattro funzioni del
sistema, indicate dalle lettere AGIL.
• A (Adaptation): il sistema deve ricavare sufficienti risorse dall’ambiente circostante e distribuirle in ogni sua parte, compito delle
istituzioni economiche. L’aspetto centrale del problema sta nella produzione e distribuzione della ricchezza.
• G (goal attainment) (raggiungimento dello scopo). Il sistema deve mobilitare le proprie risorse per ottenere gli scopi che si prefigge,
stabilendo tra loro un ordine di priorità, compito svolto dalle istituzioni politiche. L’aspetto centrale del problema sta nell’uso legittimo del
potere.
• I (Integration): il sistema deve coordinare e regolare le relazioni tra le sue varie unità, compito svolto dalle istituzioni giuridiche.
L’aspetto centrale del problema sta nell’implementazione delle norme.
• L (latent pattern maintenance – tension management): il sistema deve accertarsi che gli attori siano sufficientemente motivati a
svolgere il proprio ruolo nel sistema, ovvero a mantenere il suo “modello” di valori; in secondo luogo deve fornire strumenti per la gestione delle
tensioni interne, compiti svolto dalle istituzioni familiari, educative e religiose. L’aspetto centrale del problema sta nell’impegno morale verso i
valori condivisi.
In società più semplici esistono molteplici tendenze alla coincidenza di diverse funzioni. Per questo motivo lo schema non può essere utilizzato
per prevedere quale tipo di istituzione si svilupperanno in una società e quali funzioni svolgerà una data istituzione. Esso serve, piuttosto, a
classificare le istituzioni dopo che ciò si è verificato.
La difficoltà di applicazione del modello diventa ancora più evidente osservando che gli stessi problemi devono essere affrontati da ogni sistema:
non solo da sistemi sociali più ampi, ma da tutti i sottosistemi (es. famiglia L, ma la casella L può rappresentare un sistema sociale diviso, a sua
volta, in quattro parti). Es. Padre AGI e Madre L. Ma in un’epoca in cui la famiglia tradizionale rappresenta sempre meno la norma, le cose
possono rivelarsi meno nette e prevedibili.

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Il modello AGIL e l’equilibrio.


Il continuo assolvimento delle quattro funzioni sistemiche è a suo volta assicurato da due meccanismi: la socializzazione e il controllo sociale.
- Se la socializzazione funziona, tutti i membri di una società si atterranno ai valori condivisi, facendo le scelte “appropriate” tra le variabili
strutturali e comportandosi generalmente secondo le aspettative in termini di adattamento, raggiungimento dello scopo, integrazione e
mantenimento della struttura latente. Una socializzazione riuscita produce la complementarietà delle aspettative.
Ciò significa che entrambi gli attori dell’interazione condividono e accettano gli stessi valori culturali e le stesse aspettative, cosicché, ciascuno sa
cosa l’altro si aspetta, e le loro risposte saranno complementari: ne scaturisce felicemente l’equilibrio.
-esistono anche situazioni di squilibrio, dei casi di devianza, in cui questa condizione ottimale è disturbata, richiedendo l’intervento di forze che
ristabiliscano l’equilibrio. Qui entra in gioco il controllo sociale e vengono comminate sanzioni negative per obbligare gli attori recalcitranti a
conformarsi (es polizia e tribunali). Come nasce lo squilibrio non viene spiegato.
Il modello presenta però molti aspetti inesplicati. Non specifica mai fino in fondo i meccanismi attraverso cui i sistemi sviluppano risposte ai loro
bisogni, ossia affrontano i propri problemi funzionali, e non chiarisce mai in maniera soddisfacente come i sistemi reagiscono a situazioni di
squilibrio. Ma la critica più pesante è che Parsone non sia neutrale verso la sopravvivenza e lo sviluppo dei sistemi sociali. La sua versione del
funzionalismo, al contrario, poggia sull’idea di un equilibrio entrinsecamente desiderabile.
Il sistema è in equilibrio in quanto ogni attore è moralmente impegnato a svolgere funzioni attese sul piano culturale e sociale. Parsone tratta la
devianza con implicita disapprovazione e dice molto poco sulle sue origini o giustificazioni, considerandola come mera fonte di squilibrio,
meritevole di sanzione negative.
I critici, specialmente quelli che hanno una prospettiva conflittuale, sostengono che l’approccio di Parsone implica una approvazione dello status
quo che tiene poco conto dei conflitti di interesse, delle disuguaglianze e dell’aperta oppressione che un sistema sociale può contenere.

3. Robert K.Merton: la teoria a medio raggio

3.1 Profilo biografico


Merton, allievo di Parsons, non si è fermato a teorie e tipologie astratte, ma ha formulato ipotesi empiriche che spesso ha verificato in prima
persona, raccogliendo i dati e analizzandoli.

3.2 Le teorie a medio raggio


Uno delle divergenze dal funzionalismo parsonsiano riguarda l’abbandono del tentativo di elaborare una teoria onnicomprensiva. Merton ha
scelto piuttosto di dedicarsi a quelle che ha definito teorie a medio raggio.
Rappresentano teorie basate su un numero limitato di assunti (es. teoria del suicidio di Durkheim), da cui si possono derivare ipotesi specifiche
verificabili empiricamente. Le teorie a medio raggio dovrebbero poi gradualmente consolidarsi in un quadro teorico più generale.
Merton non sostiene un nuovo approccio, ma la necessità che lavori di questo tipo siano sempre più numerosi.

3.3 La precisazione dell’analisi funzionale


Alcune differenze con Parsone: in primo luogo, il paradigma funzionale di Merton non si espone a critiche di intrinseco conservatorismo e
teleologia (spiegare le cose attraverso la loro funzione); in secondo luogo, Merton insiste meno sull’analisi specifica della struttura sociale.
Merton, al pari dei funzionalismi, concepisce la società come un sistema di parti interconnesse. E’ anche interessato all’equilibrio sociale. Studia
la società a partire dal grado di integrazione delle strutture culturali e sociali; insiste sul contributo delle consuetudini e delle istituzioni alla
stabilità sociale; definisce funzioni quegli elementi che “producono un adattamento o un adeguamento di un sistema dato” ; crede che i valori
condivisi siano fondamentali per spiegare il funzionamento di società e istituzioni.
Il contributo di Merton sta nel precisare e ricalibrare i seguenti aspetti della teoria funzionalista.
Disfunzioni: Per Merton le istituzioni non sono intrinsecamente buone, mettendo in rilievo le disfunzioni con due idee fondamentali:
-un dato elemento può avere effetti disfunzionali generali.
-un dato elemento non è necessariamente del tutto funzionale o disfunzionale, ma può essere funzionale per alcuni individui o gruppi e
disfunzionale per altri.
Ad esempio quando la burocrazia, funzionale per la società, diventa fine a se stessa si definisce ritualismo (potenzialmente tirannica, che
minaccia la libertà umana).
Con il secondo assunto ci si avvicina ai teorici del conflitto, che rimandano a interessi sociali soddisfatti in misura diversa. L’uno e gli altri
condividono l’attenzione per i vantaggi differenziali che i gruppi ottengono dall’ordine sociale, e per il modo in cui i vantaggi spiegano l’origine, la
stabilità o il declino delle istituzioni sociali.
Il concetto mertoniano di disfunzione, dunque, è decisivo per poter sostenere che il funzionalismo non è intrinsecamente conservatore. Ma è
convinto che istituzioni e valori possano essere funzionali per la società nel suo insiemo, non solo per particolari gruppi.
Funzioni manifeste e latenti.
Le funzioni manifeste sono quelle osservabili e attese; le funzioni latenti non sono né riconosciute, ne intenzionali. Mentre Parsons evidenziava
le prime, Merton presta particolare attenzione alle seconde. Ad esempio la punizione (manifesta) ha come conseguenza la coesione sociale

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(latente). La religione (manifesta) è fattore di integrazione sociale (latente).


L’analisi delle funzioni latenti consente la ricerca di fattori che spiegano meglio l’esistenza di determinate consuetudini e istituzioni, chiarendo
così il funzionamento della società.
Alternative funzionali
L’approccio funzionalista presuppone che una società deve possedere certe caratteristiche, che
Parsons elenca nel modello AGIL. Per Merton il funzionalismo è più un sistema di orientamento della ricerca che un insieme di proposizioni sulla
struttura delle società. Condivide la prospettiva di fondo funzionalista ed elabora il concetto di prerequisiti funzionali. Però non solo particolari
istituzioni sono le sole capaci di soddisfare tali prerequisiti, ma esistono un’ampia gamma di alternative funzionali, o sostituiti capaci di svolgere
lo stesso compito. Ciò respinge l’idea che le istituzioni esistenti siano necessarie e, di conseguenza buone. Ad esempio la famiglia tradizionale
può essere sostituita da alternative come la convivenza more uxorio, le coppie omosessuali etc.
Merton non chiarisce a sufficienza cosa intende per prerequisiti funzionalin non considera il modello AGIL come definitivo, ma neppure ne
elabora uno proprio. Egli chiarisce alcuni presupposti funzionalismi e ottiene risultati nella ricerca empirica.

3.4 La teoria della devianza


Utilizza i concetti di mete culturali e mezzi istituzionalizzati. Inoltre utilizza il concetto di anomia (Durckheim mancanza di norme).
Per Merton l’anomia è una discrepanza tra mete culturali e mezzi legittimi utilizzabili per raggiungerli. L’anomia è disfunzionale per la società.
Merton ha un approccio maggiormente critico rispetto a Parsons.

4. Il Neofunzionalismo
E’ una prospettiva teorica sviluppatasi negli anni Ottanta negli Stati Uniti e in Germania. Alexander sostiene che il neofunzionalismo è più un
insieme di tendenze che una teoria compiutamente sviluppata, mettendone in luce le seguenti linee di sviluppo:
-sviluppare una forma di funzionalismo multidimensionale, comprendente livelli di analisi sia macro che micro;
-spostare a sinistra il vecchio funzionalismo e rifiutare l’ottimismo parsonsiano nei confronti della modernità;
-favorire una svolta implicitamente democratica nell’analisi funzionalista; -incorporare un orientamento conflittuale;
-insistere sulla contingenza (incertezza) e sulla creatività interattiva.

4.1 Jeffrey C. Alexander


Supera il neofunzionalismo teorizzando un nuovo movimento che non si limita alla riformulazione di teorie esistenti, ma si spinge verso nuove
elaborazioni, stimolate dall’emergere di nuove teorie di derivazione politica, come il femminismo, il multiculturalismo, le teorie della società
civile e il postcolonialismo.
Rifiuta l’atteggiamento di Parsons di non considerare la vita degli individui e la microsociologia. Un esempio è il suo lavoro sull’azione.: mentre
Parsons considera costantemente gli attori come concetti analitici, Alexander definisce l’azione come il movimento concreto di una persona
reale nel tempo e nello spazio. Inoltre, quando sostiene che ogni azione ha in sé una componente di libera volontà, egli allarga i confini del
funzionalismo fino a includervi alcuni aspetti dell’interazionismo simbolico.

4.2 Neil J. Smelser


In contrasto con Parsone e Merton, l’approccio di Smelser basato sulla teoria freudiana dell’ambivalenza, considera come punti di partenza i
processi intrapsichici invece dei ruoli. Nelle sue parole l’ambivalenza consiste nella coesistenza di orientamenti affettivi opposti verso il
medesimo individuo, oggetto o simbolo. Egli applica l’ambivalenza a una gamma di situazioni in cui le persone sono reciprocamente dipendenti
(amanti, partner, amici, istituzioni); dove esiste questa dipendenza, sono vivai di ambivalenza e porta a ripicche, litigi, lotte per il riconoscimento,
malignità.
Più recentemente Smelser ha lavorato sul problema del trauma culturale quando i membri di una collettività sentono di aver subito un evento
orribile. Smelser considera la catastrofe “un evento radicalmente ambivalente: scioccante e affascinante, deprimente ed esaltante, grottesco e
meraviglioso, disonorante e purificante, sentimenti positivi e negativi.

4.3 Niklas Luhmann


Per Luhmann ciò che manca nella teoria di Parsons sono i concetti di autoreferenzialità e di complessità. Luhmann poi si è cimentato nel
tentativo di formulare una teoria universale, analoga alla “grand theory” parsonsiana, che includesse questi due concetti.
Un sistema sociale, pertanto, emerge quando ha luogo una interazione fra individui. Esistono tre tipi di sistema sociale:
A) Sistemi di interazione (le relazioni faccia a faccia fra esseri umani);
B) Sistemi di organizzazioni (sistemi nei quali l’appartenenza è vincolata a specifiche condizioni);
C) Sistemi societari (il sistema sociale onnicomprensivo, le società nella loro incertezza).
Secondo Luhmann l’autoreferenzialità è la condizione necessaria per un efficiente funzionamento dei sistemi. Ciò richiede che il sistema sia
capace di monitorarsi, riflettersi su se stesso e su ciò che fa, prendere decisioni in base a queste riflessioni. Una cosa è sostenere, come fa
Parsons, che il sistema ha dei “bisogni” altra cosa è affermare che è in grado di “prendere decisioni”. Secondo Luhmann, però, gli esseri umani o i

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gruppi sociali non possono essere al centro della teoria sociale, perché i sistemi societari sono troppo complessi per essere trattati in questo
modo. Essi non devono essere considerati come composti da esseri umani, ma piuttosto da unità di comunicazione. Gli individui, pertanto, sono
una semplice componente dell’ambiente di un sistema societario.
Nella teoria di Luhmann il compito principale del sistema sociale è quello di ridurre la complessità. Una maggiore complessità comporta un
numero più alto di scelte e possibilità.; ciò rende più difficile la scelta fra le alternative.
Luhmann non condivide l’ottimismo di Parsons verso il futuro, ritenendo il mondo contemporaneo troppo complesso perché vi siano norme
comuni o valori generalizzati. Egli, inoltre, critica Parsons per avere sovrastimato non solo il consenso sociale funzionalmente necessario, ma
anche quello effettivamente esistente. Il collante della società è dunque “l’accettazione comune del’incertezza strutturale”.
In opere successive, Luhmann si sofferma su aspetti negativi (disfunzioni) della modernità. La società si trova ad affrontare le conseguenze delle
sue scelte strutturali, come i problemi ecologici derivanti dalla “razionalità” del mondo moderno e la lotta per difendere i livelli di welfare
esistenti
Definisce il rischio come un danno potenziale derivante da decisioni cui l’individuo partecipa attivamente. Distinto dal rischio è il pericolo,
definito come un danno potenziale cui l’individuo è esposto passivamente, senza possibilità di prendere alcuna decisione in merito. Ciò che
costituisce un rischio per l’uno è un pericolo per l’altro.
Mentre i membri delle società primitive, erano minacciati soprattutto da pericoli, le società tecnologicamente avanzate prendono decisioni che
influiscono sull’ambiente in modo profondo. Oggi siamo minacciati soprattutto da rischi.

5.Conclusioni
In passato, il funzionalismo è stato spesso considerato un approccio conservatore poiché vedeva tensioni e conflitti come disfunzionali per il
sistema sociale, e l’anomia come uno stato patologico da evitare. Molti degli studiosi attratti dal funzionalismo tendevano di fatto a essere più o
meno soddisfatti del sistema esistente e non erano indifferenti alla sua sopravvivenza. Ma il revival della teoria funzionalista negli anni Ottanta e
la critica/reinterpretazione neofunzionalista delle idee di Parsone negli anni Novanta hanno prodotto nuovi sviluppi e ampliamenti di
prospettiva.

In sintesi il funzionalismo:
Tende a sottolineare i valori rispetto agli interessi, e quindi a trascurare gli aspetti coercitivi del potere e la rilevanza dei conflitti;
Enfatizza il controllo sociale rispetto al mutamento sociale, analizzando perciò le trasformazioni adattive ignorando quelle distruttive;
Accentua l’importanza della struttura a scapito del processo;
Preferisce l’analisi sociologica macrostrutturale a quella microinterazionale.
Nel funzionalismo la maggior parte delle immagini è presa dall’alto, privilegiando le strutture sociali, e ha carattere statico.
Ma tali immagini contengono comunque una parte della realtà complessiva

CAPITOLO III: LA TEORIA DEL CONFLITTO


La teoria del conflitto rappresenta la principale alternativa al funzionalismo.
* I funzionalisti considerano le società come sistemi in cui tutte le parti sono interdipendenti e funzionano insieme per raggiungere un equilibrio.
Non negano, i funzionalisti, l’esistenza del conflitto ma sostengono che la società può produrre sistemi per controllarlo. I funzionalisti studiano
questi sistemi. Dove i funzionalisti vedono interdipendenza e coesione del tessuto sociale,
*i conflittualisti scorgono un’arena dove i gruppi lottano tra loro per il potere mentre il controllo del conflitto consiste nel fatto che, per un certo
periodo, un gruppo prevale sugli altri. Es. per i funzionalisti: il sistema giuridico è uno strumento di integrazione sociale;
per i conflittualisti: il s. giuridico è un mezzo per la conservazione di un ordine sociale che privilegia alcuni gruppi a scapito di altri.
I 3 presupposti di base dell’orientamento conflittualista:
a) gli individui hanno alcuni interessi di base, comuni a tutte le società (questo presupposto non è sempre esplicito ma è presente in tutti
gli approcci conflittualisti);
b) il potere è il nucleo delle relazioni sociali. Esso è scarso, distribuito in modo diseguale e quindi generatore di conflitto e si presenta
come essenzialmente coercitivo;
c)valori e idee sono “armi” usate dai vari gruppi per perseguire i propri fini (non strumenti per definire identità e scopi di una società); gli studiosi
si soffermano sulle idee come espressione degli interessi di gruppo, specie sotto forma di ideologie.

1. Le due tradizioni
La teoria del conflitto può essere distinta in due filoni che differiscono soprattutto per il modo di intendere le scienze sociali e per il fatto di
valutare sradicabile o meno il conflitto sociale.
a) i critici, ritengono che gli scienziati sociali abbiano l’obbligo morale di impegnarsi nella critica della società. Rifiutano di separare i fatti
(oggettività) dai valori. Ritengono che possa esistere una società senza conflitti (utopisti); gli appartenenti a questo gruppo- che comprende il
marxismo e il neomarxismo, la Scuola di Francoforte, Charles Wright Mills e Pierre Bourdieu-si rifanno a Marx;
b) gli analitici, considerano invece il conflitto come inevitabile e permanente e respingono l’idea che le affermazioni delle scienze sociali
siano necessariamente giudizi di valore; le scienze sociali debbono rispettare gli stessi canoni di obiettività delle scienze naturali; gli appartenenti
sono Ralph Dahrendorf, Lewis Coser e Randall Collins e sebbene è evidente l’influenza di Marx la filiazione più rilevante deriva da Weber.

2. Radici intellettuali

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2.1 Potere, posizione sociale e legittimità: Marx e Weber


Karl Marx nasce a Treviri (Germania) nel 1818, figlio di genitori ebrei convertiti al protestantesimo per evitare la discriminazione e la perdita di
diritti civili. Intrapresi gli studi di giurisprudenza è affascinato, all’università di Berlino, dalla filosofia di Hegel. Marx, negli anni, arrivò a
considerare il proprio lavoro un superamento di Hegel: alla concezione hegeliana dello spirito come elemento determinante della storia sostituì
una filosofia materialista secondo cui sono i fattori materiali a determinare lo sviluppo storico. Man mano che le sue teorie si diffusero venne
interpellato sempre più spesso dai rivoluzionari russi e tedeschi e dopo la sua morte cominciarono a nascere in tutto il mondo partiti comunisti
ispirati alle sue teorie e a quelle di Lenin (leader della rivoluzione russa). Muore a Londra nel 1883.

Elementi fondamentali della sua teoria:


a) gli individui hanno interessi ben definiti e se non agiscono di conseguenza è perché sono stati ingannati sui loro veri interessi da un
sistema sociale che opera a vantaggio di altri;
b) analizza le società passate e presenti in termini di conflitto tra gruppi portatori di interessi diversi;
c) evidenzia il rapporto tra idee, o ideologie, e gli interessi di chi le diffonde, sottolineando che le idee prevalenti di un’epoca riflettono gli
interessi della sua classe dominante.
Max Weber (1874-1920) nacque in una importante famiglia della borghesia tedesca. Insegnante nelle università di Friburgo e Heidelberg
produsse un grande numero di lavori sulla politica economica, lo sviluppo politico, la psicologia sociale del lavoro industriale, la sociologia delle
religioni ecc. Gli ultimi anni della sua vita coincisero con la prima guerra mondiale, la disfatta tedesca, la rivoluzione, la guerra civile, la nascita
della Repubblica di Weimar. Fu tra i fondatori del Partito democratico tedesco e collaborò alla redazione della nuova costituzione.

Per tutta la vita si interessò al rapporto tra politica e lavoro intellettuale e si propose, come Marx, di identificare le origini e le caratteristiche
fondamentali della società moderna, senza vedere nella modernizzazione la strada verso la perfezione. Al contrario, definì la razionalità moderna
una “gabbia d’acciaio” che imprigiona un mondo angusto e “disincantato”, dominato dalla burocrazia. Come Marx, vede le attività umane come
mosse in larga parte da interessi e crede che, accanto a interessi universali come quello dell’acquisizione di ricchezza, lo storico e il sociologo
debbano evidenziare anche l’importanza di fini e valori specifici di ciascuna società.
Weber ha analizzato il perseguimento degli interessi individuali, sia in termini di valori e circostanze particolari, sia in termini di categorie
sociologiche generali. A tal fine ha elaborato la nozione di idealtipo, la struttura mentale che organizza la conoscenza storica operando una
riduzione della complessità empirica al fine di rendere intelligibile il fenomeno storico che si vuole indagare.
Esempio: le burocrazie americana e cinese possono differire per vari aspetti (per le differenze dei due paesi) ma in quanto riconducibili al tipo
ideale della burocrazia, sono simili per una serie di aspetti essenziali, tra cui il ricorso a documenti scritti e regole prestabilite.
Studia anche il fenomeno del potere che distingue tra: *potere illegittimo *potere legittimo o autorità

Ci sono per Weber tre tipi ideali di autorità:


a) autorità carismatica: si basa sulle qualità personali del leader; i governati si sottomettono alle capacità straordinarie di una specifica
persona (es.Gesù);
b) autorità tradizionale: è personale ma il suo fondamento risiede nel passato (es. un re o un capo tribù); il più rilevante tipo di autorità
basata sulla tradizione è il patriarcato;
c) autorità legale-razionale: si basa su regole formali; l’ancoraggio della legittimità a un determinato nucleo di regole è centrale per il
processo di razionalizzazione delle società moderne.

Weber sosteneva che Marx avesse torto nell’identificare i fattori economici come unica determinante della struttura sociale e delle possibilità di
vita e realizzazione degli uomini. Anche religione, istruzione e politica possono essere importanti fonti di prestigio e potere. Invece di basarsi
esclusivamente sul concetto marxiano di classe W.distinse fra tre categorie sociali:
a) classe: insieme di individui che condividono la stessa posizione economica (derivante dalla proprietà dei mezzi di produzione, come
nella concezione marxiana, oppure basata su capacità professionali spendibili sul mercato;
b) partito: associazione avente lo scopo di conquistare per i propri capi una posizione di potere dal quale ottenere vantaggi per i propri
membri;
c) ceto: gruppo caratterizzato non dalla posizione economica bensì dallo stile di vita, spesso fondato su una educazione comune, o dal
prestigio connesso alle origini familiari (es. aristocrazia ereditaria).
Weber ritiene che le idee e i valori esercitino un’influenza rilevante e autonoma sulla storia e che non siano semplici riflessi di interessi
soggiacenti (es. calvinismo); nel contempo è consapevole del ruolo che valori e idee possono svolgere nel rafforzare e garantire la posizione di un
gruppo o ordine sociale. Inoltre sottolinea l’importanza della legittimità, ossia la convinzione che la posizione di un individuo e il sistema che la
incorpora siano giusti e appropriati.
2.2 Potere, élite e classi
Numerosi studiosi hanno elaborato teorie vicine a quelle di Marx e Weber, concezioni che hanno avuto un notevole impatto sulla teoria sociale
contemporanea. In Europa: Pareto, Mosca e Michels. In America, Thorstein Veblen.

La teoria delle élite


I più importanti teorici (contemporanei di Weber ) sono: Vilfredo Pareto (1848-1923), Gaetano Mosca (1858-1941), Robert Michels (1876-1936).
In tutti questi autori la tesi di fondo è che in ogni organizzazione solo un numero ristretto di individui può esercitare l’autorità, il che li pone
automaticamente in contrasto con i propri sottoposti. Inoltre l’interesse egoistico e la natura intrinsecamente ineguale del potere rendono il
conflitto inevitabile e permanente.

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Pareto: riconosce l’esistenza di élite non politiche ma evidenzia l’importanza delle élite di governo che controllano la società, classi dominanti cui
le classi dominate si contrappongono come “nazioni straniere”;
Mosca: si è dedicato molto al conflitto tra dominanti e dominati. Ribalta la tesi di Marx: il potere politico domina tutte le altre sfere, compresa
quella economica;
Michels: l’interesse principale verte sulla “legge ferrea dell’oligarchia”, per cui piccoli gruppi di potere si mettono alla guida di partiti, gruppi e
organizzazioni per raggiungere fini personali. Veblen (1857-1929): analizza la società in termini di interessi conflittuali tra i diversi gruppi sociali e
denuncia gran parte dell’ordine esistente. Come Marx crede che la società moderna sia caratterizzata dal conflitto tra opposti gruppi economici:

la classe industriale, che produce le merci;

la classe agiata, che gestisce la finanza e il commercio: questa ha carattere parassitario poiché vive sulla innovazione e produttività del resto
della popolazione.

