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⋅Gabriele D’Annunzio nasce nel 1863 a Pescara, studiò nel collegio Cicognini di Prato ed esordì,
sedicenne, con un libretto di versi, “ Primo vere”, che suscitò interesse tra i letterati di fama.
⋅Si trasferì a Roma per frequentare l’Università ma abbandonò gli studi per frequentare i salotti
mondani e le redazioni di giornali.
⋅Fu giornalista per alcuni anni, collaborò con giornali come “La Tribuna” e nei primi anni novanta
scrisse sul “Mattino” a Napoli, dove si era trasferito per sfuggire ai creditori.
⋅Acquistò notorietà ma le sue opere suscitavano scandalo per i contenuti erotici, a cui la morale
comune non era abituata.
⋅Il suo era un vivere inimitabile, si crea questa maschera dell’esteta dalla raffinatezza e sensibilità
squisita, disprezza la mediocrità borghese e si rifugia in un mondo di arte pura. Tuttavia vuole essere
modello per la borghesia, scrive opere che la scandalizzano e che la portano a provare un
piacere morboso. Vive la sua vita al limite, circondato dal lusso sfrenato, spende grandi somme di
denaro ma non è mai realmente soddisfatto. Nella sua abitazione, la villa della Capponcina,
D’Annunzio conduceva la vita da principe rinascimentale, tra oggetti d’arte, cavalli e levrieri di
razza.
⋅Durante un soggiorno a Firenze, conosce Eleonora Duse, un'attrice di teatro molto famosa, con cui
instaura una relazione lunga e tormentata.
⋅Questa sua fase estetizzante venne messa in crisi dopo la sua rivisitazione del mito del superuomo
di Nietzsche, a cui conferisce un’energia eroica e attivistica.
⋅Anche se D’Annunzio cercava di distaccarsi dalla borghesia, era strettamente legato ad essa, per
mantenere il suo lussuoso stile di vita doveva comunque lusingare proprio la massa che tanto
disprezzava. Era costretto a subordinarsi alle esigenze della produzione e del mercato.
Politica
⋅Nel 1897 tentò di entrare in Parlamento come deputato dell’estrema destra, disprezzava i principi
democratici ed egualitari, sognava la restaurazione della grandezza di Roma e una missione
imperiale dell’Italia.
⋅Nel 1900, si schierò con la sinistra, non condivide più i valori della destra, la sinistra incarna la
vitalità e forza che tanto lo attraggono.
Teatro
D'Annunzio era sempre alla ricerca di strumenti per agire più direttamente sulle folle così si rivolse al
teatro, nel 1898 portò in scena “Città morta” ma fu ben presto costretto a fuggire in Francia a
causa dei creditori . Qui scrivere opere in francese e si adatta al nuovo ambiente letterario.
⋅Nel 1898 si autoproclamò “poeta vate”, modello da imitare che interpreta e guida i sentimenti delle
masse.
Il Piacere
Primo romanzo di D’Annunzio, venne pubblicato nel 1889. Ottiene un grande successo e allo stesso
tempo solleva scandalo e polemiche per l’immoralismo del protagonista. Questo romanzo ed i
seguenti: L’Innocente e Il trionfo della morte, verranno uniti da D’Annunzio in un ciclo dal nome “ I
romanzi della Rosa”, dove la rosa è simbolo della lussuria.
Trama
⋅Il protagonista è Andrea Sperelli (alter ego dell’autore), ultimo rampollo di un’antica famiglia
nobile che vive a Roma in un ambiente raffinato e molto ricercato. Da un lato è un uomo dai gusti
elevati, che predilige gli studi insoliti ed è un esteta, dall’altro è senza alcun freno morale. Ha avuto
una relazione con l’affascinante Elena Muti, donna torbida e capace di inganni, che dopo un po’
si stufa di lui e se ne va.
⋅Abbandonato, Andrea inutilmente cerca di sostituire la passione per Elena Muti con altri piaceri e
numerose avventure, passando da un amore all’altro fino a quando l’amante geloso di una
donna che corteggia, Ippolita Albonico, lo sfida a duello. Andrea durante il duello colpisce
l’avversario ma viene a sua volta ferito.
⋅Abbandona Roma e va a trascorrere la convalescenza in campagna dalla cugina, marchesa
d’Ateleta, dove spera di trovare pace e riconquistare la perduta purezza morale. Nella villa della
cugina, chiamata aristocraticamente Schifanoja, conosce una giovane donna in vacanza con la
figlioletta, Maria Ferres, moglie di un ministro guatemalteco, immagine di dolcezza e purezza
aristocratica.
