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IL DECADENTISMO

ORIGINE DEL TERMINE DECADENTISMO:


Il 26 maggio 1883 sul periodico parigino “Le Chat Noir” (Il gatto nero) Paul Verlaine pubblicava un
sonetto dal titolo Langueur (Languore), in cui affermava di identificarsi con l’atmosfera di stanchezza e di
estenuazione spirituale dell’Impero romano alla fine dellì[ decadenza, ormai incapace di forti passioni e di
azioni energiche, immerso nel vuoto e neì la noia, inteso solo a raffinatissime quanto oziose esercitazioni
letterarie,
stato d’animo diffuso nella cultura del tempo il senso di disfacimento e di fine di tutta una civiltà,
l’idea, assaporata con un voluttuoso compiacimento autodistruttivo. Queste idee erano proprie di circoli
d'avanguardia, che si contrapponevano alla mentalità borghese e benpensante e ostentavano atteggiamenti
bohémien e idee deliberatamente provocatorie, ispirandosi al modello “maledetto” di Baudelaire. La
critica ufficiale, a designare atteggiamenti del genere, usò il termine “decadentismo”, in accezione negativa
e spregiativa
Il movimento trovò il suo portavoce nel 1886 in un periodico, “Le Décadent” appunto. nel 1883 Verlaine
presentò le personalità più significative del gruppo in una serie intitolata Poètes maudits (Poeti maledetti),
comprendente Tristan Corbière, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé.

SENSO RISTRETTO E SENSO GENERALE DEL TERMINE:


iI termine “decadentismo”, quindi, originariamente indicava un determinato movimento letterario, sorto in
un dato ambiente, quello parigino durante gli anni Ottanta, con un preciso programma culturale, espresso
esplicitamente da manifesti, organi di Stampa e altre pubblicazioni; ma, poiché in quel movimento erano in
germe tendenze che poi sarebbero state riprese o si sarebbero autonomamente sviluppate in altri contesti più
vasti, la storiografia letteraria italiana, nel corso del Novecento, ha assunto il termine a designare un'intera
corrente culturale, di dimensioni europee, che si colloca negli ultimi due decenni dell’Ottocento, con
propaggini nel primo Novecento; taluni anzi hanno proposto di usare la formula a definire un intero periodo
storico, che ingloba lo stesso Novecento. Come sì vede, si ripropone per il Decadentismo il problema
terminologico che già si era presentato a proposito del Romanticismo: il termine può avere un:
 significato ristretto e specifico a designare un movimento precisamente collocato nel tempo e
nello spazio e con un programma definito,
 significato più ampio e indicare un’intera corrente culturale o addirittura un intero periodo, nella
complessità delle sue componenti. L'uso del termine in questa seconda accezione è diffuso però
prevalentemente nella storiografia letteraria italiana, mentre in altri paesi sono preferite diverse
denominazioni, come ad esempio “Simbolismo”.

Inteso in un’accezione più vasta, il Decadentismo appare come una somma di manifestazioni tra loro
anche assai differenti; al suo interno tuttavia si possono individuare dei denominatori comuni, che
autorizzano ad usare una formula unica e onnicomprensiva. Naturalmente, come per ogni altro quadro
generale di una corrente o di un periodo, occorrerà tenere presente che si tratta del risultato di un processo di
astrazione e di schematizzazione, che la realtà concreta è infinitamente più complessa e variegata, ricca di
sfumature e anche di contraddizioni, e che la riduzione unitaria si giustifica solo nella prospettiva delle
esigenze didattiche.

LA VISIONE DEL MONDO DECADENTE


IL MISTERO E LE CORRISPONDENZE:
La base della visione del mondo decadente è un IRRAZIONALISMO MISTICHEGGIANTE, che
riprende ed esaspera posizioni già largamente presenti nella cultura romantica della prima meta del secolo.
Viene radicalmente rifiutata, dai gruppi di scrittori d'avanguardia di fine Ottocento, la visione positivistica
ed è ormai cristallizzata in luoghi comuni
 [ la convinzione che la realtà sia un complesso di fenomeni materiali, regolati da leggi ferree,
meccaniche e deterministiche, che la scienza, una volta individuate tali leggi, possa garantire
una conoscenza oggettiva e totale della realtà e, attraverso di essa, il dominio dell’uomo sul
mondo, il progresso indefinito, il trionfo della civiltà sull’oscurantismo, la sconfitta di tutti i
mali che affliggono l’umanità.]

