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ALLA LUNA (1820 – Recanati)

Testo
1. O graziosa Luna, io mi rammento
2. che, or volge l’anno, sovra questo colle
3. io venia pien d’angoscia a rimirarti:
4. e tu pendevi allor su quella selva,
5. siccome or fai, che tutta la rischiari.
6. Ma nebuloso e tremulo dal pianto,
7. che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
8. il tuo volto apparia, ché travagliosa
9. era mia vita: ed è, né cangia stile,
10. o mia diletta Luna. E pur mi giova
11. la ricordanza, e il noverar l’etate
12. del mio dolore. Oh come grato occorre
13. nel tempo giovanil, quando ancor lungo
14. la speme e breve ha la memoria il corso,
15. il rimembrar delle passate cose,
16. ancor che triste, e che l’affanno duri!

Parafrasi
1. O leggiadra luna, io mi ricordo,
2. che, proprio un anno fa, io venivo (=”io venia” del v. 3) su questo colle
3. ad ammirarti pieno di sofferenza:
4. e tu allora sovrastavi quel bosco
5. come fai anche adesso illuminandolo tutto.
6-9. Ma, a causa del pianto, che mi nasceva sulle ciglia, nei miei occhi, il tuo aspetto mi
appariva offuscato e tremolante, poiché la mia vita era dolorosa e lo è anche ora e non
cambia situazione,
10. o mia cara luna. Eppure mi fa bene
11. ricordare il tempo passato e riconsiderare il tempo
12. del mio dolore. Oh come appare gradito,
13. nell’età della giovinezza, quando la speranza (“speme” del v. 14) ha ancora un lungo
percorso
14. e la memoria breve,
15. ricordarsi degli avvenimenti passati,
16. anche se sono tristi e la sofferenza dura ancora nel presente.

Parafrasi 2
O graziosa (= gratus, parola antica. In questo caso significa non solo ‘gradita’ ma anche ‘piena di
grazia’) luna (apostrofe e anafora: O graziosa luna/o mia diletta luna), mi ricordo che ora si
compie un anno (or volge l’anno) su questo colle (potrebbe essere il Monte Tabor, il colle de
"l'infinito"), io venivo, pieno di angoscia a contemplarti (rimirarti):
e tu sovrastavi (pendevi: latinismo) quel bosco proprio come (siccome) fai ora, che lo rischiari
interamente.
Ma (avversativa: opposizione tra la natura e il poeta), a causa delle lacrime (pianto, metonimia) che
mi sgorgavano (sorgea) dalle ciglia, velato (nebuloso) e tremolante (tremulo) mi appariva ai miei
occhi (luci, già in Petrarca, metafora: luci=occhi) il tuo volto, poiché la mia vita era piena di dolori
(travagliosa) e così ancora, né cambia o mia cara luna. Eppure mi piace (mi giova, latinismo,
quasi: trovo conforto) il ricordo, e il richiamare alla mente (noverar) il tempo (l’etate) del mio
dolore. Oh come si presenta gradito (occorre, latinismo: torna, sopraggiunge) nell'età giovanile, il
ricordo delle cose passate, quando la speranza ha ancora dinanzi a sè un lungo percorso e la
memoria dietro di sé un percorso breve (chiasmo: lungo speme breve memoria; quando si è giovani
molto resta ancora da sperare e poco da ricordare. Questi versi, 13 e 14, furono aggiunti
successivamente e appaiono solo nell’edizione postuma), benché (ancor che) il ricordo
(rimembrar delle passate cose) sia triste e l'affanno duri tuttavia.
Parafrasi discorsiva
O leggiadra luna, io mi ricordo, che, proprio un anno fa, io venivo su questo colle ad ammirarti
pieno di sofferenza: e tu allora sovrastavi quel bosco come fai anche adesso illuminandolo tutto.
Ma, a causa del pianto, che mi nasceva sulle ciglia, nei miei occhi, il tuo aspetto mi appariva
offuscato e tremolante, poiché la mia vita era dolorosa e lo è anche ora e non cambia situazione, o
mia cara luna. Eppure mi fa bene ricordare il tempo passato e riconsiderare il tempo del mio dolore.
Oh come appare gradito, nell’età della giovinezza, quando la speranza ha ancora un lungo percorso
e la memoria breve, ricordarsi degli avvenimenti passati, anche se sono tristi e la sofferenza dura
ancora nel presente.

