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2 possibilità:
ALLEGORISMO: Rappresentazione della realtà della scissione, della fine di accordo e armonia
con il mondo, della trasformazione della natura in una “seconda natura” artificiale e alienata.
SIMBOLISMO: 1876 (Mallarmé: “L’apres midi d’un faune”) al primo decennio del ‘900. Si tratta
essenzialmente di una poetica (la principale poetica del Decadentismo) caratterizzata da un
procedimento in cui si fa largo uso di simboli, intesi come il modo attraverso il quale,
intuitivamente, il poeta è in grado di rivelare l’universale attraverso il particolare, l’infinito
attraverso il finito. Principali esponenti: Verlaine, Rimbaud, Mallarmé.
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propaga in tutta Europa a cavallo fra i due secoli. In Italia si afferma con il romanzo “Il piacere” di
d’Annunzio (1889) e la raccolta di poesie “Myricae” di Pascoli (1891).
Estetismo e irrazionalismo sono le componenti prioritarie del Decadentismo.
Estetismo: il culto della bellezza e dell’arte, elevate al di sopra di ogni cosa: l’arte per l’arte e
l’identificazione di arte e vita caratterizzano questo indirizzo. L’estetismo rifiuta di rispondere ad
altra morale che non sia quella del canone artistico. Esponenti principali: in Inghilterra Pater e
Wilde, in Italia d’Annunzio.
Irrazionalismo: negazione della ragione come strumento di conoscenza. La ragione non è in grado
di raggiungere lo strato profondo, “noumenico” della realtà, ma si ferma solo al livello
“fenomenico”. Necessità quindi di trovare un nuovo strumento di conoscenza, individuato
nell’intuizione, intesa come capacità di mettere l’artista in comunicazione diretta e immediata con il
mistero universale. Di qui la critica della scienza (legata alla razionalità) e l’esaltazione dell’arte,
legata all’esperienza di zone irrazionali, istintive e misteriose, precluse comunque ai più, ma
dischiuse all’artista.
Di qui la nuova funzione del poeta, privilegiata e particolare: diventa sacerdote dei misteri, tramite
unico attraverso cui lo spirito profondo si manifesta. E’ per questo che il poeta, l’artista in generale,
tende a proporsi come individuo inimitabile e ama circondarsi di un’atmosfera iniziatica e quasi
sacrale.
All’inizio del 900 questi caratteri aristocratici ed elitari verranno messi in discussione dall’irruzione
delle Avanguardie: nel 1904 nasce in Germania l’Espressionismo, con cui inizia un’età nuova.
L’artista prenderà nettamente le distanze dal Decadentismo e dall’idea di artista e poeta sostenuta da
questo movimento.
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2. Il decadentismo in Italia
In Italia i nostri letterati, pur respirando la nuova aria europea, non riusciranno a ribellarsi davvero
alla tradizione culturale petrarchesca (neanche i romantici vi erano riusciti): pur assimilando le
istanze di fondo del decadentismo francese e tedesco non riusciranno perciò a costruire una poetica
autenticamente nuova. Inoltre, da piccolo-borghesi quali erano, non ruppero mai, come invece era
avvenuto in Francia, i legami con la loro classe sociale e anzi ne divennero, con contraddizioni e
ambiguità, i cantori.
Il primo esempio di letteratura decadente in Italia si ha con il romanzo Malombra (1881) di Antonio
Fogazzaro ( 1842-1911 ). Con quest'opera prende risalto la figura dell'uomo sradicato dalla società,
o meglio ancora dell'intellettuale che si sente respinto da essa; insomma dell'inetto a vivere che si
abbandona totalmente a una vita vuota in preda all'incertezza e all'inquietudine, in balia
dell'incoerenza e della contraddizione: una figura di protagonista che si ritroverà continuamente
nella narrativa italiana degli ultimi decenni dell'800.