IL DECADENTE ritiene al contrario che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del
reale, perché l’essenza di esso è al di là delle cose, misteriosa ed enigmatica, per cui solo rinunciando
all’abito razionale si può tentare di attingere all’ignoto. L'anima decadente è perciò sempre protesa verso il
mistero che è dietro la realtà visibile, verso l’inconoscibile. per questa visione mistica tutti gli aspetti
dell’essere sono legati tra loro da arcane “analogie e corrispondenze”, che sfuggono alla ragione e possono
essere colte solo in un abbandono di empatia irrazionale. È una visione che era già stata formulata da
Charles Baudelaire nel sonetto “Corrispondenze dei Fiori del male” un testo che costituiva un manifesto
ante litteram delle nuove tendenze, e tale fu considerato dai decadenti.
La rete di corrispondenze coinvolge anche l’uomo: la visione decadente propone una sostanziale identità tra
io e mondo, tra soggetto e oggetto, che si confondono in un’arcana unità. Una corrente profonda li unisce, al
di sotto degli strati superficiali della realtà. L'unione avviene cioè sul piano dell’inconscio: in questa zona
oscura l’individualità Scompare e si fonde con un Tutto inconsapevole.
La scoperta dell’inconscio è il dato fondamentale della cultura decadente. Freud, a fine secolo (la sua
prima opera capitale, l’Interpretazione dei sogni, è del 1899), comincerà a dare una sistemazione scientifica
a questa conoscenza, ma secondo un impianto ancora positivistico, razionalistico: “il suo fine è portare alla
luce della coscienza l’inconscio, sottoporlo al dominio dell’io”;
 i decadenti invece si lasciano voluttuosamente inghiottire dal vortice tenebroso, distruggendo ogni
legame razionale, convinti che solo questo abbandono totale possa garantire un’esperienza ineffabile,
la scoperta di una realtà più vera.

GLI STRUMENTI IRRAZIONALI DEL CONOSCERE:


Se il mistero, l’essenza segreta della realtà, non può essere colto attraverso la ragione e la scienza, altri sono
i mezzi mediante cui il decadente cerca di attingere ad esso. Innanzitutto come strumenti privilegiati del
conoscere vengono indicati tutti gli stati abnormi e irrazionali dell’esistere: la malattia, la follia, la
nevrosi, il delirio, il sogno e l’incubo, l’allucinazione. Questi stati di alterazione (che possono essere
provocati artificialmente, attraverso l’uso dell’alcol, dell’assenzio o delle droghe), sottraendosi al controllo
limitante e paralizzante della ragione, “aprono al nostro sguardo interiore prospettive ignote, permettono
di vedere, il mistero che è al di là delle cose”. Arthur Rimbaud, in una famosa lettera del 1871, scrive: «Ora
io sprofondo il più possibile nella dissolutezza.
 “Si tratta di giungere all’ignoto attraverso la sregolatezza di tutti i sensi» (corsivi dell’autore)”.
Vi sono poi per i decadenti altre forme di estasi che consentono questa esperienza dell’ignoto e
dell’assoluto:
a) Se io e mondo non sono in realtà distinti, l’io individuale può annullarsi nella vita del gran Tutto,
confondersi nella vibrazione stessa della materia, farsi nuvola, filo d'erba, corso d’acqua, e,
attraverso questo annullamento, potenziare all’infinito la propria vita, renderla come divina: è
quell’atteggiamento che è stato definito panismo (dal greco pàîn, tutto), e che ricorrerà
particolarmente in Gabriele d’ Annunzio, come vedremo.
b) Un altro tipo di stato di grazia è costituito dalle epifanie: un particolare qualunque della realtà, che
appare insignificante alla visione comune, si carica all’improvviso di una misteriosa intensità di
significato, che affascina come un messaggio proveniente da un’altra dimensione, come rivelazione
momentanea di un assoluto (epiphania in greco vuol dire apparizione, manifestazione, e nel
linguaggio religioso il termine si attribuisce alle rivelazioni del dio).

LA POETICA DEL DECADENTISMO


“L’ ESTETISMO”:
Tra i momenti privilegiati della conoscenza, per i decadenti, vi è soprattutto l’ ARTE. Il poeta, il pittore, il
musicista non sono solo abili artefici, capaci di adoperare magistralmente la parola, il colore, la nota, ma dei
sacerdoti di un vero e proprio culto, dei «veggenti», capaci di spingere lo sguardo là dove l’uomo comune
non vede nulla, di rivelare l'assoluto. Per questo l’arte appare il valore più alto. Questo culto religioso
dell’arte ha dato origine al fenomeno dell’ ESTETISMO
ESTETAè colui che assume come principio regolatore della sua vita non i valori morali, il bene e il
male, il giusto e l’ingiusto, ma solo il bello, ed esclusivamente in base ad esso agisce e giudica la realtà. Gli
atti quotidiani della sua vita sono trasformati in materiali per una vera e propria opera d’arte. Arte e vita per
lui si confondono, nel senso che la seconda è assorbita interamente dalla prima. Tutta la realtà è da lui
filtrata attraverso l’arte
 [se vede un bel viso, un bel paesaggio, immediatamente lo associa ad un viso, ad un paesaggio
immortalato dal verso di un poeta, da una pittura insigne.]
Va costantemente alla ricerca di sensazioni rare e squisite, prova orrore per la banalità e la volgarità della
gente comune, che resta sorda alla rivelazione del Bello, di questa vera e propria religione. Sono posizioni
che che avranno poi la massima risonanza con Oscar Wilde e Gabriele d'Annunzio: naturalmente non solo
attraverso le opere scritte, ma anche attraverso la vita stessa, che, secondo ì principi professati, deve essere
un’opera d’arte.
Ne consegue anche che il poeta rifiuta di farsi banditore di idealità morali e civili: l’arte rifugge dalla
rappresentazione della realtà storica e sociale (che era una prerogativa del realismo ottocentesco) e si chiude
in una squisita celebrazione di se stessa, depurandosi di tutti gli intenti pratici e utilitaristici; diviene cioè
arte pura, poesia pura.
L’ OSCURITA’ DEL LINGUAGGIO:
 “Se la poesia è veicolo di una rivelazione del mistero e dell’assoluto, la parola poetica Non può più
essere strumento di una comunicazione logica, razionale, ma si propone di agire su una zona più
profonda e oscura, assumendo un valore puramente suggestivo ed evocativo”