Lo stile è letterario, ricco di latinismi che nobilitano l’espressione (v. 4: “pendevi”; v. 10: “giova”;
v. 11 “noverar l’etate”) e di un lessico che evoca efficacemente l’indeterminatezza delle
sensazioni cara alla poetica leopardiana. Vago è infatti il paesaggio - un colle, una selva, la luna che
la illumina - che evoca la “rimembranza” e la percezione dell'indefinito. La sintassi è
prevalentemente piana, e anche gli enjambements (vv. 1-2; vv. 8-9; vv. 10-11; vv. 11-12; vv. 13-14)
non “spezzano” eccessivamente la struttura del testo.

Il testo è strutturato in 16 endecasillabi sciolti distribuiti in 4 periodi sintattici. Numerosi gli


enjamblements (v.1-2-4-6-7-8-10-11-12-13) e iperbato ai versi 6-7, 13-14 e 12-15. Le
caratteristiche del linguaggio di questo idillio lo accostano all’ “Infinito”; infatti ricorrono le parole
“mi rammento” “ricordanza” e “memoria” “rimembrar”, cosi come nell”Infinito ci sono le parole
“infinito” “interminati” “immensità”.

Figure Retoriche
 Enjambements: travagliosa / era la mia vita (vv. 8-9); “mi giova / la ricordanza” (vv. 10-11);
“l’etate / del mio dolore” (vv. 11-12); “lungo / la speme” (vv. 13-14);
 Allitterazioni della “l”: “Luna-voLge-coLLe-aLLor-seLva-nebuLoso-tremuLo-doLore-
diLetta”;
 Anafore “o graziosa luna […] o mia diletta luna” (vv. 1; 10);
 Apostrofi “o graziosa luna” (v. 1); “o mia diletta luna” (v. 10);
 Metonimia “pianto” (v. 6);
 Metafore “luci” (v. 7);
 Iperbato “Ma nebuloso e tremulo dal pianto / che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci / il tuo
volto apparia” (vv. 6-8);
 Anastrofi “lungo /la speme e breve ha la memoria il corso” (vv. 13-14);
 Chiasmi “lungo /la speme e breve ha la memoria il corso” (vv. 13-14).

Commento
Il componimento è facilmente divisibile in due parti, una prima ( versi 1-5) in cui viene descritto
un notturno lunare(spazio) e una seconda (versi 6-10) in cui viene evidenziato il grandissimo valore
del ricordo come consolazione (tempo)
Il tema della poesia è squisitamente romantico. Essa sviluppa il rapporto che c’è tra uomo e
paesaggio notturno senza trascurare il tema assai caro di quanto un ricordo possa essere dolce e
amaro per l’uomo.
La poesia è composta in endecasillabi sciolti e parte con l’invocazione alla luna, astro molto caro a
Leopardi e suo confidente rispetto alle continue angosce che vive. Appare evidente sin da subito
come, in questa poesia, ci sia una combinazione tra gli scorci di paesaggio notturno e le sensazioni
dell’autore nel momento in cui lo guarda e il ricordo di quando il poeta, già in passato, andava a
confidarsi con la luna.
Leopardi si rivolge direttamente alla luna la quale, tuttavia, comunque non può capire fino in fondo
il suo tormento interiore.
Questo componimento ha più di un punto in comune con “L’infinito”, a partire dalla forma e dal
periodo in cui è stato composto. Le due poesie sono accomunate anche dalla brevità e dalla densità
di significato in così pochi versi, così come dalla presenza in entrambi di un colle.
La luna, inoltre, regna sovrana anche nella poesia “Sera del dì di festa”, a sottolineare come la
componente romantica data dal cielo e dall’astro notturno non manchino praticamente mai
nell’espressione artistica del poeta.
Il blocco compatto di sedici endecasillabi di cui la poesia è composta non viene suddiviso nemmeno
dalle rime. Attuare una divisione è possibile, come già accennato all’inizio, dal momento in cui il
poeta si rivolge alla luna nominandola direttamente.
Nella prima invocazione domina il paesaggio notturno verso il quale Leopardi proietta la propria
angoscia tornando su quel colle, un anno dopo, e vedendo la stessa luna che vide allora. Nonostante
il tempo sia passato, lo stato d’animo dell’autore non è cambiato.
Il poeta osserva la luna solo attraverso i suoi occhi, vedendola sfocata e deformata a causa del suo
pianto. Il dolore si rinnova, quindi, nell’incontro con la luna; non sappiamo la causa di questo male
che il poeta sta vivendo, un dolore immutabile di cui la luna è testimone. Il ricordo di un passato
triste che si tramuta in un presente triste sembra consolare il poeta, anche se nel testo non viene
spiegato il motivo per cui è così.