Negli altri romanzi, e particolarmente nella trilogia Piccolo mondo antico (1896), Piccolo mondo
moderno (1902) e Il santo (1905), Fogazzaro tentò di conciliare le dottrine del positivismo e di
Darwin in particolare con la fede cattolica, ma la sua esperienza modernista risultò fallimentare.
Unica salvezza nell'inquietudine dei tempi moderni non rimane, per Fogazzaro, che il recupero
memoriale dei luoghi cari dell'infanzia, di quel “piccolo mondo antico” intimamente raccolto e sano
nella sua consistenza morale.
Giovanni Pascoli più per il suo grande istinto d'artista che per consapevole adesione alla poetica del
decadentismo europeo, di cui non ebbe certo un' ampia e approfondita conoscenza, è il poeta che,
più di ogni altro, operò un taglio netto con la tradizione aulica e contribuì al rinnovamento della
poesia italiana.
Riservato, amante del quieto vivere, ossessivamente legato al " nido " domestico, Pascoli condusse
una vita grigia e monotona divisa fra le città dove svolse la sua attività di insegnante e la casetta di
campagna di Castelvecchio.
La poetica di Giovanni Pascoli è condensata nella prosa del Fanciullino ( 1897 e 1902). Secondo il
poeta c'è in tutti gli uomini un fanciullino, che rimane tale anche quando gli uomini crescono e la
loro voce “ingrossa e arrugginisce”. Questo fanciullino è generoso e buono, piange e ride senza
motivi apparenti, dà un nome alle cose che vede, ne “scopre le somiglianze e le relazioni più
ingegnose”, sa stupirsi e meravigliarsi di tutto, trovare nelle cose "il loro sorriso e la loro lacrima".
Questo fanciullino dunque altri non è che il poeta, presente in tutti gli uomini in maniera potenziale;
ma solo chi sa ascoltare questa voce, non contaminata dalle sovrastrutture culturali e letterarie, e sa
darle forma, diventa veramente poeta: " il poeta è colui che esprime la parola che tutti avevano sulle
labbra e che nessuno avrebbe detta ".
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Da questo testo possiamo trarre alcune considerazioni di carattere generale sulla poetica pascoliana:
1. L'arte ha un carattere eminentemente irrazionale e intuitivo, ed essa sola può metterci in contatto
con l'ignoto e il mistero universale; di qui il rifiuto della ragione e il riconoscimento del fallimento
del positivismo.
2. La poesia non è trasfigurazione del reale, ma oggettiva ricerca dei valori eterni e primitivi della
realtà ( " tu sei il fanciullo eterno, che vede tutto con meraviglia, tutto come per la prima volta " ).
3. La vera poesia sta nelle piccole cose, nella semplicità della quotidiana esperienza; di qui l'accusa
alla poesia italiana di troppa letterarietà, con la conseguente distinzione tra poesia " applicata " e
poesia " pura ".
4. La necessità di una lingua precisa, che esprima con chiarezza e immediatezza, senza ornamenti o
sovrastrutture retoriche, le sensazioni, che dia ad ogni cosa il suo giusto nome.
5. La poesia è intesa non come privilegio di esseri superiori, ma come dono concesso a tutti gli
uomini, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza.
Da questa concezione della poesia e dalle esperienze umane di pascoli ( la fanciullezza passata in
campagna, i lutti familiari accavallatisi in breve volgere di tempo, fra cui l'uccisione del padre, la
morte della sorella, della madre e del fratello, l'esperienza breve ma importante del carcere per aver
manifestato in favore dell'anarchico Passanante) nascono i temi della poesia pascoliana.
Il primo è fondamentale tema simbolo è quello del nido, il nido-casa, come protezione, il nido-culla
come regressione verso l'infanzia e che denuncia l'incapacità del poeta di instaurare normali rapporti
con la realtà, il nido vuoto delle presenze familiari, che richiama frequentemente l'immagine del
cimitero.