⋅Tra i due si accende l’amore, un amore puro e spirituale, inizialmente platonico. Andrea che mira
a possedere Maria anche carnalmente, la quale dopo qualche resistenza cede alla passione.
⋅Finita la convalescenza Andrea in autunno rientra a Roma convinto di essere un uomo
profondamente cambiato. Anche Elena è tornata in città e quando Andrea la incontra con il
nuovo marito a teatro e viene invitato per il giorno successivo nella loro casa, entra in crisi; il ricordo
della passata passione torna ad insinuarsi in lui.
⋅L’incontro con Elena , in cui Andrea aveva riposto grandi speranze, si rivela deludente perché
Elena rifiuta di riprendere la relazione. Andrea inizia a confrontare le due donne e sempre più
velenosamente il desiderio e l’immagine di Elena si frappone alla figura di Maria. L’amore per le
due donne – di natura così diversa – finisce per confondersi e per diventare tutt’uno.
⋅Verso Elena, Andrea prova un amore morboso e non fa che rivivere con la nuova amante l’amore
per la prima, in un ambiguo gioco di trasposizioni di persona: ha una relazione con la donna
angelo ma continua a desiderare la donna lussuriosa.
Un giorno, annebbiato dalla gelosia per Elena, che si è concessa a un altro amante, egli si lascia
sfuggire il nome di lei mentre ha tra le braccia Maria, che lo respinge e fugge.
⋅L'azione conclusiva è ambientata nella casa di Maria Ferres, che nel frattempo è stata
abbandonata dal marito che è fuggito lasciandola in un mare di debiti dovuti al vizio del gioco.
⋅Nell’abitazione si sta svolgendo un’asta pubblica per poter fronteggiare i creditori e Andrea si
aggira nelle sale del Palazzo dei Ferres avvilito per la propria meschinità morale e disgustato dal
volgo che ha riempito la casa per acquistarne il mobilio, che vede come una folla di rozzi furfanti.
⋅Tutta la scena si basa sul confronto tra la bellezza e il pregio del luogo dove si svolge l’asta e la
volgarità degli acquirenti che lo hanno invaso. La volgarità della società di massa domina lo
scenario contribuendo al sentimento di sfascio e profanazione, la bellezza è sconfitta e con essa il
progetto del protagonista.
⋅Andrea che assiste alla scena dell’asta è pervaso da un senso di morte. Nelle ultime righe
emblematiche Andrea è costretto a seguire lentamente su per le scale, come se fosse ad un
funerale, i facchini che trasportano in casa sua un immenso armadio, appartenuto a Maria. Al
conte Sperelli non resta che prendere atto del fallimento del proprio stile di vita.
Personaggi
⋅Andrea Sperelli è la personificazione del ’autore, la vita estetizzante e mondana del giovane
D’Annunzio si trasfigura in Andrea. Egli incarna l’eroe decadente, l’esteta dotato di una sensibilità
eccezionale che lo rende particolarmente incline alla bellezza ed ai piaceri. D’Annunzio,
nonostante esprima il fascino per questo stile di vita aristocratica ed elegante, mette in evidenza le
debolezze morali di Andrea. In Andrea Sperelli l’autore denuncia l’incoerenza, l’arrendevolezza nei
confronti degli istinti, la mancanza di genuinità e spontaneità.
Evidenzia la debolezza della figura dell’esteta incapace di opporsi ad un mondo dominato dalla
borghesia in ascesa e destinato quindi ad un isolamento in cui il culto della bellezza si trasforma in
falsità e menzogna. Andrea Sperelli non è capace di provare veri sentimenti, è vuoto, fine a sé
stesso. L’estetismo in Andrea Sperelli diventa in lui una forza distruttiva, che lo porta alla solitudine e
alla sconfitta nel rapporto con l’universo femminile, come emerge chiaramente nel finale del
romanzo.
⋅Elena Muti, duchessa di Scerni, è la donna fatale, che incarna l’erotismo lussurioso. Il rapporto tra
Andrea ed Elena è l’opposto di quello tra Andrea e Maria, è un gioco tra rifiuto e desiderio, è
corteggiamento e conquista, è sensualità ma il sentimento vero è assente.
