Vita
(San Mauro di Romagna 1855 – Bologna 1972)
Giovanni Pascoli nacque da una famiglia della piccola borghesia rurale, di condizione abbastanza agiata.
Trascorse una vita apparentemente tranquilla, dedita allo studio, alla poesia (con formazione classica) e agli affetti
della famiglia. La sua esistenza fu profondamente segnata dall'uccisione del padre, di cui non si scoprirono mai i
sicari (→ motivo di ingiustizia bruciante per il poeta), e dalla perdita di quasi tutti gli altri familiari, traumi che lo
spinsero a instaurare un legame morboso con le due sorelle rimastegli e che gli impedirono di realizzarsi
pienamente nella vita di relazione esterna al «nido» domestico (→ castrazione della sessualità). Tutto ciò
identifica una condizione di fragilità psicologica di Pascoli, che costituisce il punto di partenza della sua poesia,
che sotto l'apparente candore fanciullesco cela una sensibilità tormentata e tipicamente decadente.
Le esigenze affettive del poeta sono soddisfatte dal rapporto sublimato con le sorelle, alle quali cerca sempre di
impedire la realizzazione della loro vita amorosa privata.
Pascoli fu insegnante di Lettere prima al liceo, poi all'università.
Egli subì il fascino dell'ideologia socialista, ma dopo il suo arresto si distaccò dalla politica militante, passando a
un socialismo vagamente umanitario (e un po' utopistico), che propugnava la libertà e la fraternità tra gli uomini.
Scrisse diverse poesie e tenne discorsi pubblici (come La grande proletaria si è mossa) per diffondere ideologie e
miti.
I simboli
I dati sensibili, che pure hanno un rilievo fortissimo nella sua poesia, non compongono un quadro logico e
oggettivo della realtà, ma si caricano di valenze allusive e simboliche, rimandano a qualcosa di ignoto che è al di
là di essi.
Alla nettezza vivida delle impressioni e alla precisione scientifica si accosta una percezione del mondo onirica: il
mondo è visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva. Si instaurano così legami segreti fra
le cose, che solo abbandonando le convenzioni della visione corrente possono essere colti → tra io e mondo
esterno si instaura un'identità.
LA POETICA
Il fanciullino
Da questa visione scaturisce la poetica pascoliana, formulata principalmente nel saggio Il fanciullino, pubblicato
sul “Marzocco” nel 1897. Il poeta è paragonato a un «fanciullino» che non indaga razionalmente la realtà ma
“dialoga” con essa, cogliendone i significati misteriosi, ed è così in grado di penetrare la sua essenza più profonda.
Il fanciullo sopravvive al fondo di ogni uomo e vede tutte le cose con stupore e meraviglia, come se fosse la prima
volta; egli dà il nome alle cose utilizzando un linguaggio che si sottrae ai meccanismi della comunicazione
abituale.
La poesia si configura pertanto come una forma di conoscenza prerazionale e immaginosa, secondo una
concezione tipicamente decadente che ha le proprie radici nel Romanticismo (fu il Romanticismo infatti a stabilire
l'equivalenza tra fanciulli e primitivi e ad esaltare il loro modo ingenuo e fantasioso di rapportarsi al mondo). Tale
modo alogico di vedere le cose ci fa sprofondare subito nell'«abisso delle verità».
La poesia “pura”
Al Decadentismo rinvia anche l'idea di una poesia “pura”, cioè estranea a finalità pratiche, etiche o ideologiche.
Pascoli è convinto tuttavia che la poesia induca naturalmente alla bontà e alla solidarietà, sopendo gli odi e gli
impulsi violenti. L'ideale della fratellanza sociale si traduce, sul versante dello stile, nella scelta di dare spazio e
dignità letteraria anche a quelle realtà umili che il classicismo “aristocratico” aveva sempre ripudiato. La poesia è
anche nelle piccole cose, che hanno un tono “sublime” particolare, una dignità non minore di quelle auliche.
