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Gabriele D’Annunzio

Il Decadentismo italiano ebbe la sua prima manifestazione in Gabriele D'Annunzio,


personalità accesa ed esuberante, che sulla sua generazione esercitò un influsso profondo.
D'Annunzio offre l'esempio più riuscito di quel rapporto simbolico fra vite e arte che fu uno
dei miti della civiltà decadente. Compito che un poeta qualifichi la propria eccezionalità nell'
attitudine a concretizzare non solo nella parola, ma anche nella scelta comportamentale e
nel gesto il suo sogno di bellezza, egli ha costruito la propria esistenza come un'opera d'arte
e se ne è compiaciuto come di una vicenda "inimitabile".
Appena otto anni separano per nascita D'Annunzio (1863) dal Pascoli (1855) e pur
muovendosi nell'ambito del decadentismo, sono poeti assai differenti.
Il Decadentismo del Pascoli fu più istintivo che consapevole con scarse influenze esterne, il
Decadentismo del D'Annunzio, fu frutto di scelte ben precise operate nell'ambito delle più
svariate tendenze del Decadentismo europeo, come l'estetismo, il sensualismo, il vitalismo,
il panismo, l'Ulissismo (inteso però in senso dinamico altruistico, come ricerca di esperienze
sempre nuove ed eccezionali, e non in senso vittimistico, di perseguitato dal destino, come
l'Ulisse di Foscolo), Gnoseologico (ossi la concezione della poesia come strumento di
conoscenza del mondo ultrasensibile) e il dramma della solitudine umana e dell'angoscia
esistenziale. Gli aspetti più significativi del decadentismo dannunziano sono:
1)l'estetismo artistico, cioè la concezione della poesia e dell'arte come creazione di bellezza,
in assoluta libertà di molti. Sorto come reazione alle miserie e alle volgarità
del Verismo;
2)l'estetismo pratico che ha un rapporto di analogia con l'estetismo artistico;anche la vita
pratica deve essere realizzata in assoluta libertà, al di fuori e al di sopra di ogni legge e di
ogni freno morale.
3) l'analisi narcisistica compiaciuta delle proprie sensazioni più rare, sofisticate e raffinate;
4)il gusto della parola, scelta più per il suo valore evocativo e morale che per il suo
significato logico; esso culmina nei capolavori dell'Alcyone.
5) il panismo, ossia la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell'istinto, poi
dissolversi e immedesimarsi con le forze e con gli aspetti della natura, astri, mari, fiumi,
alberi; a sentirsi, parte del tutto.
Per quel che riguarda le opere in versi del periodo giovanile sono Primo Vere e Canto
Novo; mentre Terra Vergine,Il Libro delle Vergini e San Pantaleone, confluite più tardi in un
volume unico: "Novelle della Pescaia" sono 3 raccolte di novelle. L'influenza dei poeti
Decadenti europei;sull'esempio dei romanzi ciclici dell'800 di Honoré de Balzac (la
commedia Umana), Zola(1 Rangon-Maguart), Verga (I Vinti) caratterizzò le opere
successive in versi, ma è con un ciclo di romanzi,suddiviso in 3 trilogie, ciascuna
denominata dal nome di un fiore la rosa, il giglio, il melograno che D'Annunzio si distinse
letterariamente.
Il Piacere è il primo romanzo della trilogia I Racconti Della Rosa, i fiori simbolo della voluttà,
della passione inscindibile. Il secondo romanzo si conclude con La Trilogia della Morte; I
Romanzi del Giglio, ispirati dal superuomo di Nietzsche, ed il giglio è il simbolo della
passione che si purifica.