⋅Maria Ferres è la donna pura, dolce, appassionata e piena di curiosità intellettuali, che impersona
una femminilità opposta a quella di Elena: delicata, spirituale e sensibile. Maria rappresenta per
Andrea Sperelli l’opportunità di una riabilitazione e di una elevazione spirituale, ma in seguito la
donna–angelo diventa solo parte di un gioco erotico più sottile e perverso, in sostituzione di Elena,
che Andrea continua a desiderare e che lo rifiuta.
⋅I nomi dei due personaggi femminili sono simbolici: Elena, la donna fatale, seduttrice/amante,
evoca Elena di Troia, la cui bellezza determinò terribili sciagure; Maria, la donna angelo,
spirituale/materna evoca la Madre di Dio e la purezza della Vergine.
⋅L’esteta infatti, volendo subordinare tutto all’arte, in una società di massa dove invece, domina la
volgarità economica e che rimane ostile o indifferente all’arte, è inevitabilmente destinato a fallire.
Analisi
⋅Con questo romanzo viene introdotta in Italia la figura dell’eroe decadente già presente nella
letteratura straniera. Il protagonista, Andrea Sperelli, è l’incarnazione dell’eroe decadente:
raffinato, aristocratico, dandy, freddo, cultore solo del bello.
⋅Nel Piacere si trovano ancora tracce della tradizione naturalistica del romanzo d’ambiente che si
mescola con la nuova tendenza decadente della narrativa lirico-evocativa.
⋅Il racconto non segue il corso cronologico degli accadimenti ma avanza per blocchi discontinui,
infatti spesso ci sono flashback legati ai ricordi di Andrea ed avvenimenti passati, che mescolano
passato e presente.
Stile
D’Annunzio utilizza uno stile molto ricercato e dotto, la prosa è levigata e preziosa, l’italiano
utilizzato è ricco e raffinato, lo scrittore sceglie infatti con grande accuratezza parole rare e
preziose, nomi esotici o sonori, latinismi, arcaismi, termini liturgici e aulici, intenzionalmente non
alla portata di tutti in cui le parole sono ordinate secondo un preciso schema metrico.
Temi
Le tematiche che emergono dal romanzo sono:
⋅La critica alla società alto borghese di fine ottocento, completamente vuota di contenuti e
sentimenti.
⋅La decadenza di questo tipo di società che ha mercificato tutto finalizzando ogni fervore al
profitto e trascurando il senso del bello;
affermazione della figura dell'esteta intellettuale inquieto, che vive in un mondo tutto suo,
dominato dal culto della bellezza.
⋅La riflessione sui diversi tipi di amore: da quello finalizzato al puro piacere, il cui raggiungimento
diventa una vera e propria ossessione, all’amore puro e spirituale.
Il superuomo e l'esteta
⋅Il nuovo personaggio del superuomo creato da d'Annunzio, aggressivo e vitalistico non nega la
precedente immagine dell'esteta, ma la ingloba in sé, conferendole una diversa funzione.
⋅Il culto della bellezza è essenziale nel processo di elevazione della stirpe nelle persone di pochi
eletti, in tal modo l'estetismo non sarà piu rifiuto sdegnoso della realtà, ma strumento di una volontà
di dominio sulla realtà.
⋅L'eroe dannunziano non si accontenta più di vagheggiare la bellezza in una dimensione
appartata, rifuggendo dalla vita sociale, ma si adopera per imporre, attraverso di essa, il dominio
di un'élite, violenta e raffinata insieme, su un mondo meschino e vile come quello borghese.
⋅L’intellettuale si conferisce il compito di profeta di un ordine nuovo: l'artista proprio mediante la
sua attività intellettuale, deve porre fine al caos del liberalismo borghese, della democrazia,
dell'egualitarismo.
Le Laudi
Le Laudi del cielo, del mare, della terra, degli eroi sono una serie di volumi di liriche che
devono il nome alle stelle della costellazione delle Pleiadi ( Maia, Elettra, Alcyone, Merope,
Asterope).
Maia
⋅”Maia” è un lungo poema unitario di oltre ottomila versi e presenta una novità formale:
D'Annunzio non segue di schemi della metrica tradizionale, né quelli della metrica barbara, adotta
il verso libero con rime senza schema fisso.
⋅”Maia” è pervaso da uno spirito dionisiaco e vitalistico e intento alla declamazione panica e
ridondante delle forme della vita e del mondo.
