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DECADENTISMO ITALIANO

Il decadentismo italiano trova come suoi massimi esponenti Pascoli e D’Annunzio,


sebbene si portino solo 8 anni molte sono le differenze che li caratterizzano.
Entrambi subiscono il trauma di una società in cambiamento, vivono a cavallo tra 800 e
900, nel pieno sviluppo della seconda rivoluzione industriale, avvengono tutti quei
processi che cambieranno irrimediabilmente la società
Pascoli, è timido , tende ad isolarsi dalla società in cambiamento, rifugiandosi nell’ infanzia
e nel caldo nido familiare: si rifugia quindi in un mondo che si sottrae alle brutture della
società, dove non esiste la violenza ma solo un'illusoria pace e serenità. è legato ad un
retaggio classico ed è disinteressato dalla poesia contemporanea mantenendosi dentro i
confini del letterato ottocentesco, mentre D’Annunzio ha una cultura moderna
particolarmente vasta ed aggiornata e tende a modernizzare estremamente il genere
letterario.
Entrambi tendono al sublime e aspirano al ruolo di vate, ovvero quel poeta che sente di
avere il ruolo di educatore delle masse, sentendosi al di sopra di esse e guidandole,
ma pascoli lo ricerca nel basso e nel quotidiano
mentre D’Annunzio punta all’innalzamento e all’amplificazione.

BIOGRAFIA PASCOLI
Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre del 1855 a San Mauro di Romagna
La fanciullezza è segnata dai lutti famigliari,
perde il padre che viene ucciso con una fucilata mentre torna a casa in calesse e dopo
poco tempo anche due fratelli e la madre.
Tali eventi segnarono per sempre la vita del giovane Pascoli, il quale ricorrentemente nelle
sue poesie proporrà il tema del nido e della famiglia.
Nel 1873 grazie ad una borsa di studio si iscrive alla facoltà di lettere dell’Università di
Bologna qui conoscerà il socialista Andrea Costa, avvicinandosi al gruppo degli anarchici
romagnoli e partecipando ai primi moti socialisti.
ma nel 76 perde il diritto alla borsa e fu costretto a lasciare gli studi.
Dopo la morte del fratello maggiore Giacomo, Giovanni sentì l’esigenza di riunire la
famiglia, quindi si trasferisce in Toscana con le sorelle Ida e Maria da cui non si separerà
mai divenendo dopo la morte del fratello la curatrice degli inediti ed erede letteraria.
Nel 1891 esce la prima edizione di Myricae e nel 92 Pascoli vince il prestigioso concorso
di poesia Latina.
Nel 1897 escono i canti di Castelvecchio e l’anno seguente escono i Poemi conviviali.
E poco prima di morire, Pascoli pronuncerà l’importante discorso volto all’incitamento della
vita militare “La grande Proletaria si è mossa”
Morirà a Bologna il 6 aprile del 1912

MYRICAE, CANTI DI CASTELVECCHIO E POEMETTI


La critica è unanime nel ritenere in: “Myrice, Poemetti e Canti di Castelvecchio” la parte
più intensa della produzione poetica Pascoliana.
I 3 libri furono composti nello stesso periodo, elemento che fece credere alla critica di
essere davanti ad un “rapsodismo” ovvero alla tendenza a lavorare a più generi letterari
contemporaneamente, in realtà le 3 opere trovano come elemento accomunante la figura
del fanciullino.
Mentre la differenza che si può sottolineare è che la tendenza narrativa è forte nei
poemetti mentre quella lirico-simbolica è simile in Myricae e nei Canti di Castelvecchio,
non a caso Pascoli pensó a queste opere con un criterio di continuità.