I romanzi del melograno contengono allusioni ai frutti che possono derivare danni alle
passioni. Da qui il romanzo "il fuoco". Tra le ultime opere del D'Annunzio ricordiamo le
pagine autobiografiche, nelle quali è presentato un D'Annunzio "diverso", più intimo, più
sincero, più umano, Gli scritti più significativi di questa opera svolta sono: le contemplazioni
della morte, il Notturno, Le favole del maglio, che raccolgono meditazioni e fatalità del poeta,
convalescente per una ferita all'occhio, riportata durante la Prima Guerra Mondiale,
Nell'ambito del Decadentismo (Pascoli e D'Annunzio), presentano notevoli differenze,
Il Pascoli, ha una percezione ansiosa e trepida della solitudine, che lo porta ad unirsi agli
altri e a invocare la solidarietà tra gli uomini; D'Annunzio ha una percezione orgogliosa e
arrogante della solitudine che lo porta ad isolarsi e ad affermarsi sugli altri la propria
superiorità di individuo eccezionale. Nel 1892 con l'articolo la bestia elettiva D'Annunzio
rendeva esplicito e comunicava al suo pubblico l'avvenuto incontro con l'opera di Nietzsche.
La letteratura di Nietzsche, come accade sempre per D'Annunzio, non provoca una
conversione, nel senso che non determina uno smantellamento delle convinzioni e delle
teorizzazioni precedenti, ma dà luogo a un arricchimento eclettico di atteggiamenti culturali.
Il filosofo di Zarathustra aveva lanciato un messaggio che si fondava sulla profezia del
trionfo del nichilismo, cioè sul riconoscimento da parte degli uomini che l'Universo non finirà
mai e non ha al suo interno nessun scopo alla realizzazione del quale l'uomo sia chiamato a
collaborare:
"DIO è MORTO", perché gli uomini lo hanno ucciso, cancellandolo dal loro animo e
espellendo dalla concezione del mondo. Ciò comporta un azzeramento dei valori, che non
sono né vecchi né superati, semplicemente non esistono più come non esiste una morale,
se non come strumento di negazione della vita, di comprensione delle potenzialità insite
nell'individuo. Su questa premessa si annuncia che dovrà sorgere una nuova stirpe di
Superuomini, capaci di liberare le proprie potenzialità, di essere protagonisti della vita,
staccandosi, quasi con una mutazione genetica, dalle vecchie generazioni. Per quanto
riguarda il rapporto tra D'Annunzio e la filosofia di Nietzsche si deve osservare che: in primo
luogo è affermazione comune che lo scrittore ne abbia accolto soltanto alcuni aspetti, quelli
più chiassosi e immediati, come l'esaltazione dell'istinto, del vitalismo, la svalutazione della
morale e della democrazia, l'affermazione del Superuomo che si manifesti attraverso "la
volontà di potenza".
La teoria del Superuomo diede a D'Annunzio una dimensione sociale della sua arte, cioè gli
indicò quale dovesse essere il suo rapporto con il pubblico; non a caso solo dopo l'incontro
con l'opera di Nietzsche nacque il D'annunzio-tribuno, per il quale l'opera d'arte e anche
strumento di intervento sulla realtà,di diffusione e di idee guida, di dominio culturale sulle
masse. Ma è anche vero che dopo la lettura del filosofo
Tedesco si fece più chiara nello scrittore la finalità dell'estetismo: nel Piacere era stata
registrata la sconfitta di Andrea Sperelli, incapace di dare un senso reale alla sua ricerca
artistica; successivamente, con la sostanziale accettazione del nichilismo nietzschiano, che
comporta la negazione di ogni realtà metafisica e di ogni finalità nella natura e nell'universo,
l'Arte diviene, agli occhi di D'Annunzio, l'unica attività di fornire agli uomini uno stimolo vitale,
non descrivendo la realtà, degradata e insignificante, ma creando forme superiori di vita.
