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PREMESSA
Per la sociologia, disciplina che studia le trasformazioni del mondo umano, i media
costituiscono da sempre un oggetto problematico e denso di con itti poiché spesso
si diffondono voci negative sulle logiche e sulle strategie della comunicazione.
Eppure la società non esisterebbe senza i media, a partire dall’uso comunicativo
del corpo umano per arrivare ai salti antropologici della parola e del segno, costrutti
arti ciali che hanno permesso alla specie di civilizzarsi e di sopravvivere alle
cruente competizioni dell’evoluzione.
Il primo corollario importante che il libro “Il mondo dei media” riporta è che è
impossibile non comunicare: la condizione umana è dunque possibile in una
dimensione PLURALE, e dunque RAZIONALE: la razionalità serve infatti ad
appropriarsi e decodi care principi/coordinate socialmente condivise. Il lone di
pensiero che si muove da Socrate a Platone, passando per la de nizione
Aristotelica dell’uomo inteso come animale politico getta le fondamenta della nostra
cultura. Agiamo (e ci chiediamo come agire) per esaudire il nostro costante
desiderio di esternare.
I media non devono essere intesi solamente come strumenti funzionali alla
propagazione di un messaggio poiché comprendono tutte le modalità che
adoperiamo per dare un senso alla nostra esistenza. In questa scia, ha una
importante rilevanza il lavoro di BERGER e LUCKMANN “La realtà come
costruzione sociale” in cui si afferma che la realtà - o meglio, i vari piani di realtà-
non trovano fondamento in se stessi, ma solo su ineludibili processi di
negoziazione collettiva.
Da qui si coglie l’importanza della MEDIOLOGIA, che non solo si occupa di
indagare i congegni, i device utili a nalizzare gli scambi e le rappresentazioni, ma
tende a rivelare la natura di questi due termini, con la consapevolezza che per
comprendere cosa si comunica dobbiamo innanzitutto tentare di comprendere chi è
che comunica, e in quale contesto.
DIFFERENZA SCAMBIO E RAPPRESENTAZIONE
Nella nozione di scambio si cela la componente primordiale della comunicazione,
quella che rimanda a una socializzazione che riesce a preesistere agli artefatti.
Diversamente, rappresentare è creare l’opportunità di ostentare di nuovo, dunque
di riaffermare una manifestazione già compiuta e di cui si sono memorizzate le
fattezze. La rappresentazione, presuppone, oltre all’esistenza dell’altro, anche della
conoscenza, reale o presunta, di ciò che viene ripresentato. La rappresentazione
sopravvive all’attimo, al qui e ora.
E’ importante sottolineare che scambi e rappresentazioni sono altamente
compatibili e che coesistono pienamente all’interno del panorama mediatico.
Potremmo, anzi, affermare che in generale comunichiamo essenzialmente tramite
SCAMBI DI RAPPRESENTAZIONI.
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DIFFERENZA ORALITA’ E SCRITTURA
L’oralità è prima di tutto uno scambio e avviene già nel momento in cui si viene al
mondo.
La scrittura non può che essere concepita come attività di rappresentazione, grazie
alla sua fissità.
Si parla di invenzione del segno quando, durante la fase storica del PALEOLITICO
SUPERIORE, alcuni uomini decorarono le pareti delle caverne di LASCAUX ,
località nella Francia sud-occidentale, con una serie di pitture raffiguranti scene di
caccia. Qui è dove l’intreccio fra comunicazione e tecnica trova il suo momento
fondativo vero e proprio, attuando un primo tentativo compiuto di “simbolizzazione
dello spazio antropico” mediante la riproduzione segnica del vissuto.
Possiamo quindi affermare che alla nascita dell’arte corrisponde la nascita
dell’uomo, poiché grazie a quest’ultima l’uomo riesce a esternare la sua visione
della realtà, la prova del suo esserci. Il segno è il punto di incontro fra astrazione e
materia, pensiero e immagine.
