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“LA CRISI DELLA MODERNITÀ” DAVID HARVEY

PARTE I IL PASSAGGIO DALLA MODERNITÀ ALLA POSTMODERNITÀ NELLA CULTURA CONTEMPORANEA

INTRODUZIONE

Fotografie di Cindy Sherman: tante foto ma il soggetto è lo stesso ed


«DECIDETE CHI SIETE E LA è l’artista stessa. Paradigma della malleabilità della personalità
CITTÀ ASSUMERÀ UNA umana a cui accennava Rabane. Nella città puoi scegliere chi essere.
FORMA FISSA INTORNO A
Il concetto di postmoderno è emerso principalmente da Parigi e New
VOI. […] LE GRANDI CITTÀ
York
SONO PER LORO NATURA
PLASTICHE. NOI LE MODERNISMO termine confuso. Comunemente identificato con la
MODELLIAMO A NOSTRA fede nel progresso, nelle verità assolute, nella pianificazione
IMMAGINE; ESSE A LORO razionale e nella standardizzazione di conoscenza e produzione.
VOLTA CI FOGGIANO […]».
POSTMODERNISMO  reazione, allontanamento dal modernismo;
In “Soft city” J. Raban predilige la frammentazione, l’indeterminatezza, la sfiducia in tutti i
mostra un’immagine della linguaggi universali o totalizzanti, l’eterogeneità e la differenza. Col
città come “enciclopedia” o postmodernismo si ha un ampio e profondo cambiamento nella
“emporio di stili”, come un struttura del sentire. Potrebbe essere definito come pastiche
teatro, come un labirinto. irriverente, deliberatamente superficiale, che incrina la solennità
La città è un posto troppo metafisica con un'estetica brutale dello squallore e dello shock.
complicato per poter mai
essere disciplinato, è il In politica, antropologia e nell’etica l'accento si sposta sulla
luogo dove realtà ed preoccupazione per la validità dell’altro
immaginazione devono
fondersi. È anche un luogo
dove si è relativamente MODERNITÀ E MODERNISMO
liberi di agire a piacimento e
diventare ciò che si vuole. «LA MODERNITÀ È IL TRANSITORIO, IL FUGGITIVO, IL CONTINGENTE,
L’identità personale è così LA METÀ DELL’ARTE, DI CUI L’ALTRA METÀ È L’ETERNO E
resa malleabile, fluida, L’IMMUTABILE»
aperta all’esercizio della
La storia del modernismo ha sempre oscillato tra questi due estremi:
volontà e
l’effimero e fuggevole e l’eterno e immutabile. Questo spiega alcune
dell’immaginazione.
delle sue correnti artistiche così straordinariamente diverse.
Nelle città però è anche
LA MODERNITÀ È UNA FORMA DELL’ESPERIENZA VITALE. ESSERE
facile smarrirsi. Alla base di
MODERNI SIGNIFICA TROVARSI IN UN AMBIENTE CHE CI PROMETTE
tutto c’è la minaccia di una
AVVENTURA, POTERE, GIOIA, CRESCITA, TRASFORMAZIONE DI NOI
violenza inspiegabile,
STESSI E DEL MONDO; E CHE AL CONTEMPO, MINACCIA DI
legata all’onnipresente
DISTRUGGERE TUTTO CIÒ CHE ABBIAMO, CONOSCIAMO, SIAMO.
tendenza della società a
dissolversi nel caos totale. GLI AMBIENTI E LE ESPERIENZE MODERNE SUPERANO TUTTI I CONFINI
Quando il sistema di ETNICI E GEOGRAFICI […] IN TAL SENSO SI PUÒ DAVVERO DIRE CHE LA
segnali, stili, sistemi di MODERNITÀ ACCOMUNA TUTTO IL GENERE UMANO. SI TRATTA
comunicazione viene meno, COMUNQUE DI UN’UNITÀ NELLA SEPARATEZZA, CHE CI CATAPULTA
prevale la violenza. La città IN UN VORTICE DI DISGREGAZIONE E RINNOVAMENTO PERPETUI
è malleabile. Ma le stesse
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qualità plastiche che danno
alla città di liberare
La maggioranza degli scrittori modernisti ha riconosciuto che l’unica cosa certa della modernità è la
sua incertezza

Conseguenze:

1. la modernità non rispetta neppure il suo stesso passato;


2. se la storia ha un significato, esso deve essere scoperto e definito all’interno del vortice del
cambiamento;
 essa comporta una drammatica rottura con le condizioni storiche precedenti, ma è
caratterizzata anche da un infinito processo interno di rotture e frammentazioni che
rende complesso il tentativo do scoprire l'immutabile in un contesto in continuo
ricambio

Habermas: Il progetto della modernità emerse nel XVIII sec.  sforzo intellettuale da parte degli
illuministi al fine di “sviluppare una scienza obiettiva, una morale e un diritto universali e un’arte
autonoma”.

Scopo: progresso umano per emanciparsi e raggiungere il benessere economico quotidiano.

Progetto: liberarsi delle certezze antiche per liberarsi della parte irrazionale e mistica, trovare nuove
certezze nella religione (DEMIFISTICAZIONE E DESACRALIZZAZIONE)

 Il pensiero illuministico abbracciava l’idea di progresso, vedeva con favore il vortice del
cambiamento e considerava il fuggevole, l’effimero ed il frammentario condizioni
necessarie per portare a termine il progetto di modernizzazione. IL CAMBIAMENTO ERA
ACCETTATO IN QUANTO CONDIZIONE NECESSARIA PER IL PROGRESSO VERSO
L’OBIETTIVO, CIOE’ L’OBIETTIVITA’, l’immutabilità.

Il XX sec. ha certamente dissolto quell’ottimismo.

Horkheimer e Adorno, Dialettica dell’Illuminismo: logica razionalistica destinata a ritorcersi contro se


stessa, trasformandosi in logica di dominio e oppressione.

IL POSTMODERNISMO PROPONE L'ABBANDONO DEL PROGETTO ILLUMINISTICO IN NOME


DELL'EMANCIPAZIONE UMANA

Problemi dell'illuminismo:

1. Quali erano i suoi obiettivi?


2. Chi può rivendicare la superiorità della ragione?
3. A che condizioni la ragione può essere esercitata sotto forma di potere?
 Bacone, precursore dell’Illuminismo, immaginava una casa abitata da saggi guardiani
della conoscenza in quanto oggettivi  saggezza elitaria ma collettiva
 Sostenitori dell'individualismo sfrenato dei grandi pensatori e benefattori dell’umanità.
 Sostenitori dell’esistenza di un piano teleologico (forse persino divino) oppure di un
qualche meccanismo sociale (ad es. la famosa mano di Adam Smith).
 Marx cercava di d i m o s t r a r e l a p o s s i b i l i t à d i e m a n c i p a z i o n e u m a n a
universale dalla logica classista
 Weber sosteneva che le speranze e le aspettative degli illuministi erano un’amara ed
ironica illusione  non porta alla vera libertà ma alla gabbia della razionalità burocratica
 Nietzsche diceva che il moderno non era altro che un’energia vitale, la volontà di vita e
di potenza che si muoveva in un mare di disordine, anarchia, distruzione, alienazione
individuale e disperazione, ma mascherata dalle sembianze della razionalità (sostanza
umana = dionisiaco). L’unica via per l’affermazione di sé consisteva nell’azione, nella

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manifestazione di volontà in questo vortice di creazione distruttiva e distruzione
creativa, anche se il risultato era destinato ad essere tragico.
Distruzione creativa  è una sorta di ricostruzione; come si poteva creare un mondo
nuovo senza distruggere molte delle cose del passato? L’archetipo letterario di tale
dilemma è il “Faust” di Goethe: eroe epico pronto a distruggere miti religiosi, valori
tradizionali e modi di vita consueti per costruire un nuovo mondo sulle ceneri del
vecchio.

Vediamo l’opposizione tra effimero ed eterno in modo diverso: se il modernista deve distruggere per
creare, l’unico modo per rappresentare le verità eterne consiste in un processo di distruzione che sia in
grado di distruggere quelle stesse verità. Eppure se lottiamo per l’eterno e l’immutabile, siamo
costretti a cercare di lasciare la nostra impronta sul caotico, l’effimero, il frammentario.

Se la distruzione creativa era una condizione essenziale della modernità, allora l’artista aveva un ruolo
eroico da svolgere come individuo. L’artista non deve semplicemente comprendere lo spirito del suo
tempo, ma deve anche dare inizio al cambiamento di tale spirito.

IL MODERNISMO NASCE A PARIGI NEL 1848.


L’artista, secondo Baudelaire, è colui che sa concentrare la propria visione sui soggetti ordinari della
vita urbana, sa comprendere le loro qualità effimere e riesce ad estrarre da questi momenti
fuggevoli tutte le suggestioni di eternità che essi contengono. L’artista moderno capace era colui che
riusciva a trovare l’universale e l’eterno dalle forme effimere e fuggevoli della bellezza di ogni giorno.

A . Il linguaggio dell'arte:

Fin dall’inizio il modernismo si preoccupò del linguaggio, dell’identificazione di qualche modo speciale
per rappresentare le verità eterne. Il successo individuale dipendeva dall’innovazione del linguaggio e
dei modi di rappresentazione, col risultato che l’opera modernista spesso rivela deliberatamente che
la propria realtà è una costruzione o un artificio, e trasforma così l’arte in un una costruzione
autoreferenziale anziché in uno specchio della società.

Il modernismo poteva parlare all’eterno solo congelando il tempo e tutte le sue qualità effimere.
Il ricorso a tecniche di montaggio/collage era un mezzo per affrontare il problema: si poteva creare un
effetto simultaneo sovrapponendo effetti diversi di diversi tempi (vecchio quotidiani) e spazi (l’uso di
oggetti comuni). In tal modo “i modernisti accettavano l’effimero e il transitorio quale luogo della loro
arte”.

B. L'effimero e l'eterno nell’arte modernista

Il modernismo è un rapidissimo susseguirsi di movimenti diversi e “rivoluzionari".

- Le corbusier: “basta poco per sentirsi dare del rivoluzionario, ma proprio per ragioni vitali quello
che la società vuole conservare è effimero: un equilibrio in costante rinnovamento.”
- Poggioli: “l’avanguardia è condannata a conquistare quella popolarità che per sua natura disdegna,
che è la sua fine”

C. Il carattere commerciale dell'arte modernista

L’arte modernista è sempre stata un’arte auratica: l’artista doveva assumere un’aura di creatività al
fine di produrre un oggetto culturale originale, unico e quindi commerciabile. Risultato di ciò è stato

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l’atteggiamento estremamente individualistico, aristocratico, sprezzante, arrogante dei produttori di
cultura.

GLI ARTISTI, PUR PREDILIGENDO UNA RETORICA ANTI-ISTITUZIONALE, FINIVANO PER IMPIEGARE
MAGGIORI ENERGIE A CREARE UN PEZZO COMMERCIABILE CHE A METTERE IN ATTO UNA VERA E
PROPRIA AZIONE POLITICA.

La nuova capacità tecnica di riprodurre, diffondere e vendere libri e immagini al grande pubblico,
assieme all’invenzione della fotografia e della cinematografia, cambiarono radicalmente le condizioni
materiali della vita dell’artista e quindi il suo ruolo sociale e politico.

 Il modernismo che emerse prima della 1°guerra mondiale era una reazione alle nuove
condizioni di produzione, circolazione e consumo, più che un’anticipazione di tali
cambiamenti.

Per il modernismo Parigi è sicuramente il centro dominante, ma la sua geografia storica era complessa:
rende difficile l’esame dei contenuti del modernismo  Il modernismo cambia volto a seconda del
momento e del luogo di osservazione.

Il modernismo dopo il 1848 era un fenomeno urbano che viveva un rapporto tormentato e complesso
con l’esperienza dell’esplosiva crescita urbana, il forte movimento dalle aree rurali a quelle urbane,
l’industrializzazione, la meccanizzazione. Il modernismo era un’arte delle città, e chiaramente il suo
habitat naturale erano le città. Fu in risposta alla profonda crisi dell’organizzazione urbana urbana
all’impoverimento e che nacque in parte l'arte e la cultura modernista. La città è simultaneamente il
meccanismo e l’eroe della modernità (de Certeau).

 Simmel: legame tra esperienza urbana e attività e pensiero modernisti.


1 . il livello maggiore di libertà individuale si ottiene solo trattando gli altri in termini
oggettivi e strumentali, attraverso il calcolo freddo e spietato dei necessari scambi
di denaro.
2. La rapida urbanizzazione, per Simmel, produce un “atteggiamento blasè” perché è
solo isolandoci dai complessi stimoli che giungono dall’attività febbrile della vita
moderna che riusciamo a tollerare i suoi eccessi. L’unica via d’uscita sta nel
coltivare un finto individualismo, nel raggiungere status symbol, mode o segni di
eccentricità individuale, che hanno il doppio fascino della conformità e della
differenziazione.

In Europa, i movimenti intellettuali ed estetici del modernismo furono più decisivi in quanto adottati
come strumenti di cambiamento sociale. Così non è sorprendente che la storia del modernismo
intellettuale ed estetico sia soprattutto eurocentrica (Parigi, Vienna).

Secondo gli illuministi ad ogni domanda poteva esserci solo una risposta  il mondo poteva essere
controllato e ordinato razionalmente se lo si fosse descritto e rappresentato correttamente. Ciò
presupponeva però che ci fosse un’unica modalità corretta di rappresentazione, che, se scoperta,
avrebbe fornito i mezzi per raggiungere i fini dell’Illuminismo. Dopo il 1848, però, l’idea che ci fosse
un’unica modalità possibile di rappresentazione iniziò a vacillare.

QUESTA SFRENATA SPERIMENTAZIONE PORTÒ AD UNA TRASFORMAZIONE QUALITATIVA


DEL MODERNISMO NEGLI ANNI 1910-15:
periodo che vide una straordinaria vitalità nell’arte (Matisse, De Chirico, Klee, Kandinskij), l’avvento
della musica atonale, fondamentali cambiamenti nella linguistica (Saussure) e nella fisica (Einstein)

 Rivoluzione nel modo di conoscere possibile grazie a:

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- Perdita di fiducia nell’ineluttabilità del progresso
- Crescente insoddisfazione nei confronti della fissità categorica del pensiero illuministico
causato dal cammino turbolento della lotta di classe  con il tempo ci si accorge che è
impossibile un capitalismo benevolo

chi doveva ispirare e guidare il progetto modernista, la borghesia o il movimento dei lavoratori? L’arte
propagandistica e politica mal si conciliava col canone di arte auratica modernista, però nel periodo
precedente alla 1°guerra mondiale il tipo di arte modernista prodotto esprimeva l’alienazione, si
opponeva alle gerarchie era critica verso il consumismo e lo stile di vita borghese. Nel periodo tra le
guerre gli artisti furono sempre più spesso costretti a rendere pubblico il loro impegno politico.

Il trauma della guerra mondiale spazzò via le certezze dell’Illuminismo riguardo la perfettibilità
dell’uomo, e la ricerca di un mito adeguato alla modernità assunse la massima importanza.

IL MODERNISMO DEGLI ANNI TRA LE DUE GUERRE È DEFINITO “ EROICO”, MA FU ANCHE


ACCOMPAGNATO DA DISASTRI.
- Svanì la fede illuministica ed emerse il prospettivismo.
- L’appello al mito “eterno” divenne ancora più imperativo, ma quella ricerca si rivelò tanto
confusa quanto pericolosa. Il mito doveva redimerci dall’universo informe della contingenza,
fornire l’impulso per un nuovo progetto di impegno umano.
- Un’ala del modernismo si appellava all’immagine di razionalità incorporata nella macchina,
nella fabbrica, nel potere della tecnologia contemporanea, nella città in quanto “macchina
vivente”. Williams riteneva che una poesia fosse “una macchina fatta di parole”.