L'opera letteraria di D'Annunzio che sicuramente incise in maniera sensibile sugli sviluppi
della narrativa italiana fu II
Fuoco, il romanzo cui cominciò a lavorare nel 1896 e pubblicò nel 1900.Si può dire che con
"Il Fuoco" D'Annunzio abbia dato attuazione al programma annunciato nella prefazione del
Trionfo Della Morte. Finalmente egli ha trovato, e fatto funzionare quel criterio generale
d'interpretazione che aveva a lungo cercato nel suo vario e proficuo tirocinio sperimentale. E
lo ha trovato, o ritrovato se si tiene conto di certi aspetti superomisti presenti da sempre
nella sua vita e nella sua opera e se si accetta
l'equazione "sensualismo = amore per la vita", proprio del mito del Superuomo e, per
quel che riguarda il fatto esistenziale e importantissimo dell'espressionismo e dello
"stile", nella poetica che esso sottende.
A differenza di quanto avviene nei romanzi precedenti e nei drammi teatrali coevi alla
composizione del Fuoco, il protagonista di quest'opera non è un essere combattuta, alla
ricerca, travagliata e fallimentare, della realizzazione del proprio ideale superomistico. Qui il
Superuomo,colto nella dimensione dell'artista, è pienamente realizzato, sostenuto dall'inizio
alla fine dalla sicurezza della proprie eccezionalità e superiorità, che gli vengono
riconosciute da tutti quelli che lo circondano, dall'amante, l'attrice Foscarina, che accetta
come destino di essere uno strumento artistico e di piacere nelle mani del sommo poeta,e
da i numerosi epigoni, ammiratori, discepoli che popolano che popolano le pagine del
romanzo. Questa condizione
"felice" del protagonista si riflette sullo stile; nel Fuoco viene portato all'estremo il tentativo di
liricizzare la prosa, di costruire un puro supporto narrativo a una successione di pagine che
ospita descrizioni scintillanti di immagini e i analogie, evocazioni di atmosfere strane e
rarefatte, visioni. La prosa D'Annunziana,con il Fuoco, giunge a un traguardo definitivo della
sperimentazione iniziata con i primi racconti; in seguito la ricerca dell'autore prenderà strade
diverse. Nel 1910, in realtà, comparve l'ultimo grande romanzo di D'Annunzio, "Forse che
sì... forse che no." opera assai interessante per vari motivi; per esempio il protagonista,
ulteriore
"incarnazione" del Superuomo, lega la sua volontà di potenza al moderno mito della velocità
e del rischio, in quanto l'automobile e l'aeroplano diventano macchine-
simbolo di una condizione di vita. Tuttavia quasto romanzo, pur presentando alcune novità
nello stile di scrittura, non aggiunge molto al cammino già percorso da D'Annunzio nel
campo narrativo. Perciò si può effettivamente considerare "il Fuoco" l'esito finale della sua
ricerca. La trama del romanzo raggiunge un esile quasi assoluta; il racconto si incentra su
una serata al palazzo Ducale di Venezia (nel corso della quale il protagonista, Stelio Effrena,
si esibisce, davanti a un pubblico in estasi, in una specie di conferenza-lirica), su tre o
quattro gite (alle ville del Brenta, a
Murano, e alcuni percorsi in gondola) e su alcuni dialoghi fra i personaggi.