In Alla luna si affronta il tema del ricordo che trasforma la realtà, migliorandola. Infatti, il
ricordo, anche se triste e doloroso, ha un potere consolatorio e la “rimembranza” rende
“poeticissimo” ogni oggetto, in quanto “è essenziale e principale nel sentimento poetico”, come
leggiamo nella nota dello Zibaldone del 14 dicembre 1828. La lontananza nel tempo, come quella
spaziale, rende le immagini indeterminate, quindi particolarmente poetiche.
La poesia, come tutti i primi idilli è costruita sull’opposizione tra il presente e il passato: in
questo caso, tra i sentimenti dell’anno precedente, quando il poeta ammirava la luna pieno di
angoscia e quelli del momento presente: il dolore è sempre lo stesso, nulla è cambiato nella vita
di Leopardi, ma il ricordo addolcisce la tristezza, perché appartiene al tempo della giovinezza,
quando ha ancora tanto spazio la speranza, data dalle illusioni, contrapposta alla memoria, che ha
ancora un percorso breve dietro di sé. Gli ultimi due versi sono stati aggiunti, con ogni probabilità,
in un momento successivo, per prendere le distanze dalle illusioni giovanili: infatti, compaiono solo
nell’edizione dei Canti del 1845.
Con la luna, sua interlocutrice prediletta, il poeta instaura un dialogo affettuoso, chiamandola
“graziosa” (v. 1) e “diletta” (v. 10), poiché si illude che la luna possa partecipare del suo dolore:
siamo ancora nella prima fase della poetica leopardiana, quella in cui la natura è considerata una
madre benigna. Dieci anni dopo, infatti, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, la luna
sarà totalmente indifferente al dolore del poeta, ormai giunto alla fase del pessimismo “cosmico”, in
cui la natura è “madre di parto e di voler matrigna”.
Il componimento Alla luna appare dolce e pacato, caratterizzato da quell’atmosfera di “vago e
indefinito”, che per Leopardi è sommamente poetica: angoscia e dolcezza coesistono
tranquillamente, poiché il ricordo mitiga il dolore e provoca sentimenti di pacatezza: a creare tale
atmosfera contribuisce anche la frequente allitterazione della consonante “l”. Lo stile è letterario e
nel componimento sono presenti diversi riferimenti alla tradizione di cui possiamo citare
sicuramente il Petrarca del Canzoniere (v. 2 “or volge l’anno”; v. 7 (“alle mie luci”, metafora tipica
nella poesia di Petrarca) o al v. 9 (“né cangia stile”).

L'idillio fu scritto probabilmente nel giugno del 1819 quasi in contemporanea a "L'Infinito".
Ambedue le poesie hanno come tema di fondo il ricordare, che per Leopardi è sempre piacevole; ne
“L'Infinito” Leopardi contemplava l'infinito, mentre ne “Alla luna”, rievoca e ricorda le cose
passate, anche se tristi, e il ricordo stesso fa risorgere e rinforza il dolore passato e la causa del
dolore.
"Alla Luna", insieme a "L'Infinito", formano due poesie gemelle, perché nascono dal medesimo
colle da dove il giovane poeta, già consapevole del suo stato fisico e della sua futura tristezza
esistenziale, guardava la luna e l'orizzonte. Nel colle Leopardi andava pieno di angoscia per restare
solo e guadarsi dentro e ricordare il tempo trascorso come fa nella poesia "Alla Luna" o per
fantasticare e immaginare cosa ci fosse dietro l'azzurro del cielo come nella poesia "L'Infinito".

La sintesi della poesia “Alla Luna”.


Il poeta si ricorda che lui, pieno di tristezza, l'anno precedente andava sopra il colle (Tabor) a
contemplare la luna che gli appariva leggiadra e benigna: la luna era sospesa nel cielo e rischiarava
la boscaglia così come faceva tutt'ora. Ma il volto della luna sembrava agli occhi del poeta, velato e
tremolante, per il pianto che sgorgava dalle sue ciglia a causa della sua vita tormentata che così era
rimasta a tutt'ora e non cambiava tenore. Eppure il poeta era contento di ricordare il tempo passato e
di misurare il tempo del dolore. Leopardi conclude l'idillio dicendo che il ricordare le cose passate,
anche se tristi, e nonostante l'affanno perduri ancora, sopraggiunge sempre piacevole, perfino nella
gioventù quando la speranza è sentita come una grande avventura e quando il ricordo del passato ha
ancora una vita breve.

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