Veblen sostiene che gli individui desiderano fortemente la considerazione altrui e che i comportamenti, specie gli stili di consumo e l’uso del
tempo libero, possono essere spiegati in larga misura come lotta per acquisire prestigio agli occhi altrui.

2.3. La trama del conflitto: Simmel e la Scuola di Chicago


Gli approcci che andremo a descrivere evidenziano le qualità astratte dell’ordine sociale più che le origini e lo sviluppo dei conflitti reali.

Georg Simmel (1858-1918). Se Marx e Weber tentavano di comprendere il funzionamento di una particolare società, Simmel tentò di elaborare
invece una sorta di “matematica della società”: un insieme di proposizioni circa le relazioni umane e il comportamento sociale, applicabili
indipendentemente dal contesto storico. Egli insiste sul fatto che associazione e conflitto tra individui e gruppi coesistono e sono intimamente
correlati. Afferma che non è possibile suddividere gli individui in gruppi chiusi con interessi diversi da quelli di altri gruppi chiusi ad essi
antagonisti. Non si può, marxianamente, proporre l’immagine di una società tagliata orizzontalmente in blocchi contrapposti. Simmel avanza
l’idea di una società attraversata da molteplici conflitti che si intersecano, nella quale coloro che stanno insieme per un verso si contrappongono
per un altro. L’idea che il rapporto sociale implica sempre armonia e conflitto ha contribuito a rafforzare la tendenza dei teorici analitici a
considerare il conflitto una condizione permanente; inoltre la tesi di Coser per cui il conflitto può stabilizzare una società deriva dal lavoro di
Simmel.
Robert Park e la Scuola di Chicago. L’insistenza sul conflitto come principio generale e astratto della vita sociale ha caratterizzato la sociologia
americana più di quella europea. Park, che seguì le lezioni di Simmel a Berlino, creò la Scuola di Chicago, famosa per le ricerche sulla vita sociale
e la cultura urbana. Ha anche elaborato un sistema di concetti generali per descrivere le caratteristiche fondamentali della vita sociale:
competizione, conflitto, adattamento e assimilazione in una cultura comune. Per esempio:

* competizione: universale e costante tra gli individui, determina le loro carriere;


* conflitto: riguarda, invece, lo status e l’allocazione del potere a livello sociale.
Comunque Park e colleghi erano più interessati ad analizzare gli antagonismi razziali e i conflitti tra gruppi etnici che la lotta di classe su cui
insistevano Marx e altri studiosi europei, che vivevano in società più omogenee dal punto di vista culturale e razziale.

3. Teoria del conflitto e critica della società (I critici)


Gli autori appartenenti a questo gruppo si distinguono per il modo di concepire le scienze sociali e per l’idea di una società divisa
gerarchicamente in gruppi esclusivi. Si possono definire critici perché utilizzano la scienza sociale per criticare la società, soprattutto la classe
dominante e le élite. I critici ritengono che gli scienziati sociali non debbano separare il proprio lavoro dall’impegno morale e considerano le
proprie teorie come utili al mutamento e al progresso. Considerano la ricerca sociale indissolubilmente legata al particolare punto di vista dello
studioso, il quale è influenzato dalla società cui appartiene.
La critica è rivolta soprattutto al modo in cui ricchezza, status e potere sono distribuiti nella società. Vedono la società divisa in modo netto tra
un piccolo gruppo di privilegiati e una massa sfruttata e manipolata. Alla società esistente contrappongono la possibilità di instaurare un ordine
migliore, contrapponendo al presente irrazionale uno stato delle cose razionale in cui le potenzialità umane potranno realizzarsi.
L’influenza predominante è quella di Marx dal quale deriva la convinzione che le idee siano frutto delle condizioni sociali. Egli fece della propria
teoria un programma di azione politica per liberare il proletariato dalla oppressione. I marxisti impiegano il termine prassi per designare azioni
ispirate a tali considerazioni teoriche e, più precisamente, da una coscienza rivoluzionaria. Marx propone un modello di società essenzialmente a
due classi – oppressi e oppressori – per auspicare l’avvento dell’utopia comunista, che vedrà il genere umano realizzare la propria autentica
natura.
Questa teoria del conflitto si è sviluppata per lo più in Europa, specialmente in Europa orientale.
In America è emersa una forte componente marxista e comunista nella vita intellettuale negli anni ’30 e ’40, ma, nel ventennio successivo alla II
guerra mondiale, la prospettiva marxiana ha avuto poco impatto sulla sociologia americana (ad eccezione dei contributi di Mills). Durante la
guerra in Vietnam, invece, molti giovani sociologi americani si impegnarono nella “nuova sinistra” e subirono la forte influenza di vari autori
radicali.
3.1. La sociologia marxista e neomarxista
Questo paragrafo è dedicato alle opere di Marx e degli studiosi marxisti.
*La base economica della società
Per Marx i fattori economici sono elementi determinanti della struttura e del mutamento sociale. Le sfere della vita sociale sono considerate
dipendenti dal modo di produzione economica.

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Marx distingue tre aspetti dell’organizzazione sociale:


a) le forze materiali di produzione, cioè le risorse che gli individui utilizzano per la propria sussistenza;
b) i rapporti di produzione che regolano l’uso delle forze materiali di produzione e comprendono in particolare le relazioni e i diritti di
proprietà;
c) le forme di coscienza sociale (ideali, giuridiche, politiche) corrispondenti ai primi due aspetti.
La teoria di Marx è una teoria “materialista” della storia secondo cui “cambiando il modo di produzione…cambiano tutti i rapporti sociali. La
fabbrica artigianale produce una società di signori feudali; la fabbrica meccanizzata produce una società di capitalisti industriali”(1847). La
tecnologia e i rapporti di produzione costituiscono dunque la struttura che determina il carattere di una particolare società, ivi compresa la sua
sovrastruttura di idee, leggi, istituzioni politiche.
Molte critiche a questa concezione si riferiscono al fatto di voler spiegare la struttura sociale primariamente attraverso l’organizzazione
economica, considerando, ad esempio, idee e norme giuridiche come elementi sovrastrutturali. Marx, inoltre, e per fare un esempio, ignora il
sistema di organizzazione militare. Invece occorre dire che una società con un esercito permanente centralizzato è chiaramente diversa da una in
cui la guerra, in quanto servizio al re, compete ai signori feudali, che a loro volta vengono ricompensati con concessioni di terre, di cui sono di
fatto sovrani autonomi.

*Le classi e le basi economiche del conflitto

La storia di ogni società esistita fin a questo momento, afferma Marx, è la storia di lotte di classe. Questa affermazione implica tre importanti
elementi:
a)una classe è formata da individui che condividono la stessa posizione economica, i quali tendono ad agire come gruppo;
b)le classi economiche sono i gruppi più importanti di una società: la loro storia è la storia della società umana;
c)queste classi sono antagoniste e il risultato dei loro conflitti determina l’evoluzione della società.

Proprietà e classe.
Una classe è costituita da individui che condividono lo stesso rapporto con la proprietà dei mezzi di produzione. Ad esempio,impiegati, tecnici e
ingegneri appartengono alla stessa classe perché possiedono solo la propria forza lavoro e sono pagati in proporzione ad essa. Appartengono,
invece, a una classe diversa rispetto a:

*capitalisti e proprietari terrieri che possiedono i mezzi di produzione;

*servi che possiedono solo in parte la propria forza lavoro poiché sono legati a uno specifico

padrone e non possono lavorare per nessun altro; *schiavi che non possiedono assolutamente nulla.

Per Marx ciascuno dei principali sistemi economici della storia ha privilegiato una particolare classe, mettendola in grado di esercitare il proprio
sfruttamento ai danni di altre. Nella società borghese i capitalisti sono gli oppressori e i proletari gli oppressi (nel passato: uomini liberi e schiavi,
patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni ecc.).

La tesi dello sfruttamento di Marx trae ispirazione dalla teoria economica dell’economista classico Ricardo.
Per Marx il valore di una merce è uguale alla quantità di lavoro impiegata per produrla. In un’economia di mercato un lavoratore che vende il
proprio lavoro riceverà in cambio il prezzo della riproduzione della sua forza lavoro, ossia il costo del suo mantenimento (cibo, istruzione, cure,
abbigliamento, abitazione). Ma in realtà ciò che egli produce è molto più di questo: tale eccedenza è chiamata plusvalore, che non andrà al
lavoratore ma al capitalista. In ciò consiste lo sfruttamento.

Tra i marxisti contemporanei, Norman Birnbaum applica le teorie marxiane all’analisi della società americana , contestando l’affermazione
secondo cui potere e opportunità non sarebbero più determinati dalla proprietà, ma dal sistema educativo meritocratico. L’autore sostiene che
la riuscita negli studi e la possibilità di accedere alle scuole più esclusive dipendono dall’appartenenza familiare.
Il conflitto di classe
Il conflitto di classe definisce il carattere fondamentale di una società in ogni epoca storica. Esso è prodotto dalle differenze inconciliabili tra gli
interessi delle classi, tanto forti da spingere i loro membri a organizzarsi in vista di un’azione comune. La misura in cui i membri di una classe
riconoscono i propri interessi dipende dal livello della loro coscienza di classe. Il compito del marxista è proprio quello di incoraggiare gli
individui, specie il proletariato sfruttato, a riconoscere i propri interessi e a difenderli, puntando al cambiamento e alla rivoluzione.
Alcuni critici di Marx hanno messo in dubbio il fatto che i membri di una classe abbiano sempre interessi comuni. Esempio: l’intervento politico
spesso avvantaggia un settore dell’industria, o un gruppo di capitalisti, a scapito di un altro, ad esempio limitando l’importazione di merci
straniere a buon mercato per difendere una certa produzione nazionale, facendo però lievitare i costi di chi usa quelle merci per la propria
attività. Un’altra critica riguarda il fatto che la lotta di classe sia fondamentale per il cambiamento sociale. In realtà molti sociologi sostengono
che le società possono essere trasformate senza che classi rilevanti diventino consapevoli e attive.

Classe e patriarcato
La teoria marxista ha sempre considerato le donne come vittime dell’oppressione capitalista e della “famiglia borghese”. Marx ed Engels
sostengono che il borghese vede nella moglie un mero strumento di produzione. Entrambi, pur ritenendo che la divisione del lavoro fra uomo e
donna sia sempre esistita, considerano la famiglia come parte della sovrastruttura

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determinata dai rapporti di produzione. La famiglia borghese è il prodotto della proprietà privata ed è destinata a sparire con la scomparsa del
capitale; con essa sparirà anche l’oppressione delle donne e l’amore sarà la nuova base delle relazioni tra i sessi.
Le femministe marxiste offrono valutazioni diverse rispetto a questa analisi. Alcune affermano che il patriarcato è qualcosa di separato e
addizionale rispetto al capitalismo.
Zillah Eisenstein definisce il patriarcato come “l’ordinamento maschile gerarchico della società”(1979) e ne individua le radici più nella biologia
che nell’economia o nella storia. Questa cultura esercita un controllo attraverso la divisione sessuale del lavoro determinando scopi, ruoli,
attività e tipi di lavoro separati. Così il patriarcato anticipa e supera il capitalismo ed entrambi si rafforzano reciprocamente.

*Cultura, ideologia e alienazione


Per i detentori del potere è rilevante che esso abbia i caratteri della legittimità. In una società di classi gli individui credono a una serie di cose
che non sono obiettivamente fondate, ma rappresentano piuttosto una forma di ideologia, il cui scopo principale è quello di legittimare coloro
che detengono il potere. L’ideologia serve a distogliere gli individui dai loro veri interessi instillando in loro una falsa coscienza.
Marx era convinto che la società di classe fosse un male perché, oltre a favorire lo sfruttamento e la falsa coscienza, creava alienazione. Se da un
lato l’uomo ha una natura che si realizza attraverso il lavoro creativo, la divisione del lavoro, la proprietà privata e la brama di denaro tipica dei
lavori capitalistici alienano, cioè estraniano, l’uomo non solo dal suo prodotto e dall’attività di produzione ma anche da se stesso e dai suoi simili.
Ne consegue che l’abolizione di proprietà privata e classi porrebbero fine al fenomeno della alienazione. Occorre notare che Marx non coltiva
però l’idea romantica della rivoluzione industriale come catastrofe: al contrario, il capitalismo e la ricchezza da esso prodotta sono le
precondizioni necessarie per la realizzazione dell’utopia comunista.
Molti neomarxisti, specialmente europei, ritengono che i fattori culturali (sovrastrutture per Marx) svolgano un ruolo indipendente nel
perpetuare differenze di classe ma anche per creare condizioni di cambiamento. P.Bourdieu insisterà sull’importanza del capitale culturale nella
riproduzione delle diseguaglianze di classe.
Il capitalismo in America
In America interessante è apparso il lavoro di Erik Olin Wright. Egli superò la classica distinzione in classi di origine marxiana (borghesia e
proletariato) proponendo una classificazione più complessa avendo notato che nella borghesia rientrava solamente una piccola percentuale di
popolazione attiva mentre larga parte di essa (dirigenti e quadri superiori; lavoratori dipendenti semiautonomi; piccoli imprenditori con un
numero minimo di dipendenti) aveva una collocazione incerta. Le dodici classi di Wright sono così suddivise: capitalisti, piccoli imprenditori,
piccola borghesia, dirigenti-quadri-lavoratori ad alta qualificazione,dirigenti-quadri-lavoratori a media qualificazione, dirigenti-quadri-lavoratori a
bassa q. Secondo alcuni critici questa complessità mostra come la classe sia un concetto difficile per l’analisi della società. Tra le altre tesi di
Wright: quella per cui il capitalismo tenderebbe a “dequalificare” il lavoro, riducendolo a routine per consentire un più facile controllo dei
lavoratori. Per alcuni marxisti, la combinazione di operai sovraistruiti e di lavori dequalificati è considerata una via verso la coscienza di classe.
Wright si è anche interessato di questione femminile, in particolare al cosiddetto soffitto di cristallo: anche quando le donne fanno carriera in
ambito professionale e dirigenziale, esiste pur sempre un limite alle loro possibilità di raggiungere i livelli più elevati della gerarchia. Nei lavori
che comportano un alto grado di responsabilità le donne sono molto meno numerose di quanto sarebbe da attendersi in base al loro livello di
istruzione.

*Classe, società, stato

Se nessuno possedesse terra o capitale, se non vi fossero rendite, profitti o redditi finanziari, tutto il plusvalore resterebbe al lavoro e cesserebbe
lo sfruttamento. L’abolizione della proprietà privata porrebbe fine al conflitto sociale. I comunisti ortodossi e anche molti socialisti condividono
questa visione. Altri invece, tra cui molti marxisti, dubitano che l’abolizione della proprietà privata possa annullare le differenze di interesse tra
gruppi sociali (ciò per l’esistenza del potere statale).

Il potere statale

Marx sostiene che in una società senza classi anche lo stato andrebbe abolito, sostituito da funzioni amministrative di routine, non soggette a
controversie.
Marx formula due proposizioni distinte quando discute del ruolo dello stato:
a) lo stato rende possibile lo sfruttamento di classe fornendo stabilità e consentendo a un gruppo di rimanere in posizione dominante (in
questo caso i burocrati e funzionari statali sono visti come un gruppo sociale distinto, con interessi propri, non semplicemente una parte della
classe dominante. In tal caso –obiettano i critici - è difficile supporre che possano scomparire la coercizione dell’apparato statale così come il
conflitto sul potere statale e la distinzione tra stato e società);
b) lo stato è uno strumento di classe, un braccio operativo della classe dominante( in questo caso occorre tendere, attraverso l’abolizione
della proprietà privata, al superamento della divisione della società in classe dominante e oppressi).

Un’analisi marxista del potere nelle società socialiste è data da Miovan Djilas, collaboratore di Tito e vice presidente della Jugoslavia. Egli
sostiene che le classi si basano fondamentalmente sui rapporti di proprietà. Ma l’abolizione della proprietà privata non comporta però la
scomparsa delle classi. Nei paesi comunisti, anzi, ha creato una nuova classe, la burocrazia politica, che controlla tutta la proprietà (che è statale)
e la usa per appropriarsi di potere e privilegi a spese della popolazione.
Classi e mutamento sociale
Ivan Szelény, sociologo ungherese, sostiene che lo sviluppo delle economie socialiste nell’era post-staliniana ha creato una nuova classe
dominante, più estesa della burocrazia politica di Djilas. Essa è l’intelligentsia, che nel suo insieme ha preso il potere. Ad esempio, nei primi anni

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del regime comunista, numerosi alti funzionari del partito erano di origini contadine e dovevano la loro posizione esclusivamente alla loro
appartenenza al partito. Poi (anni ’70) le persone riuscivano a spostarsi facilmente fra ruoli burocratici e quelli intellettuali. Nell’Ungheria
comunista “il direttore di uno dei teatri di Budapest è stato in precedenza alto ufficiale della polizia politica. Il suo ex capo nell’equivalente
ungherese del KGB è attuale dirigente di una grande industria di salumi…E’ praticamente impossibile distinguere la tecno burocrazia e
l’intelligentsia”(1982).
L’autore fa riferimento anche alla teoria delle élite per analizzare le società in mutamento dell’Europa orientale post-comunista.
*Nei paesi occidentali i principali gruppi sociali continuano ad essere le classi, sulla base del loro diverso rapporto con la proprietà dei mezzi di
produzione;
*in Europa occidentale, invece, i conflitti tra le classi (conflitti interclasse) non sembrano avere un ruolo importante nella transizione mentre
molti elementi fanno ritenere che siano dominanti i conflitti all’interno di ciascuna classe (c.intraclasse). Il socialismo, infatti, era un sistema
duale di stratificazione dove la logica della classe non ha mai soppiantato quella del rango.
Marx si sarebbe atteso un cambiamento provocato dalla crescente consapevolezza della classe operaia. In realtà, nella caduta del comunismo in
Europa orientale la resistenza dal basso ha avuto un ruolo secondario. Il cambiamento va attribuito al rovesciamento della vecchia burocrazia da
parte di una coalizione tra tecnocrati riformisti e intelligentsia.
*L’analisi marxista: una valutazione
I contributi più importanti di Marx sono essenzialmente due:
a) la tesi secondo cui gli individui che condividono gli stessi interessi economici tendono a coalizzarsi per intraprendere azioni comui;
b) la spiegazione delle differenze tra società in termini di gruppi caratterizzati dalla posizione economica.

3.2. La teoria critica: la Scuola di Francoforte


L’espressione teorica critica è associata in senso stretto agli studiosi della S. di Francoforte. Fonti di ispirazioni sono stati in particolare le teorie di
Marx, ma anche la filosofia hegeliana e la psicoanalisi. Esponenti più significativi: Max Horkheimer (1895-1973), Theodor Adorno (1903-1969),
Herbert Marcuse (1889-1979), Erich Fromm (1900-1980). Tutti provenivano da famiglie ebree della classe media e tutti abbandonarono la
Germania per l’America intorno alla metà degli anni ’30 per sfuggire al nazismo. Fecero ritorno in Germania solo Adorno e Horkheimer per
ricostituire l’istituto di ricerca sociale. I principali membri non erano attivamente impegnati nella vita politica, ma il loro lavoro ha avuto molta
influenza sugli studenti radicali tedeschi, mentre Marcuse è stato un punto di riferimento importante per la nuova sinistra americana.

*La teoria critica e la natura delle scienze sociali


Due sono le tesi principali su cui poggia l’approccio della scuola:
a) le idee degli individui sono un prodotto della società in cui vivono (è impossibile arrivare a una conoscenza obiettiva e a conclusioni
libere dall’influenza della nostra epoca);
b) gli intellettuali non dovrebbero cercare di essere obiettivi e di separare i fatti dai giudizi di valore, ma adottare un atteggiamento critico
nei confronti della società che studiano, atteggiamento che produca consapevolezza e che abbia come scopo finale il mutamento sociale.
Horkheimer afferma che il libero sviluppo dell’individuo dipende dalla costituzione razionale della società e che in una tale società cesserà il
conflitto tra le potenzialità umane e l’organizzazione sociale del lavoro.

Cultura, personalità, società controllata


I francofortesi si definiscono “materialisti” per l’importanza che attribuiscono all’organizzazione economica.
Tuttavia i loro studi si sono spesso focalizzati sugli aspetti della personalità, della cultura e del pensiero. Hanno sempre affermato che pensiero e
personalità hanno radici nel sistema economico ma, diversamente dai marxisti ortodossi, ammettono anche che cultura e ideologia possono
svolgere un ruolo indipendente nella società, che il puro determinismo economico è semplicistico. Nelle loro analisi analizzano le interazioni tra
struttura socioeconomica sottostante e pulsioni psichiche.
Fromm studiò le modalità attraverso cui una particolare struttura libidica, formata e trasmessa all’interno della famiglia, può funzionare da
cemento sociale. Egli sosteneva che lo “spirito capitalista”, razionale, possessivo e puritano, è collegato alla repressione anale e alla meticolosità.

Per Fromm l’alienazione costituisce l’elemento cruciale nell’analisi degli effetti del capitalismo sulla personalità. Nella società capitalistica
lavoratori subordinati e dirigenti sono ugualmente alienati in quanto vedono negati bisogni primari come la creatività e l’identità personale;
nelle relazioni con gli altri sono motivati dall’interesse, non dall’amore, e si considerano “avvocati” o “impiegati”, non persone.
I teorici francofortesi hanno anche approfondito lo studio sulla personalità autoritaria, arrivando a sostenere che gli individui più antidemocratici
e con maggiori pregiudizi possiedono una personalità particolare e provengono in genere da famiglie in cui i rapporti tra genitori e figli sono
caratterizzati da dominio, sottomissione e intolleranza verso qualsiasi forma di anticonformismo. Inoltre gli individui con maggiori pregiudizi
sono molto influenzati dal modello culturale complessivo e potenzialmente fascista prodotto dalla struttura sociale.

La critica alla cultura di massa


Horkheimer sostiene che cultura e ideologia non sono un semplice riflesso della struttura economica, ma un ambito semiautonomo. In questa
prospettiva, ad esempio, la cultura popolare viene considerata come strumento di manipolazione in una società completamente controllata.
Marcuse dà un quadro desolante delle società industriali moderne. Afferma che il progresso tecnico ha reso possibile un intero sistema di
dominio che inibisce ogni tentativo di protesta. Il controllo sociale a difesa dello status quo, compreso il condizionamento dei media, è così
potente che nemmeno il pensiero sopravvive come attività critica. La cultura si è appiattita su un ordine totalitario che ha preso il posto di quello
liberale ed è diventato unidimensionale, avendo eliminato ogni idea alternativa.

3.3. Charles Wright Mills

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Mills (1916-1962) è il più noto dei sociologi americani che adottano una prospettiva conflittuali sta accompagnata da una forte critica dell’ordine
sociale. Egli riteneva che, grazie alla conoscenza, fosse possibile creare una “società buona”, e che gli uomini di cultura dovessero assumersi la
responsabilità di questo progetto da realizzare. Credeva nel socialismo libertario e sosteneva la rivoluzione cubana nella speranza che potesse
combinare socialismo rivoluzionario e libertà.
*L’immaginazione sociologica
Questa facoltà, che unisce i livelli macro e micro, permette a chi la possiede di comprendere il contesto storico nei termini del suo significato per
la vita interiore ed esteriore degli individui. Consente loro di vedere come essi, nell’esperienza quotidiana siano spesso falsamente coscienti della
propria posizione sociale. Mills sostiene che gli individui riescono a comprendere le proprie esperienze personali solo se sono in grado di calarsi
all’interno della propria epoca storica. L’immaginazione sociologica permette dunque di cogliere storia e biografia e le loro reciproche relazioni
all’interno della società.

*Alienazione e burocrazia
Mills evidenzia che le privazioni materiali di un tempo sono state oggi rimpiazzate da un disagio psicologico che ha le sue radici nella alienazione
del lavoratore dalla propria attività. Per esempio, egli vede nei colletti bianchi, che sono una quota crescente della forza lavoro contemporanea,
individui apatici, spaventati, plasmati dalla cultura di massa. Oggi i detentori del potere lo esercitano spesso in modo occulto, con il passaggio
progressivo dall’autorità alla manipolazione; per la burocrazia il mondo è un oggetto da manipolare. Inoltre oggi sempre meno persone
possiedono i propri strumenti di lavoro e controllano la propria attività lavorativa.
Come Veblen, Mills è convinto che status e autostima siano strettamente legati e che il venir meno dei valori tradizionali logori l’autostima degli
individui, gettandoli in una condizione di “panico”.
Contrariamente a Marx non crede che il lavoro sia necessariamente la forma di espressione fondamentale dell’uomo; inoltre condanna il
capitalismo burocratico in quanto aliena l’individuo dal processo e dal prodotto del suo stesso lavoro. Ciò è evidente, per esempio, nei commessi
(che fan parte della categoria dei colletti bianchi) la cui personalità diviene anch’essa una merce in vendita e la cui cordialità rientra tra i “mezzi
impersonali per guadagnarsi la vita”.
L’alienazione dal lavoro stimola una frenetica ricerca di svago, ma l’industria del divertimento produce emozioni artificiali, che non offrono né
una reale liberazione né valori autentici da condividere.

