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GIOVANNI PASCOLI

Vita
(San Mauro di Romagna 1855 – Bologna 1972)
Giovanni Pascoli nacque da una famiglia della piccola borghesia rurale, di condizione abbastanza agiata.
Trascorse una vita apparentemente tranquilla, dedita allo studio, alla poesia (con formazione classica) e agli affetti
della famiglia. La sua esistenza fu profondamente segnata dall'uccisione del padre, di cui non si scoprirono mai i
sicari (→ motivo di ingiustizia bruciante per il poeta), e dalla perdita di quasi tutti gli altri familiari, traumi che lo
spinsero a instaurare un legame morboso con le due sorelle rimastegli e che gli impedirono di realizzarsi
pienamente nella vita di relazione esterna al «nido» domestico (→ castrazione della sessualità). Tutto ciò
identifica una condizione di fragilità psicologica di Pascoli, che costituisce il punto di partenza della sua poesia,
che sotto l'apparente candore fanciullesco cela una sensibilità tormentata e tipicamente decadente.
Le esigenze affettive del poeta sono soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle, alle quali cerca sempre di
impedire la realizzazione della loro vita amorosa privata.
Pascoli fu insegnante di Lettere prima al liceo, poi all'università.
Egli subì il fascino dell'ideologia socialista, ma dopo il suo arresto si distaccò dalla politica militante, passando a
un socialismo vagamente umanitario (e un po' utopistico), che propugnava la libertà e la fraternità tra gli uomini.
Scrisse diverse poesie e tenne discorsi pubblici (come La grande proletaria si è mossa) per diffondere ideologie e
miti.

LA VISIONE DEL MONDO


La crisi della matrice positivistica
La formazione di Pascoli fu essenzialmente positivistica, secondo il clima culturale che dominava la fine dell'800,
come dimostra il suo rigore classificatorio nelle poesie (come I puffini dell'Adriatico) e nei testi di astronomia.
Ma in Pascoli si riflette quella crisi del positivismo, permeata da una profonda sfiducia nella scienza come
strumento di interpretazione della realtà. Il poeta avverte infatti il mistero che si dispiega al di là delle certezze
razionali, senza che questa tensione verso una dimensione “altra” sfoci in una fede religiosa positiva o in un
sistema concettuale alternativo: il mondo gli appare irrimediabilmente frantumato e le sue componenti si
presentano secondo una percezione casuale, non seguendo i moduli d'ordine del reale.

I simboli
I dati sensibili, che pure hanno un rilievo fortissimo nella sua poesia, non compongono un quadro logico e
oggettivo della realtà, ma si caricano di valenze allusive e simboliche, rimandano a qualcosa di ignoto che è al di
là di essi.
Alla nettezza vivida delle impressioni e alla precisione scientifica si accosta una percezione del mondo onirica: il
mondo è visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva. Si instaurano così legami segreti fra
le cose, che solo abbandonando le convenzioni della visione corrente possono essere colti → tra io e mondo
esterno si instaura un'identità.

LA POETICA
Il fanciullino
Da questa visione scaturisce la poetica pascoliana, formulata principalmente nel saggio Il fanciullino, pubblicato
sul “Marzocco” nel 1897. Il poeta è paragonato a un «fanciullino» che non indaga razionalmente la realtà ma
“dialoga” con essa, cogliendone i significati misteriosi, ed è così in grado di penetrare la sua essenza più profonda.
Il fanciullo sopravvive al fondo di ogni uomo e vede tutte le cose con stupore e meraviglia, come se fosse la prima
volta; egli dà il nome alle cose utilizzando un linguaggio che si sottrae ai meccanismi della comunicazione
abituale.
La poesia si configura pertanto come una forma di conoscenza prerazionale e immaginosa, secondo una
concezione tipicamente decadente che ha le proprie radici nel Romanticismo (fu il Romanticismo infatti a stabilire
l'equivalenza tra fanciulli e primitivi e ad esaltare il loro modo ingenuo e fantasioso di rapportarsi al mondo). Tale
modo alogico di vedere le cose ci fa sprofondare subito nell'«abisso delle verità».