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Miti e riti si fondano sui meccanismi di INNOVATIO E REPENTINO
(innovazio e repetizio)
IL LOISIR
Si creano quindi nuovi momenti della giornata che servono per coltivare il proprio
immaginario, ed è qui che entra in gioco l’industria culturale. Tutto ciò che
appartiene alla sfera dell’intrattenimento appartiene al Loisir, lo svago. Questo
nuovo tempo libero si carica di contenuti diversi rispetto a quelli del lavoro, della
famiglia e della festa tradizionale. Ciascun membro della famiglia acquisisce una
propria autonomia. La personalità negata nel lavoro cerca di trovare riscatto in
ambiti meno sterili, come in lavori occasionali, in hobby e passioni o anche in
manie collezionistiche per cercare di sopprimere il bisogno insostenibile di fare
qualcosa per se stessi. Ma soprattutto, il loisir apre gli orizzonti del benessere, dei
consumi e di una nuova vita privata. La cultura del loisir tende ad assumere la
forma di un grande gioco-spettacolo in quanto il gioco ha il suo ne soltanto nel
piacere che si prova. Questa tendenza si esprime in modo particolare nelle
vacanze moderne, che rappresentano il tempo autenticamente vissuto, in rapporto
al tempo paralizzante dell’anno lavorativo. La complessità del loisir moderno
appare chiaramente nei villaggi vacanze che riescono a creare una società
contemporanea basata interamente sul gioco-spettacolo, in cui si intrecciano, in
modo più intenso rispetto alla vita quotidiana, relazioni, irt, amicizie e amori: una
vita fatta a immagine dello stile cinematogra co delle vacanze condotte dai
cosiddetti divi a Miami. Prende così forma quello che Raymond de nisce un’utopia
concreta, intendendo l’oscura nalità a cui tende la cultura del loisir: la vita dei
moderni divi.
Nel 700, con l’avvento della distinzione tra tempo lavorativo e tempo libero,
aumenta la fruizione delle opere letterarie, diventando un vero e proprio consumo
che coinvolge un pubblico nuovo e diverso (le classi lavoratrici). Le opere letterarie
industriali rappresentano la sintesi tra esigenze di informazioni sulla
contemporaneità e modalità di rappresentazione attualizzata del mito, unica forma
narrativa capace di istituire un ordine al mondo umano. Ne sono prova i romanzi
popolari dei “tre moschettieri” e di “Tarzan” accomunati da elementi mitologici e che
tutt’oggi riscontrano un elevato successo (innovatio e repetitio). Hegel parla, per
queste ragioni, di “MORTE DELL’ARTE” in riferimento alla stagione del
romanticismo europeo, affermando come soltanto l’arte classica avesse raggiunto
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l’unione assoluta tra forma e contenuto. Infatti la finalità dell’arte romantica non è
più rivolta al bello come universo armonico. Il personaggio che meglio rappresenta
questa stagione della cultura occidentale è Frankenstein, scienziato aristocratico e
blasfemo, che ritroviamo nel romanzo di Mary Shelley. La creatura idealizzata dalla
scrittrice ribalta l’hegeliana morte dell’arte in un “arte della morte”, che evidenzia i
sentimenti del tormento, e della morte tipici dell’età moderna.
La cultura di massa non equivale alla definizione di cultura popolare, in
contrapposizione alla cultura d’élite. Essa è invece la cultura nell’età delle masse, e
comprende sia le forme alte e avanzate, sia le forme basse e volgarizzate. Morin
riassume l’idea di industria culturale in una metafora illuminante, quella del sistema
nervoso costituito dai media di massa, che collegano le funzioni dei sensi al di là
del tempo e dello spazio producendo una seconda industrializzazione: quella che si
rivolge alle immagini e ai sogni.
WALTER ONG differenzia i linguaggi utilizzati nelle culture orali dai linguaggi
utilizzati nelle culture scritte, constatando come ad oggi, per noi letterati, sia difficile
immaginare una cultura in cui le parole non abbiano presenza visiva. Una cultura
orale deve infatti investire tantissime energie nel ripetere più e più volte ciò che è
stato appreso nel corso dei secoli. Avendo la possibilità di conservare la
conoscenza mediante la scrittura, dunque al di fuori della mente, la cultura si apre a
rivoluzioni cognitive.
Il lavoro di Ong forse non sarebbe mai esistito senza una delle più importanti opere
della mediologia: “ LA GALASSIA GUTENBERG. NASCITA DELL’UOMO
TIPOGRAFICO “ di Marshall McLuhan, un testo che mette in parallelo la storia dei
media e l’evoluzione della cultura umana, soffermandosi in particolare,
sull’influenza che l’alfabeto fonetico e la stampa ebbero nello sviluppo della civiltà
occidentale.