E accanto al nido il suono delle campane, che ora riporta alle dolcezze, per sempre svanite,
dell'infanzia, ora richiama pensieri cupi di sofferenza e di morte: dunque campane festa e campane
a morto.
E poi gli uccelli, gli animali prediletti da Pascoli, che si accompagnano molte volte al motivo del
nido, soprattutto le rondini, e altre volte sono figure inquietanti, come la civetta, o esseri superiori,
che solcano il cielo quasi fuori dalle dimensioni di spazio e di tempo.
Infine i fiori: i fiori dei morti, i " fiori fuori stagione”, fragili come la vita dell'uomo, i fiori che
richiamano la sessualità ombrosa e ambigua. Nella poesia pascoliana i fiori non sono un lieto e
variopinto trionfo della natura, un sereno spettacolo, immagine di bellezza: sono invece gli
annunciatori della morte, i simboli della solitudine e dell'incomunicabilità, o il funebre ornamento
dei morti.
Con Giovanni Pascoli e la sua poetica del fanciullino, il suo sperimentalismo linguistico, l'amore
per le piccole e semplici cose, la poesia italiana rompe per la prima volta clamorosamente con la
tradizione aulica, con un'operazione soprattutto soggettiva e individuale, anche se all'interno di un
clima generale di decadentismo aleggiante ovunque. Ma è però soltanto grazie all'opera di Gabriele
D'Annunzio che avviene la prima vera sprovincializzazione della letteratura italiana, attraverso la
ricezione e l'assimilazione dei motivi dominanti del decadentismo europeo.
L'enorme diversità che separa Pascoli da D'Annunzio appare evidente anche solo da un esame delle
due biografie: tanto fu riservata, raccolta, lontana dalla risonanza pubblica la vita di Pascoli,
altrettanto fu avventurosa, sontuosa, stravagante, ricca di gesti clamorosi quella di D'Annunzio,
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poeta, romanziere, novelliere, drammaturgo, " uomo politico " ed " eroe nazionale " per una certa
generazione.
La vita di D'Annunzio non si può disgiungere dalla sua arte e la sua arte si giustifica con una scelta
di vita. Egli fu realmente l'incarnazione, il ritratto vivente di Des Esseintes, il protagonista del
romanzo “A rebours” di J.K. Huysmans, pubblicato nel 1884.
Se è possibile parlare di una poetica pascoliana non possiamo fare altrettanto con D'Annunzio, che
non approdò mai a una vera poetica, ma ne elaborò varie, assimilando di volta in volta le varie
esperienze europee e sempre porgendo l'orecchio vigile alle esigenze del pubblico e del mercato
editoriale, per rimanere sulla cresta dell'onda. In questo senso, D'Annunzio è il tipico
rappresentante, in Italia, di quella corrente del decadentismo che fece dell'arte uno strumento di
affermazione del proprio " io ", grazie alla capacità di sfruttare reclamisticamente il bel gesto, lo
scandalo, l'avventura brillante, quindi della più retriva borghesia della belle époque.
L'estetismo dannunziano trova la sua giustificazione teorica nel romanzo Il piacere ( 1889 ).
Andrea Sperelli, il protagonista, uomo, o meglio superuomo raffinatissimo, vive secondo le
massime paterne:
" bisogna fare la propria vita come si fa un'opera d'arte. “Bisogna che la vita di un uomo d'intelletto
sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui”; “Bisogna conservare ad ogni costo intiera la libertà
fino all'ebbrezza”; “Il rimpianto è il vano pascolo d'uno spirito disoccupato. Bisogna soprattutto
evitare il rimpianto occupando sempre lo spirito con nuove sensazioni e con nuove immaginazioni":
sono queste le massime che il nostro poeta aveva ormai elevato a programma di vita.
Il superuomo
L'incontro con l'opera di Nietzsche e con il mito del superuomo, interpretato però e distorto dalla
esasperata sensibilità dannunziana, porta all'esasperazione delle tesi già presenti e annunciate nel
Piacere.