La poesia “pura”
Al Decadentismo rinvia anche l'idea di una poesia “pura”, cioè estranea a finalità pratiche, etiche o ideologiche.
Pascoli è convinto tuttavia che la poesia induca naturalmente alla bontà e alla solidarietà, sopendo gli odi e gli
impulsi violenti. L'ideale della fratellanza sociale si traduce, sul versante dello stile, nella scelta di dare spazio e
dignità letteraria anche a quelle realtà umili che il classicismo “aristocratico” aveva sempre ripudiato. La poesia è
anche nelle piccole cose, che hanno un tono “sublime” particolare, una dignità non minore di quelle auliche.
L'IDEOLOGIA POLITICA
L'adesione al socialismo
In gioventù Pascoli subisce il fascino delle ideologie anarchico-socialiste. Egli sentiva soprattutto gravare su di sé
il peso di un'ingiustizia immedicabile, l'uccisione del padre, lo smembramento della famiglia, i lutti, la povertà:
tutto ciò gli sembrava l'effetto di un meccanismo sociale perverso, contro cui era necessario lottare; egli
trasformava in rabbia e in impulsi ribelli contro la società l'emarginazione di cui era vittima.

Dal socialismo alla fede umanitaria


Successivamente però Pascoli si allontana dalla militanza politica, dopo l'esperienza del carcere e dopo che il
socialismo romagnolo si accosta all'ideologia marxista della lotta di classe.
Egli abbraccia allora una generica fede umanitaria, nutrita di morale evangelica, e non auspica più un
cambiamento radicale dell'assetto sociale, ma un'utopica armonia tra le classi.

La mitizzazione del piccolo proprietario rurale


Di fronte all'affermazione di un capitalismo cinico e aggressivo, egli idealizza in particolare la classe dei piccoli
proprietari terrieri, baluardo dei valori fondamentali come la famiglia, la solidarietà, la laboriosità, attuando così
una mitizzazione del piccolo proprietario rurale.

Il nazionalismo
Il socialismo umanitario di Pascoli spiega paradossalmente la deriva nazionalistica che caratterizza l'ultima
stagione della sua produzione. Sviluppa così l'ideale del nido che da micronido (la famiglia) diventa macronido (la
nazione).
Egli avverte infatti il dramma e la vergogna degli italiani costretti ad emigrare dal proprio Paese e non esita a
giustificare le conquiste coloniali che possano dar terra e lavoro ai diseredati, portando l'Italia ad una propria
realizzazione.

I TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA


Gli intenti pedagogici e predicatori
Una parte cospicua della poesia pascoliana ha la funzione di proporre l'ideale di vita dell'autore, impregnato di
valori piccolo borghesi, appagato dalla sua mediocrità di vita (mesotes), chiuso nella sfera limitata e protettiva
degli affetti domestici, degli studi, del lavoro di insegnante, nella pace raccolta del «nido».
Egli diventa esponente di un umanitarismo che sfocia non di rado in un fastidioso sentimentalismo.
A questo filone “ideologico” e pedagogico appartiene anche la produzione celebrativa, nella quale il poeta “vate”
si fa carico di cantare le glorie della patria e di predicare il sogno di un'umanità affratellata, che nella solidarietà
trovi consolazione al male di vivere, ai dolori e alle miserie tipiche della condizione esistenziale stessa dell'uomo.

I miti
Questa predicazione si avvale anche di miti, impiegati per il loro potente valore suggestivo: il «fanciullino» e il
«nido» familiare caldo e protettivo. A quest'ultimo si collega il motivo ossessivamente ricorrente del ritorno dei
morti.