L'IDEOLOGIA POLITICA
L'adesione al socialismo
In gioventù Pascoli subisce il fascino delle ideologie anarchico-socialiste. Egli sentiva soprattutto gravare su di sé
il peso di un'ingiustizia immedicabile, l'uccisione del padre, lo smembramento della famiglia, i lutti, la povertà:
tutto ciò gli sembrava l'effetto di un meccanismo sociale perverso, contro cui era necessario lottare; egli
trasformava in rabbia e in impulsi ribelli contro la società l'emarginazione di cui era vittima.
Il nazionalismo
Il socialismo umanitario di Pascoli spiega paradossalmente la deriva nazionalistica che caratterizza l'ultima
stagione della sua produzione. Sviluppa così l'ideale del nido che da micronido (la famiglia) diventa macronido (la
nazione).
Egli avverte infatti il dramma e la vergogna degli italiani costretti ad emigrare dal proprio Paese e non esita a
giustificare le conquiste coloniali che possano dar terra e lavoro ai diseredati, portando l'Italia ad una propria
realizzazione.
I miti
Questa predicazione si avvale anche di miti, impiegati per il loro potente valore suggestivo: il «fanciullino» e il
«nido» familiare caldo e protettivo. A quest'ultimo si collega il motivo ossessivamente ricorrente del ritorno dei
morti.
LE SOLUZIONI FORMALI
Pascoli è il primo autore decadente in poesia e introduce soluzioni formali molto innovative, che aprono la strada
alla poesia del Novecento.
La sintassi
Il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, a favore delle sensazioni immediate e dei rapporti analogici, si
riflette nella sintassi spezzata, dovuta alla prevalenza della coordinazione rispetto alla subordinazione, creando
frasi allineate senza rapporti gerarchici tra di loro, spesso collegate non da congiunzioni, ma per asindeto (utilizzo
di virgole e non di congiunzioni per coordinare membri della proposizione o del periodo). Si crea così
un'atmosfera visionaria simile a un sogno in cui sono immersi gli oggetti più quotidiani e comuni → non ci sono
punti di riferimento eterni, oggettivi.
Il lessico
Pascoli mescola codici linguistici diversi: termini preziosi e aulici, gergali e dialettali, quotidiani del parlato
colloquiale, parole di lingue straniere (come si può vedere in Italy), nomi antichi → PLURILINGUISMO.
Si arriva così all'infrazione della norma dominante nella poesia italiana alla caduta di certezze e di ogni gerarchia
tra gli oggetti.
La metrica
La metrica è apparentemente tradizionale, nel senso che impiega i versi più consueti della poesia italiana, ma
questi materiali sono modificati portando alla frantumazione del verso interrotto da pause, incisi, parentesi, gioco
di accenti.
Le figure retoriche
– Analogia: il meccanismo è quello della metafora, ma accosta in modo impensato o sorprendente due
realtà tra loro remote, eliminando tutti i passaggi logici intermedi.
Es. «Tra il nero un casolare: / un'ala di gabbiano» → sullo sfondo nero del cielo temporalesco spicca la
nota bianca di un casolare, che viene di colpo accostata al bianco di un'ala di gabbiano.
– Sinestesia: possiede un'intensa carica allusiva e suggestiva, fondendo insieme, in un tutto indistinto,
diversi ordini di sensazioni.
Es. «l'odore rosso delle fragole»
«soffi di lampo» → la luce crea l'impressione di un soffio
Myricae
Le poesie di Myricae, in versi brevi, si presentano come quadretti di vita campestre, ma i dettagli naturalistici
evocano simbolicamente sensi arcani, legati spesso all'idea della morte.
Il titolo è una citazione virgiliana, tratta dall'inizio della IV Bucolica, in cui il poeta latino proclama l'intenzione di
innalzare un poco il tono del suo canto poiché «non omnes arbusta iuvant, humilesque myricae» (non a tutti
piacciono gli arbusti e le umili tamerici). Pascoli assume invece le umili piante proprio come simbolo delle
piccole cose che egli vuole porre al centro della poesia, secondo i principi della sua poetica.
I Poemetti
Hanno invece un taglio narrativo e un respiro più ampio i Poemetti, composti di regola in terzine dantesche e
raggruppati in sezioni. Molte delle poesie sono dedicate alla celebrazione della vita rurale, mentre in alcune
emergono tematiche morbosamente decadenti.