Dall'incontro Nietzsche-D’Annunzio nascono Le vergini delle rocce ( 1895 ), il cui protagonista,
Claudio Cantelmo, è una più decisa proiezione dell'autore, uno Sperelli diventato “superuomo”. Ed
ecco il programma di vita di Cantelmo-D’Annunzio: “Il mondo è la rappresentazione della
sensibilità e del pensiero di pochi uomini superiori, i quali lo hanno creato e quindi ampliato e
ornato nel corso del tempo e andranno sempre più ampliandolo e ornandolo in futuro. Il mondo,
quale oggi appare, è un dono magnifico elargito dai pochi ai molti, dai liberi a gli schiavi: da coloro
che pensano le sentono a coloro che devono lavorare”.
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3. Il culto della bellezza - conseguenza del secondo corollario - il cui godimento e la cui fruizione
sono privilegio di pochi eletti, che vengono così a distinguersi dalla plebaglia volgare.
4. Una mescolanza di barbarie primitiva e di raffinata ricercatezza.
Siamo perciò di fronte ad una concezione del mondo e dell'uomo quanto mai aristocratica, che
arriva persino a sconfinare nell'esaltazione della razza.
Alcyone
Alcyone (1903) è il terzo dei sette libri delle “Laudi del cielo, della terra, del mare e degli e eroi”,
un vasto ciclo di poemi che doveva comprendere in tutto sette libri, tanti quante le Pleiadi, ma che
fu compiuto dall'autore solo in parte.
La struttura dell’Alcyone è divisibile in cinque sezioni, per un totale di 88 testi. Si tratta di un diario
lirico dell'estate trascorsa in Versilia, vista dal momento del suo nascere a quello del declinare. Il
testo che analizzeremo, La pioggia nel pineto, appartiene alla sezione seconda: ora l'estate è esplosa
e 19 testi che formano questa sezione si riferiscono al periodo che va dal 1 all’ 8 luglio. In essi si
realizza la celebrazione del rapporto panico con la natura, con cui il soggetto tende a identificarsi,
sciogliendovi la propria identità e assumendo quella dell'intero paesaggio circostante.
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3. Il ‘900: Crepuscolarismo, ermetismo, allegorismo
Le due linee fissate da Baudelaire vengono continuate in tutta la lirica occidentale. Si tratta di due
concezioni, come abbiamo già avuto modo di dire, diverse.
Da un lato c'è l'idea di una poesia come rivelazione della verità assoluta e metafisica e
profondamente radicata nell'esperienza autentica di un individuo. La poesia può diventare un atto
mistico o magico: per questo, ricordando il mitico vate greco Orfeo, che con il suo canto trascinava
alberi e pietre e commuoveva gli dei, si parla anche di orfismo.
Dall'altra parte c'è l'idea della poesia come ricerca e conoscenza della verità: una verità che può sì
essere superiore alle singole vicende personali storiche, ma che rimane umana e razionale.
Da una parte, dunque, la poesia si costituisce come un mondo autonomo, separato dalla realtà
quotidiana, dall'altra invece dialoga con la cronaca e la storia, facendone il proprio oggetto di
rappresentazione e di indagine.
In Italia, dopo D'Annunzio e Pascoli, la poetica del simbolo sarà adottata prima da Ungaretti e
Campana, poi dall'ermetismo degli anni 30.
La seconda guerra mondiale segna però da noi una crisi profonda. La poetica del simbolo porta
alla chiusura della poesia in se stessa, inerme e irresponsabile di fronte alla realtà attuale. Il
fascismo e la catastrofe bellica inducono drammaticamente i poeti a riconsiderare la loro
funzione: così coloro che avevano avuto una formazione ermetica approderanno ad una nuova
poetica, sempre più vicina alla linea allegorica.