Si determina di conseguenza una vera e propria rivoluzione del linguaggio poetico:

se per tutta la tradizione precedente (ma nel Romanticismo vi erano già sensibili anticipazioni delle
soluzioni decadenti) persisteva il nucleo di un determinato significato della parola ora questo significato si
fa labile, evanescente, o scompare del tutto, lasciando solo il suo alone suggestivo. Alle immagini nitide e
distinte si sostituisce l’impreciso, il vago, l’indefinito [vicino il romanticismo], che solo è capace di
evocare sensi ulteriori e misteriosi.
La parolasmarrisce la sua funzione di strumento comunicativo immediato e ricupera quella ancestrale di
formula magica, capace di rivelare l’ignoto, di mettere in contatto con un arcano al di là delle cose, Ma se la
poesia è pura suggestione irrazionale, segretamente allusiva al mistero, se rinuncia alla comunicazione di un
significato razionale, essa diviene inevitabilmente OSCURA, al limite dell’incomprensibilità. In situazioni
estreme la poesia diviene pura autocomunicazione, il poeta non parla ad altri che a se stesso.
Si rivela di qui il carattere estremamente aristocratico dell’arte decadente, che rifiuta di rivolgersi al
pubblico borghese, ritenuto mediocre e volgare, e si chiude nella torre d’avorio della sua suprema
raffinatezza.
La scelta è inoltre motivata dall’imporsi della nascente cultura di massa, che offre al grande pubblico
prodotti fatti “in serie”, meccanicamente ripetitivi, come i romanzi d’appendice o i racconti ameni
pubblicati su giornali e riviste per famiglie. Anche nelle arti figurative l’avvento della fotografia consente
l’indefinita riproducibilità tecnica delle immagini, distruggendo l’unicità dell’opera d’arte.
Per questo L’ ARTISTAsente il bisogno di difendersi, di differenziarsi, e si rifugia nel linguaggio cifrato
ed ermetico per salvare l’arte “vera”, l’“aura” divina che la circonda, e che la riproduzione meccanica
destinata al mercato borghese sta compromettendo e cancellando. Si delinea quindi, in questo periodo, una
frattura radicale tra artista e pubblico, tra intellettuale e società

TECNICHE ESPRESSIVE:
Vari sono I mezzi tecnici attraverso cui lo scrittore decadente (poeta o prosatore poco importa, poiché anche
la prosa assume un carattere eminentemente lirico e fa propri gli squisiti artifici della poesia) ottiene questi
effetti di segreta suggestione.
1) la musicalitàla parola vale non tanto quale significante logico, che richiama un preciso referente
reale, ma quale pura fonicità, che si carica di valori magicamente evocativi e suscita echi profondi.
Nella visione decadente la musica è la suprema fra le arti, proprio perché è la più indefinita, perché è
svincolata da ogni significato logico e referenziale, dotata di misteriose facoltà suggestive, capace
di agire sulle zone più oscure della psiche, di creare la comunione mistica con l’assoluto. La
trasformazione della parola poetica in musica è esplicitamente teorizzata in aper tura dell’Arte
poetica di Paul Verlaine (1882), che si può a buon diritto considerare il “manifesto tecnico” della
nuova letteratura decadente: «Musica, sovra ogni cosa»
2) cadono nella poesia decadente i nessi sintattici tradizionalila sintassi si fa vaga e imprecisa,
altamente ambigua. In questi nessi ambivalenti anche le singole parole assumono sfumature o
significati diversi da quelli comuni.
IL LINGUAGGIO ANALOGICO E LA SINESTESIA:
Lo strumento linguistico forse più usato è tuttavia quello metaforico, analogico.
1) La metafora nella poesia decadente essa non ha più nulla del tradizionale tropo, inteso come
ornamento dell’espressione, ed appare ben diversa dalla stessa metafora barocca, che era un gioco
ingegnoso, cioè ancora lucidamente regolato dall’intelligenza: la “metafora decadente” presuppone
una concezione irrazionalistica, è l’espressione di una visione simbolica del mondo, dove ogni cosa
rimanda ad altro, allude alla rete di segrete relazioni che uniscono le cose in un sistema di analogie
universali: implica, insomma, la metafisica delle «corrispondenze», nel senso baudelairiano.
il rapporto simbolico è diverso da quello allegorico, che era proprio del Medio Evo:
 l’allegoriapostula un rapporto nettamente codificato tra significante e significato (ad
esempio la lupa dantesca è l’avarizia),
 il simbolo invece è oscuro e misterioso, allusivo, polisemico, cioè caricabile di vari sensi.