Il grande Pascoli decadente e Le angosce e le lacerazioni della coscienza moderna


Decisamente più interessante è il Pascoli decadente, che sa cogliere il mistero che è al di là delle cose più banali
caricandole di sensi simbolici (simboli e corrispondenze), che esprime le angosce e le lacerazioni della coscienza
moderna, che proietta nella poesia le sue ossessioni profonde.
Dall'entusiasmo positivista si passa ad un'esigenza della soggettività, relatività e non assolutezza → si sente la
crisi sia personale sia nei confronti della concezione della vita, dell'esistenza e di Dio.
Secondo Pascoli è necessario chiudersi entro i confini ristretti del «cantuccio d'ombra», del mondo agreste, del
«nido», degli affetti domestici, assume il valore di un esorcismo, al fine di neutralizzare ciò che il poeta avverte
oscuramente muoversi al fondo della sua anima.

LE SOLUZIONI FORMALI
Pascoli è il primo autore decadente in poesia e introduce soluzioni formali molto innovative, che aprono la strada
alla poesia del Novecento.

La sintassi
Il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, a favore delle sensazioni immediate e dei rapporti analogici, si
riflette nella sintassi spezzata, dovuta alla prevalenza della coordinazione rispetto alla subordinazione, creando
frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, spesso collegate non da congiunzioni, ma per asindeto (utilizzo
di virgole e non di congiunzioni per coordinare membri della proposizione o del periodo). Si crea così
un'atmosfera visionaria simile a un sogno in cui sono immersi gli oggetti più quotidiani e comuni → non ci sono
punti di riferimento eterni, oggettivi.

Il lessico
Pascoli mescola codici linguistici diversi: termini preziosi e aulici, gergali e dialettali, quotidiani del parlato
colloquiale, parole di lingue straniere (come si può vedere in Italy), nomi antichi → PLURILINGUISMO.
Si arriva così all'infrazione della norma dominante nella poesia italiana alla caduta di certezze e di ogni gerarchia
tra gli oggetti.

Gli aspetti fonici


– Onomatopea: i suoni si caricano di valore simbolico e le onomatopee indicano un'esigenza di penetrare
l'essenza segreta degli oggetti e della natura.
– Fonosimbolismo: i suoni che compongono le parole assumono un significato proprio ricondotto a dei
simboli, senza rimandare al significato della parola.
Es. «un grillo ora trillava»

La metrica
La metrica è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più consueti della poesia italiana, ma
questi materiali sono modificati portando alla frantumazione del verso interrotto da pause, incisi, parentesi, gioco
di accenti.

Le figure retoriche
– Analogia: il meccanismo è quello della metafora, ma accosta in modo impensato o sorprendente due
realtà tra loro remote, eliminando tutti i passaggi logici intermedi.
Es. «Tra il nero un casolare: / un'ala di gabbiano» → sullo sfondo nero del cielo temporalesco spicca la
nota bianca di un casolare, che viene di colpo accostata al bianco di un'ala di gabbiano.
– Sinestesia: possiede un'intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme, in un tutto indistinto,
diversi ordini di sensazioni.
Es. «l'odore rosso delle fragole»
«soffi di lampo» → la luce crea l'impressione di un soffio

Pascoli e la poesia del Novecento


Queste soluzioni formali (sintassi spezzata ed ellittica, frantumazione del verso, figure retoriche,
fonosimbolismo...) influenzano la poesia ermetica.
LE RACCOLTE POETICHE
La distribuzione dei componimenti di Pascoli non obbedisce tanto a un ordine cronologico quanto a ragioni
formali; l'autore tende del resto a pubblicare diverse edizioni successive e ampliate delle singole opere

Myricae
Le poesie di Myricae, in versi brevi, si presentano come quadretti di vita campestre, ma i dettagli naturalistici
evocano simbolicamente sensi arcani, legati spesso all'idea della morte.
Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall'inizio della IV Bucolica, in cui il poeta latino proclama l'intenzione di
innalzare un poco il tono del suo canto poiché «non omnes arbusta iuvant, humilesque myricae» (non a tutti
piacciono gli arbusti e le umili tamerici). Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle
piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia, secondo i principi della sua poetica.

I Poemetti
Hanno invece un taglio narrativo e un respiro più ampio i Poemetti, composti di regola in terzine dantesche e
raggruppati in sezioni. Molte delle poesie sono dedicate alla celebrazione della vita rurale, mentre in alcune
emergono tematiche morbosamente decadenti.