Suggestionati dal simbolismo, ma presto critici nei suoi confronti, in senso ironico o
melanconicamente ripiegato, sono i crepuscolari.
Il rifiuto del simbolismo è esplicito nelle avanguardie; anche se esso non esclude importanti debiti
formali. È il caso del Futurismo prima e poi della neoavanguardia italiana degli anni 60.
AVANGUARDIE: Movimenti ribellistici e provocatori, formati da artisti che si uniscono tra loro
per combattere e opporsi al gusto arretrato della tradizione dominante. Le prime vere avanguardie
furono, all'inizio del '900, l'Espressionismo e il Futurismo, che caratterizzarono la letteratura, la
musica e la pittura nel primo ventennio del nuovo secolo.
Nonostante la loro diversità, le avanguardie primo novecentesche hanno alcune caratteristiche
comuni:
opposizione al Naturalismo e al Decadentismo: l'arte non è più uno specchio oggettivo
della realtà (come nel Naturalismo), ma è l'espressione dell'inconscio e dell'istinto; l'arte non
è più contemplazione e manifestazione del sublime (come nel Decadentismo), ma è una
tecnica materiale, un gesto di provocazione;
dimensione collettiva: l'attività artistica è usata in modo immediatamente politico,
facendone uno strumento di rivolta collettiva; l'arte diventa attività totale, separata, che
giunge perfino alla distruzione dei musei;
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internazionalità e interartisticità: l'attività artistica si estende ad ogni Paese, riguarda tutte
le arti (pittura, cinema, teatro, letteratura, ecc.) e ne sperimenta tutte le tecniche,
interscambiandole.
Figli del decadentismo sono anche i poeti detti " crepuscolari ". Le voci più rappresentative di
questo movimento reagiscono, più o meno consapevolmente e più o meno polemicamente, alla
aristocratica raffinatezza di D'Annunzio e guardano al Pascoli di Myricae come a un padre
spirituale.
Il più autorevole dei poeti crepuscolari è Guido Gozzano ( 1883-1916 ), autore di due raccolte di
versi ( La via del rifugio e I colloqui), di un resoconto di viaggio (Verso la cuna del mondo) e di
alcune raccolte di fiabe e novelle.
La poesia di Gozzano segna il rifiuto del modello dannunziano. Alla “vita inimitabile” di
D'Annunzio si oppone quella di malato di Gozzano (contrae la tubercolosi, che lo porterà alla
morte); all'orgoglio della poesia vissuta da D'Annunzio come privilegio e onore, Gozzano risponde
“io mi vergogno di essere poeta”. Infatti l'arte è per lui una consolazione privata, che lo ripaga
delle sue frustrazioni sociali e lo protegge dal mondo e la poesia non può affermare alcun
significato positivo, né indicare prospettive presenti o future agli uomini, perché riguarda ormai i
valori sorpassati di una civiltà scomparsa. Perciò la letteratura diventa così il luogo in cui la
consapevolezza dell'inutilità stessa della letteratura è al massimo grado e per questo motivo scrivere
ancora significa prendersi in giro da soli.
Tutta la produzione di Gozzano è caratterizzata da una sofferenza del tempo e dello spazio e da
un'esigenza di rifugio contro il loro inquietante incombere, e in tal senso diventa simbolico il titolo
della prima raccolta. Gozzano teme gli " orizzonti troppo vasti ", ama la protezione dei confini
limitati e familiari: Torino, che non è la grande città, ma la città " un po' vecchiotta, provinciale ",
che ispira una cordiale fiducia, ma soprattutto quel raccolto angolo ideale della sua fantasia che è il
Canavese, dove si respira un senso di borghese benessere, di soddisfatto edonismo, di raffinato
intimismo. In sostanza tutto un album poetico di paesi e di cose, una ricerca di scenari ridotti, per
suscitare una difesa contro il sentimento dello spazio senza confini.