Il modernismo eroico conobbe anche una svolta positivistica, e instaurò un nuovo stile filosofico che
sarebbe diventato fondamentale nel pensiero sociale dopo la 2°guerra mondiale. Il positivismo logico
era compatibile con l’architettura modernista e col progresso di tutte le forme di scienza. Le case e le
città potevano essere concepite come “macchine per abitare”. C’erano però grosse obiezioni anche
all’interno del modernismo stesso all’idea che la macchina, la fabbrica e la città razionalizzata
fornissero una concezione sufficientemente ricca per definire le qualità eterne della vita moderna. Il
problema del modernismo eroico era che, abbandonato il mito della macchina, qualsiasi mito poteva
essere messo nella posizione centrale della “verità eterna” presupposta nel progetto modernista.

In questo modo una forma virulenta di “modernismo reazionario” giunse a conquistare una posizione di
forza nella Germania nazista. Le tensioni latenti del modernismo venivano esasperate. Era difficile
restare indifferenti di fronte alla rivoluzione russa, al socialismo, al comunismo, al fascismo. L’arte
impegnata politicamente conquistò un’ala del modernismo. L’estetizzazione della politica attraverso la
produzione di tali miti onnivori (e il nazismo fu uno di questi) fu il lato tragico del modernismo; esso
divenne sempre più evidente mentre l’era “eroica” trovava la sua fine drammatica nella 2°guerra
mondiale.

DOPO IL 1945 CI FU INVECE IL MODERNISMO UNIVERSALE O ALTO, CHE EBBE UN


RAPPORTO PIÙ AGEVOLE COL POTERE
La ricerca di un mito adeguato si placò, anche perché il sistema di potere internazionale divenne
relativamente stabile. Il modernismo che risultava era “positivistico, tecnocentrico e razionalistico” e
veniva imposto come opera di avanguardia elitaria di urbanisti, artisti, architetti, critici. La
modernizzazione delle economie europee procedeva bene, l’impulso alla politica e al commercio
internazionale era giustificato in quanto determinava un processo di modernizzazione benevolo e
progressista per un Terzo mondo arretrato. L’architettura produsse solo impeccabili immagini di

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potenza e prestigio per le grandi aziende consapevoli dell’importanza della pubblicità e per i governi,
mentre per la classe operaia produceva progetti abitativi modernisti che divennero simboli di
alienazione e disumanizzazione. La sua debolezza consisteva nel ritorno all’adorazione della macchina
efficiente quale mito sufficiente ad incarnare tutte le aspirazioni umane. Ciò significava rifuggire
dall’ornamento e dal design personalizzato, e portò ad una grande passione per spazi e prospettive, per
l’uniformità e la linea retta. “Spazio, tempo e architettura” scritto da Giedion nel 1941 divenne la bibbia
di questo movimento. La grande letteratura modernista (Joyce, Proust, Pound), giudicata sovversiva, fu
ripresa

La depoliticizzazione del modernismo che si ebbe con la nascita dell’espressionismo astratto, faceva
presagire la sua adozione da parte dell’establishment politico e culturale come arma ideologica nella
guerra fredda: l’arte era piena di alienazione ed ansia, esprimeva a sufficienza la frammentazione
violenta e la distruzione creativa, perciò era adeguata all’era nucleare.

Ma la svolta era più tortuosa: l’America era il centro dove si dovevano incontrare l’arte e gli artisti di
tutto il mondo. Cioè che era puramente americano doveva essere celebrato come l’essenza della
cultura occidentale, e fu così con l’espressionismo astratto, il liberalismo, la Coca-Cola e le Chevrolet. Gli
artisti d’avanguardia, individualisti politicamente neutrali, esprimevano nelle loro opere valori che i
politici poi assimilavano, utilizzavano. L’arte e l’alta cultura dell’establishment divennero terreno
esclusivo di un’élite dominante al punto che la sperimentazione in quell’ambito divenne sempre più
difficile. Anzi, sembrava che quell’arte e quella cultura non potessero fare altro che cristallizzare il
potere delle grandi aziende e dello stato. Fu così che nacquero i vari movimenti controculturali e
antimodernisti degli anni ’60, che esploravano i campi dell’auto-realizzazione individualizzata
attraverso una politica di “nuova sinistra”, grazie anche alla critica della vita quotidiana. Benché
fallito, il movimento del 1968 deve essere visto come il messaggero politico e culturale del passaggio
al postmodernismo, che vediamo completamente sbocciato ma non ancora articolato
coerentemente.

POSTMODERNISMO

Negli ultimi due decenni il postmodernismo è divenuto un concetto con cui confrontarsi, si è
trasformato in un tale campo di battaglia di opinioni e forze politiche contrastanti che non può più
essere ignorato.

Per quanto riguardo l’architettura, Jencks, indica nelle ore 15:32 del 15 luglio 1972 il momento simbolico
della fine del modernismo e del passaggio al postmoderno: il momento in cui il complesso Pruitt-Igoe
di Saint Louis fu demolito in quanto ambiente inabitabile per le persone di basso reddito che vi
risiedevano.

Era giunto il momento di costruire per la gente, e non per l’Uomo. Bisognava creare un ambiente
urbano più soddisfacente. Anche tra gli urbanisti si riscontra una simile evoluzione: il tema è ora la città
collage, e la “rivitalizzazione urbana” ha sostituito il “rinnovo urbano”. La crisi morale del nostro
tempo è la crisi del pensiero illuministico. Il progetto teologico postmoderno consiste nel riaffermare
la verità divina senza abbandonare il potere della ragione.

Il postmodernismo allora rappresenta una rottura radicale col modernismo, oppure è semplicemente
una rivolta interna al modernismo, contro una certa forma di “alto modernismo”? Il postmodernismo è
uno stile o semplicemente un periodo? Possiede un potenziale rivoluzionario, o è solo la
commercializzazione e l’addomesticamento del modernismo? Hassan presenta una serie di opposizioni
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stilistiche per identificare i modi in cui il postmodernismo potrebbe essere visto quale reazione al
modernismo:

modernismo postmodernismo

determinatezza indeterminatezza

trascendenza immanenza

significato significante

oggetto d’arte autorevole e finito partecipazione, performance, happening

radici apparenze superficiali

controllo della metropoli come totalità, processo urbano incontrollabile e caotico nel quale l’anarchia e il

progettazione di una forma chiusa cambiamento possono giocare in situazioni aperte

opere letterarie come esempi di generi opere letterarie come testi con la loro propria retorica

Il fatto più sorprendente del postmodernismo è la sua totale accettazione della caducità, della
frammentazione, della discontinuità e del caos. Il postmodernismo galleggia, sguazza nelle correnti
frammentarie e caotiche del cambiamento come se oltre ad esse non ci fosse null’altro. Il
postmodernismo si richiama a quella corrente di pensiero che sottolinea il profondo caos della vita
moderna e la sua scarsa maneggiabilità da parte del pensiero razionale. Le vere rivoluzioni della
sensibilità si verificano quando le idee che sono latenti e represse in un certo periodo, divengono
esplicite e dominanti in un altro  così è accaduto col modernismo ed il postmodernismo.

Aronowitz è sedotto dall’aspetto più liberatorio e affascinante del pensiero postmodernista: la sua
preoccupazione per la diversità. L’idea che tutti i gruppi (e negli anni ’60 ne sono sorti molti:
femministe, omosessuali, ecologisti, gruppi etnici e religiosi…) abbiano il diritto di parlare per sé, con
la loro voce, e abbiano il diritto di vedere accettata la loro voce in quanto autentica e legittima, è
essenziale per la posizione pluralistica del postmodernismo. Anche Husseyns sottolinea l’apertura del
postmodernismo alla comprensione della diversità, e il potenziale liberatorio che offre per tutta la serie
dei nuovi movimenti. La stessa preoccupazione per la diversità e per gli “altri mondi” si ritrova nella
narrativa postmodernista. Focault esprime ciò col concetto di eterotopia  coesistenza di uno “spazio
impossibile”, di un “grande numero di possibili mondi frammentari” o, più semplicemente, spazi
incommensurabili sovrapposti o giustapposti. Lo stesso cambiamento può essere riscontrato anche nel
cinema. La collisione e la sovrapposizione di diversi mondi è una delle principali caratteristiche dell’arte
postmoderna, come dimostrano le opere di David Salle, che fa collage di materiali incompatibili come
alternativa ad una scelta tra quegli stessi materiali.

Lyotard avanza l’ipotesi che il modernismo è cambiato perché sono cambiate le condizioni tecniche e
sociali della comunicazione. Mentre i modernisti vedevano una relazione stretta ed identificabile fra ciò
che si diceva (messaggio) e il modo in cui lo si diceva (mezzo), secondo i postmodernisti questi due
aspetti si staccano e si riattaccano di continuo in nuove combinazioni. Il decostruzionismo è un modo
di pensare ai testi, di leggere i testi. La vita culturale viene quindi

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vista come una serie di testi che si intersecano con altri testi e producono altri testi. Ed è vano
cercare di dominare un testo perché l’eterno intrecciarsi di testi e significati sfugge al nostro controllo.

Il collage/montaggio è quindi la forma principale del linguaggio postmoderno. L’eterogeneità intrinseca


di qualsiasi linguaggio stimola i fruitori del testo o dell’immagine “a produrre un significato che non
può essere né univoco, né stabile”. Sia i produttori che i consumatori di testi partecipano alla
produzioni di significati. L’effetto consiste nell’infrangere (decostruire) il potere dell’autore di
imporre significati od offrire una narrazione continua. Taylor sostiene che il collage è un indicatore
inadeguato delle differenze fra pittura modernista e postmodernista.

I postmodernisti ritengono che non si possa aspirare ad alcuna rappresentazione unitaria del mondo,
perché non possiamo descriverlo come una totalità piena di collegamenti e differenziazioni, ma solo
come serie di frammenti in perpetuo mutamento. E poiché le azioni e le rappresentazioni sono
repressive o illusorie, non dovremmo neppure cercare di impegnarci in qualche progetto globale. Si
può concepire e decidere l’azione solo all’interno dei confini di un determinismo locale  relativismo e
disfattismo (Habermas).

L’aspetto più problematico del postmodernismo, sono i suoi presupposti psicologici rispetto alla
personalità, alla motivazione e al comportamento. L’attenzione per la frammentazione e l’instabilità
del linguaggio porta direttamente ad uno specifico concetto di personalità, che è la schizofrenia e non
la paranoia o l’alienazione com’era nel modernismo. La schizofrenia è un disturbo linguistico,
un’interruzione nella catena significante che crea una semplice frase. L’incapacità di unificare passato,
presente e futuro nella frase denota una simile incapacità nella nostra esperienza biografica o vita
psichica. Ciò riduce l’esperienza in una serie di tempi presenti puri e non collegati.

Il tipico prodotto postmodernista è quindi schizoide. La componente schizofrenica era latente nel
modernismo, ma sempre controllata. Nell’estetica postmoderna all’alienazione del soggetto si
sostituisce la frammentazione del soggetto. L’immagine, l’apparenza, lo spettacolo possono essere
sentiti con un’intensità resa possibile solo dal fatto che sono visti come presenti puri e non collegati.

Un simile crollo dell’ordine temporale porta ad un modo preciso di trattare il passato. Rifuggendo
dall’idea di progresso, il postmodernismo abbandona ogni senso di continuità ed ogni memoria storica,
mentre sviluppa un’incredibile capacità di saccheggiare la storia e di assorbire qualsiasi cosa vi trovi.

La differenza tra pittori postmodernisti e quelli modernisti è che i primi ri-producono, mentre i secondi
producono: infatti Rauschenberg riproduce, mentre Manet produce, ed è questo passaggio che ci fa
pensare che R è un postmodernista. L’aura modernista dell’artista che produce è eliminata.
L’immaginazione del soggetto che crea lascia il posto alla confisca, alla citazione, all’estrapolazione,
all’accumulazione e alla ripetizione di immagini già esistenti (Crimp). Nel postmodernismo c’è perdita di
continuità storica nei valori e nelle opinioni, assieme alla riduzione dell’opera d’arte a testo che
sottolinea la discontinuità e l’allegoria, che pone problemi al giudizio critico ed estetico. Il
postmodernismo può giudicare lo spettacolo solo in termini di spettacolarità. Barthes distingue tra
piacere e godimento, e sostiene che noi cerchiamo di realizzare il secondo effetto, e ciò implica
un’identificazione con l’atto della scrittura (creazione) anziché con l’atto della lettura (fruizione).
Huyssens però lo critica dicendo che questa è una delle più stantie distinzioni moderniste tra piacere
inferiore di massa e d’élite.

L’altro lato della perdita della temporalità e della ricerca di un impatto istantaneo è una parallela
perdita di profondità 

“deliberata superficialità”, così Jameson descrive l’architettura postmoderna.

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Il crollo degli orizzonti temporali e l’interesse per l’istantaneità sono nati dall’enfasi posta dalla
produzione culturale contemporanea sugli eventi, gli spettacoli, gli happenings e le immagini dei media.
L’effetto è stata un’ulteriore sottolineatura delle qualità fuggevoli della vita moderna e persino una
celebrazione di esse. Ma ciò ha anche permesso un avvicinamento fra la cultura popolare e la “cultura
alta”.

Molti accusano il postmodernismo di arrendersi semplicemente alla mercificazione, alla


commercializzazione e al mercato. Gran parte del postmodernismo è comunque consapevolmente
anti-auratico e anti-avanguardista e cerca di esplorare i media e le arene culturali aperte a tutti.

Bell descrive il postmodernismo come l’esaurimento del modernismo attraverso l’istituzionalizzazione


degli impulsi creativi e ribelli da parte di ciò che egli chiama “massa culturale”. La conseguente
democratizzazione del gusto nell’ambito di una varietà di sotto culture è interpretata come il risultato
di una lotta vitale per affermare il diritto anche di coloro che erano relativamente meno privilegiati nel
modellare la propria identità. I fermenti culturali urbani dei primi anni ’60 furono alla base, secondo
Chambers, della svolta postmoderna. Un ruolo determinante l’ha avuto però anche l’uso della
televisione, che è il primo mezzo culturale nella storia a presentare le opere artistiche del passato come
un collage di fenomeni equivalenti e contemporanei e quindi presuppone uno spettatore che condivida
con essa la percezione della storia come infinita riserva di eventi uguali. Ciò non vuol dire che la TV
produce il postmodernismo, ma che ha avuto molta forza nel modellare una cultura come modo di vita
totale.

Newman ritiene che gran parte dell’estetica postmodernista sia una risposta alla crescita inflazionistica
del tardo capitalismo: «la celebrata frammentazione dell’arte non è più una scelta estetica; è
semplicemente un aspetto culturale del tessuto economico e sociale». Il postmodernismo allora non
indica altro che la logica estensione del potere del mercato su tutta la gamma della produzione
culturale: l’arte viene vista come garanzia sui prestiti e le grandi aziende sono diventate i principali
mecenati. Il postmodernismo e l’industria del patrimonio artistico sono legati. La storia diventa una
“creazione contemporanea”. La casa non è più vista come una macchina per abitare, ma come un
“pezzo d’antiquariato in cui vivere”.