⋅Il poema tratta di un viaggio in Grecia compiuto dal poeta anni addietro. Ed è all’insegna della
forza e della bellezza che sono intrinseche negli ambienti dell’Ellade. A questi il poeta vi mette in
contrasto la realtà moderna, squallida ma al tempo stesso ricca di potenzialità.
⋅La ricerca dell'intellettuale all'interno della civiltà borghese moderna che era iniziata con la crisi
dell'esteta e la scoperta del superuomo termina con questa ultima tappa: D’Annunzio arriva a
celebrare questa nuova realtà. Essa è fonte di una nuova forza e di una nuova bellezza al pari di
quelle classiche, capace di adempiere a compiti eroici e imperiali. Infine, il poeta inneggia anche
alle nascenti masse operaie che possono a buon diritto fungere da strumento per l’azione del
superuomo.
⋅Con questa opera D’Annunzio si pone come cantore della nuova realtà moderna. Ma è pur
sempre vero che dietro questa celebrazione vi è la paura del letterato di essere schiacciato dalla
stessa società che ora decanta. Per questo, ergendo a mito il mondo industriale, facendolo
entrare nei canoni classici al pari del lavoro effettuato da Monti e Parini, D’Annunzio “combatte” la
sua paura ed esce dalle vesti della vittima per innalzarsi a cantore della nuova società che lo
minaccia.
⋅Tuttavia, da questa nuova versione del poeta ne scaturisce un componimento ridondante e
retorico, a tratti vuoto perché falso e lontano dal D’Annunzio “autentico”, legato al gusto
decadente e che ancora vagheggia quella bellezza oramai irraggiungibile.
La condizione operaia
⋅In questa parte del poema, dedicata alla vita nella città moderna, D'Annunzio descrive una
rivolta operaia repressa sanguinosamente dall'esercito.
⋅La descrizione della massa degli operai in tumulto, e poi della carica della cavalleria è ambigua:
-La folla che si muove contro la muraglia di lance e sciabole è vista in una luce negativa, come un
unico miserabile corpo in preda a un delirio.
-Al tempo stesso il discorso attinge a tonalità epiche e tragiche: il popolo possiede qualcosa di
sacro, tra i mille volti sembra accendersi la gloria e d'altro lato la dimensione tragica deriva dal
fatto che quella massa umana si muove igara incontro alla morte, tanto che il poeta è preso da
pietà nei confronti dei più deboli.
⋅L'ambiguità risulta anche nella lunga rassegna degli operai che compongono la folla, vengono
descritti i segni impressi nella fatica e dai lavori malsani sui loro corpi martoriati e umiliati.
⋅Si mescolano la pietà per quella umanità abbrutita, lo sdegno per tutti i supplizi i «selvaggi» di cui
essa è vittima sul lavoro, che abbassano individui liberi alla condizione di schiavi, la denuncia del
fatto che degli esseri umani siano ridotti al livello di pura materialità dall'alienazione del lavoro.
⋅Al tempo stesso però c’è sorta di compiacimento perverso e molto decadente nel contemplare
ciò che è degradato, impuro, corrotto.
⋅Non solo, sembra di scorgere un moto di disgusto e di repulsione da parte del raffinato esteta per
quegli esseri bruti, “selvaggi” e “fetidi”, ma con l'esame degli effetti devastanti del lavoro sembra
che il poeta giustifichi la rabbia che spinge gli oppressi alla rivolta.
⋅La successiva descrizione del massacro compiuto dalla cavalleria, che insiste su particolari
truculenti e atroci, non riesce a celare il vagheggiamento di natura sadica della violenza e del
sangue. Poi però, con una brusca sterzata, il poela torna alla denuncia con l'esaltazione dell'idea
della giustizia sociale che nei secoli ha liberato gli schiavi.
Alcyone
⋅Nell’Alcyone, la terza raccolta, D’Annunzio descrive il sogno di un’estate, di un’ideale vacanza
estiva dai colli fiesolani alle coste tirreniche, dalle piogge di fine primavera ai paesaggi autunnali di
settembre.
⋅ In questa raccolta, si esplica pienamente il cosiddetto “panismo dannunziano”: l’uomo si
trasforma in un elemento della natura e la natura stessa si umanizza. Nella natura tutto è divino:
non c’è più distinzione tra il soggetto e l’oggetto, tra l’uomo che osserva e ciò che osserva.
⋅Infatti, “panismo” deriva dalla parola greca “Pan”, che significa, appunto, “tutto”: l’io del poeta si
fonde con lo scorrere della vita del Tutto, trasfigurandosi ed arrivando a toccare il divino, a cui solo
la potenza della parola evocativa del poeta-vate (strettamente connesso con il superuomo) è in
grado di attingere, sapendo cogliere appieno l’essenza misteriosa della natura.
