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IL DECADENTISMO

Il termine decadentismo, impiegato per designare un’intera fase storico-letteraria, è un’acquisizione critica
posteriore, che ha avuto fortuna soprattutto in Italia.
Decadentismo si sovrappone in parte a simbolismo, definizione adottata da molti letterati del tempo e ancora
oggi diffusa al di fuori dell’Italia per indicare gli stessi fenomeni o fenomeni in larga misura analoghi. La
categoria di decadentismo è stata ed è tuttora utilizzata sia in un senso più ristretto e storicamente rigoroso,
sia con significati molto più ampi e vari. Per quanto riguarda i limiti temporali, alcuni critici collocano il
Decadentismo nel periodo che va dal 1880 all’inizio delle avanguardie storiche, negli anni precedenti la
Prima guerra mondiale; altri, invece, lo estendono a buona parte della letteratura novecentesca, considerata
espressione di una prolungata crisi spirituale e socio-culturale.

Decadentismo deriva da “décadence”, termine usato dal poeta francese Paul Verlaine nella


lirica “Languore” (1884) per definire il proprio stato d'animo nei confronti della società contemporanea. Il
tema della decadenza sociale e culturale e della crisi di valori che essa comporta è ripreso da un gruppo di
scrittori, che fondano nel 1886 la rivista “Le Décadent”. Due anni prima, nel 1884, Verlaine aveva
pubblicato “Poètes maudits”, un’antologia incentrata sulle opere dei suoi amici Tristan Corbière, Stéphane
Mallarmé ed Arthur Rimbaud.
Sempre nel 1886 un altro letterato francese, Jean Moréas, fonda la rivista “Le Symboliste”, che segna la
nascita del movimento simbolista; la definizione poeti simbolisti soppianta da allora quella di decadenti.

Il vocabolo decadentismo viene inteso dai contemporanei con accezioni opposte: una negativa, utilizzata
dalla critica in senso dispregiativo, in riferimento alla nuova generazione dei poeti maledetti, che davano
scandalo incitando al rifiuto della morale borghese, ponendosi al di fuori della norma sia nella produzione
artistica sia nella pratica di vita; e una positiva, rivendicata in seguito dai poeti stessi per il loro nuovo modo
di pensare, per la loro diversità ed estraneità rispetto alla società borghese.

ROMANTICISMO E DECADENTISMO
Il concetto di Decadentismo appare ancora più problematico di quello di Romanticismo, nonostante
l’inequivocabile relazione tra i due movimenti culturali, che rispettivamente aprono e chiudono l’Ottocento, al
punto che alcuni studiosi vedono nel Decadentismo la prosecuzione del Romanticismo, nonostante non
manchino differenze anche rilevanti. Se gli autori romantici erano stati in larga misura concordi
nell’autodefinirsi tali, i decadenti non si riconoscono se non in minima parte in questa categoria. Nel corso
dell’Ottocento in Europa molte cose sono cambiate. La borghesia, che a inizio secolo stava lottando per il
ruolo di protagonista politica e culturale contro l’ancien régime, ora gode di un’egemonia incontrastata, che
esercita spesso in modo conservatore, autoritario e imperialista. Se il Romanticismo per molti aspetti
risultava l’espressione dello slancio verso l’affermazione di sé e il rinnovamento della società da parte dei
ceti borghesi, il Decadentismo manifesta una decisa critica e un atteggiamento di rifiuto nei confronti della
mentalità borghese, critica e rifiuto che peraltro nascono dall’interno della borghesia stessa, alla quale
appartengono gli intellettuali.