2) La sinestesiaEssa è una fusione di sensazioni,

 “nel senso che impressioni che colpiscono un senso evocano altre impressioni relative a sensi
diversi: ad esempio una sensazione visiva, come un colore, suscita senSazioni uditive, o
tattili, o olfattive.”
Anche la sinestesia, come la metafora, rimanda a una rete simbolica sotterranea al reale e
presuppone una segreta unità del tutto [una zona oscura dove le varie sensazioni e la realtà che le
provocano si fondono in un complesso indistinto.]
Per afferrare questa analogia universale si tenta anche la fusione dei vari linguaggi artistici, al fine
di ottenere con un'arte effetti che sono propri di arti diverse, suggestioni Musicali con la parola,
plastiche e visive con la musica

TEMI E MITI DELLA LETTERATURA DECADENTE


DECADENZA, LUSSURIA E CRUDELTA’:
Si è visto come l’atmosfera dominante nell’età del Decadentismo sia uno stato d’animo di stanchezza e di
estenuazione, derivante dal senso di disfacimento di una civiltà, che si avverte prossima al crollo. Di qui,
nella letteratura decadente europea, deriva l’ammirazione per le epoche di decadenza: la grecità
alessandrina, la tarda latinità imperiale, l’età bizantina, in cui l’esaurirsi delle forze si traduce in estrema,
squisita raffinatezza.
Al culto per la raffinatezza estenuata di tali epoche si unisce il vagheggiamento del lusso raro e prezioso e
della lussuria, complicata da perversità e crudeltà.
Giustamente è stato scritto che buona parte della letteratura decadente (come pure di quella romantica) è
segnata dal sadismo, con il suo complemento immancabile, il masochismo. In queste fantasie perverse di
lussuria e crudeltà raffinata si esprime la stanchezza di una fantasia sazia delle orge romantiche di ideale e
sentimento, alla ricerca del nuovo e dell’inaudito per trovare ancora stimoli che le impediscano di cadere
nell’inerzia e nella noia, e al tempo stesso si manifesta una sensibilità acutissima, esasperata, al limite della
nevrastenia.
LA MALATTIA E LA MORTE:
 La nevrosi è una costante che segna tutta la letteratura decadente costituisce una vera e
propria atmosfera che avvolge l’intera cultura di questa età, il punto da cui sembra che tutto il
reale sia osservato.

 la malattia in genere è un altro gran tema decadente. Da un lato essa si pone come metafora
di una condizione storica, di un momento di crisi profonda, di smarrimento delle certezze, di
angoscia per il crollo, avvertito come prossimo, di tutto un mondo: la letteratura decadente è
“malata” quasi ad esprimere la “malattia” che corrode dalle fondamenta la civiltà e sembra
spingerla verso una prossima fine.

 Dall’altro lato la malattia diviene condizione privilegiata, segno di nobiltà e di


distinzione, di quella separatezza sprezzante verso la massa che contrassegna
l’aristocraticismo degli intellettuali di questa età, appare come uno stato di-grazia, come lo
strumento conoscitivo per eccellenza.

 Alla malattia umana si associa la malattia delle cose il gusto decadente ama tutto ciò che
è corrotto, impuro, putrescente. Per questo Venezia, in cui si associano sfacelo e raffinatezza,
putredine e bellezza aristocratica, è la città decadente per eccellenza, che esercita sugli
scrittori un fascino inquietante (così è nel Fuoco di d'Annunzio, nella Morte a Venezia di
Thomas Mann).

La malattia e la corruzione affascinano i decadenti anche perché sono immagini della morte.
La morte è in questo periodo un tema dominante, ossessivo. È come se tutta una generazione di scrittori
fosse attratta morbosamente da un gorgo di tenebra.

VITALISMO E SUPEROMISMO:
all’interno della stessa cultura, al fascino esercitato dalla malattia, dalla decadenza e dalla morte si
contrappongono però tendenze opposte: il vitalismo, cioè l’esaltazione della pienezza vitale senza limiti e
senza freni, che afferma se stessa al di là di ogni norma morale, la ricerca del godimento ebbro,
“dionisiaco”. il vitalismo vede il suo teorico in Friedrich Nietzsche e l’applicazione letteraria in d’
Annunzio
In realtà sono atteggiamenti solo apparentemente in contraddizione: il culto della forza e della «vita», in
d'Annunzio e nell’età decadente in generale, non è che un modo per esorcizzare l’attrazione morbosa della
morte, per cercare di sconfiggere un senso di stanchezza e di esaurimento che si affaccia nonostante ogni
sforzo velleitario di tendere le energie verso mete sovrumane. Il “vitalismo superomistico” è la maschera
che cerca inutilmente di occultare impulsi autodistruttivi
 Anche in un altro senso l’estenuata morbosità e il vitalismo barbarico sono due facce della
stessa realtà: “entrambi sono il segno di un rifiuto aristocratico della normalità, di una ricerca
esasperata del diverso, dell’abnorme, in polemica con la visione normale, benpensante, “borghese”,
che l’artista ha in orrore. L’artista decadente si isola ferocemente dalla realtà contemporanea,
orgoglioso della propria diversità”

GLI EROI DECADENTI:


Nascono di qui alcune figure ricorrenti nella letteratura decadente, che assumono spesso una dimensione
mitica.