*L’élite del potere


Mills ritiene che la crescita delle grandi organizzazioni sia stata accompagnata da una centralizzazione del potere. L’élite del potere è costituita
dai vertici di governo, grandi imprese e forze armate. Ritiene che il potere possa basarsi su elementi diversi dalla proprietà. L’unità di interessi
dell’élite istituzionale ha promosso un’economia di guerra.
Mills fa parte di una tradizione culturale tipicamente americana, che non vede nella proprietà la maggiore fonte di patologie sociali. Ritiene che
la piccola proprietà e gli imprenditori indipendenti, diversamente dalle grandi imprese, costituiscano la maggiore garanzia di libertà e sicurezza, e
rimpiange il declino della vecchia società americana di agricoltori e piccoli imprenditori autonomi.

3.4. Pierre Bourdieu


Bourdieu(1930-2002) è uno dei più noti rappresentanti della sociologia critica. Forte era la sua opposizione a quello che definiva il “flagello
neoliberale” contemporaneo. Le sue simpatie andavano al movimento no global e criticava i fautori del mercato e della globalizzazione per il loro
sostegno agli interessi delle società multinazionali e dei gruppi privilegiati.
*Campi del conflitto
Bourdieu critica l’idea marxiana per cui la società va analizzata solo in termini di classi, interessi di classe, ideologie di classe. Molti dei suoi studi
riguardano il ruolo indipendente dei fattori educativi e culturali.
Invece di analizzare la società in termini di classi egli utilizza il concetto di campo inteso come arena sociale nella quale gli individui agiscono,
sviluppano strategie, si contendono risorse (es. campo accademico, campo religioso, campo del potere ecc.). Un campo è un sistema di posizioni
sociali strutturato internamente in relazioni di potere. La politica, ad esempio, ha assunto un carattere autonomo e professionalizzato,
sviluppando un proprio sistema di regole. Il modo di operare della politica ed il potere che offre non possono essere visti semplicemente come
una funzione dei processi economici (qui è influenzato da Weber). Tuttavia il potere associato ai vari campi dipende in modo cruciale da distinte
forme di capitale. Bourdieu ne distingue tre:
a) capitale economico: riguarda il controllo delle risorse economiche;
b)capitale sociale: riguarda le relazioni sociali, le reti di influenza e sostegno su cui gli individui possono contare sulla base della loro posizione
sociale;
c) capitale culturale, a esso l’autore dedica i suoi contributi più originali.
I genitori, afferma Bourdieu, trasmettono ai figli una certa quantità di capitale culturale. Per esempio egli mostra come il gusto e la percezione
del bello variano secondo la classe. Egli analizza anche i modi in cui il capitale culturale si traduce in vantaggi educativi. Coloro che, ad es.,
provengono da famiglie privilegiate padroneggiano gli atteggiamenti e le conoscenze che fanno della scuola un luogo accogliente, in cui è facile
avere successo. Il sistema educativo può così “perpetuare i privilegi attraverso il semplice funzionamento della sua logica interna”.

*Riproduzione e habitus
La teoria di Bourdieu riguarda la riproduzione sociale, ovvero i modi in cui una determinata classe è in grado di riprodursi trasmettendo ai propri
discendenti i privilegi di cui gode.
Per Bourdieu il successo scolastico richiede una lunga serie di comportamenti acculturati che consentono di accedere all’istruzione superiore e di
affrontare le prove di selezione. I figli delle classi superiori possiedono questo insieme di comportamenti, non così i figli della classe operaia. I
primi sono favoriti dal sistema educativo e le loro famiglie possono riprodurre la loro posizione di classe in maniera legittima e apparentemente

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equa. La legittimazione di questo capitale culturale è cruciale per garantire la sua efficacia come fonte di potere e successo e viene indicata
dall’autore come violenza simbolica, cioè violenza esercitata su un attore sociale con la sua complicità. Nel senso che gli individui accettano i
sistemi di significato (cultura) come legittimi, fraintendendo quanto accade veramente (il sistema si propone, e viene percepito dagli interessati,
come basato sulla selezione meritocratica, anche se in realtà così non è). In questa visione, un elemento chiave è la trasformazione di abitudini
culturali e posizioni economiche degli individui in un capitale simbolico dotato di legittimità e percepito come qualcosa di reale. Il capitale
simbolico “non è altro che un capitale economico o culturale riconosciuto e accettato” il quale tende così “a rafforzare i rapporti di potere che
costituiscono la struttura dello spazio sociale”.
Bourdieu ha anche sviluppato il concetto di habitus come “un sistema di modelli percettivi, di pensiero e di azione acquisiti stabilmente e
generati da condizioni oggettive, che tendono a persistere anche dopo il mutamento di tali condizioni”. Esso quindi è una chiave della
riproduzione in quanto generatore delle pratiche costanti e ripetute che costituiscono la vita sociale.

*La sociologia riflessiva e l’idea di “pratica”


Bourdieu studia la società a livello macro e si basa ampiamente su dati empirici quantitativi, ma è molto critico nei confronti della sociologia che
pretende di fornire analisi oggettive basate sul modello scientifico. Egli rifiuta quella falsa contrapposizione fra oggettivismo e soggettivismo per
insistere sull’importanza di una sociologia riflessiva secondo la quale i sociologi devono condurre le proprie ricerche prestando un’attenzione
consapevole agli effetti della propria posizione sociale, e in particolare delle proprie strutture interiorizzate. La sociologia riflessiva chiede ai
sociologi di prestare attenzione “alla distorsione più profonda…le determinazioni individuali inerenti alla posizione intellettuale stessa, al punto
di vista dello studioso”.
Infine l’autore insiste sul fatto che le pratiche umane vanno intese come un processo dialettico che coinvolge tanto le disposizioni prodotte
dall’habitus, quanto le condizioni oggettive dei campi in cui gli individui operano. Qui il debito verso il pensiero marxista è evidente: il suo
concetto di pratica è analogo a quello di prassi.

4.Teoria del conflitto e sociologia analitica: l’eredità di Weber (Analitici)


Ralph Dahrendorf , Lewis Coser e Randall Collins, i teorici qui trattati, possono essere definiti come teorici analitici del conflitto. Condividono che
la prospettiva conflittualista sia fondamentale per lo sviluppo di una sociologia scientifica, ma si distinguono dai teorici critici per tre importanti
aspetti:
a) mentre i critici vedono le scienze sociali come componente costitutiva dell’intervento politico e negano che fatti e valori possano rimanere
separati, gli analitici considerano essenziale tale separazione. Le idee non sono necessariamente distorsioni della realtà solo perché sono il
prodotto di particolari circostanze sociali o tendono a favorire gli interessi di un particolare gruppo;
b) gli analitici non ritengono che la società sia attraversata da un’unica linea di stratificazione, con un gruppo dominante opposto alla
massa. Esistono molteplici fonti di potere e di status all’interno di una società, cosicché un particolare insieme di istituzioni, come quelle basate
sulla proprietà, non risulta sempre dominante;
c) gli analitici non contrappongono alla condizione presente un ideale razionale e libero da conflitti; evidenziano che il conflitto e le sue
radici hanno un carattere permanente e i conflitti d’interesse sono inevitabili.

4.1. Ralph Dahrendorf


Il lavoro del sociologo tedesco Dahrendorf (1929-2009) segue due filoni fondamentali:
a)il primo è quello che egli descrive come “teorie della società”, ossia l’esposizione dei principi generali della spiegazione sociale (qui sottolinea il
primato del potere e il carattere inevitabile del conflitto),
b)come in Marx, il secondo filone riguarda i fattori che determinano il conflitto esplicito, il modo in cui le istituzioni sociali generano
sistematicamente gruppi con interessi conflittuali e le circostanze in cui tali gruppi si attivano e si organizzano.

*Potere, conflitto e spiegazione sociale


L’autore ritiene che esista una tendenza al conflitto insita nel sistema sociale. Il conflitto è la grande forza creativa della storia umana.
Il potere. Per Dahrendorf il fattore determinante della struttura sociale è la distribuzione del potere. La definizione ricalca quella weberiana: “la
probabilità che un soggetto agente in una data relazione sociale sia in condizione di assicurare l’esecuzione della propria volontà nonostante
eventuali resistenze e indipendentemente dalla base su cui è fondata tale probabilità”. L’essenza del poter sta nel controllo delle sanzioni, che
consente ai suoi detentori di impartire ordini e di ottenere obbedienza. Ma le persone non accettano la sottomissione: da ciò deriva il conflitto.
E’ vero che il potere è necessario alle grandi organizzazioni per raggiungere i loro scopi e a volte, come nel caso di una guerra difensiva, i
detentori del potere possono ben rappresentare gli interessi comuni di un gruppo. Ma per Dahrendorf non è la comunità che concede ad alcuni il
potere di realizzare una volontà comune, ma sono essi ad appropriarsi del potere e a usarlo per i propri fini personali (questa visione del potere è
molto differente da quella funzionalista; Parsons, ad es., è convinto che il potere sia uno strumento delle istituzioni politiche per assolvere
l’imperativo funzionale del raggiungimento dello scopo). Le norme. L’autore sostiene che non è il consenso a generare e definire le norme
sociali. Le norme vengono stabilite e mantenute dal potere, prova ne è il fatto che esse sono rafforzate da sanzioni. Le norme stabilite non sono
altro che norme imposte.
La stratificazione sociale. L’autore distingue due aspetti: a)le posizioni sociali differenti richiedono capacità differenti;
b)le posizioni sociali vengono classificate come superiori o inferiori l’una rispetto all’altra.
Ne deriva una differenziazione sociale tra le posizioni e una stratificazione sociale basata sulla reputazione e la ricchezza, ed espressa in un
ordine gerarchico di status sociali. Questa
stratificazione è rconducibile a norme che definiscono certe cose come desiderabili e certe altre no. Queste norme derivano e sono sostenute
dal potere (nel funzionalismo, invece, la stratificazione sociale deriva dal bisogno della società di far emergere individui di talento che occupino
le posizioni chiave).

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*Le determinanti del conflitto: una teoria dei gruppi di conflitto


Dahrendorf si chiede quando le diseguaglianze e gli interessi conflittuali producano effettivamente dei conflitti. La tesi è che i conflitti hanno
luogo quando i gruppi differiscono per l’autorità che possono far valere su altri. L’autorità (seguendo Weber) indica il potere connesso a un ruolo
o a una posizione sociale che gode di legittimità in quanto definito e delimitato da norme sociali, e sostenuto da sanzioni applicabili entro i limiti
stabiliti da tali norme.
I modelli stabili e ricorrenti di autorità istituzionale fanno sistematicamente sorgere conflitti sociali tra chi possiede autorità e chi no. L’autorità,
infatti, la si possiede oppure no. D’accordo con Marx, l’autore sostiene che il conflitto coinvolge solo due parti; ma d’altra parte non tutte le
classi sono continuamente impegnate in un conflitto attivo. Il termine classe identifica gruppi di conflitto generati dalla distribuzione
differenziale di autorità all’interno di associazioni coordinate da norme imperative.

La mobilitazione delle classi


I requisiti strutturali necessari affinché gli individui formino gruppi di interesse attivi sono di tre tipi:
a)da un punto di vista tecnico un gruppo per diventare attivo richiede un fondatore e uno statuto o un’ideologia;
b)da un punto di vista politico, quanto più lo stato è liberale tanto più è probabile la mobilitazione; specularmente, quanto più lo stato è
totalitario tanto meno è probabile la mobilitazione;
c)infine troviamo tre fattori di tipo sociale: la formazione del gruppo è tanto più probabile quanto più i suoi potenziali membri :
*sono concentrati a livello geografico; *possono comunicare facilmente tra loro;
*hanno la stessa estrazione (es. provengono da famiglie o scuole dello stesso tipo).

Violenza e intensità del conflitto


La violenza di un conflitto dipende dal “tipo di armi scelto”, mentre la sua intensità ha a che fare con “il dispendio di energia e il grado di
partecipazione delle parti in conflitto”. Rispetto al livello di violenza, occorre tener conto del grado di istituzionalizzazione del conflitto e di
accettazione condivisa delle regole del gioco (poiché coloro che si accordano per comporre le divergenze attraverso la discussione in genere non
ricorrono alla violenza fisica).

Rispetto l’intensità, l’autore identifica tre importanti fattori:


a)la misura in cui coloro che sono subalterni in una determinata associazione lo sono anche nelle altre associazioni di cui fanno parte;
b)la misura in cui coloro che detengono l’autorità in un certo ambito occupano posizioni di vertice anche in altri ambiti;
c)il terzo riguarda la mobilità tra le varie posizioni: quanto più è alta, tanto meno intenso sarà il conflitto.
Il conflitto nell’industria
Nell’ultimo secolo è cresciuto il numero di imprese la cui proprietà, detenuta dagli azionisti, è separata dal management. Poiché nel
diciannovesimo secolo proprietari e manager erano generalmente la stessa persona, Marx aveva erroneamente ricondotto alle diseguaglianze di
proprietà un conflitto che in realtà concerneva il potere, ma era rafforzato dalla sovrapposizione di autorità economica, ricchezza e influenza
politica. Oggi il conflitto industriale è meno intenso, sia perché proprietà e management sono separati, sia per il sopravvenuto “isolamento
istituzionale” dell’industria (la posizione che un individuo ricopre nell’industria è meno connessa ad altre sfere della sua vita).

Il conflitto e lo stato
Nello stato, come nell’industria, le linee fondamentali di sviluppo del conflitto passano tra chi impartisce e chi riceve ordini. Lo stato è
l’organizzazione più potente all’interno della società e la “classe dominante” comprende, in questo caso, l’élite che occupa le posizioni di vertice
della gerarchia statale. Anche la burocrazia fa parte della catena di comando. La tesi di Dahrendorf spiega la grande stabilità di stati burocratici
come quello bizantino o quello dei faraoni: quanto è più ampia è la classe che detiene l’autorità, tanto più folto sarà il gruppo pronto a schierarsi
contro ogni minaccia da parte dei subordinati. Stato e burocrazia formano insieme un’istituzione distinta, che non è il semplice riflesso di altri
aggregati sociali. A questo proposito, l’autore afferma che oggi esiste chiaramente un conflitto tra governo e industria.

4.2. Lewis A. Coser


Come altri teorici del conflitto, Coser (1913-2000) abbina una carriera accademica di grande rilievo a un forte impegno sociale e politico. Nato a
Berlino in una famiglia di banchieri ebrei, lascia la Germania quando Hitler sale al potere. Si trasferisce in Francia, Spagna e Portogallo e poi
emigra negli U.S.A.
Dei teorici discussi in questo capitolo, Coser è il più vicini a Simmel, il più interessato alla trama del conflitto, quella rete di rapporti che possono
da un lato tenere unita la società, dall’altro generare lotte e contrasti. L’autore sottolinea che il conflitto, per quanto importante, rappresenta
solo una faccia della vita sociale, non più rilevante del consenso. A differenza di Dahrendorf, si sofferma meno sulle radici del conflitto e ritiene
invece che, tra le possibili conseguenze del conflitto, possa esservi il cambiamento ma anche un aumento della stabilità sociale.

*Origini e funzioni del conflitto sociale


Discutendo le origini del conflitto, l’autore presta molta attenzione al ruolo delle emozioni individuali. Concorda con Simmel sull’esistenza di
“impulsi” aggressivi e ostili nelle persone e sottolinea la presenza di sentimenti sia d’amore che di odio nei rapporti intimi. I caratteri dell’ostilità
e del conflitto variano per ragioni sociologiche. Si veda, ad es., il rapporto genitori-figli. Qui è inevitabile un certo grado di risentimento, che però
dipende da vari fattori: dal fatto che i figli godano o meno di indipendenza finanziaria, dalla chiarezza dei passaggi attraverso i quali il figlio
assume un ruolo adulto ben definito, dal sostegno emotivo e pratico offerto al di fuori della famiglia nucleare da altri parenti.
Coser sostiene che il conflitto porta spesso al cambiamento, stimola l’innovazione, oppure accresce la centralizzazione (specie in caso di guerra).
Egli inoltre si concentra sul ruolo del conflitto nel conservare la coesione del gruppo (vede la coesione come uno dei possibili esiti del conflitto).
Distingue tra conflitti esterni e interni al gruppo: entrambi possono definire un gruppo, fondarne l’identità, mantenere la stabilità e aumentarne

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la coesione.
Conflitto esterno. E’ essenziale per l’identità del gruppo. Con Simmel sostiene che il conflitto delimita i confini tra i gruppi all’interno di un
sistema sociale rafforzando la consapevolezza che ciascun gruppo ha di sé come entità separata, stabilendo così l’identità dei gruppi all’interno
del sistema. Il conflitto esterno può rafforzare il gruppo (introducendo un forte gruppo di riferimento negativo cui contrapporsi esso rende i
membri consapevoli della propria identità e ne incentiva la partecipazione). Questo non sempre accade: se la coesione interna iniziale è molto
bassa, il conflitto può semplicemente accelerare il processo di disintegrazione.

Conflitto interno. Con Durkheim, Mead e Marx, Coser afferma che il conflitto con i “devianti” di un gruppo rende evidente ai suoi membri la
condotta da tenere. Il conflitto interno quindi è di importanza cruciale per l’identità di un gruppo, incarnata nelle norme che ne definiscono il
comportamento corretto. Il conflitto interno può anche aumentare la sopravvivenza, la coesione e stabilità di un gruppo. Esso rappresenta una
valvola di sicurezza importante in condizioni di stress poiché evita la dissoluzione del gruppo. Il conflitto interno può garantire la stabilità di una
società: quando gli individui appartengono a molti gruppi diversi, ognuno dei quali persegue i propri interessi ed è perciò coinvolto in specifici
conflitti, è meno probabile che investano tutte le loro energie in un unico conflitto capace di spaccare la società.

*Il conflitto sociale disgregante

Coser ritiene più probabile che un conflitto interno interessi i principi sociali di base - e quindi sia disgregante – in società rigide, nelle quali il
dissenso è più difficoltoso. Inoltre sappiamo come alcuni conflitti fungano da valvola di sicurezza, senza la quale l’antagonismo sociale
scoppierebbe violentemente. In più, quando emerge dopo un lungo periodo di compressione, il conflitto tende a dividere il gruppo,
coinvolgendo questioni e valori di base.
Abbiamo anche visto che minore è il numero di gruppi cui un individuo appartiene, più è probabile che sia profondamente coinvolto in uno di
essi. Un intenso coinvolgimento influenza i conflitti sia interni che esterni. I leader di sette religiose sanno da sempre che quanto più le relazioni
dei membri si incentrano sul gruppo, tanto più esso potrà disporre della loro energia e dedizione.
Rispetto ai rapporti di appartenenza multipli, Coser quindi sottolinea che un conflitto interno disgregante è meno probabile poiché
l’interdipendenza fa si che persone con interessi comuni in un campo siano in contrasto in un altro, in modo da rendere improbabile l’insorgenza
di una questione preponderante e polarizzante.
Oltre alla rigidità sociale e all’interdipendenza tra individui, anche le idee influiscono sulla radicalità del conflitto. Esso è tanto più intenso quanto
più i soggetti coinvolti sentono di lottare nell’interesse del gruppo e non solo per se stessi. Il radicalismo dei conflitti è accresciuto dalla presenza
degli intellettuali: essi trasformano i conflitti infondendo una particolare carica morale.

4.3. Randall Collins


Collins (nato nel 1941) è l’ultimo e più giovane dei teorici del conflitto qui presentati. Egli non si propone di descrivere le condizioni in cui
esplode il conflitto sociale. In molte delle situazioni che presenta non esiste affatto conflitto aperto. Egli piuttosto vuole mostrare che è possibile
spiegare un’ampia gamma di fenomeni sociali in base all’assunto generale dell’esistenza di interessi conflittuali. Nel suo lavoro troviamo
l’insistenza sugli interessi degli individui, la concezione di una società costituita da gruppi in competizione le cui risorse forniscono ai rispettivi
membri maggiore o minore potere sugli altri, l’interesse per le idee usate come arma di conflitto e di dominio sociale. Deve molto a Marx, ma
soprattutto a Weber: di quest’ultimo adotta la struttura analitica, l’approccio storico-comparativo, la prospettiva antiutopica. E’ inoltre convinto
che Durkheim spieghi molte cose sulla genesi dei legami emotivi e di fedeltà tra persone, ambiti che Collins studierà ampiamente.

*I caratteri della sociologia del conflitto


Collins assume da una parte esistano determinati beni (potere, ricchezza, prestigio) cui gli individui aspirano in ogni società; dall’altra che tutti
considerino intollerabile ricevere ordini e facciano sempre il possibile per evitarlo. Il conflitto sociale, quindi, esisterà sempre perché la
distribuzione dl potere è sempre ineguale.
Collins elabora una tipologia delle risorse che gli individui investono nel conflitto:

a)risorse tecniche e materiali, tra cui non solo proprietà, mezzi di produzione e capacità, ma anche armi;
b)forza e attrattiva fisica nei rapporti personali;
c)numero e varietà di persone con cui si hanno contatti e si può negoziare l’acquisizione di beni materiali e prestigio;
d)strumenti culturali che consentono di invocare solidarietà emotiva (ovvero la capacità di creare e sostenere una visione del mondo condivisa
che favorisca chi la promuove).
A sostegno della convinzione della iniqua distribuzione delle risorse ci sono moltissimi esempi: dalla differenza tra un intoccabile e un maragià
nell’ India dell’800, a quella tra una madre che vive di assistenza sociale e un presidente di una grande impresa nella società occidentale odierna.
Seguendo Weber, Collins evidenzia tre principali ambiti nella vita delle persone caratterizzati da una distribuzione ineguale di risorse e posizioni
sociali, che insieme costituiscono la stratificazione sociale:
a)il lavoro, rispetto al quale gli individui si dividono in classi;
b)la comunità, con i suoi diversi ceti, tra cui gruppi etnici, culturali, di età, di genere;
c)la politica, rispetto alla quale gli individui si organizzano in partiti che competono per il potere.

Collins non considera preminente un particolare aspetto della stratificazione: la posizione predominante di taluni individui è semplicemente la
somma delle loro risorse e posizioni nei diversi ambiti.
*Istituzioni sociali e distribuzione delle risorse
Alcune tra le più interessanti argomentazioni di Collins sui rapporti tra interessi conflittuali, la distribuzione delle risorse e la natura delle

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istituzioni sociali riguardano l’istruzione nella società contemporanea, la teoria dell’organizzazione e lo stato.

Stratificazione e istruzione
Collins si è sempre interessato al modo in cui le credenziali educative vengono usate nella lotta per il potere, la ricchezza e il prestigio. Considera
l’istruzione come una base importante di differenziazione, una sorta di “pseudo-etnia” che socializza le persone all’interno di una particolare
cultura. L’élite istruita, che condivide lo stesso tipo di cultura, utilizza quest’ultima come criterio di occupazione nelle posizioni privilegiate. Ed è
interesse delle persone istruite che l’educazione funzioni in maniera selettiva per permettere solo a chi ha completato la carriera formativa di
accedere ai livelli superiori della gerarchia sociale. Collins giudica parziale la spiegazione secondo cui un numero crescente di lavori richiede
maggiori competenze tecniche. L’evidenza dimostra che l’istruzione non è associata alla produttività del lavoro nell’industria e che i lavori sono
appresi principalmente attraverso la pratica.
Per capire l’enorme crescita del “sistema delle credenziali” occorre considerare l’istruzione come un sistema per stabilire le condizioni di accesso
alle occupazioni. Ciò può produrre quella sorta di inflazione delle credenziali cui abbiamo assistito nel recente passato: coloro che possiedono
un’istruzione superiore stabiliscono requisiti occupazionali che giocano a loro favore; tutti riconoscono l’importanza dell’istruzione ai fini del
successo e si sforzano di accrescere la propria; i datori di lavoro alzano progressivamente le qualifiche richieste per scremare la massa dei
candidati, e così via.
Recenti ricerche empiriche confermano l’importanza dell’istruzione non solo nel determinare lo status ma anche, e in misura crescente, nel
consentire ai genitori privilegiati di assicurare la posizione sociale dei figli. I risultati ottenuti dai bambini nei test cognitivi sono maggiormente
correlati al reddito della famiglia ; i risultati di questi test poi incidono sul successo scolastico.

La teoria dell’organizzazione
L’autore considera le organizzazioni come arene nelle quali chi occupa le posizioni superiori controlla i propri subordinati. Si può quindi
analizzare la struttura di una organizzazione esaminando le sanzioni a disposizione di coloro che esercitano il controllo. Si individuano tre tipi di
sanzioni:
a)la coercizione: le persone la odiano, e chi occupa posizioni subordinate all’interno di organizzazioni che fanno assegnamento su di essa ricorre
a una sorta di resistenza passiva (vedi gi schiavi, che sembrano stupidi e irresponsabili agli occhi dei loro padroni);
b)le ricompense materiali: sono meno alienanti, ma producono un tipo di organizzazione in cui il problema della remunerazione genera continue
recriminazioni;
c)il controllo normativo: è il più efficace, perché se i subordinati condividono gli scopi dei superiori saranno di gran lunga più motivati a
cooperare, obbedire e lavorare sodo.
Una tattica alternativa consiste nel reclutare individui legati da solidarietà o amicizia. Il nepotismo, ossia l’assunzione di membri della propria
famiglia, è un sistema tradizionale per creare fedeltà all’organizzazione.
I leader organizzativi più scaltri, afferma Collins, tentano sempre di mescolare incentivi normativi, materiali e talvolta anche sottili minacce
coercitive, che si prestano maggiormente a un uso di routine e a un controllo più stabile.