Jameson arriva a dire che il postmodernismo è solo la logica culturale del tardo capitalismo. Mandel
sostiene che siamo entrati in una nuova era in cui la produzione di cultura si è integrata nella
produzione di merci. La produzione culturale è diventata un’arena di feroci conflitti sociali, e ciò ha
implicato un netto cambiamento nelle abitudini e negli atteggiamenti dei consumatori.

L’uso della pubblicità come “arte ufficiale del capitalismo” porta le strategie pubblicitarie nell’arte, e
l’arte nelle strategie pubblicitarie. Non dovremmo però interpretare il postmodernismo come corrente
artistica autonoma. L’essersi radicato nella vita quotidiana è una delle sue caratteristiche più trasparenti
ed evidenti. Ciò che separa il modernismo dal postmodernismo più che altro è un “profondo
mutamento nella struttura del sentire”.

IL POSTMODERNISMO NELLA CITTÀ: ARCHITETTURA E DISEGNO URBANO

Nel campo dell’architettura e del disegno urbano, il postmodernismo rappresenta una rottura rispetto
all’idea modernista di un’urbanistica basata su piani urbani ad ampia scala, metropolitani, razionali,
efficienti, senza fronzoli. Il postmodernismo coltiva un tessuto urbano necessariamente
frammentato; il disegno urbano mira a essere sensibile

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alle tradizioni e alle storie locali, ai bisogni ed ai capricci particolari, generando così forme
architettoniche specializzate, “su misura”.

modernisti  spazio  qualcosa che deve essere modellato per scopi sociali, subordinato alla
costruzione di un progetto sociale

postmodernisti  spazio  qualcosa di indipendente e autonomo, modellato secondo fini e principi


estetici non necessariamente legati ad un obiettivo sociale, se non forse al raggiungimento di un
bellezza senza tempo e disinteressata

Se consideriamo l’architettura una comunicazione, la città è un discorso e questo discorso è veramente


un linguaggio (Barthes).

Secondo Krier il problema dell’urbanistica modernista era che operava tramite zonizzazioni
monofunzionali, la circolazione delle persone era la principale preoccupazione e ciò ha portato ad uno
schema urbano “anti-ecologico”, in quanto implica sprechi di tempo, spazio ed energia. Secondo Krier,
invece, la “città buona” è quella in cui la totalità delle funzioni urbane è assicurata a distanze
compatibili che si possono piacevolmente percorrere a piedi. Krier persegue l’attivo ripristino e la ri-
creazione dei tradizionali valori urbani “classici”, tramite il restauro di un vecchio tessuto urbano e la
sua riconversione a nuove utilizzazioni.

Ovunque vi era la tendenza a considerare l’esperienza bellica della produzione in serie come un mezzo
per lanciare un vasto programma di ricostruzione e riorganizzazione. In generale si riuscì a ricostruire il
tessuto urbano in modi che contribuirono a mantenere la piena occupazione, a migliorare l’assistenza
sociale materiale, ad avvicinare gli obiettivi di benessere, e a mantenere l’ordine sociale capitalistico. La
standardizzazione e l’uniformità erano onnipresenti. Vennero costruiti monumenti sempre più grandi,
simboli del potere aziendale: l’edificio del Chicago Tribune, il Rockefeller Center, la Trump Tower,
l’edificio dell’AT&T.

Jane Jacobs, col suo libro “Vita e morte delle grandi città” del 1961, uno dei più autorevoli trattati anti-
modernisti, cercava di definire un nuovo modo per comprendere la vita urbana. La “Grande Tragedia
della Monotonia” secondo lei nasceva da una profonda incomprensione del senso della città: «I
processi sono qualcosa di essenziale, ed è sui processi sociali di interazione che ci dovremmo
concentrare. Una volta che si considerino le città in termini di processi, ne consegue la necessità di
ricercare cosa catalizzi questi processi, e anche ciò che in essi è essenziale».

Jencks sostiene che l’architettura postmodernista ha le sue radici in due importanti mutamenti
tecnologici: 1) le comunicazioni che hanno abbattuto i consueti confini di spazio e tempo e hanno
prodotto un nuovo internazionalismo e forti differenziazioni interne alle città e alle società basate sul
luogo; 2) le nuove tecnologie che hanno permesso la produzione in serie di “prodotti quasi
personalizzati” che esprimono una grande varietà di stili. Di conseguenza, gli architetti ed i designer
urbani postmoderni possono più facilmente provare a comunicare con diversi gruppi di clienti in modo
personalizzato, adattando i prodotti. Il postmodernismo nell’architettura e nel disegno urbano tende
ad essere spudoratamente orientato al mercato perché esso è il principale strumento di comunicazione
nella nostra società. È probabile quindi che la zonizzazione dell’urbanista venga sostituita dalla
zonizzazione prodotta dal mercato e basata sulla capacità di pagare. Gli architetti ed i designer sono più
attenti ora alla produzione e al consumo del “capitale simbolico”, cioè la raccolta dei beni di lusso che
dimostrano il gusto e la distinzione del proprietario. Esso è capitale monetario trasformato che produce
il suo effetto nella misura in cui nasconde il fatto che trae origine da forme “materiali” di capitale; è
usato deliberatamente per nascondere la base reale della distinzione economica.

La spinta modernista fece di tutto per rimuovere il significato del capitale simbolico dalla vita urbana.
Ciò creò un clima di domanda repressa se non di desiderio represso, che ebbe un ruolo importante nello
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stimolare il mercato verso ambienti urbani e stili architettonici più diversificati. E questo è il desiderio
che molti postmodernisti cercano di soddisfare, se non di stimolare apertamente. Il risultato è la
frammentazione, spesso consapevolmente favorita. La multivalenza dell’architettura è “radicalmente
schizofrenica per necessità”.

Il postmodernismo stabilisce una base più ampia per l’eterno in una visione costruita di continuità
storica e memoria collettiva. C’è ancora la tragedia della modernità, ma stabilizzata da monumenti che
incorporano e mantengono un “misterioso” senso di memoria collettiva. Secondo Aldo Rossi, il
compito dell’architetto consiste nel partecipare liberamente alla produzioni di monumenti che
esprimono la memoria collettiva, riconoscendo al tempo stesso che ciò che costituisce un
monumento è a sua volta un mistero da ritrovare nella volontà segreta e i instancabile delle sue
manifestazioni collettive.

La tendenza postmoderna a mescolare tutti i tipi di riferimento agli stili del passato rappresenta una
delle sue caratteristiche più importanti. La realtà, sembra, viene modellata per imitare le immagini dei
media. Ma così molte città passano rapidamente dalla produzione di beni alla produzione di patrimonio
artistico (Hewison). «L’impulso a conservare il passato è parte dell’impulso a conservare se stessi. […]
Il passato è la base dell’identità individuale e collettiva, gli oggetti del passato sono fonti di significato in
quanto simboli culturali». La preoccupazione per l’identità, per le radici personali e collettive, è
diventata molto più pervasiva a partire dai primi anni ’70 a causa di una diffusa incertezza nei mercati
del lavoro. È però molto difficile separare la predilezione del postmodernismo per la citazione storica e
per il populismo dal semplice compito di soddisfare o favorire gli impulsi nostalgici.

Lo stesso giudizio può essere riferito al modo in cui l’architettura e il design postmodernista citano
l’ampia gamma di informazioni e di immagini di forme urbane e architettoniche che si trovano in varie
parti del mondo. «Se uno può permettersi di vivere in diverse epoche e culture, perché limitarsi al
presente, al locale? L’eclettismo è l’evoluzione naturale di una cultura che può scegliere. […]
L’eclettismo è il grado zero della cultura generale contemporanea». La geografia delle culture e dei
gusti differenziati si trasforma in un pot pourri di internazionalismo, che è sorprendente ma anche
confuso. Il mascheramento nasce non solo dall’inclinazione postmoderna alla citazione eclettica, ma
anche da un evidente fascino delle superfici.

Dopo l’assassinio di M.L. King (1968), gli scontri minacciavano la vitalità del centro: bisognava cercare
un nuovo simbolo attorno al quale costruire l’idea di città come comunità, che potesse credere in se
stessa a tal punto da superare le divisioni. Nasce così la fiera di Baltimora, che dapprima fu un modo per
promuovere il recupero urbano, poi finì per esaltare la diversità etnica. Breve fu il passo che portò alla
commercializzazione istituzionalizzata di uno spettacolo più o meno permanente. Ciò richiese
un’architettura completamente diversa dal modernismo austero, ci voleva un’architettura dello
spettacolo, col suo senso di luccichio superficiale e di piacere transitorio di partecipazione, esibizione e
fuggevolezza. Baltimora non fu l’unica città a costruire questi spazi urbani. Le città e i luoghi ora
sembrano preoccuparsi maggiormente della creazione di un’immagine del luogo positiva e di alta
qualità, così cercano architettura e forme di disegno urbano che rispondano a questo bisogno, in modo
da attirare capitale e persone.

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L’architettura ed il disegno urbano postmoderni di questo tipo trasmettono il senso di una ricerca di un
mondo fantastico, un qualcosa di illusorio che ci porta oltre le realtà attuali nella pura immaginazione.

Decostruttivismo  reazione contro il modo in cui molto del movimento postmoderno è entrato nella
principale corrente culturale generando un’architettura popolarizzata ridondante e indulgente. Ciò che
ha in comune col postmodernismo è il suo tentativo di riflettere “un mondo turbolento col suo sistema
morale, politico ed economico”. Ma lo fa in modo tale da disorientare e confondere, rompendo così i
nostri modi abituali di percepire la forma e lo spazio. La frammentazione, il caos, il disordine rimangono
temi centrali. Finzione, frammentazione, collage ed eclettismo, avvolti in un senso di caducità e caos,
sono forse i temi che dominano l’architettura ed il disegno urbano di oggi.

MODERNIZZAZIONE

Modernismo = risposta estetica tormentata e instabile alle condizioni di modernità prodotte da un


particolare processo di modernizzazione. Per interpretare adeguatamente il postmodernismo bisogna
tener conto della natura della modernizzazione.

L’avvento di un’economia monetaria, sostiene Marx, fa sì che il denaro diventi la vera comunità, che noi
dipendiamo da relazioni impersonali e oggettive con “altri” le cui vite e aspirazioni ci sono
assolutamente sconosciute. Il denaro e il mercato mascherano le relazioni sociali tra le cose (feticismo
delle merci): tutto ci è nascosto mentre scambiamo un oggetto (denaro) con un altro (merce), tutte le
tracce di sfruttamento sono state cancellate dall’oggetto.

Baudrillard definisce la cultura postmoderna “cultura escrementizia” e sostiene che denaro =


escrementi.

La preoccupazione postmoderna per il significante anziché per il significato, per il mezzo (denaro)
anziché per i messaggio (lavoro sociale), indicano un rafforzamento del ruolo del denaro descritto da
Marx. In quanto produttori di merci alla ricerca di denaro, dipendiamo dai bisogni e dalla capacità di altri
di comprare. Il capitalismo produce sofisticazione dei bisogni e dei loro mezzi da un lato, e un
imbarbarimento bestiale, un’astratta semplicità del bisogno dall’altro. La pubblicità e la
commercializzazione distruggono tutte le tracce di produzione nelle loro immagini, rafforzando il
feticismo che nasce autonomamente nel corso dello scambio di mercato. Il denaro diviene a sua volta
oggetto di cupidigia, avidità e desiderio; e conferisce il privilegio di esercitare il potere sugli altri. Però
unifica grazie alla sua capacità di accomodare l’individualismo, la diversità e la straordinaria
frammentazione sociale.

Una divisione del lavoro tecnica, sociale, organizzata, è uno dei principi fondamentali della
modernizzazione; è una potente leva per promuovere la crescita economica e l’accumulazione di
capitale.

Oltre alla produzione di merci e alla divisione del lavoro, al capitalismo occorre che ci siano anche certe
condizioni storiche, e in particolare l’esistenza del lavoro salariato. L’acquisto della forza lavoro col
denaro dà al capitalista il diritto di disporre del lavoro degli altri senza tenere necessariamente conto
delle loro opinioni, bisogni o sentimenti. Il lavoratore è tipicamente alienato dal prodotto, dal controllo
del processo di produzione, e dalla capacità di realizzare il valore del frutto dei suoi sforzi. La divisione
del lavoro all’interno della fabbrica riduce il lavoratore a frammento di persona. Ciò è ulteriormente
sottolineato dalla perdita di controllo sugli strumenti di produzione, che trasforma effettivamente il
lavoratore in un’appendice della macchina. L’intelligenza si incarna nella macchina, separando il
lavoro manuale da quello mentale.

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Il capitalismo è necessariamente dinamico dal punto di vista tecnologico. L’effetto dell’innovazione
continua però è quello di svalutare, se non distruggere, gli investimenti passati e le capacità di lavoro.
La distruzione creativa è implicita nella stessa circolazione del capitale. La lotta per mantenere la
redditività spinge i capitalisti a esplorare ogni tipo di altra possibilità, esasperando l’insicurezza e
l’instabilità. La spinta a trasferirsi in luoghi più vantaggiosi, rivoluziona periodicamente la divisione del
lavoro internazionale e territoriale. Questo è il valore in movimento, la circolazione del capitale che
cerca sempre nuovi modi per incrementare i profitti. Il credito è capitale fittizio, una specie di
scommessa in denaro sulla produzione che non esiste ancora. Ciò porta ad una tensione permanente.

Lo stato per essere efficace deve costruire un senso alternativo della comunità rispetto a quello basato
sul denaro. Deve legittimarsi, impegnarsi nell’estetizzazione della politica.

Ci sono tuttavia molti aspetti positivi nella modernità capitalistica: il controllo della natura, la creazione
di nuovi bisogni che ci può sensibilizzare verso nuove possibilità culturali, la variazione del lavoro, la
fluidità della funzione, la mobilità universale del lavoratore, la riduzione delle barriere spaziali, la
formazione del mercato mondiale e la demistificazione dei processi di produzione. Il problema però,
secondo Marx, era quello di liberarsi dal feticismo degli scambi di mercato e di demistificare il mondo
sociale e storico.

La nascita del postmodernismo rappresenta forse un diverso modo di pensare a ciò che si potrebbe o
dovrebbe fare riguardo alla condizione sociale, oppure riflette un cambiamento nel modo in cui il
capitalismo attualmente funziona.

POSTMODERNISMO O POSTMODERNISMO?

Il postmodernismo ha esercitato un’influenza positiva. È stato importante nel riconoscere le molteplici


forme della diversità che emergono dalle differenze di soggettività, sesso, razza, classe, posizioni e
spostamenti geografici temporali e spaziali. Eppure il postmodernismo vede se stesso in modo
piuttosto semplice: come movimento deliberato e caotico per superare tutti i supposti mali del
modernismo. Sembra anche che ci sia più continuità che differenza tra la storia del modernismo e il
postmodernismo. Sembra più sensato vedere il secondo come un tipo particolare di crisi all’interno del
primo, una crisi che sottolinea il frammentario, l’effimero, il lato caotico della definizione di Baudelaire,
mentre esprime scetticismo nel rappresentare l’eterno e l’immutabile. Ma il postmodernismo si spinge
troppo in là. Vuole che noi accettiamo le reificazioni e le divisioni, che celebriamo le attività di
mascheramento e copertura, tutti i feticismi di località, posizione o raggruppamento sociale.

PARTE I–LATRASFORMAZIONEPOLITICO-ECONOMICADELCAPITALISMONELLASECONDAPARTEDELXXSECOLO

INTRODUZIONE

La trasformazione del capitalismo dopo 1950 riguarda: cambiamenti radicali nei processi di
produzione, nelle abitudini dei consumatori, nelle configurazioni geografiche e geopolitiche. C’è stata
quindi una transizione nel regime di accumulazione e nel relativo modo di regolazione sociale e politica.