1) l'artista "maledetto" che profana tutti i valori e le convenzioni della società, che sceglie
deliberatamente, come per un gesto di supremo rifiuto, il male e l'abiezione, e si compiace di una vita
misera, errabonda, sregolata, condotta sino all'estremo limite dell'autoannientamento. Già Baudelaire
aveva offerto il prototipo di questo artista del rifiuto ed il suo modello era stato seguito da altri, come
Verlaine e Rimbaud.
2) dell'esteta altra figura tipica, consacrata dal Des Esseintes di Huysmans, dall'Andrea Sperelli di
d'Annunzio, dal Dorian Gray di Wilde. È l'uomo che vuol trasformare la sua vita in opera d'arte,
sostituendo alle leggi morali le leggi del bello e andando costantemente alla ricerca di sensazioni
squisite e piaceri raffinati. L'esteta ha orrore della vita comune, della volgarità borghese, di una
società dominata dall'interesse materiale e dal profitto, e si isola in una sdegnosa solitudine,
circondato solo dalla bellezza e dall'arte. Il bruttezza e dello squallore, ciò che è bello ed eletto può
essere collocato soltanto nel passato, in età di suprema raffinatezza come quella greca o quella
rinascimentale. I due tipi hanno una matrice comune: il rifiuto della normalità borghese, e di
conseguenza si possono distinguere solo in astratto;
nel concreto loro tratti spesso si confondono, dando origine a figure ibride:
 il"maledetto" ha anch'egli il culto mistico dell'arte, ed esalta il male per il suo valore estetico, per la
sua sublime e orrida bellezza;
 anche l'esteta rifiuta le norme morali e le convenzioni, e nella sua assoluta amoralità può con
indifferenza gingere a commettere il male, a compiere crudeltà e delitti, può compiacersi di
sprofondare nel vizio (ne sono un esempio proprio i citati Des Esseintes, Andrea Sperelli, Dorian
Gray).

3) Una terza figura fondamentale dell 'inetto" a vivere una figura inaugurata dal protagonista delle
Memorie del sottosuolo (1865) di Dostoievskij L''inetto" è escluso dalla vita, che pulsa intorno a lui
e a cui egli non sa partecipare per mancanza di energie vitali, per una sottile malattia che corrode la
sua volontà. Può solo rifugiarsi nelle sue fantasie, compensatrici di una realtà frustrate, vagheggiando
in sterminati sogni l'azione da cui è escluso. Ed è proprio la sua natura di intellettuale, con
l'eccesso del pensiero, il continuo osservarsi e studiarsi, a raggelare i suoi sentimenti, a bloccarne
l'azione, ad isolarlo dalla vita che scorre fuori e lontano, irraggiungibile.
4) Di contro a questi uomini deboli, malati, incapaci di vivere, s profila un'imagine antitetica di
donna: la donna fatale, dominatrice del maschio fragile e sottomesso, lussuriosa e perversa, crudele
torturatrice, che succhia le energie vitali dell'uomo come un vampiro, lo porta alla follia, alla
perdizione, alla distruzione. Di simili eroine pullulano i romanzi e le opere teatrali di d'Annunzio, ma
la figura ricorre in tutta la letteratura europea del tempo.
 Nella figura della donna fatale si proietta una paura del femminile che può essere spiegata
da due fattori storici: sia la crisi dell'identità virile, determinata dalle grandi trasformazioni
sociali di quest'epoca, che distruggono l'immagine tradizionale dell'uomo forte e sicuro,
dominatore del proprio mondo, sia l'affermazione sempre più netta dell'emancipazione
della donna, che rifiuta il suo ruolo tradizionale nuovo posto nella società, crisi di identità.
incrinando il potere del maschio e rivendica un e aggravando così la sua crisi di identità

IL FANCIULLINO ED IL SUPERUOMO
L'inetto" a vivere conosce una variante originale come «fanciullino» pascoliano: il rifiuto della condizione
adulta, della vita di relazione al di fuori del tiepido e protettivo «nido» familiare, il regredire a forme di
emotività e sensibilità infantili si traducono in un atteggiamento di trepida indagine del mistero e divengono
così la base di un nuovo rapporto col mondo e di un nuovo linguaggio poetico.
I mito pascoliano del «fanciullino» esprime l'esigenza di una regressione a forme di coscienza
primigenia, anteriori alla vita logica, quindi è anch'esso espressione dell'irrazionalismo e del fondamentale
misticismo che sono propri dele concezioni decadenti. Dalla tendenza decadente a reagire alla crisi e alla
malattia interiore attraverso la forza barbarica e ferina ha origine un'altra figura mitica, quella del
5)SUPERUOMO, anche d'Annunzio propone le teorie di Nietzsche: “il superuomo dannunziano è
'individuo superiore alla massa mediocre, forte e dominatore, che si move alla conquista di mete eroiche
senza essere ostacolato da dubbi e incertezze”. Il mito si carica anche di valenze politiche, poiché il
superuomo ha il compito di riportare l'Italia alla grandezza passata e al suoi destini imperiali due miti, del
«fanciullino» e del superuomo, che appaiono antitetici, sono in realtà profondamente legati e scaturiscono
dale stesse basi