McLuhan si interroga sul rapporto che intercorre tra uomo e media, identificando
questi ultimi come estensioni del corpo umano (il noto concetto di protesi
simboliche). Ciò nonostante, è doveroso affermare che McLuhan non va collocato
nel campo del determinismo tecnologico (che vede il rapporto tra tecnologia e
società come un processo unidirezionale), poiché non vuole comprendere tanto
cosa facciano i media alle persone, quanto piuttosto cosa facciano le persone ai
media.
Grazie all’invenzione della stampa si ha una profonda trasformazione anche per ciò
che riguarda la letteratura. Tra il 19’ secolo e il 20’ secolo, in ambito letterario si
afferma l’età del FEITON (romanzo popolare d’appendice) , una forma di testo
seriale che tratta di fenomeni sociali d’attualità che si consolida nella maggior parte
dei quotidiani europei. E’ giusto specificare che il termine popolare, in questo caso,
non ha nessuna accezione negativa: per popolare si intende un genere aperto a
tutti, su temi di vastissimo interesse. La stagione del Feiton è quella delle rivoluzioni
borghesi di metà 800 , il cui elemento ICONICO è il SUPERUOMO: una figura
nobile e eroica (come possiamo riscontrare nel protagonista del celebre romanzo Il
conte di Montecristo) . Le trame del Feiton confermano lo schema archetipico del
mito, forma narrativa per eccellenza capace di dare ordine e senso al mondo che ci
circonda. Tali romanzi ebbero una tale rilevanza sociale, al punto che alcuni
studiosi rintracciano la loro influenza sui primi movimenti socialisti che culminarono
nei moti del 48’. In contemporanea al feiton, negli Stati Uniti si sviluppano i DIME
NOVELS, romanzi economici realizzati per un consumo di massa con l’obiettivo di
stupire i lettori: nelle storie si potevano intravedere i traumi del mondo moderno.
Gli scrittori potevano scrivere in maniera rapida questi racconti, poiché in un certo
senso, essi erano già scritti: i canoni di questa narrativa esistevano già da migliaia
di anni ed erano disponibili per essere riutilizzati per un nuovo pubblico, da poco
alfabetizzato.
Negli ultimi anni abbiamo assistito alla crisi del settore dell’editoria quotidiana e alla
contaminazione digitale avvenuta sul giornalismo e sulla produzione di notizie. Ma
non è soltanto il settore editoriale ad essere in crisi, altri settori, tra cui la
produzione cinematografica e musicale, hanno riscontrato difficoltà nell’adeguare le
proprie tecniche produttive alle nuove strategie di business nell’era digitale. Da
parte dell’industria dell’informazione, la risposta è stata quella di attuare un
approccio multi-piattaforma. Tra i vantaggi di tale approccio c’è la possibilità di
monitorare, analizzare e soddisfare i gusti e gli interessi dei fruitori. Soprattutto
negli ultimi anni, gli editori stanno cercando di attuare soluzioni di compromesso tra
le esigenze del pubblico e la ricompensa monetaria dei contenuti online. Quasi tutti
stanno adottando delle soluzioni basate sul paywall. In sostanza, il paywall funge
da barriera tra l’utente e i contenuti online di un giornale. Per accedere ai contenuti
al di là del paywall, l’utente deve pagare. In quest’ottica, il paywall viene visto come
una mossa disperata da parte del mondo dell’editoria per sopravvivere al
mutamente in atto. Tuttavia, ci ricorderebbe Tocqueville, che anche se i giornali
fossero destinati al fallimento economico, il giornalismo resterebbe un ingranaggio
imprescindibile per il funzionamento della macchina democratica.
ILLUSTRAZIONE, MANIFESTO E FUMETTO
ILLUSTRAZIONE POPOLARE
IL FUMETTO
Gli storici tendono a collocare la nascita del cinema nel 1895, anno in cui i fratelli
Lumière brevettarono il cinematografo, un dispositivo che costituiva il definitivo
miglioramento di una lunga serie di precedenti invenzioni finalizzate alla
riproduzione fotografica del movimento. In realtà la genesi del cinema affonda le
radici molto più indietro nel tempo: già il Rinascimento vide l’affermarsi della
camera oscura come mezzo spettacolare o di gioco, per animare la vita di corte.
