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L’opera milanese dello scrittore, intitolata “Eva” e pubblicata nel 1873, parte da quei
presupposti per dimostrare come le aspirazioni romantiche siano sempre destinate
a scontrarsi con la realtà, come gli ideali e i sogni d’amore siano fondamentalmente
irrealizzabili e come questi debbano necessariamente misurarsi con i meccanismi
della quotidianità, delle ragioni economiche, del caos cittadino.
La vicenda ha per protagonista un giovane romantico costretto ad assistere al
fallimento di tutti i propri ideali e alla vittoria di una implacabile modernità.
In “Eva” inoltre si trova il topos della “ballerina”, simbolo prediletto di un artista che
è costretta ad esibirsi secondo i gusti del pubblico, tradendo l’arte e i suoi alti ideali.
Eva non è solo il romanzo della drammatica passione di Enrico Lanti per la ballerina
che dà il titolo all’opera, ma anche un’occasione per lo scrittore siciliano per definire
con alcuni punti fondamentali della poetica verista.
Enrico Lanti è un giovane artista di origini siciliane che, giunto a Firenze per trovare
fortuna, fa la conoscenza di Eva, una ballerina ammaliante che tra sfarzi ed
espedienti vari ha trovato il modo per far breccia nel cuore del pubblico.
Innamoratosi della giovane, Enrico, in stile romantico, le propone di fuggire via da
quel mondo finto per costruire una esistenza tutta loro, fatto di miseria ma
soprattutto di autenticità. Il sogno d’amore della coppia però è costretto a fare i
conti con la realtà, con la mancanza di denaro, con le scadenze da pagare, con il
fallimento e con l’esclusione sociale.
Enrico ed Eva così si separano. Dopo la rottura, entrambi riprendono a seguire il loro
personale sogno artistico ma pur di vivere della loro “arte” sono costretti a scendere
a compromessi con il volgare e sgarbato gusto del pubblico. Il destino però ha in
serbo per loro un altro incontro ma nessun esito felice. “Eva” si rifiuta di riprovare a
ricostruire una relazione ed Enrico finisce con l’uccidere il compagno della donna.
Falliti il sogno d’amore e quello artistico, Enrico torna ammalato nella sua Sicilia, che
si presenta ancora arcaica, lontana dalla dominante e straripante modernità delle
metropoli del nord. Qui troverà la morte, circondato dall’affetto sincero e autentico
dei propri cari.
Il tema degli esiti tragici della passione amorosa rimane costante, ma più
interessante appare, nella breve Prefazione che accompagna l’opera, la posizione
che l’autore assume su temi e questioni che caratterizzeranno di qui in poi la sua
produzione.
Cruciale che, già nella prima riga, la narrazione sia definita come “vera, com’è stata
o come potrebbe essere, senza retorica e senza ipocrisie”; da qui Verga muove per
diffondere il valore conoscitivo della propria attività di romanziere, collocata
all’interno di una società moderna e perbenista, che l’autore sferza con salace
ironia:
Voi ci troverete [nel mio romanzo] qualche cosa di voi, che vi appartiene, ch’è il
frutto delle vostre passioni, e se sentite di dover chiudere il libro allorché si avvicina
vostra figlia – voi che non osate scoprirvi il seno dinanzi a lei se non alla presenza di
duemila spettatori e alla luce del gas, o voi che, pur lacerando i guanti
nell’applaudire le ballerine, avete il buon senso di supporre che ella non scorga
scintillare l’ardore dei vostri desideri nelle lenti del vostro occhialetto – tanto meglio
per voi, che rispettate ancora, qualche cosa.
La prefazione
Nella prefazione al romanzo Verga esprime chiaramente le sue idee riguardo ai
cambiamenti radicali che il progresso, generato dall’industrializzazione, sta portando
nella società. Secondo lo scrittore, questa corrente del progresso ha conseguenze
soprattutto negative perché accentua ed esaspera un tragico meccanismo presente
in natura, a cui è impossibile sottrarsi: la vittoria del più forte ai danni del più debole.
Il mondo rurale che sta ormai scomparendo offriva maggior riparo ai deboli: la
società industriale, che fa intravedere agli umili illusorie speranze di riscatto e di
benessere, finisce invece per travolgerli e condurli alla rovina. Secondo la sua visione
del mondo la povera gente, per salvarsi, deve rimanere attaccata alla propria casa e
alla propria famiglia. Nei Malavoglia l’uso dei proverbi ha anche questo scopo:
evidenziare che una famiglia può vivere in modo relativamente felice se rimane
ancorata alle tradizioni e ai valori di sempre veicolati da questi antichi detti.