La sera fiesolana
⋅La poesia “La sera fiesolana” rappresenta una sorta di rilettura laica e dionisiaca del “Cantico
delle Creature” di San Francesco d’Assisi: il misticismo francescano viene riproposto con espressioni
come “laudata sii”, “fratelli ulivi”; “pura morte”, inserite però in un contesto totalmente diverso.
⋅La primavera sta per cedere il posto all’estate e la natura si trasforma: sui pini spuntano nuovi
germogli, simili a dita che giocano col vento; il grano; il fieno, seccando, cambia colore.
⋅Si tratta di una sera di giugno dopo la pioggia al crepuscolo, un momento di passaggio e di
metamorfosi, fatto di trasformazioni quasi impercettibili, un momento carico di attesa e di
suggestione. Come la sera ‘muore’ spegnendosi lentamente nella notte, anche la primavera
muore trascolorando nell’estate.
⋅In tutta la poesia, D’Annunzio si rivolge ad un “tu” indeterminato, una figura femminile di cui non
viene esplicitato il nome e a fungere da collegamento stanno i tre ritornelli in cui è lodata la sera,
che assume sembianze umane, di una donna amata, celebrata per il viso perlaceo, le vesti
profumate e la cintura indossata. Si rivolge a lei augurandole che le sue parole possano darle
ristoro come se fossero suoni nati dalla natura in primavera e non dalle labbra dell’uomo.
⋅La sera è il momento della fusione panica con la natura.
⋅Nella prima strofa, il tema centrale è il sorgere della luna: essa è tutta costruita su una serie
d’immagini che si richiamano l’una con l’altra per analogia: il suono delle parole “fresche”
richiama il “fruscio” delle foglie del gelso e queste corrispondenze assumono un valore allusivo
quasi magico, acuito dall allitterazione onomatopea e dalla sinestesia.
⋅Questi versi introducono la nascita della luna, una sorta di teofania, ossia l’apparizione di una
divinità, che solo le parole del poeta-vate sono in grado di descrivere; ma non è descritto il sorgere
vero e proprio della luna, bensì il momento, magico e sospeso, che lo precede.
⋅Nella seconda strofa, insiste sull'idea dell'acqua e per descrivere la donna-astro morbidamente
avvolta nel suo chiarore ( viso di perla), il poeta utilizza parole che rimandano all’acqua,
trasparente, fluida.
⋅Nella terza strofa, si giunge ad una sensualità panica, ad una forza erotica che pervade la natura
e di cui anche l’uomo partecipa: nell’atmosfera magica e misteriosa dei “reami d’amor”, persino
le colline si trasformano in sensualissime labbra.
⋅La cura formale è molto elevata; il lessico è ricercato e ricco di arcaismi, con stilemi tipici dello Stil
novo (“viso di perla”, v. 15) e un francesismo, “bruiva”, al v. 19. Una raffinatissima musicalità, come
abbiamo visto, si accompagna a un uso larghissimo e sapiente delle figure retoriche e di ardite
personificazioni e giochi cromatici.
I pastori
⋅Questa poesia tratta del ricordo della gente e della terra
natale del poeta, dell’Abruzzo in cui D’Annunzio ha trascorso
l’infanzia e con il quale dimostra di mantenere un profondo
legame affettivo.
⋅Si possono notare numerose immagini legate alla misura e al calcolo del tempo:
-Nella prima strofa è la mano che giocherella con la sabbia delle spiagge ad avvertire la
sensazione della fine della stagione, e che trasmette questo presentimento al cuore: Il cor sentì
che il giorno era più breve (v. 3).
-Nella seconda strofa poi un intreccio di metafora e sinestesia introduce una notazione temporale
che allude sempre alla fine dell’estate: umido equinozio, oro delle piagge salse (vv. 5 e 6).
⋅Infine nell’ultima strofa, per parlare del trascorrere del tempo, il poeta usa le immagini di una
clessidra e di un tacito quadrante, ossia una meridiana e possiamo avvertire l’angoscia dell’io del
poeta .
⋅Si può notare come nella poesia vi siano termini funebri e richiami a un sentimento di ansietà,
legati agli strumenti di misurazione del tempo, che fondono l’idea del tempo e della morte ( urna,
palpitante, vano, ombra).