I Canti di Castelvecchio
La linea di Myricae è proseguita nei Canti di Castelvecchio, nei quali ricorre con insistenza il motivo della
tragedia familiare e affiorano talvolta le ossessioni del poeta. Vi è anche il rimando continuo del nuovo paesaggio
di Castelvecchio a quello antico dell'infanzia in Romagna, quasi ad istituire un legame ideale tra il nuovo «nido»
costruito dal poeta e quello spazzato via dalla tragedia.
Dalle piccole cose della realtà umile lo sguardo si allarga poi agli infiniti spazi cosmici, ad immaginare misteriose
apocalissi future che distruggeranno forse la vita dell'universo.

Dante scrisse anche tre saggi su Dante: uno sull'Inferno, uno sul Purgatorio e uno sul Paradiso.

TESTI

Una poetica decadente da Il fanciullino (pag. 518)


E' un saggio che tratta della poetica di Pascoli.
Come credeva Cebes Tebano (uno degli interlocutori del dialogo platonico Fedone), in tutti noi è presente un
fanciullino che ha paura della morte. Alcuni invece credono che in loro non ci sia un fanciullino, ma questo
succede perchè i segni della sua presenza sono semplici e umili.
Per il fanciullino che è in noi l'amore può solo essere casto, come tra fratello e sorella.
In un mondo in cui gli uomini si azzannano come belve, la fraternità è possibile solo tra fanciulli.
Gli uomini adulti non sanno ospitare un fanciullino, che pargoleggia e ha paura del buio, ma anche in essi resta nel
fondo dell'animo un residuo della fede ingenua che aveva da bambino, come si nota nei volti illuminati di coloro
che vanno a sentire in teatro una bella musica.
Il fanciullo ha un modo di conoscere intuitivo e immediato che «senza farci scendere a uno a uno i gradini del
pensiero, ci trasporta nell'abisso della verità».
Il fanciullo viene poi paragonato agli uomini primitivi: come i fanciulli creano fantasmi con la loro fantasia, così i
popoli primitivi immaginano il cielo popolato di dèi. Nei primitivi il fanciullino era estremamente evidente e si
fondeva con tutto l'uomo quanto egli era. Essi, a stretto contatto con la natura, avevano una maniera fresca e
ingenua di vedere il mondo. Col passare del tempo si è perso questo legame e gli uomini moderni non sento più in
loro l'anima del fanciullo.
Si passa poi ad analizzare la funzione della poesia: Pascoli afferma che la poesia, in quanto poesia, ha una
suprema utilità morale e sociale. Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima.
Si innalzano dunque tutti coloro che trovano la poesia in ciò che li circonda, e riuscendo così a sviluppare il
sentimento poetico.
Alla fine del saggio è presente un tono retorico con cui si rivolge ai poeti “impegnati”, che riducono la poesia a
propaganda di teorie sociali, esaltando la sua ostilità al principio della lotta di classe.
Anche Pascoli stesso ammette di avere dentro di sé un fanciullino e dice che il loro rapporto è ancora forte poiché
egli è legato agli affetti familiari nati durante la sua infanzia.

X Agosto da Myricae (pag. 544)


