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GABRIELE D’ANNUNZIO

Nasce a Pescara da una famiglia borghese, studiò in una delle scuole più
aristocratiche dell’Italia del tempo. Precocissimo, esordì nel 1879 con un libretto di
versi, Primo vere, che suscitò una certa risonanza. A diciotto anni si trasferì a Roma
per frequentare l’università, dove esercitò la professione di giornalista. Acquistò
subito notorietà con opere che spesso suscitavano scandalo per i contenuti erotici.
Questa fase estetizzante della vita di d’Annunzio attraversò una crisi che si risolse
con il mito del superuomo, mito di energia erotica, attivistica. Paradossalmente il
culto della bellezza e il vivere inimitabile risultavano essere finalizzati alloro
contrario, a ciò che d’Annunzio ostentava di disprezzare, il denaro e le esigenze del
mercato. E’ una contraddizione che non riuscirà mai a superare. Nel 1897 tenta
l’avventura parlamentare come deputato dell’estrema destra, in cui esponeva il suo
disprezzo per i principi democratici ed ugualitari. Nel 1900 passò però allo
schieramento di sinistra. Nel 1910 a causa dei creditori inferociti fu costretto a
lasciare l’Italia e a rifugiarsi in Francia.
Ben presto si rende però conto della debolezza della figura dell’esteta: questo non
aveva la forza di opporsi realmente alla borghesia in ascesa. Egli quindi si rifugia nel
suo isolamento sdegnoso, dove il culto della bellezza si trasforma in menzogna. Il
primo scritto è “il Piacere”. Nei confronti di questo sdoppio presente nell’opera egli
ostenta un atteggiamento impietosamente critico. In realtà il romanzo è percorso da
una evidente ambiguità poiché Andrea non cessa di esercitare un sottile fascino
sullo scrittore, con il suo gusto raffinato.
La crisi dell’estetismo non approda immediatamente a soluzioni alternative. Al
Piacere succede un periodo di incerte sperimentazioni, subendo il fascino del
romanzo russo. Nell’innocente si esprime un’esigenza di rigenerazione e di purezza,
attraverso il recupero della vita coniugale e della vita a contatto con la natura.
Questa fase, detta fase della bontà, comprende la raccolta poetica del Poema
Paradisiaco, percorsa da un desiderio di recuperare l’infanzia perduta. Infatti il libro
tratta di stati d’animo di languore voluttuoso, atmosfere sfatte, paesaggi su cui
aleggia un senso di estenuazione e morte.
D’Annunzio coglie alcuni aspetti del pensiero di Nietzsche: il rifiuto del conformismo
borghese, l’esaltazione dello spirito dionisiaco, il rifiuto dell’etica della pietà,
dell’altruismo, l’esaltazione della volontà di potenza e il mito del superuomo.
Vagheggia perciò l’affermazione di una nuova aristocrazia che sappia elevarsi a
superiori forme di vita attraverso il culto del bello e l’esercizio della vita attiva ed
eroica.
La nuova figura del superuomo di d’Annunzio non nega la precedente immagine
dell’esteta, ma la ingloba in sé; in questo modo l’estetismo sarà lo strumento di una
volontà di dominio sulla realtà.
Il quarto romanzo di d’Annunzio, il Trionfo della Morte (1894), rappresenta una fase
di transizione. L’eroe, Giorgio Aurispa, è ancora un esteta che, travagliato da
un’oscura malattia interiore, va alla ricerca di un nuovo senso di vita, dimostrando
una nuova definizione dell’intellettuale, che deve essere libero dal peso del
vittimismo e della sconfitta. Un breve rientro nella sua famiglia acuisce la crisi
dell’eroe a causa della sua immersione nel groviglio di nevrosi della vita familiare. Da
quel mondo barbarico e primitivo l’esteta viene respinto. Prevalgono in lui le forze
negative della morte; infatti il suicidio, per Giorgio, è come il sacrificio rituale che
libera d’Annunzio dal peso angoscioso delle problematiche negative.
Il romanzo successivo è infatti, le Vergini delle Rocce, che segna una svolta
ideologica radicale. Si parla di un eroe forte e sicuro, tanto da essere definito come il
romanzo politico del superuomo. L’eroe, Claudio Cantelmo, vuole portare a
compimento in sé “l’ideal del tipo latino”, e generare il superuomo. In questo
personaggio si raggiunge la maturità e la pienezza in modo da non dover più temere
le forze disgregatrici, che avevano portato alla sconfitta di Giorgio Aurispa nel
Trionfo.