Il Romanticismo aveva assunto come proprio obiettivo polemico il razionalismo illuminista. Il Decadentismo si
oppone duramente al Positivismo, con le sue pretese di concretezza e di oggettività, con il suo scientismo e
l’ottimismo progressista. A tutto ciò esso contrappone nuovamente la centralità del soggetto e la svalutazione
della ragione in favore di altre facoltà: sensibilità, intuizione, fantasia, sogno. La realtà viene percepita come
complessa e oscura. Né la percezione sensibile né l’indagine razionale sono in grado di svelarne i misteri.
L’interiorità dell’individuo appare altrettanto, se non ancor più, insondabile. Oltre le apparenze e le
convenzioni, la mente e l’anima sono abissi inesplorati, dai quali possono emergere le idee e le immagini più
sorprendenti, e talvolta spaventose. A queste scoperte si dedicano sia la filosofia e la psicologia, sia la
letteratura e le arti figurative.
NUOVE CONCEZIONI FILOSOFICHE
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento alcuni intellettuali in particolare contribuirono a scardinare le
certezze positiviste in ogni ambito, compreso quello scientifico. Uno dei pensatori più popolari e influenti in
questo periodo è il francese Henri Bergson, con i saggi “Materia e memoria” (1896) e “L’evoluzione
creatrice” (1907). Bergson contesta la legittimità dell’applicazione del metodo scientifico ai fenomeni che
riguardano la coscienza, e in particolare sostiene che esiste una differenza radicale tra il tempo misurabile
degli eventi naturali e il tempo della coscienza, che non può essere suddiviso e quantificato meccanicamente
secondo un modello spaziale, ma è un flusso continuo, una durata ininterrotta in cui sono
contemporaneamente e indissolubilmente presenti l’attimo che si sta vivendo, la memoria del passato e
l’anticipazione del futuro. Per Bergson, inoltre, la natura del reale non è riconducibile alla materia e alle sue
leggi deterministiche, ma consiste in una sorta di forza cosmica, il cosiddetto “élan vital”, da cui hanno
origine tanto la materia quanto la coscienza.

Un peso ancora più grande nella cultura del tempo e anche nella storia del pensiero successivo è esercitato
dal tedesco Friedrich Nietzsche. Egli sottopone a un’analisi critica spesso molto acuta e di straordinaria
efficacia letteraria la morale e la religione, che negano valore alla vita terrena e impongono un’etica della
rinuncia e della debolezza. Nietzsche ritiene quella contemporanea a lui una civiltà nichilista, in cui non c’è
più bisogno di Dio e ogni valore è stato annullato. Nella sua opera più celebre, “Così parlò
Zarathustra” (1883-1885), egli si propone di operare una trasvalutazione di tutti i valori e di aprire la strada a
una nuova umanità, a un oltreuomo capace di affermare la propria libera volontà anziché soggiacere a
costrizioni e di liberarsi dalle categorie codificate e convenzionali di bene e di male.

Ma la maggiore rivoluzione epistemologica in ambito antropologico viene realizzata dal medico ebreo
viennese Sigmund Freud, autore di quella che egli chiama scoperta dell’inconscio e fondatore della
psicoanalisi, la cui teoria e pratica influenzeranno in larga misura non solo la psicologia clinica, ma più in
generale la cultura e la mentalità per molti decenni a venire. Partendo dallo studio dell’isteria, Freud arriva a
ipotizzare l’esistenza di una parte profonda della psiche, normalmente inaccessibile alla coscienza, e tuttavia
sede di memorie, impulsi e desideri. Essi vengono rimossi dall’Io conscio, perché troppo dolorosi o
imbarazzanti, ma ciò nonostante agiscono in noi, generando angosciosi conflitti, che sono alla base di molte
patologie psichiche. Compito dello psicoanalista è riportare alla luce e alla coscienza il rimosso, per mezzo di
diverse tecniche, la principale delle quali dà anche il titolo all’opera più nota di Freud, “L’interpretazione dei
sogni” (1898). Proprio nel sonno e attraverso i sogni infatti, quando il controllo e la censura messi in atto
dall’Io nella veglia tendono ad allentarsi, è più facile e frequente la manifestazione delle pulsioni inconsce.
Esse assumono caratteri non espliciti ma simbolici, e il lavoro del terapeuta consiste appunti nel decifrare tali
simboli per riconoscere i nuclei conflittuali da cui hanno origine i sintomi nevrotici.