DECADENTISMO E ROMANTICISMO
Sul piano culturale, tra Romanticismo e Decadentismo non vi è soluzione di continuità. Gli storici della
letteratura hanno persuasivamente sottolineato come quasi tutte le tendenze e le tematiche del Decadentismo
possano già trovare riscontri o anticipazioni nel clima romantico, in particolare nel Romanticismo tedesco e
inglese. Pertanto il Decadentismo può a buon diritto essere ritenuto una seconda fase del
Romanticismo. Certo, il Decadentismo ha una sua fisionomia specifica, che rimanda a un clima culturalee
storico particolare, ma per massima parte i suoi aspetti salienti si individuano rispetto al Romanticismo più
come svolgimenti, accentuazioni, esasperazioni che come novità assolute.
Differenze:
a) Gli aspetti che più propriamente caratterizzano il nuovo clima decadente di fine secolo potrebbero
così schematizzarsi: sulla base di un comune irrazionalismo, del rifiuto della realtà e della fuga verso
un "altrove" ideale e fantastico,
b) l'età romantica si segnalava per il suo slancio entusiastico, per l'anelito all'infinita espansione
dell'io, per le forme di ribellione eroica e titanica, che rivelavano una energia spirituale;
il Decadentismo è invece contrassegnato, come si è visto, da un senso di stanchezza, estenuazione,
languore, smarrimento, che inibisce ogni slancio energico e induce a ripiegarsi nell'analisi inerte della
propria "malattia" e debolezza
 (ma già nel Romanticismo erano present atteggiamenti vittimistici, una compiaciuta contemplazione della
propria inutilità e sterilità, stati di cupa malinconia che inducevano a vagheggiare voluttuosamente la morte
e producevano impulsi autodistruttivi e nichilistici di questo genere).

Ne discendono alcuni corollari:


 la letteratura del Romanticismo aveva ambizioni costruttive, mirava alle grandi sintesi esaustive,
alle vaste costruzioni concettuali e artistiche, che rispecchiassero la totalità; Ne deriva ancora che se
lo slancio verso l'ideale consentiva agli scrittori romantici forme di impegno (magari solo negativo,
attraverso la rivolta), la trattazione dei grandi problemi, la fiducia di poter incidere In qualche modo
sulla realtà. al contrario, il Romanticismo esaltava la forza creatrice immediata del genio, poneva
come valore "natura". tutto ciò che è spontaneo e immediato.

 il "languore" decadente impedisce ormai queste ambizioni smisurate: non si punta più alla totalità,
ma solo al frammento; il mondo non ha più centro, così come l'opera d'arte; il singolo particolare
assume un valore assoluto, vale quanto l'insieme. l'artista decadente rifiuta invece ogni impegno,
erige la forma artistica a valore supremo e afferma il principio della poesia pura, non contaminata da
interessi pratici, morali o politici. Questa chiusura gelosa nella forma porta il decadente ad esaltare
l'artificio. A queste tendenze sembra fare eccezione l'opera dannunziana della fase superomistica,
che una forma di impegno e una volontà di plasmare la realtà esterna. Ma il contrasto è solo
apparente: lo slancio energico non è che un tentativo di mascherare l'estenuata debolezza dell'anima
dannunziana, l'attrazione morbosa del disfacimento e della morte.

LA CRISI DEL RUOLO DELL’ INTELLETTUALE:


Nell'apparato industriale e finanziario monopolitico l'intellettuale umanista tradizionale non trova più
posto, è spinto ai margini, si sente inutile e frustrato. I nuovi processi produttivi lo declassano anche
materialmente, lo relegano a funzioni dequalificate, ripetitive, impiegatizie. Proprio per questo reagisce
disperatamente accentuando la sua diversità e la sua eccezionalità attraverso l'estetismo, il
maledettismo, 1 superomismo, che possono essere letti come un tentativo di “esorcizzare e mascherare
una condizione avvilente di declassazione e di massificazione”. Il fenomeno si era presentato sin dagli inizi
dell'età del moderno capitalismo industriale, e gli scrittori più sensibili e acuti del Romanticismo lo avevano
subito colto, riflettendolo in figure di eroi intellettuali deboli, smarriti, schiacciati dalla realtà, oppure, per
reazione, titanicamente ribelli;
Il momento in cui il fenomeno affiora pienamente alla coscienza si può individuare in un poemetto in prosa
dello Spleen di Parigi baudelairiano, che ne fissa anche l'essenza in una formula felicemente pregnante: la
«perdita d'aureola» Stritolato da un apparato produttivo che appare come un mostro enigmatico, un potere
arcano, disumanato e minaccioso, lo scrittore è poi preso da un altro ingranaggio perverso: scrivere ormai
può voler dire solo produrre per un mercato; 'opera d'arte si riduce sempre più a merce. L'artista allora,
come Si è visto, cerca di reagire rifiutando di rivolgersi al pubblico comune, individuando una cerchia
ristrettissima di iniziati a cui indirizzare le proprie opere e accentuando le caratteristiche ermetiche del suo
linguaggio, nel tentativo di sottrarre la sua creazione al circuito del mercato

DECADENTISMO E NATURALISMO
Le mescolanze di tendenze decadenti e naturalistiche:
Decadentismo e Naturalismo, poi, non sono solo per buona parte compresenti cronologicamente, sono due
tendenze che nell 'immediatezza del fluire storico spesso appaiono mescolate fra di loro. Ad esempio nello
scrittore più rappresentativo del Naturalismo, Zola è facile riscontrare un vitalismo panico, una tendenza a
costruire complesse simbologie ed inoltre il compiacimento per atmosfere malate, torbide e perverse. Non si
dimentichino poi gli esordi narrativi di d'Annunzio sotto la suggestione delle novelle verghiane in Terra
vergine (1882), dove al bozzettismo regionalistico verista si mescola il compiacimento tutto decadente e
irrazionalistico di regredire in esseri primordiali al limite della ferinità. non esiste il Decadentismo, come
non esistono il Naturalismo, il Romanticismo, l'Illuminismo, e così via:
 “esistono solo scrittori e opere che affrontano certi temi con certe soluzioni formali, con
caratteristiche peculiari ma anche con affinità nei confronti di altri scrittori e di altre collocano
nello stesso ambiente e nello stesso momento storico”.