La camera oscura, uno dei primi dispositivi ottici di cui siamo a conoscenza,
consiste in un ambiente chiuso e senza luce, alla cui estremità è praticato un
piccolo foro. La luce esterna penetra da questo e proietta sulla parete opposta
l’immagine di ciò che sta al di fuori della camera, sia pure rovesciata o scarsamente
definita. La tecnica fotografica, messa a punto alcuni secoli più avanti, si basa
sull’applicazione di questo principio. Nel corso del XVII secolo, il gesuita Kircher
perfezionò la camera oscura, definendo la “lanterna magica”: un dispositivo in
grado di proiettare immagini all’esterno, su uno schermo, attraverso lastre di vetro
dipinte. Questa e tante altre invenzioni, anticiparono la creazione del cinematografo
dei fratelli Lumière.
CINEMATOGRAFO E CINEMA
Per arrivare alla forma che conosciamo oggi, la cinematografia passa attraverso il
lavoro di Maibridg e Maré, che grazie a determinati dispositivi riuscirono a
scomporre in singoli fotogrammi la durata del movimento. Sulla base di tali
ricerche, gli sperimentatori dell’800 si cimentarono nella riproduzione delle
immagini in movimento, come era già stato possibile per il suono. Il primo a fornire
una risposta fu Edison, che intuì la necessità di un supporto flessibile su cui fissare
le immagini, la pellicola. Edison allestì, in appositi locali, degli apparecchi concepiti
per mostrare brevi film ad un solo spettatore per volta. Questa strategia del
consumo individuale appariva logica a un imprenditore tipicamente industriale che
puntava a massimizzare i profitti attraverso la produzione di un gran numero di
macchinari. Egli non comprendeva come la fruizione collettiva dell’immagine
fotografica in movimento avrebbe potuto garantire, attraverso il controllo della
distribuzione in sala, un coinvolgimento assai più ampio del pubblico, e quindi,
superiori guadagni. Un solo anno più tardi i fratelli Lumière organizzarono la prima
proiezione pubblica a Parigi e ciò suscitò nel pubblico reazioni estremamente
favorevoli, al punto che si dovettero organizzare nuovi punti di proiezione. Anche il
cinematografo si basava su soluzioni tecniche già adottate da altri, ma esso
consentiva di sincronizzare perfettamente lo scorrimento della pellicola con
l’apertura dell’otturatore dell’obiettivo, ottenendo quindi la stabilità e la nitidezza
dell’immagine. Per comprendere l’importanza che tale dispositivo ebbe nella
società industriale, occorre ricordare la distinzione di Edgar Morin tra cinematografo
e cinema. Per il sociologo francese, il cinematografo è un’opzione tecnologica, un
attrezzo che consente di riprodurre immagini al fine di giungere ad un realismo
integrale, il cinema è invece un medium socialmente condiviso in continua
innovazione per soddisfare le esigenze del pubblico.
Per comprendere al meglio questo concetto possiamo inoltre ricordare la
definizione del professore Brancato che vede il cinema come un medium concepito
su scala modernamente industriale e su cui si depositano investimenti passionali
dai caratteri inediti (Brancato).
LO SPETTATORE
Nel cinema è centrale il ruolo dello spettatore, che viene sollecitato e posto in una
condizione tale da richiamare alla mente l’esperienza del sogno tramite il buio della
sala, l’apparente isolamento, la luminescenza dello schermo, le proporzioni
gigantesche assunte dagli attori e tutte le innovazioni tecnologiche che
progressivamente rendono il medium sempre più immersivo. Lo spettatore diventa
una regia che ne consacra i successi e ne decreta i fallimenti. Il problema dei
grandi produttori cinematografici sarà sempre quello di attrezzarsi per cogliere in
tempo le oscillazioni del gusto, facendo diventare il cinema un mezzo di
comunicazione in continua evoluzione.
Nella seconda metà degli anni 40’, la sociologia si era limitata a ritenere il cinema
come un campo di indagine omologabile ad altri. Tuttavia, la sinergia tra l’approccio
sociologico e quello storiografico, ha portato a considerare il cinema come un
osservatorio delle dinamiche sociali, in una prospettiva che rende il film una sorta di
reperto socioantropologico per la comprensione del dato storico. Dal punto di vista
della sociologia delle comunicazioni di massa, è inoltre utile indagare sulle capacità
del pubblico di influenzare i flussi di produzione e consumo.