All’interno del sistema capitalistico ci sono due aree di difficoltà che devono essere affrontate con
successo se si vuole che il sistema resti vitale: 1) caratteristiche anarchiche dei mercati su cui si formano
i prezzi; 2) bisogno di esercitare un controllo sufficiente sul modo in cui viene usata la forza-lavoro in
modo che ci siano profitti per i capitalisti. Quindi: 1) la “mano invisibile” di Adam Smith non è sufficiente
da sola a garantire una crescita stabile del capitalismo. Un certo livello

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di azione collettiva è necessario per compensare gli insuccessi del mercato, per evitare eccessive
concentrazioni di potere sul mercato, per vigilare sull’abuso del privilegio monopolistico; 2) bisogna
convertire la capacità di uomini e donne di lavorare attivamente in un processo produttivo dei cui
frutti di appropriano i capitalisti. L’integrazione del lavoratore nelle condizioni della produzione
capitalistica porta ad un controllo sociale delle forze fisiche e mentali.

IL FORDISMO

Il fordismo nasce nel 1914 quando Henry Ford introdusse la giornata di lavoro di 8 ore a 5 dollari per gli
operai della catena di montaggio automatizzata. Ford razionalizzò le vecchie tecnologie e la
preesistente divisione del lavoro, ma ottenne grandissimi incrementi della produttività facendo
scorrere il processo produttivo davanti agli operai fermi. Già Taylor (1911) aveva spiegato come si
potesse aumentare la produttività suddividendo ciascun processo di lavorazione in movimenti semplici
e organizzando compiti frammentati. La separazione tra gestione, concezione, controllo ed
esecuzione era già avviata in altre industrie. Di speciale in Ford c’è la sua visione, il suo riconoscimento
del fatto che la produzione in serie significasse consumo di massa, equindiunnuovotipodisocietàdemocratica,
razionalizzata, modernista epopulista. Ford credeva che il nuovo tipo di società potesse essere costruito
con un’adeguata applicazione del potere delle grandi aziende. Gli scopi della giornata di lavoro di 8
ore erano: 1) fare in modo che il lavoratore rispettasse la disciplina necessaria per far funzionare la
catena di montaggio ad alta produttività; 2) fornire al lavoratore abbastanza denaro e tempo libero
per consumare i prodotti fabbricati in serie che venivano sfornati in quantità sempre maggiori. Così
nel 1916, Ford mandò degli assistenti sociali nelle case dei suoi lavoratori privilegiati ad accertarsi che
l’uomo nuovo della produzione in serie avesse il giusto tipo di probità morale e vita familiare e la
capacità di consumare in modo prudente e razionale così da essere all’altezza dei bisogni e delle
aspettative aziendali. Ford credeva nel potere aziendale quale forma di regolazione dell’intera
economia. Negli anni ’30 egli aveva cercato di risolvere la grande depressione, spingendo i suoi
lavoratori a produrre la maggior parte di ciò di cui avevano bisogno per vivere, insistendo che il fare da
sé era “l’unico mezzo per combattere la depressione economica”.

Il sistema fordista si instaurò a seguito di un processo lungo e complicato durato quasi mezzo secolo,
e dipese da una

miriade di decisioni individuali.

Vi erano due grandi ostacoli alla diffusione del fordismo negli anni tra le due guerre: 1) i rapporti di
classe nel mondo capitalistico che non potevano accettare un sistema produttivo in cui il lavoratore era
assegnato a ore di mera routine, senza bisogno che avesse capacità artigianali. Ford aveva risolto il
problema assumendo lavoratori immigrati, che però imparavano in fretta e gli americani erano loro
ostili. Il ricambio nella forza-lavoro di Ford fu elevatissimo. Invece nel resto del mondo
l’organizzazione dei lavoratori e le tradizioni artigiane erano troppo forti e l’immigrazione troppo
debole per instaurare il fordismo. Infatti la produzione in serie con la catena di montaggio in Europa
fu limitata fino alla metà degli anni ’30; solo verso gli anni ’50 il fordismo iniziò a diffondersi
oltreoceano. 2) modalità e meccanismi degli interventi statali – bisognava ideare un nuovo modo di
regolazione per soddisfare le esigenze della produzione fordista. La stasi democratica degli anni ’20
doveva essere superata con un po’ di autoritarismo e di interventismo statale. Ma il problema di
un’adeguata configurazione e uso dei poteri statali fu risolto solo dopo il 1945. Ciò portò il fordismo alla
maturità quale regime di accumulazione ben definito, e come tale, esso rappresentò la base di un
lungo boom postbellico, che rimase immutato sino al 1973. In tale periodo il capitalismo nei paesi
industrialmente avanzati raggiunse tassi di crescita economica notevoli e relativamente stabili, il livello
di vita migliorò e la tendenza alla crisi fu contenuta.

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La crescita fenomenale dipendeva da una serie di compromessi: lo stato doveva assumere nuovi
ruoli (keynesiani) e creare nuovi poteri istituzionali; il capitale aziendale doveva mantenere una sicura
redditività; i lavoratori organizzati dovevano assumere nuovi ruoli e funzioni in relazione al rendimento
sul mercato del lavoro e nei processi produttivi. Nel dopoguerra, negli USA, i sindacati furono esposti a
violenti attacchi perché accusati di infiltrazione comunista e furono sottomessi ad una rigida disciplina
legale. L’eterno problema dell’assuefazione del lavoratore a sistemi di lavoro così routinari,
dequalificati, degradanti, non può mai essere completamente superato. Le organizzazioni sindacali
burocratizzate venivano sempre più confinate in un angolo.

Le decisioni delle grandi aziende divennero prevalenti del definire le vie della crescita del consumo di
massa. E alla fine accettarono, con riluttanza, il potere sindacale, quando i sindacati si impegnarono a
controllare i loro membri e a collaborare con la dirigenza in programmi per aumentare la produttività in
cambio di aumenti salariali che stimolassero la domanda effettiva.

Lo stato assunse una grande varietà di obblighi: doveva dare una solida base al benessere sociale, con
spese che coprissero la previdenza sociale, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, la casa… inoltre il potere
statale veniva usato per influenzare gli accordi salariali e i diritti dei lavoratori nel processo produttivo. Il
fordismo dipendeva proprio dall’assunzione da parte dello stato di un ruolo speciale nel sistema di
regolamentazione sociale. Il fordismo postbellico dev’essere visto come uno stile di vita: la produzione
in serie voleva dire standardizzazione del prodotto e consumo di massa. Inoltre era anche un fenomeno
internazionale: si instaurò solidamente in Europa e Giappone dopo il 1940, si consolidò e si espanse nel
periodo postbellico per mezzo delle politiche imposte durante l’occupazione o grazie al Piano Marshall
e agli investimenti statunitensi. Questo sviluppo degli investimenti e del commercio esteri fece sì che la
capacità produttiva eccedente degli USA fosse assorbita altrove, mentre il progresso internazionale del
fordismo significava la formazione di mercati di massa mondiali  che a sua volta significava la
globalizzazione dell’offerta di materie prime spesso meno costose. Il nuovo internazionalismo portò
con sé altre attività (banche, servizi, alberghi…) e una nuova cultura internazionale.

Gli accordi di Bretton Woods del 1944 fecero del dollaro la valuta di riferimento mondiale, legando così
lo sviluppo economico mondiale alla politica monetaria e fiscale degli USA. La diffusione del fordismo si
ebbe così in un particolare contesto di regolamentazione politico-economica internazionale e in una
configurazione geopolitica in cui gli USA avevano una posizione predominante.

Non tutti traevano benefici dal fordismo: le trattative salariali si limitavano a certi settori dell’economia,
altri settori di produzione ad alto rischio dipendevano ancora da salari bassi e precarietà; i mercati del
lavoro tendevano a dividersi in un settore di monopolio ed uno competitivo. La disuguaglianza che ne
derivava produceva gravi tensioni sociali e forti movimenti organizzati dagli esclusi. Una grande parte
della forza-lavoro si vedeva pure negare l’accesso alle tanto decantate gioie del consumo di massa, e ciò
causava un enorme scontento, alimentando la crescita dei contromovimenti insoddisfatti dei presunti
vantaggi del fordismo. La legittimazione del potere statale dipendeva dalla capacità di estendere a
tutti i benefici del fordismo e di trovare i modi per assicurare a tutti assistenza sanitaria adeguata, casa e
istruzione.

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Dal punto di vista dei consumatori, la qualità della fornitura dei servizi attraverso un sistema non
discriminatorio di amministrazione statale fu a sua volta oggetto di severe critiche. A ciò si deve
aggiungere lo scontento del Terzo mondo per un processo di modernizzazione che prometteva
sviluppo, emancipazione dal bisogno e piena integrazione nel fordismo, ma produceva distruzione delle
culture locali, oppressione e dominio capitalistico.

Malgrado le tensioni, i capisaldi del regime fordista ressero sino al 1973: crebbe il livello di vita materiale
per la massa della popolazione ed emerse un ambiente relativamente stabile e favorevole ai profitti delle
grandi aziende.

DAL FORDISMO ALL’ACCUMULAZIONE FLESSIBILE

Si possono vedere i segni dell’esistenza di gravi problemi all’interno del fordismo già negli anni ’60: la
formazione del mercato dell’eurodollaro e la crisi creditizia del 1966-67 erano segnali premonitori della
minore capacità degli USA di regolare il sistema finanziario internazionale. La concorrenza
internazionale si intensificò, e l’Europa occidentale e il Giappone sfidarono l’egemonia americana, tanto
che vennero mano gli accordi di Bretton Woods e il dollaro fu svalutato. Nel periodo 1965-73 fu sempre
più evidente l’incapacità del sistema fordista e keynesiano di tenere sotto controllo le intrinseche
contraddizioni del capitalismo, dette anche “rigidità”. L’unico strumento di risposta flessibile stava
nella politica monetaria, nella capacità di stampare moneta a qualsiasi velocità sembrasse necessaria
per garantire la stabilità dell’economia. Ebbe così inizio l’ondata inflazionistica (fondi in eccedenza e
pochi sbocchi produttivi). Il tentativo di frenare l’inflazione crescente portò a un crollo mondiale nei
mercati immobiliari e a gravi difficoltà per le istituzioni finanziarie. A ciò si aggiunge l’aumento dei prezzi
del petrolio e la decisione dei paesi arabi di bloccare le esportazioni verso l’occidente. La forte
deflazione del periodo 1973-75 indicava che le finanze statali erano sproporzionate rispetto alle
risorse: ne derivò una profonda crisi fiscale e di legittimazione. Ciò avviò una serie di processi che
minarono il compromesso fordista. Negli anni ’70-’80 ci fu anche un periodo di ristrutturazione
economica e di riaggiustamento sociale e politico, e da tutta questa incertezza prese forma una serie di
nuovi esperimenti nel campo dell’organizzazione industriale e della vita politica e sociale, che
rappresentano i primi segni del passaggio ad un regime di accumulazione assolutamente nuovo.

L’accumulazione flessibile è caratterizzata da un confronto diretto con le rigidità del fordismo.


Poggia su una certa

flessibilità nei confronti dei processi produttivi, dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei modelli di
consumo. È caratterizzata dall’emergere di settori di produzione completamente nuovi. Ha
determinato una grande crescita dell’occupazione nel settore dei servizi e la nascita di complessi
industriali assolutamente nuovi in regioni fino ad allora sottosviluppate. Ha anche determinato una
nuova fase di “compressione spazio-temporale” nel mondo capitalistico, diffondendo immediatamente
le decisioni in uno spazio sempre più grande e variegato. L’accumulazione flessibile implica una rapida
distruzione e ricostruzione delle capacità dei lavoratori, modesti o inesistenti aumenti salariali e il
ridimensionamento del potere sindacale. Il mercato del lavoro ha conosciuto una radicale
ristrutturazione, i datori di lavoro hanno sfruttato il diminuito potere sindacale e i lavoratori eccedenti
per promuovere regimi lavorativi e contratti di lavoro molto più flessibili. Ma ancora più importante è
stato l’apparente abbandono dell’occupazione regolare a favore di lavori a tempo parziale, o
temporanei, o in subappalto. Cambia così la struttura del mercato del lavoro tipo:

1) c’è un nucleo costituito da lavoratori dipendenti permanenti e a tempo pieno, fondamentale per
il futuro a lungo termine dell’azienda, che hanno maggiore sicurezza del posto di lavoro, buone
prospettive di carriera, diritto a livelli soddisfacenti di pensione, previdenza; 2) la periferia comprende

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due sottogruppi: a) formato da dipendenti a tempo pieno dotati di capacità ampiamente disponibili
sul mercato del lavoro, come impiegati, segretarie… caratterizzato da un’alta rotazione; b) assicura una
flessibilità numerica ancora maggiore e comprende i lavoratori part-time, occasionali e temporanei, a
contratto, con una sicurezza del poto di lavoro bassissima. In questa categoria di dipendenti, negli
ultimi anni, c’è stata una notevole crescita.

La flessibilità a volte può essere di reciproco vantaggio, ma gli effetti complessivi non sembrano positivi
per la popolazione. L’attuale tendenza consiste nel ridurre il numero dei lavoratori appartenenti al
nucleo e basarsi sempre più sulla forza-lavoro che può essere rapidamente reclutata e liquidata senza
costi.

La trasformazione nella struttura del mercato del lavoro ha portato cambiamenti importanti
nell’organizzazione industriale: il subappalto organizzato offre l’opportunità di creare piccole aziende,
sono così rinate forme di produzione “sfruttatrici”  economie in nero, informali o sommerse. I sistemi
di tipo paternalistico costituiscono un territorio pericoloso per l’organizzazione dei lavoratori perché
è più facile che il potere sindacale (se presente) si corrompa invece di riuscire a liberare i dipendenti dal
dominio del “padrino”. La coscienza di classe si sposta su un terreno molto più confuso di conflitti
interfamiliari e di lotte per il potere in un sistema di famiglie o clan.

Il passaggio all’accumulazione flessibile è stato contrassegnato da una rivoluzione nel ruolo delle donne
nei mercati del lavoro. È più facile sfruttare le capacità lavorative delle donne sulla base del tempo
parziale, e quindi sostituire gli uomini (meglio pagati e più difficili da licenziare) con le donne (pagate
meno).

Le economie di scopo hanno soppiantato le economie di scala.

Questi sistemi flessibili di produzione hanno permesso un’accelerazione nel ritmo dell’innovazione dei
prodotti e l’esplorazione di piccole e specializzate nicchie di mercato. Il tempo di rotazione del capitale
doveva essere drasticamente ridotto con l’uso di nuove tecnologie e nuove forme di organizzazione. E
anche il tempo di rotazione nei consumi doveva diminuire: la semivita di un tipico prodotto fordista era
di 5-7 anni, ma l’accumulazione flessibile in certi settori ha ridotto quel tempo a meno della metà e in
altri settori (videogiochi e software per computer) a 18 mesi.

L’accumulazione flessibile quindi è stata accompagnata da una maggiore attenzione alle mode mutevoli
e alla mobilitazione degli artifici della creazione di bisogni e della trasformazione culturale. L’estetica
relativamente stabile del fordismo ha lasciato il posto al fermento, all’instabilità, alle qualità fuggevoli di
un’estetica postmodernista che “celebra la differenza, la caducità, lo spettacolo, la moda e la
mercificazione delle forme culturali”.