MYRICAE
Il titolo Myricae è a mio avviso “geniale”
è specchio della ambivalenza della poesia pascoliana.
Myricae significa “Tamerici”, che sono fragili arbusti di dimensioni umili, il titolo
inevitabilmente rimanda ad una poetica dal basso e del comune.
Ma in realtà è scritto in latino e fa riferimento alle bucoliche virgiliane, tale scelta quindi
rimanda anche ad una certa elevazione.
La prima edizione di Myricae pubblicata a Livorno nel 1891 conta solo 22 testi, mentre
l’ultima edizione uscita nel 1900, ne contiene 156.
Forse a causa della sua amicizia con Dante, l’autore pone particolare attenzione alla
struttura dell’opera.
La prima edizione non è suddivisa in alcun modo, mentre la seconda presenta
un’articolazione in due sezioni destinata a complicarsi sempre di più nelle edizioni
successive
A differenza dell’amico l’organizzazione non segue una logica retorico-formale ma
abbraccia un principio rigorosamente metrico,
infatti ogni sezione è caratterizzata da un principio metrico, regola che può essere infranta
ma a patto che ci sia comunque un paradigma ben calcolato, ad esempio “in campagna”
presenta tante forme metriche quante sono le poesie che raccoglie.
Inoltre le varie sezioni presentano un ordine del discorso costituito su rimandi e
parallelismi.
Il tema dell’opera si costruisce secondo due fulcri:
Primo su tutti è quello della natura che viene vista come consolatrice e benefica, in
contrasto con la crudeltà degli uomini
che si concretizza con la morte del padre che con la natura ha veramente poco a che fare.
In tal modo anche in testi che sembrano semplicemente descrittivi e impressionistici si
cela un velo di malinconia, di esclusione, di morte.
Ecco, il tema della morte è il fulcro dell’opera, lo si capisce anche da: “il giorno dei morti”
In cui Pascoli immagina che tutti i morti della famiglia abbiamo formato nel cimitero
un’unità familiare più solida del resto della famiglia che è ancora in vita.
In tal modo è chiaro il fatto di trovarsi davanti all’ ambivalenza pascoliana che si
concretizza nel contrasto tra eventi solari e positivi in opposizione con quelli notturni
negativi e mortuari.

Ci sono due modi per risolvere l’estraneità del poeta rispetto al cerchio dei fenomeni
naturali ed entrambi vengono testati nel libro.
Il primo è quello della forza, in cui l’autore trova un fine che lo legittimi a vivere rispetto al
destino dei morti e l’altro è confondersi con questo destino ed inevitabilmente è quello in
cui il poeta è solito inciampare.
Per quanto riguarda lo stile possiamo dire che: il testo è un connubio uniforme di un
susseguirsi di impressioni soggettive e una serie di particolari soggettivi che vi si
riferiscono.

Il linguaggio è innovativo, Pascoli fa uso sia di termini bassi e popolari, sia di termini
tecnici e peculiari.

I CANTI DI CASTELVECCHIO
I canti di Castelvecchio vennero pubblicati a Bologna nel 1903.
Seguirono delle successive edizioni fino al 1912.
Questi si ispirano alla permanenza del poeta presso la località di Castelvecchio, un
paesino che si trova vicino Lucca,
qui Pascoli acquisterà qui una casa in cui vivrà insieme alla sorella Maria e si interrogherà
su tematiche importanti come l’angoscia del vivere
Il pubblico avvertì sin da subito una sorta di legame con l’opera Myricae ma non fu
pienamente soddisfatto ritenendo l’opera “un sottoprodotto”
Pascoli non la prese benissimo e forse ironicamente nella versione successiva allegó
all’opera un glossario su cui erano scritti i significati delle parole popolari.
La struttura dei canti di Castelvecchio si costruisce su due binari che collidono e a volte si
incrociano.
Il primo binario è quello naturalistico, e si configura con il ritmo delle stagioni, come
simbolo di vita e morte e di continua rinascita
Tutto ciò è in contrasto con il secondo binario che ha come fulcro la cattiveria umana
estranea al ritmo naturale dell’esistenza e in cui si configura la “morte del padre” il cui
decesso poco c’entra con il ritmo della natura.
Nei canti di Castelvecchio si cerca una liricità più distesa rispetto a Myricae e da Leopardi
l’autore riprende il tema della ricordanza e del rapporto Uomo-Natura.
In conclusione è necessario far riferimento al “sublime” che viene ricercato tanto dall’alto
con termini aulici, quanto dal basso con voci popolari.