E' una delle molte poesie in cui Pascoli rievoca la propria tragedia personale, l'uccisione del padre, avvenuta il 10
agosto, giorno di San Lorenzo.
In obbedienza al vago spiritualismo proprio dell'anima decadente, delusa e respinta dal fallimento della scienza
positivistica, Pascoli imposta il problema del male in chiave metafisica e religiosa: ogni vittima innocente che
soffre è immagine di Cristo, e il cielo piange sull'«atomo opaco del male». Quest'ultimo, analogia della terra, è
un corpuscolo infinitesimale nell'Universo, ma in esso si concentra tutto il male; l'aggettivo opaco letteralmente si
riferisce al fatto che la terra non ha luce propria, ma simbolicamente allude al fatto che è refrattaria alla luce, cioè
al bene. Si instaura così un'implicita antitesi con la luminosità delle stelle, così come l'atomo si contrappone
all'infinità del cielo. Il cielo appare impotente a riscattare tanto male e si limita ad uno sterile compianto. Esso è
infinito ed immortale: tra la dimensione terrena e quella trascendente non vi è comunicazione.
Nella poesia compare il mito del «nido». L'analogia tra rondine e uomo non è solo nel loro sacrificio, ma anche
nel fatto che essi vengono violentemente esclusi dal «nido». Vi è anche un parallelismo tra la rondine uccisa
mentre porta il cibo nel nido e il padre del poeta, assassinato mentre tornava a casa → ciò porta alla condizione di
povertà economica della famiglia e alla morte dei «rondinini» che non hanno più da mangiare.
Vi sono allusioni cristologiche: gli «spini» tra cui cade la rondine ricordano la corona di spine di Cristo, e la
conferma viene subito dopo dall'immagine della croce («Ora è là, come in croce»): la rondine uccisa diviene il
simbolo di tutti gli innocenti perseguitati dalla malvagità degli uomini. Il padre, che, morendo, perdona i suoi
uccisori, ricorda Cristo in croce che perdona i suoi persecutori.

L'assiuolo da Myricae (pag. 548)


La poesia esteriormente è la descrizione di un notturno lunare, reso attraverso una serie di sensazioni visive e
uditive.
La prima quartina propone immagini quiete, serene, mentre nella seconda si delineano immagini più inquietanti.
- All'inizio della 1° strofa viene colto un momento fuggevole e di trapasso, il momento in cui sta per sorgere la
luna. La natura è protesa nell'aspettazione della sua comparsa, come dinanzi ad un'apparizione divina. Nella
seconda parte della strofa si delinea un'immagine inquietante: il «nero» delle nubi, che si contrappone al biancore
perlaceo dell'alba lunare. Tale aspetto negativo si precisa poi in una voce, il verso dell'assiuolo che viene da uno
spazio indefinito, nella notte.
- All'inizio della 2° strofa si ripresentano immagini quiete e serene. Il rumore che proviene dalle fratte introduce
una nota più misteriosa e segna il passaggio al clima della seconda quartina.
- All'inizio della 3° strofa ritorna, in simmetria con le precedenti, l'immagine della luce lunare. Poi si inseriscono
notazioni più negative.
Nella poesia si comprende la vaga angoscia che pervade tutte le sensazioni del notturno lunare: è l'angoscia della
morte che non consente la rinascita della vita, non permette il ritorno dei cari morti.

Novembre da Myricae (pag. 552)

Come spesso accade in Myricae, in apertura si ha apparentemente un quadretto impressionistico e naturalistico,


colto con notazioni intensamente sensuali, visive ed olfattive, e con immagini nitide e vivide.
Il reale non è quello che appare, è labile e sfuggevole, la primavera è solo illusoria. Si conferma così subito come
la poesia di Pascoli sia evocativa, suggestiva, illusionistica, non si fermi mai al dato fisico, ma rimandi sempre a
un “di là” dalle cose.
Si nota una precisione della nomenclatura botanica → il nome preciso è come la formula magica che permette di
andare oltre la superficie consueta e morta degli oggetti. La precisione terminologica naturalistica è al servizio di
una poesia intesa come illuminazione e rivelazione, che ne muta totalmente il significato.
Nella seconda strofa subentra la reale stagione autunnale e si nota la morte dietro l'illusione di vita.
Immagini di morte sono anche il silenzio che apre l'ultima strofa ed il rumore delle foglie che cadono.
Il tessuto connettivo della sintassi si frantuma, attraverso le continue ellissi dei verbi copulativi («Gemmea l'aria»)
o l'uso dello stile nominale («Silenzio, intorno»).
Vi è la ricerca di un discorso alogico. Il periodo e l'unità ritmica del verso sono continuamente spezzati da pause,
segnate da una fitta interpunzione. Questa frantumazione, impedendo la facile scorrevolezza del discorso, dà un
senso di fatica angosciata e vale a rendere la conflittualità tormentosa che si cela al fondo dell'anima pascoliana.

