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Gabriele d’Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863. Compiuti gli studi liceali a Prato si
trasferisce nel 1881 a Roma, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere. A Roma diventa collaboratore di
alcuni periodici in veste di giornalista letterario e di cronista mondano di quell’aristocrazia della
quale, conducendo una vita sontuosa e sempre pronta allo scandalo, entra rapidamente a far parte.
Nel 1887 si delinea il nuovo amore per Elvira Fraternali Leoni, cantata come Barbara. L’esordio
poetico risale però alla raccolta Primo vere del 1879. Dal 1891 al 1893 vive per due anni a Napoli
insieme a Maria Gravina, subendo una condanna per adulterio a causa della denuncia del marito di
lei. Il 1894 è un anno di svolta: il rapporto con la Gravina, ormai in crisi, si appresta a essere
rimpiazzato da quello con la grande attrice Eleonora Duse, incontrata a Venezia nel settembre di
quell’anno: il dissesto finanziario e i debiti ereditati dal padre, morto l’anno precedente, lo
incalzano, come altre volte, costringendolo a fughe precipitose e a impegni editoriali gravosi. Infine
si trasferisce con la Duse a Settignano, vicino a Firenze; qui compone i primi tre libri delle Laudi
del cielo della terra del mare e degli eroi, il romanzo Il fuoco e una tra le sue opere più fortunate per
il teatro, La figlia di Iorio. Nel 1897 si è intanto fatto eleggere deputato, presentandosi con la
Destra, salvo passare clamorosamente nelle file della Sinistra tre anni dopo per protesta contro la
repressione del reazionario governo Pelloux. Nel 1910, costretto dai debiti contratti per mantenere
la villa, va in Francia, dove compone Merope, quarto libro delle Laudi, e dove rimane in «esilio
volontario» fino al 1915, circondato da numerosi ammiratori e attore di nuove avventure erotiche: il
contatto con l’Italia è intanto assicurato da un’assidua collaborazione al «Corriere della Sera», i
pezzi per il quale confluiranno in gran parte nei volumi delle Faville del maglio, pubblicati nel 1924
e nel 1928. Nel 1915, scoppiata la guerra, torna in Italia, schierandosi tra gli interventisti e
partecipando ad ardite imprese terrestri, navali e aeree. Perso l’occhio destro in un incidente aereo,
compone nel periodo d’infermità le prose del Notturno. Animato da fiero spirito nazionalistico,
d’Annunzio ritiene la vittoria italiana mortificata dalla mancata annessione all’Italia della città
croata di Fiume, e perciò la occupa di forza nel 1919, istituendovi un governo militare; ma dopo
pochi mesi è costretto dalle truppe governative ad abbandonarla. Si ritira allora, nel 1921, a
Gardone Riviera in una villa detta «Il Vittoriale degli Italiani» – una sorta di museo dedicato a se
stesso – nella quale vive in disparte, curando l’edizione nazionale delle proprie opere, fino alla
morte, avvenuta il 1° marzo 1938.
ALCYONE
Alcione è il terzo dei sette libri delle “Laudi del cielo della terra del mare e degli eroi” e viene
pubblicato nel 1903. È diviso in 5 sezioni per un totale di 88 testi. Le 5 sezioni sono distinte da
specifiche tematiche e ogni sezione è caratterizzata da un momento stagionale, da un ambiente
naturale-paesaggistico nonché da un corrispondente stato d'animo. Il libro è aperto dal testo La
tregua e costituisce una vera e propria “tregua” del superuomo, ovvero un momento di abbandono
alla dimensione della natura e del mito.
La prima sezione è ambientata in uno scenario contadino tra Fiesole e Firenze nel mese di giugno.
I 7 testi che la compongono costituiscono lodi di vari luoghi e piante e l’arrivo dell’estate
La seconda sezione sposta l'ambientazione in Versilia una regione della Toscana che si affaccia
sul mare. È esplosa l'estate ed è formata da 19 testi in cui il soggetto tende a identificarsi con l'intero
paesaggio circostante. Di questa sezione fa parte la poesia “La pioggia nel Pineto”.
La terza sezione è formata da 16 testi segnati dall'estate piena.
La quarta sezione conta 26 testi dedicati all'estate culminante e ai primi presagi autunnali
La quinta sezione comprende 17 testi. È settembre e l’estate sta finendo e si abbandona il
paesaggio versiliese. Fa parte di questa sezione la poesia “I pastori”.
Il commiato chiude il libro rievocando i luoghi versiliesi che hanno ospitato il ciclo stagionale
dell'estate. Il testo contiene anche un saluto e una dedica a Pascoli.
In "Alcyone" si esprime un forte legame con la natura, dove l'individuo si identifica sensualmente
con il mondo vegetale e animale. L'io personale svanisce, il soggetto si perde nella natura,
trasformandosi in un mito o in un paesaggio, o in entrambi.
I temi principali sono:
- Lo scambio tra naturale e umano, infatti Alcyone rappresenta una capacità di entrare in
contatto diretto con la natura;
- La riattualizzazione della natura, infatti c’è il recupero del mito, come i grandi miti naturali
della classicità, rappresentando la propria natura individuale;
- L’esaltazione della parola, dell’arte e della figura del poeta.
Lo stile di scrittura utilizzato in questo libro è caratterizzato da un linguaggio ricercato e poetico,
con un uso ampio di immagini suggestive e descrizioni dettagliate. Per quanto riguarda la metrica,
d'Annunzio ricerca la sonorità musicale e sensuale, impiegando il verso libero
I PASTORI BRANO
La struttura ritmico-sintattica presenta due momenti distinti: il primo relativo alla descrizione della
partenza e del viaggio dei pastori dai monti verso la pianura, il secondo relativo all’arrivo sul mare.
Il primo momento è caratterizzato da un andamento lento e ampio, con periodi che si stendono su
due versi o su tre o perfino su quattro. Il secondo momento è invece scandito da periodi brevi. In
questo modo si esprime, a livello formale, lo stacco tra due situazioni di paesaggio diverse,
corrispondenti a due atteggiamenti psicologici, di familiarità l’uno, di estraneità l’altro. Si tratta di
un salto solamente implicito, suggerito, a livello semantico, dall’aggettivo «esuli». In questo
passaggio da una natura familiare a una condizione di esilio e di distacco si riconosce infine il
destino stesso del poeta, nel momento in cui, volgendo l’avventura alcionia al suo termine, il
recupero del mito panico si è rivelato impossibile. Posto nella zona conclusiva del libro, questo
testo è il primo dei sette Sogni di terre lontane. Essi rappresentano il tentativo di evadere dal
malinconico declinare dell’estate versiliese spostandosi con la fantasia in luoghi dove settembre sia
piacevole. Si tratta di luoghi, come qui l’Abruzzo, irraggiungibili per il poeta: il quale può così
disegnare su di essi il proprio bisogno di pace, caricandoli della propria nostalgia del mito. La
descrizione della transumanza provoca nel poeta nostalgia e rimpianto, espliciti nell’interrogazione
dell’ultimo verso, impliciti nel tono ispirato e malinconico della lirica.