GABRIELE D’ANNUNZIO

BIOGRAFIA

Oltre a poeta, D’Annunzio fu anche un ideologo e un politico.


Celebri sono i suoi interventi a sfondo strategico e la sua partecipazione negli
schieramenti parlamentari.
A dimostrazione di ciò si parla di nazionalismo d’annunziano, che in parte è simile a quello
di Pascoli ma ne risulta sicuramente più esibizionista e pompato,
e consiste in una retorica volta a colpire e a rapire gli spettatori più che a farli riflettere.
A tal punto da sfociare in discorsi di razzismo che ci danno un assaggio di quelli che
saranno gli anni del fascismo e di mussolini.
In tal modo l’ideologia d’annunziana è ambivalente perché è sia postpolitica in quanto il
poeta sente la necessità di ricavare beneficio dai meccanismi culturali della civiltà di
massa.
Ma allo stesso tempo è anche prepolitico, perché c’è una riduzione dell’io a puro istinto.
In questo contesto D’Annunzio propone un’idea di poesia come esperienza superiore,
come arte.
L’arte è concepita come Bellezza, ed anche qui entra in gioco l’ambivalenza a tratti
paradossale “d’annunziana” perché la bellezza è sia quella Carducciana che è immersa in
un retaggio classico, tanto è vero che D’Annunzio si proclama “ultimo umanista” e sia nel
nuovo senso dell’estetismo, tanto è vero che D’Annunzio si proclamerà “moderno esteta”.
Il paradosso d’annunziano continua se si pensa al fatto che Il poeta da una parte ponga la
bellezza al di sopra di tutto ma dall’altra è il primo a sfruttarla per propagandare se stesso.
L’unico modo per risolvere queste contraddizioni è far coinciliare il privato e il pubblico,
l’arte e la vita, facendo della propria vita uno spettacolo, recita sociale, la vita diventa così
un’opera d’arte.
In tal modo figure retoriche come la metafora, la sinistesia o l’analogia in cui ogni cosa È
un’altra, sono pane quotidiano per D’Annunzio che riesce ad annullare ogni tipo di
definizione.

OPERE
D’Annunzio si approccia alla poesia sin da giovane
Ed una delle prime opere del poeta sedicenne prende il nome di “primo vere” e verrà
pubblicata a Chieti a spese del padre.
Seppur acerba è un’opera che ha dentro di se i caratteri tipici d’annunziani.

PERIODO ROMANO
Dopo primo vere seguirà il periodo romano che andrà dal 1881 al 1891,
in questo periodo verranno pubblicate diverse opere tra cui: intermezzo di rime, elegie
romane e Canto novo che uscirà nel 1882 e che 14 anni dopo uscirà in una nuova
edizione.
Nell’opera dominano temi naturali ove il soggetto vive la propria presenza corporea come
una riconquista di autenticità che va oltre la civiltà e la storia.

Nel 1892 vengono pubblicate le “elegie romane” caratterizzate da un velo malinconico e


nel 1893 escono le Odi Navali, un tributo a Saint-Bon, morto da poco e la potenza della
flotta della Marina italiana.
Nell’opera la retorica nazionalistica tocca l’affermazione superomistica della forza
risultando però in parte patetica.

CHIUSURA PERIODO ROMANO


Nella fase conclusiva del periodo romano D’Annunzio abbandona il classicismo erotico
mondano per abbracciare nuove tematiche, come quella della bontà e dell’evangelismo.
D’Annunzio sente la necessità di rinnovarsi, di approcciare al suo io in maniera più intima
attraverso una poesia più profonda e meno egocentrica ed esuberante.
Il periodo romano è chiuso dal biennio napoletano a cui risale il Poema paradisiaco, che
come ho già detto è distinto dall’estetismo mondano e che preannuncia il tema della
bontà.
Sicuramente è ancora presente il retaggio classico ma viene approfondito il tema del
ricordo, anticipato nelle elegie romane e che in questo caso si concretizza nel
riavvicinamento ai sentimenti candidi e puri dell’ infanzia

A proposito di infanzia, gli affetti familiari sono cantati in Consolazione, che è un prologò
dedicato alla sorella Anna.