Lo stato
Nell’analisi dello stato Collins sottolinea ancora una volta che la coercizione è al centro della vita sociale. Lo stato è un tipo particolare di
organizzazione, in quanto esercita il controllo della violenza, in primo luogo attraverso l’esercito e la polizia. Collins è molto attento agli effetti
della tecnologia e dell’organizzazione militare sulla vita politica e sociale. Una società in cui larga parte delle famiglie combatte con armi proprie
e poco costose è di gran lunga più democratica di una società in cui un gruppo ristretto dotato di equipaggiamento dispendioso (come i cavalieri
medioevali) monopolizza la guerra. Tra le risorse che offrono agli individui la possibilità di accedere al controllo dello stato vi sono, oltre la
tecnologia militare, i sistemi di credenze, la proprietà, le reti di comunicazione.

Stratificazione e genere
In tutte le società il genere costituisce una delle più importanti caratteristiche individuali che determinano le opportunità di una persona. Le
donne risultano praticamente sempre svantaggiate rispetto agli uomini nell’accesso alla ricchezza, al potere, all’autonomia e ad altre risorse
importanti.
Collins ritiene che la condizione di inferiorità femminile sia il risultato del desiderio di gratificazione sessuale dell’essere umano, e del fatto che i
maschi sono nella maggior parte dei casi più grandi e più forti. Ma oltre a questo, esistono anche rilevanti differenze fra le varie società, che
dipendono essenzialmente da due fattori:

a)la posizione di mercato delle donne;


b)il modo in cui la coercizione viene esercitata nella società.
Le donne si trovano così in una situazione migliore nelle economie di sussistenza e nelle ricche economie di mercato, in una situazione peggiore
in tutti i casi intermedi. Analogamente, la loro condizione è migliore negli stati nazionali, in cui vige il monopolio statale della coercizione, e
peggiore nelle società in cui l’uso della forza è attribuito agli individui o alle famiglie.
Molte femministe apprezzano la spiegazione della variabilità, sulla discriminazione femminile, offerta da Collins. Altre sostengono che la
condizione femminile si spiega con la maternità.
Le diseguaglianze retributive di genere sono spesso dibattute in sociologia. Nonostante l’incremento dell’occupazione e delle retribuzioni
femminili, molti osservatori continuano a denunciare l’esistenza di un soffitto di cristallo (vedi sopra). Secondo la studiosa Janet Saltzman
Chafetz, le spiegazioni di questo fenomeno rientrano essenzialmente in due categorie:
a)la teoria del capitale umano: sostiene che le retribuzioni sono commisurate alle capacità personali (donne comprese);
b)i teorici del doppio mercato del lavoro: rifiutano la tesi sopra; ritengono che il mercato si divide in due settori:

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*il settore primario: offre stabilità e buone retribuzioni, dominato dagli uomini;
*il settore secondario: dà instabilità e basse retribuzioni; sono impiegati donne e minoranze etniche.
*Cultura, ideologia e legittimazione

Collins sottolinea spesso che l’oggetto dei suoi studi è l’individuo. Le esperienze degli uomini sono in larga misura il risultato dei loro valori e
delle loro percezioni. I tipi fondamentali di esperienza che l’autore identifica sono due:
a)dare e ricevere ordini: chi dà ordini tende a identificarsi con gli ideali dell’organizzazione in cui detiene il potere e in nome della quale giustifica
gli ordini. Chi riceve ordini, invece, si sentirà probabilmente estraneo agli ideali dell’organizzazione, sarà fatalista, servile, preoccupato delle
ricompense e diffidente verso gli altri.
b)i modelli di comunicazione: possono rafforzare o controbilanciare gli effetti del sistema di comando. Influiscono sul grado di accettazione delle
norme e dei valori di una società, e quindi sulla legittimità dell’ordine sociale. Due sono gli aspetti rilevanti della comunicazione umana: la
quantità di tempo trascorso insieme, o controllo reciproco, e la varietà dei contatti. Questi due aspetti corrispondono alla durkheimiana “densità
sociale”.

La densità sociale
Quanto più alto è il grado di controllo reciproco, tanto più gli individui accettano la cultura del gruppo e si aspettano altrettanta conformità da
parte degli altri; viceversa, meno vivono a contatto con altri, più i loro atteggiamenti saranno individualistici ed egocentrici.
La varietà dei contatti (cosmopolitismo) tra persone influenza in modo simile il loro modo di pensare. Quanto maggiore è la varietà delle forme
di comunicazione in cui un individuo è coinvolto, tanto più egli svilupperà idee astratte, l’abitudine a pensare in termini di conseguenze a vasto
raggio.

I rituali
Gli effetti della subordinazione, per coloro che ricevono ordini, per Collins sono controbilanciati dal controllo reciproco e da una scarsa varietà
dei contatti. Questi fattori creano legami emozionali che saldano il gruppo e rendono indiscutibilmente reale il modo in cui è organizzato,
rafforzando la posizione dei suoi membri. Anche i rituali, o sequenze di gesti e suoni stereotipati, possono rendere più intensa la risposta
emotiva, e quindi indurre le persone a una più stretta identificazione con determinate visioni della realtà.
Alcune evidenze empiriche sulla militanza sindacale e le ideologie rivoluzionarie segnalano che l’analisi di Collins è parziale. La sua analisi sulle
comunità rituali porterebbe a concludere che la militanza e le dottrine rivoluzionarie si sviluppano con maggiore probabilità in gruppi di
lavoratori isolati, omogenei, all’interno di comunità strettamente integrate. Studi, invece, dimostrano che la militanza è tipica dei lavoratori
relativamente cosmopoliti e delle metropoli, non delle aree isolate; i partiti rivoluzionari, di destra o di sinistra, sono nati in città eterogenee, non
in piccole comunità coese.

*Forze militari e geopolitica


In ambito sociologico gli studi di geopolitica più noti sono rappresentati dalla teoria del sistema-mondo di Wallerstein che ipotizza lo sviluppo di
un impero mondiale unificato in seguito ai mutamenti dell’economia e della tecnologia militare. Collins non concorda e ritiene che ad oggi non
sono ancora cambiati significativamente i fattori che determinano l’ascesa e il declino degli stati e degli imperi. Tali fattori sono: dimensioni e
risorse, posizione geografica, espansione militare.

Dimensioni e risorse
A parità di ogni altra condizione, gli stati più grandi e più ricchi vinceranno le guerre contro gli stati più piccoli e più poveri, cosicché i primi
tenderanno ad espandersi a scapito dei secondi.

Posizione geografica
Collins la chiama “vantaggio posizionale”. Gli stati che hanno pochi vicini militarmente forti sono avvantaggiati rispetto agli stati circondati da
vicini potenti. Collins definisce “marche di confine” questi stati favoriti da una posizione periferica e perciò relativamente esenti da minacce
esterne. Viceversa, gli stati situati in aree più interne, circondati da marche relativamente sicure, tendono col tempo a frammentarsi, spesso nel
corso di guerre che producono un importante cambiamento geopolitico.

Espansione militare
Collins afferma che perfino gli imperi mondiali senza avversari temibili hanno subito nel lungo periodo un processo di indebolimento e
decadenza questo perché l’espansione militare eccedente le risorse di un territorio conduce alla disgregazione del potere statale.

5. Conclusioni
(Consiglio di leggere direttamente sul manuale, pg.114, questa paginetta di conclusioni: essa è già uno stringatissimo riassunto del capitolo, che
non saprei come ulteriormente condensare).

CAPITOLO IV: EVOLUZIONE SOCIALE E MODERNITÀ: PROSPETTIVE MACROSOCIOLOGICHE


Le 2 rivoluzioni: - francese – industriale segnano la scomparsa dell’ordine politico aristocratico e della società contadina. Naturale per gli
intellettuali dell’epoca pensare la società in termini di EVOLUZIONE da una forma a un’altra. L’interesse per l’evoluzione sociale ha caratterizzato
la sociologia del XX secolo.

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1. Radici intellettuali
- AUGUSTE COMTE. L’umanità progredisce attraverso 3 stadi di pensiero, corrispondenti a 3 tipi
di società: stadio teologico stadio metafisico stadio positivo
I modelli di pensiero determinano anche l’attribuzione dell’autorità legittima (=> Habermas).
- HERBERT SPENCER. Ha adottato l’evoluzionismo darwiniano: le società si trasformano da forme semplici a complesse. Esiste un’irrevocabile
tendenza alla differenziazione tanto negli organismi quanto nelle società, che si articolano in strutture sempre più specializzate (divisione del
lavoro) (=> Talcot Parsons).
- ÉMILE DURKHEIM. Processo evolutivo: l’aumento della densità demografica mina la solidarietà meccanica, basata su credenze comuni e
occupazioni simili… e viene sostituita dalla solidarietà organica, tipica delle società avanzate, fondate sull’interdipendenza derivante da una
divisione del lavoro sempre più complessa.
- KARL MARX. Ha sviluppato una teoria della storia che vede la società procedere, attraverso il conflitto, verso l’utopia comunista. Teoria che
ispirerà i partiti comunisti che saliranno al potere in Russia, Cina, Cuba e Vietnam.
- JOSEPH SCHUMPETER. Associa il cambiamento sociale alla posizione di potere delle diverse “classi”, (gruppi sociali più o meno organizzati e
caratterizzati). Tali classi conquistano il potere perché dispongono di capacità nuove o più rilevanti che in passato, in virtù di mutate circostanze.
La posizione raggiunta può essere sfruttata per ottenere ulteriori privilegi e ricchezze, sottomettere vecchie classi e proteggersi dalla
competizione sociale. Nel tempo, non riuscendo più a fornire i servizi richiesti dalla società e incalzate da gruppi innovatori emergenti, le classi al
potere vengono a loro volta rimpiazzate. Le classi attaccano con successo le precedenti, negando legittimità alla loro posizione (cfr. la nascita di
bellicosi gruppi imperialisti e il declino della borghesia capitalista).

2. Marx e la società senza classi


Offre una teoria del mutamento che mira ad offrire un’interpretazione complessiva della storia passata e futura: ogni sistema economico
contiene in sé i germi di cambiamento e la sua logica costitutiva produce necessariamente il suo superamento. Le contraddizioni di un sistema
possono persistere nel tempo finché il sistema non diventa ingestibile e avviene un passaggio violento a un altro ordine, negazione del
precedente = dialettica: a una tesi si contrappone un’antitesi, da cui scaturisce una nuova sintesi (cfr. la dialettica di Hegel).
Marx individua 4 tipi di società di classe, contraddistinte da una classe dominante:
- asiatico, che si basa sul dispotismo e la proprietà terriera
- antico
- feudale
- borghese
impero romano => invasioni barbariche => signori feudali e servi della gleba => borghesia capitalista e proletariato => società comunista in cui
proprietà e classi sarebbero scomparse e l’autorealizzazione avrebbe preso il posto dell’alienazione.

2.1. La fine del capitalismo


Nel corso del tempo sarebbero sopravvissute due sole classi sempre più differenziate:
- proletariato, che avrebbe assorbito piccoli commercianti, contadini e artigiani… con competenze obsolete e capitali troppo modesti per
affrontare la concorrenza;
- capitalisti, che avrebbero accresciuto continuamente la produzione a spese della forza lavoro sfruttata.
La concorrenza avrebbe costretto i capitalisti a tagliare prezzi e salari e il tasso del profitto sarebbe sceso a zero, provocando l’impoverimento
delle masse, una rivoluzione generalizzata e la fine del capitalismo.
Le previsioni di Marx si rivelano infondate.
Dijlas e Szelény: nelle società comuniste si è formata una nuova classe privilegiata e una nuova rivoluzione non può essere guidata dalla classe
operaia.

La proprietà non ha subito un processo di concentrazione (come è forse avvenuto per la produzione).
Tentativi di dimostrazione che la sopravvivenza del capitalismo è temporanea:
- Teoria leninista dell’imperialismo: il capitalismo nel suo bisogno di espandere i mercati impone una politica estera imperialista e guerre;
- Teoria della dipendenza, che prospetta il mondo diviso in 2 entità: il centro (paesi industrializzati che si sviluppa mediante dinamiche
interne) e la periferia (paesi che dipendono dalla domanda del centro).

2.2. La teoria del sistema-mondo


Idee riprese da Wallerstein: a partire dal XVI secolo il capitalismo ha creato per la prima volta un sistema autenticamente globale, tenuto insieme
da legami economici (non militari o politici).
Crescita e dominazione economia capitalistica espansione geografica esplorazioni e conquiste.
Le diverse parti del sistema-mondo si specializzano in diverse funzioni. La periferia fornisce le materie prime al centro. Disparità che si riflette
nelle diverse forme di controllo del lavoro:
- lavoro libero, forma di controllo per mansioni qualificate delle aree centrali
- lavoro coatto, forma di controllo per mansioni generiche delle aree periferiche. L’organizzazione statale è forte nei paesi del centro,
debole in quelli periferici: attraverso meccanismi economici il centro controlla la periferia.
I paesi in via di sviluppo sono davvero impoveriti dall’economia capitalista? Investimenti stranieri destinata paesi con maggiori tassi di crescita (in
via di sviluppo).
Le categorie centro/periferia sono utili a spiegare lo sviluppo mondiale? I paesi possono spostarsi dalla periferia al centro in modi che le teorie di
W. non spiegano.
Giddens: l’economia è solo un aspetto del sistema-mondo, altrettanto importante è il sistema degli stati-nazione, che insieme al capitalismo è

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tra i caratteri costitutivi della modernità.

3. L’evoluzione sociale secondo Parsons


Si rifà a Durkheim:
- epoca primitiva: relazioni di parentela e orientamenti di tipo religioso
- stadio intermedio: scrittura (disponibilità di documenti storici)
- stadio moderno: procedure formali, istituzionalizzazione della legge e piena alfabetizzazione

Parsons: le idee sull’evoluzione sociale sono un’estensione del modello di variabili strutturali. Identifica un certo numero di universi evolutivi:
«strutture organizzative rilevanti per l’evoluzione, che non emergono una volta sola, ma tendono a formarsi in molteplici sistemi operanti in
condizioni diverse».
Per uscire dallo stadio primitivo e diventare società sono indispensabili:
- il linguaggio
- la parentela
- la religione
- una qualche forma di tecnologia. Principali universi evolutivi:
- stratificazione sociale
- legittimazione culturale
- organizzazione burocratica
- economia monetaria e mercati
- norme universalistiche
- associazioni democratiche.

Queste strutture sono prodotte dai seguenti processi:


- differenziazione, ossia la divisione di una singola unità in 2 o più unità che differiscono dal punto di vista strutturale e funzionale (da
molteplici ruoli con uno stesso attore a ruoli diversi attribuiti ad attori diversi);
- crescita adattiva aumenta la capacità adattamento delle società, ossia la possibilità di raggiungere un’ampia gamma di scopi
nonostante le difficoltà ambientali (l’organizzazione burocratica comporta una migliore utilizzazione delle competenze e una risposta più
flessibile all’ambiente);
- inclusione, ossia una sorta di de-segregazione: la società riconosce che coloro che sono esclusi da una serie di lavori per motivi razziali,
di sesso, età… hanno la capacità di contribuire al funzionamento del sistema;
- generalizzazione dei valori, il processo non può esistere con un sistema di valori ristretto, condiviso solamente da alcuni membri del
sistema (religione civile = valori come la vita, la libertà, la ricerca della felicità).
Per capire ciascuna società dovremmo considerare il livello di differenziazione, crescita adattiva, inclusione e generalizzazione dei valori.
Tale teoria del mutamento sociale enfatizza mutamenti lenti e graduali (funzionalismo) e non ritiene disfunzionali un ordine sociale dinamico, ma
pensa che l’evoluzione conduca a mutamenti nel sistema, non di sistema. Non spiega mutamenti improvvisi e radicali.
L’interesse di Parsons al problema dell’ordine la preoccupazione di Durkheim per l’integrazione.

4. Jürgen Habermas: razionalizzazione e agire comunicativo


È il più noto teorico sociale tedesco contemporaneo, interessato alla politica e all’importanza della sociologia in questo ambito.
Fortemente influenzato da Marx, ritiene che la ragione rappresenti lo strumento con cui giudicare criticamente la società ed è particolarmente
attento ai legami tra cultura, struttura sociale e personalità.
Si pone anche in continuità con la tradizione weberiana: metafora della “gabbia d’acciaio”. Opera: “teoria dell’agire comunicativo”.

4.1. Evoluzione e crisi


Riformula la teoria marxista dell’evoluzione sociale. Suddivide le formazioni sociali:
- società primitive (cfr. tribali di Marx)
- società tradizionali (società antiche e feudali)
- società capitaliste liberali (capitalismo del XIX secolo)
- società capitaliste organizzate (tipiche dell’occidente contemporaneo)
- società postcapitaliste (sistemi socialisti di stato caratterizzati dal controllo dei mezzi di produzione da parte delle élite politiche)
L’evoluzione sociale è frutto di crisi o «contraddizioni» interne a un sistema dato (Marx), creando «problemi di governabilità» che alla fine
rendono il sistema ingovernabile. H. sottolinea il ruolo delle idee e della coscienza individuale: i mutamenti e le contraddizioni strutturali si
manifestano nella crisi dei valori condivisi o «strutture normative» e il vecchio sistema si disintegra perché tali mutamenti minacciano il senso di
identità sociale degli individui.
Habermas si concentra sulla loro legittimazione delle società = «riconoscimento della validità di un ordinamento politico» concetto di autorità in
Weber le norme fondamentali per la conservazione del sistema in Parsons.
I problemi di legittimazione non sono esclusivi dell’epoca moderna (es.: movimenti profetici o movimenti ereticali medioevali si ribellavano alla
dottrina ufficiale) e non si pongono separati dai conflitti di classe.
La distruzione della legittimazione del capitalismo è la ragione del suo declino (Schumpeter). La «depoliticizzazione dei rapporti di classe» è la
caratteristica distintiva del capitalismo liberale. Prima del suo avvento era cruciale il controllo dello stato da parte di un piccolo gruppo sociale.
Nel capitalismo liberale è fondamentale il mercato autoregolato, mentre il ruolo dello stato è quello di garantire le condizioni generali della
produzione capitalista. La tendenza che dal mito => religione, filosofia e ideologia, fa sì che le pretese di validità normativa debbano essere

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giustificate in modo sempre più esplicito. Anziché fare affidamento a tradizione e autorità, il capitalismo è legittimato dall’idea che lo scambio di
mercato tra uguali sia equo. Ma in una società basata sui meccanismi di mercato, ogni fluttuazione economica rappresenta una minaccia diretta
all’integrazione sociale. Tali fluttuazioni rendono evidente che il mercato non è il punto d’incontro tra eguali, ma una forma di potere
istituzionalizzato.
La transizione dal capitalismo liberale a quello organizzato implica 2 mutamenti:
- l’affermarsi di imponenti oligopoli e la scomparsa del capitalismo concorrenziale;
- il riemergere dello stato, che interviene in maniere crescente nel mercato, segnado la fine del capitalismo liberale.
È la risposta alle fluttuazioni economiche e ai problemi di governabilità. Lo stato cerca di stabilizzare il ciclo economico sostenendo la crescita e
l’occupazione, fornendo infrastrutture e servizi…
Andata in crisi la vecchia ideologia dello scambio equo, l’alternativa è un sistema di democrazia formale: una partecipazione reale al processo
decisionale renderebbe le persone consapevoli delle contraddizioni di una società in cui lo stato è responsabile della produzione, ma i privati si
appropriano del plusvalore. La partecipazione reale non è possibile.
È probabile una crisi di legittimazione. I mutamenti della famiglia e dei modelli educativi… la fragilità dell’ideologia dell’autorealizzazione, lo
stato assistenziale che diminuisce l’importanza del lavoro…
In «La crisi della razionalità» parla di come la globalizzazione riduca la capacità degli stati-nazione di controllare l’economia: non riescono a
utilizzare i meccanismi di regolazione delle economie nazionali, a stimolare la crescita e a garantirsi solide basi di legittimità. I governi nazionali
sono sempre più implicati in accordi transnazionali cui però manca la legittimità delle democrazie nazionali.
Anche i movimenti difensivi antiglobalisti comportano dei rischi: proteggere chi attualmente «ha» a scapito di chi «non ha» o quello di
fomentare odio verso chiunque non appartenga al proprio gruppo nazionale.

4.2. La razionalizzazione del mondo vitale


Secondo H. l’agire strumentale e l’agire comunicativo definiscono 2 sfere diverse, ma tra loro complementari della società in cui ci troviamo a vivere:
- la società come “sistema”
- la società come “mondo vitale” (Lebenswelt).
Il sistema, come suggerisce il suo nome, è qualcosa di rigidamente disciplinato dall’agire tecnico, strumentale e strategico: esso trova i suoi elementi
caratterizzanti nel denaro (sfera economica) e nel potere (sfera politica, burocratica, statale).
Contrapposto al “sistema” è quello che H. definisce “mondo vitale”, concetto che egli mutua da Edmund Husserl: il “mondo vitale” è caratterizzato
dall’agire comunicativo, da valori condivisi, da spontaneità, da tradizioni; esso fa, per così dire, da sfondo e da orizzonte dell’agire comunicativo,
rendendolo possibile. È «il luogo trascendentale nel quale parlante ed ascoltatore si incontrano, nel quale possono avanzare reciprocamente la pretesa
che le loro espressioni si armonizzino con il mondo (quello oggettivo, sociale e soggettivo) e nel quale essi possono criticare e confermare queste pretese
di validità, esternare il proprio dissenso e raggiungere l’intesa». È nello stesso tempo un processo di socializzazione e integrazione sociale.
Allo stesso tempo, il mondo vitale è il grande contenitore in cui si conservano e si trasmettono i risultati delle interpretazioni delle generazioni
precedenti. Non bisogna però pensare al mondo vitale come a un qualcosa privo di razionalità: al contrario, il mondo vitale è pervaso dalla razionalità,
ma non da quella strategica, bensì da quella comunicativa. Tra il “sistema” e il “mondo vitale” vige un rapporto conflittuale che H. descrive in maniera
simile a quella con cui Marx descriveva la lotta tra “forze produttive” e “rapporti di produzione”. Da una parte il sistema sociale (sede dell’integrazione
sistemica) diventa sempre più complesso e differenziato, dall’altra il mondo vitale (sede dell’integrazione sociale) diventa sempre più razionalizzato.
Restano 2 entità separate.
Oggi il mondo vitale è sempre più razionalizzato, pretendiamo che le cose siano giustificate in termini di principi generali (generalizzazione dei valori di
Parsons).
Al contrario le società tribali l’integrazione sociale e quella sistemica sono strettamente interconnesse: il mondo vitale, dato per scontato, è altamente
inclusivo => gli individui interagiscono solo con i membri del proprio mondo vitale.
All’interno dello stato e del mercato contemporanei non si obbedisce direttamente a persone e nemmeno e detentori di cariche, ma a principi generali e
norme astratte. Le relazioni sociali sono regolate solo attraverso il denaro e il potere. Gli atteggiamenti di conformità alle norme e le appartenenze
sociali che plasmano l’identità diventano sempre più marginali. Il mondo vitale diventa sempre più periferico via via che il sistema sociale diventa sempre
più complesso.
Habermas è convinto che il “sistema”, in particolare lo Stato coi suoi apparati di potere e il suo ordinamento economico, si sia reso autonomo rispetto al
mondo vitale, entrando poi in conflitto con esso: cercando di intromettersi nel mondo vitale, il sistema ne minaccia l’esistenza. Infatti, il potere e il
denaro (che caratterizzano il sistema) sono per loro natura non solo un qualcosa che non comunica, ma anche un qualcosa che tende ad azzerare la
comunicazione, creando sudditanza e passività. Alla luce di questa considerazione, occorre combattere strenuamente per difendere il mondo vitale dai
reiterati tentativi di colonizzazione violentemente esercitati dal sistema. Ben si capisce, in questa prospettiva, perché H. abbia duramente polemizzato
contro Niklas Luhmann, il teorico dei “sistemi”, rinfacciandogli di non aver tenuto conto, nella sua elaborazione che riduce tutto a sistemi, del “mondo
vitale” e dei movimenti che si oppongono al sistema.
Punto di contatto tra H. e Weber sta nell’analisi della razionalizzazione. H. procede in maniera dialettica non analitica (≠ da Weber). Possibilità di una
società razionale e non solo razionalizzata (Scuola di Francoforte) e una teoria fondata sulla critica e non sull’ideologia => possibile attribuire un
fondamento alle norme ultime che governano la vita.
Concetto di «situazione discorsiva ideale», in cui tutti hanno pari opportunità di argomentare le proprie idee. Destinate a prevalere sono li idee più
razionali.
Se la razionalità strumentale crea la “gabbia d’acciaio” ciò non avviene con la razionalità comunicativa.

5. Antony Giddens: Teoria della strutturazione, modernità avanzata e globalizzazione


Studioso inglese, consigliere di Tony Blair. Riflette sul lavoro di Durkheim, Weber, Marx. Influenzato da Goffman e Schuzt.
Libro: «La costituzione della società», in cui presenta la sua teoria della strutturazione. La teoria sociale deve riconcettualizzare il proprio oggetto
«come una dualità, la dualità della struttura». È fuorviante concentrarsi solo sull’attività di un «attore libero» o sulle determinanti strutturali che
vincolano le attività. È necessario considerare entrambi gli aspetti.

