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La sonnambula 

apre la terza sezione degli Strumenti umani: Appuntamento a ora insolita. Nella


prima sezione il lettore aveva potuto osservare un io lirico bloccato, che non riusciva a rompere il
cerchio, in continua ricerca di un dialogo che non riesce mai ad attuarsi, chiuso in un monologo
autoreferenziale; poi, riconosciuta come fallimentare la possibilità di un ritorno salvifico,
miracoloso in senso montaliano, alla natura, ai luoghi dell’infanzia, aveva visto avvenire la vera
catarsi alla fine di Uno sguardo di rimando, con la poesia Le sei del mattino, attraverso il
superamento di questo momento di stasi, verso un nuovo dialogo col mondo.

Proprio quest’ultima lirica introduce un tema poi fondamentale nell’intera raccolta e nel testo che
si vuole analizzare, quello del sogno, meccanismo che permette all’io lirico di raggiungere verità
più profonde, altrimenti inaccessibili, di moltiplicare gli sguardi e le possibilità, ampliando il
ventaglio rappresentativo. A partire dalla Sonnambula, anche la quarta e la quinta sezione si
apriranno con poesie che rimandano direttamente, già dal titolo, alla tematica onirica,
rispettivamente Nel sonno e Un sogno, quasi come se questo luogo altro, irreale, di sospensione,
fosse ponte per il raggiungimento di nuovi stadi di consapevolezza, tanto poetica, quanto
esistenziale.

Questa poesia rivela fin da subito la sua peculiarità: unica in tutti gli Strumenti umani è
interamente virgolettata. Il lettore, abituato a un io lirico monolitico, nelle cui parole l’altro
faticava enormemente a entrare, se non come equivoco, rimane sbalordito di fronte a un testo
dove, invece, avviene una completa eclissi – o apparente tale – dell’io, che si mette da parte
lasciando la parola a un personaggio che possiamo conoscere solo dal titolo: la sonnambula,
appunto.

Ecco che si realizza a pieno l’effetto di polifonia, che Bachtin credeva realizzabile solo nella prosa,
attraverso diversi meccanismi. Prima di tutto la poesia stessa, come strumento, permette la
coesistenza di più elementi, di più significati anche in contraddizione tra loro, inoltre Sereni attua
dei meccanismo di rifrazione e aumenta esponenzialmente i punti di vista. Il poeta presta la sua
voce a una lei e, almeno all’interno della finzione scenica, le parole appartengono del tutto alla
sonnambula. Al tempo stesso il lettore è consapevole della finzione, l’io lirico, fingendo di ritrarsi
nel tu, fa l’occhiolino allo spettatore, ha già sfondato la quarta parete, è ovvio che la
rielaborazione dei pensieri della donna è tutta sua, detto banalmente: è Sereni che scrive La
sonnambula, non lei. La scena si complica ulteriormente dal momento che si tratta di un sogno,
quindi procede per analogie, allusioni lasciate a sé stesse, dove distinguere realtà e artificio
diventa impossibile.

Il testo è fortemente ambiguo, sappiamo che questa donna sta parlando, forse nel sonno, forse
racconta in un momento successivo un sogno, non sappiamo in che rapporti sia col poeta. Poeta
che possiamo riconoscere in questo tu verso cui lei si rivolge e si crea un interessante
stravolgimento dell’io poetico che diventa tu poetico, primo elemento di sdoppiamento e
stravolgimento. Probabilmente si trovano in montagna, l’allusione si trova già nei primi versi, vi
rimanda indirettamente anche il gallo alpestre, la città ormai distante.
La prima parte serve a presentarci l’ambientazione, potremmo quasi pensare ai primi sette versi
come a dei versi descrittivi, introducono il tema dell’inverno, della montagna, lontana dalle valli
che si stendono poco sotto e dalla città. Poi si apre la scena vera e propria, allusivamente erotica,
probabilmente tra il poeta e la sonnambula, ma il vero motore dell’azione è il tu: ti sento
avvicinarti (v. 9), smanioso prendi me (v. 10), tu salvi (v.11), cogli su me (v.12); l’io che parla è
fondamentalmente passivo.

Infine, gli ultimi tre versi si contrappongono all’incipit, al freddo inverno di montagna iniziale
risponde una città con la sua primavera, probabilmente metaforica dell’amore, che si è appena
consumato, tant’è che la primavera viene preparata direttamente dalla donna.

In generale il discorso è articolato su un’impalcatura di ripetizioni quasi ossessive (inverno,


primavera, città), di anafore, di parole che si incatenano proiettando in avanti il tutto, ma è un
proiettarsi inconcludente, verso un’allusione non spiegata del tutto, segnalata anche dai puntini di
sospensione finali, che danno l’idea di un’argomentazione che tende a, ma non raggiunge niente e
rimane nella sua tensione. D’altra parte la narrazione va sempre intesa nel suo contesto, quindi
quello onirico, come un delirio tanto amoroso quanto del sonno, che ricerca continui appigli
linguistici per evolversi, per progredire e invece rimane circolarmente statico.