Italy dai Poemetti (pag. 577)


E' un ampio componimento dedicato ad un tema caro a Pascoli, quello degli emigranti contadini italiani costretti
ad abbandonare dolorosamente il loro «nido» per andare a cercare lavoro in paesi stranieri.
La vicenda, ispirata a un fatto reale, è la seguente: due fratelli emigranti, Ghita e Beppe, tornano dall'America al
paese da cui erano partiti, Caprona, vicino a Castelvecchio, con la nipotina Molly, già nata in terra straniera,
malata di tisi. La bambina in un primo momento detesta l'Italia, ma poi si instaura un profondo legame affettivo
tra lei e la nonna (rapporto generazionale). Molly guarisce grazie al clima salubre della Garfagnana, mentre la
nonna muore. Gli emigranti ripartono per l'America, e Molly, ai bambini che le chiedono se ritornerà, risponde in
italiano: «Sì».
E' presente un linguaggio ibrido → mescolanza di inglese, italiano, dialetto toscano di Lucca.

Il gelsomino notturno dai Canti di Castelvecchio (pag. 587)


Il poeta, immerso in un’atmosfera di trepidazione e indefinibile smarrimento coglie il mistero che palpita nelle
piccole cose della natura. Si accorge che nella notte, quando tutto intorno è pace e silenzio, vi sono fiori che si
aprono e farfalle che volano. Una vita inizia quando la vita consueta cessa. L’ora della vita notturna è anche
un’ora di malinconia per il poeta che pensa ai suoi morti. Il buio avvolge le cose in un profondo silenzio, cui si
contrappone il misterioso agitarsi della vita “là” nella casa. Il bisbiglio desta fascino e curiosità: è indice di una
presenza umana che si accorda con l’atmosfera di arcani silenzi e di attese inespresse.
Nei versi successivi appare l’immagine dei nidi in cui i piccoli dormono sotto le ali della madre. Affiora l’idea
rassicurante del nido come rifugio sicuro, tema caro al poeta. La musicalità dei versi crea un’eco suggestiva,
un’atmosfera sospesa, incantata, di seduzione, di fascino, di veglia, contrapposta al torpore e al sonno.
Nella sinestesia «l’odore di fragole rosse», in cui il profumo, una percezione olfattiva, sembra acuito dal colore
rosso delle fragole, percezione visiva, è evidente il tema dell’attrazione, della tentazione sensuale che si accosta,
nei versi successivi, al risplendere della luce nella sala, alla curiosità per la vicenda degli sposi. Ma su tutto si
diffonde un senso di mistero per il compenetrarsi inesplicabile di vita e morte: «nasce l’erba sopra le fosse».
L’ape, che, essendosi attardata, trova già prese le celle del suo alveare, potrebbe significare il senso di esclusione
che il poeta, incuriosito dall’eros, avverte rispetto alla propria famiglia di origine. Ma subito ricompaiono
immagini apparentemente rassicuranti del nido. Le Pleiadi nel cielo appaiono per un procedimento analogico
come una «chioccetta», che in un’aia si trascina dietro la covata dei suoi pulcini e il pigolio potrebbe offrirsi come
una sinestesia che trasferisce nella percezione uditiva la percezione visiva del tremolio della luce stellare.
All’intenso odore del fiore che passa col vento si accompagna il salire della luce lungo la scala e il suo spegnersi
al primo piano con i puntini di sospensione che seguono e alludono al congiungersi degli sposi, ma soprattutto al
mistero della vita che continua a palpitare nel buio.
La lirica si chiude nuovamente con un ossimoro: «E’ l’alba», il momento del risveglio, e «si chiudono i petali un
poco gualciti». «Nell’urna molle e segreta», che simbolicamente rappresenta il grembo della madre, si dischiude
una nuova vita, si cova «non so che felicità nuova».
E’ qui il segreto della lirica, nel miracolo notturno della gestazione di una nuova vita. Un altro gelsomino si apre e,
come l’erba silenziosa sopra le fosse, va segretamente dal nulla verso la rinnovata fertilità. In quel dolce silenzio,
in quell’ombra profumata dalla passione del fiore, quando l’ultimo lume è spento nella casa, forse comincia a
germinare, anche nel grembo della madre, un nuovo essere, capace di arrecare una sconosciuta felicità.
La grande proletaria si è mossa
Non può certo sorprendere che un poeta nazionalista e attento alle mode come D'Annunzio abbia inneggiato alla
guerra di Libia (con le cosiddette canzoni pubblicate sul «Corriere della Sera» nell'ottobre-dicembre 1911); ma
che anche un poeta della natura, del dolore e dei sentimenti più semplici e umani come Pascoli abbia sentito il
bisogno di esaltare il nuovo colonialismo italiano, dà la misura dell'ubriacatura nazionalista che percorse l'Italia
nell'autunno 1911.
Nel discorso di Pascoli ricorrono tutti i temi più mistificanti della propaganda coloniale: dalla fertilità delle regioni
libiche alle aquile di Roma, dal nuovo sbocco offerto all'emigrazione al superamento della lotta di classe,
dall'esaltazione dell'esercito e della marina al disprezzo per l'arabo, il tutto unificato da un dilagare di retorica
senza freni. Sarà poi ripreso dal fascismo il tema centrale, ossia la giusta e vittoriosa lotta dell'Italia, nazione
proletaria sempre oltraggiata e misconosciuta, contro le nazioni più ricche per la conquista di una nuova potenza e
di un «posto al sole».