IL MONTAGGIO
Si parla di montaggio cinematografico a partire da Melies (Meliè), le cui
sperimentazioni visive, volte a suscitare stupore, producono il transito da un’unica
inquadratura (dunque uno spazio-tempo limitato) a un’inquadratura molteplice
caratterizzata da differenti ambiti spazio temporali. Un altre grande contribuito lo
diede Porter, il quale escogitò un montaggio parallelo, in cui la macchina da presa
segue il progredire di più eventi, ricostruendoli in maniera alternativa sullo schermo.
L’obiettivo è coinvolgere il pubblico all’interno di una architettura narrativa
complessa. In quest’ottica si evince una forte differenza tra cinema americano e
cinema sovietico: il primo privilegia l’uso enfatico del primo piano, il secondo
sottolinea l’importanza del dettaglio che assume forte valenza simbolica.
L’esperienza percettiva del cinema muta negli anni 20 e 30 con l’introduzione del
sonoro: il cinema che precede questa innovazione viene definito muto.
IL SONORO
Gli storici individuano in “The jazz Sing(h)er” il primo film sonoro, e quindi il 1927
come l’anno di questo salto tecnologico che trasforma profondamente l’attività dello
spettatore cinematografico. La risposta del pubblico a questa implementazione
tecnologica fu di grande adesione, poiché il sonoro stimolando più sensi
contemporaneamente ampliava il desiderio di consumo. Anche i generi subiscono
una profonda trasformazione grazie ai nuovi repertori sonori: ad esempio,
l’immaginario criminale viene animato da suoni delle sirene della polizia, dagli spari
e dalle urla di dolore.
Fin dalle origini il cinema aveva lasciato intravedere il modello industriale che si
celava dietro le grandi aspirazioni artistiche. A Hollywood si crearono le condizioni
affinché tale natura si palesasse in modo compiuto: anche il lavoro intellettuale
venne regolamentato dalle dinamiche della produzione, l’autore veniva
assoggettato alle logiche della merce. Per trasformare un’idea nel prodotto finito, le
major hollywoodiane allestirono una catena di montaggio che prevedeva almeno 68
dipartimenti altamente specializzati. L’organizzazione sempre più industriale del
cinema consentì l’espansione del prodotto “made in Hollywood” in ogni parte del
mondo, in modo estremamente commerciale rispetto alle cinematografie nazionali,
anche se, per quanto riguarda il caso italiano, occorrerà aspettare almeno fino agli
anni 70’ per assistere al definitivo e stabile superamento del cinema italiano da
parte di quello d’oltreoceano (Brancato). Senza inventare nulla di nuovo, ma
organizzando al meglio quanto esisteva, gli imprenditori di Hollywood misero a
punto un insieme di apparati produttivi basati su tre coordinate essenziali:lo studio-
system, lo star-system e il sistema dei generi.
-Lo studio-system applicava il sistema industriale per ottimizzare le risorse
disponibili.
- Lo star-system utilizzava le star, i nuovi volti dei film, come promozione
dell’attività industriale
- Il sistema dei generi seguiva il criterio di specializzazione del lavoro. Alcuni ruoli
acquisivano sempre più importanza nella produzione dei film, a partire dai tecnici
degli effetti speciali fino agli addetti al make up.
CINEMA E TELEVISIONE
ELETTRICITA’ E ISTANTANEITA’
Nel quadro della lenta ripresa economica seguita alla fine dei due conflitti mondiali,
ci fu una fase evolutiva dell’elettronica dovuta all’introduzione dei TRANSISTOR. Si
tratta di un componente elettrico più pratico e piccolo di una valvola che accelera i
processi di diffusione delle tecnologie culturali, soprattutto grazie alla loro
miniaturizzazione. La prima radio con tali caratteristiche venne introdotta nel
mercato americano con dimensioni e costi molto ridotti; a ciò si aggiunse il sistema
di alimentazione a batteria che rese il mezzo di comunicazione portatile. I transistor
sono diventati parte integrante della quotidianità umana: li ritroviamo nelle case,
nelle macchine e nei margini del corpo di chi li porta con sè. Le protesi tecnologiche
di cui parlava McLuhan assumono grazie ai transistor contorni sempre più nitidi.