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Accanto alla sofferenza dello spazio troviamo, come si è detto, quella del tempo: un tempo che
trascorre e dissolve la memoria delle cose, che si fa rimpianto accorato "di ciò che è stato e non sarà
più mai "; di qui l'urgenza di un rifugio nella memoria, che si traduce, sulla pagina, nel motivo lirico
della stampa antica o della rievocazione dell'ideale stagione dell'infanzia.
L'importanza storica di Ungaretti non si lega soltanto al valore artistico dei suoi risultati, che pure lo
collocano tra i primissimi poeti del 900 italiano, ma dipende anche dall'influenza esercitata sulle
esperienze letterarie successive: influenza profonda ma anche contraddittoria.
Il percorso della ricerca di Ungaretti si presenta infatti legato da un lato alla stagione
avanguardistica degli anni Dieci e dall'altro alla crisi delle avanguardie, con il conseguente “ ritorno
all'ordine “, dopo il 1920. Nella sua formazione concorrono sia il simbolismo francese, sia la grande
tradizione italiana (Leopardi e Petrarca), sia infine l'esperienza delle avanguardie.
La raccolta è divisa in 5 sezioni, composte nel periodo da prima della guerra al 1919. Le ultime
poesie segnano l'approdo alla nuova poetica, che si inaugurerà con l'opera “Sentimento del tempo”
(1933).
Il tema dominante della raccolta è la guerra, ma ricorrono anche altri motivi:
lo sradicamento, che si esprime con il suicidio di Moammed Sceab (vedi “In memoria”),
ma anche nell'esperienza del poeta stesso e di tutti i soldati in trincea;
il ricordo dell'Egitto, che ritorna qua e là, ed esprime la ricerca di radici e origini;
la natura, in cui l'io cerca il senso per la condizione umana;
la parola poetica, che diventa la possibilità di riconoscere la propria identità, di dare senso
all'esperienza, di avvertire su di sé il significato collettivo delle vicende e di riscattarne il
significato.
La rivoluzione della forma:
Tanto la metrica quanto la sintassi sono travolte da un'innovazione che rifiuta i riferimenti
tradizionali e che fanno de L'allegria il testo più sperimentale del Novecento italiano.
Versi liberi, brevi o brevissimi (talvolta una sola parola)
Rima praticamente abolita
Mancano i nessi sintattici e la punteggiatura, prevale la paratassi.
Prevale il presente indicativo e la prima persona singolare del verbo, a sottolineare il valore
di testimonianza diretta del poeta.
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Le due componenti pongono perciò questo testo in una situazione di sintesi tra lo sperimentalismo-
rottura delle avanguardie e il recupero della tradizione simbolista decadente.
A partire da Sentimento del tempo si assiste ad un ritorno all'ordine, all'abbandono degli aspetti
sperimentali in favore di un taglio classicistico, ispirato ai modelli di Petrarca e Leopardi.
Ritorna la metrica tradizionale (endecasillabo e settenario) e viene reintrodotta la
punteggiatura;
C'è un forte preziosismo aulico, inteso come ricerca di raffinatezza terminologica e di una
poesia preziosa e alta, con assenza di autobiografismo;
Domina la libertà analogica, portando alle estreme conseguenze il principio simbolistico
delle Correspondances, mettendo in primo piano le associazioni e creando allusività e
indeterminatezza,
Sarà a questo testo che si rifaranno gli ermetici, considerando l'Ungaretti di Sentimento del tempo
loro maestro e operando secondo le stesse coordinate espressive.
L'ermetismo
La reazione alle avanguardie si sviluppa negli anni del regime fascista sotto forma di " ritorno
all'ordine " inteso come recupero della " lirica pura “, cioè di una poesia fatta di sensazioni musicali
e di temi intimi ed esistenziali, che rifiuta programmaticamente la riflessione filosofica, etica o
politica. Essa si sviluppa fra il 1925 e il 1935. Il ritorno alla tradizione coincide spesso, negli anni
Trenta, con il recupero del simbolismo.