LAUDI
Dopo la chiusura del periodo romano, risalgono gli impegni giornalistici e l’attività politica.
D’Annunzio si prese una pausa poetica che durerà qualche anno, applicandosi
semplicemente alle riscritture di Canto Novo e Intermezzo.
Questa pausa era necessaria, D’annuzio viveva una vita tanto dissoluta quanto
economicamente impegnativa,
la poesia chiamava a se un piccolo pubblico,
D’Annunzio sentì la necessità di approcciarsi alle opere narrative e teatrali che riuscivano
a rapire più spettatori.

LAUDI
Nel 1899 D’Annunzio inizia la stesura delle “Laudi”,
per l’autore le: “laudi del cielo della terra del mare e degli eroi” sarebbero dovute essere
composte in 7 parti, ognuna delle quali avrebbe dovuto prendere il nome delle stelle più
luminose delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taipete e Celeno.
Ma il sogno non si concretizzò mai e le ultime due non vedranno mai luce.
Il fulcro dell’opera è “il viaggio”, più specificatamente in “Grecia”, acquisendo così un velo
“mitico”.
Il viaggio è l’espediente perfetto per D’Annunzio perché esprime al meglio il suo bisogno di
profondità temporale e l’esigenza di ricerca e di sperimentazione.
Oltretutto il viaggio non ha solo note positive, può acquisire anche lati inquietanti come
quello del labirinto che oltretutto è perfetto per accogliere l’affermazione di una religiosità
paganeggiate.

ALCYONE
Alcyone è una raccolta in liriche di D’Annunzio, ed è considerata il terzo libro delle Laudi
del coro della terra del mare e degli eroi.
L’opera venne scritta tra il 1899 e il novembre del 1903, quando poi alla vigilia di Natale
dello stesso anno venne messa in vendita.
Seguiranno delle edizioni successive che non includeranno importanti cambiamenti,
l’unico degno di nota è il cambiamento del nome, che passò da Alcione ad Alcyone.
L’opera si compone di 88 testi che possono essere distribuiti in 5 sezioni.
Che si distinguono per il tema
e hanno a partire dalla seconda un testo breve iniziale, come se fosse un preambolo che
ne annuncia il tema.
Ogni sezione è ricollegabile ad una stagione e ad uno stato d’animo.
L’opera si apre con “la tregua”, perché l’Alcyone configura un momento di riposo e di
abbandono alla natura.
E poi inizia la prima sezione, che si configura
1)In un mese di giugno, in un posticino tra Friesole e Firenze ed è
composta da 7 testi in cui si respira l’odore di un’estate alle porte.
Della sezione vanno assolutamente citati: Lungo L’Affrico e La sera fresolana.

2)La seconda sezione è ambientata nella Toscana settentrionale che assume i colori di
un’estate ormai esplosa, i 19 testi che la compongono si riferiscono al periodo che va dal 1
all’8 luglio.

3)la terza sezione comprende 16 testi, inseriti nel clima di una piena estate, in questa
sezione è evidente la scelta dell’autore di sfruttare il mito classico per dare solidità
all’esperienza individuale

4)nella quarta sezione inizia il declino dell’estate, l’autunno è ormai alle porte, ci troviamo
tra la fine e l’inizio di settembre. Che si aprirà definitivamente nella 5)sezione dedicata alla
caduta di icaro,
dietro questa sezione c’è un velo malinconico, la malinconia di un’estate finita che fa
pandant con l’impossibilità di resuscitare il mito nel mondo moderno.
Il libro si conclude con il commiato, che contiene un saluto e una dedica a Pascoli e
celebra i luoghi versiliesi che hanno fatto da palcoscenico a questa celebre opera.
TEMI
I temi dell’alcyone sono pochi e vengono visti ripetutamente da diversi punti di vista.
Primo su tutti è il tema dell’estate, che attenzione:
va oltre la semplice Estate, questa d’annunziana corrisponde alla vita, è specchio
dell’ispirazione, della creatività artistica e della malinconia dettata anche dalla giovinezza
che è tediata dall’invecchiamento e dal declino.