IL SIMBOLISMO
Il grande rinnovamento della poesia ottocentesca, rinnovamento che riguarda tanto i contenuti quanto il
linguaggio, è dovuto ai poeti simbolisti, e in primo luogo a Charles Baudelaire, che con la raccolta “I fiori del
male” del 1857 fonda la lirica moderna. Baudelaire è l’anima di Parigi, la quale a sua volta è la capitale della
modernità. Ma egli è anche, tutto insieme: l’ultimo grande poeta romantico; il primo poeta moderno, dopo il
quale la poesia non sarà più la stessa e da cui discende la modernità poetica, diramandosi poi nei due
orientamenti rappresentati da Verlaine e Rimbaud da un lato, da Mallarmé dall’altro; oppure il poeta classico,
che racchiude la materia scabrosa della sua poesia dentro una forma perfetta; e ancora poeta maledetto,
padre del decadentismo. Spiritualista e insieme materialista, egli accetta come una cosa evidente la stretta
relazione del mondo fisico e di quello spirituale; questo profondo sentimento dei rapporti fra il più alto e il più
basso, il contrasto costante tra ideale e reale, costituisce forse il principale tratto distintivo della sua opera.
Dal suo inferno terreno Baudelaire guarda costantemente al Cielo, ma non vi è nella sua poesia nessuna
prospettiva di ascesa paradisiaca: il suo unico Paradiso possibile è in terra, e sull’orlo dell’abisso. Baudelaire
è il poeta spogliato dell’aura, per il quale non c’è più un ruolo nel mondo contemporaneo, nella cultura ormai
massificata e ridotta a merce, e si identifica con la sua allegoria più famosa, quella dell’Albatros. Una delle
liriche più note de “I fiori del male”, tanto da costituire una sorta di manifesto del simbolismo, è
“Corrispondenze”. In essa la natura viene descritta come una foresta di simboli, un insieme di misteriose
corrispondenze tra ogni elemento e ogni altro. La prerogativa e il compito del poeta consistono nel cogliere e
decifrare questi simboli, attingendo a una conoscenza che va oltre quella razionale.
L'assunto principale del Simbolismo è che sotto la realtà apparente, quella percepibile con i sensi, ve ne sia
un'altra più profonda e misteriosa, a cui si può giungere solo per mezzo dell'intuizione poetica. Per questi
nuovi contenuti della poesia i simbolisti elaborano un linguaggio nuovo, non più logico, ma alogico, che
permetta di portare alla luce i misteriosi legami esistenti tra le cose. La parola deve avere la capacità di
comunicare le molteplici emozioni che il poeta avverte come simultanee. Per questo i poeti simbolisti
ricorrono a figure retoriche come la metafora, l'analogia e la sinestesia. La poesia è accostata alla musica
(Verlaine). Il poeta non deve descrivere la realtà, ma cogliere e trasmettere le impressioni più vaghe e
indefinite, suggerire sensazioni e stati d'animo, penetrare l'intima essenza delle cose ed esprimere tutto ciò
per mezzo di accordi musicali lievi, immagini sfumate, parole non descrittive ma evocatrici.

Arthur Rimbaud, ad appena 16 anni, nella “Lettera del veggente” (1871), scrive che «Il primo studio
dell'uomo che voglia diventare poeta è la conoscenza di sé, intera; egli cerca la sua anima, l'indaga, la tenta,
l'apprende. Dal momento che la conosce, deve coltivarla; e aggiunge: Io dico che bisogna essere veggente,
farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i
sensi. Tutte le forme d'amore, di sofferenza, di follia; egli cerca se stesso, esaurisce in sé tutti i veleni, per
non serbarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza
sovrumana, nella quale diventa fra tutti il grande malato, il grande criminale, il grande maledetto, – e il
sommo Sapiente! – Poiché giunge all'ignoto! Avendo coltivato la sua anima, già ricca, più di ogni altro! Egli
giunge all'ignoto, e anche se, sconvolto, dovesse finire per perdere l'intelligenza delle sue visioni, le avrebbe
pur sempre viste! »