C’è stata anche una crescita nell’occupazione del settore dei servizi a partire dai primi anni ’70.
L’espansione può essere in parte attribuita alla crescita del subappalto e delle attività di consulenza
(un tempo interne alle aziende). Inoltre il bisogno di accelerare il tempo di rotazione nei consumi ha
determinato una sorta di passaggio dalla produzione di beni alla produzione di eventi come gli
spettacoli. Tutto ciò ha accresciuto l’importanza di un’imprenditorialità “intelligente” e innovativa.

Deregulation = maggiore monopolizzazione in settori come il trasporto aereo, l’energia e i servizi


finanziari. L’accumulazione flessibile ha portato a massicce fusioni e diversificazioni aziendali. Sono
fiorite anche le piccole imprese, le strutture organizzative patriarcali e artigianali. Anche il lavoro
autonomo ha conosciuto una forte rinascita.

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L’organizzazione più rigorosa e l’implosione del centralismo sono state ottenute con due sviluppi
paralleli: 1) l’accesso alle informazioni e il loro controllo assieme ad una forte capacità di analisi
istantanea dei dati sono diventati fattori essenziali. Si conseguono grandi profitti proprio grazie ad un
accesso privilegiato alle informazioni. L’accesso al know- how scientifico e tecnico è sempre stato
importante nella lotta competitiva, ma in un mondo di gusti e bisogni che cambiano rapidamente,
l’accesso all’ultima novità tecnica, al prodotto più recente, fa conseguire un’importante vantaggio
competitivo. La conoscenza stessa diventa un bene fondamentale, da produrre e vendere al miglior
offerente. Inoltre diventa importante non solo il prodotto, ma anche l’immagine dell’azienda, non solo
per il marketing, ma anche per la raccolta di capitali; 2) completa riorganizzazione del sistema
finanziario mondiale e dall’emergere di poteri molto maggiori di coordinamento finanziario – c’è stato
un duplice movimento verso la formazione di conglomerati finanziari di grande potere mondiale, e una
rapida diffusione e un decentramento delle attività e dei flussi finanziari. La deregulation e
l’innovazione finanziaria sono condizioni di sopravvivenza per ogni centro finanziario.

La computerizzazione e le comunicazioni elettroniche hanno sottolineato l’importanza del


coordinamento internazionale istantaneo dei flussi finanziari.

Economia di carta = conquistare profitti senza darsi la pena di produrre qualcosa di reale.

Fuori dal controllo dei governi nazionali, questo mercato di denaro “senza stato” è cresciuto
enormemente. Il debito dei paesi del Terzo mondo è a sua volta sfuggito ad ogni controllo.

L’accumulazione flessibile guarda, più del fordismo, al capitale finanziario quale propria forza di
coordinamento. Le possibilità di crisi monetaria e finanziarie indipendenti e autonome sono maggiori
che nel passato. Il crollo del sistema fordista-keynesiano significava chiaramente uno spostamento di
poteri a vantaggio del capitale finanziario rispetto allo stato.

C’è stata una rapida riduzione dei costi dei trasporti e delle comunicazioni grazie all’uso dei container,
dei jet e delle comunicazioni via satellite. La dipendenza degli USA dal commercio estero è raddoppiata
in meno di 10 anni, portando rapidamente l’America da condizione di creditore netto a quella di
massimo paese debitore del mondo.

Da tutti questi mutamenti è conseguita una sostanziale ridistribuzione del reddito, di cui però hanno
beneficiato in gran parte le classi già privilegiate. L’imprenditorialità caratterizza ora non solo l’attività
economica, ma campi diversi come la gestione urbana, l’organizzazione del mercato del lavoro, la
ricerca e lo sviluppo, persino la vita accademica, letteraria e artistica.

Il più flessibile movimento del capitale sottolinea il nuovo, il fuggevole, l’effimero, il transitorio ed il
contingente nella vita moderna, anziché i più solidi valori espressi dal fordismo. Ma è in tempi di
frammentazione e incertezza economica che il desiderio di valori stabili porta ad un’enfatizzazione
dell’autorità delle istituzioni di base (famiglia, religione, stato). E fin dal 1970, in tutto il mondo
occidentale, ci sono chiari segni di una rinnovata adesione a queste istituzioni ed ai valori che esse
rappresentano.

VERSO UNA TEORIA DELLA TRANSIZIONE

Stiamo quindi assistendo ad una transizione storica. Vi è stato un cambiamento significativo nel
funzionamento del capitalismo a partire dal 1970. Dobbiamo quindi circoscrivere la natura dei
cambiamenti che stiamo considerando. L’accumulazione flessibile è ancora una forma di capitalismo,
quindi parecchie considerazioni di base di Marx rimangono valide:

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il capitalismo è orientato alla crescita, perché solo così possono essere garantiti i profitti e può essere
mantenuta l’accumulazione di capitale. La crisi è quindi un’assenza di crescita.

la crescita dipende dallo sfruttamento della forza-lavoro durante il processo produttivo, quindi
dipende dal divario fra quanto i lavoratori guadagnano e quanto creano. Il capitalismo si basa quindi su
un rapporto di classe tra capitale e lavoro, e la dinamica della lotta di classe per il controllo dei
lavoratori e dei salari è fondamentale.

il capitalismo è dinamico dal punto di vista tecnologico ed organizzativo, in quanto le leggi della
concorrenza spingono i capitalisti alla ricerca del profitto ad innovare continuamente.

Marx dimostrò che queste tre condizioni necessarie del capitalismo erano incoerenti e contraddittorie,
e che quindi esso era necessariamente esposto al pericolo di crisi. L’argomentazione marxista è che la
tendenza alla sovraccumulazione non può mai essere eliminata nel capitalismo. L’unica questione
riguarda il modo in cui questa tendenza può essere gestita:

la svalutazione delle merci, della capacità produttiva, del denaro rappresenta un modo per affrontare le
eccedenze di capitale: riduzione o annullamento del valore dei beni, cessione a prezzi stracciati di
scorte eccedentarie di beni. La forza lavoro viene analogamente svalutata o distrutta

controllo macroeconomico, con l’istituzionalizzazione di un sistema di regolazione – capacità di creare


un equilibrio di forze attraverso il quale i meccanismi responsabili del problema della
sovraccumulazione potevano essere tenuti sufficientemente sotto controllo

assorbimento della sovraccumulazione attraverso spostamenti spaziali e temporali – è l’opportunità più


vantaggiosa e duratura, ma anche più problematica:

lo spostamento temporale implica un diverso uso delle risorse o un’accelerazione nel tempo di
rotazione, tale

che un’accelerazione quest’anno possa assorbire l’eccesso dell’anno scorso. La capacità di fare ciò
dipende dalla capacità di formazione di capitale fittizio. Non sempre però questo metodo assorbe
l’eccedenza totalmente, e comunque è di solito un palliativo

lo spostamento spaziale implica l’assorbimento del capitale e della forza-lavoro eccedenti


mediante

un’espansione geografica. La “soluzione spaziale” implica quindi la creazione di nuovi spazi che
rendano possibile la produzione capitalistica. Anche questo metodo può essere solo una soluzione a
breve termine

lo spostamento spazio-temporale ha un doppio effetto, è sempre necessaria la formazione del capitale


fittizio, ma è la combinazione delle strategie temporali e spaziali ad avere la massima importanza

Ma come risolveva il fordismo il problema della sovraccumulazione? Esso era generalmente costretto a
ricorrere a forme selvagge di svalutazione. Fu soprattutto grazie allo spostamento spaziale e temporale
che il fordismo risolse il problema durante il boom postbellico.

L’accumulazione flessibile sembra quindi essere una semplice combinazione delle due strategie fondamentali di
acquisizione del profitto (plusvalore) descritte da Marx. La prima, relativa al plusvalore assoluto, è basata
sull’estensione della giornata di lavoro in relazione al salario necessario per garantire la riproduzione della classe
operaia ad un certo livello di vita. La seconda, plusvalore relativo, avvia dei cambiamenti organizzativi e tecnologici
che permettono il conseguimento di profitti temporanei. L’adozione di questa strategia porta in primo piano
l’importanza

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di una forza-lavoro estremamente specializzata, uno strato molto privilegiato e potente, in grado di comprendere e
gestire le nuove modalità di innovazione tecnologica e di orientamento al mercato.

ACCUMULAZIONE FLESSIBILE: TRASFORMAZIONE PERMANENTE O SOLUZIONE TEMPORANEA?

Harvey è incline a vedere la flessibilità raggiunta come una conseguenza della ricerca di soluzioni
finanziarie alla tendenza del capitalismo ad entrare in crisi. Ne derivano due conclusioni fondamentali:
1) se vogliamo cercare qualcosa di caratteristico nella situazione attuale, dobbiamo concentrarci sugli
aspetti finanziari dell’organizzazione capitalistica e sul ruolo del credito; 2) se ci deve essere una
stabilità, essa si potrà trovare nelle nuove soluzioni temporali e spaziali. L’accumulazione flessibile deve
essere considerata una combinazione particolare e forse nuova di elementi prevalentemente vecchi
all’interno della logica complessiva dell’accumulazione di capitale.

PARTE III – L’ESPERIENZA DELLO SPAZIO E DEL TEMPO

INTRODUZIONE

Lo spazio e il tempo sono categorie fondamentali dell’esistenza umana. Nella società moderna, molti
diversi sensi del tempo sono collegati. Eventi ciclici e ripetitivi danno un senso di sicurezza in un mondo
in cui il movimento generalizzato del progresso sembra dirigersi continuamente in avanti e verso l’alto
nel firmamento dell’ignoto. Da sensi del tempo così diversi tra loro possono nascere dei conflitti.

Anche lo spazio viene considerato un fatto naturale, ma più complesso del tempo; solitamente
consideriamo lo spazio un attributo oggettivo delle cose. Diverse società o diversi gruppi sociali
possiedono diverse concezioni dello spazio. Eppure è diffuso il senso di un significato sovrastante e
obiettivo dello spazio che tutti dobbiamo riconoscere.

È importante contestare l’idea che esista un unico e obiettivo senso del tempo e dello spazio sulla base
del quale misurare la diversità delle concezioni e delle percezioni umane. Bisogna riconoscere la
molteplicità delle qualità oggettive che lo spazio e il tempo possono esprimere e il ruolo dei
comportamenti umani nella loro costruzione. Né al tempo né allo spazio possono essere assegnati
significati oggettivi indipendenti dai processi materiali (prospettiva materialistica). Ciascun modo
distintivo di produzione o di formazione sociale farà propria una precisa serie di comportamenti e
concetti relativi allo spazio e al tempo.

Le teorie sociali ipotizzano l’esistenza di un ordine spaziale preesistente in cui operano i processi
temporali, oppure ritengono che le barriere spaziali si siano ridotte a tal punto da rendere lo spazio un
aspetto contingente e non fondamentale dell’azione umana. La teoria sociale è sempre concentrata sui
processi di cambiamento sociale, modernizzazione e rivoluzione, perché il progresso comporta la
conquista dello spazio, l’abbattimento di tutte le barriere spaziali, fino all’«annullamento dello spazio
attraverso il tempo».

La teoria estetica invece, si preoccupa della «spazializzazione del tempo», cerca le norme che
permettono di trasmettere verità eterne e immutabili nel mezzo del vortice del fluire e del
cambiamento. Ogni sistema di rappresentazione è una spazializzazione che automaticamente congela
il flusso dell’esperienza.

L’architettura, secondo Harries, non è solo un addomesticamento dello spazio, il creare e plasmare
un luogo vivibile nello spazio, ma è anche una forte difesa contro il “terrore del tempo”. Creare un
oggetto bello significa legare il tempo all’eternità, in modo tale da liberarci dalla tirannia del tempo.

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Gran parte dell’impulso estetico del modernismo consiste nel lottare per questo senso di eternità in
mezzo al fluire.

Ma il mezzo di rappresentazione più ovvio era il cinema: proprio il sconfinamento del cinema su uno
schermo senza profondità ci ricorda che anch’esso è limitato nello spazio.

Kant  se il giudizio estetico predilige lo spazio al tempo, allora le pratiche ed i concetti spaziali
possono diventare fondamentali per l’azione sociale. Heidegger affermava invece la permanenza
dell’Essere rispetto alla transitorietà del Divenire.

È importante unire le prospettive della teoria estetica e della teoria sociale riguardo la natura e al
significato dello spazio e del tempo.

SPAZI E TEMPI INDIVIDUALI NELLA VITA SOCIALE

Individui = agenti motivati impegnati in progetti che consumano tempo tramite il movimento nello
spazio.

Biografie individuali = percorsi di vita nella spazio-temporalità, a partire dalle routines quotidiane del
movimento fino ai movimenti migratori che occupano fasi della vita. Risorse temporali finite e l’attrito
della distanza limitano i movimenti quotidiani: si deve trovare il tempo per mangiare, dormire, ecc. e i
progetti sociali trovano sempre dei “limiti di accoppiamento”, definiti come la necessità di intersecare i
percorsi spazio-temporali di due o più individui per completare una transazione sociale. Queste
transazioni avvengono all’interno di una modalità geografica di “stazioni” disponibili e “campi” dove
prevalgono certe interazioni sociali.

Focault considera lo spazio del corpo quale elemento irriducibile, perché è su quello spazio che si
applicano le forze della repressione, della socializzazione, della disciplina e della punizione. Il corpo
esiste nello spazio e deve sottomettersi all’autorità, o ritagliarsi spazi di resistenza e libertà in un
mondo altrimenti repressivo. L’irriducibilità del corpo umano significa che è solo da quel luogo di
potere che si può mobilitare la resistenza nella lotta per liberare il desiderio umano.

De Certeau invece, ritiene che gli spazi sociali siano più aperti alla creatività e all’azione umana. L’attività
del camminare definisce uno “spazio di enunciazione”. I particolari spazi della città sono creati da una
miriade di azioni, ciascuna delle quali porta il segno dell’intenzione umana. Gli spazi possono essere
“liberati” più facilmente di quanto Focault immagini, proprio perché le pratiche sociali si spazializzano e
si localizzano in una rete repressiva di controllo sociale.

Bordieau sottolinea come le forme temporali o le strutture spaziali strutturano non solo le
rappresentazioni del mondo del gruppo, ma il gruppo stesso, che si ordina secondo la
rappresentazione. Bordieau dimostra come tutte le divisioni del gruppo sono proiettate in ogni
momento nell’organizzazione spazio-temporale che assegna a ogni categoria il suo luogo e il suo
tempo. È attraverso il rapporto dialettico tra corpo e organizzazione struttura di spazio e tempo che si
determinano le pratiche e le rappresentazioni comuni. L’organizzazione dello spazio in una casa, ad es.,
dice molto riguardo le relazioni fra persone diverse per sesso ed età. I ritmi spazio-temporali organizzati
dal capitalismo offrono abbondanti opportunità per l’adattamento degli individui a ruoli specifici. È
ancora diffusa la nozione comune secondo cui

«vi è un tempo e un luogo per ogni cosa». La modernizzazione comporta il perpetuo sconvolgimento
dei ritmi spazio- temporali, e una delle missioni del modernismo è la produzione di nuovi significati per
lo spazio ed il tempo in un mondo di caducità e frammentazione.

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Nel contesto dei comportamenti specifici, l’organizzazione dello spazio può effettivamente definire i
rapporti tra persone, attività, cose e concetti.

«Lo spazio racchiude e contiene il tempo: lo spazio serve a questo scopo». E lo spazio fondamentale
per la memoria è la casa, uno dei più potenti elementi di integrazione per i pensieri, i ricordi e i sogni
dell’uomo. Perché è in quello spazio che abbiamo imparato a sognare e a immaginare. Il tempo infatti
è sempre memorizzato non come fluire, ma sotto forma di ricordi di luoghi e spazi di cui si è avuta
esperienza. L’immagine spaziale acquista allora un forte potere sulla storia.