Nasce di qui l'ermetismo. La sua data di inizio è il 1932, quando escono Isola di Alfonso Gatto e
Oboe sommerso di Salvatore Quasimodo. Il suo centro è a Firenze. Come dice il termine, usato
all'inizio in senso negativo, l'ermetismo teorizza una poesia difficile, chiusa in se stessa,
volutamente oscura. La vita, concepita come un'esperienza puramente interiore e spirituale, viene
identificata con la letteratura. E poiché quest'ultima deve tendere a un' ideale umanità originaria,
astorica e atemporale, essa diventa una sorta di religione. In una mistica sospensione dalle attività
pratiche e quotidiane, il poeta trova nella poesia non solo la sua ragione di dignità, ma di vita.
L'ermetismo si ispira al simbolismo di Mallarmé, ad alcuni surrealisti e, tra gli italiani, all’orfismo
di Dino Campana e soprattutto all’ Ungaretti di Sentimento del tempo, uscito nel 1933. Pratica la
analogia, la sinestesia e, in genere, insiste su giochi di corrispondenza sonora e musicale, fantastica
e alogica. Sarà messo in crisi dalla guerra, che porrà drammaticamente il problema dell'impegno -
almeno morale - degli intellettuali; sopravviverà tuttavia fino all'inizio degli anni 50.
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Gli Ossi di seppia
La prima edizione degli Ossi di seppia risale al 1925, la seconda al 1928 e aggiunge 6 liriche alla
prima. Il titolo del libro rimanda all'immagine marina degli “ossi di seppia”, già presente nell'
Alcyone di D'Annunzio.
Il significato del titolo allude al possibile duplice destino degli ossi di seppia: questi ultimi possono
galleggiare felicemente sul mare o essere sbattuti sulla spiaggia come inutili relitti. E' in particolare
questa seconda situazione che tende ad imporsi nel testo, realizzando l'allegoria tra quanto avviene
all'osso di seppia gettato a terra e il destino del poeta, esiliato dal mare, escluso dalla natura e dalla
felicità. Il mare e la terra sono dunque i due poli dominanti della raccolta, che si profila come una
sorta di “romanzo di formazione”. C'è infatti un percorso: al momento felice dell'incanto e della
immedesimazione nella natura segue il disincanto della maturità. L'uomo deve infine accettare la
vita su una terra desolata.
Ossi di seppia è diviso in quattro sezioni: “Movimenti”, “Ossi di seppia”, “Mediterraneo”, “Meriggi
e ombre”. Nella prima sezione appare ancora possibile un “accordo” con la natura, mentre già nella
sezione successiva domina l'immagine negativa dell'osso di seppia abbandonato. Di fronte alla
desolazione e alla depressione dominanti non resta che “la divina Indifferenza” e il messaggio del
poeta non può che essere solo negativo: “Codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo, ciò
che non vogliamo”. La terza sezione, “Mediterraneo”, è diviso in nove componimenti: i primi
cantano il mare come patria sognata e paese incorrotto, mentre gli ultimi registrano il distacco da
esso. L'ultima sezione sancisce una definitiva condizione di ripiegamento, determinata anche dal
contesto storico (siamo negli anni del fascismo trionfante).
Dal punto di vista formale, Montale vuole contrapporsi ai “poeti laureati”, esponenti di quella
tradizione poetica illustre e sublime rappresentata anzitutto da D'Annunzio. Sostiene perciò la scelta
antidannunziana di “torcere il collo all'eloquenza”: predilige quindi uno stile aspro e arido, che
vuole aderire alla realtà delle cose. Sul piano stilistico si alternano e si fondono toni alti e bassi,
mentre su quello metrico si coglie un recupero in chiave moderna della tradizione, con una decisa
reintroduzione dell'endecasillabo.
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