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L’attore umano ricrea con le proprie azioni le radiche sociali e le istituzioni, che a loro volta vincolano quelle azioni, ma nello stesso tempo le
trasformano. Descrive l’agire umano come essenzialmente trasformativo. «Le proprietà strutturali dei sistemi sociali esistono fin tanto che le
forme di condotta sociale sono riprodotte sistematicamente nel tempo e nello spazio».
Poiché le pratiche sociali sono sia riprodotte sia modificate si deve abbandonare la pretesa di formulare teoremi basati su cause strutturali che
spieghino in termini generali le determinanti dell’azione sociale => Aspetto creativo dell’agire umano (il lato individuale della dualità).

5.1. La struttura sociale


“Struttura” designa i caratteri costanti dell’interazione sociale, capaci di assicurare la riproduzione del sistema, che indicano agli individui come
costruire la vita sociale e su quali risorse contare per raggiungere i propri obiettivi.
G. insiste sulla dimensione fisica dell’azione umana e della struttura sociale.
Tutte le società che hanno preceduto storicamente le società contemporanee sono basate essenzialmente sulla comunicazione diretta. Nelle
società contemporanee tutto è cambiato: abbiamo un mondo in cui l’assenza fisica non è più di ostacolo al coordinamento del sistema.
- società tribali, basate sulla comunicazione orale il principio strutturante è dato dalla tradizione e dalla parentela
- società divisa in classi: tradizione e parentela rimangono importanti, ma si separano le sfere istituzionali della politica e dell’economia
La vita non viene esperita prima come struttura ma come «durée dell’esistenza quotidiana». Nelle società dotate di scrittura aumenta la distanza
spazio-temporale rispetto alla società tribali. A questo fenomeno contribuisce l’urbanizzazione. Il capitalismo è stato il primo autentico tentativo
globale di organizzazione sociale della storia: lo stato e l’economia sono scollegati dalla famiglia e dalla tradizione orale.

5.2. Modernità avanzata e globalizzazione


Uno degli aspetti più importanti della modernità consiste nel fatto che la tradizione viene soppiantata dall’expertice. La tradizione è legata alla memoria
e al rito: la tradizione è uno strumento di riorganizzazione della memoria collettiva. Nei suoi stadi iniziali, la modernità aveva distrutto la tradizione, per
poi ricostruirla. La continuità e la rigenerazione della tradizione sono cruciali per la legittimazione del potere. La tradizione salvaguarda alcuni aspetti
cruciali della vita sociale: famiglia e identità sessuale…
A rimpiazzare la tradizione sono gli esperti, l’expertice, i sistemi esperti. Essi producono disembedding (sradicamento, distacco), perché fanno valere
principi esterni al concreto ambiente locale ed esigono fiducia in presupposti di carattere universale.
La conoscenza esperta è instabile, contrassegnata da scetticismo e universalismo. Suscettibile di rettifica e perfezionamento.
Gli abitanti del mondo sempre più globalizzato acquisiscono una nuova forma di identità => «sforzo riflessivamente organizzato» => visione di sé come
qualcosa che implica scelte, decisioni, creatività. Ciò vale anche per il corpo: sempre meno un dato esterno, ma diviene anch’esso riflessivamente
mutevole.
La riflessività moderna implica la consapevolezza che tutti gli aspetti della vita sociale e del mondo fisico sono suscettibili di una revisione continua alla
luce delle informazioni e delle conoscenze.
≈ Parsons e Habermas: crisi fonti tradizionali di legittimità, crescita conoscenza specializzata, universalismo => nuovo stadio dell’evoluzione sociale: la
modernità avanzata.
Accento sul concetto di rischio per capire la società moderna (cfr. Beck). In passato le persone vivevano arischio costante di malatttie, guerre, ma non
erano in grado, come noi, di quantificare i rischi, prospettare scenari alternativi e organizzare la vita di conseguenza. Noi calcoliamo i rischi, ma ci
sentiamo sempre meno capaci di controllo. È alla base di come persone comuni ed esperti organizzano il mondo sociale.
- Società di classe, popolo del bisogno: «ho fame!»
- Società moderna, popolo dell’ansia: «ho paura!».

La globalizzazione è politica, tecnologica e culturale oltre che economica. Essa comprende la rivoluzione delle comunicazioni. Comporta la
trasformazione della famiglia tradizionale.
Troppo sbrigativo interpretare la globalizzazione come declino del potere statale a favore delle multinazionali.

CAPITOLO V: L’INTERAZIONISMO SIMBOLICO


Concetto chiave: un complesso di simboli e conoscenze comuni ai membri di un gruppo.
Nasce con Herbert Blumer, che coniò quest’espressione nel tentativo di chiarire la specificità dell’approccio psicosociale allo studio dell’individuo e del
suo sviluppo sociale nella vita di gruppo. Per studiare lo sviluppo sociale è necessario studiare la dotazione del bambino all’inizio della sua vita =>
neonato come essere «disorganizzato» e dipendente dagli adulti per ogni orientamento e per la sua stessa sopravvivenza: natura attiva e plasmabile del
bambino.
(≠ da prospettive innatiste: - psicologia dell’istinto, che enfatizza l’importanza degli impulsi naturali inconsapevoli
- approccio stimolo-risposta, che vede il comportamento come una serie di risposte acquisite/involontarie a stimoli esterni).
Il termine simbolico riflette una rilevante prospettiva teorica. Gli interazionisti simbolici assumono che gli elementi chiave dell’ambiente in cui il bambino
cresce siano i simboli e le conoscenze che orientano gli individui attorno a lui.
L’IS è un approccio fondamentalmente psicologico, il cui interesse primario è dato dal «Sé» e dall’interazione tra pensieri, emozioni e comportamento
sociale, in una specifica situazione in cui ha luogo. Gli individui sono visti come artefici attivi della loro condotta:
- valutano
- interpretano
- definiscono
- progettano le proprie azioni.
Si contrappone alla «camicia di forza» del funzionalismo, il cui accento sulle norme implica che la maggior parte delle interazioni siano prestabilite. Gli IS
ammettono l’influenza delle norme sociali ma non le collocano al centro della loro teoria.

1. Radici intelletuali: Max Weber e Georg Simmel


WEBER nella sua definizione di sociologa enfatizza l’importanza del Verstehen (comprensione, da cui l’espressione di «sociologia
comprendente»):

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- la sociologia si propone di comprendere l’agire sociale attraverso un procedimento interpretativo => (interpretazione individuale di una
situazione)
- per «agire» si intende ogni comportamento umano nella misura in cui l’individuo che
agisce attribuisce ad esso un senso soggettivo => (rilevanza del significato soggettivo). Suo apporto nel creare un ponte tra approcci macro e
micro.
SIMMEL propone un’analisi della società a partire dalla gamma dei rapporti interpersonali, dalle interazioni, che sono gli atomi della società (≠
analisi dei sistemi sociali). Alcune decisioni sono cruciali non solo a livello individuale, ma possono provocare conseguenze per un’intera nazione.
La sua «geometria dello spazio sociale» è diventata un modello.

2 concetti chiave:
- diade, un rapporto diretto tra 2 persone, che non consente di scaricare al gruppo le rispettive responsabilità
- triade, è insita la possibilità che uno dei partecipanti possa essere messo in minoranza dagli altri due. Può imporre la propria volontà su uno
dei propri membri se si forma una coalizione tra gli altri due. Tre possibilità:
- rivestire il ruolo del mediatore fra gli altri due, favorendo l’unità
- sfruttare a proprio vantaggio eventuali disaccordi tra gli altri due
- creare intenzionalmente conflitti tra gli altri due a proprio vantaggio. Contributi di:

WILLIAM ISAAC THOMAS: concetto di «definizione della situazione» = prima di ogni azione c’è sempre una fase di esame e di elaborazione. Essa
ha conseguenze sul comportamento.
Tesi: se gli uomini giudicano reale una situazione, reali saranno anche le conseguenze. Se non si riesce a capire una definizione soggettiva delle
situazioni, non si è in grado di capire l’attività umana. Nella vita quotidiana la difinizione delle situazioni varia a seconda del soggetto che le
elabora: donne, uomini, ragazzi, anziani…
ROBERT PARK adotta la prospettiva di Simmel e la porta nella scuola di Chicago. Incoraggia i suoi studenti ad analizzare i vari aspetti dei processi
sociali nella propria città:
- adattamento della prima generazione di immigrati polacchi (Thomas e Znaniecki) ed ebrei
- indagine sulla delinquenza giovanile
- differenze tra quartieri ricchi e poveri di Chicago.
CHARLES HORTON COOLEY porta il concetto di « Sé riflesso» = la percezione di Sé ricavata dai giudizi di coloro con cui interagiamo. 3 elementi
del Sé riflesso:
- il modo in cui immaginiamo di apparire agli altri
- il modo in cui immaginiamo che gli altri ci giudichino sulla base di tale apparenza
- un certo sentimento di noi stessi (orgoglio o mortificazione)
Le immagini che le persone hanno le une delle altre costituisco i fatti concreti della società. Osservare e interpretare queste immagini è lo scopo
della sociologia. La struutura sociale poggia su tali «fatti concreti».

2. GEORGE HERBERT MEAD: IL SÉ


Studiò anche con Wundt a Lipsia. Insegnò nell’Università del Michigan e di Chicago. Testo: «Mente, sé e società». 4 sono gli elementi importanti
del suo pensiero:

2.1. Il Sé
Concetto elaborato da Mead. Il sé e visto come un organismo che agisce, non come un ricettacolo passivo che si limita a ricevere stimoli e
reagire. È un processo sociale, un processo di auto-interazione in cui l’attore umano indica a se stesso i problemi da affrontare nelle situazioni in
cui agisce, e organizza la propria azione secondo l’interpretazione che ha dato di quei problemi. L’attore in questa auto-interazione assume ruoli
di altri, rivolgendosi a se stesso attraverso questi ruoli e rispondendo a tale approcci.
Il sé è ativo e creativo: non esistono fattori sociali, culturali o psicologici che determinano le azioni del Sé.
Funzionalisti (Parsons) => individuo soggetto tendenzialmente passivo, mosso da forze sociali e psicologiche
Blumer => il processo di auto-indicazione, attraverso cui l’azione umana prende forma, non può esser spiegato da fattori che precedono l’azione
stessa.
Capacità delle persone di orientare la propria condotta grazie al meccanismo di interazione con se stessi. Gli individui agisono sul proprio
ambiente => creano gli oggetti che popolano l’ambiente.
Cose = esistono prima e indipendentemente dall’individuo. Oggetti = esistono solo in rapporto con le azioni.
Le cose sono trasformate in oggetti dalle azione degli individui. Due dimensioni del Sé:
- l’Io, la risposta non organizzata agli atteggiamenti degli altri, la disposizione spontanea dell’azione
=> la sua imprevedibile spontaneità permette un certo grado di creatività e innovazione, di libertà dal controllo degli altri
- il Me, un complesso di atteggiamenti organizzati di altri che l’individuo assume, quelle idee su sé stesso che l’individuo impara dagli
altri.
=> guida il comportamento della persona socializzata e introduce l’influenza
degli altri nella coscienza individuale.
Il Sé è costruito: - dall’Io quando agisce come soggetto
- dal Me quando è in veste di oggetto.

2.2. L’interazione con sé stessi


Fare spazio a quanto c’è di nuovo nell’esperienza fornisce una prospettiva per analizzare il comportamento «non strutturato», libero da

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convenzioni prestabilite. L’interazione con sé stessi è lo strumento attraverso cui gli individui percepiscono la realtà e si organizzano per l’azione.
L’interazione con sé costituisce anche la premessa dell’assunzione di ruolo = processo in cui l’individuo assume il ruolo dell’altro, “mettendosi nei
panni dell’altro” => egli può ritornare a sé e orientare il proprio processo di comunicazione. Effetto: capacità dell’individuo di esercitare un
controllo sulla propria risposta: l’azione può essere interrotta, frenata, abbandonata, ripresa, rinviata, accentuata, dissimulata, trasformata o
rettificata. Questo parlare tar sé e sé costituisce un modo per fare le prove di un’azione futura e prepararsi ad assumere il ruolo dell’altro.

2.3. Lo sviluppo del sé


M. descrive gli stadi dello sviluppo del Sé nei suoi scritti sul gioco e l’altro generalizzato.
- Lo stadio dell’imitazione, si colloca attorno ai 2 anni d’età, è caratterizzato dall’agire imitativo, privo di significato. Significato = «emerge
dall’esperienza attraverso l’auto-sollecitazione dell’individuo ad assumere l’atteggiamento dell’altro nel suo rapporto con gli oggetti». A quell’età
sono azioni prive di significato, perché il bambino non ha la capacità di assumere l’atteggiamento dell’altro.
- Lo stadio del gioco libero (play): il bambino riesce a mettersi nella posizione di un altro, ma non a aconnettere tra loro i ruoli d attori
molteplici. L’attore ha in mente un ruolo alternativo alla volta. Ciò consente la formazione iniziale del Sé.
- Lo stadio del gioco organizzato (game): si agisce insieme con parecchi giocatori, in giochi complessi. L’«altro» è rappresentato dalla
forma organizzata dagli atteggiamenti di tutti i partecipanti => altro generalizzato, costituito dagli atteggiamenti organizzati dell’intera comunità.

2.4. Il significato simbolico


La definizione di simbolo deriva da quella di gesto, che non è solo l’elemento iniziale di un atto, ma anche un segno dell’intero atto. I gesti sono
simboli significanti in quanto possiedono lo stesso significato per tutti i membri di una data società o gruppo sociale. Il simbolo è come uno
«stimolo cui è già data una risposta in anticipo». Un elemento cruciale è dato dall’interazione con se stessi, dallo «scambio di gesti» che avviene
nella mente dell’individuo. L’azione non costituisce la risposta adttiva di un organismo ai gesti di un altro.

3. HERBERT BLUMER: interpretazione e metodologia

3.1. L’interpretazione
Blumer sostiene la necessità di includere nelle spiegazioni scientifiche dell’interazione umana sia
- l’esperienza soggettiva o comportamento nascosto
- il comportamento osservabile.
Interazioni simbolico: importanza per la comprensione della realtà del punto di vista dell’attore. Dal meccanismo semplice di stimolo-risposta =>
inserisce l’elemento intermedio dell’interpretazione: stimolo-interpretazione-risposta =>
A agisce,
B percepisce quest’azione e cerca di capirne il significato, B risponde a seconda del significato che ha attribuito attraverso l’interpretazione
all’azione di A,
a sua volta A risponde a seconda del significato che ha colto nella risposta di B.
Processo di autoindicazione attraverso cui gli individui segnalano a sé stessi lo stimolo, per poi interpretarlo. Gli individui percepiscono
determinate rischieste sociali (il desiderio di comprare qualcosa…): indicando a sé stessi questi stimoli essi li controllano e possono retroagire
rifiutandoli o trasformandoli a seconda di come li definiscono e li interpretano.
I gesti sono un elemento chiave del processo interpretativo. I gesti sono simboli significanti
(Mead), in quanto possiedono gli stessi significati per tutti gli interessati. Il prcesso stimolo-interpretazione-risposta diventa un processo di
interazione significativa.
L’interazione non simbolica avviene quando un individuo risponde in modo diretto all’azione di un altro, senza interpretarla (momenti di rabbia o
di autodifesa).

3.2. Le tre premesse fondamentali


- Importanza dei significati per l’agire umano: gli esseri umani agiscono nei confronti delle cose in base ai significati che esse hanno per
loro. Un essere umano è consapevole solo delle cose che egli indica a sé stesso. Indicare qualcosa significa isolarla dal suo contesto, considerarla
a parte, conferirne un significato. Questo porta a prendere decisioni e ad agire in base a simboli.
- Origine dei significati: i significati delle cose emergono dall’interazione sociale. Il significato è un prodotto sociale, viene creato, non è
inerente alle cose, né è qualcosa di dato: emerge dai modi in cui altre persone si comportano con un individuo nei confronti di quella cosa. La
loro azione serve per definire la cosa per l’individuo. attraverso l’interazione attraverso altri membri della propria cultura gli individui imparano
ad apprezzare l’uso delle cose…
- Il ruolo dell’interpretazione: i significati delle cose vengono elaborati e modificati attraverso un processo interpretativo. L’individuo
elabora i significati attraverso un colloquio «tra sé e sé». L’interazionismo simbolico si basa su una premessa fondamentale: l’interazione umana
emerge dalla capacità degli individui di conferire significato a una situazione attraverso un processo interpretativo.

3.3. Struttura e processo


La struttura è come una «camicia di forza». Non nega l’esistenza di strutture sociali (ruoli, posizione di status, ordini gerarchici, organizzazione
burocratica, relazioni istituzionali, rdifferenze di potere) ma non determinano il comportamento. L’interazione è tra persone, non tra ruoli. I ruoli
sono plasmati dalla situazione che le persone devono affrontare nell’interazione. I ruoli influiscono in varia misura, ma è ben diverso
dall’affermare che l’azione è il prodotto dei ruoli.

Ruoli interattivi ≠ ruoli sociali


Ruolo per IS ≠ ruolo sociale specificato dalla cultura

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= più sensibile e suscettibile di improvvisazione => condotta che esprime la particolare personalità dell’individuo che occupa una certa
posizione e rappresenta il suo modo per far fronte alle aspettative generali di cui è oggetto chi
si trova in quella posizione.
Goffman: distanza dal ruolo ossia quelle «azioni che comportano un certo sdegnoso distacco dell’attore dal ruolo che ricopre». I bambini di 3/4
anni si calano nel ruolo e lo svolgono con entusiasmo a differenza del bambino che attorno ai 5 anni comincia a mostrare distacco dal ruolo, si
dissociano consapevolmente, trattando la situazione come uno scherzo.
IS ritengono che per l’essere umano esiste un Sé nella posizione di oggetto. Ciò significa che l’individuo può agire verso sé stesso nello stesso
modo con cui affronta il mondo.
Le situazioni problematiche, che richiedono nuove interpretazioni, sono l’oggetto di studio privilegiato dell’IS, mentre altre prospettive tendono
a negarle o riconoscerle senza però analizzarle.

3.4. La metodologia
Tecniche usate dai ricercatori per analizzare lo «sviluppo interno all’azione», tecniche capaci di penetrare nella sfera dell’esperienza interiore
(storie di vita, interviste, autobiografie, studi di casi, diari e lettere). Tecniche impiegate con 3 propositi:
- avere un quadro dell’esperienza interiore dell’individuo, contesto da cui emerge una data forma di condotta;
- rivelare la prospettiva di vita soggettiva dell’individuo: la sua visione del mondo, il valore e il significato che i diversi oggetti hanno per
lui, i suoi atteggiamenti e la sua immagine di sé;
- far luce sul funzionamento dei processi immaginativi e sui diversi modi in cui l’individuo
affronta nella propria immaginazione difficoltà, frustrazioni e situazioni problematiche.

L’approccio induttivo
La comprensione e la spiegazione del comportamento umano vengono ricavate (indotte) da dati che il ricercatore ha studiato a fondo. Tale
approccio parte da un problema empirico: ipotesi, relazioni, teorie partono dall’osservazione della realtà e non sono ricavati a priori. Si
concentra sui processi attraverso cui gli individui definiscono il proprio mondo dall’interno => mettersi al posto di…
L’IS incontra una serie di difficoltà nell’attività di ricerca.

I metodi di ricerca
- L’esplorazione. Ha un duplice scopo: - fornire al ricercatore una conoscenza più ampia e approfondita di una sfera sociale a lui
estranea
- mettere a fuoco e affinare l’indagine. È un procedimento flessibile, anche se non comporta un’assenza di direzione, che utilizza tecniche quali:
osservazione diretta, intervista, ascolto conversazioni, radio televisioni quotidiani, lettere e diari, resoconti di vita, consultazione di archivi,
ricerca di esperti o osservatori ben informati appartenenti all’ambiente, campione rappresentativo per gruppi di discussione.
- L’ispezione: un esame intensivo e focalizzato del contenuto empirico di tutti gli elementi utilizzati nello studio e delle relazioni
empiriche tra loro.
Concetti sensibilizzanti ≠ strumento definitorio che individua classi di oggetti
≠ istruzioni su cosa vedere
= direzione in cui cercare,
= una guida nell’affrontare i casi empirici.
- Ricerca qualitativa e quantitativa. Le due fasi di esplorazione e ispezione non si escludono a vicenda, ma sono interconnesse => ricerca
naturalistica. Wiseman descrive diversi modelli di ricercatori qualitativi:
modello temporale, che tratteggia una storia naturale con un inizio, uno sviluppo e una fine
modello ciclico, che sottolinea il costante ripetersi del fenomeno
modello dei tipi sociali, incentrato sui caratteri delle persone
modello delle interazioni sociali, che confronta le differenze di comportamento
modello dei contesti sociali, che mette a fuoco gli scenari di comportamento. B. considera la ricerca naturalistica superiore ad altri
metodi di ricerca, poiché indaga direttamente il mondo empirico e l’attività spontanea che vi si svolge, invece di ricorrere a dati quantitativi
astratti. Chiede una familiarità profonda e il più possibile completa con l’ambito di vita studiato. È in disaccordo con gli scienziati sociali che
privilegiano i dati hard rispetto a quelli da essi definiti soft. Critica i test di intelligenza come strumento formale, esterno al contesto, non
riescono a cogliere i «significati» che mediano le risposte degli individui a oggetti e situazioni: non ci dicono che significato abbiano per il
soggetto le domande.

4. Erving Goffman: la drammaturgia e l’ordine dell’interazione


Profondamente influenzato da Mead nell’attenzione al Sé nel suo primo libro: «La vita quotidiana come rappresentazione».
Considera gli esseri umani come creature attive e perspicaci. In «Stigma» sottolinea la creatività dei devianti, che riescono a preservare un
proprio senso di identità anche in condizioni molto avverse.
In «Asylum» elabora il concetto di istituzione totale, un luogo di residenza e lavoro dove un ampio numero di individui in condizioni simili tagliati
fuori dal tessuto sociale per un lungo periodo di tempo, conducono un’esistenza segregata e amministrata formalmente. Gli internati inventano
strategie ingegnose per preservare la propria identità e non arrendersi al ruolo imposto da un’istituzione altamente strutturata => esempi di
«adattamento secondario» = dispositivi ricorrenti attraverso cui il membro di un’organizzazione impiega mezzi non autorizzati, allo scopo di
evitare le disposizioni dell’organizzazione, su ciò che dovrebbe fare e come dovrebbe essere. Tali adattamenti secondari rivelano i modi in cui gli
esseri umani affrontano le situazioni e dissimula la propria condotta.
La pratica di proteggere qualcosa di sé dagli artigli di un’istituzione è visibile anche in istituzioni meno totalizzanti. Questa resistenza non è un
semplice meccanismo di difesa, ma piuttosto una componente essenziale dell’identità.

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DURKHEIM con il suo saggio su «Le forme elementari della vita religiosa» ha influenzato G. che considera le pratiche cerimoniali…
La visone complessiva delle grandi strutture sociali non interessa a G. che preferisce concentrarsi sulle sue «innumerevoli piccole sintesi»
descritte da SIMMEL come «atomi della società».

4.1. Drammaturgia e vita quotidiana


G. riprende il concetto sociologico di ruolo e lo «riporta sulla scena», calando l’analisi del comportamento umano in un contesto teatrale. Si
concentra sui modi in cui gli individui, nella vita di tutti i giorni, rapprsentano agli altri se stessi e le proprie attività. Focalizza la propria
attenzione sulla gestione delle impressioni = i modi in cui gli individui orientano le impressioni che gli altri si fanno di loro. 2 concetti importati
dal mondo drammaturgico:
- la ribalta è quella parte dell’interpretazione di un individuo che funziona abitualmente in modo generale e prefissato per definire la
situazione a beneficio di coloro che osservano la rappresentazione. Comprende tutto ciò che viene visto dagli spettatori mentre l’attore recita, e
da cui dipende il successo della rappresentazione. È il luogo principale in cui l’attore esercita la gestione delle impressioni.
- il retroscena è un luogo chiuso e nascosto agli spettatori, dove si predispongono le tecniche di gestione delle impressioni. Nel
retroscena l’interprete può rilassarsi o togliersi la maschera, ripassare le proprie battute, uscire dal personaggio. Luogo in cui l’attore non deve
gestire le impressioni per cui può essere sé stesso. Ovunque nella rappresentazione quotidiana gli individui cercano di trasmettere agli altri una
buona impressione di sé.
RANDALL COLLINS utilizza il modello drammaturgico per analizzare i contesti organizzativi, in cui impiegati di rango inferiore mostrano di voler
soddisfare le richieste dei dirigenti, riservandosi uno spazio all’interno del quale gestire i tempi di lavoro.
Così l’ufficialità è per il politico la ribalta, con i suoi trucchi e imbrogli, e la verità sta dietro le quinte, dove i politici parlano apertamente di ciò
che pensano realmente.
Quando le attività di ribalta e retroscena non sono ben coordinate, l’attore recita male e l’interpretazione è un insuccesso. Nelle situazioni in cui
coordinazione e segretezza sono vitali i piccoli intoppi imprevisti non sono come di solito suscettibili a rimedio ma diventano fatali.
Il modello drammaturgico consente di capire quelle situazioni in cui abbiamo usato tutti gli strumenti della ribalta e del retroscena a nostra
disposizione per suscitare la migliore impressione di noi stessi. Vogliamo essere noi a definire la situazione per gli altri.