Le pratiche spazio-temporali sono anche strettamente legate ai processi di riproduzione e


trasformazione delle relazioni sociali. Infatti la storia dei cambiamenti sociali è in parte la storia di spazio
e tempo.

Griglia di “pratiche spaziali” di Lefebvre:

dimensione di cui si è pratiche spaziali si riferiscono ai flussi, ai trasferimenti e alle interazioni di


fatta esperienza materiali ordine

fisico e materiale che avvengono nello spazio e attraverso lo


spazio in modo da assicurare la produzione e la riproduzione
sociale

dimensione percepita rappresentazioni dello comprendono tutti i segni e i significati, i codici e la conoscenza,
spazio che permettono a tali pratiche materiali di essere discusse e
comprese

dimensione spazi di sono invenzioni mentali che immaginano nuovi significati o


nuove
immaginata rappresentazione
possibilità per le pratiche spaziali

Gli spazi di rappresentazione quindi possono non solo influenzare la rappresentazione, ma anche
fungere da forza produttiva materiale rispetto alle pratiche sociali. L’anello di collegamento è il
concetto di habitus, un principio permanente generativo di improvvisazioni regolate che produce
pratiche che a loro volta tendono a riprodurre le condizioni oggettive che avevano all’inizio prodotto
l’habitus. Il rapporto causale circolare è ovvio. Ci sono anche altri 4 aspetti della pratica spaziale, non
indipendenti l’una dall’altra:

distanza – è al tempo stesso un ostacolo e una difesa nei confronti dell’interazione umana, impone
costi di transazione a ogni sistema di produzione e riproduzione

appropriazione e uso dello spazio – considera il modo in cui lo spazio viene occupato dagli oggetti,
dalle attività, dagli individui, dalle classi o da altri gruppi sociali

dominio e controllo dello spazio – riflette i modi in cui gli individui dominano l’organizzazione e la
produzione dello spazio con mezzi legali o extra-legali

produzione di spazio – considera i modi in cui vengono prodotti nuovi sistemi di uso del suolo, e i
modi in cui nascono nuove tipologie di rappresentazione

Le pratiche spaziali traggono la loro efficacia nella vita sociale solo dalla struttura delle relazioni
sociali in cui esse entrano in gioco. Ciò non significa sostenere che le pratiche spaziali nascono dal
capitalismo. Esse assumono i loro significati nell’ambito di specifiche relazioni sociali fra le classi, i sessi,
le comunità, i gruppi etnici o le razze, e vengono consumate o elaborate nel corso dell’azione sociale.

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Secondo Gurvitch, particolari formazioni sociali sono associate ad uno specifico senso del tempo. Egli fa
una classificazione degli otto tipi di tempo esistiti nella storia. Così facendo, rovescia l’affermazione
secondo cui c’è un tempo per ogni cosa e propone invece di considerare come ogni relazione sociale
abbia il proprio senso del tempo:

tipo livello tipo livello

1) tempo ecologico 5) tempo ritardato simboli sociali

durevole

2) tempo società organizzata 6) tempo alternante norme, segnali, segni e

ingannevole comportamento collettivo

3) tempo ruoli sociali, atteggiamenti 7) tempo in anticipo su trasformazione collettiva e


irregolare se stesso innovazione
collettivi (moda) e combinazioni
tecniche

4) tempo unioni mistiche 8) tempo esplosivo fermento rivoluzionario e


creazione
ciclico
collettiva

Il tempo e lo spazio non possono essere compresi indipendentemente dall’azione sociale: i rapporti di
potere sono sempre coinvolti nelle pratiche spaziali e temporali.

14. TEMPO E SPAZIO QUALI FONTI DI POTERE SOCIALE

Il controllo dello spazio è una fonte fondamentale e onnipresente di potere sociale nella e sulla vita
quotidiana. La misurazione del tempo è un segno di ritrovata creatività e un agente e un catalizzatore
dell’uso della conoscenza per la ricchezza e il potere. Il denaro può essere usato per controllare il
tempo e lo spazio, e viceversa, il controllo del tempo e dello spazio può essere trasformato in controllo
del denaro.

Coloro che definiscono le pratiche materiali, le forme, i significati del denaro, del tempo e dello
spazio, fissano certe regole fondamentali del gioco sociale, che hanno un’importanza non trascurabile
per il mantenimento del potere politico. Ma questo non vuol dire che essi vincono sempre. L’egemonia
ideologica e politica in ogni società dipende dalla capacità di controllare il contesto materiale
dell’esperienza personale e sociale. Il problema consiste nel comprendere i processi sociali con cui
vengono stabilite le qualità oggettive di spazio, tempo e denaro.

Altra questione riguarda come le pratiche e i “discorsi” spaziali e temporali ben consolidati vengono
“consumati” ed “elaborati” nell’azione sociale. I mutamenti nelle qualità oggettive dello spazio e del
tempo possono essere realizzati, e spesso è così, attraverso la lotta sociale.

I rapporti tra denaro, tempo e spazio sono fonti collegate di potere sociale. Il denaro misura il valore,
rappresenta il tempo del lavoro sociale. Poiché il commercio e gli scambi comportano movimenti nello
spazio, è il tempo richiesto da questi movimenti che ha insegnato al mercante a dare un prezzo, cioè la
stessa forma di denaro, al tempo di lavoro. La progressiva monetizzazione dei rapporti nella vita sociale
trasforma le qualità di tempo e spazio. La definizione di «un tempo e uno spazio per ogni cosa» cambia
e costituisce un nuovo quadro per promuovere nuovi tipi di rapporti sociali.

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Le ore uguali nelle città annunciavano la vittoria di un nuovo ordine culturale ed economico.
Analogamente, la rappresentazione cartografica del mondo portò a vedere lo spazio come un
qualcosa di cui impadronirsi per usi privati. La cartografia risultò poi anche essere tutt’altro che
neutrale: le potenze dinastiche dovevano infatti inaugurare la rappresentazione razionale di spazio e
tempo che sosteneva il potere di quella classe (mercanti) che li avrebbe infine sostituiti. Il costo
dell’ignoranza cartografica era così ingente che l’incentivo a ottenere buone mappe superava ogni
possibile riserva.

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Le qualità di spazio e tempo possono derivare dal perseguimento di obiettivi monetari. Se il denaro non
ha alcun significato indipendente dal tempo e dallo spazio, allora è sempre possibile perseguire il
profitto modificando i modi in cui spazio e tempo vengono usati e definiti. Il tempo di produzione e
quello di circolazione dello scambio rappresentano il concetto di tempo di rotazione del capitale.
quanto più rapidamente si recupera il capitale mandato in circolazione, tanto maggiore sarà il profitto.
Le definizioni di organizzazione spaziale efficiente e di tempo di rotazione socialmente necessario
sono norme fondamentali sulle quali si misura il conseguimento del profitto. Il capitalismo è stato
sempre caratterizzato da continui sforzi per accelerare i tempi medi di rotazione. Ci sono però molti
ostacoli a questa tendenza, e c’è tutta una storia di innovazioni tecniche ed organizzative applicate al
ridimensionamento di questi ostacoli. È in questo contesto che l’adattabilità e la flessibilità dei
lavoratori sono fondamentali per lo sviluppo capitalistico: gli accelerati processi di
distruzione/ricostruzione delle abilità dei lavoratori sono stati basilari nel passaggio dal fordismo
all’accumulazione flessibile.

L’effetto complessivo della modernizzazione capitalistica riguarda quindi soprattutto l’accelerazione del
ritmo di produzione e perciò della vita sociale. Ma questa tendenza è discontinua e soggetta a crisi
periodiche, perché l’introduzione di nuovi sistemi deve attendere o la conclusione della vita naturale
della fabbrica e del lavoratore o attuare un processo di “distruzione creativa” che però comporta
perdita di valore anche per il capitalista. Le modernizzazioni quindi sono più frequenti nei periodi di
crisi.

È il controllo del tempo del lavoro degli altri che dà ai capitalisti il potere iniziale per appropriarsi del
profitto. «I lavoratori di fabbrica […] avevano imparato la lezione, che il tempo è denaro, fin troppo
bene» (Thompson). Tentativi di accelerare o intensificare i processi produttivi causano scontri accesi tra
lavoratori e datori di lavoro. Questi ultimi cercano un controllo indiretto sui tempi di produzione
tramite catena di montaggio, robotizzazione e sistemi di controllo automatizzati. Il ritmo di lavoro
quotidiano è determinato dal profitto e non dalla costruzione di orari di lavoro più umani (ad es. i
centralinisti dell’AT&T devono per contratto rispondere ad una chiamata ogni 28sec, i lavoratori
della catena di montaggio spesso finiscono col darsi all’alcool o alla droga). Non è facile trovare un
equilibrio nel rapporto di forza tra le classi.

Analoghi sono i processi per quanto riguardo lo spazio. L’incentivo a creare il mercato mondiale,
ad annullare lo spazio attraverso il tempo è onnipresente, così come l’incentivo a razionalizzare
l’organizzazione spaziale in configurazioni efficienti di produzione, reti di circolazione e consumo. Le
innovazioni dedicate alla rimozione delle barriere spaziali sono state importantissime per il capitalismo.
Esse possono essere ridimensionate solo con la produzione di spazi particolari (ferrovie, autostrade…),
e inoltre barriere spaziali adeguate in un certo momento possono non esserlo in uno successivo. Il
controllo dello spazio è sempre stato un aspetto fondamentale della lotta di classe (e all’interno delle
classi). Il dominio delle reti e degli spazi di marketing è un obiettivo aziendale basilare, e per conquistare
quote di mercato si combattono dure lotte. Un’accurata informazione geografica in tali lotte diventa
un bene necessario. La capacità di influenzare la produzione di spazio è un mezzo importante per
accrescere il potere sociale. Coloro che possono influenzare la distribuzione spaziale, spesso ottengono
ricompense materiali. Essi possono sempre controllare anche la politica del luogo, anche se per
controllare lo spazio, bisogna avere prima di tutto il controllo di un qualche luogo specifico.

L’accumulazione dà ai capitalisti i mezzi per l’espansione, e la scelta è tra espandersi in loco o aprire un’altra
sede altrove.

La capacità di unire i lavoratori in un’azione concertata nello spazio è sempre stata una variabile
importante nella lotta di classe. È ciò che fece la Prima Internazionale, unendo in un’unica causa i
lavoratori di molte nazioni e trasferendo fondi e materiali da un’area all’altra. I movimenti della classe

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operaia infatti sono più efficaci nell’organizzazione e controllo dei luoghi piuttosto che
nell’organizzazione e controllo dello spazio (che è invece detenuto dalla borghesia).

Se lo spazio è davvero un sistema di “contenitori” di potere sociale, come dice Focault, allora
l’accumulazione di capitale decostruisce perennemente quel potere sociale rimodellandone le basi
geografiche. Quindi ogni lotta per ricostituire le relazioni di potere è una lotta per riorganizzare le loro
basi spaziali.

Le pratiche spaziali e temporali non sono mai neutrali verso gli aspetti sociali: esprimono sempre un
certo contenuto di classe o sociale di altra natura. Il tempo e lo spazio si definiscono con
l’organizzazione di pratiche sociali fondamentali per la produzione di beni. Ma la forza dinamica
dell’accumulazione di capitale e le condizioni della lotta sociale rendono i rapporti instabili. Perciò
nessuno sa esattamente quale possa essere «il tempo e il luogo giusto per ogni cosa». Parte dell’incertezza che
tormenta il capitalismo emerge dall’instabilità nei principi spaziali e temporali attorno ai quali si organizza la vita
sociale. Nelle fasi di massimo cambiamento, le basi spaziali e temporali per la riproduzione dell’ordine sociale
sono soggette ad uno sconvolgimento assoluto. 15. TEMPO E SPAZIO NEL PROGETTO ILLUMINISTICO

Compressione spazio-temporale = processi che rivoluzionano le qualità oggettive dello spazio e del
tempo in modo da costringerci a modificare i modi con cui rappresentiamo il mondo a noi stessi.

La storia del capitalismo è stata caratterizzata da un’accelerazione nel ritmo della vita, con relativo
superamento delle barriere spaziali, che il mondo a volte sembra far precipitare sopra di noi. Mentre lo
spazio sembra rimpicciolirsi sino a diventare un “villaggio globale” delle telecomunicazioni, e mentre
gli orizzonti temporali si accorciano fino al punto in cui il presente è tutto ciò che c’è, dobbiamo
imparare a venire a patti con un travolgente senso di compressione.

Analizziamo ora la compressione da un punto di vista storico: la lunga transizione che aprì la via alla
riflessione illuministica sullo spazio e sul tempo.

Nei mondi relativamente isolati del feudalesimo, l’organizzazione spaziale rifletteva una confusa
sovrapposizione di obblighi e diritti economici, politici e legali. Lo spazio esterno era concettualizzato
come cosmologia misteriosa popolata da una qualche autorità. Le qualità finite del luogo
corrispondevano alle antiche routines della vita quotidiana. Il progresso della monetizzazione e dello
scambio di merci cambiarono le cose. Il Rinascimento vide una ricostruzione delle concezioni di spazio
e tempo nel mondo occidentale. I viaggi fecero diventare la conoscenza geografica un bene prezioso.
L’accumulazione di ricchezza, potere e capitale si legò alla conoscenza personalizzata e al controllo
individuale dello spazio. Ogni luogo, attraverso il commercio, divenne vulnerabile. Ma la rivoluzione nei
concetti di spazio e tempo si svolse lentamente. Evento straordinario del Rinascimento furono le regole
della prospettiva elaborate nella Firenze della metà del XV secolo. Il punto di vista fisso di mappe e
dipinti in prospettiva genera un senso dello spazio “freddamente geometrico” e “sistematico” che però
assicura l’armonia con le leggi naturali, sottolineando la responsabilità morale umana nell’universo
divino geometricamente ordinato. Un concetto di spazio infinito permetteva di cogliere il mondo come
totalità finita senza sfidare l’infinita saggezza della divinità. L’orologio fu analogamente reso
compatibile con l’infinita saggezza di Dio con l’attribuzione al tempo di qualità analoghe a quelle
spaziali. L’idea del tempo come “divenire” era separata dal senso scientifico del tempo che poggiava
su un concetto di infinità, preferito per

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motivi religiosi. La prospettiva concepisce il mondo dal punto di vista dell’«occhio vedente»
dell’individuo. Pone l’accento sulla capacità dell’uomo di rappresentare ciò che vede come qualcosa di
veritiero. Il legame tra individualismo e prospettiva è importante. L’obiettività nella rappresentazione
spaziale divenne una qualità di gran pregio perché la precisione della navigazione, la determinazione
dei diritti di proprietà della terra divennero imperativi economici e politici. Fu l’importazione della
mappa Tolemaica («strumento cartografico perfetto») ad avere un ruolo basilare nell’uso della
prospettiva nel Rinascimento. Tolomeo aveva immaginato come il mondo sarebbe apparso ad un
occhio umano che lo vedesse dall’esterno. Ciò ebbe due implicazioni: 1) la capacità di vedere il globo
come totalità conoscibile; 2) lo spazio, per quanto infinito, è conquistabile e limitabile ai fini
dell’occupazione e dell’azione umana. La prospettiva permise la sostituzione delle strutture gotiche con
edifici concepiti e costruiti su progetti unitari fatti su misura; e il contributo che le mappe rinascimentali
fornirono all’individualismo, al nazionalismo e alla democrazia parlamentare fu notevolissimo.