I Canti di Castelvecchio
La linea di Myricae è proseguita nei Canti di Castelvecchio, nei quali ricorre con insistenza il motivo della
tragedia familiare e affiorano talvolta le ossessioni del poeta. Vi è anche il rimando continuo del nuovo paesaggio
di Castelvecchio a quello antico dell'infanzia in Romagna, quasi ad istituire un legame ideale tra il nuovo «nido»
costruito dal poeta e quello spazzato via dalla tragedia.
Dalle piccole cose della realtà umile lo sguardo si allarga poi agli infiniti spazi cosmici, ad immaginare misteriose
apocalissi future che distruggeranno forse la vita dell'universo.
Dante scrisse anche tre saggi su Dante: uno sull'Inferno, uno sul Purgatorio e uno sul Paradiso.
TESTI
La grande proletaria si è mossa è il discorso che Pascoli tenne al Teatro comunale di Barga il 21 novembre 1911,
pubblicato su «La Tribuna» del 27 novembre 1911, e nel quale espresse la sua entusiastica adesione all’impresa
libica. Questo brano non è solo importante per capire l’ideologia del Pascoli ma anche per comprendere
l’ideologia degli intellettuali del tempo. La guerra in Libia e la polemica che avvenne in Italia prima
dell’intervento (1910) sono considerate dagli storici come una premessa del coinvolgimento italiano nella prima
guerra mondiale.
E’ molto interessante leggere le parole del poeta in riferimento a questo avvenimento storico poichè svelano un
Pascoli nazionalista e fortemente interventista, difficile da conciliare con il “socialista dell’umanità”, quale si
definiva egli stesso. Questa guerra coloniale è presentata dal poeta come un’esigenza necessaria («non si può fare
altrimenti») alla sopravvivenza dei cittadini italiani che, dopo anni trascorsi come lavoratori emigrati, dopo anni di
sfruttamento e ingiurie, dovevano assolutamente procurarsi terre fertili da cui trarre il proprio sostentamento.
Inoltre il paese aveva bisogno di dimostrare il proprio valore militare, e la campagna di Libia sembrava
un’occasione ideale per potersi presentare come nazione ‘forte’ agli occhi dell’Europa. «Prima ella mandava
altrove i suoi lavoratori che in patria erano troppi e dovevano lavorare per troppo poco. Li mandava oltre alpi e
oltre mare a tagliare istmi, a forare monti, ad alzar terrapieni, a gettar moli, a scavar Carbone, a scentar selve, a
dissodare campi, a iniziare culture, a erigere edifizi, ad animare officine, a raccoglier sale, a scalpellar pietre; a
fare tutto ciò che è più difficile e faticoso, e tutto ciò che è più umile e perciò più difficile ancora». Questo
tentativo di presentare la campagna di Libia come una guerra difensiva e non di attacco, unica modalità accettata
dai socialisti, ignorava completamente il fatto che i libici avessero diritto alla autodeterminazione. La Libia è anzi
descritta da Pascoli come un paese naturalmente favorevole alla colonizzazione italiana, perchè vicina
geograficamente e molto fertile. Le potenzialità che questa terra offriva erano però sprecate dall’inerzia e
dall’arretratezza delle popolazioni locali, e gli italiani avevano il dovere “civilizzatore” d’intervenire per sfruttare
a pieno il territorio, portandovi cultura e progresso. La Libia diveniva così, nelle parole di Pascoli, una seconda
patria a tutti gli effetti per il nostro paese.
La penisola italica dell’epoca appare nelle sue parole fortemente unita dal punto di vista militare, e in quest’unità
scompare addirittura la lotta di classe: «Chi vuol conoscere quale ora ella è, guardi la sua armata e il suo
esercito. Li guardi ora in azione. Terra, mare e cielo, alpi e pianura, penisola e isole, settentrione e mezzogiorno,
vi sono perfettamente fusi. E vi sono le classi e le categorie anche là : ma la lotta non v'è o è lotta a chi giunge
prima allo stendardo nemico, a chi prima lo afferra, a chi prima muore. A questo modo là il popolo lotta con la
nobiltà e con la borghesia. Così là muore, in questa lotta, l'artigiano e il campagnolo vicino al conte, al
marchese, al duca».