4.2. L’ordine dell’interazione


La nostra percezione di noi stessi, di ciò che è reale e di come ci sentiamo è inestricabilmente legata alle microdinamiche continuamente
mutevoli dell’ordine interattivo, in modi infinitamente complessi di cui non siamo consapevoli. G. è rimasto affascinato dall’inganno e dalla
manipolazione, da tutte le discrepanze che si producono tra apparenze e realtà.
Le unità di base e i processi ricorrenti nell’ordine interattivo in ordine di grandezza crescente sono:
- le persone, sole, in coppia o in gruppi
- i contatti, che possono avvenire attraverso la compresenza fisica, telefono, corrispondenza…
- gli incontri, situazioni in cui le persone si riuniscono in uno spazio per condividere consapevolmente la stessa azione
- le rappresentazioni di scena, dove l’attività è svolta di fronte a un pubblico
- le occasioni sociali celebrative, cioè raduni per solennizzare eventi significativi condivisi

Un aspetto importante nell’IS ma non preso in considerazione da G. è l’interazione con se stessi. Non mira a stabilire ciò che un attore pensa al
momento di rpendere una decisione, ma come riesce a manipolare una determinata situazione.
G. si rivolge alla dimensione del potere, per capire i modelli ricorrenti di interazione fra subordinati e sopraordinati (problema tipico della teoria
del conflitto).

5. Nuove prospettiva dell’interazionismo simbolico

5.1. Emozioni e teoria sociale


Opera di due femministe:
- Arlie Russel Hochschild basa il suo lavoro sulla sociologia delle emozioni introducendo una nuova prospettiva a livello micro.
- Patricia Hill Collins analizza gli effetti della sovrapposizione tra razza, classe e genere nella vita delle donne afroamericane (usa il
concetto di autodefinizione).
WEBER nella sua discussione sull’importanza del significato soggettivo in sociologia ammette un rapporto fra emozioni individuali e la
dimensione sociale. Il significato soggettivo include un elemento di emotività. I sentimenti di una persona sono un fattore che rientra nella sua
definizione della situazione, e quindi influenza la sua scelta tra interagire, ritirarsi o accettare passivamente la situazione.
SIMMEL nel descrivere i legami umani, parla della gelosia e della gratitudine.
COOLEY nella sua definizione del Sé riflesso fa riferimento a un certo sentimento di noi stessi, come l’orgoglio e la mortificazione, che risulta da
come ci immaginiamo che gli altri ci giudichino.
BLUMER nel discorso sul ruolo dell’autoindicazione nel processo interpretativo include le emozioni: preoccupazione, ansia, gelosia, orgoglio,
amore, disprezzo… sono contenuti nei dialoghi interiori delle persone. Ciò aiuta a tracciare la propria condotta.
Per GOFFMAN la gestione delle impressioni è una strategia per evitare imbarazzo e vergogna, alimentata dal desiderio di mettersi in buona luce.
COLLINS si interroga su come i rituali siano in grado di intensificare il coinvolgimento emotivo, di stimolare l’adesione dei partecipanti a
determinati valori, di rafforzare e di legittimare un determinato ordine sociale. Vede l’energia emotiva come elemento essenziale nella sua
analisi delle catene di interazioni rituali: un individuo accettato in una conversazione riceve risorse emotive addizionali (fiducia, calore,
entusiasmo) da utilizzare nell’interazione successiva.

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5.2. Arlie Russel Hochschild: il lavoro emotivo


È considerata la fondatrice di una nuova branca in sociologia: la sociologia delle emozioni. Questa nuova teoria è in parte un’estensione dell’IS.
Prende spunto da:
- Goffman, specializzato nello studio dell’imbarazzo e della vergogna
- Freud, limitato allo studio dell’ansia.
La sua teoria comprende l’intera gamma delle emozioni: angoscia, depressione, frustrazione, rabbia, paura, disprezzo, colpa, tormento, invidia,
gelosia, amore, compassione, imbarazzo, vergogna, ansia, nostalgia, gioia, gratitudine, orgoglio, ambivalenza.
«Lavoro emotivo» = il controllo dei sentimenti finalizzati a creare un’espressione facciale e corporea pubblicamente osservabile. È venduto in
cambio di un salario, ha valore di scambio. «Attività emotiva» = azioni condotte in un contesto privato in cui hanno un valore d’uso.
Le occupazioni di un lavoro emotivo hanno 3 caratteristiche:
- il lavoratore deve avere un contatto visivo/vocale col cliente
- al lavoratore viene chiesto di sollecitare uno stato emotivo nel cliente
- il datore di lavoro può esercitare un certo grado di controllo sul lavoro emotivo dei propri dipendenti. (Cfr. ricerca sulle hostess e
controllori di volo).
La lotta per tenere distinto ciò che si prova da ciò che si finge di provare porta nelle persone impegnate in un lavoro emotivo a una forma di
tensione chiamata dissonanza emotiva.
(Cfr ricerca condotta sulla vita familiare di genitori che lavorano e condividono l’educazione dei figli => donne come protagoniste di un trapianto
cardiaco globale).

5.3. Altri contributi alla sociologia delle emozioni


NANCY CHODOROW estende la teoria psicoanalitica freudiana fino ad affermare che i bambini maschi si percepiscono diversi dalle madri
imparando a sopprimere i propri tratti femminili per realizzare pienamente la propria identità maschile: crescono con una capacità di relazione in
qualche modo sottosviluppata e tendono a considerare inferiore la femminilità. Le bambine che tendono a identificarsi con al madre, accettano
le proprie emozioni e sviluppano un’elevata capacità relazionale.
HABERMAS ritiene che la caratteristica centrale dell’essere umano è la ragione e non considera necessario lo studio delle esperienze emotive
come la premura, l’affetto e la solidarietà.
Per la Hochschild l’equazione tra emotivo e irrazionale, l’incapacità di apprendere la logica delle emozioni è alla radice dell’incomprensione tra
sessi.

5.4. Patricia Hill Collins: il pensiero femminista afroamericano


Sollecita una rielaborazione della teoria sociale dallo specifico punto di vista dei gruppi subordinati. Tenta di tracciare una connessione tra razza,
classe sociale e genere nell’esperienza delle donne afroamericane. Quattro sono le dimensioni dell’epistemologia femminista afroamericana:
- l’esperienza concreta come criterio di significato
- il ricorso al dialogo per la valutazione delle pretese conoscitive
- l’etica della cura (caring)
- l’etica della responsabilità sociale.
Attinge da una pluralità di fonti. (Cfr. l’interazione spontanea alle funzioni nelle chiese afroamericane => il rifiuto ad unirsi agli altri = ingannare).
Limiti della «situazione discorsiva ideale» di Habermas.
Presente il concetto chiave dell’IS: autodefinizione => ci sono la fiducia in sé stesse, l’autostima e l’indipendenza. Appare collegata al rifiuto delle
immagini femminili afroamericane risalenti all’epoca della schiavitù: bambinaie, ragazze madri, donne di facili costumi. 3 sono i fattori che
portano al rifiuto di queste immagini:
- i rapporti tra le donne nere
- la tradizione femminile del blues
- l’influenza delle scrittrici nere, che propongono definizioni alternative.
A suo avviso i rapporti di dominio costituisco un sistema in cui le diverse forme di dominio (classe, genere, razza o di religione) sono
interconnesse (e si aggiungono l’una all’altra). Polemizza con LUHMANN: il concetto di complessità è particolarmente utile alle scienze sociali =>
per spiegare il caos e il disordine i sociologi dovrebbero sviluppare nuovi strumenti concettuali e metodologici per comprendere la complessità
anziché cercare di ridurla => paradigma dell’intersettorialità.

CAPITOLO VI: LA FENOMENOLOGIA


Trae origine dalla parola di origine greca «fenomeno» = «ciò che appare».
È un metodo filosofico che prende le mosse dall’individuo e dalla sua esperienza cosciente, e che si propone di evitare assunti aprioristici,
pregiudizi e dogmi. La fenomenologia esamina i fenomeni nella maniera in cui gli attori si percepiscono nella loro immediatezza.
Gli oggetti ci pervengono attraverso la socializzazione: il processo che permette di apprendere come percepire e interpretare il mondo = come
“essere nel mondo”.
La F. suggerisce di non dare per scontate le nozioni apprese ma metterle in discussione, interrogarsi sul modo in cui si guarda al mondo e si è in
esso => assumere il ruolo di estranei. I F. studiano il modo in cui le persone definiscono le proprie situazioni sociali una volta “sospese” o “messe
tra parentesi” le nozioni culturali apprese. La realtà quotidiana è un sistema socialmente costruito e dato per scontato dai membri di un gruppo.
Un simile approccio tende ad assumere un atteggiamento critico nei confronti dell’ordine sociale e mettere in dubbio le idee culturalmente
apprese.

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1. Radici intellettuali: Edmund Husserl e Alfred Schutz


HUSSERL è il primo ad utilizzare il termine fenomenologia esprimendo l’interesse per quanto può essere direttamente percepito dai sensi. Nega
che si possa conoscere più di quanto si sperimenta attraverso i sensi. Tutto il nostro sapere proviene dai “fenomeni” percepiti.
Compito della sociologia fenomenologica è:
- descrivere con precisione il mondo così come lo vediamo, avendo però ben presente che le nostre percezioni sono intrinsecamente
plasmate dalle nostre idee
- capire perché abbiamo percezioni simili a quelle degli altri: come colleghiamo le nostre esperienze in modo da costruire una realtà
quotidiana condivisa.
SCHUZT era un filosofo sociale, ha introdotto la fenomenologia nella sociologia americana, nel contesto dei movimenti pacifisti, femministi e per
i diritti civili => logico per i gruppi subordinati a “mettere fra parentesi” la visione del mondo dominante, “sospendere” gli assunti dati per
scontati.
Atteggiamento di “epoché”, termine composto da “ epi” = “su” e “échein” = “tenere”, quindi significa “tenere sopra”, “trattenere”, riguarda una
sospensione del giudizio sulle cose, in modo da considerarle senza preconcetti come se fossero esperite per la prima volta.
S. adotta il concetto weberiano di Verstehen (comprensione soggettiva). Il significato che l'individuo attribuisce alle situazioni quotidiane è di
primaria importanza: l'attenzione viene concentrata sulla definizione che l'individuo stesso da della situazione.
S. postula che ogni individuo attinga a uno stock di conoscenza condivisa, ovvero a tutte quelle prescrizioni di comportamento che inducono a
pensare il mondo in termini di “tipi” (ricorda l'altro generalizzato di MEAD). Il mondo viene costruito dagli individui attraverso tipologie
trasmesse loro dal gruppo sociale di appartenenza.
In virtù di una serie di “prescrizioni” che si danno per scontate (se spedisco una lettera do per scontato la cooperazione dei postini), gli individui
riescono a vedere il funzionamento della realtà quotidiana come un insieme ordinato, soprattutto quando il processo giunge a buon fine.
GIDDENS nella sua analisi dell'azione quotidiana parla di “conoscenza condivisa” incorporata negli incontri. Questa conoscenza risiede al di fuori
della “conoscenza discorsiva” = le persone non sono consapevoli di tale conoscenza o non sono consapevoli di possederla. La conoscenza di cui
siamo consapevoli e su cui ci basiamo è solo una piccola porzione di quella che utilizziamo. Gran parte della conoscenza condivisa infatti è usata
in maniera automatica.
Grande importanza ha l’idea di routine: nella vita sociale noi siamo soliti usare formule o schemi codificati per affrontare situazioni ricorrenti. =>
lo studio della vita quotidiana (livello micro) è parte integrante di ogni analisi concernente la conferma e la riproduzione delle pratiche
istituzionali (livello macro).
Per l’individuo la routine è cruciale per ragioni che vanno al di là della convenienza razionale, poiché la routine psicologicamente legata alla
minimizzazione delle fonti d'ansia inconsce è la forma predominante di attività sociale quotidiana. Nella pratica della routine gli individui
provano un senso di sicurezza ontologica = confermano la percezione di realtà del proprio mondo. E’ importante per assicurare la continuità
della nostra personalità. Abbiamo così un incentivo motivazionale generalizzato a sostenere la routine dello scambio sociale ordinario. I campi di
sterminio sono l’esempio estremo delle “situazioni critiche” in cui la normale routine viene radicalmente alterata. La socializzazione non è un
fenomeno che avviene una volta per tutte nell'infanzia. Creando e ricreando le relazioni sociali che la routine rende familiari riusciamo ad avere
una personalità stabile e contenere l'ansia. La continuità della riproduzione sociale richiede la continua riaffermazione degli atteggiamenti e degli
approcci cognitivi consolidati.
S. ritiene che il significato conferito da un individuo a una situazione di interazione possa essere condiviso dalla persona con cui sta interagendo
= “reciprocità di prospettive”.
Grazie alla sospensione del dubbio che le cose possono essere diverse, l'interazione può procedere presumendo la reciprocità di prospettive
(affinità con il concetto di “assunzione del ruolo dell’altro” in MEAD).

2. Harold Garfinkel: la fondazione dell’etnometodologia


G. è il fondatore riconosciuto dell’etnometodologia. Egli cita quattro studiosi i cui scritti hanno profondamente influenzato il suo lavoro:
- Talcott Parsons
- Alfred Schutz
- Edmund Husserl
- Aron Gurwistsch.
L'intento di gara g. è quello di colmare nella teoria dell'azione di Parsons una lacuna relativa alla figura dell'attore motivato. Occorreva infatti
porre rimedio a una conoscenza e a una comprensione approssimativa dell'attore nella teoria volontaristica. L’etnometodologia affonda le sue
radici nella “Struttura dell'azione sociale”. Punto fondamentale condiviso: la fiducia come base del comportamento umano.

2.1. Definizione di etnometodologia


“Etno” si riferisce al fatto che ogni membro possiede una conoscenza di senso comune della società cui appartiene, simile alla conoscenza di senso
comune di qualsiasi altra cosa. Se traduciamo “etno” con “popolazione” o “membri di gruppo” => etnometodologia = i metodi che i membri di un gruppo
adottano per dare senso al proprio mondo sociale. Essa si propone di capire come le persone attribuiscono un senso alle attività quotidiane. Molte di
queste attività sono date per scontate (non c’è bisogno di attribuire senso). <= G. tende a trattare come problematico ciò che si dà per scontato al fine di

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comprendere la realtà quotidiana di senso comune.


Colloca al centro dell'attenzione il mondo quotidiano dato per scontato chiedendosi: in che modo le persone presentano agli altri una scena sociale
ordinata? come fanno a rendere intelligibili le situazioni?
Durkheim: i fatti sociali costituiscono una realtà oggettiva esterna e sui generis. Etnometodologia: i fatti sociali sono il risultato della continua attività
concertata degli attori nella vita quotidiana. Nelle situazioni quotidiane l'individuo chiama in causa o riconoscere fatti sociali che gli consentono di
interpretare la situazione in modo significativo. Quando “attribuisce un senso” alla situazione riconoscendovi norme sociali implicite, l’individuo
costruisce la realtà sociale, ossia dà forma ordinata alle proprie esperienze in modo che siano congruenti con le aspettative inerenti al mondo sociale
quotidiano.
G.: l’E. analizza le attività quotidiane come metodi impiegati da i membri per rendere le attività esplicitamente razionali e comunicabili cioè spiegabili in
quanto forme organizzate delle attività quotidiane di senso comune.
L’E. nega la posizione funzionalista = i fatti sociali possiedono una realtà propria vincolante per l’individuo => norme e valori sono qualcosa di esterno che
vincola l’individuo.
L’E. non considera l’ordine come qualcosa di “esterno” creato dalla società indipendentemente dall’individuo e poi da questi interiorizzato
(funzionalismo), ne guarda alla formazione delle aspettative di ruolo nel processo interattivo (internazionalismo simbolico => norme e valori emergono
dal processo interattivo).
L’E. studia il modo in cui gli individui utilizzano le regole di comportamento date per scontate per interpretare una situazione di interazione e attribuirle
un significato. Il processo interpretativo è esso stesso un fenomeno da investigare.
L’E. studia il modo in cui gli individui utilizzano le regole di comportamento date per scontate per interpretare una situazione di interazione e attribuirle
significato. Norme e valori non sono di interesse primario, poiché al centro dell’attenzione sta il processo attraverso cui gli individui dimostrano gli uni
agli altri di seguire norme e valori. Il processo interpretativo è esso stesso un fenomeno da investigare.
Atteggiamento dell’estraneo: SCHUTZ afferma che l’estraneo è colui che deve «interrogarsi su quasi tutte le cose che appaiono assodate ai membri del
gruppo cui si accosta». => è la situazione problematica perfetta per l’E.
Per G. è necessario un «motivo particolare» per mettere in questione il mondo dato per scontato. Solo estraniandosi dagli atteggiamenti di vita
quotidiana i sociologi possono scoprire le aspettative che conferiscono alle situazioni di senso comune il loro carattere familiare e consueto.
L’E. non intende spiegare il comportamento umano, ma il suo oggetto di studio pone interrogativi diversi da quelli della sociologia tradizionale (cfr.
descrizione delle valutazioni sbagliate di professori che interpretano i risultati di test scolastici senza tener presente la percezione e la comprensione del
loro contenuto dato da parte dei bambini => le risposte sbagliate possono derivare dalla discrepanza tra le visioni del mondo dell’adulto e del bambino).

2.2. I resoconti
«Rendere conto» è la capacità di manifestare a se stessi e agli altri il significato attribuito a una situazione. Implica linguaggio e significato. Le
persone fanno resoconti ogni volta che spiegano le proprie azioni => rende le attività quotidiane di senso comune riconoscibili come tali.
Molti resoconti del proprio comportamento che gli individui forniscono agli altri sono formulati in forma abbreviata, poiché la normale
conversazione dà per «risapute» molte cose, che vengono perciò tralasciate.
Espressioni indicali = elementi del discorso che presuppongono una reciproca comprensione e che non vengono spiegati a parole (indicano
molto di più di quanto esprimono letteralmente). Cfr. il compito di riportare conversazioni comuni:

cose effettivamente dette quello che gli interlocutori capiscono di ciò che si sta dicendo qui si scrive molto di più ciò che viene tralasciato si
riferisce al precedente andamento della conversazione o particolari rapporti di interazione effettiva o potenziale tra chi parla e chi ascolta.
Questa pratica di condensare i significati del discorso, questa maniera “stenografica” di parlare viene designata «principio dell’eccetera».
Resoconti e significati sono largamente dipendenti dalla situazione. I significati che due persone attribuiscono a un’interazione sono legati a
elementi di «indicalità»:
- alla sua collocazione nello spazio e nel tempo,
- alle persone presenti,
- allo scopo degli attori,
- alla conoscenza delle reciproche interazioni.
L’interazione sociale si spiega all’interno del suo contesto <= interesse dell’E.
Questione correlata: le «proprietà sanzionate del contesto umano» = nella gestione delle attività quotidiane gli individui non si aspettano
interferenze sotto forma d domande su quanto si è veramente detto => ci si aspetta che gli altri comprendano il linguaggio quotidiano corrente.
Il carattere sanzionato del discorso comune porta il soggetto, qualora si intervenga in un’interazione con domande volte a chiarire il significato di
osservazioni di senso comune, a farsi aggressivo e a cercare di dare senso alla situazione considerando le domande come «assurde» =>
«Violazione della scena».
Mettendo in dubbio le indicazioni lessicali basate sulla comprensione condivisa, le domande creano disagio e introducono un senso di diffidenza
nella situazione. Il soggetto cerca di riportare ordine nella scena violata. Definire la violazione come un’assurdità è un modo per ripristinare una
scena ordinata.
Attribuire senso a un’interazione ≈ produrre un resoconto verbale => condurre un’interazione è parlare di essa. Occorre studiare il modo in cui le
persone producono resoconti delle proprie azioni sociali nel momento stesso in cui agiscono.

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Attività di ricerca => analisi della conversazione.

2.3. Fare etnometodologia


I metodi di ricerca utilizzati:
- interviste in profondità (deliberazioni delle giurie => registrazioni in camera di consiglio, interviste personali con i giurati)
- osservazione partecipante, insieme alla precedente tecnica può mettere in evidenza aspetti problematici della vita quotidiana (offre la
possibilità di cogliere l’ambiguità della condizione vissuta dai famigliari di un defunto => lo status di persone in lutto li espone ad essere trattati
in modo sconsolato prescindere da come si comportino).
- Funzionalisti (Parsons): il dolore è funzionale alla riduzione della tensioneo i ruoli di parente del defunto e di coloro che gli
stanno accanto sono socialmente definiti
- esperimenti di breaching: i ricercatori «infrangono» una normale attività, «violano la scena» => l’interesse è rivolto a ciò che i soggetti
fanno per restituire alla situazione una parvenza di ordine, attribuendole un senso.

2.4. Confronti metodologici

Le differenze tra etnometodologia e interazionismo simbolico

Entrambi con prospettive psicosociali induttive, insistono sul livello microsociologico utilizzano dati qualitativi.
Entrambi si interessano agli individui più che ai ruoli e alle strutture sociali, ma con domande diverse:

Etnometodologia Interazionismo simbolico

Interessata alle «regole del gioco» «Sé riflesso» o la «definizione della situazione» presuppongono che i significati possano essere
accettati come auto-evidenti

In che modo le regole di condotta informano In che modo l’attore attribuisce senso

gli attori circa la natura dell’ambiente che li all’ambiente in forme socialmente accettabili?

circonda?

Si concentra sullo studio di soggetti che L’analisi non è di tipo problematico: l’interesse

«danno senso» a situazioni il cui significato è è la gestione delle informazioni nel corso

problematico dell’interazione

Diffidenza verso i metodi quantitativi Diffidenza verso i metodi quantitativi

CICOUREL: anche la parola scritta è soggetta a percezioni e interpretazioni discordanti da parte di attori diversamente collocati nelle strutture
sociali.L’analisi quantitativa esclude l’«orizzonte interiore» dell’agire sociale soggettivo, per concentrarsi sull’«orizzonte esteriore». (Cfr. nel
conteggio dei decessi l’attenzione alle morti degne di nota, quelle che avvengono in situazioni in cui morire è insolito, morti «prive di senso»
offrono la possibilità di capire come le persone gestiscono la discrepanza tra ciò che considerano normale e ciò che provoca sconcerto.
Discutendo dell’osservazione partecipante G. sottolinea il ruolo del ricercatore come «praticante» e privilegia l’aspetto della partecipazione
rispetto a quella dell’osservazione. I ricercatori devono essere parte del mondo che studiano e conoscerlo bene.
L’E. è interessata a «studiare le attività, non a elaborare teorie sulle attività».

3. Peter Berger: la costruzione sociale della realtà


B. rappresenta un’altra branca della sociologia fenomenologica.
Opere: - La realtà come costruzione sociale, scritto con THOMAS LUCKMANN - La sacra volta
Egli caratterizza la sociologia della conoscenza concentrandosi sui processi attraverso cui ogni complesso di conoscenze viene socialmente
accettato come «realtà».
«Costruzione della realtà» = processo tramite il quale le persone creano continuamente, con le proprie azioni e interazioni, una realtà condivisa
e esperita come oggettivamente fattuale e soggettivamente significativa.
La realtà quotidiana è un sistema costruito socialmente, in cui le persone attribuiscono un certo ordine ai fenomeni, una realtà allo stesso
tempo:
- oggettiva: si fa riferimento all’ordine sociale, o mondo istituzionale, considerato come prodotto umano
- soggettiva: si intende significativa per l’individuo oggettiva

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B. e L.: alienazione = perdita di significato: la disintegrazione di un sistema di conoscenze costruito socialmente (cfr. l’erosione dei mondi
tradizionali da parte della modernità nelle nazioni in via di sviluppo). Essa può essere attenuata solo dalla ricostruzione di un sistema di
conoscenze che consenta la riscoperta del significato.

La realtà quotidiana viene costruita socialmente.