La rivoluzione rinascimentale dei concetti di spazio e tempo gettò le basi concettuali del progetto
illuministico. Il controllo della natura era condizione necessaria dell’emancipazione umana. La
conquista e l’ordinamento dello spazio divenivano parte integrante del progetto di modernizzazione.
Lo spazio e il tempo dovevano essere organizzati non per riflettere la gloria di Dio, ma per celebrare e
facilitare la liberazione dell’Uomo quale individuo libero e attivo, dotato di coscienza e volontà. Doveva
emergere un nuovo paesaggio.

Gli illuministi spinsero al limite i concetti di spazio e tempo. Mappe e orologi erano strumenti essenziali
nella visione illuministica di come si dovesse organizzare il mondo. Le mappe erano sistemi astratti e
strettamente funzionali per l’ordinamento concreto dei fenomeni nello spazio, erano descrizioni
matematicamente rigorose. Definivano i diritti di proprietà della Terra, i limiti territoriali, ecc., e
permettevano pure di situare l’intera popolazione della Terra in un unico quadro di riferimento spaziale.
Veniva così accettata la diversità dei popoli, e apprezzata e analizzata nella certezza di conoscere in
modo non ambiguo il loro luogo nell’ordine spaziale. La visione totalizzante della mappa permise anche
di costruire un forte senso di identità nazionale, locale e personale.

Anche il tempo era concepito come totalizzante e lineare all’interno di un movimento “avanti e
indietro”. Il pensiero illuministico operava entro i confini di una visione “newtoniana” piuttosto
meccanica dell’universo. Il crollo di queste concezioni assolute sotto il peso della compressione spazio-
temporale è la storia fondamentale della nascita delle forme di modernismo di ‘800 e ‘900.

De Certeau critica la mappa quale “strumento totalizzante”. La mappa è in effetti una forma di
omogeneizzazione degli itinerari e delle storie spaziali; essa elimina tutte le tracce delle pratiche che
la producono. «Come la mappa sostituisce lo spazio discontinuo e irregolare delle strade concrete con
lo spazio continuo e omogeneo della geometria, così il calendario sostituisce con un tempo lineare,
omogeneo e continuo il tempo concreto che è fatto di isole di durata incommensurabile, ciascuna col
proprio ritmo». La conquista e il controllo dello spazio richiedono che esso sia concepito come un
qualcosa di utilizzabile, malleabile e quindi dominabile tramite l’azione umana. La prospettiva e la
cartografia basata su principi matematici andavano proprio in quella direzione. Ma ci voleva anche la
proprietà privata della terra e la compravendita di uno spazio trattato come merce per consolidare
nella pratica sociale l’uso dello spazio universale, omogeneo, obiettivo e astratto. Lefebvre osserva che
uno dei modi in cui si può raggiungere l’omogeneità dello spazio è la sua totale polverizzazione e
frammentazione in parti di proprietà privata che possono essere acquistate e scambiate a piacere sul
mercato.

Non solo è necessaria la produzione di uno spazio specifico, fisso e immobile per perseguire
l’annullamento dello spazio attraverso il tempo, ma sono anche necessari investimenti a lungo termine
con un lungo tempo di rotazione per accelerare il tempo di rotazione della massa di capitali. La
compressione spazio-temporale è un segno dell’intensità delle forze all’opera in questo nodo di
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contraddizione e potrebbe essere vero che le crisi di sovraccumulazione e delle forme culturali e
politiche sono strettamente connesse a tali forze.

Fu contro la razionalizzazione pratica dello spazio e del tempo che reagì il modernismo con la sua
seconda grande svolta dopo il 1848.

LACOMPRESSIONESPAZIO-TEMPORALE:L’EMERGEREDELMODERNISMOQUALEFORZACULTURALE

La depressione che partì dalla Gran Bretagna nel 1846-47 fu la prima evidente crisi di
sovraccumulazione capitalistica, che provocò un’improvvisa paralisi dell’economia. C’erano tante
spiegazioni della crisi quante erano le posizioni di classe. La tesi di Harvey è che la crisi del 1847-48
creò una crisi di rappresentazione che derivava da un cambiamento nel senso del tempo e dello spazio
nella vita economica, politica e culturale. Gli eventi del 1847-48 intaccarono anche le certezze riguardo
la natura dello spazio e al significato del denaro. La certezza di uno spazio e di un luogo assoluti lasciò il
posto all’insicurezza di uno spazio relativo mutevole, nel quale gli eventi di un luogo potevano avere
effetti immediati e ramificati in parecchi altri luoghi. «La verità dell’esperienza non coincide più con il
luogo in cui essa avviene», ma abbraccia gli spazi del mondo. Perciò se l’esperienza individuale è
autentica, allora non può essere vera. Poiché l’esperienza individuale forma sempre la materia prima
delle opere d’arte, ciò metteva in crisi la produzione artistica.

Lo spazio europeo si stava unificando sempre più proprio a causa dell’internazionalismo del potere
del denaro. Il 1847- 48 determinò una crisi finanziaria e monetaria che sfidava seriamente le vecchie
idee sul significato e sul ruolo del denaro nella vita sociale. La tensione tra le funzioni del denaro quale
misura e deposito del valore, e del denaro quale lubrificante degli scambi e degli investimenti era da
tempo evidente. Il sistema creditizio crollò causando una scarsità di denaro reale e di moneta nel 1847-
48. La tensione tra credito e moneta modificava il significato del tempo. Tutti questi mutamenti
crearono una crisi di rappresentazione. Si ebbe una rottura radicale del sentimento culturale che
rifletteva un profondo interrogarsi sul significato dello spazio e del luogo, del presente, del passato e
del futuro, in un mondo caratterizzato dall’insicurezza e da orizzonti spaziali in rapida espansione.

Nuovi sistemi creditizi e forme aziendali di organizzazione e di distribuzione, insieme con le innovazioni
tecniche e organizzative nella produzione, contribuirono ad accelerare la circolazione del capitale nei
mercati di massa. Il capitalismo si trovò immischiato in una fase di massicci investimenti a lungo
termine nella conquista dello spazio (espansione della rete ferroviaria, avvento del telegrafo,
navigazione a vapore, canale di Suez, comunicazione via radio, viaggi in bicicletta e in automobile).
Nuovi modi di vedere lo spazio e il movimento iniziarono ad essere elaborati e applicati alla produzione
dello spazio urbano (pallone aerostatico, fotografia aerea). La carta del dominio degli spazi mondiali
cambiò sino ad essere irriconoscibile fra il 1850 e il 1914. Marshall giunse a dire che l’influenza del tempo
è più fondamentale di quella dello spazio nella vita economica.

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Il periodo 1910-1914 è quello che molti storici del modernismo considerano cruciale nell’evoluzione del
pensiero modernista. Il tempo pubblico stava diventando sempre più omogeneo ed universale
attraverso lo spazio  oltre 38 miliardi di telefonate fatte negli USA nel 1914, De Chirico che inserisce
orologi ovunque nei suoi quadri. Ortega y Gasset formulò una nuova versione della teoria del
prospettivismo nel 1910, secondo la quale «c’erano nella realtà tanti spazi quante erano le prospettive
su di essa» e «ci sono tante realtà quanti punti di vista». Questo solo per rendere il senso della
confusione che dominava il pensiero sociale e culturale nel periodo 1910-14. Gli spazi del corpo, della
coscienza, della psiche potevano essere liberati solo con l’organizzazione razionale dello spazio e del
tempo esteriori. Gli artisti e gli scrittori modernisti dipingevano per i musei o scrivevano per le
biblioteche proprio perché lavorare in tal modo permetteva loro di superare i limiti del loro luogo e
del loro tempo.

L’identità del luogo fu riaffermata in mezzo alle crescenti astrazioni dello spazio. Questa tendenza a
privilegiare la spazializzazione del tempo (Essere) rispetto all’annullamento dello spazio tramite il
tempo (Divenire) è coerente con gran parte di ciò che il postmodernismo oggi esprime. Il
modernismo esplorò la dialettica del luogo rispetto allo spazio, del presente rispetto al passato, in
molti modi diversi. Esso esplorava anche nuovi significati di spazio e luogo in modi che rafforzavano
l’identità locale. La fedeltà al luogo ha la meglio sulla fedeltà di classe, e spazializza l’azione politica.
Ciascuno orientava la propria risposta verso un interesse nazionale, e così facendo ammetteva il diritto
di un particolare popolo di controllare il suo proprio spazio e, se imposto da ragioni di sopravvivenza,
bisogno o certezze morali, il diritto di espandersi.

Se il modernismo affermò sempre, con grande evidenza, i valori dell’internazionalismo e


dell’universalismo, esso non riuscì mai però a fare i conti col provincialismo e il nazionalismo.

Questi due modi, internazionalista e localista, di affrontare i fenomeni della compressione spazio-
temporale si scontrarono violentemente nella guerra del 1914-18.

Il modernismo “eroico” dopo il 1920 può essere interpretato come un’ostinata lotta della sensibilità
universalista contro la sensibilità localista. L’eroismo derivava dal tentativo intellettuale ed artistico di
affrontare e dominare la crisi nell’esperienza dello spazio e del tempo che si era sviluppata prima
della 1° guerra mondiale. Il benessere come obiettivo fu sempre presente nella retorica del
modernismo nel periodo tra le due guerre. Il problema consisteva nel trovare le condizioni pratiche
e le risorse finanziarie per realizzare un tale obiettivo. I travagli del modernismo erano anche
interni: esso non riuscì mai a sfuggire al problema della sua stessa estetica quale forma di
spazializzazione. Non era facile risolvere il problema di come contenere processi mobili e in espansione
in un quadro spaziale fisso di relazione di potere e infrastrutture. Il risultato fu un sistema sociale
troppo incline a quel tipo di distruzione creativa.

Furono alla fine l’estetizzazione della politica e il potere del capitale monetario a trionfare su un
movimento estetico che aveva mostrato come la compressione spazio-temporale poteva essere
controllata e affrontata razionalmente.

L’opposizione tra Essere e Divenire è fondamentale nella storia del modernismo , e deve essere vista
come una tensione tra il senso del tempo e lo spazio.

La mutevole esperienza dello spazio e del tempo aveva molto a che vedere con la nascita del
modernismo. Il postmodernismo è una sorta di risposta ad una nuova serie di esperienze dello spazio e
del tempo, a una nuova fase di “compressione spazio-temporale”.

LA COMPRESSIONE SPAZIO-TEMPORALE: LA CONDIZIONE POSTMODERNA

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In questi ultimi 20 anni abbiamo conosciuto un’intensa fase di compressione spazio-temporale. Il
passaggio verso l’accumulazione flessibile si compì in parte con la rapida messa a punto di nuove
forme organizzative e nuove tecnologie di produzione. Per i lavoratori ciò ha significato
un’intensificazione dei processi produttivi e un’accelerazione nei processi di dequalificazione e
riqualificazione.

L’accelerazione del ciclo di produzione implica una parallela accelerazione negli scambi e nel consumo.
La circolazione di merci attraverso il sistema di mercato avviene ora ad una velocità maggiore grazie ai
migliori sistemi di comunicazione, al flusso delle informazioni, ecc. L’electronic banking e le carte di
credito sono state alcune delle innovazioni che hanno aumentato la velocità del flusso inverso del
denaro. La mobilitazione della moda nei mercati di massa (e non di élite) ha permesso di accelerare il
ritmo del consumo non solo nel settore dell’abbigliamento, dell’ornamento e della decorazione, ma in
tutta una serie di stili di vita e attività ricreative. Inoltre c’è stato il passaggio dal consumo di beni al
consumo di servizi. La “vita” dei quali è molto più breve di quella di un’auto o di una lavatrice. Se vi
sono limiti all’accumulazione e alla rotazione di beni concreti, allora ha un senso per i capitalisti
dedicarsi alla fornitura di servizi al consumo molto effimeri. Conseguenze sono state: 1) accelerazione
nei tempi di rotazione del capitale; 2) accentuazione della fuggevolezza e della caducità delle mode, dei
prodotti; 3) maggiore importanza attribuita alle virtù e ai valori dell’istantaneità e dell’eliminabilità. La
dinamica di una società usa e getta divenne evidente durante gli anni ’60: significava buttare via valori,
stili di vita, relazioni stabili, e l’attaccamento alle cose, agli edifici, ai luoghi, alle persone, ai modi
ereditari di fare e di essere.

Imparare a gestire la volatilità è ora importante quanto accelerare il tempo di rotazione. Ciò significa
essere estremamente flessibili e rapidi nel rispondere ai cambiamenti de mercato, o pianificare la
volatilità. Ciò comporta la manipolazione del gusto e delle opinioni: lo si può fare se si è un leader
nel campo della moda oppure saturando il mercato con immagini tali da modellare la volatilità per fini
particolari. È necessario quindi un nuovo sistema di segni e di immagini. Le immagini della pubblicità e
dei media hanno assunto un notevole ruolo di integrazione nelle pratiche culturali. La pubblicità è
sempre più indirizzata alla manipolazione dei desideri e dei gusti. Inoltre le immagini stesse sono
diventate merci: il capitalismo si occupa ora prevalentemente della produzione di segni, immagini,
sistemi di segni, piuttosto che della produzione di merci. La concorrenza nella costruzione
dell’immagine è un aspetto cruciale della competizione tra aziende. Il successo è così chiaramente
redditizio che l’investimento nella costruzione dell’immagine è importante come l’investimento in nuovi
stabilimenti e impianti. L’immagine serve a stabilire un’identità sul mercato. L’accumulazione può
procedere almeno in parte sulla base della pura produzione e commercializzazione di immagine. Tutta
questa industria (definita “massa culturale” da Bell) si specializza nell’accelerazione del tempo di
rotazione tramite la produzione e la commercializzazione di immagini. Essa organizza i capricci e le
mode, producendo proprio quella transitorietà fondamentale per la modernità.

Maggiore la fuggevolezza, maggiore la necessità di scoprire o produrre qualche verità eterna che
possa trovarvi posto. La rinascita religiosa, la ricerca di autenticità ed autorità in politica, il
rinnovato interesse per le istituzioni di base (famiglia, comunità) sono segni della ricerca di ormeggi
più sicuri e di valori più duraturi in un mondo che cambia. La casa diviene un museo privato che
difende dagli oltraggi della compressione spazio-temporale.

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L’immagine di luoghi e spazi è, come qualsiasi altra immagine, aperta alla produzione e all’uso
effimero. È un’altra fase di quel processo di annullamento dello spazio tramite il tempo che è sempre
stato al centro della dinamica del capitalismo. Ma il crollo delle barriere spaziali non significa che stia
diminuendo l’importanza dello spazio. Anzi, diventiamo sempre più sensibili a ciò che gli spazi del
mondo contengono.

Il bisogno di informazioni accurate e di rapide comunicazioni ha accresciuto il ruolo delle cosiddette


“città mondiali”. Le qualità del luogo quindi vengono esaltate nel mezzo delle crescenti astrazioni dello
spazio. La produzione attiva di luoghi con qualità speciali diventa una posta in gioco importante nella
competizione spaziale fra località, città, regioni, nazioni, ma finisce anche per produrre una monotonia
ricorsiva e seriale.

Il paradosso è: meno sono importanti le barriere spaziali, maggiore è la sensibilità del capitale alle
variazioni di luogo all’interno dello spazio e maggiore lo stimolo a differenziare i luoghi in modi che
attraggano il capitale. Il risultato è una produzione di frammentazione, insicurezza e sviluppo effimero
squilibrato in un’economia mondiale estremamente unificata di flussi di capitale. La nuova fase di
compressione spazio-temporale è caratterizzata sia da pericoli che da possibilità di sopravvivenza di
luoghi particolari o di soluzione del problema della sovraccumulazione.