Oltre a questo L’Alcyone nasce come lusinga per il mito panico ma anche con la
consapevolezza della sua fine.

L’impossibilità del mito nel mondo moderno è infatti anticipata dall’arrivo dell’estate ma si
concretizza definitivamente con l’arrivo dell’autunno che è specchio dell’inquietudine
dell’’esule che perde la sua condizione.
In questo contesto l’ambiente toscano si fonde con i luoghi della Grecia arcaica, le
avventure del protagonista si fondono con i modelli classici, le donne equivalgono ai
personaggi del mito...

Diciamo che si possono individuare tre macroaree:


Prima su tutte è lo scambio tra naturale e umano, infatti il superuomo d’annunziano riesce
a brillare rispetto agli altri uomini ma davanti alla realtà naturale il superuomo non può che
uniformarsi, fondersi in essa assumendo l’identità del paesaggio circostante.
Con Alcyone, D’Annunzio ci conferisce lo strumento per entrare in contatto con la natura.
Per fare ciò è però importante restituire alla natura la genuinità ormai persa nel mondo
moderno e recuperabile soltanto attraverso il mito.
Introduciamo così la seconda macroarea, D’Annunzio recupera i miti naturali della
classicità e vi adatta la propria vicenda personale facendole prendere le sembianze di
mito.
Infine la terza ed ultima macroarea comprende “l’esaltazione della parola, dell’arte e della
figura del poeta”, D’Annunzio ci dice che il compito di fare da collante tra rivelazione
naturale ed autenticità interiore dell’io spetta alla parola,
solo la parola può dare vita a nuovi miti.

LO STILE, LA LINGUA E LA METRICA


Nell’’Alcyone D’Annunzio mostra una gran voglia di sperimentare,
si prende il rischio di fare cose nuove,
ad esempio è evidente la ricerca dell’effetto sorpresa e della ricerca personale di verità e
di energia.
Lo stile risulta complesso, presenta espressioni scarne, costruzioni ipotattiche, concetti
saturi di anafore e parallelismi.
D’Annunzio decide di usare per la sua opera un linguaggio prezioso, con un lessico che si
costruisce su ottime conoscenze letterarie, regionali ed enciclopediche.
Questa ricerca di novità colpisce anche la metrica che acquisisce forme nuove, sonorità
languide e sensuali.

IL PIACERE
Il piacere è il primo romanzo di D’Annunzio, scritto nella villa di Francesco Paolo Michetti
nell’estate e l’autunno del 1888, per poi essere pubblicata solo un anno dopo dalla rivista
Treves.
Il protagonista dell’opera è Andrea Sperelli, alter ego dell’autore
Andrea concepisce l’arte come valore assoluto, la vita stessa si riduce ad arte, e lo stesso
D’Annunzio avrà questa concezione di vita.

Roma è il palcoscenico della vita di Andrea, è una Roma in cui si ama vivere,
in cui la stessa corruzione dei papi rappresenta l’importanza di seguire obiettivi estetici, qui
Andrea mette in scena la sua affermazione sociale e la propria ricerca di raffinatezza
Più precisamente Andrea vive nel palazzo Zuccari a trinità, ama le donne e le usa per
colmare il buco lasciato da Elena Muti, una donna che spiccava tanto esteticamente
quanto moralmente, doti che le permisero di turbare l’animo freddo di Andrea.
Dopo che questa scappó improvvisamente da Roma, Andrea si rifugiò in una vita viziosa,
fino a quando un marito geloso decise di vendicarsi e di prescrivere per Andrea mesi di
convalescenza che passerà nella dimora della cugina: marchesa d’ateleia

Qui conobbe un’amica della cugina, Maria Ferres, banale è specificare che tra i due
scoppierà un amore che si consoliderà soltanto con il ritorno di Andrea a Roma.