È necessario rispondere alla domanda: «come è possibile che i significati soggettivi diventino realtà oggettive?»
L’analisi fenomenologica è incentrata sull’esperienza soggettiva della realtà quotidiana, sul «qui ed ora», che ricomprende in sé passato e futuro.
B. è convinto che l’interazione faccia a faccia sia il vero contesto dell’agire. Essa è il prototipo dell'interazione sociale da cui derivano tutti gli altri
tipi di interazione.
Gli attori improvvisano e creano loro stessi i propri copioni (≠Goffman).
La contestualità di realtà oggettiva e soggettiva rende il modello di B. più comprensivo di un approccio strettamente microsociologico. Si pone
come un ponte gettato fra i livelli micro e macro dell’analisi sociale. Momenti di un «processo dialettico»:
Esteriorizzazione. È il primo momento del processo dialettico di costruzione sociale della realtà, in cui gli individui, attraverso la propria attività,
creano i mondi sociali. L’ordine sociale è una continua produzione dell’uomo: risultato dell’attività passata, esso esiste soltanto finché l’attività
umana continua a produrlo.
L’esteriorizzazione può significare due cose:
- gli esseri umani creano nuove realtà sociali
- ricreano le istituzioni sociali
Esteriorizzazione è un’istituzione prodotta dall’uomo, ma nello stesso tempo a lui esterna. Nel processo dialettico l’esteriorizzazione rappresenta
il momento della produzione. È in questa fase che gli individui sono soggetti creativi capaci di agire sul proprio ambiente (cfr. Mead).
Oggettivazione. È un processo attraverso cui la vita quotidiana viene percepita come realtà ordinata e preordinata, che si impone agli esseri
umani ed è apparentemente autonoma da essi. All'individuo la realtà della vita appare già oggettivata, cioè costituita da un ordine di oggetti che sono
stati designati come tali prima della sua comparsa sulla scena.
Lo strumento attraverso cui gli oggetti sono designati è il linguaggio. Il linguaggio è essenziale per la comprensione della realtà della vita quotidiana. Il
ruolo del linguaggio nel leggere le oggettivazione comuni suggerisce che i mutamenti linguistici incontreranno sempre resistenza. La società è una realtà
oggettiva che ha conseguenze per l’individuo in quanto retroagisce sul suo creatore.
Interiorizzazione. È una sorta di socializzazione attraverso cui viene assicurata la legittimazione dell’ordine istituzionale. Una socializzazione riuscita
comporta un alto grado di simmetria tra dimensione oggettiva e soggettiva della realtà da una parte e dell’identità dall’altra. Essa implica che questo
stesso mondo sociale avrà lo status di realtà nella coscienza di tali individui (cfr. socializzazione in Parsons). Mancanza di simmetria fra identità oggettiva
e soggettiva => ricerca sui veterani del Vietnam rientrati dalla guerra con un cambiamento di identità.
Si distingue due tipi di socializzazione:
- primaria: si riferisce all’infanzia, quando si incontrano agli «altri significativi» con cui identificarsi emotivamente. Il bambino assume ruoli e
atteggiamenti delle persone per lui importanti, cioè li interiorizza e li fa propri.
- secondaria: ogni processo successivo che introduce un individuo già socializzato in nuovi settori del mondo oggettivo della società in cui vive. È
una fase successiva nell’acquisizione della conoscenza, riguarda ruoli più specifici ed è gestita da agenzie specializzate.
Con l’esteriorizzazione gli individui creano una nuova istituzione. => La società è un prodotto umano.
Una volta interiorizzata, essa viene oggettivata. => La società è una realtà oggettiva.
Una volta oggettivata essa viene interiorizzata e in questa forma retroagisce sugli individui. => L’uomo è un prodotto sociale.
Se questo processo dialettico si interrompe, si può avere il fenomeno della reificazione = la percezione dei prodotti dell’attività umana come se fossero
qualcosa di diverso da prodotti umani. La reificazione avviene perché l’uomo può dimenticare di essere egli stesso creatore del mondo umano.
Il mondo reificato è per definizione un mondo disumanizzato.
Coloro che reificano il proprio mondo sociale sono individui che conducono vita alienata e priva di significato. L’attore diviene semplicemente colui che
subisce l’azione. La dialettica è interrotta le l’individuo non è più libero ma prigioniero del proprio destino.
B. ha affrontato il ruolo della religione nel processo di reificazione. Una delle qualità essenziali del sacro è la sua alterità, la sua manifestazione come
qualcosa di totalmente altro rispetto alla vita umana ordinaria profana. La ricerca fondamentale della legittimazione religiosa è la trasformazione dei
prodotti umani in fattualità sovrumane o non umane. Le credenze religiose portano a convincere gli individui che non sono padroni del proprio destino
=> la religione rimane un paravento del processo di reificazione.
La teoria della costruzione sociale della realtà ritiene che sia i ruoli sia le istituzioni possono essere reificati: quando una persona dice di doversi
comportare in un determinato modo a causa della sua posizione, sostenendo di non avere scelta, dimostra di possedere una mentalità prigioniera della
reificazione; i figli che si sentono obbligati a seguire le orme dei genitori nella scelta del lavoro o dell’università da frequentare, sostengono un processo
di reificazione.

4. Doroty E. Smith: la teoria del punto di vista femminista


La teoria del punto di vista esplora i mondi quotidiani degli individui collocati in posizioni subordinate. S. si concentra sulle donne, ma altre teorie del
punto di vista potrebbero concentrarsi sui bianchi poveri, le persone di colore, gli omosessuali, le minoranze etniche o religiose.
Incorpora elementi sia sociostrutturali, sia solo sociopsicologici e abbraccia contemporaneamente i livelli macrostrutturale e microinternazionale.
Un approccio che abbina - metodo materialista sviluppato da Marx ed Hengels - l’etnometodologia di Garfinkel.

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Oggetto di interesse: le strutture del dominio maschile esperite quotidianamente dalle donne, i pensieri e i sentimenti che scaturiscono da questa
esperienza. Vuole infrangere il tabù che vieta di mettere in discussione l’ordine sociale. Obiettivo: sviluppare una sociologia fondata sull’analisi degli
aspetti problematici del mondo quotidiano, in particolare una sociologia non delle donne ma per le donne, che dia loro voce. L’impotenza a cui le donne
sono ridotte nell’ordine patriarcale, fa sì che esse esperiscano una linea di faglia tra ciò che vivono quotidianamente e la conoscenza ufficiale, espressa
nei simboli, nelle metafore, nel lessico e nei concetti della cultura patriarcale. Le donne tendono a vivere una coscienza scissa. Il tentativo è di
decodificare gli assunti impliciti nelle istituzioni sociali.
«Apparati di dominio» = comprendono non solo lo Stato, ma anche le istituzioni amministrative manageriali e professionali che organizzano, dirigono e
regolano le società contemporanee. Negli apparati di dominio, coloro che non fanno parte della minoranza dominante, non hanno alcun ruolo o soltanto
un ruolo marginale. Gli apparati di dominio sono organizzazioni controllate dalle classi dominanti che escludono non solo gli operai, ma anche le donne,
le persone di colore, gli omosessuali.
Questo approccio si colloca nella tradizione critica del conflitto, ma anche come «violazione della scena» sociologica dominante.
Sospende la soggettività dello studioso come persona tra le altre, dotata anche di un corpo, come essere umano psico-fisico calato nel mondo (≈ SHUTZ).
Esplorare l’oggettività che sorregge gli apparati di dominio è un modo per le donne e gli altri gruppi subordinati, non solo di dare senso al proprio mondo
sociale, ma anche di cambiarlo.
È una sociologia del insider = un’indagine sulla società sviluppata sistematicamente dall’interno, parte dalla concreata situazione del soggetto. Strategia
che considera concetti, idee, ideologie e modelli come dimensione e forme di organizzazione del processo sociale, che possiamo afferrare solo in veste di
insider, cioè esaminando le nostre stesse pratiche.

La fenomenologia:
- mette in dubbio gli assunti dati per scontati
- discute le idee culturalmente apprese
- considera problematico ciò che è ritenuto ovvio allo scopo di comprendere il mondo quotidiano

Esplorare la femminilità dal punto di vista femminista, significa cessare di vederla come un ordine sociale normativo riprodotto attraverso la
socializzazione, al quale le donne sono in qualche modo subordinate. Piuttosto la femminilità va considerata un complesso di rapporti concreti
istituzionalizzati in forme testuali = resoconti ufficiali che perpetuano e riproducono l’ordine istituzionale. Le relazioni di genere sono
socialmente costruite (BERGER e LUCKMANN). Utilizza il concetto di «orizzonte interiore» dell’agire sociale soggettivo (≠ «orizzonte esteriore»
fatto di scale e misure).

CAPITOLO VII: LE TEORIE DELLA SCELTA RAZIONALE


Rational choice parte da 2 assunti, secondo cui le persone:
- sono fondamentalmente razionali
- basano le proprie azioni su quelli che ritengono i mezzi più efficaci per raggiungere gli scopi.
Teorie molto vicine all’economia e all’affermazione comune «c’è un prezzo per ogni cosa e ogni cosa ha il suo prezzo». Suggeriscono che per
comprendere gran parte del comportamento degli individui occorre considerarli come attori capaci di decisioni razionali in un contesto
caratterizzato dalla scarsità (Cfr. i divorzi: si assume come punto di partenza il fatto che il divorzio implica una scelta individuale, e ci si chiede
quali motivi fanno scegliere il divorzio a un numero maggiore rispetto al passato).
I teorici della SR analizzano un’ampia gamma di comportamenti sociali sulla base delle scelte individuali e delle loro motivazioni.
Più famoso esempio è la teoria dello scambio => l’interazione sociale come scambio di merci e servizi, una gamma che va dalla soddisfazione dei
propri bisogni primari all’approvazione sociale e al riconoscimento. Ciò avviene dopo aver esaminato costi e vantaggi delle alternative a
diposizione e aver scelto la più conveniente (cfr SIMMEL).
Altri ambiti in cui ha conosciuto un’affermazione tale teoria:
- comportamento elettorale e appartenenza al sindacato
- la psicologia sociale dei gruppi
- la teoria dei giochi, utilizzata nello studio delle relazioni internazionali e della strategia militare.
James Colemann si propone di spiegare i sistemi sociali in una propsettiva bottom-up, dal basso verso l’alto, sulla base di una teoria del
comportamento individuale razionale.

1. Radici intellettuali
Utilitaristi: descrivono gli individui come motivati dall’interesse egoistico, tesi ad ottenere il piacere ed evitare la sofferenza. La moralità del
compotamento è data dall’«utilità» ch procura al maggior numero di individui.
Simmel si proponeva di identificare le caratteristiche generali del comportamento umano: capire come e perché gli individui passano da
situazione di isolamento a diverse forme di contatto sociale => passaggio che va cercato nella soddisfazione dei bisogni e nel perseguimento
degli scopi individuali. L’interazione è sempre caratterizzata da una qualche forma di reciprocità, anche se non paritetica (=> Blau).
Influenze apportate alle scienze sociali, antropologia, economia, psicologia, scienza politica.

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1.1. L’antropologia e l’importanza del dono


BRONISLAW MALINOWSKI studia abitanti di un’isola della Melanesia => lo scambio reciproco costituisce la base della coesione sociale. Società
fondata da catene equilibrate di servizi reciproci, vita caratterizzata dal gioco del dare e ricevere, dove anche la relazione più disinteressata,
quella fraterna, è fondata sulla reciprocità e la restituzione dei servizi.
Si può distinguere tra:
- lo scambio di doni, che fine a se stesso
- lo scambio strumentale, che mira all’acquisizione di determinati beni.
Lo scambio istituzionalizzato di doni è esemplificato da una cerimonia: il Kula => a intervalli regolari gli uomini di un’isola si recano in un’altra
isola ai cui abitanti offrono bracciali in cambio di collane di conchiglie, manufatti che hanno alto valore, ma nessuna utilità pratica; vengono
conservati per un certo tempo, poi di nuovo scambiati => gli stessi monili circolano per anni lungo «l’anello Kula».
Aspetto cruciale di tali scambi è la capacità di mantenere coesa la società attraverso obblighi reciproci ≈ noi oggi scambiamo doni in occasione
del Natale, o nei contesti matrimoniali.
LÉVI STRAUSS: ha analizzato gruppi di parentela e matrimoni come se fossero sistemi di alleanze. Le spose costituiscono l’oggetto di scambio più
efficace per cementare un’alleanza e assicurare la coesione sociale.
MARCELL MAUSS: natura «obbligatoria e interessata» di doni e di altre forme di scambio => i doni sono intrinsecamente legati al potere e
all’ordine gerarchico di una società, in quanto chi li riceve si trova in una posizione svantaggiata rispetto a chi li fa, a meno che non possa
ricambiare annullando così l’obbligo contratto.
MARSHALL SAHLINS: contrasto tra la reciprocità generalizzata all’interno di una famiglia, i cui componenti non tengono una contabilità precisa
dei favori fatti e ciò che avviene in una tribù in cui col tempo si giunge un equilibrio quasi perfetto tra quanto è stato dato e ricevuto.
MAUSS: le norme sociali secondo cui, se non si ricambia un dono si intercorre nell’ostilità o nel disprezzo di persone anche non direttamente
coinvolte dello scambio: la reciprocità è una norma imposta dalla società.
MALINOWSKI: esiste un obbligo socialmente imposto di ricambiare il dono.

1.2. Economia, diritto, prezzo


La teoria della scelta razionale (cfr. teoria economica) parte dalla psicologia individuale per sostenere che quelle premesse sono applicabili a
comportamenti che non hanno a che fare con lo scambio di merci, il denaro, il mercato e, in generale, il funzionamento dell’economia. Economia
e TSC mettono in risalto il fatto che viviamo in un mondo condizionato dalla scarsità di risorse dove non è possibile ottenere tutte le merci, il
prestigio o il benessere che vorremmo.
4 proposizioni base dell’economia che sono fondamentali per TSR:
1. gli individui tendono razionalmente a massimizzare il proprio vantaggio prendendo decisioni sulle proprie preferenze
2. quanto maggiore è la quantità di una certa cosa posseduta da un individuo tanto meno egli sarà interessato ad ottenerne ancora
3. i prezzi di beni e servizi sul mercato sono determinati direttamente dalle preferenze dei potenziali acquirenti e venditori: più
domanda bene => più valore => prezzo più elevato più offerta => valore minore => prezzo più basso
4. i beni forniti da un monopolio sono più costosi di quelli offerti da più imprese in concomitanza tra loro.
1 e 2 riguardano la psicologia di base degli individui => utilizzate per previsioni concrete del comportamento.
Si discute sul cosiddetto «ciclo della povertà», in cui gli individui resterebbero intrappolati nell’azione generazione dopo generazione a causa dei
loro stessi valori e comportamenti. TSR: massimizzazione del proprio vantaggio => nella situazione data, il loro comportamento risulta alquanto
razionale, privilegia innanzitutto la sopravvivenza.
2 è costituita dalla legge dell’«utilità marginale decrescente» = all’aumentare della quantità consumata di un bene, diminuisce la sua utilità
marginale (derivante dal consumo di ulteriori unità di quel bene) => conseguenza anche il prezzo che l’individuo è disposto a pagare.
3 e 4 riguardano i prezzi di scambio dei beni. TSR estende anche ad altre forme di scambio che implicano ugualmente un prezzo determinato
dall’offerta, dalla domanda e dall’eventuale presenza di un monopolio (esempio: uomini ricchi sposano donne attraenti).
TSR ricava i propri assunti di base dell’economia => ne condivide anche i limiti: assume come dati credenze, valori e preferenze degli individui,
limitandosi ad esaminare il comportamento che ne consegue. L’insistenza sulle azioni razionali finalizzate non consente di dire molto sul ruolo
delle emozioni nelle spiegazioni del comportamento umano.

1.3. Psicologia comportamentista e teoria dei giochi


GEORGE HOMANS fa riferimento alla scuola comportamentista di psicologia sperimentale fondata da Skinner => nello studio del comportamento
bisogna rinunciare a formulare ipotesi sui fenomeni non osservabili, evitare affermazioni sulla «scatola nera», che non si può osservare
direttamente né sottoporre a un processo di falsificazione.
Prendono in considerazione esclusivamente le risposte manifeste a stimoli osservabili, senza curarsi dei pensieri e delle sensazioni che portano
gli individui.
In realtà, teoria dello scambio e TSR fanno affermazioni su fenomeni non osservabili.
Per la psicologia comportamentista è importante la teoria dello scambio, perché congruente con l’economia => rafforza la teoria dello scambio,
quando sostiene che i suoi principi sono applicabili ad ogni contesto della vita sociale.

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La teoria dei giochi si interessa a particolari modelli di scelta e alla identificazione di dilemmi e strategie ricorrenti.
Teoria del conflitto: tende a considerare la vita sociale come un «gioco a somma zero»: il guadagno di un individuo è necessariamente
controbilanciato dalla perdita di un altro.
<= La teoria dei giochi affronta una gamma di situazioni molto più ampia (esempio: «dilemma del prigioniero»).
Interesse per questa teoria sta nel numero di situazioni sociali che possono essere considerate come i casi di un particolare tipo di gioco (attività
lobbistiche, prospettive di pace tra superpotenze…)

2. Scelta razionale, scambio sociale e comportamento individuale


Analizza lavori incentrati sugli individui.
2.1. Gorge Homans: il comportamento sociale elementare
Influenza di PARETO: - attenzione per le leggi psicologiche che sono alla base del comportamento umano ripetono scelte compensate
rispondono agli stimoli associati a ricompense agiscono in base al valore attribuito alle cose => sono esseri razionali.
- preferenza per i concetti di derivazione economica. Interesse costante è rivolto ai piccoli gruppi
Libro: “Le forme elementari del comportamento sociale”.
Il comportamento sociale elementare può essere spiegato attraverso i principi dello scambio sociale.
In ultima analisi sono spiegazioni di tipo psicologico.
I principi generali di H. sono accettati pressoché integralmente dagli altri teorici dello scambio e della scelta razionale.

1. Principio del successo. Più una particolare azione compiuta da un individuo viene ricompensata maggiore è la probabilità che egli compia
nuovamente quella stessa azione.
2. Principio dello stimolo. Se in passato uno stimolo ricorrente ha creato occasioni in cui l'azione di un individuo è stata ricompensata, più lo
stimolo attuale è simile a quello passato, maggiore è la probabilità che egli compia ancora la stessa azione o sezioni simili.
3. Principio del valore. Più un individuo attribuisce valore al risultato di una determinata azione, più è probabile che la compia.
Principio della razionalità. (Combinazione principi 1-3). Tra azioni alternative l’individuo sceglierà quella per cui, secondo la sua percezione della
situazione, è più alto il valore del risultato moltiplicato per la probabilità di ottenerlo.
4. Principio della privazione-saturazione. Più spesso l’individuo, nel passato recente, ha ricevuto una particolare ricompensa, meno valore
attribuirà a ulteriori ricompense dello stesso genere.
5. Principio dell’aggressività-approvazione.
a) Quando l’azione di un individuo non riceve la ricompensa attesa o riceve un castigo inatteso, l’individuo andrà in collera => tenderà ad adottare
un comportamento aggressivo e i risultati di tale comportamento assumeranno maggior valore ai suoi occhi.
b) Quando l’azione di un individuo riceve la ricompensa attesa oppure riceve una punizione attesa, l’individuo sarà compiaciuto => tenderà ad
adottare un comportamento di approvazione e i risultati di tale comportamento assumeranno maggior valore ai suoi occhi.
Parla di principi generali applicati a tutte le forme di attività sociale, che incorporano anche le emozioni umane: ecco perché non compare mai la parola
scambio.
Il comportamento sociale = - scambio di attività fra almeno due persone
- si prefigge di spiegare i ripetuti scambi di ricompense fra persone ( = relazioni interpersonali). L’accento sui principi dell’attività dell’azione
umana è il nucleo centrale di tutta la prospettiva della scelta razionale. Principio di razionalità.

Esempi:
Correnti della criminologia: insistono sugli effetti deterrenti della repressione dei reati. Tale principio implica che, a parità di altre condizioni, più spesso i
crimini riescono, più gli individui ne commetteranno.
I sostenitori della politica di «tolleranza zero»: il comportamento dei criminali è fondamentalmente razionale e deve essere trattato come tale =>
tendenza della mano dura anche nei confronti di reati minori, condanna detentive anche degli incensurati, una presenza più forte della polizia nelle
strade=> generale effetto di deterrenza. Studio dei problemi educativi: il conflitto tra insegnanti e studenti => gli studenti più conflittuali e meno
interessati alla cooperazione con l’insegnante presumibilmente attribuiscono allo studio minor valore di altre alternative
La tesi della razionalità e in particolare l’idea che le persone scelgono determinate azioni in base al loro valore potenziale è stato tra gli aspetti più
criticati della teoria dello scambio.
H. originariamente aveva proposto il «principio del valore» come una proposizione empiricamente verificabile.

EMERSON: ha cercato di sviluppare una teoria del valore negli scambi sociali => fa notare che l’economia si concentra quasi interamente sugli scambi
monetari, in cui è presente una unità di misura del valore convenuta. La sociologia deve offrire un concetto di valore soggettivo che abbia un
fondamento e un’unità di misura non arbitrari. Se disponessimo di una misura indipendente del valore che le persone attribuiscono alle cose, potremmo
verificare direttamente il principio del valore.
≈ i teorici del conflitto: le persone attribuiscono valore alla sopravvivenza, alla promozione e al potere => su questa base riescono a fare previsioni.
Principio della privazione-saturazione.
Complementare al principio economico dell’utilità marginale decrescente.
BLAU: il principio stabilisce che chi riceve qualcosa cui attribuisce valore sarà interessato in misura decrescente a ottenerne ancora.

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Permette previsioni corrette.


Principio centrale nella teoria dello scambio per quanto concerne le condizioni di entrata e di uscita dai rapporti di scambio: gli individui cercheranno di
procurarsi qualcosa se il suo valore è maggiore della precedente ma non è vantaggioso proseguire all’infinito…

Principio dell’aggressività-approvazione.
Formulato dalla psicologia comportamentista: gli individui, se le loro aspettative vengono disattese, diventano aggressivi, mentre se le loro aspettative
vengono soddisfatte, ne sono compiaciuti.
Principio importante in sociologia, perché molte aspettative hanno radici nelle tradizioni e nelle norme sociali, che definiscono ciò che si deve fare e ciò
che è giusto.
Va oltre le preoccupazioni dell’economia chiamando in causa le norme e la moralità dello scambio sociale.
H. propone una vera e propria regola di giustizia distributiva, che vale per tutte le società: ciò che conta per le persone è la ricompensa sia proporzionale
all’investimento e al contributo.
Regola che
- non fornisce alcuna indicazione sui modi in cui gli individui appartenenti a società diverse, valuteranno tali costi e investimenti.

- non garantisce che nella medesima società le persone attribuiscano identico valore alle cose.
H. offre qualche indicazione sullo sviluppo delle norme e delle opinioni: fondamentale il ruolo del consenso sociale (paragonabile a quello del denaro in
economia)
- non è un’unità di scambio ideale: non si lascia facilmente misurare, contare, accumulare, dare in prestito o trasferire
- è l’unica cosa che può essere offerta in pressoché tutte le situazioni di scambio =>
tutti la considerano un bene desiderabile .

2.2. Potere, equità e giochi


H.: il potere = la capacità di fornire prestazioni considerate desiderabili.
Viene spiegato esattamente nello stesso modo in cui gli economisti spiegano il prezzo di una merce. Dipende dalla capacità di fornire prestazioni
desiderabili in quanto rare. La rarità da sola non determina il valore. Ciò che determina il valore di una prestazione è il rapporto tra domanda e l’offerta.
È rappresentato dal prezzo che un individuo può ottenere per i propri servizi. Può essere pagato in modo concreto o in forma più immateriale.
Il fatto di possedere risorse generalmente considerate desiderabili, non procura necessariamente a un individuo il potere su altre persone => perché
questo accada deve esserci una sorta di squilibrio.
Definizione che può essere applicata - potere coercitivo che dipende dalle capacità di punire
- potere non coercitivo, che consente ad entrambe le parti di ottenere una qualche ricompensa.
Il potere non coercitivo è non solo più comune, ma anche più efficace: le minacce di punizione spesso incoraggiano la ribellione e possono non ottenere
il comportamento desiderato.
≠ Teoria del conflitto: il potere = capacità di coercizione fondata sulle risorse possedute.
≠ Funzionalismo: il potere = strumento grazie al quale la società prende decisioni e le mette in atto.

Teoria dello scambio: sottolinea il rapporto tra potere e capacità di fornire prestazioni considerate desiderabili.

EMERSON: potere è connesso al fatto che uno dei partecipanti allo scambio dipende dall’altro per prestazioni che egli considera più desiderabili di
quanto l’altro consideri qualsiasi cosa egli possa offrirgli. Condizioni: il potere dell’offerente maggiore
- se il destinatario non ha da offrire in cambio nulla che sia necessario al fornitore
- il destinatario non ha alternative cui rivolgersi
- il destinatario non dispone di potere coercitivo per ottenere le prestazioni di cui ha bisogno
- il destinatario non è in grado di fare a meno di quel servizio o trovare un suo sostituto. => su un'isola deserta la leadership viene affidata a
qualche membro del gruppo che ha maggiori capacità di sopravvivenza, senza contare su ciò che era in precedenza (banchiere, avvocato, meccanico,
dirigente).

È un approccio che non considera le basi istituzionali del potere:


- le circostanze che rendono particolari beni e servizi desiderabili in una determinata società
- i mezzi attraverso cui gli alcuni gruppi controllano in modo preponderante o monopolizzato risorse desiderabili lasciando gli altri senza
possibilità di negoziazione.
Teorici del conflitto: ignorano le 4 condizioni, concentrandosi pressoché esclusivamente su un tipo di potere che i teorici della scelta razionale che
chiamerebbero monopolistico.
Funzionalisti: la maggior remunerazione di alcuni lavori rispetto ad altri, è funzionale perché induce persone con capacità particolari a occupare quei
posti di lavoro.
La dimensione normativa e affettiva.
TSR si distingue da quella economica per l’insistenza della dimensione normativa e affettiva dello scambio sociale.
EMERSON: Concetti di dipendenza e di alternative disponibili => cambiamento di prospettiva: dagli scambi tra i singoli individui, cerchie ristrette di amici
o piccoli gruppi di lavoro si passa a reti di scambio e strutture sociali più ampie.

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Valori di equità e giustizia: influenzano le relazioni di potere limitando l’uso del potere da parte dei suoi detentori
LAWER: teoria delle emozioni nello scambio sociale => l’esperienza di scambi frequenti determina un atteggiamento positivo verso gli altri membri della
rete di scambio.
Modo in cui lo scambio può portare alla «coesione relazionale»: percezione che lo scambio coinvolge un gruppo reale, cui gli individui implicati sentono
di appartenere.
Le relazioni di scambio strumentali favoriscono quelle emotive = attori che interagiscono in un’attività di scambio è probabile che sentano una
«vibrazione emotiva».
La relazione di scambio diventa oggetto di attaccamento => accresce la probabilità che le persone persistono nella relazione di scambio.
Le persone sviluppano un maggior attaccamento emotivo verso unità sociali che le fanno sentire efficaci o in posizione di controllo. L’attaccamento
affettivo verso una certa unità sociale si forma soprattutto quando la si percepisce come fonte stabile e controllabile di sentimenti piacevoli.
E. e L. ampliano Homans sottolineando il fatto cruciale che le relazioni sociali perdurano per lunghi periodi e vanno comprese in termini di scambi
ripetuti nel tempo.