L’ESTETISMO
Parallelamente al Simbolismo, negli ultimi due decenni dell’Ottocento si afferma in vari paesi europei una
tendenza del gusto, definita estetismo, antinaturalista e ostile all’idea che il ruolo dell’intellettuale comporti
qualsiasi genere di impegno sociale e politico. Il realismo è considerato dagli esteti un assoluto fallimento
nella ricerca della bellezza. Essi sostengono che la bellezza delle cose non dipende da criteri e valori
oggettivi, ma esclusivamente dal gusto e dalla sensibilità estetica individuali. Si delinea così un nuovo
modello culturale e umano: quello appunto dell’esteta, personificato sia da personaggi letterari che da alcuni
intellettuali del tempo. Tra questi lo stesso Baudelaire, Oscar Wilde e, per certi aspetti, Gabriele D’Annunzio.

L’estetismo consiste nel culto esclusivo ed esasperato della bellezza, nell’esaltazione della dimensione
estetica dell’esistenza, posta al di sopra di ogni altro valore. Con l'estetismo la dicotomia tra arte e vita si
risolve nella coincidenza dei due termini, cosicché la vita stessa viene concepita come un’opera d’arte.
L'estetismo comporta un edonismo in cui l'esaltazione del piacere è morbosamente collegata alla corruzione
della decadenza. L’esteta vuole trasformare la sua vita in opera d'arte, sostituendo alle leggi morali le leggi
del bello e andando continuamente alla ricerca di piaceri raffinati, effimeri, inaccessibili alle persone comuni,
anche attraverso l'utilizzo di alcool e droghe. Egli prova orrore per la volgarità borghese, per una società
dominata dall'interesse materiale e dal profitto.
Opere esemplari dell’estetismo in letteratura sono i romanzi “Il Ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde (1890),
“Il piacere” di Gabriele D’Annunzio (1889), e prima di tutto e soprattutto “À rebours” (comunemente tradotto
come “Controcorrente”) di Joris-Karl Huysmans (1884).
Il protagonista di “Controcorrente”, Jean des Esseintes, è un giovane aristocratico. Dopo la morte dei genitori
rimane l’ unico erede della loro fortuna e, conclusi gli studi, si immerge nella vita parigina. Ma presto rimane
deluso e disgustato dalla sua frivola mondanità; decide dunque di interrompere ogni contatto con la società.
Si rifugia così in una villa nei pressi di un piccolo paese di campagna e dà inizio al proprio
eremitaggio, evitando il più possibile i contatti con i domestici e in generale con il mondo esterno. Des
Esseintes si dedica a soddisfare ogni suo desiderio e ogni piacere: arreda la casa con cura maniacale
scegliendo solo oggetti rari, preziosi e insoliti. Acquista una tartaruga e, insoddisfatto dell'accostamento dei
suoi colori con quelli dell’abitazione, la fa incastonare sul carapace una composizione di pietre preziose
selezionate con cura, su sfondo di oro, ma l'animale muore quasi subito. Allestisce una biblioteca contenente
i volumi da lui preferiti, appositamente rilegati con carte pregiate, e così via. La sua vita trascorre tra la
lettura, la degustazione di alcolici e vivande sofisticati, la composizione di profumi e la cura delle piante.
Tuttavia dopo qualche tempo des Esseintes inizia a soffrire di allucinazioni e di disturbi fisici sempre più
intensi e frequenti. La malattia si aggrava al punto da costringerlo a letto, febbricitante, inerte fisicamente e
spiritualmente. Costretto a consultare un medico, si sente dire che se non modificherà la sua esistenza
solitaria e artificiale presto morirà. E’ perciò costretto, infine, a riallacciare i legami con la società e a fare
ritorno, deluso, a Parigi. L’ideale della vita estetica portato alle estreme conseguenze si rivela così
insostenibile, incompatibile con la stessa esistenza umana.

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