Questi personaggi dannunziani si confermano nel Fuoco, manifesto letterario del
superuomo. L’eroe è Stelio Effrena che vuole creare un nuovo teatro, che dovrà
forgiare lo spirito nazionale della stirpe latina. Anche qui però forze oscure si
oppongono all’eroe chiamato a destini sovraumani, che prendono corpo in una
donna.
Dopo un decennio di interruzione, d’Annunzio ritorna al romanzo Forse che si Forse
che no, dove il protagonista, Paolo Tarsis, realizza la sua volontà eroica nel volo. Con
questo, d’Annunzio, si offre come celebratore di un simbolo della realtà moderna.
Alla sublimazione del superuomo, però, si oppone un donna nemica, sensuale,
perversa e nevrotica. Proprio per questo il poeta cerca la via di liberazione della
morte, sicuro di precipitare con l’aereo in mare ma, riassalito dal desiderio della vita
riesce a compiere una grande impresa, approdando sulle coste della Sardegna.
LE LAUDI
L’approdo all’ideologia superomistica coincide con la progettazione di vaste e
ambiziose costruzioni letterarie, che siano commisurate al compito di diffondere il
verbo del “vate”. Così, come si è visto, d’Annunzio disegna cicli di romanzi, che però
spesso non porta a termine: le laudi del cielo del mare della terra e degli eroi: un
progetto di celebrazione totale, che esaurisca tutto il reale. Nel 1903 erano terminati
e pubblicati i primi tre, Maya, Elettra e Alcyone.
E’ questa l’ultima tappa di quella ricerca di un ruolo dell’intellettuale all’interno della
civiltà borghese moderna, che era iniziata con la crisi dell’esteta e la scoperta del
mito superomistico. La contrapposizione alla realtà moderna era ancora violenta e
radicale. Ora, con Maia, si ha una svolta di centottanta gradi: nel mondo moderno
d’Annunzio scopre una segreta bellezza, un nuovo sublime, l’epica delle grandi
imprese e la forza travolgente ma grandiosa del capitalismo. Ma, dietro al vitalismo
del superuomo si scorge pur sempre l’attrazione morbosa per il disfacimento e la
morte, dove è facile intravedere la paura e l’orrore del letterato umanista.
L’originalità di d’Annunzio consiste nel fatto che egli non si chiude a contemplare
vittimisticamente la propria impotenza, ma reagisce costruendosi sterminati sogni di
onnipotenza. Invece di fuggire dinanzi a ciò che lo aggredisce esorcizza la paura e
l’orrore autoinvestendosi in un ruolo nuovo. In questo modo l’esteta può passare
dal suo atteggiamento di radicale rifiuto antiborghese alla posizione di cantore
entusiasta della realtà moderna.
ALCYONE
Il terzo libro delle Laudi, Alcyone, è apparentemente lontano dagli altri due. Al
discorso politico, celebrativo, polemico, si sostituisce il tema lirico della fusione
panica con la natura; la motivo dell’azione energica, un atteggiamento di evasione e
contemplazione. Il libro, comprendente 88 componimenti, è come il diario di una
vacanza estiva, dai colli fiesolani alle coste tirreniche tra marina di Pisa e la Versilia.
La stagione estiva è vista come la più propizia ad eccitare il godimento sessuale, a
consentire la pienezza vitalistica. Sul piano formale, alla turgidezza enfatica di Maia,
succede un ricerca di sottile musicalità, che tende a dissolvere la parola in sostanza
fonica e melodica, con l’impegno di un linguaggio analogico. Per questo Alcyone è
stata vista come la poesia “pura”, libera dall’ideologia superomistiche dalle sue
finalità pratiche, rispondente al nucleo più genuino dell’ispirazione del poeta.
L’esperienza panica cantata dal poeta non è che una manifestazione del
superomismo. Nell’opera traspare l’esaltazione di una violenta vitalità dionisiaca, la
prefigurazione di un futuro di rinata romanità imperiale, l’ulissismo, cioè la febbre di
vivere tutte le esperienze, al di là di ogni limite. Il peso dell’ideologia superomistica
non arriva mai a gustare interamente il libro, che offre alcuni dei risultati più alti
della poesia dannunziana: una poesia che ha esercitato un’influenza profonda sulla
lirica novecentesca.

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