Teoria dei giochi e dilemma del prigioniero.


I giochi con regole, strategie e, di solito, vincitori sono la quint’essenza dell’attività umana. Si analizza il comportamento umano sostenendo che molte
situazioni possono essere viste come varianti di giochi.
Tra questi il «dilemma del prigioniero», formulazione originale e dalle implicazioni sorprendenti. Raymond Boudon e gli «effetti perversi».
= effetti individuali o collettivi che risultano dalla giustapposizione di comportamenti individuali, ma non erano previsti negli obiettivi espliciti degli attori.
Socialmente rilevanti sono quei meccanismi che portano alla produzione di effetti indesiderabili.
B. sottolinea gli aspetti paradossali prodotti dalla combinazione delle decisioni individuali. Questo tipo di analisi è centrale nell’approccio della scelta
razionale.
I fenomeni sociali possono essere compresi come composizione, voluta non voluta, di azioni individuali. L’effetto collettivo può non corrispondere alle
attese di ciascuno degli attori sociali, per cui i comportamenti individuali possono tradursi, a livello collettivo, in fenomeni non voluti, cioè in “ effetti
perversi” (= effetti emergenti, o di composizione, o di aggregazione, o di sistema, perché non tutti gli effetti prodotti in modo inatteso sono
indesiderabili).
Ogni fenomeno sociale, dunque, si costituisce per composizione (per sommatoria) di comportamenti individuali. Così un ingorgo stradale (il fenomeno) è
prodotto dall’accumulazione di numerosi comportamenti individuali che, presi uno per uno, sono razionali (prendere la propria vettura per andare a
lavorare). Boudon si domanda perché glisforzi per democratizzare la scuola non hanno migliorato, sensibilmente, la mobilità sociale, contrariamente a
quanto ci si poteva aspettare. Egli dimostra che le domande individuali di scolarità sono largamente endogene, cioè dipendono dagli attori, ciascuno dei
quali ha interesse ad accrescere il proprio livello d’istruzione, quando gli altri fanno lo stesso.
Invece l’aumento delle posizioni sociali elevate dipende soprattutto da fattori esogeni (come il progresso tecnico), sui quali gli attori influiscono poco.
L’aggregazione delle decisioni individuali di proseguire gli studi può allora produrre un effetto perverso, aumentando il numero delle posizioni
scolastiche elevate mentre le posizioni sociali del medesimo livello rimangono stabili. Questa situazione determina la perdita di valore del diploma sul
mercato lavorativo, secondo un processo comparabile all’inflazione monetaria. Bisogna, dunque, investire sempre di più nel sistema educativo per un
rendimento che è sempre più debole: la democratizzazione scolastica può così contribuire, paradossalmente, ad accrescere la frustrazione relativa degli
attori.
Compito del sociologo è di scoprire l’esistenza di strutture d’azione collettive che, pur provenendo da scelte individuali ragionevoli, producono effetti
sfavorevoli per i singoli o la collettività. In questo modo la sociologia si distingue chiaramente dalla storia, perché cerca il “generale” dietro il “singolare”:
fenomeni collettivi poco comprensibili sono, spesso, il risultato di rapporti di interazione.

3. Scelta razionale e analisi della struttura sociale


Uno dei maggiori meriti della TSR è quello di ricomprendere al proprio interno sia la micro che la macro sociologia.

3.1. Peter Blau: scambio e integrazione sociale


Testo: “Exchange and Power in Social Life”.
Homans: interessato a elaborare una teoria deduttiva generale del comportamento. Blau: vede nello scambio solo un aspetto della vita sociale.
Oggetto dei suoi contributi più importanti
- il rapporto tra scambio e integrazione sociale in senso lato
- lo scambio come base del potere sia nei piccoli gruppi sia nelle grandi istituzioni. Studi sulla burocrazia.
La specificità dello scambio sociale.
Considera lo scambio estremamente importante ai fini dell’iterazione sociale. Svolge 2 funzioni:
- creare vincoli di amicizia
- stabilire il dominio o la subordinazione.
Gli scambi aumentano l’integrazione sociale:
- creano fiducia,
- incoraggiano la differenziazione,
- rafforzano la conformità alle norme del gruppo,
- sviluppano i valori collettivi.

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Gestione delle impressioni = il modo in cui un individuo si presenta agli altri.


Le impressioni che egli offre e riceve sono di importanza cruciale per i prezzi che si determinano nello scambio sociale.
«distanza dalla ruolo» (Goffman) => particolarmente rilevante nello scambio sociale, perché le persone vogliono dimostrare la propria capacità e di
conseguenza il valore delle proprie prestazioni:
- i rapporti d’amicizia si instaurano generalmente tra persone di condizione sociale pressoché uguale: la preoccupazione che un proprio
subordinato possa essere considerato un proprio pari ostacolano i rapporti d’amicizia, differenze di status richiedono che gli inferiori trattino con
deferenza i superiori;
- i rapporti tra disuguali sono meno tesi quando il motivo della disparità è chiaro e ben definito: gli individui di status incerto sono quelli che più
temono di essere visti insieme persone di status inferiore, al contrario persone il cui status è nettamente definito non si lasciano influenzare dalle
situazioni => i pregiudizi razziali sono più forti tra i bianchi di status meno solido.
La nozione di scambio si applica anche ai rapporti d’amore: si scambiano affetto e intimità, ma pochissimi sono del tutto indifferenti ai valori
convenzionali dell’aspetto esteriore, del successo, nella carriera, della ricchezza…
Ciò che si conquista caro prezzo è più prezioso.
Lo scambio sociale è diverso da quello economico, perché crea fiducia tra le persone e le integra in un gruppo sociale. Difficile valutare l’oggetto della
transazione. Gli scambi sociali iniziano generalmente su scala ridotta e si sviluppano lentamente => tendenza rafforzata dal fatto che nello scambio
sociale gli obblighi reciproci non possono essere stipulati in anticipo, e non esiste la possibilità di ricorso formale contro eventuali profittatori.
È la reciprocità la norma sociale sottesa tutto il processo di scambio sociale. Serve anche come “meccanismo di avviamento” delle interazioni sociali.
Gli scambi sono regolati dalle norme di gruppo, tra cui quella fondamentale onnipresente della reciprocità. Trasgredire alla norma della reciprocità porta
inevitabili sanzioni da parte del gruppo.
Scambio economico ≠ scambio sociale: oggetto della reciprocità non può essere negoziato e comporta doveri non specificati => aspettativa generica di
una futura restituzione.
La fiducia e l’integrazione sociale possono essere promosse dallo scambio sociale anche in assenza di specifiche sanzioni formali => omettere di
contraccambiare toglie al trasgressore la possibilità di ottenere prestazioni di cui potrebbe avere bisogno in futuro.
Caratteristica distintiva delle grandi istituzioni è che in esse lo scambio diventa sempre più indiretto: l’individuo riceve le proprie ricompense per vie
traverse. Questo tipo di scambio indiretto dipende dalla forza delle norme sociali interiorizzate, la quale dipende a sua volta dall’approvazione che le
persone ricevono in cambio della propria conformità.
Scambio e potere.
BLAU: potere = capacità da parte di individui o gruppi di imporre il proprio volere sugli altri malgrado la loro resistenza, usando come deterrente l’arrivo
di ricompense fornite regolarmente o la punizione .
Definizione che si attaglia bene alle relazioni diadiche o comunque limitate a un contenuto numero di individui.
Nascita delle norme valide oltre i confini del piccolo gruppo.
Come si creano i poteri istituzionali legittimi? La legittimazione va ricercata nella percezione del potere come dettato non solo dall’equità, ma anche
dalla generosità: la legittimità trasforma il potere in autorità, perché rende l’obbedienza giusta e conveniente. Il meccanismo attraverso cui il potere
diventa legittimo è quello delle esperienze condivise, che conduce alla formazione di nuovi valori collettivi. Gli individui ritengono onerosa la
sottomissione. Di fronte alla richiesta di obbedienza, si trovano in una situazione di « dissonanza cognitiva», non concordando con quella che, a loro
giudizio, dovrebbe essere la realtà. Essi cercheranno di ottenere da altri la conferma delle proprie opinioni Quando il potere viene esercitato in modo
generoso, le razionalizzazioni individuali dell’obbedienza si trasformano in norma sociale. Le ideologie di opposizione si sviluppano in modo analogo =>
quando i subordinati percepiscono collettivamente come iniquo l’esercizio del potere, nascono movimenti di opposizione.
I meccanismi in gioco non sembrano adeguatamente spiegati dalle idee piuttosto formali di B. Meccanismi più legati al senso di identità…

3.2. Norme e reti


MICHEL HECHTER: critica - le spiegazioni strutturaliste (teoria del conflitto) - quelle normative (funzionalismo)
L’interiorizzazione delle norme spiega il fatto che gli individui si comportino in un determinato modo, ma non riesce a chiarire perché le norme vengono
trasgredite o mutano nel tempo. Perché raramente una «classe in sé» diventa mobilitandosi una «classe per sé»? È proprio vero che quando le persone
condividono la stessa posizione sociale si cancellano tutte le differenze individuali?
L’azione collettiva e il problema del «free rider»

ANTHONY DOWNS: nella sua analisi del comportamento di voto, presuppone che ogni individuo sia in grado di calcolare benefici derivanti dalla vittoria
di un partito o di un candidato. Poche sono le possibilità che un voto da solo possa essere decisivo. Un individuo razionale dovrebbe scegliere di non
votare, se ciò comporta dei costi, e andare a votare implica sempre un dispendio di tempo ed energie.
Spiegazioni di tipo normativo: le persone votano perché sento il dovere di farlo. Le persone che non votano non sono sempre le stesse e non può
trattarsi di interiorizzazione delle norme fallita o riuscita.
Il voto è un comportamento razionale, in quanto permette la conservazione di un sistema che arreca benefici di lungo periodo. Però esiste una
differenza tra ciò che appare razionale in un piccolo gruppo in uno grande. Più grandi sono i gruppi più è possibile comportarsi da free-rider = lasciare
che siano gli altri a votare e sostenere il sistema (mentre noi andiamo al cinema).
BLAU aggira il problema parlando di una regola generale di reciprocità, mentre gli studiosi distinguono:
- beni pubblici: non c’è modo di escludere dai benefici gli individui che non contribuiscono produrli: se la maggioranza vota, i benefici li ricevono

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anche chi non vota


- solo i membri che rispettano le regole di un gruppo possono usufruire di benefici selettivi (esempio: il sindacato).
Può fornire un’adeguata spiegazione della coesione del gruppo basata sulla scelta razionale, ma limitatamente a gruppi solidaristici, cioè quelli i cui
membri condividono modelli di vita riconducibili alla solidarietà meccanica. Ciò avviene se il gruppo è in grado di assicurare il senso di appartenenza e
sostegno emotivo. Il fattore decisivo per la sopravvivenza di queste comunità è però la dipendenza dei membri dal gruppo. Tendono sopravvivere nel
lungo periodo le comunità che riescono a controllare minutamente il comportamento dei propri membri, attraverso spazi abitativi comuni, incontri
regolari ritualizzate, che rendono molto costosa l’uscita dalla comunità.
L’appartenenza a queste comunità è da ricondurre non a fattori di carattere normativo, ma alla loro capacità di assicurare la conformità attraverso
strumenti «economici».
Reti sociali e processi emergenti
TSR e teorie dello scambio sono interessate alla connessione tra
- gli scambi individuali
- lo sviluppo delle istituzioni e norme.
La solidarietà è legata al fatto che i membri dipendono dal gruppo e possiedono poche risorse alternative per ottenere ciò che vogliono.
HECTER individua una fitta rete di contatti all’interno del gruppo, ma pochi collegamenti con l’esterno.
SIMMEL: «trama delle affiliazioni di gruppo» => sociologia contemporanea: «rete sociale» (network) e il filone di studi che se occupa: network analysis
(assomiglia allo studio del traffico attraverso la fotografia notturna => opera in maniera simile con le relazioni sociali cercando di capire come questa
ramificazione influenza il comportamento delle persone coinvolte nella rete). Trova la sua migliore utilizzazione nella spiegazione della situazione sociale
su grande scala. Nozioni come «struttura occupazionale» o «sistema economico» non sono in grado di spiegare esaurientemente il comportamento
individuale. Le persone non vivono ermeticamente chiuse all’interno dei rispettivi gruppi economici o professionali. I legami individuali al di fuori del
gruppo possono essere della massima importanza.
CLAUDE FISHER ha usato la network analiysis per esaminare criticamente una delle opinioni più ricorrenti della vita moderna: lo spostamento dal
villaggio agricolo alla città industriale comporta l’uscita dalla «comunità autentica» e l’ingresso in una «società di estranei». Solo nelle piccole comunità
abbiamo dei rapporti autentici? Sembra sconfermata questa tesi.
Tutto ciò sottolinea che le varie reti interpersonali hanno caratteristiche ed effetti diversi. GRANOVETTER: « forza dei legami deboli» concerne la densità
delle reti sociali ovvero il numero di legami fra i suoi componenti. Le persone con una fitta rete di rapporti, all’interno della quale tutti si conoscono,
tenderanno a essere relativamente isolate dalle informazioni e dai contatti con la società più ampia; al contrario, le reti e la trama rada e legami deboli
sono importanti non solo per la diffusione delle informazioni e lo sviluppo della coesione nella società di grandi dimensioni, ma anche per la promozione
degli obiettivi individuali.
I legami deboli spiegano anche perché i membri della classe media riescono a proteggersi meglio da quelli della classe operaia: all’interno della classe
media di solito si conosce qualcuno che può dire una parola buona nella sede giusta…
Mondo moderno => esteso utilizzo di procedure formali e «universali», tuttavia è di importanza cruciale l’interazione informale all’interno dei sistemi
formali.
G. mette in dubbio l’idea di una società moderna completamente diversa dalla comunità tradizionale, sostenendo che il particolare e il personale
rimangono di vitale importanza.
In un gruppo chiuso e coeso le informazioni sono per definizione accessibili a tutti i membri, la rete sociale è densa e rigida => informazioni nuove
devono provenire da fuori attraverso i legami deboli con persone esterne al gruppo. Quando le persone scoprono una novità si consigliano con gli amici
per sapere se ne sono al corrente e solo dopo prendono l’iniziativa <= cfr, informazioni, marketing e pubblicità.
Non tutti gli studiosi di network analysis si riconoscono nella TSR o dello scambio, ma tutti condividono l’interesse per la connessione macro-micro e la
spiegazione dei fenomeni sociali a partire dal comportamento individuale.

4. James Coleman e i fondamenti della teoria sociale


È stato influenzata da:
- Lazarsfeld (ha lavorato con…)
- Lipst (ha lavorato per…)
- Merton (per essere come…).
Opera: “Fondamenti di teoria sociale”.
Mette in relazione lo sviluppo delle istituzioni e delle norme sociali con gli interessi individuali. Le relazioni micro-macro possono essere meglio
comprese partendo dalla TSR.

4.1. Coalizioni fiducia e norme


C. si è sempre interessato al modo in cui la combinazione di decisioni individuali produce effetti sociali imprevisti => le decisioni collettive (il voto in
assemblea parlamentare) possono essere spiegate in termini di massimizzazione dell’utilità individuale, poiché le persone cercano di ottenere il meglio
se scambiando il proprio controllo su alcune questioni con un maggiore controllo su altre.
Ha verificato le sue idee costruendo un gioco nel quale i partecipanti impersonavano i rappresentanti parlamentari di elettori interessati a problemi
diversi. I giocatori non sono coinvolti in decisioni da prendere una sola volta, ma messi in relazione di lungo periodo => sono tendenzialmente affidabili,
mantengono la parola se hanno promesso di votare in una determinata maniera => i giocatori che in un primo tempo tendono a rinnegare i patti

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scoprono che la loro reputazione di inaffidabilità è un handicap, cercano pertanto di acquistare un minimo di credibilità attraverso accordi per loro meno
favorevoli.
Fiducia e formazione delle norme di gruppo
L’analisi delle coalizioni politiche mostra come si sviluppa il comportamento cooperativo, anche se i giocatori perseguono i propri interessi => i giocatori
mantengono la parola, sono affidabili perché se non lo fossero, prima o poi imparerebbero che esserlo è nel loro interesse. È più probabile nel caso in cui
i rapporti e la dipendenza reciproca sono protratti nel tempo.
C. approfondisce gli effetti delle relazioni protratte nel tempo nei suoi studi sulla fiducia => rappresenta un elemento fondamentale dell’interazione
umana, perché consente ad entrambe le parti, chi la concede e chi la riceve, di compiere qualcosa che altrimenti non sarebbe possibile.
Caratteristiche dell’interazioni basate sulla fiducia:
- Se il beneficiario della fiducia è leale, il prestatore della fiducia si troverà in una situazione migliore di quella in cui si sarebbe trovato non
fidandosi; se il beneficiario è sleale il prestatore si troverà una situazione peggiore.
- Il rapporto di fiducia contiene sempre un ritardo temporale: la persona che si fida può aspettarsi di essere ricambiata solo in un futuro più o
meno lontano (esempio di acquisti per corrispondenza).
Tutte le parti coinvolte sono fortemente interessate a tenere in vita un rapporto di lungo periodo e tutti avrebbero molto da perdere se la loro
affidabilità venisse messa in discussione. La relazione «fiduciaria» è il risultato di rapporti costanti costruiti gradualmente nel tempo. L’individuo nella
maggioranza dei casi non si comporta come il famoso prigioniero dell’omonimo dilemma. Gran parte del comportamento umano segue regole
abbastanza semplici. La strategia dell’«occhio per occhio» è una strategia di grande successo per vincere giochi e creare gruppi sociali stabili e
cooperativi => nel primo incontro si coopera, poi ci si regola a seconda di quanto si è ricevuto in cambio: - se l’altro ha barato, bariamo anche noi, - se
invece ha cooperato, anche noi continuiamo cooperare. Analisi dei cosiddetti «bidoni»: un compratore casuale => l’effetto dei bidoni sul mercato è
quello di modificare il nostro comportamento: differenza cruciale fra relazioni occasionali e quelle di lungo periodo:
- le prime sono universalmente note come opportunità di raggiro
- le persone non si azzardano a truffare in relazioni in cui è in gioco la reputazione.
Il rispetto delle regole dipende dalle scelte razionali a disposizione dagli attori, da ciò che pensano di ottenere e sperano di guadagnarci. È importante il
modo in cui l’individuo percepisce il comportamento altrui.
Importanza degli «intermediari» che creano «sistemi di fiducia» = situazioni in cui siamo disposti a fidarci di qualcuno del quale sappiamo poco o nulla.
Nella vita moderna c’è una distribuzione asimmetrica della fiducia.
Molti studi di strategia militare utilizzano il concetto di credibilità che si riferisce a minacce che possono essere messe orribilmente in atto. È diventata
una categoria centrale anche per gli esperti di management che si occupano dei modi in cui nei processi di negoziazione i soggetti coinvolti rendono le
proprie offerte, intenzioni e azioni credibili per poi le controparti Lo studio della fiducia e del comportamento cooperativo consente di analizzare lo
sviluppo delle norme sociali nella prospettiva della TSR.
Le norme di gruppo emergono spontaneamente nel corso dell’interazione razionale tra i suoi membri (HOMANs: le norme emergono dall’amicizia e dal
bisogno di essere accettati).
Norme e diritti.
Interesse di C. per le norme sociali deriva dal suo interesse per il passaggio a livello macro a quello micro. Alla base delle norme troviamo i diritti => si
può avere il diritto di agire e il diritto di controllare l’azione di altri: - comprare qualcosa conferirà generalmente il diritto di farne uso
- chi vende l’oggetto baratta con qualcosa d’altro deve essere in grado di avere il diritto di farne ciò che vuole…
Alcuni diritti sono tutelati dalla legge. Quando non esiste alcuna tutela giuridica, la nozione di diritto può essere intesa in modi contrastanti
Un attore ha il diritto di compiere un’azione o di pretendere che altri la compiono quando tutti coloro che sono coinvolti nell’esercizio di quel diritto
accetta l’azione senza discutere => i diritti non esistono in senso assoluto, ma dipendono dal consenso, cioè esistono in quanto riconosciuti da altri
(esempio delle norme per i fumatori negli ambienti pubblici).
La qualità fondamentale di un diritto sta nella sua base sociale. I diritti sorgono, scompaiono e vengono trasferiti da un attore a un altro attraverso il
riconoscimento sociale. Il loro rispetto però dipende dal potere.
L’emergere delle norme è un prototipo della transizione dal micro al macro, perché il processo nasce da azioni individuali, ma la norma è una proprietà
del sistema. Il processo nasce tipicamente nel corso di ripetuti scambi diretti e indiretti. => Richiede alle persone di prestare attenzione a ciò che fanno
gli altri in modo da ricompensare chi si conforma e sanzionare devianti e free-riders = richiede un comportamento da «piccolo gruppo».

4.2. Il capitale sociale.

= gli aspetti della struttura sociale che facilitano gli individui nel perseguimento dei propri scopi.
Esempi: - mercato del Cairo con scambio di ruoli tra venditori
- mercanti di diamanti in grado di passarsi valige di pietre preziose per esaminarle
Casi in cui il capitale sociale è assente: tra tossicodipendenti che rubano nella propria stessa casa.
Il capitale sociale favorisce l’attività produttiva: un gruppo in cui l’affidabilità e la fiducia sono diffuse è in grado di realizzare molto di più di un gruppo
che ne è privo.
Due aspetti importanti:
- il grado di affidabilità (la quota di obblighi ripagati)
- la quantità di obblighi pendenti = «titoli di credito» a cui le persone possono attingere (famiglia mafiosa: gli obblighi sono ripagati, ma i titoli di
credito sono concentrati in una sola persona)

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C. sottolinea che un’importante riforma di capitale sociale è il potenziale di informazione contenuto delle relazioni sociali (reti sociali di Granovetter):
- Granovetter: pone l’accento sui vantaggi dei «legami deboli»
- Coleman: tende a evidenziare i loro aspetti negativi (le norme di solito emergono quando i legami tra le persone sono stretti, cioè in presenza
di reti sociali non frammentate).
Affinché vi sia un alto livello di capitale sociale, occorre che le norme sociali vengano fatte rispettare. Una norma generalizzata di reciprocità nella vita
sociale è la caratteristica di una società non frammentata con alti livelli di capitale sociale, e viene prodotta e rafforzata attraverso lo stesso processo di
una transizione dal micro-macro.
C. osserva con preoccupazione che nelle società moderne, caratterizzate da organizzazioni formali, mobilità geografica e scarsa visibilità di azioni
individuali, incontrano inevitabili difficoltà nel produrre e imporre norme sociali:
- indicare i comportamenti devianti e applicare ad essi adeguate sanzioni sono attività costose.
- educare i figli a “comportarsi bene” e a interiorizzare i valori è un compito gravoso. Norme e valori si sviluppano lentamente e solo in sistemi
sociali stabili. L’imposizione di sanzioni esterne è soggetta al problema di free-riding: se nessuno verrà a sapere che non hai fatto nulla per impedire un
atto di vandalismo e non subirai alcun effetto negativo diretto e immediato per aver chiuso un occhio, perché esporti?
Per lo stesso motivo nel lavoro di socializzazione è irrazionale aspettarsi da operatori stipendiati un impegno paragonabile a quello dei genitori… ≈
Pessimismo di DURKHEIM.
la famiglia ha perduto il ruolo di istituzione centrale nella società: le famiglie riescono molto meglio di qualsiasi altra situazione a far sì che ciascuno
dia il proprio contributo a contrastare i comportamenti di free-riding e a socializzare i bambini attraverso l’efficacia interiorizzazione delle norme.
Persone naturali e attori collettivi.
DURKHEIM: distinzione fra - solidarietà meccanica => società primitive - solidarietà organica => società avanzate.
COLEMAN: dicotomia tra
- società in cui l’ambiente fisico e sociale sono entrambi naturali => gli attori sono sempre persone naturali
- società in cui entrambi sono costruiti (le società moderne): apparizione di nuovi protagonisti => attori collettivi (esempio: imprese, enti
pubblici, tribunali)
In passato l’interazione avvenivano solo tra individui, cioè tra persone naturali. Oggi esistono nuovi e importanti tipi di interazione:
- tra persone e attori collettivi
- tra diversi attori collettivi.
Gli ambienti costruiti implicano una separazione di attività che un tempo erano interconnesse all’interno della famiglia. I compiti di cura e assistenza
vengono assunti in misura crescente da attori collettivi. I «gruppi di affinità costruiti intenzionalmente» (= gli amici) non hanno più bisogno di essere
geograficamente vicini, la comunicazione può mantenersi anche a lunga distanza. I cambiamenti della struttura sociale hanno effetti rilevanti sulla
coesione dei gruppi, soprattutto per quanto riguarda i bambini.
I bambini e i giovani hanno bisogno di attenzione e contatti intensi che li sostengano, ma nello stesso tempo li contengano. Un rapporto stretto con i
genitori crea capitale sociale per il bambino, altrettanto fanno le relazioni sociali più estese, purché diano vita a un solido complesso di legami => occorre
una relazione anche fra gli adulti che si prendono cura del bambino, in modo che possono scambiarsi informazioni e rinforzare o limitare a vicenda i
propri comportamenti. Per una buona socializzazione dei bambini in sostanza sono necessarie reti sociali dense e legami forti.
Tale sistema di relazioni è parte di una struttura sociale primordiale che ha nella famiglia la sua pietra angolare.

Scaricato da Alessandro Riccardi (aleric34@gmail.com)

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