DECADENTISMO E NOVECENTO
Resta ancora da esaminare Taluni hanno il rapporto che lega il Decadentismo al Novecento. Alcuni hanno
proposto di impiegare la categoria del Decadentismo a designare tutto il Novecento, altri invece ritengono
più legittimo limitarla solo ai fenomeni letterari di un periodo più ristretto, la fine dell'Ottocento, con
qualche propaggine nei primi del Novecento. È questo l'orientamento oggi prevalente, e ci trova
sostanzialmente d'accordo. È vero che molte tendenze del Novecento hanno le radici in quel clima e sono
legate ad esso da molti fili, come potremo verificare a suo luogo, ma si collocano in contesti ormai diversi,
fanno riferimento ad altre poetiche, ad altre visioni della realtà, ed approdano a diverse soluzioni formali.
Raggruppare tendenze culturali così molteplici e difformi come quelle che occupano il XX secolo sotto
l'unica etichetta del Decadentismo porterebbe a pericolose confusioni. Ci sembra opportuno quindi
restringere l'uso della categoria a determinati fenomeni che si presentano a fine Ottocento: senso di
esaurimento della civiltà, vagheggiamento della morte e di ciò che è malato, impuro e corrotto, senso del
mistero, estetismo, maledettismo, superomismo ecc. (per il XX secolo un'etichetta onnicomprensiva non è
ancora entrata nell'uso, tant'è vero che usiamo di solito il termine che designa semplicemente il contenitore
cronologico, "Novecento" che non dice nulla sulla fisionomia specifica di ciò che vi è contenuto). In
conclusione, se il termine "decadentismo", come Abbiamo visto, ha avuto in origine un'accezione
spregiativa, e l'ha conservata in certe valutazioni critiche (Croce, alcune correnti della critica marxista), oggi
è ormai chiaro che questo movimento non ha implicato per nulla una decadenza della cultura e dei
valori artistici, anzi, si è dimostrato un terreno assai fertile, da cui sono scaturite opere di grande profondità
e forza innovativa, nella visione del reale come nelle soluzioni formali.
LA NARRATIVA DECADENTE IN ITALIA (sul riassunt di doccity)
In Italia i più tipici romanzi decadenti sono quelli di d'Annunzio (* Percorso 4, ma grande successo,
all'incirca negli stessi anni, ebbero anche romanzi di p. 428), Antonio Fogazzaro (* A3). Lo scrittore
vicentino oggi è ormai uscito dal "canone" degli autori maggiori del periodo, tuttavia le sue opere restano
significative a documentare, insieme a quelle dannunziane, una svolta del genere romanzo, che si allontana
dalle vie percorse dalla narrativa verista. Le date hanno una loro eloquenza rappresentativa: Malombra (› T4,
p. 416), il primo romanzo di Fogazzaro, esce nello stesso anno dei Malavoglia, il 1881, ma ne è abissal-
mente lontano. In primo luogo presenta una figura destinata a divenire centrale nella narrativa dei decenni
successivi: quella dell'«inetto a vivere» (la formula è proprio inaugurata da Malombra), l'intellettuale
incapace di inserirsi attivamente nella realtà e destinato alla sconfitta esistenziale; in secondo Luogo si
incentra su un'altra figura cara al Decadentismo, la donna fatale tenebrosa e inquietante, micidiale per
l'uomo. Inoltre, lungi dallo studiare "scientificamente" una realtà sociale, come era proprio del ro- manzo
naturalista, Malombra predilige da un lato il mistero e il soprannaturale, dall'altro l'indugio sui recessi più
oscuri e morbosi della psiche. Anche i romanzi successivi di Fogaz- zaro si addentrano nell'analisi di
complessi problemi interiori di anime divise tra la sensualità e 1 richiami di una più alta spiritualità religiosa.
A differenza del romanzo verista, che studia la realtà oggettiva, i romanzi fogazzariani si concentrano in
misura privilegiata (anche se non VI mancano quadri bozzettistici di ambient sociali) sulla realtà interiore
dei personaggi: sono quindi da ascrivere al filone del cosiddetto "romanzo psicologico" o "d'analisi".-
romanzi maggiori di Grazia Deledda (* A4, p. 420), che si collocano già agli inizi del Novecento, possono
richiamare un clima ancora verista, per l'attenzione di tipo folklorico dedicata ad ambienti, persone, costumi
di una particolare regione, realtà, al di là di queste la Sardegna. In descrizioni, che fungono semplicemente
da sfondo, anche la narrazione della Deledda punt essenzialmente all'analisi della dimensione interiore dei
personaggi, seguendo la via percorsa dal genere romanzo dopo l'esaurimento delle tendenze veristico-
naturaliste, e insiste su un tema più moderno, la solitudine esistenziale dell 'uomo e l'incomunicabilità che ne
deriva. Esemplare in questa direzione è Elias Portolu, da p. 422). Il romanzo inoltre propone una tematica
cui antologizziamo un passo (› T5,molto cara alla narrativa non solo italiana tra fine Ottocento e primo