L'avvenimento eccezionale è completamente bandito. In queste condizioni non si può
neppure parlare di "azione" che si sviluppa, tanto più che tutto quanto è già implicito nelle
premesse. Allo stesso modo la scansione temporale perde rilievo: essi si distribuiscono tra
la fine del settembre 1882 e il 16 febbraio 1883, ma a parte alcune descrizioni della natura e
della città lagunare nessun elemento contribuisce a stabilire le distanze tra le varie scene,
che si dispongono in una successione cronologica, ma all'interno di un tessuto temporale
indistinto. Il pubblico dei lettori del Fuoco colse subito la puntuale corrispondenza tra la
storia di Stelio e della Foscarina e la relazione tra D'annunzio e la Duse. Ma ancora più
eccezionale è il fatto che lo scrittore abbia voluto creare un personaggio che lo rappresenta
in maniera totale. Nella storia del romanzo molti autori resero protagonisti dei loro racconti
uno scrittore, ma nel caso del Fuoco D'Annunzio giunge ad attribuire a Stelio non solo le sue
idee estetiche, la propria ideologia, le proprie aspirazioni, bensi utilizza brani delle sue opere
attribuendole al protagonista. Il discorso che nel romanzo Stelio "improvvisa" nel
Palazzo Ducale, non è altro che il discorso pronunciato da D'Annunzio 8 novembre 1895 nel
liceo musicale Benedetto Marcello di Venezia. Così il dramma che l'artefice-superuomo sta
concependo, la Vittoria dell'Uomo, è una chiara rielaborazione di testi teatrali dannunziani,
tra cui la già rappresentata in nota Città Morta. C'è evidentemente la volontà di suggerire al
lettore un'identificazione artistico-intellettuale fra lo scrittore e il personaggio; perciò Stelio
Efferna assume una funzione particolare perché attraverso lui D'Annunzio dà
un'interpretazione di sé stesso, rivelando non solo il senso della produzione teatrale che
desidera venga accolto e divulgato, ma conferendo un preciso rilievo ideologico alla figura
dell'intellettuale che egli vuole incarnare, nell'Italia che si affaccia alle soglie del nuovo
secolo. Amplificazione della realtà è indicativa: Stelio pronuncia il suo discorso nel luogo più
nobile di Venezia davanti alla regina e a un pubblico che attende non solo il pezzo di bravura
ma il
"messaggio". E' questa la nuova dimensione pubblica che D'Annunzio richiede per sé e che
ha già iniziato a costruire con il teatro e l'adesione al credo superomistico. Se Andrea
Sperelli del Piacere e Giorgio Aurispa del trionfo della Morte con il loro carattere illustrano
aspetti particolare della personalità di D'Annunzio, Stelio
Effrena è il vero ritratto ideale dell'autore. La tensione verso l'assoluto, la volontà di potenza
e di affermazione individualistica sono i caratteri del Superuomo che vennero accolti da
d'Annunzio e furono integrati al suo naturale e incoercibile estetismo.
Occorre tener presente una distinzione fondamentale: Nietzsche costruisce la sua idea di
Superuomo in maniera teorica e filosofica esprimendosi per aforismi; quando invece il
Superuomo si concretizza nella mente e nella fantasia di D'Annunzio, acquista una
concretezza pratica, deve fare i conti con una realtà sociale e storica ben definita. Si pone
cioè il problema di che cosa occorra fare e dire per essere un "eletto"; tra le soluzioni
possibili (il super-politico,il super-condottiero di eserciti o il super-rivoluzionario, ecc..)
D'Annunzio scelse quella più confacente alla sua natura, quella del super-artista. L'osmosi di
arte e vita si attua nella "super opera d'arte" e nell'ideologia del "bel gesto"
Il Superuomo dannunziano, nel momento stesso in cui nega i valori della società borghese e
ne ripudia la morale, ha bisogno di un pubblico che non può essere che quello borghese;
non ha il carattere filosofico di quello nietzschiano, autosufficiente e pago della propria
superiorità, ma deve esprimersi pubblicamente, agire in modo tale da essere riconosciuto
per quello che è. Perciò il Superuomo-artefice non può che perseguire la fedele espressione
dell'io.Se si considera il protagonista del Fuoco ci si accorgerà che tutto quello che gli viene
attribuito come azione, parola, intenzione, pensiero, passa per un rigoroso filtro di tipo
retorico a parte l'aggettivazione ridondante e sempre spinta a sottolineare l'eccezionalità dei
vari fenomeni, ogni gesto e atteggiamento assume un carattere particolare segno di una
costante volontà dell'autore di evidenziare il solco che divide le esperienze di Stelio da
quelle degli esseri comuni.Perciò Stelio non parla quasi mai, ma o grida o sussurra;non
guarda,ma indaga con lo sguardo; non sente, ma entra in vibrante consonante con tutti i
suoni.

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