L’apice del componimento è racchiuso tra i versi 8 e 14, nella descrizione di questo cercarsi di
corpi, di un desiderio sempre crescente, smanioso, che si riverbera su gesti allusivamente
animaleschi: da ogni mio gesto per te, anche il più basso, che è anche ipermetro, quasi a non
riuscire a contenere nella gabbia metrica un istinto che pare basso, eppure dominante. L’uso dei
pronomi personali, ripetuti ossessivamente, un tu e un io che si rincorrono, simboli di un desiderio
che fatica a esprimersi appieno nelle parole. Il verso 14 si conclude con il riferimento alle rose di
rupe, le rose tanto simboli erotici, quanto appartenenti all’iconografia amorosa più classica,
mentre la rupe rimanda a una situazione liminare, di pericolo, di precario equilibrio. Queste rose
di rupe sembrano quasi un ossimoro che racchiuda il sublime romantico insito nel concetto di
amore, in senso più freudiano, la convivenza del principio di piacere e di quello di morte, riuniti
nella passione erotica, che assimila il gesto, anche il più basso alla salvezza.

L’amore è visto come possibile via di fuga, la donna è una ragazza viziata che tu salvi, / sul punto
di farsi viziosa, o almeno così si descrive con un accumularsi di affricate dentali sonore, suoni forti
che danno il senso di un accrescersi di tensione, e l’unico modo per lei di salvarsi è lasciarsi
salvare, lasciarsi prendere. Nella più totale passività, nel completo abbandono nell’altro,
calibrando ogni mio gesto per te, si raggiunge l’agognata primavera, la città, tempo e luogo della
collettività, della partecipazione, dello scambio. E’ interessante che Sereni ci abbia abituato nelle
liriche precedenti a considerare questi due elementi, la primavera e la città, come luoghi simbolici
da cui l’io si sentiva definitivamente escluso e alienato, rimandavano a una giovinezza ormai
perduta, irrecuperabile, se non sotto forme di sbiadito ricordo nostalgico. L’io abita l’inverno della
maturità, infatti è la sonnambula a parlare di questo provvidenziale ritorno al calore giovanile, è lei
a invitarlo, ci aspetta una città con la sua primavera, a cercare di invogliarlo, è lei stessa
a preparare questi luoghi. Non possiamo sapere quanto vengano colti questi inviti dal poeta, ma i
puntini finali lasciano pensare a una richiesta vana, inascoltata, possibile solo nel delirio del sonno,
dopo la soddisfazione piena e transitoria dell’amore, che permette questa tensione verso l’alto,
destinata ad estinguersi, come la fiamma della passione erotica che presto si riduce a cenere.
Se si prosegue di poco nella raccolta, due poesie dopo si trova la Scoperta dell’odio che ci toglie
ogni dubbio sulla possibilità, da parte di Sereni, di considerare l’amore come vero e
proprio strumento nel mondo contemporaneo, lo rivela bene l’incipit:

Qui stava il torto, qui l’inveterato errore:

credere che d’altro non vi fosse acquisto che d’amore.

Sbaglia chi crede si possa fare affidamento sull’amore, può solo crederlo chi, sonnambulo, in preda
al delirio inconcludente del sonno e della passione, spera di trovare in un soddisfacimento
immediato una nuova primavera, una nuova speranza di giovanile conciliazione col mondo
esterno, di felicità incantata. Questo ritorno è però impossibile, l’io lirico già l’aveva capito in Mille
miglia:

Ma nulla senza amore è l’aria pura

l’amore è nulla senza la gioventù.

Nella maturità ormai l’amore è disincantato, l’io lirico sa che non può trovare in esso una via di
fuga pienamente soddisfacente, lui che non sa che accennare a invaghirsi. Dunque,
nella Sonnambula si contrappongono due diverse visioni, quella della donna, apertamente
dichiarata, che crede che l’amore possa essere un ponte per arrivare a prepararsi una città e
una primavera, che l’amore possa essere in tutto e per tutto uno strumento umano. Vi si
contrappone, invece, l’opinione dell’io lirico, che si comprende solo implicitamente nel testo e più
in generale in riferimento alle altre poesie della raccolta; Sereni delinea l’idea di un amore che non
basta, è insufficiente, è solo temporaneo alienarsi e distrarsi, mentre il grande obbiettivo da
questo punto fino a La spiaggia sarà il recupero del tempo provvisorio, il riscatto nel ricordo di una
partecipazione più attiva nella contingenza storica.

Per concludere si può analizzare la situazione e la data in cui venne scritta la poesia, cioè tra Parigi
e Amsterdam, fra il 25 e il 29 gennaio del 1961, molto vicino, per spazio e per tempo, alla stesura
del trittico Dall’Olanda. Sereni parla inoltre di questo testo come di una narrazione di un sogno
precedente. I manoscritti ci indicano anche come le virgolette e il titolo compaiano solo nella fase
di stampa, prima il solo incipit indicava la lirica in questione e, come sempre in Sereni, le redazioni
precedenti presentano notevoli elementi in più, una descrizione più accurata. Il processo di
astrazione che fa qui il poeta è, però, quantomeno singolare. Non ci stupisce il regredire del testo
da una narrazione più comprensibile, immediata e, se si vuole, prosastica a un componimento più
lirico, nel senso stretto del termine, quindi criptico, alto, ermetico. Il procedimento più particolare
è piuttosto come Sereni prenda un suo sogno, lo descriva e poi solo successivamente presti le
proprie parole a una donna, sonnambula, non sognatrice, ma vera attrice del sogno, persona
talmente immersa nell’attività onirica da parteciparvi col corpo. Tutto questo fa parte dello
sdoppiamento speculare già analizzato e che in certi termini non può che essere colto nella sua
allusività, senza pienamente essere compreso, dal momento che il raddoppiarsi di punti di vista e
di visioni è poeticamente possibile solo fintanto che la poesia rimane lirica, non immediatamente
comprensibile e, in fondo, è questa la grande scommessa di Sereni con la sua contemporaneità.

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