Novecento: il conflitto tra un autoritario, e un figlio debole, incerto, roso padre forte, dominatore e
interiormente dalla vita intellettuale e sentimentale, che appartiene alla categoria complessità della sua degli
"inetti" e che dalla figura paterna è come schiacciato. È un motivo che ricorre in d'Annunzio, Svevo,
Pirandello, Tozzi, e, fuori d'Italia, in Kafka.
ANTONIO FOGAZZARO
La vita. Nasce il 25 marzo del 1842 in una familia della rica e cattolica borghesia vi-centina. Viene educato
da religiosi e al liceo ha come insegnante l'abate e poeta Giacomo Zanella (1820-88), poi professore di
Letteratura italiana all 'Università di Padova. Durante le vacanze è spesso a Oria in Valsolda, sul versante
orientale del lago di Lugano, nella casa dei nonni materni, immerso in quell '«ameno e tranquillo angolo del
mondo caro al sognatori e agli artisti», come lo definirà più tardi nel racconto Idilli spezzati (1895). Inizia a
studiare Legge a Padova ma si laurea a Torino, dove la familia si trasferisce in attesa della liberazione del
Veneto. Incomincia ad esercitare l'avvocatura ma è attratto sempre più dagli interessi letterari. Nel 1866 si
sposa con la contessa Margherita Lampertico di Valmarana, dalla quale avrà tre figli, uno dei quali,
Mariano, ventenne. Nel 1869 si muore appena all 'attività letteraria, ristabilisce definitivamente a Vicenza si
dedica con continuità anche se esordirà solo cinque anni più tardi con una novella in versi (Miranda, 1874).
Dopo un periodo di crisi religiosa, ritorna alla fede con grande entusiasmo, impegnandosi a fondo sul
problema della conciliazione fra cattolicesimo e scienza. Da questo impegno, riflesso poi nei suoi romanzi,
scaturisce una nutrita serie di conferenze in tutta Italia, nelle quali Fogazzaro conduce un aggiornato
dibattito sui rapporti fra il pensiero contemporaneo e le istanze della morale e della religione. In questa
prospettiva va registrata la particolare attenzione dedicata, intorno al 1890, alle teorie evoluzionistiche, dalla
quale nasceranno alcuni saggi, raccolti nel 1899 in Ascensioni umane. Nel frattempo aveva aderito al
movimento riformista cattolico del "modernismo", che mirava a conciliare il fu contrastato dalla Chiesa. Nel
1896 cristianesimo con gli sviluppi della modernità e che attività politica. Muore a Vicenza il 7è nominato
senatore, ma non svolgerà mai nessuna marzo del 1911, pochi mesi dopo l'uscita del suo ultimo romanzo,
Leila (novembre 1910).
Le opere,
Il primo grande successo di Fogazzaro è Malombra, pubblicato nel 1881. Si tratta di una storia d'amore
complicata da element soprannaturali «in uno scenario melodrammatico» (Pullini). In effetti in Malombra,
ma anche nelle opere pittorescamente successive (Daniele Cortis, 1885, Fedele altri racconti, 1887, e,
soprattutto, Il mistero del poeta, 1888), la scrittura fogazzariana, evocatrice e aperta al mistero, al sogno, alla
suggestione della musica (molt protagonist, soprattutto le eroine, sanno suonare il piano- forte o hanno
comunque una piccata sensibilità musicale) supera il Naturalismo, apren- alle dosi a prospettive idealistiche
e decadenti, captate da un lettore fine e curioso, attento novità delle grandi letterature europee (Fogazzaro
conosce bene il francese e il tedesco). Un successo ancora più grande di quello toccato a Malombra accoglie
la pubblicazione di Piccolo mondo antico (1895). Primo romanzo di una trilogia, racconta il cammino
coppia "*anticonformista", fra lutti e pregiudizi, fra l'energia vitale tormentato di una donna e lafede
cristiana dell'uomo, nel difficile periodo preunitario e sullo sfondo della dell'amata Valsolda. Ad esso
seguono due opere (Piccolo mondo moderno, 1900, e Il Santo, 1905) incentrate sulla figura di Pietro
Maironi
di Piccolo mondo antico che, dopo una figlio di Franco e Luisa, i due protagonisti crisi mistica, si reca nel
convento benedettino di Subiaco e, senza prendere voti, inizia a predicare e operare per il bene di tutte le
genti della valle, diventando così Benedetto, il santo laico auspicato dal "modernismo" Il Santo viene posto
all 'indice quattro mesi dopo la sua uscita e Fogazzaro accetta la censura vaticana, rimanendo solo a
difendere con articoli su giornali, conferenze e dibattiti, e le sue convinzioni "moderniste" e, nello stesso
tempo, le ragioni della sua scelta di sottomissione. In questo isolamento, intellettuale e morale, nasce il suo
ultimo romanzo, Leila, vero e proprio testamento spirituale, estremo tentativo di conciliare un cattolicesimo
moderno con il sincero rispetto per retrivo e corrotto clericalismo. la "cristianità" delle origini, lontana da
ogni corrotto clericalismo

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