Padron ‘Ntoni è l’incarnazione della saggezza popolare – dispensata a piene mani
attraverso i proverbi – e della famiglia patriarcale, governata dal capostipite che
mantiene ciascuno sta al suo posto, legato a ruoli e doveri immutabili
Ciò che caratterizza anche il romanzo è la prevalenza dei discorsi dei personaggi
attraverso il discorso diretto, indiretto e indiretto libero. In tal modo la storia viene
raccontata attraverso le parole degli abitanti di Aci Trezza ed il lettore deve ricavare
l’intreccio degli avvenimenti dalle informazioni che gli vengono fornite dai vari
personaggi. E’ un racconto corale.
L’analisi del romanzo I Malavoglia di Giovanni Verga, deve prendere in
considerazione due aspetti fondamentali:
- in primo luogo la volontà, da parte di Verga, di raccontare le condizioni di vita degli
umili, degli emarginati e diseredati, delle classi sociali più povere e sfruttate in un
contesto storico-culturale arretrato, quello dell’Italia meridionale. E’ il mondo dei
pastori, dei contadini, dei pescatori e minatori, oppressi da una miseria secolare e
vittime dello sfruttamento;
- in secondo luogo, il modo innovativo con cui Verga dà forma al racconto con un
linguaggio letterario di rottura drastica con la tradizione dei romanzi tardo-romantici
di ambientazione borghese, registrando oggettivamente i fatti, senza che l’autore-
narratore sovrapponga ad essi le proprie opinioni o il proprio commento. Tuttavia
non arrivando mai ad una analisi fredda e distaccata perché Verga rappresenta la
realtà attraverso le azioni e le parole dei protagonisti, adottando il punto di vista dei
personaggi che vivono la vicenda narrata.
L’AMANTE DI GRAMIGNA.
È la storia dell’amore fatale tra Peppa e il brigante Gramigna, sullo sfondo della
Sicilia rurale del tempo.
L’amante di Gramigna è la prima opera verista di Giovanni Verga. E’ una novella che
fa parte della raccolta Vita dei campi. L’importanza di quest’opera risiede nella sua
Prefazione che rappresenta un testo di grande rilievo dal punto di vista teorico in
quanto manifesto del verismo.
Nella lettera a Salvatore Farina è riportato un concetto fondamentale della
letteratura del naturalismo e del verismo, cioè l’idea che l’opera letteraria deve
rappresentare oggettivamente la realtà che sembra “essersi fatta da sé”, senza la
mano dell’autore.
La narrazione, affidata come nelle altre novelle ad una voce corale che rappresenta
il punto di vista della comunità, contribuisce a definire le caratteristiche di
Gramigna, e a formulare un giudizio negativo su di lui. Gramigna è l’elemento del
disordine che sconvolge gli equilibri della società rurale, minacciandone la stabilità
economica; la presenza del bandito nelle campagne coincide con il periodo della
mietitura, e tutti i contadini sono costretti ad interrompere i lavori per paura
d’incontrarlo. Secondo un meccanismo tipico della mentalità popolare per
etichettare il fuorilegge o il “diverso” Gramigna è una creatura demoniaca, dannosa
come una pestilenza e dotata di capacità sovrumane.
In netta antitesi con Gramigna, eroe “negativo” della novella, c’è ovviamente il polo
rappresentato da compare Finu, detto “candela di sego”, il “miglior partito del
villaggio” che riunisce in sé solo qualità “positive”
Si capisce che l’innamoramento di Peppa per Gramigna costituisce una gravissima
trasgressione delle leggi non scritte della comunità: la protagonista rifiuta la “roba”
di compare Finu per assecondare la pulsione erotica, che per di più la spinge verso
un ladro che terrorizza l’intero paese, mettendone a repentaglio la sicurezza
economica. La scelta di Peppa è del tutto incomprensibile all’interno del sistema di
valori della comunità, che non a caso ricorre alla fede religiosa per esorcizzare, in
maniera superstiziosa, ciò che non riesce a comprendere
L’ossessione dell’eros e la rabbia per la propria condizione è riconoscibile da due
elementi; da un lato “l’ammirazione bruta della forza” che porta Peppa a guardare
con desiderio i carabinieri del carcere presso cui vive, sentendo un brivido quando si
ricorda del suo amante, dall’altro la reazione furiosa quando le viene ricordato che
suo figlio è di Gramigna: ella si metteva in collera, e li inseguiva a sassate.