Il denaro non è mai stata una rappresentazione chiara e non ambigua del valore, e a volte le cose si
confondono tanto che il denaro stesso diventa fonte di insicurezza e incertezza. Il mondo infatti, dal
1973 quando il denaro si è “dematerializzato”, si basa su forme di denaro non materiali. La crescita del
mercato dell’arte e la forte commercializzazione della produzione culturale a partire dal 1970, sono
legati alla ricerca di mezzi alternativi per conservare il valore del denaro.

L’annullamento dello spazio attraverso il tempo ha radicalmente mutato il mix di beni che entra a far
parte del processo di riproduzione quotidiana. Il mercato è sempre stato un “emporio di stili”, ma ora
con l’esperienza del cibo, delle abitudini culinarie, della musica, della televisione, dello spettacolo e del
cinema, è possibile avere un surrogato di esperienza della geografia mondiale attraverso un simulacro.
«L’eclettismo è la naturale evoluzione di una cultura che può scegliere». Ciò ha due effetti sociologici
divergenti: 1) lo sfruttamento di tutte le diverse possibilità, e l’uso di tutta una serie di simulacri quali
ambiti di fantasia, evasione e distrazione; 2) la ricerca di un’identità personale o collettiva, la ricerca di
ormeggi sicuri in un mondo che cambia. L’identità legata al luogo diventa una questione importante,
perché ciascuno occupa uno spazio di individuazione, e l’identità è modellata in relazione al modo in cui
noi individuiamo noi stessi. All’interno di questo problema vi sono due elementi fondamentali: 1) la
capacità di molti movimenti di controllare il luogo meglio dello spazio pone un forte accento sui
potenziali legami fra luogo ed identità sociale, che poggiano anche sul potere motivante della
tradizione, che ora viene mantenuta tramite la mercificazione e commercializzazione della stessa; 2)
tentativo di costruire qualitativamente il luogo ed i suoi significati, in modo che la gente scelga di
abitarvi.

La transizione dal fordismo all’accumulazione flessibile dovrebbe implicare una transizione nelle nostre
mappe mentali. C’è il pericolo onnipresente che le nostre mappe mentali quindi, non corrispondano alle
realtà effettive. La compressione spazio-temporale infatti esige sempre un prezzo da pagare nei termini
della nostra capacità di venire a patti con le realtà che si dispiegano attorno a noi.

TEMPO E SPAZIO NEL CINEMA POSTMODERNO

Il cinema ha forse la maggior capacità di gestire in modi interessanti i temi interconnessi di spazio e
tempo. Sia “Il cielo sopra Berlino” che “Blade Runner” esemplificano molte delle caratteristiche del
postmodernismo, e prestano particolare attenzione alla concettualizzazione e ai significati di spazio e

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tempo. “Blade Runner” è una parabola fantascientifica in cui i temi postmodernisti, collocati in un
contesto di accumulazione flessibile e di compressione spazio-temporale, sono esplorati con tutta
l’immaginazione di cui il cinema è capace. I replicanti sono simulacri piuttosto che robot. Il senso della
città a livello della strada è caotico da ogni punto di vista. Il design architettonico è un miscuglio
postmoderno.

PARTE IV – LA CONDIZIONE DELLA POSTMODERNITÀ

LA POSTMODERNITÀ COME CONDIZIONE STORICA

La crisi di sovraccumulazione iniziata negli anni ’60 e terminata nel 1973, ha portato a un tale risultato:
l’esperienza del tempo e dello spazio è cambiata, è crollata la fiducia nell’associazione tra giudizi
scientifici e morali, l’estetica ha avuto la meglio sull’etica quale centro principale di preoccupazione
sociale e intellettuale, le immagini hanno la meglio sulla narrazione, la fuggevolezza e la
frammentazione hanno la meglio sulle verità eterne e sulla politica unitaria, e le spiegazioni sono
passate da un fondamento materiale e politico-economico ad una considerazione delle pratiche
culturali e politiche autonome.

Il postmodernismo, insomma, può essere considerato una condizione storico-geografica.

ECONOMIA COL TRUCCO

«Economia voodoo» ed «economia col trucco» dissero Bush e Anderson del programma di rilancio
economico di Ronald Reagan. Era il trionfo dell’estetica sull’etica, in modo molto evidente. Ma la
costruzione dell’immagine in politica non rappresenta nulla di nuovo. L’elezione di un ex attore,
Reagan, a una delle cariche più potenti del mondo permette però di cogliere meglio le possibilità di
una politica mediatizzata creata esclusivamente dalle immagini. Prevaleva l’immagine della persona
piuttosto che le sue idee e convinzioni. [*può essere assimilata all’ economia di carta = conquistare
profitti senza darsi la pena di produrre qualcosa di reale].

Sotto l’amministrazione Reagan ci fu un’ondata di disuguaglianza sociale, crebbe la disoccupazione,


solo il 32% dei disoccupati riceveva un sussidio, aumentarono i senzatetto. Se anche vennero creati posti
di lavoro, erano insicuri e mal pagati nel settore dei servizi. Invece il mondo immobiliare, finanziario e
dei servizi crebbe, così come la “massa culturale” dedita alla produzione di immagini, conoscenza,
forme culturali ed estetiche. Alle spalle di questo boom nei servizi commerciali e finanziari, si formò una
cultura yuppie completamente nuova, con tutto il suo corredo di gentrification e di grande attenzione al
capitale simbolico, alla moda, al design, alla qualità della vita urbana. Il rovescio di questa medaglia fu
la tragedia dei senzatetto, l’esautoramento e l’impoverimento generali.

POSTMODERNISMO: IL TRUCCO DEI TRUCCHI

Nella produzione culturale postmoderna, la pura ricerca del profitto è determinante. Anche perché il
postmodernismo è cresciuto in questo clima di economia voodoo, di costruzione e utilizzazione
dell’immagine politica e di formazione delle nuove classi sociali. È abbastanza evidente che vi sono
dei legami tra l’esplosione postmodernista e la costruzione

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dell’immagine di Reagan. Le scene urbane di impoverimento, esautoramento, graffiti e decadenza
servono ai produttori culturali come sfondo singolare e vorticoso su cui non va fatto alcun commento
sociale.

MODERNISMO FORDISTA E POSTMODERNISMO FLESSIBILE A CONFRONTO: LA COMPENETRAZIONE


DI OPPOSTE TENDENZE NEL CAPITALISMO VISTO NELLA SUA TOTALITÀ

modernità fordista postmodernità modernità fordista postmodernità flessibile

flessibile

gerarchia anarchia narrazione immagine

paranoia schizofrenia profondità superficie

alienazione decentramento produzione in serie produzione in piccole


quantità

scopo gioco concentrazione dispersione

determinazione indeterminatezza lavoro specializzato lavoratore flessibile

capitale di produzionecapitale fittizio funzione finzione

universalismo localizzazione significato significante

metropoli controurbanizzazione industria servizi

etica estetica divenire essere

materialità immaterialità regolamentazione deregulation

produzione riproduzione rinnovo urbano rivitalizzazione urbana

originalità pastiche spazio relativo luogo

centralizzazione decentramento industrializzazione deindustrializzazione

totalizzazione decostruzione permanenza fuggevolezza

autorità eclettismo tempo spazio

La modernità fordista appare tutt’altro che omogenea. Ma è tutto disposto intorno ad un progetto
sociale ed economico del Divenire, di crescita e trasformazione delle relazioni sociali, di arte auratica e
di originalità, di rinnovamento e avanguardismo. La flessibilità postmodernista è invece dominata dalla
finzione, dalla fantasia, dall’immaterialità (soprattutto del denaro), dal capitale fittizio, dalle immagini,
dall’effimero, dal caso, dalla flessibilità nelle tecniche di produzione, nei mercati del lavoro e nelle
nicchie di consumo; eppure essa incarna anche un forte impegno verso l’Essere e il luogo. Sembra
quasi che la flessibilità postmodernista rovesci l’ordine dominante della modernità fordista.

LA LOGICA TRASFORMATIVA E SPECULATIVA DEL CAPITALE

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Il capitale è un processo e non un oggetto. È un processo di riproduzione della vita sociale attraverso
la produzione di merci, in cui tutti noi nel mondo capitalistico avanzato siamo profondamente coinvolti.
Il processo maschera e feticizza, ottiene la crescita attraverso la distruzione creativa, crea nuovi bisogni
e necessità, sfrutta la capacità di lavoro e di desiderio, trasforma gli spazi ed accelera i ritmi della vita. Il
suo percorso di sviluppo non è tradizionale né prevedibile.

La vita culturale è spesso considerata esterna a questa logica capitalistica. Harvey ritiene sbagliata
quest’argomentazione: proprio perché il capitalismo è espansionista e imperialista, la vita culturale in
un numero crescente di aree viene a ricadere nella logica del denaro e della circolazione di capitale.

L’OPERAD’ARTEINUN’EPOCAPOSTMODERNISTADIRIPRODUZIONEELETTRONICAEDIBANCHED’IMMAGI
NI

«L’opera d’arte è sempre stata riproducibile», scrisse Walter Benjamin, ma la riproduzione meccanica è
qualcosa di nuovo. «Come l’acqua, il gas o la corrente elettrica entrano grazie ad uno sforzo quasi
nullo, provenendo da lontano, nelle nostre case per rispondere ai nostri bisogni, così saremo
approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni che si manifestano ad un piccolo gesto e poi ci
lasciano» (Valéry).

I rapporti di classe che prevolgono in questo sistema di produzione e consumo sono molto particolari.
Ciò che emerge è il mero potere del denaro quale mezzo di dominio e un rinnovato interesse teorico
per la natura del potere del denaro e per le asimmetrie che ne possono derivare. Esse portano a
richieste di libertà individuale e imprenditoriale.

La massa culturale aggiunge ancora uno strato a quella formazione amorfa nota col nome di “classe
media”.

I nuovi strati sociali nati con la formazione della massa culturale e la nascita della nuova occupazione
impiegatizia nei servizi hanno fornito una ricca fonte di domanda di nuove forme culturali basate sulla
moda, la nostalgia, il pastiche e il kitsch, in breve tutto ciò che associamo al postmodernismo. La
politica della massa culturale è tuttavia importante, poiché il suo business consiste nel definire
l’ordine simbolico attraverso la produzione di immagini per ciascuno.

Lo sviluppo della produzione culturale e il marketing su scala mondiale sono stati importanti agenti
della compressione spazio-temporale: «[…] la natura che parla alla cinepresa è diversa da quella che
parla all’occhio […] per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscienza dell’uomo
interviene uno spazio elaborato inconsciamente».

RISPOSTE ALLA COMPRESSIONE SPAZIO-TEMPORALE

Vi sono state varie risposte ai travagli della compressione spazio-temporale:

ritirarsi in una sorta di silenzio traumatico, indifferente o stremato e nell’inchinarsi di fronte


all’opprimente sensazione di quanto tutto sia vasto, intrattabile e al di là di ogni controllo individuale
e collettivo. Un’eccessiva informazione è uno dei migliori stimoli a dimenticare. Il decostruzionismo ha
ridotto la coscienza e il significato ad un ammasso di significanti, producendo una condizione di
nichilismo

sconsiderata negazione della complessità del mondo e tendenza a rappresentarlo nei termini di
affermazioni retoriche estremamente semplificate (slogan, immagini, viaggi…)

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trovare una nicchia intermedia per la vita politica e intellettuale che rifiuta la grande narrazione, ma
coltiva la possibilità di un’azione limitata. È l’angolo progressista del postmodernismo, è un tentativo di
ricavare almeno un mondo conoscibile dall’infinità di mondi possibili che vediamo ogni giorno sul
televisore

tentativo di cavalcare la tigre della compressione spazio-temporale attraverso la costruzione di un


linguaggio e di un immaginario che la riflettessero e auspicabilmente la dominassero

LA CRISI DEL MATERIALISMO STORICO

Aronowitz annunciò la crisi del materialismo storico quando la Nuova Sinistra abbracciò i nuovi
movimenti frammentati della vecchia politica di sinistra, abbandonando la sua fede nel proletariato
come strumento di cambiamento progressista e nel materialismo storico come strumento di analisi. La
Nuova Sinistra perse così la propria capacità di mantenere una prospettiva critica su di sé.

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Ci voleva invece una concezione adeguatamente dinamica e non statica del materialismo storico per
cogliere il significato dei mutamenti che stavano accadendo. Elenchiamo quattro aree caratterizzate da
sviluppi particolarmente significativi:

considerazione della differenza e della diversità come qualcosa che dovrebbe essere onnipresente sin
dall’inizio di ogni tentativo di cogliere la dialettica del cambiamento sociale

riconoscimento che la produzione di immagini e discorsi è un aspetto importante dell’attività


analizzata quale parte

integrante della riproduzione e della trasformazione di ogni ordine simbolico

riconoscimento che le dimensioni di spazio e tempo sono importanti

il materialismo storico-geografico è un modo aperto e dialettico di analisi e non un corpo chiuso e fisso
di nozioni

CREPE NEI TRUCCHI, FUSIONI AI MARGINI

Il 19 ottobre 1987 qualcuno sbirciò dietro ai trucchi della politica economica americana e,
spaventato da quella vista, fece precipitare i mercati azionari mondiali in una crisi così terribile che
quasi 1/3 del valore nominale dei capitali di tutto il mondo fu cancellato nel giro di pochi giorni.
L’economia di New York e di altri grandi centri finanziari fu minacciata dalla rapida caduta del volume
degli scambi. Eppure il resto del mondo restava stranamente indifferente.

La provincia americana può considerarsi giustificata nella sua indifferenza, perché le terribili previsioni
che hanno seguito il crollo non si sono ancora realizzate. Ma il trucco del crescente indebitamento
(personale, aziendale, governativo) continua ad imperversare. Il capitale fittizio è ancora più egemone
di prima nella sua influenza. Esso crea il suo mondo fantastico di ricchezza e beni cartacei. I debiti
vengono aggiornati e rinnovati a ritmo sempre più veloce, con l’effetto di posticipare al XXI secolo le
tendenze alla crisi proprie del capitalismo. Eppure, le crepe nei trucchi dell’economia abbondano. Le
banche cancellano miliardi di dollari di debiti che non vengono restituiti, i governi sono inadempienti, i
mercati valutari internazionali sono in perenne agitazione.

Sul fronte filosofico, il decostruzionismo è stato messo sulla difensiva dalle controversie sulle simpatie
naziste di Heidegger e Paul de Man. Le crepe nell’edificio intellettuale che apre la strada al predominio
dell’estetica sull’etica sono importanti.

Le crepe nei trucchi forse non sono molto larghe, e le fusioni ai margini forse non troppo sorprendenti,
ma il fatto che ci siano indica che la postmodernità sta conoscendo una sottile evoluzione, sta forse
raggiungendo il punto di una autodissoluzione in qualcos’altro. Oltre a ciò vi è un rinnovamento del
materialismo storico e del progetto illuministico, tramite i quali possiamo comprendere la
postmodernità quale condizione storico-geografica. Su questa base critica diventa possibile lanciare
un contrattacco della narrazione contro l’immagine, dell’etica contro l’estetica, di un progetto del
Divenire piuttosto che dell’Essere.

Vi sono colore che vorrebbero si tornasse al classicismo e coloro che cercano di seguire la strada dei
moderni. Dal punto di vista di questi ultimi, ogni età raggiunge «la pienezza del proprio tempo, non
nell’essere ma nel divenire».

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