La grande proletaria si è mossa è il discorso che Pascoli tenne al Teatro comunale di Barga il 21 novembre 1911,
pubblicato su «La Tribuna» del 27 novembre 1911, e nel quale espresse la sua entusiastica adesione all’impresa
libica. Questo brano non è solo importante per capire l’ideologia del Pascoli ma anche per comprendere
l’ideologia degli intellettuali del tempo. La guerra in Libia e la polemica che avvenne in Italia prima
dell’intervento (1910) sono considerate dagli storici come una premessa del coinvolgimento italiano nella prima
guerra mondiale.

E’ molto interessante leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento storico poichè svelano un
Pascoli nazionalista e fortemente interventista, difficile da conciliare con il “socialista dell’umanità”, quale si
definiva egli stesso. Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria («non si può fare
altrimenti») alla sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati, dopo anni di
sfruttamento e ingiurie, dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui trarre il proprio sostentamento.
Inoltre il paese aveva bisogno di dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia sembrava
un’occasione ideale per potersi presentare come nazione ‘forte’ agli occhi dell’Europa. «Prima ella mandava
altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e
oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar terrapieni, a gettar moli, a scavar Carbone, a scentar selve, a
dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a
fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora». Questo
tentativo di presentare la campagna di Libia come una guerra difensiva e non di attacco, unica modalità accettata
dai socialisti, ignorava completamente il fatto che i libici avessero diritto alla autodeterminazione. La Libia è anzi
descritta da Pascoli come un paese naturalmente favorevole alla colonizzazione italiana, perchè vicina
geograficamente e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offriva erano però sprecate dall’inerzia e
dall’arretratezza delle popolazioni locali, e gli italiani avevano il dovere “civilizzatore” d’intervenire per sfruttare
a pieno il territorio, portandovi cultura e progresso. La Libia diveniva così, nelle parole di Pascoli, una seconda
patria a tutti gli effetti per il nostro paese.
La penisola italica dell’epoca appare nelle sue parole fortemente unita dal punto di vista militare, e in quest’unità
scompare addirittura la lotta di classe: «Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo
esercito. Li guardi ora in azione. Terra, mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno,
vi sono perfettamente fusi. E vi sono le classi e le categorie anche là : ma la lotta non v'è o è lotta a chi giunge
prima allo stendardo nemico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore. A questo modo là il popolo lotta con la
nobiltà e con la borghesia. Così là muore, in questa lotta, l'artigiano e il campagnolo vicino al conte, al
marchese, al duca».

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