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CESARE PAVESE, O BALLERINA BALLERINA BRUNA - ANALISI

“O ballerina ballerina bruna”, scritta da Cesare Pavese nel 1925, è una poesia di dodici versi,
prevalentemente endecasillabi e dodecasillabi. Il soggetto del componimento è una ballerina,
probabilmente uno dei primi amori di Pavese, la quale però, evidentemente, non prova gli stessi
sentimenti nei suoi confronti, il che causa all’autore, oltre al danno mentale (“nell’anima tutti gli
strazi tesi d’azzurro”), anche un danno fisico (“mi divoro e contorco febbrile”). Il lessico non è
particolarmente complesso, forse anche a causa della giovanissima età del poeta. Ci sono diverse
parole che vengono ripetute, come “anima” e “luci”, che nella prima parte della poesia assumono
un significato positivo, mentre nella seconda parte sono associate a sensazioni negative. Vi è poi
un uso frequente del fonosimbolismo. Vediamo, infatti, come nei punti un cui si parla della
ballerina, ci sia l’allitterazione della “a” e della “e”, che evoca un suono aperto e dolce. In seguito,
invece, specialmente nei vv. 7, 8 e 9, si nota la ripetizione delle lettere “c”, “r” e “o”, che
conferiscono ai versi un suono duro e cupo, rispecchiando lo stato d’animo di Pavese. Non ci sono
figure di significato, a parte l’antitesi “anima di carne”. Pavese eleva quindi la donna amata ad
un’anima, forse per la bellezza, ma di carne, perché il suo è comunque un amore terreno. La
poesia abbonda, invece, di figure di posizione, tra cui le anadiplosi ai vv. 1 e 12, e il parallelismo al
v. 6, che mette in evidenza le parole “uguale” e “splendida”. Inoltre si nota una perfetta divisione
della poesia in due parti. Nei primi sei versi, difatti, si parla della ballerina, elogiandone la sua
bellezza, mentre nei versi restanti, ovviamente sempre sei, si passa al dolore del poeta.
Quest’equilibrio strutturale, dovuto forse all’eccessiva meticolosità di Pavese, lo ritroviamo anche
in Petrarca, anche se in questo caso è per controbilanciare il suo contrasto interiore. Un esempio
può essere “Chiare fresche e dolci acque”, dove nella prima stanza vengono associati sempre due
versi ad ogni elemento della natura e vi è una presenza massiccia di parallelismi e altre figure di
posizione in tutta la canzone. L’analogia con questa canzone di Petrarca si riscontra, oltre che per
la struttura, anche per il tema trattato, ovvero quello di un amore non corrisposto, irraggiungibile.
Un’altra somiglianza emerge nel concetto di donna, che in Petrarca è descritta con aggettivi
angelici, ma che resta comunque oggetto di desiderio sensuale. Questa concezione rimanda all’
“anima di carne” di cui parla Pavese. La sostanziale differenza tra le due opere sta nell’ambiente e
nell’atmosfera. Mentre la poesia di Cesare Pavese si chiude con il rifiuto da parte di lei e
un’atmosfera buia e triste, Petrarca immagina Laura che, finalmente, lo cerca, in un luogo, sulle
rive del fiume Sorga, descritto in modo paradisiaco.

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