In questo contesto apparentemente felice si reintroduce Elena che non può sopportare di
vedere l’uomo che non la ama più.
Si tratta della classica ambivalenza d’annunziana: “l’amore per le due donne ed il peso
che Maria sente nel vedere questa indecisione dell’amato”
il quale un giorno mentre l’abbracciava la chiamerà “Elena”, Maria non può accettare
questo compromesso e decide di lasciarlo.
Si concretizza così il fallimento del progetto esteta che coincide con la conclusione del
romanzo.

La struttura del romanzo ha delle radici che si fondono nel naturalismo ma che viene
abilmente rinnovato da D’Annunzio:
nell’opera emerge il pensiero e la soggettività di Andrea, inoltre D’Annunzio fa uso del
flash-back.
Stesso discorso vale per lo stile, in cui emerge chiaramente il punto di vista del
protagonista o degli altri personaggi,
D’Annunzio lega così diverse unità narrative tanto da incombere in qualche caso anche in
accuse di plagio

TRIONFO DELLA MORTE


Romanzo celebre di D’Annunzio è “il trionfo della morte” che inizialmente era stato titolato
come “l’invincibile”.
Una parte verrà pubblicata nel 1893 sul quotidiano partenopeo “il mattino”.
E poi concluso a Francavilla uscirà per intero nel 1894.
L’opera trova come suo protagonista il fratello di “Andrea sperelli” del Piacere.
In questo contesto si apre il romanzo che vede passeggiare al Pincio a Roma, Giorgio
Aurispa, discendente di una famiglia abruzzese e Ippolita Sanzio (sua amante da due
anni), i due rimangono scossi quando davanti ai loro occhi un passante si suicida
gettandosi nel vuoto.
I due a causa di una passione inquieta si distaccano e durante questo periodo Giorgio
riallaccia i legami con la famiglia, ma in questo clima apparentemente piacevole viene a
conoscenza di spaccati sgradevoli come i tradimenti del padre.
A questo punto Giorgio ritorna in maniera non convinta con Ippolita, ma l’idea della morte
lo perseguita fino a quando non si getta da una scogliera stringendo al petto Ippolita.

È evidente come in questo romanzo sia radicata l’influenza naturalistica., soprattutto per la
tematica familiare

Inoltre sono evidenti i recenti studi di psicologia, materia amata da d’annunzio,


impossibile è non far riferimento a Nietzsche ed il suo superuomo, che non basta a
Giorgio per sottrarsi al suo destino, a cui la stessa filosofia di Nierzsche avrebbe dovuto
dare una soluzione.

infatti bisogna dirlo, Giorgio fallisce e questo fallimento aprirà una tematica rilevante nel
900.

IL FUOCO
Altro romanzo d’annunziano di spicco è “il fuoco” pubblicato nel 1900, opera in grado di
fondere la rappresentazione teatrale e la lirica.
In questo contesto D’annuzio è magistrale, la sua opera presenta una prosa simile ai colori
usati nelle opere di matisse, è passionale, severa, virtuosistica, dolce, musicale...
Nell’opera, Stelio Effrena, il super uomo D’Annunziano per eccellenza vive la sua storia
d’amore con Forscarina, chiamata dal poeta “Perdita”, che consapevole dell’appassirsi
della sua bellezza accetta di continuare ad essere la musa ispiratrice dell’amante per un
ciclo tragico e per l’idea del teatro artistico che sarebbe dovuto sorgere a Roma.
Una volta assolto il suo compito Assunta capisce che deve farsi da parte e lascia l’amante
alla sua vita e al suo lavoro.

LA VILLE MORTE
La ville morte, è un’opera d’annunziana, recitata a Parigi nel gennaio del 1898, in un clima
passato che riecheggia grazie alla Grecia classica si fonde con il presente, dettato dalla
presenza di un gruppo di archeologi.
In tal modo i temi comuni dei miti classici si ripresentano nella modernità e così gli
archeologi vivono temi dell’incesto e della cecità veggente.

Dopo tale opera seguiranno testi meno complessi scritti e dedicati alla Duse, fino ad
arrivare alla dimensione teatrale dell’ideale superomistico scrivendo: La Gioconda e La
Gloria
che saranno un profondo insuccesso, stesso destino spreterà a “più che l’amore”
realizzato nel 1906

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