LA TELEVISIONE IN ITALIA
Gli anni 50’ vedono l’ingresso della televisione nel sistema dei media in Italia, quindi
con ritardo rispetto ai paesi anglosassoni. Il nuovo medium risponde inizialmente a
esigenze politiche, il cui scopo è quello di controllarne il flusso. Tuttavia, i palinsesti
europei, strutturati dall’alto e gestiti dai monopoli statali, riducono la capacità della
tv di riferirsi ad un flusso unico, conservando lo scopo principale di educare,
informare e intrattenere. Ne sono un esempio i programmi televisivi del “Carosello”
o “Lascia o raddoppia?” condotto da Mike Buongiorno. Fra gli anni 70’ e 80’
l’introduzione delle serie tv proietta il medium televisivo verso il modello generalista
(la rete televisiva organizza i suoi palinsesti, i suoi contenuti e i suoi linguaggi per
cercare di rivolgersi a un pubblico il più possibile composito, senza distinzioni di
sesso, età o di livelli socio-culturali). Questo nuovo modello viene definito da
Umberto Eco “Neotelevisione”.
La tecnologia della radio, giunta nel periodo del suo massimo grado di portabilità, si
trova a implementare un dispositivo che la connette ad una nuova concezione di
istantaneità: il GPS. Anche la televisione sfrutta i nuovi principi della
digitalizzazione. In Italia, a partire dagli anni 80, entra in vigore il duopolio Rai-
Mediaset che sfrutta la pratica dello ZAPPING: la moltiplicazione dei canali grazie
alle trasmissioni via satellite. E’ l’alba della Post-televisione, caratterizzata
dall’interattività e dal protagonismo dello spettatore. Nel frattempo l’affermazione
del World Wide Web nei primi anni 90’, ha reso la rete il nuovo orizzonte di tutto: il
passe-partout con il quale leggere e interpretare il mondo. La narrazione della
società è ora immersa completamente nello cyberspazio.
La storia della specie umana si fonda sull’ininterrotta relazione con l’esosfera nel
tentativo di sopravvivere estendendo il portato delle nostre capacità. Come
sostiene Pierre Lèvy, è un lungo processo di ominazione che ha portato l’uomo a
distaccarsi dallo stato di natura, in sé bestiale, per approdare allo condizione di
essere pensante e civilizzato. (McLuhan ecc)…In quest’ottica l’interattività digitale è
il frutto del rapporto tra uomo e tecnologia, semplificato dall’utilizzo di interfacce che
utilizzano supporti grafici come estensioni dei sensi umani. Per esempio il mouse
diventa estensione della mano sullo schermo, all’interno dello spazio digitale
simulato dal desktop: la scrivania digitale.
LA PARABOLA DELL’OROLOGIO
La sezione più in vista dell’industria dei videogiochi, quella formata dagli studios
che investono per le macchine da gioco domestiche, è comunemente nota come
Tripla-A. L’importanza di una tecnologia in costante miglioramento per la qualità dei
videogiochi, come l’obiettivo del fotorealismo, è attentamente coltivata da questa
industria. Nel corso degli anni Duemila, parallelamente all’industria della Tripla-A,
emerge la scena indie, caratterizzata da individui o piccoli team di sviluppatori che
realizzano progetti di nicchia. Gli sviluppatori di giochi indipendenti possono
operare liberamente in termini di creatività e innovazione, non essendo vincolati
dall’obbligo di rientro di investimenti milionari. Grazie ai loro costi di gestione più
bassi, la crescita degli studi indie ha creato nuovi generi e stili, resuscitando anche
alcune dinamiche dei giochi delle origini e percorrendo una strada completamente
diversa rispetto a quella del continuo aggiornamento hardware degli editori Tripla-A.
Se con la scena indie si ha una legittimazione dei videogiochi, ormai accettati come
qualcosa di più di un mero prodotto di intrattenimento, con l’affermazione dei
CASUAL GAME si ha invece una normalizzazione sociale dei videogiochi. Il casual
game (traducibile come gioco occasionale) è un tipo di videogioco caratterizzato da
un regolamento molto semplice e dal minor impegno richiesto per il suo utilizzo. In
questo modo i casual game riescono a introdursi nella pratica quotidiana di chi non
ha mai giocato ad alcun videogame. Queste continue innovazioni e il pubblico
sempre più ampio ed eterogeneo, rendono il medium del videogioco, oggetto di
ricerca e apprendimento.
I SOCIAL MEDIA NELLA SOCIETA’ DELLE RETI